New Era Opened Medical Oncology Progress
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NEO M PP New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives Pubblicazione di informazione scientifica oncologica a cura di N° 10 Luglio 2016 L’Editore non si assume alcuna responsabilità per qualsiasi lesione e/o danno a persona o beni in quanto responsabilità di prodotto, negligenza o altrimenti, oppure a operazione di qualsiasi metodo, prodotto, istruzione o idea contenuti nel materiale di cui trattasi. A causa del rapido progresso nella scienza medica, l’Editore raccomanda la verifica indipendente delle diagnosi e del dosaggio dei medicinali. Direttore Responsabile: Giancarlo Martignoni Comitato di Redazione Enrico Aitini Antonio Ghidini Fausto Petrelli Registrazione Tribunale Civile e Penale di Milano n. 301 del 30 settembre 2013 EDIZIONI TECNOGRAF S.r.l. Via Piave, 14 - 20010 Canegrate (MI) Tel. (+39) 0331.404.444 - Fax (+39) 0331.410.508 - E-mail: [email protected] Tutti i diritti riservati. 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Colorectal Cancer Francesca Battaglin, Sara Lonardi 13 Gastric cancer Rosa Berenato, Marta Caporale, Federica Morano, Monica Niger, Filippo Pietrantonio, Maria Di Bartolomeo 19 Hepatobiliary cancer Lorenza Rimassa 23 Pancreatic cancer Marco Puzzoni, Laura Demurtas, Valeria Pusceddu, Mario Scartozzi 31 NEWS & VIEWPOINT Immunoterapia nel carcinoma gastrico: nuova frontiera o nuova illusione? Alessandro Inno 35 Il carcinoma del retto in risposta clinica completa (cCR) dopo trattamento neoadiuvante: quale spazio per la strategia wait-and-see? Monica Cattaneo, Nicoletta Pella, Giuseppe Aprile 38 Operare le metastasi epatiche da tumore gastrico: crolla un mito? Fausto Petrelli, Sandro Barni 44 GISCAD NEWS N° 10 LUGLIO 2016 3 EDITORIALE: LA RICERCA ITALIANA AD ASCO 2016 Quest’anno il motto del Meeting ASCO era “Collective Wisdom”: bello davvero, anche se molto simile a quello (“Intelligenza di sciame”) che in Italia CIPOMO aveva già tempo fa ideato a sostegno delle proprie iniziative di aggiornamento: che copioni, questi Americani! Ovviamente, il senso è che per battere il cancro bisogna lavorare tutti insieme, con sapienza ma anche con saggezza, allo scopo di utilizzare al meglio le armi terapeutiche che la ricerca clinica e traslazionale ci mette a disposizione: come si potrebbe non essere d’accordo, pur tra i mille lacci e lacciuoli che la burocrazia e le restrizioni economiche ci pongono davanti ogni giorno? Ma come possiamo concretamente mettere in atto questo virtuoso percorso? E, per restare al tema che anche quest’anno mi è stato assegnato, qual è il contributo che il nostro Paese sta dando alla edificazione di questa immensa mole di nuove conoscenze? In altre parole, qual è lo stato di salute della ricerca clinica italiana misurato con le metriche di ASCO 2016? Se posso usare una cauta e “saggia” definizione, non esito a dire: molto migliorabile. In termini quantitativi, almeno nel settore delle neoplasie solide, solo due contributi nazionali hanno avuto l’onore della presentazione orale nell’ambito delle sessioni tematiche di riferimento: mi riferisco allo studio ETNA del gruppo Michelangelo (primo nome: Luca Gianni, abstract 502) nella terapia neoadiuvante del carcinoma della mammella (695 pazienti) e allo studio del MITO (primo nome: Sandro Pignata, abstract 5505), con la collaborazione minoritaria di altri gruppi, nella terapia del carcinoma ovarico recidivante tra 6 e 12 mesi dopo una precedente chemioterapia includente platino (215 pazienti). Entrambi studi ben disegnati e condotti, entrambi frutto di sforzo collettivo (appunto…) di gruppi cooperativi consolidati nella realtà italiana ed internazionale, entrambi con risultati purtroppo negativi ma caratterizzati da una analisi critica e sincera da parte degli Autori, come riconosciuto dai rispettivi discussant. Ben meritato quindi il riconoscimento che AIOM ha voluto dare ai due studi, con tanto di presentazione orale e di consegna di targa onorifica nell’ambito del 4 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives convegno post-ASCO tenutosi a Bologna il 17 e 18 giugno. Ma poi cosa è accaduto nei dintorni a questi studi? Non molto, purtroppo. Certo, nella “authorship” degli studi internazionali registrativi, specialmente di quelli concernenti la immunoterapia, parecchi italiani figuravano nel gruppo di testa (mi vengono in mente, ad esempio, Sara Lonardi, Marina Garassino, Mario Mandalà…); alcuni dei nostri colleghi (ricordo Paolo Ascierto, Fotios Loupakis e Lisa Licitra) sono stati impegnati come chairmen o discussant; vi sono stati interessanti poster presentati da giovani di valore, tre dei quali hanno anche conseguito il Merit Award… Quindi: buona qualità e quantità non trascurabile. Però, però… come siamo messi nei confronti dei Paesi nostri amici, ma anche naturali competitor (Gran Bretagna, Germania, Francia, Giappone…), per tacere degli Stati Uniti? Non troppo bene, perché ancora una volta mi è parsa ben percepibile la nostra cronica difficoltà a fare sistema, a coagulare su quesiti di prioritaria rilevanza tutti i Centri di riferimento su specifiche patologie e a sfidare sulle problematiche di strategia terapeutica le grandi multinazionali, che oggi appaiono soprattutto interessate a trovare spazio per le loro molecole, anche a prezzo (è la parola giusta…) di un terrificante fenomeno di tipo “me too” che dopo la chemioterapia sta rapidamente invadendo i settori della immunoterapia e dei trattamenti a bersaglio molecolare. Qui in Italia siamo capaci di ideare trials di grande interesse (grazie soprattutto a giovani di talento), ma poi impieghiamo un tempo troppo lungo a reclutare, un tempo quasi sempre superiore rispetto a quello dei Paesi nostri simili sopra citati. Che fare, quindi? Come coniugare creatività e organizzazione, estro e concretezza? La ricetta non è nuova, ma da poco più di un anno si è finalmente concretizzata, pur tra difficoltà e qualche tortuosità. Mi riferisco alla presenza della FICOG (Federation of Italian Cooperative Oncology Groups) che comprende ormai una quindicina di Gruppi del Paese (cinque dei quali dediti in misura prevalente o esclusiva al trattamento delle neoplasie gastroenteriche) e che si sta avviando rapidamente a una piena operatività. Sono prossimi a partire due studi intergruppo che riguarderanno, forse non a caso, tumori dell’apparato digerente (carcinoma dello stomaco in regime di mantenimento e neoplasie del pancreas in seconda linea) e l’interesse del mondo farmaceutico e della stessa AIFA nei confronti di questa coraggiosa iniziativa appare elevato e genuino. In fondo, e come GISCAD non possiamo che compiacercene, si tratta di un modello di collaborazione che abbiamo ideato e messo a punto nella conduzione dello studio TOSCA, riuscendo a coniugare identità dei singoli gruppi e realizzazione di una ampia piattaforma intergruppo. Quest’ultima si New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives è poi ulteriormente amplificata nella grandiosa impresa internazionale denominata IDEA, che (su base esclusivamente accademica) sta per portare a compimento la risposta al fondamentale quesito sulla ottimale durata del trattamento adiuvante nel carcinoma del colon in stadio III. E non è affatto escluso che la presentazione dei dati finali sia disponibile per ASCO 2017: in tal caso i contenuti del mio solito predicozzo sul numero di Neo-MOPP dedicato al Meeting sarebbero ben definiti in anticipo e magari, incrociando le dita, in parte sovrapposti a quelli dell’articolo dedicato alla sessione plenaria… Perciò, cari amici, “stay tuned… and hungry”! Roberto Labianca Presidente GISCAD 5 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 7 UPDATE FROM ASCO 2016: PLENARY SESSION Commento a cura di Antonio Ghidini Oncologia Medica, Casa di Cura IGEA - Milano Abstract #LBA1 - A randomized trial (MA.17R) of extending adjuvant letrozole for 5 years after completing an initial 5 years of aromatase inhibitor therapy alone or preceded by tamoxifen in postmenopausal women with early-stage breast cancer. Paul E. Goss, James N. Ingle, Kathleen I. Pritchard, et Al. Massachusetts General Hospital Cancer Center and Harvard Medical School. Background: Five years of aromatase inhibitor (AI) therapy either as up-front treatment or after 2-5 years of tamoxifen has become the standard of care for postmenopausal women with hormone receptor positive early breast cancer. Extending treatment with an AI to 10 years may further reduce the risk of breast cancer recurrence. Methods: We conducted a double-blind, placebo-controlled trial (Canadian Cancer Trials Group MA.17R) to test the efficacy of extending AI treatment for an additional five years using letrozole. The primary endpoint was disease-free survival. Results: A total of 1,918 women with early stage breast cancer were enrolled (median follow-up 75 months, 6.3 years). A total of 165 disease-free survival (DFS) events (67 on letrozole and 98 on placebo) occurred, of which 42 versus 53 were distant recurrences on letrozole and placebo, respectively. There were 200 deaths (100 in each treatment group). The 5 year DFS was respectively 95% for patients receiving letrozole versus 91% for those on placebo (HR 0.66; P = 0.01) from a two-sided log-rank test stratified by nodal status, prior adjuvant chemotherapy, interval between last dose of AI therapy and randomization, and duration of prior tamoxifen at randomization. The 5 year overall survival was respectively 93% for subjects on letrozole and 94% on placebo with a HR of 0.97 (P = 0.83). The annual incidence rate of contralateral breast cancer was 0.21% for subjects on letrozole versus 0.49% on placebo (P = 0.007). Conclusions: Compared to 5 years of AI treatment as initial therapy or preceded by 2-5 years of tamoxifen, extending AI treatment to 10 years significantly improves disease-free survival. Further analyses will provide a comprehensive picture of toxicities and QOL. Clinical trial information:NCT00754845 La sessione plenaria di ASCO 2016 si apre con un nuovo possibile standard of care: e cioè l’estensione della terapia ormonale adiuvante con inibitore dell’aromatasi (AI) a dieci anni nelle donne in postmenopausa sottoposte a chirurgia per carcinoma mammario. Da anni l’argomento è molto sentito e dibattuto: nella pratica clinica odierna infatti, nelle pazienti a rischio di recidiva più elevato, gli oncologi prendono già in considerazione la possibilità di prolungare il trattamento ormonale adiuvante oltre i cinque anni canonici, con dati pubblicati fino ad oggi che riguardano il passaggio da tamoxifene ad AI, oppure nella donna giovane l’estensione dello stesso tamoxifene fino a dieci anni. L’interesse per questo studio consiste proprio nella novità che porta: MA.17R è il primo trial che esplora la possibilità di somministrare alle pazienti una terapia con inibitore dell’aromatasi (letrozole nel caso specifico) per il doppio del tempo, e cioè dieci anni. Si tratta di un grande studio di fase 3 in doppio cieco randomizzato verso placebo che ha arruolato quasi 2000 donne, con l’obiettivo principale di valutare la sopravvivenza libera da malattia (DFS). Ad un follow-up mediano di poco più di 6 anni si sono verificate 67 recidive nel braccio sperimentale contro 98 nel braccio standard, con un tasso di DFS a 5 anni rispettivamente del 95% e 91% (hazard ratio [HR] 0.66, 95% CI [0.48, 0.91]; p = 0.01); tale vantaggio si è rivelato significativo N° 10 LUGLIO 2016 8 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives nel sottogruppo delle pazienti operate con positività linfonodale. Per quanto riguarda gli effetti collaterali correlati al prolungamento del trattamento è emersa una maggiore quota di donne con alterazioni del metabolismo osseo e osteoporosi, condizionanti algie scheletriche fino a casi di fratture (14% versus 9%; p = 0.001). I risultati di questo studio sono molto importanti e potrebbero già cambiare lo stato dell’arte. Ma accanto ad alcune risposte si aprono ancora più numerose domande. Quanto deve durare un trattamento adiuvante, anche in termini di sostenibilità? Cinque, dieci anni? A vita? Nel corso di un trattamento sempre più prolungato quanto siamo disposti a rischiare in termini di effetti avversi per ottenere sempre più piccoli guadagni? L’oncologo dovrà sempre più affinare la propria sensibilità per valutare rischi e benefici di un trattamento (in una persona che è già potenzialmente guarita) in funzione della paziente che ci si trova di fronte, della sua età e delle eventuali patologie correlate, delle caratteristiche biologiche della neoplasia; dovrà soprattutto fare progressi nella diagnosi precoce di tutte le problematiche inerenti la terapia. Abstract #LBA2 - A phase III randomized controlled trial of short-course radiotherapy with or without concomitant and adjuvant temozolomide in elderly patients with glioblastoma (CCTG CE.6, EORTC 26062-22061, TROG 08.02, NCT00482677). James R. Perry, Normand Laperriere, Christopher J. O'Callaghan, et Al. Background: The EORTC (26981-22981)/NCIC CTG (CE.3) RCT in newly diagnosed glioblastoma (GB) showed increased overall survival (OS) with concomitant and adjuvant temozolomide (TMZ) added to radiotherapy (RT). Pts were 18-71 (median 56) years; however, a trend of decreasing benefit from the addition of TMZ with increasing age was noted. Recent RCTs in elderly GB detected noninferiority of 40 Gy/15 v 60 Gy/30 RT and superior survival was noted for MGMT-methylated pts treated with TMZ alone. However, whether the addition of TMZ to RT improves survival in elderly pts remained unanswered. Methods: We conducted a global randomized phase III clinical trial for patients ≥ 65 yrs with histologically confirmed newly diagnosed GB, ECOG 0-2, randomized 1:1 to receive 40Gy/15 RT v 40Gy/15 RT with 3 weeks of concomitant TMZ plus monthly adjuvant TMZ until progression or 12 cycles. Stratification was by centre, age (65-70, 71-75, or 76+), ECOG 0,1 vs 2, and biopsy vs resection. Results: 562 pts were randomized, 281 on each arm; median age 73 yrs (range 65-90), male 61%, PS 0/1 77%, resection 68%. RT+TMZ significantly improved OS over RT alone (median 9.3m v 7.6m, HR 0.67, 95%CI 0.56-0.80, p < 0.0001) and significantly improved PFS (median 5.3m v 3.9m, HR 0.50, 95%CI 0.41 – 0.60, p < 0.0001). Tissue from 462 pts was provided and adequate for MGMT analysis in 354 to date. In MGMT methylated patients (n = 165) OS for RT+TMZ v RT was 13.5 m and 7.7m respectively (HR: 0.53 (95% C.I. 0.38, 0.73, p = 0.0001). In MGMT unmethylated patients (n = 189) OS for RT + TMZ v RT was 10.0m vs 7.9m respectively (HR 0.75 (95% C.I. 0.56 – 1.01, p = 0.055). QoL analyses showed no differences in functional domains of QLQC30 and BN20 but were worse in the RT/TMZ arm for nausea, vomiting, and constipation. Systemic therapy after PD was reported in 39% on RT+TMZ v 41% on RT. Conclusions: The addition of concomitant and adjuvant TMZ to hypofractionated RT for elderly pts with GB significantly improves OS and PFS in all patients and is well tolerated. Patients with MGMT methylated tumors benefit the most from the addition of TMZ to RT where median OS is nearly doubled. Clinical trial information: NCT00482677. Il secondo abstract presentato in plenaria riguarda i tumori cerebrali primitivi nei pazienti con età maggiore di 65 anni. Già all'ASCO del 2012 erano stati presentati dati riguardanti il beneficio di un trattamento con chemioradioterapia su tumori oligodendrogliali anaplastici, ed in particolare nel sottogruppo portatore di metilazione di MGMT. Il glioblastoma è fra i tumori gliali quello più frequente, rappresentando fino al 60% dei tumori astrocitari, e quello più aggressivo. Lavori precedenti avevano dimostrato efficacia della chemioterapia con temozolamide nell’incrementare la sopravvivenza dei pazienti affetti da tale neoplasia maligna. Questo studio di fase 3 arruolava 562 pazienti, randomizzati a ricevere un trattamento radioterapico uguale nei due bracci (40 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 9 Gy in 15 frazioni) – non lo standard dei 60 Gy - associato o meno a temozolamide concomitante e proseguito successivamente fino a 12 cicli o progressione; la maggior parte dei pazienti (68%) erano stati sottoposti prima di tale trattamento a chirurgia completa o parziale. I risultati sono tutti a vantaggio del trattamento di combinazione: OS mediana di 9.3 contro 7.6 mesi (HR 0.67, 95% CI [0.56, 0.80]; p < 0.0001), PFS di 5.3 verso 3.9 mesi (HR 0.50, 95% CI [0.41, 0.60]; p < 0.0001). Nel sottogruppo di pazienti con metilazione del promotore del gene MGMT la differenza di sopravvivenza risulta addirittura raddoppiata, raggiungendo i 13.5 mesi (HR 0.53, 95% CI [0.38, 0.73]; p = 0.0001). L’analisi della qualità della vita non mostrava differenze nei due bracci, fatta eccezione per sintomi gastroenterici (nausea, vomito e stipsi). Il messaggio è chiaro: se le condizioni generali del paziente lo permettono, la chemioterapia con temozolamide associata alla radioterapia incrementa la sopravvivenza. Altro new standard of care. Abstract #LBA3 - A phase III randomized clinical trial (RCT) of tandem myeloablative autologous stem cell transplant (ASCT) using peripheral blood stem cell (PBSC) as consolidation therapy for high-risk neuroblastoma (HR-NB): A Children's Oncology Group (COG) study. Julie R. Park, Susan G. Kreissman, Wendy B. London, et Al. Background: ASCT improves event-free survival (EFS) for HR-NB. Pilot studies suggest that intensification of myeloablative therapy using tandem ASCT further improves outcome for HR-NB. We conducted a multicenter RCT comparing tandem vs. single consolidation in patients with HR-NB. Methods: Between 11/2007 and 2/2012, 652 eligible patients (pts) with newly diagnosed HRNB received induction therapy: 6 cycles of chemotherapy including initial 2 cycles of dose-intensive cyclophosphamide/topotecan followed by PBSC collection. Randomization occurred at end induction to single ASCT with carboplatin-etoposide-melphalan (CEM) or tandem ASCT with thiotepa–cyclophosphamide ASCT followed by a modified CEM (TC:CEM). HR pts with non-MYCN amplified Stage 3 (age>18mos) or Stage 4 (age 12-18 mos) tumors were non-randomly assigned to single ASCT (CEM). EFS and overall survival (OS) were analyzed as intent-to-treat. Results: Median age at study entry was 3.1 yrs, 88% (n=574 pts) had Stage 4 disease and 38.2% (n=249 tumors) had MYCN amplification. A total of 355 pts were randomized (CEM n=179 pts; TC:CEM n=176 pts) and 27 patients were non-randomly assigned to CEM. Of randomized pts, 249 patients received post-consolidation immunotherapy on COG trials. Treatment-related mortality was 2.6% (Induction n=7 [1%]; Consolidation n=10 [2.8%; n=8 CEM, n=2 TC:CEM]). Rates of severe mucosal, infectious or liver toxicities were similar between arms. 3-year EFS and OS from diagnosis were 51.1±2.0% and 68.2±1.9%, respectively. EFS and OS for randomized cohort are shown in the Table. Conclusions: Tandem myeloablative consolidation therapy improves survival probability in patients with high-risk neuroblastoma, especially in the setting in post-consolidative immunotherapy. Clinical trial information:NCT00567567. N° 10 LUGLIO 2016 10 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives Come all’ASCO scorso, anche quest’anno abbiamo un abstract dedicato all’argomento dei tumori pediatrici. Il neuroblastoma è il più comune dei tumori extracranici dell’infanzia: esso trae origine dalle cellule che andranno a formare il sistema nervoso autonomo. Nelle forme più aggressive di questa neoplasia la mortalità a 5 anni supera il 50%. Questo studio, condotto su una popolazione abbastanza numerosa di pazienti (n=355) partiva da precedenti evidenze che avevano documentato l’efficacia del trapianto autologo in termini di event-free survival (EFS) e la fattibilità di un doppio trapianto. Nel disegno dello studio pazienti ad alto rischio ricevevano 6 cicli di chemioterapia d’induzione (con raccolta delle cellule staminali periferiche dopo due cicli di CT ad alte dosi) e successivamente venivano randomizzati al singolo o al doppio trapianto autologo con i rispettivi regimi di consolidamento (TEM oppure TC:CEM). Lo studio prevedeva poi una seconda parte nella quale circa il 70% dei pazienti ricevevano un post-consolidamento con immunoterapia (isotretinoina, dinutuximab e citochine). La sopravvivenza libera da eventi (progressione o ripresa di malattia, secondi tumori o morte per altre cause) risultava a 3 anni significativamente migliore nel braccio di pazienti trattati con il doppio trapianto; anche per quanto riguarda la sopravvivenza globale a 3 anni, questa risultava di poco superiore nello stesso braccio. Tali risultati miglioravano ulteriormente con l’aggiunta dell’immunoterapia. Per quanto concerne infine la tossicità, essa è risultata similare nei due gruppi di cura, e addirittura sono occorse più morti tossiche nel braccio meno intensivo (8 verso 2). La sintesi è da standard of care: nei pazienti portatori di high-risk neuroblastoma, intensificare la terapia mieloablativa con un doppio trapianto autologo di cellule staminali migliora la sopravvivenza (EFS), senza incremento di tossicità. Abstract #LBA4 - Phase III randomized controlled study of daratumumab, bortezomib, and dexamethasone (DVd) versus bortezomib and dexamethasone (Vd) in patients (pts) with relapsed or refractory multiple myeloma (RRMM): CASTOR study. Antonio Palumbo, Asher Alban Akmal Chanan-Khan, Katja Weisel, et Al. University of Torino, Torino, Italy; Mayo Clinic Florida, Jacksonville, FL. Background: Daratumumab (D), a human anti-CD38 IgGκ mAb, induces deep and durable responses with a favorable safety profile in RRMM pts. We report a pre-specified interim analysis of the first randomized controlled study of D (CASTOR; NCT02136134). Methods: Pts with ≥1 prior line of therapy were randomized (1:1) to 8 cycles (q3w) of bortezomib (V)/dexamethasone (d) (V: 1.3 mg/m2sc on Days 1, 4, 8, 11; d: 20 mg po on Days 1, 2, 4, 5, 8, 9, 11, 12) ± D (16 mg/kg iv qw in Cycles 1-3, Day 1 of Cycles 4-8, then q4w until progression). Primary endpoint was PFS. Results: 498 pts (DVd, 251; Vd, 247) were randomized. Baseline demographics and disease characteristics were well balanced. Pts received a median of 2 prior lines of therapy (range 1-10). 66% received prior V; 76% received prior IMiD; 48% received prior PI and IMiD; 33% were IMiD-refractory; 32% were refractory to last line of prior therapy. With median follow-up of 7.4 months, D significantly improved median PFS (61% reduction in risk of progression) and TTP for DVd vs Vd (Table). D significantly increased ORR (83% vs 63%, P<0.0001), and doubled rates of ≥VGPR (59% vs 29%, P<0.0001), and ≥CR (19% vs 9%, P= 0.0012) for DVd vs Vd, respectively; median duration of response was NR vs 7.9 months, respectively. Most common (>25%) AEs (DVd/Vd) were thrombocytopenia (59%/44%), peripheral sensory neuropathy (47%/ 38%), diarrhea (32%/22%) and anemia (26%/31%). Most common grade 3/4 AEs (>10%) were thrombocytopenia (45%/33%), anemia (14%/16%), neutropenia (13%/4%). 7%/9% of pts discontinued due to a TEAE. D-associated infusion-related reactions (45% of pts) mostly occurred during the first infusion; most were grade 1/2 (grade 3/4, 9%/0%). Conclusions: D significantly improved PFS, TTP, and ORR in combination with Vd vs Vd alone. DVd doubled both VGPR and sCR/CR rates vs Vd alone. Safety of DVd is consistent with the known safety profile of D and Vd. The addition of D to Vd should be considered a new standard of care for RRMM pts currently receiving Vd alone. Clinical trial information: NCT02136134. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 11 Anche nell’ultimo abstract presentato in sessione plenaria troviamo un nuovo standard of care. L’argomento – mieloma multiplo ricaduto/resistente - è oncoematologico e, come i due precedenti, riguarda patologie che non sono di frequente gestione dell’oncologo medico. Il primo dato importante da segnalare è che il primo nome di questo lavoro è italiano, dell’università di Torino. Chiaro il disegno dello studio, di cui questa riportata è un’analisi ad interim prepianificata: studio multicentrico randomizzato di fase 3, di confronto tra associazione di bortezomib e desametasone (VD), verso lo stesso regime con l’aggiunta di daratumumab (DVD). Quest’ultimo è un anticorpo monoclonale anti-CD38 che esplica un’attività sia diretta che indiretta verso le cellule mielomatose: esso infatti agisce attaccando direttamente le cellule tumorali e attivando la risposta immune tramite i linfociti T. L’endpoint primario dello studio era la PFS, mentre TTP, ORR e OS erano endpoint secondari. Con un follow-up mediano di 7.4 mesi, la PFS a un anno è risultata del 60.7% nel braccio DVD in confronto al 26.9% del braccio di controllo, che si traduce in una riduzione del rischio di progressione o morte del 61% (HR 0.39, 95% [CI 0.28, 0.53]; p < 0.0001); per quanto riguarda il tempo alla progressione invece, con il braccio sperimentale si è ottenuta una riduzione del rischio del 70% (HR 0.30, 95% CI [0.21, 0.43]; p < 0.0001). Il trattamento con daratumumab ha inoltre raddoppiato il tasso di risposta: ORR 83% vs 63% (p < 0.0001), VGPR (very good partial response) 59% vs 29% (p < 0.0001), CR 19% vs 9% (p = 0.0012). Per quanto riguarda gli effetti collaterali occorre segnalare che la tossicità ematologica (piastrinopenia), neuropatia periferica e diarrea sono risultate un poco superiori nel regime a tre farmaci, mentre quasi la metà (!) dei pazienti arruolati nel braccio DVD ha avuto reazioni infusionali, praticamente avvenute tutte durante la prima somministrazione. Nel leggere e meditare questi risultati, mi viene immediatamente da pensare al più illustre “cugino” anti-CD20 rituximab che ha cambiato la storia dei linfomi… Sarà un caso che la FDA ha denominato il daratumumab “breakthrough therapy”? N° 10 LUGLIO 2016 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 13 COLORECTAL CANCER FROM ASCO GI & ASCO MEETING 2016: WHAT’S NEW TOMORROW MORNING? Francesca Battaglin, Sara Lonardi UOC Oncologia Medica 1, Dipartimento di Oncologia Clinica e Sperimentale - Istituto Oncologico Veneto – IRCCS, Padova ASCO Meeting 2016. Abstract 3501: Nivolumab ± ipilimumab in treatment (tx) of patients (pts) with metastatic colorectal cancer (mCRC) with and without high microsatellite instability (MSI-H): CheckMate-142 interim results. Michael J. Overman, Scott Kopetz, Raymond S. McDermott, et Al. Background: Evidence supports use of nivolumab (N) in MSI-H mCRC. N, a fully human anti-PD-1 mAb and ipilimumab (I), a humanized anti-CTLA-4 mAb, have favorable safety & efficacy in other tumors. CheckMate142, a phase 2 study, evaluates N ± I in pts with mCRC, MSI-H and non-MSI-H. Methods: Pts had ECOG PS 0– 1, and intolerance/progression on ≥ 1 tx. MSI-H pts received N 3 mg/kg q2 wk (N3) or N 3 mg/kg + I 1 mg/kg q3 wk (N3+I1) x 4 doses followed by N3 until disease progression (PD) or other discontinuation. Initial evaluation of N+I at 3 doses was completed in non-MSIH pts. Primary endpoint was investigator-reported ORR by RECIST 1.1; other endpoints were safety, OS, and PFS. Results: 33 (N3) and 26 (N3+I1) MSI-H pts, and 3 (N1+I1), 10 (N1+I3), and 10 (N3+I1) non-MSI-H pts were enrolled. 82% (N3) and 92% (N3+I1) of MSI-H and 100% of non-MSI-H pts had ≥ 2 prior regimens. 15% (N3) and 25% (N3+I1) of MSI-H pts had known BRAF V600E. 17 (52%; N3) and 19 (73%; N3+I1) MSI-H pts remain on tx. Efficacy results are shown in the Table. In MSI-H pts, tx-related adverse events (TRAEs) occurred in 26 (79%; N3) and 22 pts (85%; N3+I1); most common were diarrhea and fatigue (27% each; N3) and diarrhea (46%; N3+I1). Grade 3–4 TRAEs occurred in 7 (N3) and 8 pts (N3+I1). One pt on N3 had a Grade 5 TRAE (sudden death). In non-MSI-H pts median (95% CI) PFS was 1.4 mo (1.2–1.9; pooled N+I). Conclusions: N and N+I were well tolerated in most pts and demonstrated encouraging clinical activity and survival in MSI-H mCRC. This study is ongoing. Clinical trial information: NCT02060188 Commento: dopo la presentazione lo scorso anno dei risultati di Pembrolizumab nel trattamento dei tumori del colon con instabilità microsatellitare (MSI-H), quest’anno sono stati presentati in sessione orale all’ASCO Annual Meeting gli interim results dello studio CheckMate-142 con Ipilimumab (Ipi) e Nivolumab (Nivo) nel setting dei tumori del colonretto ad elevata instabilità. Questo studio di fase II, tutt’ora in corso, valuta l’attività della combinazione Ipi 1 mg/kg + Nivo 3 mg/kg q3w per 4 cicli seguiti da terapia bisettimanale con Nivo 3 mg/kg fino a progressione o discontinuazione per altre cause, e di Nivo 3 mg/kg q2w in monoterapia nei pazienti con neoplasia MSI-H; è stata inoltre effettuata una valutazione iniziale dell’attività di Ipi+Nivo a diversi dosaggi in una coorte di pazienti non-MSI-H. Obiettivo primario dello studio è l’objective response rate (ORR) riportata dagli investigatori secondo i criteri RECIST 1.1; tra gli obiettivi secondari safety, overall survival (OS) e progression free survival (PFS). Sono stati riportati i risultati su 70 pazienti MSI-H arruolati nella coorte di trattamento con Nivo e 30 pazienti MSI-H nella coorte di combinazione, di cui rispettivamente 47 (67%) e 18 (60%) ancora in trattamento. Oltre il 55% dei pazienti aveva ricevuto da 3 a più linee di chemioterapia precedenti. N° 10 LUGLIO 2016 14 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives I risultati di efficacia nei pazienti MSI-H valutabili per risposta (follow-up > 12 settimane) mostrano come sia stata ottenuta una ORR pari al 25.5% nella coorte di monoterapia e al 33.3% in quella di combinazione, a fronte di un disease control rate pari al 55.3% ed all’85.2% rispettivamente, con risposte obiettive e stabilità di malattia di lunga durata (> 12 mesi) per il braccio di trattamento con Nivo in monoterapia che dispone al momento di un più lungo follow-up. È da sottolineare inoltre come la mediana di durata di risposta non sia ancora stata raggiunta nei due gruppi così come la mediana di OS nella coorte di terapia di combinazione, mentre nei pazienti non-MSIH si è evidenziata una mediana di PFS globale pari a 1.4 mesi, confermando una mancanza di attività dell’immunoterapia in questo setting. Non vengono sottolineate dagli autori tossicità rilevanti. Questi risultati, seppur preliminari, vanno a rafforzare i dati di efficacia dell’immunoterapia nei tumori MSI-H, anche in pazienti fortemente pretrattati, a fronte di un profilo di tossicità maneggevole. Risultati practice changing? Senza dubbio sì, non appena l’immunoterapia sarà disponibile. Take home message: l’immunoterapia si sta andando a delineare sempre più come un trattamento ad elevata attività nei tumori del colonretto MSI-H, e se i risultati fin qui dimostrati in questo ed in altri studi saranno confermati, presto si andrà ad imporre come uno standard terapeutico non rinunciabile in questo setting di pazienti. La terapia con Nivo da solo o in associazione ad Ipi sta dimostrando dati di attività incoraggianti con una ricaduta rilevante sulla OS dei pazienti già pretrattati, meritando di essere ulteriormente indagata in successivi studi. Restano aperti il problema della scelta del miglior trattamento immunoterapico (pembrolizumab? Nivo in monoterapia? Combo Ipi+Nivo?), della sostenibilità in termini di spesa sanitaria e della durata ottimale con cui dovremo confrontarci nel momento in cui questi farmaci arriveranno sulla scena della pratica clinica; tuttavia va sottolineato che la neoplasia colorettale è l’unica al momento in cui si dispone di un fattore predittivo di efficacia che restringe il setting di trattamento al 5% circa dei pazienti, amplificandone il beneficio. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 15 ASCO Meeting 2016. Abstract 3504: Impact of primary (1º) tumor location on overall survival (OS) and progression-free survival (PFS) in patients (pts) with metastatic colorectal cancer (mCRC): Analysis of CALGB/SWOG 80405 (Alliance). Alan P. Venook, Donna Niedzwiecki, Federico Innocenti, et Al. Background: 80405 found no OS or PFS difference when Bevacizumab (BV) or Cetuximab (Cet) was added to 1st-line FOLFOX or FOLFIRI in mCRC pts. As location of the 1° may affect mCRC outcome, we assessed the impact of 1° side (R v L) on OS and PFS in 80405 pts. Methods: 1° location was determined by chart review: 1137 pts w/KRAS wt (codons 12 and 13) in main cohort; 252 pts w/ KRAS mut tumors treated w/ BV or Cet pre-amendment. R-sided = cecum to hepatic flexure; L-sided = splenic flexure to rectum. Transverse (T) = hepatic to splenic flexure. PFS per investigator. Kaplan Meier and Cox regression methods used. Results: KRAS wt pts: Median age = 59; synchronous = 78%. 1° site: R – 280 (25%); L – 689 (61%); T- 62 (5%); unsure – 106 (9%). OS & PFS (Table) difference by side statistically significant if adjusted for age, gender, BV / Cet, chemotherapy, prior therapy. There was a significant 1° side by biologic interaction (P int = 0.003, PFS and OS) but not by chemo, gender or RAS. OS, L-sided: Cet v BV, superiority (Log rank p = 0.04); R-sided: BV v Cet, superiority (p = 0.03). Results similar for PFS and if T colon allocated to R side. KRAS mut pts: 1°s: R - 35%; L- 50%. No statistically significant difference in any subset although OS favors L > R (only OS data shown). Conclusions: mCRC arising in the R v L colon are clinically different. In KRAS wt mCRC, pts w/ L-sided 1° tumor have superior OS and PFS v pts w/ R-sided 1°. Though not pre-planned analyses, OS and PFS were prolonged w/ Cet in L and w/BV in R but were poorer w/ Cet in R. Forthcoming molecular analysis of 1°s - e.g. BRAF, MSI, methylation - may provide a biological explanation. For now, stratification in mCRC studies by R v L 1° sidedness is indicated. These data support BV in 1st line treatment for mCRC pts w/R-sided 1° tumor regardless of KRAS status. Support: U10CA180821, U10CA180882. Clinical trial information: NCT00265850 Commento: uno dei temi caldi di questo ASCO Annual Meeting per la patologia colorettale è stato quello della rilevanza della sede del tumore primitivo, destra (D) vs sinistra (S), non solo a livello prognostico, aspetto già noto, ma da oggi anche con un possibile risvolto nella scelta della strategia terapeutica ottimale per il paziente. Il lavoro di Venook e colleghi analizza l’outcome dei pazienti arruolati nello studio CALGB/SWOG 80405 in termini di OS e PFS secondo la sede del primitivo D (cieco-flessura epatica) vs S (dalla flessura splenica al retto), nel contesto di un’analisi retrospettiva ad hoc, non prepianificata. I risultati dell’analisi nella popolazione KRAS WT codone 12 e 13 (n=280 (25%) D; n=689 (61%) S) aggiustati per età, genere, trattamento chemioterapico e biologico (Bev vs Cet) e trattamenti pregressi, dimostrano una OS ed una PFS superiore per i pazienti con primitivo S vs D (OS: 33.3 mo vs 19.4 mo rispettivamente, HR 1.55 p= 0.0001); con test di interazione positivo per la sede del primitivo (p int= 0.003, PFS ed OS). OS e PFS si sono dimostrate superiori per il trattamento con Cet nei tumori S (OS: 36 mo vs 16.7 mo rispettivamente, HR 1.87 p<0.0001) e per il trattamento con Bev nei D (p=0.03), con peggiore outcome per il trattamento con Cet nei primitivi D. Nel caso delle neoplasie KRAS mut non sono state invece rilevate differenze statisticamente significative tra i due subset. Non sono stati forniti dati riguardo alle caratteristiche molecolari delle neoplasie in termini di BRAF, MSI, metilazione etc, che potrebbero avere un ruolo nell’interpretazione del meccanismo biologico alla base di queste osservazioni. I dati presentati vanno a supportare le evidenze di una minor efficacia del trattamento con Cet nei tumori a localizzazione destra seppur KRAS WT, e gli autori concludono sostenendo la possibilità di una scelta di Bev come biologico da associare alla chemioterapia di prima linea per i primitivi D a prescindere dallo stato mutazionale RAS. Limitazioni da considerare nell’analisi di questi dati comprendono il fatto che si tratti di un’analisi retrospettiva e che l’analisi sui sottogruppi KRAS WT (limitatamente al codone 12 e 13) e mut non fossero pre-pianificate, il fatto che il dato si limiti alla terapia di prima linea ed in un gruppo di pazienti selezionati, come sottolineato dagli stessi autori; necessitando quindi di ulteriore validazione. Risultati practice changing? Potenzialmente sì, ma solo se validati anche in altri studi. Take home message: i risultati presentati in questo studio, combinati ai dati presentati da altri gruppi ed N° 10 LUGLIO 2016 16 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives ai dati di letteratura, vanno a confermare una differenza biologica e di comportamento tra i tumori del colon a seconda della sede del primitivo. Si conferma il valore prognostico negativo della sede destra rispetto alla sinistra, ma iniziano ad emergere oggi dati a sostegno di un valore predittivo della sede destra in termini di ridotta risposta al trattamento con anti-EGFR, con risvolti potenzialmente practice changing in futuro nella scelta personalizzata della strategia e della sequenza terapeutica per i nostri pazienti. Ulteriori studi ed approfondimenti biologici e molecolari per meglio comprendere i meccanismi multifattoriali alla base di questo dato sono necessari (ed in parte in corso), tuttavia sembrerebbe prospettarsi il suggerimento ad utilizzare con cautela l’anti-EGFR nei tumori destri. Ad oggi i dati a disposizione non possono essere comunque considerati sufficienti a precludere il trattamento con anti-EGFR nei tumori del colon destro all WT, né ad indicare una superiorità di Cet vs Bev in prima linea nei tumori del colon sinistro, ma la sede del primitivo si candida indubbiamente come uno dei fattori da considerare nella scelta terapeutica. La ricaduta immediata di questa analisi è un rafforzamento della necessità di testare sempre, oltre che per NRAS e mutazioni rare di KRAS, anche BRAF, poiché queste alterazioni sono più frequenti a destra ed in parte rendono ragione della scarsa efficacia degli anti EGFR evidenziata. In poche parole, qualora non si disponga di BRAF una forte nota di cautela dovrebbe essere utilizzata nel proporre un trattamento con anti EGFR in un tumore del colon destro RAS wt. ASCO Meeting 2016. Abstract 3517: HER2 amplification as a negative predictive biomarker for anti-epidermal growth factor receptor antibody therapy in metastatic colorectal cancer. Kanwal Pratap, Singh Raghav, Michael J. Overman, et Al. Background: HER2 amplification (HERamp), seen in 5% of KRAS wildtype (WT) metastatic colorectal cancers (mCRC), is associated with resistance to anti-epidermal growth factor receptor antibodies (antiEGFRabs). The purpose of this study was to validate the predictive impact of HERamp in mCRC. Methods: We performed systematic analyses of RAS and BRAF WT mCRC patients (pts) across 2 distinct cohorts. We tested HERamp in cohort 1 (N = 97) using immunohistochemistry and dual in-situ hybridization (HERamp: HER2/CEP17 ≥ 2.2). We validated these findings in cohort 2 (N = 99), which comprised of 37 cases of HERamp mCRC pts identified by next-generation sequencing (HERamp: ≥ 4 copies) and 62 HER2 non-amplified (HER2NA) pts treated previously with antiEGFRabs who served as controls. The primary objective was to compare progression-free survival (PFS) in pts treated with antiEGFRabs. PFS and overall survival (OS) were estimated using Kaplan Meier method and compared using log rank test. Results: HERamp was seen in 14 (14 %) of RAS/BRAF WT pts in cohort 1. In this cohort, median OS (29.1 v 45.1 months (m), P = 0.78) and PFS on first line therapy without an antiEGFRab (PFS1) (9.7 v 8.4 m, P = 0.70) was similar between HERamp and HER2NA pts. A total of 66 pts in cohort 1 received antiEGFRab after first line therapy. Median PFS on antiEGFRab therapy (PFS2) was significantly shorter in pts with HERamp compared to HER2NA tumors (2.9 v 8.1 m, hazard ratio (HR) 5.0, P < 0.0001). These findings were confirmed in cohort 2, in which 69 pts received antiEGFRab after first line therapy and median PFS2 was significantly shorter for HERamp pts compared to HER2NA pts (2.8 v 9.3 m, HR 6.6, P < 0.0001) with a similar OS (P = 0.86) and PFS1 (P = 0.62). Conclusions: HER2 amplification in mCRC is a predictive biomarker for lack of efficacy of antiEGFRab therapy. This magnitude of effect is comparable to RAS mutations; the only other validated predictive biomarker for antiEGFRabs, and affects 1 in 8 patients currently receiving these agents. Patients with RAS/RAF WT mCRC should be screened for HER2 amplification prior to treatment with antiEGFRabs and should be considered for early referral to clinical trials. Commento: sul versante molecolare lo studio presentato come poster da Pratap e colleghi va ad aggiungere un altro tassello nella panoramica della caratterizzazione degli ulteriori aspetti molecolari alla base della resistenza ai farmaci anti-EGFR nei tumori del colon-retto RAS/BRAF WT. Lo scopo dello studio era quello di validare l’impatto predittivo negativo della presenza di amplificazione di HER2 (HER2amp), che si osserva in circa il 5% dei tumori del colon KRAS WT, sulla risposta al trattamento con anti-EGFR New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 17 nel tumore del colon metastatico. Questa analisi retrospettiva ha riguardato due diverse coorti, la prima costituita da 114 pazienti RAS WT arruolati all’interno di una piattaforma di studio molecolare che sono stati testati tramite immunoistochimica (IHC) ed ibridazione in situ per l’amplificazione di HER2, la seconda utilizzata come coorte di validazione costituita da 37 casi RAS/BRAF WT HER2amp identificati tramite next generation sequencing (NGS) e 62 controlli HER2NA (non amplificati) trattati con antiEGFR. Obiettivo principale era quello di comparare la PFS tra i pazienti trattati con anti-EGFR. All’interno della prima coorte sono stati identificati 14 pazienti HER2amp; nessuna differenza significativa è stata riscontrata in termini di OS e PFS in corso di terapia di prima linea (PFS1) non contenente antiEGFR tra il gruppo di pazienti HER2amp e quello HER2NA; di contro tra i 66 pazienti che avevano ricevuto una seconda linea contenente anti-EGFR la PFS mediana si è rivelata significativamente inferiore per i tumori HERamp rispetto ai tumori HER2NA (2.9 v 8.1 m, HR 5.0, P < 0.0001). Questo dato è stato confermato nella coorte 2 dove la PFS2 in corso di terapia di seconda linea con anti-EGFR si è dimostrata pari a 2.8 mo v 9.3 mo per i tumori HERamp ed HER2NA rispettivamente (HR 6.6, P < 0.0001), in assenza di differenze in PSF1 ed OS. Sulla base di questi dati gli autori concludono che la presenza di HER2amp si conferma come un fattore predittivo di mancata risposta al trattamento con antiEGFR con un peso paragonabile alla mutazione di RAS. Risultati practice changing? Potenzialmente sì, introducendo come routinaria questa valutazione nei tumori RAS/BRAF wt. Take home message: Il risultato di questo studio non giunge del tutto inatteso, fondandosi su evidenze precliniche emerse negli ultimi anni e preceduti lo scorso anno dai dati dello studio italiano HERACLES, presentati all’ASCO GI 2015. Pur necessitando di ulteriore validazione, le evidenze accumulate rispetto al valore predittivo negativo della presenza di amplificazione di HER2 nei confronti del trattamento con farmaci anti-EGFR suggeriscono cautela nell’utilizzo di questi farmaci nel trattamento dei tumori HER2amp. Da non dimenticare inoltre che sono attualmente attivi o lo saranno a breve trial clinici sperimentali a target molecolare con farmaci anti-HER2 con promettenti dati di efficacia precedentemente osservati in questa popolazione altamente selezionata. I pazienti RAS/BRAF WT dovrebbero quindi essere testati per questa alterazione prima di intraprendere un trattamento con anti-EGFR e nel caso di sua presenza considerati per arruolamento in trial clinici con farmaci targeted. ASCO Meeting 2016. Abstract 3521: Final results of STAR-01: A randomized phase III trial comparing preoperative chemoradiation with or without oxaliplatin in locally advanced rectal cancer. Carlo Aschele, Sara Lonardi, Luca Cionini, et Al. Background: STAR-01 is a randomized phase III trial investigating the effect of adding oxaliplatin (OXA) to preoperative (preop) 5fluorouracil (FU)-based pelvic chemoradiation (CRT) in patients (pts) with resectable locally advanced rectal cancer (LARC). No benefit from adding OXA could be demonstrated on primary tumor response to preoperative chemoradiation (Aschele, J Clin Oncol, 2011). Methods: Eligibility required a resectable, biopsy-proven rectal adenocarcinoma within 12 cm from the anal verge with radiological evidence of perirectal fat or nodal involvement. Randomization was between infused FU (225 mg/msq/day) concomitant to external- beam pelvic radiation (50.4 Gy in 28 daily fractions) (arm A) or the same regimen + weekly OXA (60 mg/msq x 6) (Arm B). Overall survival (OS) was the primary endpoint (252 deaths required to have a log-rank test with 80% power to detect a 30% reduction in mortality rates at the 5% two-sided significance level). Results: From November 2003 through August 2008, 739 eligible patients were enrolled at 41 Italian institutions. With a median follow up of 8.8 years (IQR 8.1-9.9), 132 and 109 deaths were recorded in Arm A and B, respectively (HR 0.82, CI 0.64-1.06, p=0.126). The corresponding 5 and 10 years OS rates were 77.6 vs 80.4 % and 62.3 N° 10 LUGLIO 2016 18 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives vs 67.4 % (Arm A vs B). Preoperative/intraoperative progressions were thrice higher in Arm A (28, vs 10 in Arm B) while recurrences and deaths without recurrence were evenly distributed between the 2 arms (83/81 and 14/19 in Arm A/B, respectively). The corresponding event-free survival rates were 70.6 vs 74.2 % and 66.3 vs 69.2 % in Arm A vs B, at 3 and 5 years, respectively (HR 0.89, CI 0.69-1.15, p=0.374). Conclusions: This study did not meet its primary endpoint of a 30% reduction in mortality rates. The observed differences are consistent with a more limited impact on OS and warrants further investigation with pooled analyses of similar studies investigating OXA added to FP-based preop CRT. The large reduction in the number of early progressions is coherent with an effect of OXA on micrometastatic disease but was not paralleled by an improvement in recurrences after surgery. Commento: Lo studio STAR-01, primo trial multicentrico italiano di fase III nel carcinoma del retto localmente avanzato (LARC), presenta alcuni elementi di unicità rispetto agli altri studi che hanno indagato il ruolo di oxaliplatino in questo setting. Innanzitutto è il più “pulito”, poiché l’unica variabile è l’aggiunta di OXA solo nella fase neoadiuvante. Inoltre, è l’unico che ha utilizzato come end-point primario l’overall survival, senza dubbio il più ambizioso e solido. L’ipotesi era di aumentare del 30% la sopravvivenza globale attraverso un incremento dell’attività locale e una riduzione delle metastasi a distanza. I risultati preliminari avevano già evidenziato l’assenza di un vantaggio sulla pCR (JCO 2011). Sono stati presentati quindi i risultati finali a 9 anni di follow-up mediano e con 248 dei 252 decessi ipotizzati dal disegno statistico. Purtroppo l’incremento del 30% in OS non è stato raggiunto e lo studio è da considerare negativo, benché le curve dimostrino una costante e netta separazione con un beneficio assoluto che va dal 3% (5y-OS) al 6% (8y-OS). Tuttavia, sia la forma della curva di OS che il riscontro di una riduzione delle metastasi a distanza che è più netta nel primo anno ma si mantiene poi nel tempo, suggeriscono che OXA abbia una potenziale attività nella patologia. Risultati practice changing? No. Take home message: L’efficacia di OXA è probabilmente ristretta ad un sottogruppo di pazienti che andrà identificato mediante analisi di sottogruppo, possibilmente combinando i risultati di STAR-01 in metanalisi con gli altri studi che si erano posti l’obiettivo analogo. Inoltre, ciò che emerge per il futuro è che, per poter evidenziare benefici netti nel trattamento del LARC, è necessario disegnare studi su popolazioni più ristrette per classe di rischio piuttosto che studi ampi in pazienti non selezionati. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 19 GASTRIC CANCER FROM ASCO MEETING 2016: WHAT’S NEW TOMORROW MORNING? Rosa Berenato, Marta Caporale, Federica Morano, Monica Niger, Filippo Pietrantonio, Maria Di Bartolomeo Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori – Milano Nessuna novità practice changing nell’immediato in quest’ultima edizione del Meeting annuale dell’ASCO per quanto riguarda la neoplasia gastrica, ma piuttosto interessanti ipotesi di lavoro sia nel setting metastatico che nella malattia localmente avanzata. ASCO 2016 - Abstract 4000. A multicenter randomized phase III trial of neo-adjuvant chemotherapy followed by surgery and chemotherapy or by surgery and chemoradiotherapy in resectable gastric cancer: First results from the CRITICS study Mercel Verheij, Edwin PM Jansen, Annemieke Cats, et Al. Background: The mainstay of potentially curative treatment of gastric cancer is radical surgical resection. Because most patients in the Western world present with advanced stages long-term survival remains poor at about 25%, with local recurrences as part of treatment failure in up to 80% of cases. Postoperative chemoradiotherapy (CRT) and perioperative chemotherapy (CT) have demonstrated a survival benefit over surgery alone. The current randomized phase III CRITICS-study (NCT00407186) investigated whether chemoradiotherapy after neo-adjuvant chemotherapy and adequate (D2) surgery leads to improved overall survival (OS) in comparison with postoperative chemotherapy. Furthermore, toxicity of both treatment regimens was explored. Methods: Patients with stage Ib-IVa resectable gastric cancer were randomized after diagnosis. Neoadjuvant CT was prescribed in both arms and consisted of 3 courses of epirubicin, cisplatin/oxaliplatin and capecitabine (ECC/EOC). After gastric cancer resection, patients received another 3 courses of ECC/EOC or CRT (45 Gy in 25 fractions combined with weekly cisplatin and daily capecitabine). Primary endpoint is OS; secondary endpoints are: disease free survival, toxicity profile and quality of life. Results: Between January 2007 and April 2015, 788 patients from The Netherlands, Sweden and Denmark were randomized (393 CT; 395 CRT). Baseline characteristics were well balanced with 70% males and a median age of 61 years. 84% completed 3 cycles before surgery. In the CT arm 46% and in the CRT arm 55% completed treatment according to protocol. After a median follow-up of 50 months, 405 patients have died. The 5year survival is 41.3% for CT and 40.9% for CRT (p=0.99). Toxicity was mainly hematological (grade III or higher: 44% vs 34%; p=0.01) and gastrointestinal (grade III or higher: 37% vs 42%; p=0.14) for CT and CRT, respectively. Conclusion: No significant difference in overall survival was found between postoperative chemotherapy and chemoradiotherapy. Clinical trial information: NCT00407186 Sebbene la chirurgia rappresenti l’approccio terapeutico nel carcinoma gastrico localmente avanzato operabile, l’alto rischio di recidiva ha indotto a valutare trattamenti integrati complementari. Risultati positivi in termini di riduzione del rischio di recidiva e di mortalità sono stati raggiunti con la chemioterapia adiuvante (metanalisi GASTRIC), la radiochemioterapia adiuvante (Macdonald et al) e la chemioterapia perioperatoria (studio MAGIC), rispetto alla solo chirurgia. Lo studio nord-europeo CRITICS è un trial randomizzato di fase II che confronta una N° 10 LUGLIO 2016 20 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives strategia chemioterapica perioperatoria secondo MAGIC (ECX/EOX per 3 cicli → chirurgia → ECX/EOX per 3 cicli) con una terapia neoadiuvante (ECX/EOX per 3 cicli) seguita da un trattamento radiochemioterapico post-operatorio (RT 45 Gy con cisplatino a schedula settimanale e capecitabina). L’obiettivo primario è l’OS, secondario è il DFS. Sono stati arruolati 788 pazienti; il 17% dei pazienti era affetto da una neoplasia della giunzione gastroesofagea, la linfoadenectomia D1 è stata eseguita nel 49% dei casi, la D2 nel 37%. Nel braccio di sola chemioterapia, il 60% dei pazienti ha avviato la fase postoperatoria che è stata completata nel 50% dei casi. In termini di tollerabilità, la chemioterapia post-operatoria ha indotto maggiore incidenza di neutropenia G3-4 (34% vs 4%). Ad un follow-up mediano di 50 mesi nessuna differenza sia in termini di OS che di DFS è stata documentata. E’ uno studio ben condotto, ben bilanciato nei due bracci e con adeguato potere statistico. Tra i pazienti randomizzati, solo il 38% è stato sottoposto ad una linfoadenectomia D2. Questo dato è stato sottolineato anche da Peter Enzinger che, commentando lo studio, ha evidenziato due punti chiave: la necessità di riferire i pazienti a centri che eseguono una linfoadenectomia D2 e la non necessaria correlazione tra approccio più aggressivo e migliore outcome. Gli autori hanno in corso lo studio CRITICS 2 che confronta un approccio perioperatorio chemioterapico con una chemioradioterapia preoperatoria. ASCO 2016 Abstract LBA 4001- .FAST: An international, multicenter, randomized, phase II trial of epirubicin, oxaliplatin, and capecitabine (EOX) with or without IMAB362, a first-in-class antiCLDN18.2 antibody, as first-line therapy in patients with advanced CLDN18.2+ gastric and gastroesophageal junction (GEJ) adenocarcinoma Salah-Eddin Al-Batran, Martin H. Schuler, Zanete Zvirbule, et Al. Background: Claudin18.2 (CLDN18.2) is a tight junction protein expressed by several cancers including gastric and GEJ adenocarcinoma. IMAB362 is a chimeric monoclonal antibody that mediates specific killing of CLDN18.2-positive cancer cells by activation of immune effector mechanisms. IMAB362 has demonstrated single-agent activity and was safe and tolerable in patients (pts) with pretreated gastric cancer. Methods: Pts with advanced/recurrent gastric and GEJ cancer were centrally evaluated for CLDN18.2 expression by IHC (validated CLAUDETECT18.2 Kit). Eligible pts had a CLDN18.2 expression of ≥ 2+ in ≥ 40% tumor cells, an ECOG PS of 0–1 and were not eligible for trastuzumab. Pts were randomized 1:1 to first-line EOX (epirubicin 50 mg/m2 and oxaliplatin 130 mg/m2 d1, and capecitabine 625 mg/m2 bid, d1–21; qd22) with or without IMAB362 (loading dose 800 mg/m2, then 600 mg/m2 d1, qd21). The study was extended by an exploratory Arm3 (N = 85) to investigate a high dose IMAB362 (1000 mg/m2) plus EOX, (not subject here). The primary study endpoint was PFS (Arm 1 v 2, 70% power, HR 0.72, 1-sided p = 0.1). Results: 730 pts were consented, of whom 352 pts (48%) were tested CLDN18.2+ per protocol criteria. Of those, 161 pts (median age, 58 yrs; male 64%; gastric, 80%; GEJ, 16%; esophageal, 4%) were randomized into Arms1 and 2. The study met its endpoints. IMAB362 plus EOX improved PFS (median 5.7 v 7.9 mon; HR 0.5; 95% CI 0.35–0.78, 1-sided p = 0.001) and OS (median 8.7 v 12.5 mon; HR 0.5, 95% CI 0.28–0.73) compared to EOX alone. In the subpopulation with very high CLDN18.2 expression ( ≥ 2+ intensity in ≥ 70% tumor cells), efficacy was more pronounced (PFS, 6.1 vs 9.1 mon; HR 0.46; OS, 9.3 v 16.6 mon; HR 0.44). Most common IMAB362-related adverse events included vomiting, neutropenia, and anemia, which were mostly of NCI-CTC grade 1/2. Grade 3/4 events were not significantly increased by IMAB362. Conclusions: IMAB362 combined with first-line chemotherapy exhibited a clinically relevant benefit in PFS and OS and a favorable risk/benefit profile. Clinical trial information: NCT01630083 L’IMAB362 è un anticorpo monoclonale diretto contro la claudina 18.2 (CLDN18.2), una componente strutturale delle tight junction, espressa nel 70-90% dei carcinomi gastrici. L’anticorpo agisce determinando ADCC (citotossicità cellulare anticorpo-dipendente) e CDC (citotossicità complemento-dipendente). Inoltre, in combinazione ai farmaci chemioterapici, sembra indurre la produzione di citochine proinfiammatorie e aumentare l’infiltrato T-cellulare. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 21 Il FAST è uno studio randomizzato di fase II che valuta la tollerabilità e l’efficacia dell’aggiunta di IMAB362 (dose carico 800mg/mq, quindi 600mg/mq) alla chemioterapia di prima linea con EOX verso solo EOX nel carcinoma gastrico HER2 negativo. Criterio di eleggibilità è l’espressione IHC della claudina 18.2 2+/3+ in almeno 40% delle cellule tumorali. L’end-point primario è la PFS. In corso di arruolamento, è stato aggiunto un terzo braccio di trattamento per valutare una più alta dose di farmaco (1000mg/mq). La combinazione di IMAB362 con la chemioterapia ha dimostrato un beneficio statisticamente significativo in termini di PFS (mPFS 4.9 vs 7.9 mesi; HR 0.47) e OS (mOS 8.4 vs 13.2 mesi; HR 0.51). Il beneficio è maggiore nella sottopopolazione di pazienti con espressione IHC ≥ 2+ in oltre il 70% delle cellule tumorali (con un delta di OS di 7.7. mesi). In relazione alla tossicità, il trattamento sperimentale si è dimostrato ben tollerato e non sono state registrate differenze significative per eventi di grado 3/4. Si tratta di un lavoro interessate i cui risultati dovranno essere confermati in studi di fase III. ASCO 2016 Abstract 4002 - Discontinuation of first-line chemotherapy (CT) after 6 weeks of CT in patients (pts) with metastatic squamous-cell esophageal cancer (MSEC): A randomized phase II trial Antoine Adenis, Jaafar Bennouna, Pierre-Luc Etienne, et Al. Background: Even though there is no evidence to support the use of CT in MSEC, many physicians treat pts with good ECOG performance status (PS) with fluorouracil (5FU)/platinum-based CT. Therefore, in order to estimate overall survival (OS) in MSEC, we designed a discontinuation phase 2 trial in pts free from progression (PD) after 6 weeks (wks) of CT. Methods: PS<3 MESC pts were treated with 1st-line 5FU/platinum-based CT, and underwent tumor assessment at 6 wks. Pts free from PD after 6 wks of CT were randomized (1:1) to receive CT continuation (arm A) or CT discontinuation plus BSC (arm B). In arm B, pts were allowed to restart CT in case of PD. Primary endpoint was ITT 9-month OS rate (calculated from randomization date). The sample size has been calculated to provide an estimate of ITT 9-month OS rate ± 12.5% in arm A. Arm B served as an internal control, without formal comparison intent. With an anticipated 58% dropout rate at 1st tumor assessment, 106 pts were needed to randomize 62 pts. Secondary objectives were tolerance, PFS, quality of life, and medical costs. Results: 105 pts were included, and 101 received CT (FOLFOX: 76/101; LV5FU2-CDDPq2w: 18/101; TPF: 4/101, FUCDDPq3w: 3/101). 67/101 pts free from PD at 6 wks were randomized. Baseline pts characteristics were as follows: median age: 64; male gender: 54/67; PS ≤1/2: 61/6; number of metastatic sites 1/≥2: 31/36; BMI<18.5kg/m²: 6/67; prior exposure to CT (combined to radiation therapy and/or surgery): 37/67. 64/67 pts were eligible and treated (arm A 31, arm B 33). CTs were LV5FU2CDDPq2w 7/31, FOLFOX 24/31. ITT 9-months OS rate was 50% (85%-CI: 37-62) for arm A and 44% (85%-CI: 31-56) for arm B. PFS after randomization was 2.8 mo (95% CI: 1.7-5) for arm A, and 1.4 mo (95% CI: 1.4-2.7) for arm B. Tolerance was good, as expected with the CT we used. Conclusions: In pts with MESC free from PD after 6 wks of 5FU/platinum-based CT who were randomized to the CT-continuation arm, 9-month OS rate in arm A was 50%. Despite a trend in OS and PFS favoring arm A, it does not appear that CT continuation provides much clinical benefit over CT discontinuation plus BSC, in such pts. Results of quality of life and medical costs are awaited. Clinical trial information: NCT01248299 Il terzo abstract che abbiamo selezionato è stato presentato da un gruppo francese e confronta due strategie terapeutiche di prima linea nel carcinoma spinocellulare dell’esofago metastatico. La combinazione di platino e fluoropirimidine rappresenta la terapia standard di prima linea nel carcinoma spinocellulare dell’esofago. Questo studio è stato condotto per valutare l’efficacia e la tollerabilità della prosecuzione del regime di induzione (dopo 6 settimane di trattamento con platino e fluoropirimidine) – Arm A verso l’interruzione e quindi solo BSC – Arm B. In quest’ultimo braccio lo studio prevedeva la possibilità di riprendere lo stesso schema terapeutico alla progressione (come da esperienze di trattamenti stop and go nel carcinoma colorettale). L’end-point primario era l’OS a 9 mesi dalla randomizzazione nell’ITT. I pazienti randomizzati sono stati 67 e il tasso di OS a 9 mesi è stato del 50% nell’Arm A vs 48% nell’Arm B. Sebbene non sia stata pianificata nello studio una comparazione formale, le curve di OS non sembrano differire nei due N° 10 LUGLIO 2016 22 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives bracci, mentre le curve di PFS e QoL sembrano favorire la prosecuzione delle chemioterapia. Si tratta di uno studio di piccole dimensioni (solo 67 pazienti randomizzati) da cui non si possono trarre conclusioni definitive. Un ruolo fondamentale a nostro avviso è da attribuire al dato sulla qualità di vita: dal report presentato all’ASCO emerge che i pazienti dell’Arm A hanno un maggior beneficio in termini di QoL rispetto ai pazienti randomizzati nell’Arm B. ASCO 2016 Abstract 4010 - CheckMate-032: Phase I/II, open-label study of safety and activity of nivolumab (nivo) alone or with ipilimumab (ipi) in advanced and metastatic (A/M) gastric cancer (GC). Yelena Yuriy Janjigian, Johanna C. Bendell, Emiliano Calvo, et Al. Background: Chemotherapy-refractory GC is a uniformly fatal illness and an unmet therapeutic need. Nivo is a fully human antiPD-1 monoclonal antibody with a manageable safety profile and efficacy in solid tumors. We report results of a completed A/M GC cohort of CheckMate-032 study evaluating nivo monotherapy and nivo with ipi in pts with solid tumors. Methods: Pts with A/M, histologically confirmed GC, esophageal (EC), or gastroesophageal junction cancer (GEC), irrespective of PD-L1 status, who had progressed on chemotherapy, were treated with nivo 3 mg/kg Q2W (N3), nivo 1 mg/kg + ipi 3 mg/kg (N1+I3), or nivo 3 mg/kg + ipi 1 mg/kg (N3+I1) Q3W x 4 cycles, followed by nivo 3 mg/kg Q2W until confirmed disease progression or intolerable toxicity. Primary endpoint was ORR; other endpoints included safety, OS, and biomarker status. Results: 160 pts with A/M GC were treated with N3 (n = 59), N1+I3 (n = 49), or N3+I1 (n = 52). Baseline characteristics were comparable across cohorts; the majority of pts had ≥ 2 prior regimens. Treatment-related AEs (TRAE) of any grade occurred in 70% (N3), 84% (N1+I3), and 75% (N3+I1) of pts; Grade 3-4 TRAEs occurred in 17%, 45%, and 27% of pts. 12% of pts stopped therapy due to treatment toxicity: 5% (N3), 22% (N1+I3), and 12% (N3+I1). Treatment-related serious AEs (TRSAEs) of any grade and Grade 3-4 TRSAE occurred in 10% and 5% (N3), 43% and 35% (N1+I3), and 23% and 15% (N3+I1) of pts. There was one Grade 5 TRSAE of tumor lysis syndrome (N3+I1). 154 (96%) pts were evaluable for efficacy with the confirmed ORR 16%: 14% (N3), 26% (N1+I3), and 10% (N3+I1), including 2 pts with CR (1 in N3; 1 in N1+I3) and a disease control rate (ORR+SD) of 38%. OS data are in the Table below with 15 pts (9%) remaining on therapy. Updated biomarker data will be presented. Conclusions: TRAEs for nivo and nivo + ipi were consistent with those previously reported. Clinical activity and OS in pts with chemotherapy refractory disease are encouraging. These data support ongoing evaluation of nivo and nivo + ipi in A/M GC/EC/GEC. Clinical trial information: NCT01928394 Infine concludiamo con un abstract sull’immunoterapia. Tra i vari proposti, abbiamo scelto di commentare i dati relativi alla coorte delle neoplasie gastriche dello studio CheckMate-032. Si tratta di uno studio di fase I/II che ha valutato la tollerabilità e l’efficacia del nivolumab sia in monoterapia che in combinazione con ipilimumab. In questa coorte sono stati arruolati 160 pazienti affetti da carcinoma gastrico o della giunzione gastro-esofagea pretrattati e non selezionati per l’espressione di PDL1. Nei 156 pazienti valutabili, la ORR (end-point primario) è stata del 16% e il controllo della malattia (ORR + SD) del 38%. Riguardo il profilo di tossicità, gli eventi avversi riportati in questa coorte, sia per il nivolumab che per il trattamento di combinazione, sono in linea con i dati riportati in letteratura. L’attività clinica e il favorevole profilo di tossicità sono incoraggianti e supportano gli studi in corso. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 23 HEPATOBILIARY CANCER FROM ASCO GI & ASCO MEETING 2016: WHAT’S NEW TOMORROW MORNING? Lorenza Rimassa Oncologia Medica e Ematologia - Humanitas Cancer Center - Humanitas Clinical and Research Center – Rozzano (Milano) Quest’anno per quanto riguarda i tumori del fegato, epatocarcinoma e tumori delle vie biliari, né al meeting ASCO GI né al meeting annuale ASCO abbiamo assistito alla presentazione di novità practice changing; non abbiamo quindi niente di nuovo da utilizzare nella nostra pratica clinica da domani mattina ma possiamo trarre alcuni interessanti spunti di riflessione per studi futuri. ASCO GI Abstract 197. Tumor and Plasma Biomarker Analysis from the Randomized Controlled Phase 2 Trial (RCT) of Tivantinib in Second-line Hepatocellular Carcinoma (HCC). Lorenza Rimassa, Giovanni Abbadessa, Nicola Personeni, et al. Introduction: Tivantinib, an oral MET inhibitor, showed activity in patients (pts) MET-High at immunohistochemistry (IHC) in randomized, placebo controlled studies in HCC, NSCLC, CRC, and prostate cancer. ARQ 197-215 was a RCT of tivantinib in secondline HCC. The study randomized 107 pts 2:1 to tivantinib capsules or placebo, reached the primary endpoint of time to progression in the intent-to-treat population and the prespecified secondary efficacy endpoints, including OS, in MET-High pts. Tumor MET was also found to be a strong independent prognostic factor. This analysis aims to study prognostic and predictive value of tumor and circulating biomarkers. Methods: Circulating MET, HGF, and AFP were centrally analyzed by ELISA and median values were used as cut-offs to determine High or Low status except for AFP, where the 75th percentile was also used. Tumor MET was centrally analyzed and considered High if staining was >2+ in >50% of cells at IHC. Results: Circulating MET was prognostic (N=102; OS: 4.6 vs 8.9 months in High vs Low, HR=0.61, p=0.023) and trended towards predicting tivantinib’s activity. MET was also a pharmacodynamic marker: pts on tivantinib with a MET reduction over time survived longer; MET was reduced in pts stable on tivantinib but not on placebo. Circulating HGF was prognostic (N=102; OS: 5.0 vs 9.0 months in High vs Low, HR=0.6, p=0.02) and changes over time correlated with outcome. AFP by the 75th percentile was prognostic (N=104; OS: 3.0 vs 7.9 months in High vs Low, HR=0.36, p<0.0001). Median IHC score (H-Score) was 175 for tumor MET-High, 40 for MET-Low pts (N=77). MET was highly expressed in 40% of biopsies taken before and in 82% of biopsies taken after sorafenib. A significant interaction between tivantinib and tumor MET in terms of OS was observed (p=0.039). No biomarker except for tumor MET was predictive of response to tivantinib. Conclusion: A clear prognostic value was found for circulating MET, HGF, and AFP by the 75th percentile. Tumor MET was highly prognostic and predictive. IHC results on over 900 tumor samples analyzed in the ongoing METIV-HCC phase 3 study will also be presented. Clinical trial information: NCT00988741 Commenti - Al meeting ASCO GI di quest’anno in sessione orale è stata presentata un’analisi di biomarcatori tissutali e circolanti tratta da uno studio di fase 2 randomizzato 2:1 con tivantinb, inibitore orale di MET, verso placebo in pazienti affetti da epatocarcinoma avanzato pretrattati con sorafenib. Lo studio clinico aveva arruolato 107 pazienti e aveva raggiunto l’endpoint primario e gli endpoint secondari di efficacia nei pazienti con elevata espressione di MET (Lancet Oncol 2013). Nell’analisi presentata N° 10 LUGLIO 2016 24 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives quest’anno si è analizzato il valore prognostico e predittivo di MET tumorale e di MET, HGF e AFP circolanti. Le caratteristiche dei pazienti erano ben bilanciate nei diversi gruppi. MET circolante si è dimostrato prognostico, ha mostrato un trend verso la predittività (Fig.1) ed è risultato essere un marcatore farmacodinamico di tivantinib. Per HGF sono stati documentati il valore prognostico e la correlazione delle sue variazioni nel tempo con l’outcome dei pazienti. Anche valori molto elevati di AFP hanno dimostrato di correlare con la prognosi. Un dato molto interessante emerso da questa analisi riguarda l’espressione di MET tumorale, iperespresso nel 40% dei campioni tissutali prelevati prima della terapia con sorafenib e in circa l’80% dei campioni prelevati successivamente, a indicare l’evolutività e la maggiore aggressività della malattia e l’importanza di procedere a biopsie anche ripetute in tempi diversi. MET tumorale ha confermato il ruolo prognostico e predittivo di efficacia di tivantinib ed è stata dimostrata statisticamente la correlazione tra tivantinib e MET tumorale in termini di sopravvivenza (Fig.2). Sono stati poi presentati i dati basali relativi all’analisi di MET tumorale in >1100 campioni tissutali relativi a circa 300 pazienti arruolati nello studio di fase 3 METIV-HCC (NCT01755767), ancora in corso e che ha l’obiettivo di confermare i risultati clinici dello studio di fase 2. Tali dati hanno confermato i risultati in termini di espressione di MET tumorale pre- e post-sorafenib e in 50 su 71 pazienti (70%) per i quali era disponibile un doppio prelievo di tessuto tumorale è stata documentata la conversione da bassa a alta espressione di MET (Fig.3). La correlazione tra terapia con sorafenib ed elevata espressione di MET è stata confermata statisticamente con p<0.0001. I risultati di questa analisi ampliano le conoscenze relative alla biologia dell’epatocarcinoma e pongono le basi per scelte terapeutiche personalizzate sulla base delle caratteristiche molecolari, che dovranno essere confermate dallo studio di fase 3. Progress & Perspectives New Era Opened Medical Oncology !-.$+))*.&' #),,*-0)).+$-0---0.),,*..,/+) $"( # #$#(#%--( !! ! !! !! New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives '%&) $"("# #" *$" !" $ "($&"#%#$ #"#$$"$$ )&%"#$!"$" ,+$!,($###-.-&'( '$ ( (#$"& *#$%) '.( $"+(!$+!$0 '.1&#!"%+(!$ !$01$$#'$ )&"#$ "$#$$#$"" *+$###)*--&*% %* #%$$"#$%) !"$ $ 2.% " %"- +(!$ " $0 1&"#%#$#%&$$"$$ ""#$!"$" # " $%( $#$$ "$"$"$) #" !$$#/!$*$ ""$$ !$$#'$#$ "$"'$ & ##$"#$" "," *!#%&$#$%) $ New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives $($)$"#( "&! !# " !! $%" !# !# # %&$"#( $'$($"#( #&" ! !!! !" New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 25 ASCO Abstract 4003. Phase III randomized study of sorafenib plus doxorubicin versus sorafenib in patients with advanced hepatocellular carcinoma (HCC): CALGB 80802 (Alliance). Ghassan K. Abou-Alfa, Donna Niedzwieski, Jennifer J. Knox, et al. Background: An exploratory analysis of a randomized phase II study in HCC comparing doxorubicin (D) alone to doxorubicin plus sorafenib (D+S) showed a significant improvement in overall survival favoring D+S (JAMA, 2011). The results appeared promising compared to the historic outcomes seen in the pivotal sorafenib (S) trials. CALGB 80802 was designed to determine if D+S improved survival compared to S alone. Methods: Patients with histologically proven advanced HCC, no prior systemic therapy and Child-Pugh A were randomized to receive D 60 mg/m2 every 21 days plus S 400 mg PO twice daily (D+S) or S alone. For bilirubin ≥ 1.3x normal, D and S doses were halved. D was maxed out at 360 mg/m2. The study was stratified by extent of disease (locally advanced; metastatic), the primary endpoint was overall survival (OS); and secondary endpoint progression-free survival (PFS). The final analysis was to occur when 364 events were observed among 480 total patients, with 90% power to detect a 37% increase in median OS (10.7 to 14.7 months; 1-sided α = 0.05). Results: The Alliance DSMB halted the study after accrual of 346 patients (173 on each of D+S and S) when a futility boundary was crossed at a planned interim analysis. With 107 events in each arm, median OS was 9.3 months (95%CI 7.1-12.9) for D+S, and 10.5 months (95% CI 7.4-14.3) for S with a hazard ratio (HR) 1.06 (95% CI 0.8- 1.4) for D+S vs. S. Median PFS was 3.6 (95% CI 2.84.6) and 3.2 months (95% CI 2.3-4.1), respectively (HR = 0.90, 95% CI 0.72-1.2). There were 38 deaths on treatment: 18 on D+S and 20 on S. Among these 8 [sepsis (1), dysphagia (1), pneumonia (1), cardiac (2), hepatic failure (2), and not otherwise specified (1)] on D+S, and 3 [fatigue (1), hepatic failure (1), and a secondary malignancy (1)] on S, were at least possibly related to treatment. A maximum grade 3 or 4 only hematologic adverse events (AE) occurred in 37.8% of patients on D+S and 8.1% of patients on S. Non-hematologic AEs were comparable, in 63.6% and 61.5% of patients, respectively. Conclusions: The addition of D to S resulted in higher toxicity and did not improve OS or PFS. The S median OS of about 10 months is consistent with previous reports. NCI Grant U10CA180821 Clinical trial information: NCT01015833 Commenti - Uno studio di fase 2 randomizzato, disegnato prima della registrazione di sorafenib e pubblicato su JAMA nel 2010, aveva documentato un vantaggio con l’associazione doxorubicina + sorafenib rispetto alla sola doxorubicina, chemioterapico in passato utilizzato nel trattamento dell’epatocarcinoma. In seguito alla pubblicazione dello studio SHARP (NEJM 2008) e alla registrazione di sorafenib quale trattamento standard per i pazienti affetti da epatocarcinoma in fase avanzata, ci si è chiesti se la doxorubicina potesse aggiungere un beneficio alla monoterapia con sorafenib o se il vantaggio osservato nel braccio di combinazione nello studio di fase 2 fosse dovuto unicamente all’impiego di sorafenib. Lo studio CALGB 80802 (Alliance), già presentato quest’anno ad ASCO GI, è uno studio di fase 3 randomizzato che ha confrontato sorafenib con l’associazione di sorafenib e doxorubicina, in pazienti affetti da epatocarcinoma in fase avanzata, non pretrattati con terapia sistemica e con funzione epatica ben conservata. Lo studio era stratificato per estensione di malattia localmente avanzata o metastatica, l’obiettivo primario era la sopravvivenza globale e tra gli obiettivi secondari vi erano la safety e altri endpoint di efficacia. Lo studio è stato interrotto per futility, alla quinta analisi ad interim, avendo arruolato 356 pazienti. Non è stato infatti osservato alcun vantaggio né in termini di sopravvivenza globale (Fig.1) né libera da progressione (Fig.2) con la terapia di combinazione rispetto alla monoterapia con sorafenib. Inoltre il braccio di combinazione sorafenib + doxorubicina si è dimostrato associato ad una maggiore incidenza di eventi avversi, come poteva essere atteso in pazienti con concomitante cirrosi, se pure ben compensata. Lo studio CALGB 80802 (Alliance), presentato in orale ad ASCO GI e ad ASCO, è uno studio metodologicamente ben disegnato, ben bilanciato nei due gruppi di trattamento e ben condotto ma ancora una volta negativo. Va infatti ad aggiungersi ai numerosi studi negativi pubblicati in questi anni, studi che in prima linea hanno confrontato sorafenib con nuovi farmaci (sunitinib, brivanib, linifanib) o con la combinazione di sorafenib e un altro agente biologico (erlotinib) o chemioterapico come in questo caso. N° 10 LUGLIO 2016 26 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives Oggi, dopo i molteplici studi condotti e con le nuove conoscenze acquisite sull’epatocarcinoma, il razionale di questo studio ci sembra forse superato e il suo fallimento, sia in termini di efficacia che di tollerabilità, in qualche modo atteso. Un aspetto positivo è rappresentato dalla sopravvivenza globale mediana di 10.5 mesi osservata nel braccio sorafenib e sovrapponibile a quanto documentato dallo studio SHARP a conferma dell’attività del farmaco. Inoltre, sono attesi i risultati di alcune analisi biologiche che potranno fornire dati interessanti dal punto di vista scientifico e conoscitivo della patologia. ASCO Abstract 4017. Phase III randomized study of second line ADI-peg 20 (A) plus best supportive care versus placebo (P) plus best supportive care in patients (pts) with advanced hepatocellular carcinoma (HCC). Ghassan K. Abou-Alfa, Shukui Qin, Baek-Yeol Ryoo, et al. Background: Arginine (Ar) depletion is a putative target in HCC, which lacks the citrulline (Ci) to Ar repleting enzyme argininosuccinate synthetase. A is an Ar degrading enzyme cloned from M. hominis and produced in E. coli and conjugated with polyethylene glycol. Methods: Pts with histologically proven advanced HCC and Child-Pugh (CP) up to B7 who failed or were intolerant to prior systemic therapy, were 2:1 randomized to A 18 mg/m2vs P IM injection weekly. The study was stratified by the combination of geographic region (Asia vs Other) and prior treatment status (sorafenib (S) vs other (O) failure). The primary endpoint was overall survival (OS) with secondary endpoints progression-free survival (PFS), safety and Ar and Ci levels correlatives. The study was planned for 422 A and 211 P, with 93% power to detect a 1.6 months (m) increase in median OS (4 to 5.6 m; 1-sided α = 0.025). Results: 635 pts were enrolled: median age 61, 82% male, 60% Asian, 52% hepatitis B, 26% hepatitis C, 13% alcohol and 7% NASH, 76% stage IV and 30% vascular invasion, CP A 90.6%, 70% progressed on S, 11.2% on O and 18.8% did not tolerate either. The mean number of doses was 14 for A and 17 for P. Median OS was 7.8 m for A vs 7.4 for P (p = 0.884, HR=1.022 (95% CI: 0.847, 1.233)) and median PFS 2.6 vs 2.6 (p = 0.075, HR=1.175 (95% CI: 0.964, 1.432)). The most common grade 3 and above AEs in both groups were fatigue (A: 1.9% and P: 3.3%), and decreased appetite (A: 1.9%, and P: 1.4%). Hypersensitivity reactions including anaphylaxis occurred in 2.1% pts on A. There were 15% deaths on A arm within 30 days of last dose vs 10.4% on P (progressive disease 83%, GI hemorrhage 8%, unknown/other 9%) Pts with Ar depletion for >8 weeks had a median OS of 12.3 m compared to 7.3 m (P = 0.0032) for ≤ 4 weeks. Similarly, pts with Ci increase for >8 weeks had a median OS of 11.6 m, compared to 3.5 m (P<0.0001) for ≤4 weeks. Conclusions: A did not demonstrate an OS benefit in the population of advanced HCC with failed prior systemic therapy. A was well tolerated. An OS benefit associated with prolonged Ar depletion was noted. Strategies to enhance prolonged arginine depletion and/or synergize the effect of A are underway Clinical trial information: NCT01287585 Commenti - Lo studio presentato in sessione orale è uno studio di fase 3 randomizzato 2:1 che ha confrontato ADI-PEG 20 per via intramuscolare rispetto a placebo in pazienti affetti da epatocarcinoma avanzato pretrattati con una linea di trattamento e con cirrosi epatica compensata. In seconda linea non New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 27 esiste ad oggi un trattamento standard e pertanto il placebo è il braccio di confronto adeguato. Nella fig.1 è rappresentato il meccanismo di azione di ADI-PEG 20 che spiega il razionale al suo utilizzo nell’epatocarcinoma. Lo studio era stratificato per regione geografica (Asia o altro) e per tipo di precedente trattamento (sorafenib o altro). L’obiettivo primario era la sopravvivenza globale mentre tra gli obiettivi secondari vi erano la sopravvivenza libera da progressione, la safety e correlati biologici. Sono stati arruolati 635 pazienti, di cui il 60% asiatici, il 52% con epatite B, il 70% in progressione a sorafenib, ben bilanciati nei due gruppi di trattamento. Lo studio è risultato negativo non documentando alcuna differenza in sopravvivenza globale (Fig.2), libera da malattia o in controllo di malattia nei due bracci di trattamento. Il farmaco è risultato ben tollerato. Un dato interessante è quello relativo ai pazienti con deplezione di arginina per >8 settimane, infatti in questi pazienti la sopravvivenza globale è stata di 12.3 mesi rispetto a 7.3 mesi nei pazienti con deplezione per <4 settimane. Allo stesso modo, i pazienti con incremento di citrullina per >8 settimane hanno avuto una sopravvivenza globale di 11.6 mesi rispetto a 3.5 mesi nei pazienti con incremento per <4 settimane. Entrambe queste differenze sono risultate altamente significative dal punto di vista statistico (Fig.3). Se da una parte questo studio va ad aggiungersi ad altri tre studi di fase 3 negativi in seconda linea (brivanib, everolimus, ramucirumab), dall’altra ci dà alcuni spunti interessanti per un potenziale sviluppo futuro di ADI-PEG 20 nei pazienti con deplezione di arginina e in pazienti non pretrattati con sorafenib. In quest’ultimo sottogruppo di pazienti si è vista infatti un’attività del farmaco se pur non statisticamente significativa e studi in linee cellulari di epatocarcinoma sembrerebbero orientare in questo senso. Non si può però non sottolineare che lo scenario del trattamento di seconda linea dell’epatocarcinoma cambierà a breve in quanto sappiamo dal comunicato stampa di Bayer di maggio 2016 che lo studio di fase 3 di seconda linea con regorafenib verso placebo è risultato positivo e i risultati saranno presentati a breve. Questo implica non solo che avremo una seconda linea standard per i pazienti in progressione a sorafenib (non per i pazienti intolleranti a sorafenib per il sovrapporsi almeno in parte della tossicità) ma anche che i nuovi studi di seconda linea non dovranno più confrontarsi con placebo ma con regorafenib. N° 10 LUGLIO 2016 28 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives ASCO Abstract 4012. Phase I/II safety and antitumor activity of nivolumab (nivo) in patients (pts) with advanced hepatocellular carcinoma (HCC): Interim analysis of the CheckMate-040 dose escalation study. Lorenza Rimassa, Giovanni Abbadessa, Nicola Personeni, et al. Background: For pts with advanced HCC on sorafenib (sor), overall survival (OS) is 11 mo; median OS with best supportive care (BSC) post-sor failure is 7–8 mo. Safety and preliminary antitumor efficacy of nivo, a fully human IgG4 mAb PD-1 inhibitor, was evaluated in a multiple ascending-dose, phase 1/2 study in pts with advanced HCC with clinical follow-up to 3 yrs. Methods: Pts had histologicallyconfirmed, advanced HCC, Child-Pugh (CP) score ≤ 7, and previously failed, refused, or were intolerant of sor. Dose escalation occurred in 3 parallel cohorts by etiology: no active hepatitis virus infection, HBV-infection, or HCV-infection. Pts received nivo 0.1– 10 mg/kg for up to 2 yrs. The primary endpoint was safety. Secondary endpoints included antitumor activity by RECIST 1.1 and DOR; exploratory endpoints included biomarker assessment. Results: 51 pts were enrolled and treated with nivo: baseline CP scores were 5 (n=44) or 6 (n=7), 76% had extrahepatic metastasis, 12% had vascular invasion, and 73% had prior sor. 10 pts remain on study; 41 discontinued, most (n=35) due to PD and 1 due to a treatmentrelated adverse event (TRAE) of ALT and AST increase. TRAEs occurred in 39 pts (77%); most common were rash and AST increase (20% each). Grade 3-4 TRAEs were seen in 10 pts (20%); most common were AST increase (10%), lipase and ALT increase (6% each). A maximum tolerated dose was not reached. Efficacy data are reported in the Table. 48 pts were evaluable for response. Responses were observed in pts with and without quantifiable PD-L1 as assessed by IHC. Antiviral responses in HCV-infected pts have been observed. Conclusions: Nivo was well tolerated with a manageable safety profile. Treatment produced durable responses and disease stabilization across all dose levels and cohorts. Reported OS rates were favorable relative to historical data for BSC. Clinical trial information: NCT01658878 Commenti: Quest’anno, in poster discussion, è stata presentata un’analisi ad interim relativa alla fase di dose escalation (0.1–10 mg/kg ev ogni 2 settimane) dello studio CheckMate-040, studio di fase 1/2 con nivolumab in pazienti con epatocarcinoma in fase avanzata, con funzione epatica conservata e con un follow-up fino a tre anni. Dati iniziali molto interessanti e promettenti erano stati presentati in sessione orale al meeting annuale ASCO 2015. Sono stati arruolati pazienti pretrattati con sorafenib o che avevano rifiutato il trattamento, trattati in tre coorti parallele in base all’eziologia della cirrosi (non infetti, HBV, HCV) con dosi incrementali di nivolumab per un massimo di due anni di trattamento. Gli endpoint dello studio comprendevano la safety, il controllo della malattia e l’analisi di biomarcatori. Sono stati trattati 48 pazienti, prevalentemente con malattia extraepatica (77%) e pesantemente pretrattati con terapia sistemica (73% sorafenib). Eventi avversi correlati al trattamento sono stati osservati nel 79% dei pazienti ma di grado 3-4 solo nel 25% dei pazienti e rappresentati soprattutto da incremento di transaminasi e lipasi, senza il raggiungimento della dose massima tollerata. La dose di 3 mg/kg è stata selezionata per la fase di espansione in tutte le coorti (Abstract 4078, presentato come poster a questo stesso meeting). Per quanto riguarda l’efficacia (Fig.1), è stato osservato un tasso di risposte del 15%, con 3 risposte complete, di cui una di durata >24 mesi, e 4 risposte parziali, dati questi che non siamo soliti vedere nei pazienti con epatocarcinoma avanzato. Le risposte sono state osservate precocemente (5 pazienti hanno risposto entro 3 mesi dall’inizio del trattamento) e indipendentemente dall’espressione di PD-L1 in immunoistochimica (IHC), presente nel 20% dei pazienti. Il tasso di controllo della malattia è stato del 65% e la sopravvivenza globale mediana di circa 15 mesi indipendentemente dal precedente trattamento con sorafenib (Fig.2). Da questa analisi emerge come vi sia sicuramente un sottogruppo di pazienti responsivi, non ampio numericamente ma con risposte decisamente interessanti e durature; ad oggi però non siamo in grado di identificare tali pazienti e la valutazione in IHC di PD-L1 non sembra avere un ruolo chiaro in questo senso. Le tossicità osservate sono quelle tipiche immuno-correlate, gestibili e reversibili, senza eventi inattesi. Infine, vi è il razionale per potere ottenere un maggiore beneficio dal doppio blocco immunologico con la combinazione di inibitori di due diversi checkpoint, e l’associazione nivolumab (anti-PD1) + New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 29 ipilimumab (anti-CTLA4) è già in studio anche nell’epatocarcinoma se pure con un rischio non trascurabile di tossicità correlato alla concomitante cirrosi. L’obiettivo futuro dovrà essere quello di identificare i pazienti che possano beneficiare maggiormente di un’immunoterapia in modo da evitare tossicità inutili ai pazienti non responsivi e da ottimizzare l’impiego delle risorse anche economiche. ASCO Abstract 109. FGFR pathway genetic aberrations in cholangiocarcinoma: Demographics and experience with targeted therapy. Apurva Jain, Rachna T. Shroff, Robin Kate Kelley, et al. Background: FGFR pathway genetic aberrations (GAs) occur in an estimated 10% of intrahepatic cholangiocarcinomas (IHCCA). The most common are FGFR2 mutations (mut). The advent of FGFR targeted inhibitors may alter the outcome of this disease subtype. The natural history of FGFR mutant CCA and prognostic role of coexisting mut is unknown. Methods: We reviewed the records of CCA patients (pts) with FGFR pathway GAs identified on next generation sequencing (NGS). Data reviewed included demographics, treatments, progression-free survival (PFS) with first-line chemotherapy, overall survival (OS) and mut data (Foundation Medicine or Institutional NGS). KM plots and log rank tests were used for statistical analysis. Results: A total of 54 pts with FGFR pathway GAs were identified from our database of 321 biliary cancer pts who had NGS. These included: 32 FGFR2 mut, which occurred almost exclusively in IHCCA (except 1 GB cancer pt). Of these, FGFR fusions occurred in 27. Most common FGFR fusion was FGFR2-BICC (n = 7). The median age of pts with FGFR pathway GAs was 55 years (range: 22 to 82), 33 (61%) were females, of which 9 were < 40 years of age. The median PFS with first-line gemcitabinebased therapy for pts with/ without FGFR pathway GAs was 34 weeks vs. 31 weeks, respectively (p = 0.98). Twenty pts received FGFR-directed small molecule inhibitors after failure of first-line chemotherapy. Majority received BGJ398 (n = 16). Pts with FGFR pathway GAs had a superior OS with FGFR targeted therapy as compared with those who received standard of care regimens (p = 0.010). Co-existing p53 (p = .025) and BAP1(p = .04) mut correlated with low OS despite FGFR targeted therapy. Conclusions: FGFR mutant CCA represents a unique subtype occurring more commonly in younger females. The response to first line chemotherapy is comparable to non-FGFR mut cohort. FGFR targeted therapy may offer OS benefit for this subgroup. Coexisting mut may have important prognostic implications for targeted therapy. Commenti: Questo studio, presentato oralmente nell’ambito di un “Clinical Science Symposium”, ha l’obiettivo di valutare la storia clinica di pazienti con colangiocarcinoma intraepatico con alterazioni genetiche nel pathway di FGFR, presenti nel 10% dei casi. L’alterazione più frequente è rappresentata dalla traslocazione di FGFR2 (gene di fusione) ma la storia naturale e il ruolo di eventuali ulteriori alterazioni genetiche non sono noti. La disponibilità di nuovi agenti inibitori di FGFR rende di grande importanza e attualità questo lavoro. Da un N° 10 LUGLIO 2016 30 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives database di 377 pazienti con tumori delle vie biliari valutati con next generation sequencing, sono stati identificati 95 pazienti con alterazioni genetiche nel pathway di FGFR, di cui 74 (77%) con alterazioni in FGFR2: 62 geni di fusione/traslocazioni, osservate quasi esclusivamente nelle forme intraepatiche (59), 1 amplificazione e 9 mutazioni. I pazienti con tali alterazioni sono risultati essere più frequentemente donne (61%) e giovani (<40 anni). Mentre in pazienti trattati con gemcitabina la presenza o meno di tali alterazioni non ha avuto impatto sulla sopravvivenza libera da progressione, nei pazienti trattati con inibitori di FGFR (piccole molecole) la sopravvivenza globale è risultata superiore in modo statisticamente significativo rispetto a quella dei pazienti trattati con terapie standard (Fig.1a-b-c). La coesistenza di altre mutazioni e in particolare di p53 è risultata invece correlata ad una peggiore sopravvivenza nonostante terapia con anti-FGFR (Fig.2). Quello che emerge da questo studio è che il colangiocarcinoma intraepatico con alterazioni nel gene per FGFR rappresenta un sottotipo unico di tale patologia, più comune nelle donne giovani, con un andamento clinico forse più indolente e che può trarre beneficio da un trattamento con anti-FGFR. La risposta alla chemioterapia non è invece influenzata dalla presenza di tale alterazione genetica e la coesistenza di altre mutazioni può avere rilevanti implicazioni prognostiche e in termini di risposta alla terapia “target”. Si apre quindi la possibilità di studi clinici, già in corso, che valutino l’efficacia e la tollerabilità di tali agenti e che abbiano una forte componente traslazionale che ci permetta di migliorare le conoscenze e quindi le opzioni terapeutiche per questa patologia. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 31 PANCREATIC CANCER FROM ASCO GI & ASCO MEETING 2016: WHAT’S NEW TOMORROW MORNING? Terapia di combinazione gemcitabina-capecitabina nel trattamento adiuvante del carcinoma del pancreas: analisi dei risultati dello studio ESPAC-4. Marco Puzzoni, Laura Demurtas, Valeria Pusceddu, Mario Scartozzi Oncologia Medica, AOU Cagliari e Università di Cagliari ASCO 2016 - Abstract 4006. ESPAC-4: A multicenter, international, open-label randomized controlled phase III trial of adjuvant combination chemotherapy of gemcitabine (GEM) and capecitabine (CAP) versus monotherapy gemcitabine in patients with resected pancreatic ductal adenocarcinoma. John P. Neoptolemos, et al. Background: The ESPAC-3 trial compared adjuvant GEM with 5-fluorouracil/folinic acid for resected pancreatic cancer. GEM is the standard of care based on similar survival and less toxicity. ESPAC-4 aimed to determine whether combination chemotherapy with GEM/CAP improved survival compared to GEM monotherapy. Methods: Patients with pancreatic ductal adenocarcinoma were randomized within 12 weeks of surgery (stratified for R0/R1 resection margin status and country) to have either six 4 week cycles of IV GEM alone or GEM with oral CAP. The primary endpoint was overall survival; secondary endpoints were toxicity, relapse free survival, 2 and 5 year survival and quality of life. 722 patients (480 expected events), 361 in each arm, were needed to detect a 10% difference in 2 year survival rates with 90% power (log-rank test with 5% two-sided alpha). Results: Between Nov 10 2008 and Sep 11 2014, 732 patients were randomized with 730 included in the full analysis set (366 GEM, 364 GEM/CAP). Median age was 65 years, 57% were men. WHO performance status was 0, 1 or 2 in 42% 55% and 3% respectively. Postoperative median CA19-9 was 19 kU/L. Median maximum tumor size was 30 mm, 60% were R1 resections, 80% were node positive and 40% were poorly differentiated. On Dec 11 2015 the Independent Trial Steering Committee requested that the trial proceed to full analysis. The data freeze was on March 2 2016. Median survival (months) for patients treated with GEM/CAP was 28.0 (95% CI, 23.5 – 31.5) and 25.5 (22.7 – 27.9) for GEM. Stratified log-rank analysis revealed an HR=0.82 [95% CI, 0.68 – 0.98]; χ2 (1) = 4.61, P=0.032. 196 out of 366 GEM patients in the safety set reported 481 grade 3/4 adverse events, while 226 out of 359 GEM/CAP patients reported 608 grade 3/4 adverse events (P=0.242). Conclusions: Adjuvant GEM/CAP for pancreatic cancer had a statistically significant improvement in survival compared to GEM monotherapy. Clinical trial information: ISRCTN96397434. N° 10 LUGLIO 2016 32 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives La sopravvivenza e lo scenario terapeutico nel paziente affetto da carcinoma del pancreas sono stati recentemente implementati dai risultati degli studi PRODIGE 4/ACCORD 11 e MPATC, con l’introduzione nella pratica clinica degli schemi FOLFIRINOX e gemcitabina-nab-paclitaxel in fase metastatica/localmente avanzata e dai risultati dello studio NAPOLI-1 con l’opzione in II linea della combinazione nal-IRI-fluoropirimidina (attualmente disponibile in Italia con richiesta per uso compassionevole) [1-3]. Per quanto riguarda la terapia adiuvante, le opzioni terapeutiche in questo setting sono la gemcitabina oppure la fluoropirimidina in monoterapia (efficacia equivalente alla gemcitabina ma gravata da una maggiore tossicità) in associazione ad eventuale trattamento radioterapico (attualmente non raccomandato come standard di trattamento in Europa); lo standard di riferimento è rappresentato dalla gemcitabina per 6 mesi di terapia. In occasione dell’ ASCO Annual Meeting 2016 J. Neoptolemos (University of Liverpool, Liverpool UK) ha presentato i risultati dello studio ESPAC-4, fase III, internazionale, randomizzato, aperto, multicentrico, finalizzato a valutare l’efficacia della doppietta gemcitabina-capecitabina rispetto alla sola gemcitabina nel paziente affetto da carcinoma del pancreas operato. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere, entro 12 settimane dall’intervento, 6 cicli di trattamento secondo schema standard gemcitabina 1000 mg/mq d1,8,15 q28 oppure la combinazione gemcitabina 1000 mg/mq d1,8,15 q28 - capecitabina 1660 mg/mq d1-21 q28. L’endpoint primario è la sopravvivenza globale, gli endpoint secondari la sopravvivenza libera da recidiva, la sopravvivenza a 2 e 5 anni e la qualità di vita. Dal Novembre 2008 al Settembre 2011 in totale sono stati arruolati 732 pazienti, età mediana 65 anni, 97% PS O-1, con un tasso di interessamento linfonodale del 40%, 60% resezioni R1. Il braccio gemcitabina-capecitabina ha raggiunto una sopravvivenza mediana di 28 (95% CI, 23,5 - 31,5) mesi vs 25 (22,7-27,9) mesi nel braccio di controllo (HR: 0,82 p:0,032) a fronte di 608 reazioni avverse di grado 3-4 nel braccio sperimentale e 481 nel braccio di controllo (p:0,0242), con maggiore incidenza di sindrome mano-piede, neutropenia e diarrea nel braccio sperimentale. Lo studio di Neoptolemos rappresenta l’evoluzione del filo conduttore che ha portato all’indicazione del trattamento adiuvante sistemico nel carcinoma del pancreas sulla base del vantaggio dimostrato dal trattamento chemio-radioterapico rispetto alla sola osservazione (GITSG) e del vantaggio in termini di sopravvivenza della chemioterapia con 5-FU (ESPAC-1) o gemcitabina (CONKO-001) rispetto alla sola osservazione, passando per lo studio di confronto tra 5-FU e gemcitabina (ESPAC-3) che ha evidenziato una sostanziale equivalenza in termini di efficacia a fronte di un migliore profilo di tossicità per la gemcitabina che per questo motivo è diventata lo standard di riferimento [4-7]. Si tratta di uno studio importante, di fase III, randomizzato, anche se in aperto, i cui risultati, d’altra parte, non sono ancora conclusivi, solamente il 69% del campione ha raggiunto i 24 mesi di follow up e le curve di sopravvivenza libera da recidiva non sono state presentate. I risultati finora presentati mostrano un vantaggio di 3 mesi in termini di overall survival nel braccio sperimentale, con una forbice che tende ad aprirsi tardivamente, nell’analisi per sottogruppi tale vantaggio risulta più marcato nel gruppo R0 piuttosto che negli R1 (HR:0,67 vs 0,90). Il tasso di sopravvivenza stimato a 5 anni, risulta quasi raddoppiato nel braccio sperimentale (28%vs 16,3%). Il risultato di 25 mesi di sopravvivenza nel braccio di controllo con gemcitabina è addirittura superiore alle aspettative (23 vs 23,6 mesi la sopravvivenza mediana nei due bracci 5-FU vs gemcitabina nell’ESPAC3 trial) [7] in una popolazione rappresentativa della realtà clinica, (età mediana 65 anni, 55% PS:1, 3% PS: 2, 60% resezioni R1, 80% interessamento linfonodale, 40% istotipo scarsamente differenziato), con New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 33 inclusione nel campione di pazienti in stadio III e con valori di CA19-9 elevati. L’incremento di tossicità, non statisticamente significativo, nel braccio sperimentale è dato perlopiù dalle tossicità peculiari della capecitabina e configura comunque un profilo di tossicità accettabile. I risultati dello studio ESPAC-4 finora disponibili sono molto suggestivi ma risultano inconclusivi, attendiamo pertanto la presentazione dei dati mancanti e del lavoro in extenso, in attesa dei quali non si possono trarre conclusioni riguardo l’applicazione nella pratica clinica. N° 10 LUGLIO 2016 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 34 Bibliografia 1. FOLFIRINOX versus gemcitabine for metastatic pancreatic cancer. Conroy T, Desseigne F, Ychou M et al. N Engl J Med 2011;364(19):1817-1825. 2. Increased survival in pancreatic cancer with nab-paclitaxel plus gemcitabine. Von Ho DD, Ervin T, Arena FP, et al. N Engl J Med. 2013 Oct 31;369(18):1691-703. 3. Nanoliposomal irinotecan with fluorouracil and folinic acid in metastatic pancreatic cancer after previous gemcitabinebased therapy (NAPOLI-1): a global, randomised, open-label, phase 3 trial. Wang-Gillam A, Li CP, Bodoky G et al. NAPOLI-1 Study Group. Lancet. 2016 Feb 6;387(10018):545-57. 4. Pancreatic Cancer. Adjuvant combined radiation and chemotherapy following curative resection. Kalser MH, Ellenberg SS. Arch Surg. 1985 ; 120:899-903. 5. A randomized trial of chemoradiotherapy and chemotherapy after resection of pancreatic cancer. Neoptolemos JP, Stocken DD, Friess H et al. N Engl J Med 2004; 350:1200–10. 6. CONKO-001: Final results of the randomized, prospective, multicenter phase III trial of adjuvant chemotherapy with gemcitabine vs. observation in patients with resected pancreatic cancer. Neuhaus P, Riess H, Post S et al. J Clin Oncol 2008;26:abstr LBA4504. 7. Effect of adjuvant chemotherapy with fluorouracil plus folinic acid or gemcitabine vs observation on survival in patients with resected periampullary adenocarcinoma: the ESPAC-3 periampullary cancer randomized trial. Neoptolemos JP, Moore MJ, Cox TF et al. JAMA 2012;308(2):147-156. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 35 NEWS & VIEWPOINT – Immunoterapia nel carcinoma gastrico: nuova frontiera o nuova illusione? Alessandro Inno Oncologia Medica, Cancer Care Center, Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Negrar (VR) L’entusiasmante rivoluzione dell’immunoterapia sembra essere finalmente alle porte anche per quanto riguarda il trattamento del carcinoma gastrico, per il quale ad oggi disponiamo di un armamentario terapeutico piuttosto limitato e la cui prognosi resta purtroppo deludente. Il razionale dell’immunoterapia ed in particolare degli immune checkpoint inhibitors in questo ambito è molto forte. Il carcinoma gastrico, infatti, è nella “top ten” dei tumori per carico mutazionale [1], con una prevalenza di mutazioni particolarmente elevata nel sottogruppo EBV-positivo e in quello con instabilità dei microsatelliti (rispettivamente circa il 9% e il 22% di tutti i tumori dello stomaco secondo la nuova classificazione molecolare di TCGA) [2]. Inoltre, l’iperespressione di PD-L1 è frequente in corso di infezione da Helicobacter pylori [3] e si osserva in circa il 40% dei tumori dello stomaco [4]. Queste considerazioni hanno costituito la premessa per gli studi con immune checkpoint inhibitors nel carcinoma gastrico. A tal proposito sono stati recentemente pubblicati su Lancet Oncology i risultati relativi alla coorte di pazienti con carcinoma gastrico trattati con l’anticorpo anti-PD1 pembrolizumab nell’ambito dello studio di fase 1b KEYNOTE012 [5]. In questo studio, i cui endpoints primari erano sicurezza e tollerabilità e il tasso di risposte, sono stati arruolati 39 pazienti (19 asiatici e 20 non asiatici) con carcinoma gastrico recidivo o metastatico PD-L1 positivo. Il profilo di tossicità di pembrolizumab è stato estremamente maneggevole, con eventi avversi di grado 3-4 osservati in circa il 10% dei pazienti, in linea con gli studi condotti con anticorpi anti-PD1 in altre neoplasie. L’attività di pembrolizumab in questo setting di pazienti per lo più pesantemente pretrattati (l’85% dei pazienti aveva ricevuto in precedenza almeno una linea di trattamento per malattia metastatica e circa il 60% aveva già ricevuto tre o più linee) si è dimostrata interessante: il 22% dei pazienti valutabili ha ottenuto una risposta parziale e il 53% una qualche riduzione del volume tumorale ma, soprattutto, come siamo ormai abituati a vedere in altri tumori con l’immunoterapia, le risposte sono state di lunga durata (durata mediana della risposta 40 settimane); la sopravvivenza mediana è stata di 11.4 mesi e il 42% dei pazienti risultava essere vivo a un anno. Sulla scorta di questi risultati incoraggianti, sono in corso numerosi trials clinici con immune checkpoint inhibitors sia in prima linea che nelle linee successive, che dovrebbero aiutarci a capire come collocare l’immunoterapia nella strategia complessiva di cura [6]. I risultati preliminari di alcuni di questi studi sono stati presentati all’ASCO Annual Meeting di quest’anno [7-9]. Ci stiamo dirigendo verso una nuova frontiera nel trattamento del carcinoma gastrico, o si tratta solo di una illusione? In realtà, nonostante l’attività incoraggiante di pembrolizumab, nel KEYNOTE-012 il 50% dei pazienti ha una progressione di malattia nei primi due mesi N° 10 LUGLIO 2016 36 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives di trattamento, il che vuol dire che l’immunoterapia funziona soltanto in una certa quota di pazienti. Il punto cruciale, quindi, nel carcinoma gastrico come in altre neoplasie, è riuscire a selezionare i pazienti responsivi all’immunoterapia mediante l’identificazione di biomarcatori predittivi. Come accennato prima, le neoplasie gastriche in cui l’immunoterapia potrebbe essere maggiormente efficace sono quelle con instabilità dei microsatelliti e quelle correlate a EBV, ma non ci sono al momento dati sufficienti in questi sottogruppi molecolari. Purtroppo nel KEYNOTE-012 i pazienti con instabilità dei microsatelliti nota erano solo quattro (e di questi due hanno risposto all’immunoterapia) e i dati relativi allo status di EBV non sono stati raccolti. Nel KEYNOTE-012 sembra che ci possa essere una correlazione tra risposta ed espressione di PD-L1 sulle cellule infiammatorie contigue al tumore, mentre non è stata riscontrata una associazione tra livello di espressione di PD-L1 nelle cellule tumorali e risposta al trattamento. Tuttavia, la valutazione dell’espressione di PD-L1 è estremamente complessa. I pazienti inclusi nel KEYNOTE-012 avevano tumori PD-L1 positivi (con positività definita come espressione di membrana di PD-L1 in almeno l’1% delle cellule tumorali o delle cellule infiammatorie contigue), e l’espressione di PD-L1 veniva valutata mediante un kit dedicato per lo studio clinico. I pazienti sono stati valutati anche mediante un altro kit (quello già approvato da FDA per l’eleggibilità al trattamento con pembrolizumab nel NSCLC metastatico), con cui ben 8 su 35 sono stati giudicati PD-L1 negativi. La mancanza di concordanza tra i due kit, che peraltro utilizzano lo stesso anticorpo, risiede probabilmente nell’eterogeneità di espressione di PD-L1 nell’ambito della stessa lesione tumorale e questo rende PD-L1 un biomarcatore poco affidabile nella selezione dei pazienti per l’immunoterapia, anche nel carcinoma gastrico. Probabilmente altri strumenti, come ad esempio una signature di sei geni correlati all’interferon-gamma identificata in pazienti con melanoma [10], se validati potrebbero forse in futuro rappresentare biomarcatori più idonei. In conclusione, i dati finora disponibili suggeriscono che l’immunoterapia possa rappresentare una nuova frontiera nella terapia del carcinoma gastrico, ma affinché non si trasformi in una nuova illusione bisognerebbe intensificare gli sforzi della ricerca, compresa la ricerca indipendente, nell’individuare strumenti adeguati per una corretta selezione dei pazienti. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 37 Bibliografia 1. Alexandrov LB, Nik-Zainal S, Wedge DC, et al. Signatures of mutational processes in human cancer. Nature 2013; 500:415-421. 2. Cancer Genome Atlas Research Network. Comprehensive molecular characterization of gastric adenocarcinoma. Nature 2014; 513:202-209. 3. Das S, Suarez G, Beswick EJ, et al. Expression of B7-H1 on gastric epithelial cells: its potential role in regulating T cells during Helicobacter pylori infection. J Immunol 2006; 176:3000-3009. 4. Kim JW, Nam KH, Ahn SH, et al. Prognostic implications of immunosuppressive protein expression in tumors as well as immune cell infiltration within the tumor microenvironment in gastric cancer. Gastric Cancer 2016; 19:42-52. 5. Muro K, Chung HC, Shankaran V, et al. Pembrolizumab for patients with PD-L1-positive advanced gastric cancer (KEYNOTE-012): a multicentre, open-label, phase 1b trial. Lancet Oncol 2016; 17:717-726. 6. Alsina M, Moehler M, Hierro C, et al. Immunotherapy for Gastric Cancer: A Focus on Immune Checkpoints. Target Oncol 2016, in press 7. Chung HC, Arkenau H, Wyrwicz L, et al. Avelumab (MSB0010718C; anti-PD-L1) in patients with advanced gastric or gastroesophageal junction cancer from JAVELIN solid tumor phase Ib trial: Analysis of safety and clinical activity. J Clin Oncol 2016; 34 (suppl): abstract 4009 8. Janjigian YY, Bendell JC, Calvo E, et al. CheckMate-032: Phase I/II, open-label study of safety and activity of nivolumab (nivo) alone or with ipilimumab (ipi) in advanced and metastatic (A/M) gastric cancer (GC). J Clin Oncol 2016; 34 (suppl): abstract 4010 9. Moehler M, Cho YJ, Kim YH, et al. A randomized, open-label, two-arm phase II trial comparing the efficacy of sequential ipilimumab (ipi) versus best supportive care (BSC) following first-line (1L) chemotherapy in patients with unresectable, locally advanced/metastatic (A/M) gastric or gastro-esophageal junction (G/GEJ) cancer. J Clin Oncol 2016; 34 (suppl): abstract 4011 10. Ribas A, Robert C, Hodi S, et al. Association of response to programmed death receptor 1 (PD-1) blockade with pembrolizumab (MK-3475) with an interferon-inflammator yimmune gene signature. Proc Am Soc Clin Oncol 2015; 33 (suppl): abstract 3001 N° 10 LUGLIO 2016 38 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives NEWS & VIEWPOINT – Il carcinoma del retto in risposta clinica completa (cCR) dopo trattamento neoadiuvante: quale spazio per la strategia wait-and-see? Monica Cattaneo, Nicoletta Pella, Giuseppe Aprile Dipartimento di Oncologia, Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine Introduzione L’attuale standard di trattamento per il carcinoma localmente avanzato del retto mediobasso (T3/T4 e/o N+) è rappresentato dalla radio-chemioterapia neoadiuvante seguita dall’intervento chirurgico radicale con l’escissione completa del mesoretto (total mesorectal excision, TME) e da una eventuale chemioterapia postoperatoria. Tale strategia consente di ottenere una significativa riduzione del tasso di recidiva locale (dal 50% al 4-22%), una ridotta tossicità gastrointestinale a breve e lungo termine (rispetto al trattamento postoperatorio) e la possibilità di preservare la funzionalità sfinterica in un numero maggiore di pazienti grazie al downsizing e al downstaging della neoplasia. Dopo il trattamento preoperatorio, nel 10%-30% dei casi si ottiene una risposta patologica completa (pCR), intesa come l’assenza di cellule tumorali residue all’esame istologico su campione operatorio. L’ottenere una pCR è un fattore prognostico favorevole: i pazienti con pCR hanno una maggior probabilità di sopravvivenza libera da recisiva a 5 anni (89% vs 65% nei pazienti senza pCR) e una inferiore chance di avere ripresa di malattia a distanza (7-10.5% vs 2631%) [1-6]. Un altro aspetto da considerare è la morbilità post-chirurgica, importante soprattutto per pazienti con neoplasia localizzata al retto inferiore. Leak anastomotico (10% circa), infezione perineale (35% circa), problemi di continenza fecale (35% circa), disfunzione urinaria (40% circa) e sessuale (30% circa nel sesso femminile, 45% circa in quello maschile) possono compromettere la qualità di vita dei pazienti sottoposti a resezione anteriore così come il confezionamento di una colostomia permanente nei casi sottoposti ad amputazione addomino-perineale. Questi elementi hanno portato a ragionare sulla possibilità vi fossero pazienti da non sottoporre a chirurgia dopo trattamento preoperatorio e come poterli selezionare [7-8]. Dati clinici a sostegno della strategia wait-and-see La prima indicazione ad adottare un protocollo wait-and-see risale ad uno studio brasiliano di Habr-Gama [9]. Dopo il trattamento preoperatorio, pazienti con cCR venivano esclusi dall’intervento chirurgico e sottoposti ad un intenso follow-up clinico e strumentale; i risultati in termini di overall survival e di disease-free survival a 5 anni (97% e 84% rispettivamente) nei 71 pazienti con cCR seguiti con osservazione erano sovrapponibili a quelli riportati in pazienti sottoposti a chirurgia invasiva che avevano ottenuto risposta completa patologica (p=0.09). Anche uno studio olandese condotto da Maas et al. confermava i soddisfacenti risultati di Habr-Gama, rilevando una disease-free survival New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 39 dell’89% e una overall survival del 100%, in assenza delle invalidanti sequele legate all’intervento chirurgico [10]. L’esperienza inglese ha confermato la ragionevolezza dell’approccio con uno studio non randomizzato basato su una analisi di coorte con propensity-score matched analysis: sebbene i pazienti con cCR non sottoposti a chirurgia riportassero recidiva locale nel 38% dei casi a 3 anni, quasi il 90% di questi poteva essere sottoposto a una chirurgia di salvataggio. Interessante notare che non si registravano differenze significative nel tasso di recidiva a distanza né in sopravvivenza overall (96% vs 87% time-varying p=0.024) tra chi era seguito con stretto follow-up e chi era sottoposto a chirurgia, con un deciso vantaggio per pazienti seguiti con wait-and-see in termini di sopravvivenza senza colostomia (74% vs 47%, HR 0.44, p<0.0001) [11]. Anche uno studio prospettico osservazionale danese va in questa direzione, dimostrando la sicurezza della strategia in una coorte di 40 pazienti che riportavano cCR dopo trattamento preoperatorio intensificato [12]. Criticità della strategia wait-and-see a) La definizione di cCR Uno dei problemi di questa strategia è che attualmente non esiste in letteratura un’univoca definizione di cCR: come riportato anche nell’educazionale dell’ASCO 2016 [13] alcune caratteristiche cliniche, endoscopiche e radiologiche devono essere soddisfatte per definire una cCR (vedi tabella). N° 10 LUGLIO 2016 40 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives Dovrebbero invece essere indicativi di una risposta clinica incompleta i seguenti segni di persistenza di malattia: qualunque ulcerazione residua profonda (con o senza centro necrotico) e superficiale, il riscontro di un nodulo palpabile all’esplorazione rettale anche se associato a completa integrità della mucosa, ed infine la presenza di stenosi che impedisca l’avanzamento del rettoscopio rigido durante l’esame endoscopico. Rimane da stabilire quale sia la metodica più affidabile per documentare la cCR dopo chemioradioterapia preoperatoria. Un'analisi critica al riguardo è stata condotta dal gruppo italiano di Maretto e coll. con il riscontro di falsi negativi dello 0% e falsi positivi del 69% nella ristadiazione condotta con esplorazione rettale e rettoscopia. Smith RK e coll. hanno incluso anche la valutazione ecoendoscopica, nonostante vi siano scetticismi relativi all'uso dell'EUS dopo chemio-radioterapia in quanto avrebbe un'accuratezza del 54% nella definizione del T e un valore predittivo negativo del 75% per il coinvolgimento linfonodale [14-17]. Anche l’interpretazione delle immagini ottenute con RMN, TC, ecografia endorettale e PET-TC risulta spesso difficoltosa dopo radio-chemioterapia neoadiuvante, a causa degli esiti infiammatori e fibrotici che ne derivano e che possono indurre a sovrastimare il quadro radiologico. Con particolare riferimento alla rivalutazione con RMN, una recente metanalisi che includeva 33 studi, la sensibilità media e la specificità nel predire lo stadio T risultavano del 50% e del 91% rispettivamente, e in un’analisi di sottogruppo la sensibilità e la specificità nell’identificare una malattia pT0 erano del 19% e del 94% rispettivamente, in relazione all’incapacità di distinguere in modo accurato la malattia residua dalla fibrosi [18]. Uno studio prospettico di Nahas , la definizione di cCR con l’impiego della RM prevedeva la riduzione della dimensione della neoplasia con un segnale omogeneo di bassa intensità nelle sequenze T2-pesate (indice di fibrosi) e l’assenza di coinvolgimento linfonodale e vascolare extramurale; il riscontro di qualsiasi nodulo con margini irregolari o di una disomogenea intensità di segnale era invece da attribuire alla presenza della neoplasia [6]. Anche la rivalutazione dello stato linfonodale è spesso inadeguata con le attuali indagini radiologiche, che tendono alla sottostadiazione di tale parametro. Diversi studi hanno infatti dimostrato che una percentuale variabile tra il 16% e il 28% dei pazienti che ottengono una cCR, presenta in realtà malattia a livello linfonodale, e che l’incidenza di tale reperto dipende dallo stadio T iniziale [19]. b) il ruolo della rebiopsia Rimane anche incerto il ruolo della rebiopsia: dallo studio di Habr-Gama non emerge l’indicazione all’esecuzione routinaria di prelievi bioptici in quanto, soprattutto nei casi con maggiore risposta e cospicua componente fibrotica, la quantità di tessuto prelevato potrebbe non essere sufficiente, ed un risultato negativo non consentirebbe comunque di escludere la presenza di malattia residua. Secondo quanto riportato da Maas et al. invece, un esito bioptico negativo costituiva uno dei criteri necessari per definire una risposta clinica completa [9,10]. c) La cCR predice pCR? Un’altra criticità è rappresentata dal grado di concordanza tra cCR e pCR. Gérard JP e coll. nella casistica del trial ACCORD 12/PRODIGE 2 hanno dimostrato esista una correlazione tra cCR e ypT0 (73%; p < 0.001), ypNO (92%) e negatività del margine circonferenziale (R0, 100%). Un'analisi retrospettiva di una serie di 545 casi in cCR dopo chemioradioterapia preoperatoria ha rilevato un 6% di localizzazioni linfonodali o depositi nel mesoretto dopo chirurgia. Inoltre, uno studio prospettico condotto presso l'Università di San Paolo del Brasile ha dimostrato che in 112 pazienti con adenocarcinoma rettale avviati a chirurgia radicale in quanto non avevano ottenuto cCR dopo chemio radioterapia, il 16% otteneva pCR, inducendo gli autori a definire bassa (18.2%) la sensibilità globale degli strumenti diagnostici utilizzati (esplorazione rettale, rettoscopia e MRI) [6,20,21]. Come riportato in una recente metanalisi di Li e New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 41 colleghi [18], dopo trattamento neoadiuvante, più del 7% dei pazienti con pCR poteva avere avuto una risposta clinica incompleta dovuta alla presenza di ulcere, mentre da uno studio di Guillem et al. è emersa l’inadeguatezza dell’esplorazione rettale nel valutare l’entità della risposta tumorale con un 21% di pCR non correlate alla risposta clinica [22]. Significativa la conclusione di una revisione condotta sulla casistica del MSKCC: Hiotis e coll. hanno rilevato un valore predittivo tale dell’esame clinico rispetto alla pCR da indurre a estrema cautela nell’interpretazione e successiva strategia terapeutica [23]. d) dopo quanto tempo valutare la cCR? Un altro aspetto critico è l’intervallo di tempo tra il trattamento neoadiuvante e la rivalutazione di malattia: in base all’assunto che la risposta del tumore sia tempo-dipendente, aumentando tale intervallo migliorerebbe il tasso di pCR e probabilmente anche di cCR. Nella metanalisi di Li, l’intervallo ottimale per poter identificare una cCR risulterebbe compreso tra le 8 e le 11 settimane, nonostante l’eterogeneità e la difficile comparabilità degli studi esaminati dove il timing della rivalutazione variava dalle 6 alle 24 settimane. Nonostante il follow-up sia stato condotto con modalità e tempi diversi, dal confronto tra i vari studi esaminati nella metanalisi di Li, emergono simili risultati in termini di rischio di metastasi a distanza, di DFS e di OS tra il gruppo di pazienti trattato chirurgicamente e quello dei pazienti sottoposti alla sola osservazione, con un incremento però del rischio di recidiva locale in questi ultimi. Conclusioni In conclusione, la strategia dell’approccio wait-and-see è decisamente interessante per pazienti con cCR al trattamento neoadiuvante: è sostenuta da dati (retrospettivi) favorevoli, da una possibilità di chirurgia di salvataggio in caso di recidiva locale ben documentata e associata ad una migliore qualità di vita nei pazienti non sottoposti a chirurgia pelvica [24]; ciò risulta di particolare interesse soprattutto per soggetti anziani o con comorbidità significative. Tuttavia, la applicabilità clinica di questa strategia rimane ad oggi ristretta. Il fatto che non sia stato completato nessuno studio prospettico randomizzato, che l’esperienza si fondi su casistiche retrospettive (che includevano pazienti con differenti stadi alla diagnosi e prevedevano differenti schemi di radio- e chemioterapia) e che non esistano indicazioni per la selezione dei pazienti e per modalità e tempistiche del successivo follow-up, sono tutti elementi che contribuiscono a limitare l’evidenza di questo tipo di trattamento. Certamente, quindi, l’approccio wait-and-see rimane oggi una strategia personalizzata da discutere con il paziente che ottiene una remissione clinica completa dopo chemioradioterapia preoperatoria. Non si può tuttavia escludere che, incrementando la probabilità di ottenere una cCR e di correlarla alla risposta patologica completa attraverso il progressivo affinamento delle indagini diagnostiche, l’approccio di sorveglianza attenta possa diventare un trattamento ancora più sicuro e convincente, da impiegare nella futura pratica clinica. Nel frattempo, gli studi clinici randomizzati OPRA trial (NCI trial registration NCT02008656) e lo studio Italiano RESEARCH (Rectal Sparing Approach after preoperative radio and/or chemotherapy in patients with rectal cancer) cercheranno di dare una risposta all’importante quesito clinico. N° 10 LUGLIO 2016 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 42 Bibliografia 1. Sauer R, Becker H, Hohenberger et al. Preoperative versus postoperative chemoradiotherapy for rectal cancer. N Engl J Med 2004;351:1731–1740 2. Sauer R, Liersh T, Merkel S, et al. 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Fausto Petrelli e Sandro Barni ASST Bergamo ovest, Treviglio (BG) Il trattamento del carcinoma gastrico avanzato, ha beneficiato negli anni di limitate innovazioni per quanto riguarda la terapia medica di prima linea ad eccezione della malattia HER2+, e un modesto beneficio con le terapie di seconda linea, con l’aggiunta di farmaci biologici (es. ramucirumab). Aspettando i primi promettenti dati delle nuove targeted therapies, la chemioterapia palliativa rappresenta ancora oggi lo standard di cura con doppiette (o triplette) platino + fluoropirimidine-based, ottenendo mediane di sopravvivenza che si aggirano intorno ai 9-12 mesi. Anche negli anni recenti, trattamenti loco regionali (chirurgici e non) nella malattia avanzata gastrica non hanno dimostrato vantaggi sostanziali, se non nelle esperienze pubblicate (per lo più Giapponesi) con la chemio ipertermia intraperitoneale nell’approccio integrato della carcinosi peritoneale che non rappresenta tuttavia ancora uno standard di cura riconosciuto in occidente [1], per casi sporadici di chirurgia estesa del tumore primitivo in presenza di metastasi a distanza (con un possibile significato palliativo ma con un incerto vantaggio sull’outcome) [2]. Ciononostante la chirurgia delle metastasi sta prendendo piede anche in gruppi cooperativi occidentali [3], e casistiche monocentriche di varie istituzioni hanno evidenziato come pazienti selezionati con malattia oligometastatica epatica possano essere trattati in maniera radicale e curativa, con chirurgia maggiore o minore del fegato. La reale novità è che tali pazienti, sottoposti a resezione R0 di un numero limitato di metastasi epatiche (in genere 1-3), di piccole dimensioni, possano essere lungo sopravviventi a 5 anni. Da questo razionale è derivata un’analisi sistematica della letteratura eseguita dal nostro gruppo e pubblicata nel 2015, su 23 casistiche retrospettive pubblicate in letteratura prevalentemente da autori asiatici [4]. In tale meta-analisi evidenziavamo come tra gli 870 pazienti analizzati, la sopravvivenza mediana globale era di 22 mesi, quindi quasi il doppio e oltre della storiche casistiche di chemioterapia con farmaci attuali. La sopravvivenza a 5 anni era del 23.8% (30 e 22.5% rispettivamente per i casi metacroni e sincroni rispettivamente), e simile a quella ottenuta storicamente con la chirurgia delle metastasi epatiche inizialmente inoperabili da tumore del colon. Tra i fattori prognostici associati a migliore sopravvivenza vi erano il numero limitato di metastasi (lesioni singole) e le dimensioni (in genere <4-6 cm.). Da questa analisi emerge come una corretta selezione del paziente possa portare a guarigione circa 1 soggetto su 4 a 5 anni, e questo molto probabilmente si associa a guarigione pressoché definitiva. Ma qual è la reale differenza biologica del cancro gastrico rispetto al cancro del colon dove di fatto la chirurgia delle metastasi epatiche (upfront o dopo conversione) è uno standard di cura? L’adenocarcinoma gastrico raramente metastatizza in un unico organo o con singola lesione metastatica. Per lo più, invece, la diffusione è sia ematogena (visceri) che linfatica o New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 45 celomatica (linfonodi o peritoneo), rendendo di fatto non oncologicamente indicato e curativo un qualsiasi trattamento loco regionale su singola recidiva, ad eccezione di quelli a finalità palliativa (stenosi o sanguinamento). Questo concetto è stato messo in evidenza molto bene da autori giapponesi che hanno confrontato 2 pari casistiche chirurgiche di tumori gastrici e colon rettali [5]. Ebbene, nella stragrande maggioranza dei casi la recidiva nel carcinoma gastrico anche dopo chirurgia delle metastasi epatiche era multidistrettuale e quasi mai re-approcciabile chirurgicamente. Cosa che invece avveniva più di frequente nei pazienti con carcinoma del colon. La sopravvivenza era ovviamente inferiore per le neoplasie gastriche rispetto alle coliche, e ciò deriva quindi da un comportamento biologico completamente diverso, dove anche l’istologia (intestinale vs diffusa) sembra contare [6]. Ma quale è la magnitudo del vantaggio in sopravvivenza ottenibile con una chirurgia R0 di una o più metastasi epatiche nel carcinoma gastrico? Ed essa è clinicamente significativa? Data la mancanza di studi prospettici al riguardo (ma il GIRCG sta disegnando al riguardo uno studio in tal senso) una meta-analisi di studi retrospettivi sembra l’unico modo per avere un dato aggregato di sopravvivenza in merito con l’associazione della chirurgia epatica. Una revisione sistematica di 39 studi pubblicati tra il 1990 e il 2015 e pubblicata nei mesi scorsi ci viene in aiuto [7]. A fronte di una mortalità assente, la sopravvivenza (aggregata) a 1,3 e 5 anni è stata del 68, 31 e 27% rispettivamente, con una migliore performance, come atteso, degli studi Asiatici. Globalmente in 9 studi che riportavano tale dato, la riduzione del rischio di morte è stata del 50% (HR=0.5, 95%CI 0.41-0.61; P<0.001). Globalmente inoltre il dato a 5 anni era a favore della resezione di metastasi solitarie vs multiple (riduzione del rischio del 70%) ma non peggiore per le metastasi metacrone vs sincrone (P non significativa), anche se il dato è stato in questi 2 casi era di fatto limitato dal numero basso di pubblicazioni (7 studi solamente riportavano l’informazione). I fattori prognostici più riportati dai vari autori erano la radicalità chirurgica (se resezione deve essere R0 altrimenti meglio non resecare!) e lo stato del T. A questo riguardo è molto importante il dato pubblicato dal gruppo di Tiberio e collaboratori [8] sull’influenza prognostica del T e della chemioterapia. In particolare in una coorte di 105 pazienti trattati, fattori come la chemioterapia “adiuvante”, lo stadio di T<4, la metacronicità e la radicalità della chirurgia (R0) sono risultati essere associati a miglior sopravvivenza. In particolare i casi sincroni, T<4 e R0 hanno ottenuto un outcome nettamente migliore (da 35 a 8 mesi con nessuno e tutti e 2 i suddetti fattori di rischio!). In tutti questi casi selezionati, tuttavia, va sempre effettuata una discussione multidisciplinare mettendo il paziente al centro dell’attenzione e della scelta. Ricordandoci che oggi abbiamo nuovi trattamenti locali e forse di pari efficacia, oltre che tecniche chirurgiche mini invasive (laparoscopiche), tutto il ventaglio terapeutico va potenzialmente offerto a seconda del caso (sede, PS, operabilità medica e chirurgica). Un’attenta stadiazione della malattia extraepatica e del tumore primitivo (se in sede) vanno accuratamente eseguite per escludere tumori non resecabili (T4) e carcinosi peritoneale. Nella meta-analisi di Markar, i casi più frequenti erano di lesioni singole, a sede unilobari e sottoposte a epatectomie minori (62, 75 e 71%) e questi dovrebbero essere i casi potenzialmente indirizzati a chirurgia, siano essi sincroni o metacroni. Da queste analisi si deduce come alcune raccomandazioni siano da suggerire prima di considerare una approccio chirurgico delle metastasi epatiche da cancro gastrico nel singolo paziente: 1) la chirurgia deve essere necessariamente radicale. Se ne deduce che nei casi non resecabili all’esordio (per numero e/o sede) una chemioterapia di conversione deve essere pianificata prima della chirurgia; 2) la chemioterapia perioperatoria è sempre indicata, perché sembra essere associata ad un miglior outcome. Possono rappresentare un eccezione, a nostro avviso, i casi di riscontro occasionale di metastasi al fegato, dove nel N° 10 LUGLIO 2016 46 New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives caso di cancro primitivo operabile, il riscontro di lesione/i epatiche quindi è risultato intraoperatoriamente incidentale; 3) le metastasi metacrone, comparse durante il follow up (almeno 1-2 anni dalla diagnosi?), potrebbero essere trattate da subito con la chirurgia (se fattibile) o con altro trattamento locoregionale (RF? SBRT?), ma deve essere sempre offerta, a seguire, la terapia sistemica anche se il paziente è NED; 4) va sottolineato infine che solo se il tumore primitivo è resecabile R0, non è un cT4, e non vi è carcinosi peritoneale, allora la chirurgia di eventuali metastasi al fegato può essere per lo meno discussa dal team multidisciplinare. La laparoscopia esplorativa può essere dirimente per confermare l’operabilità del paziente, che una chemioterapia perioperatoria rispetto all’adiuvante andrebbe sempre offerta anche per selezionare i casi di rapida progressione, e che l’istologia diffusa sembra avere un ruolo prognostico indipendente da stadio, grado e altre variabili e sembra andare peggio di quella intestinale da una meta-analisi di 73 studi pubblicati [Petrelli F. et al, submitted], il trattamento del cancro gastrico avanzato sembra oggi essere in parte cambiato, con un approccio integrato talvolta potenzialmente curativo in una fetta di pazienti selezionati e con malattia oligometastatica epatica. Rimane ancora da capire come la nuova classificazione molecolare e le nuove immunoterapie possano cambiare la storia naturale di una malattia fino ad oggi inesorabile. New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives 47 Bibliografia 1. Coccolini F, Cotte E, Glehen O, Lotti M et al. 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