INTERNAZIONALIZZAZIONE: DALLA FUGA DI CERVELLI ALLE

Transcript

INTERNAZIONALIZZAZIONE: DALLA FUGA DI CERVELLI ALLE
INTERNAZIONALIZZAZIONE: DALLA FUGA DI CERVELLI ALLE
PROSPETTIVE OLTRECONFINE DELLE IMPRESE
Introduzione
di Manuel Diana
Il presente lavoro ha lo scopo di illustrare in che modo imprese e lavoratori hanno la
possibilità di guardare al di fuori dai confini nazionali, ma senza l’obiettivo di andarsene per
non tornare.
Se un tempo approcciare ai mercati internazionali voleva dire mettere in una valigia i propri
averi, le proprie ambizioni e le speranze, negli ultimi tempi si sta diffondendo una pratica del
tutto inusuale per il nostro paese: l’internazionalizzazione. Con tale termine si vuol indicare
quel processo attraverso il quale si mettono in atto strategie per abbattere i confini, ampliare la
propria visione, non limitarsi alla domanda e all’offerta dell’area geografica di riferimento.
Partendo da questi presupposti, l’elaborato vuole spiegare in maniera semplice e
comprensibile cosa vuol dire per un’azienda “internazionalizzare” e cosa implica un
abbattimento delle barriere per chi è alla ricerca di opportunità di lavoro.
In questa ottica la chiave di lettura può essere ritrovata nelle opportunità offerte da un mercato
globale e globalizzato che, anche grazie al sempre maggiore ricorso e affidamento alla
tecnologia, non ha più barriere geografiche, bensì trova nei paesi terzi uno spunto per
aumentare il proprio prodotto interno. Se internazionalizzare vuole dire trovare la forza e il
coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo, o per meglio dire investire per andare oltralpe, alla
stessa stregua orientarsi verso i mercati internazionali vuole dire sfruttare una domanda a
livello internazionale, pur rimanendo legati al propria base. Il minimo comun denominatore in
questa visione è il cambiamento radicale rispetto al passato.
Se un tempo le imprese delocalizzavano la produzione per avere vantaggi in termini di minore
costo del personale e una sostanziale riduzione della pressione fiscale, ad oggi si tende ad
orientarsi
verso l’incremento del risultato finale, derivante da una crescita dei ricavi.
L’internazionalizzazione non deve dunque essere considerata solo in termini di aumento del
fatturato proveniente dall’export, difatti a sommarsi a tale fattore c’è la possibilità per
l’impresa di ricorrere alle importazioni. Internazionalizzare per l’impresa «vuol dire che
l’impresa diventa in qualche modo “internazionale” perché: vende i suoi prodotti all’estero,
acquista da fornitori esteri, produce o trova le sue fonti di finanziamento all’estero. Una
componente “estera” entra dunque in azienda».
Allo stesso modo, vedremo come le nuove strategie messe in atto per rendere il mercato più
fluido abbiano avuto ripercussioni anche dal punto di vista del comparto delle risorse umane:
se in passato infatti si denunciava il fenomeno della “fuga dei cervelli” come una delle piaghe
dell’economia
globalizzata,
attraverso
le
dinamiche
alla
base
del
processo
di
internazionalizzazione si assiste ad una significativa inversione di rotta, facendo in modo che
le capacità e le competenze del singolo, accresciute attraverso la formazione finanziata
all’estero, vengano spese in patria ed impiegate a favore dello sviluppo dell’economia
nazionale.
In un mercato globale in continuo mutamento, la dinamicità intellettuale ed operativa
rappresenta la chiave di volta per non rimanere chiusi nel proprio sistema. Se questa sembra
essere l’unica via di uscita da un mercato nazionale di dimensioni contenute, in cui regna la
stagnazione e dall’assenza di prospettive, occorre quindi conoscere i rischi e valutare le
opportunità derivanti dall’approccio sui mercati internazionali del made in Italy.
Internazionalizzazione: la sfida delle piccole medie imprese
di Pier Armando D’Amico
Il
concetto
di
internazionalizzazione
presenta
diverse
possibili
interpretazioni.
Secondo alcuni sono internazionalizzate quelle imprese che vendono sui mercati esteri, a
prescindere dalla modalità con cui viene raggiunta la clientela, secondo altri, al contrario,
un'impresa è realmente internazionalizzata solo se opera con proprie unità produttive e di
vendita all'estero.
In realtà esistono diversi gradi di internazionalizzazione, a seconda della numerosità e
l'intensità dei rapporti che l'impresa intrattiene con i suoi principali interlocutori
internazionali. Mercati prossimi alla saturazione spingono gli imprenditori ad avviare o a
proseguire i processi di internazionalizzazione delle proprie imprese, sfruttando la crescente
liberalizzazione per accedere a nuove opportunità di business all'estero.
Quando si parla di internazionalizzazione si fa riferimento allo sviluppo di un sistema in grado
di favorire gli scambi con l'estero cercando nuovi sbocchi per le attività di tipo commerciale,
economico e produttivo. Nella maggior parte dei casi la spinta più forte verso
l'internazionalizzazione delle imprese è il rallentamento della domanda nel mercato
domestico, e parimenti per un'impresa già internazionale la spinta verso nuovi mercati è il
rallentamento della crescita in quelli in cui l'impresa è già presente.
Esistono poi altre motivazioni che spingono un’impresa a ricorrere a strategie di
internazionalizzazione, alcune legate alla situazione interna, come la crescita della
concorrenza, altre connesse a fattori inerenti l'impresa stessa, come la necessità di ridurre la
dipendenza da un unico mercato; altre ancora infine derivano dalle opportunità di guadagno
che si vengono a creare nei mercati esteri, che spesso diventano la molla decisiva per dare
inizio al processo di internazionalizzazione delle imprese.
A fronte delle opportunità e dei vantaggi dell'internazionalizzazione, l'impresa deve affrontare
una serie di rischi aggiuntivi:
1. Rischio paese: operando all'estero, l'impresa è sottoposta alle leggi del paese straniero
con la possibilità di subire delle perdite economiche a causa di eventi non sotto il
controllo dell'azienda.
2. Rischio monetario: l'impresa che opera oltre confine, può trovarsi di fronte al rischio
di riduzione di valore della transazione dovuta alla svalutazione della moneta rispetto
all'estero. Ciò può avvenire in presenza di dilazioni di pagamento significative, poiché
il prezzo e la moneta in cui dovrà avvenire il pagamento sono stabiliti al momento
della stipulazione del contratto internazionale.
3. Rischio tecnico: il prodotto non soddisfa le normative tecniche locali del paese estero.
4. Rischio giuridico: possibilità d'incorrere in liti giudiziarie, per una mancata o non
approfondita conoscenza della differente legislazione riguardante ad esempio i
contratti.
Certamente
le
PMI,
soprattutto
le
più
attente,
hanno
ormai
compreso
che
l’internazionalizzazione è un ingrediente imprescindibile per la sopravvivenza anche se,
inizialmente, per alcune andare all’estero è stata una necessità spinta dal calo del mercato
domestico.
I risultati della ricerca condotta da A+Network, alla quale probabilmente hanno risposto PMI
già attente ai temi legati all'internazionalizzazione, confermano una presenza attiva in diversi
mercati esteri ( più del 63% opera con continuità sui mercati esteri ed un altro 20% circa lo fa
saltuariamente).
Gli ostacoli all'internazionalizzazione che le PMI individuano sono innanzitutto di natura
esterna: “la difficoltà ad accedere al credito / a trovare finanziamenti”, “il poco supporto delle
istituzioni” e, quasi con la stessa percentuale (più del 40%) sono legati alla “dimensione
aziendale”, come vincolo oggettivo che influenza l'accesso al credito, le competenze
manageriali disponibili, ecc.
Mentre emerge in misura minore la consapevolezza di proprie carenze di approccio
all'internazionalizzazione: come lo studio dei potenziali mercati di sbocco, una visione più
strategica e di lungo termine relativa al proprio posizionamento e alla penetrazione del
mercato, la ricerca di partner adeguati / potenziali (locali e non ), lo sviluppo delle capacità
manageriali, ecc.
Dalla ricerca citata emerge inoltre che le PMI hanno ancora una visione “interna” dei loro
aspetti distintivi (quello che io penso mi distingua), rispetto ad una “visione esterna” (quello
che il mercato dice che mi differenzia). Vengono, infatti, indicati come prioritari “le
competenze delle persone”, “la serietà / il rispetto degli accordi”, “la qualità dei prodotti /
servizi”, tutti con valori di frequenza superiori al 50%.
Per quanto riguarda invece i principali aspetti competitivi della concorrenza, si evidenzia una
visione troppo “semplicistica”: indicare la concorrenza sul prezzo come aspetto prioritario
dimostra la fragilità dell'approccio della PMI italiana, che punta su relazioni deboli con il
mercato.
Infatti le resistenze, citate dalle aziende, al cambiamento necessario nel percorso di
internazionalizzazione dimostrano i limiti attuali della PMI: orizzonti troppo ristretti rispetto
agli investimenti necessari e poca capacità di uscire dal “giorno per giorno” (si fa sempre
tattica, si corre sul quotidiano e non si ha tempo di fare strategia).
Le PMI per vincere la sfida internazionale devono quindi:
-
Sviluppare una strategia di medio / lungo termine. Le PMI predisposte
all'internazionalizzazione sono la minoranza, perché in poche si sono poste il problema
in modo strutturato. Occorre una strategia di posizionamento sullo specifico mercato,
evitando il “mordi e fuggi”.
-
Capire i mercati e conoscere meglio i paesi in cui si vuole operare. Bisogna
approfondire i mercati, la cultura, le norme, i rapporti sociali, le esigenze, i prodotti
adeguati, ecc.
-
Dotarsi di una struttura di management adeguata. “L'imprenditore non può fare tutto”;
per competere occorre un'organizzazione con nuove funzioni strategiche.
-
Cercare canali sui finanziamenti delle banche e aiuti sulla fiscalità / tassazione delle
istituzioni.
Il quadro macro-economico italiano presenta alcuni elementi di forte preoccupazione, fra i
quali
spiccano
il
significativo
peggioramento
del
divario
nord-sud,
evidenziato
dall’arretramento del sistema produttivo e dei consumi del mezzogiorno, ed il rischio di un
generale e persistente declino, risultato del lungo ristagno post-crisi e della mancanza di validi
incentivi al rilancio della produzione e della produttività. In considerazione di quanto detto, le
esportazioni rischiano quindi di non rappresentare più quel fattore di trascinamento avuto altre
volte in passato.
All’interno della situazione presentata prende dunque sempre più corpo la tesi di un definitivo
tramonto del modello “piccolo è bello”, di fronte alla forza competitiva di sistemi economici
ed industriali che si muovono in maggiore sintonia del nostro tra istituzioni pubbliche ed
imprese private e che riguardano non soltanto le economie emergenti, ma anche gli stessi
paesi europei più avanzati e gli Stati Uniti, con le loro strategie di reazione alla crisi, volte ad
aumentare la loro capacità di penetrazione sui mercati esteri. Solo il 12% delle imprese con
meno di 10 addetti esporta, contro il 46% delle imprese della classe da 10 a 19 addetti.
In Italia le imprese industriali esportatrici sono 94mila su un universo di 460mila (20% del
totale). La propensione all'esportazione del settore industriale, pur significativa, resta inferiore
a quella di altri paesi europei, accollando alle imprese italiane il rischio rappresentato da
un'eccessiva concentrazione delle vendite sul solo mercato nazionale. Lo stesso dato emerge
anche presso le imprese medio-grandi, per le quali le esportazioni restano inferiori al 40%
delle vendite. La metà del fatturato estero (145 miliardi di Euro) è opera di circa 1.300
imprese con oltre 250 addetti.
In generale le imprese esportatrici, rispetto a quelle non esportatrici, hanno, in media, un numero di
addetti maggiore e una più alta produttività del lavoro, investono di più e producono
complessivamente maggiori profitti. Ciò vale per tutte le classi dimensionali, dalle piccolissime alle
grandi.
La dimensione aziendale è di gran lunga considerata il primo fattore di difficoltà (25% del
totale) nell'approcciare i mercati esteri denunciato dalle imprese intervistate.
La piccolissima impresa, fino a 9 addetti, e, in qualche misura, la classe successiva, da 10 a
49, risultano fortemente specializzate nei settori cosiddetti “tradizionali” (abbigliamento, pelli
e cuoio, calzature, articoli da viaggio e mobili), ma sono significativamente presenti anche
nella meccanica (macchine ed apparecchi meccanici), prodotti in metallo, etc., dove il
contenuto tecnologico è generalmente importante, ed in molti casi determinante, per competere adeguatamente sui mercati emergenti.
Resta invece debole il posizionamento nei settori “High Tech” ed in quelli ad elevate economie di scala, dove per altro la piccola dimensione non può che essere marginale per
definizione (si pensi, ad esempio, ai settori della chimica e della petrolchimica). Per la PMI ne
emerge un quadro caratterizzato da un netto dualismo: si è piccoli soprattutto nei settori
tradizionali, ove la concorrenza sempre più aspra richiederebbe invece dimensioni maggiori,
ma si può anche restare piccoli ed eccellere, in virtù della propria specializzazione e della
propria capacità competitiva, in settori più avanzati, dove la concorrenza si fa soprattutto sulla
qualità dei processi e sul grado di innovazione dei prodotti e non necessariamente solo sulla
dimensione d'impresa.
In termini di fatturato, il peso percentuale delle vendite all’estero nel primo paese di
esportazione è fortemente correlato al numero di dipendenti ed alla dimensione dell’impresa;
nelle aziende più piccole il primo paese arriva a pesare per una percentuale di anche 20 punti
superiore a quella delle imprese con oltre 250 dipendenti. Ciò conferma come la grande
dimensione favorisca una maggiore diversificazione dei mercati di sbocco e migliore
distribuzione del rischio in caso di crisi.
Da non dimenticare anche che oltre la metà delle PMI operano all’estero con una sola linea di
prodotti.
Secondo i risultati di alcune indagini dirette gli intervistati parlano di iniziative autonome,
ovvero il passaparola tra imprese, la ricerca diretta su internet, la partecipazione a fiere di
settore, mentre il ricorso a soggetti esterni, quali società di consulenza, istituzioni
specializzate pubbliche o private, etc., appare ancora limitato, conseguenza, forse, dell’innata
tendenza a “fare da sé”, ma anche della diffidenza verso le istituzioni pubbliche di settore,
come ICE, SACE, etc., o più semplicemente della scarsa conoscenza di iniziative e servizi
disponibili sul mercato.
Le PMI: strumenti e politiche europee e nazionali di finanziamento e diminuzione del
rischio
di Giada Giacomini
L'internazionalizzazione è un fenomeno contemporaneo che sta interessando da molto vicino
la maggioranza delle imprese, incluse quelle di piccola e media dimensione. La crescente
globalizzazione dei mercati rende necessario per ogni tipo di azienda il confrontarsi con
fenomeni quali la delocalizzazione produttiva e il ruolo sempre più importante delle
esportazioni e della ricerca di nuovi mercati di sbocco, con il fine di aumentare i margini di
profitto e di assicurarsi la competitività nei mercati globali.
Il fenomeno, di grande complessità e vastità, verrà analizzato in questa sede facendo
riferimento ai vantaggi e ai rischi per le imprese che derivano dall'internazionalizzazione, con
particolare attenzione al contesto regionale europeo e a quello nazionale e agli strumenti di
incentivazione all'internazionalizzazione.
La globalizzazione ha portato, da un lato, maggiore competitività in determinati settori ma,
dall'altra, ha reso possibile per le aziende di approfittare di minori costi delle materie prime e
dei fattori produttivi, insieme alla possibilità di accedere a nuovi mercati che altrimenti
sarebbero stati preclusi. L'internazionalizzazione diventa, in questo contesto, una strategia
fondamentale per il mantenimento o la conquista di nuove quote di mercato oppure per la
garanzia di bassi costi di produzione.
L'impresa internazionalizzata, quindi, si occupa di esportazioni, acquista i beni intermedi dei
propri processi produttivi da fornitori esteri, trova le sue fonti di finanziamento all'estero e
talvolta opera processi di delocalizzazione della sua filiera di produzione.
Negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2007, l'internazionalizzazione è diventata
ancora più importante ai fini del superamento della crisi stessa. I mercati esteri possono
essere, in questo senso, una vera opportunità, posto il rispetto di determinati criteri e
condizioni. Un'impresa che voglia esportare i suoi prodotti all'estero deve rispondere ad alcuni
requisiti fondamentali: solidità economico-finanziaria, prodotti adatti al mercato in cui si
vogliono esportare, prezzi competitivi, sistema di informazione efficiente, risorse e fattori
produttivi da investire. Infine, non è da sottovalutare l'affidabilità della controparte estera, al
fine di ridurre i rischi connessi ai pagamenti e al trasporto merci. Per realizzare un progetto di
internazionalizzazione che rappresenti un sicuro successo è quindi opportuno considerare
diverse variabili, come un corretto business-plan, lo studio preventivo del Paese in cui si vuole
esportare, la ricerca di eventuali partner e un'efficace assistenza linguistica e logistica.
A livello europeo, nel 2008, le frontiere nazionali rappresentavano ancora un ostacolo per
molte PMI. Secondo i dati della Direzione Generale delle Imprese e dell'Industria della
Commissione Europea, solo un quinto delle PMI esportava e solo il 3% aveva filiali o
succursali all'estero. Gli studi hanno però dimostrato una correlazione positiva tra
l'internazionalizzazione e l'aumento della redditività delle imprese. Tuttavia, andare all'estero
è per molti versi una questione difficile da affrontare per le PMI, in quanto molte di esse non
sono in grado di sostenere i rischi correlati, specie quelli legati agli investimenti finanziari
finalizzati all'approdo in mercati stranieri.
Al fine di superare questi problemi, sono stati creati diversi strumenti a livello nazionale ed
internazionale a sostegno dell'internazionalizzazione delle PMI. La prima Agenzia di
Sviluppo del Commercio fu creata in Finlandia nel 1919 ed utilizzava come strumento di
internazionalizzazione il sostegno alle esportazioni e missioni commerciali. Questo approccio
è stato ripreso nei decenni a seguire da moltissimi governi e istituzioni specializzate e ancora
oggi costituisce il 70% degli strumenti di internazionalizzazione delle PMI su scala mondiale.
Ma internazionalizzare non vuol dire soltanto promuovere le esportazioni. Sono ugualmente
importanti elementi quali la cooperazione transfrontaliera, la partecipazione a reti
economicamente efficaci e la ricerca di nuove tecnologie. Le PMI internazionalizzate
combinano vari approcci che sono strettamente interrelati.
Il sostegno individuale alle PMI è importante per garantire la riuscita del progetto di
internazionalizzazione. A livello europeo, paesi come la Finlandia o l'Irlanda hanno saputo
attuare meccanismi di sostegno alle proprie PMI che ne consentissero l'internazionalizzazione
ammortizzando i rischi tramite programmi individuali specifici per le aziende.
La capacità di innovazione delle imprese che deriva dal processo di internazionalizzazione
assume così rilevanza strategica per ciò che riguarda il contesto europeo. È di fondamentale
importanza per l'Europa aumentare il numero di PMI che escano dai loro confini nazionali
incrementando i loro margini di profitto. L'internazionalizzazione è diventata la condizione di
sopravvivenza delle PMI nel mondo globalizzato e, proprio per questo motivo, l'Unione
Europea ha istituito specifici programmi a loro sostegno.
L'ente principale che si occupa di finanziamenti alle PMI è il gruppo della Banca Europea
degli Investimenti, formato appunto dalla BEI, dal Fondo Europeo per gli Investimenti e dal
Fondo Euro Mediterraneo di Investimento e Partenariato. La BEI non ha fini di lucro ma
opera come una banca di sviluppo il cui capitale è sottoscritto dai paesi membri UE. Fra gli
obiettivi dei progetti finanziati dalla BEI, rientrano quelli sull'ammodernamento delle imprese
e la creazione di nuove attività che non possono essere finanziate a livello nazionale. Il FEI
invece non finanzia direttamente le PMI ma opera solo attraverso intermediari finanziari.
Mette a disposizione capitali di rischio per le piccole imprese svolgendo il ruolo di garante per
i prestiti e le garanzie concessi dalle banche e dagli altri istituti finanziari. Infine, il FEMIP si
occupa di promuovere lo sviluppo delle relazioni con i Paesi Partner del Mediterraneo ed ha
anch'esso un ruolo nel finanziamento delle PMI attraverso prestiti globali al settore finanziario
e bancario locale, che destinerà tali fondi alle PMI.
Infine, occorre dedicare uno spazio specifico ai trend nazionali di internazionalizzazione delle
PMI. Anche per l'Italia, viene sostanzialmente confermato quanto detto prima: le imprese che
meglio reagiscono alla crisi sono quelle in grado di inserirsi nel contesto internazionale.
Stando ai dati riportati alla fine di marzo 2015 sul sito http://www.pmi.it/, i distretti industriali
del Triveneto hanno visto confermato performance positive per quanto riguarda le
esportazioni, in particolare i distretti veneti con +8,6%, quelli del Friuli con un +6,9%.
A livello nazionale esistono diversi strumenti e specifici bandi per consentire la diminuzione
dei rischi per l'internazionalizzazione delle imprese. A Roma è stato presentato un bando
(http://www.cnapmi.org/News/Internazionalizzazione-partecipa-al-bando-voucher2)
per
le
PMI che consente l'ottenimento di finanziamenti sotto forma di voucher che coprono fino
all'80% delle spese sostenute dall'impresa. Analoghi progetti esistono a Perugia, Lodi,
Avellino, solo per citare i più recenti.
Secondo la Relazione del garante per le MPMI pubblicata a marzo 2015, le aziende italiane si
sono
confermate
dinamiche,
innovative
e
pronte
a
investire
nell'export
e
nell'internazionalizzazione. Questo processo ha coinvolto oltre 190mila PMI, circa 3300 start
up innovative e 9700 imprese in rete attraverso quasi 2000 contratti definiti al 21 dicembre
2014.
Inoltre, più di 13mila aziende estere sono localizzate in Italia, 200 “campioni nascosti”, cioè
imprese mono-prodotto e mono-mercato (leader di nicchia sul fronte estero), e 3500 medie
imprese con fatturato compreso tra 15 e 330 milioni e con livelli di produttività superiori alle
analoghe presenti nei principali paesi europei (Germania, Gran Bretagna, Spagna). In
quest’ultimo segmento, troviamo “2050 società che eccellono nelle loro nicchie di mercato e
riescono a competere ai livelli più alti sul fronte internazionale” : si tratta del cosiddetto
“Quarto capitalismo”, considerato il vero motore dello sviluppo italiano.
Il dinamismo delle PMI significa anche capacità di generare valore aggiunto ai massimi
livelli, per il quale l’Italia è leader in Europa. Stando ai dati Cna – Fondazione Symbola
analizzati nell’aprile 2015, il contributo delle nostre PMI (77,3 mld di euro) è il più alto tra i
paesi UE con il 22,1%, mentre la Germania arriva al 18,5% (64,8 mld), la Francia al 13,3%
(46,5 mld), la Gran Bretagna all’11,1% (38,7 mld) e la Spagna all’8,9% (31,1 mld). Esempio
del primato delle PMI italiane sono le filiere territoriali di Brescia e Bergamo, le prime due
province manifatturiere d’Europa (per valore assoluto), addirittura davanti alla tedesca
Wolfsburg, che ospita il cuore della Volkswagen.
Ripercussioni Sociali: il rientro dei cervelli in un mercato globale
di Andrea Poliseno
Il fenomeno dell’internazionalizzazione prevede quindi il collegamento tra stati diversi, tra
parti del mondo diverse con lo scopo di estendere il proprio raggio d’azione, principalmente
politico ed economico. La tendenza all’internazionalizzazione può essere considerata dunque
come un tassello di un fenomeno più esteso: la globalizzazione. Per globalizzazione si intende
l'estensione e la diffusione di una quantità sempre crescente di dispositivi simbolici, materiali,
tecniche, procedure, discorsi, logiche e prodotti potenzialmente fruibili su scala mondiale. Il
concetto di globalizzazione appare ormai ampiamente diffuso ed utilizzato per indicare il
sistema economico, finanziario e culturale che caratterizza la nostra epoca. Nello specifico, il
termine identifica quel fenomeno per cui le economie ed i mercati nazionali, grazie allo
sviluppo delle tecnologie dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’informatica, sono
divenuti sempre più interdipendenti, fino a diventare parte di un unico sistema mondiale.
Particolarmente significativa è la definizione fornita da Robertson nel 1992, secondo il quale
«con il termine globalizzazione ci si riferisce sia alla compressione del mondo, sia
all’intensificarsi della coscienza del mondo come un tutt’uno». Tale definizione pone in
evidenza un nuovo modo di percepire lo spazio, in cui le distanze appaiono del tutto ridotte e
facilmente colmabili, ma evidenzia anche l’emergere di una nuova comprensione delle
interconnessioni esistenti a livello internazionale.
La globalizzazione ha assunto negli anni una portata significativa, tale da provocare
ripercussioni non soltanto in ambito economico, ma anche sociale e culturale. Sotto questo
profilo, essa si è tradotta in una progressiva omologazione dei consumi, degli stili di vita e
delle diverse forme di rappresentazione del mondo in un sistema sempre più omogeneo,
fortemente influenzato da modelli culturali prevalentemente occidentali.
L’internazionalizzazione si può quindi concepire come uno dei fattori della globalizzazione,
che sempre più unisce diversi angoli del mondo comportando anche il trasporto di modelli
culturali, idee, valori e competenze.
A partire dai processi di internazionalizzazione delle imprese e di import/export dei prodotti,
si è arrivati oggi alla configurazione di uno scenario in cui dall’intersezione degli scenari
economici si ottiene una sovrapposizione degli scenari culturali. Come le imprese si spostano
in altri paesi, o per produrre o per vendere il proprio prodotto, i singoli individui sfruttano la
sempre più facile possibilità di movimento internazionale per uscire dal proprio paese. Alcuni
lo fanno dopo aver acquisito competenze in patria, altri proprio per formarsi e tornare poi nel
luogo di nascita per sfruttare le conoscenze apprese. Esempio in Italia sono i programmi
Erasmus
(http://www.erasmusmundus.it/),
i
progetti
Leonardo
(http://programmaleonardo.net/llp/home.asp) e il più recente “Torno Subito” della Regione
Lazio (http://www.tornosubito.laziodisu.it/), che permettono ai giovani di spendere dei periodi
di formazioni all’estero, specialmente in Europa, per acquisire conoscenze e capacità da
rivendere sul mercato del lavoro del paese d’origine. Tali spostamenti possono avere due
letture diverse: da una parte avere la possibilità di studiare all’estero è un ottima occasione di
crescita per il singolo individuo che vede incrementare il suo bagaglio culturale ed
esperienziale e, soprattutto, la possibilità di trovare una lavoro e crearsi un futuro. Dall’altra
parte, la richiesta del proprio paese di tornare, o il vincolo accademico, sono in contraddizione
culturale con i processi economici che vedono assottigliarsi sempre più i confini degli stati.
Infatti, la richiesta del ritorno in patria si baserebbe sull’idea che l’estero è si una possibilità
per l’individuo, ma anche un’occasione per la nazione di origine che, finanziando la
formazione in un paese diverso, punta sul risultato finale derivante da tale investimento: le
nuove competenze acquisite.
Diversamente va concepito il fenomeno della “fuga di cervelli”: persone altamente formate e
specializzate che, non trovando la possibilità di lavorare ad alti livelli nel paese di origine,
emigravano all’estero per poter svolgere il proprio lavoro ad alti livelli. Questo significa che
lo stato formava persone senza poi poter usufruire delle loro capacità e competenze,
perdendone in competitività e risorse economiche. Allo stato attuale delle cose, la stessa
strategia utilizzata in passato per le imprese che avevano precedentemente delocalizzato si sta
applicando alle risorse umane, chiedendo appunto ai “cervelli” di tornare.
Infatti, «secondo una nuova norma del decreto fiscale sull'internazionalizzazione delle
imprese, il reddito prodotto in Italia da lavoratori “con qualifiche elevate” che trasferiscono la
residenza nel territorio dello Stato italiano potrà beneficiare per 5 anni di una riduzione del
reddito imponibile del 30% [..] Potranno accedere all'incentivo tutti coloro che nei cinque anni
precedenti non siano stati residenti in Italia, che svolgano una attività lavorativa
prevalentemente nel territorio italiano e che rivestano una qualifica per la quale sia richiesta
una alta specializzazione e il titolo di laurea» (Fonte ANSA). Attraverso gli sgravi fiscali si
cerca quindi di far tornare i “cervelli” a produrre effettivamente per lo stato, italiano in questo
caso, che li aveva precedentemente formati, proprio come si cerca di fare per le aziende.
Possiamo affermare quindi che, se da una parte le PMI si aprono economicamente sempre più
all’estero, dall’altra si tende a non disperdere il proprio capitale umano e a far in modo che
produca nel paese di origine. Ciò indicherebbe che l’apertura dei confini statali è prettamente
di natura economica e non socio-culturale, cioè non si considera ancora, ad esempio, l’Europa
come entità a sé stante, ma come insieme di tanti stati ognuno con i proprio interessi, le
proprie tradizioni ed idee. Anche se culturalmente dunque i confini sono ancora bene definiti,
non si può non affermare che l’estero venga visto come un’opportunità di crescita e di
acquisizione di competenze per il capitale umano di ogni singolo paese, nell’ottica di rendere
quest’ultimo il più competitivo possibile. Programmi come Erasmus, Torno Subito e i Progetti
Leonardo, citati in precedenza, fanno ben sperare in una sempre maggior permeabilità non
solo economica ma anche culturale, in un’ottica di globalizzazione culturale.
Conclusioni
In conclusione, il processo di internazionalizzazione, se ben strutturato permette di aumentare
i ricavi e ridurre i costi. Tali ingredienti, però non risultano sufficienti per preparare un buon
piatto, difatti ci sono ulteriori fattori da tenere in considerazione come la stabilità finanziaria
dell’azienda, le barriere all’entrata del paese di interesse e le disponibilità economiche
necessarie per tale processo. Negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2007,
l'internazionalizzazione è diventata ancora più importante per le PMI ai fini del superamento
della crisi stessa. I mercati esteri possono essere, in questo senso, una vera opportunità, posto
il rispetto di determinati criteri e condizioni.
L’internazionalizzazione sta quindi modificando sempre più gli scenari macro economici dei
paesi, diffondendo tramite l’import/export e la delocalizzazione anche sprazzi di diversità
culturale, riducendo i confini economici tra paesi. Tale fenomeno si sta sviluppando anche sul
fronte dell’import/export culturale: milioni di persone ogni anno si spostano tra i paesi del
mondo con fini diversi, per tempi diversi e in modalità diverse, ma tutti quanti trasportano
cultura e la importano a loro volta.
Nonostante questo però siamo ancora lontani dall’applicare una vera e propria
“liberalizzazione” culturale: storie di millenni, lingue diverse, chilometri di distanza, sono
ancora ostacoli troppo grandi che non ci fanno ancora concepire un mondo globale libero da
confini. Questa però è la strada.
Coordinato da:
Annalisa Bifolchi
Fonti:
-
Articolo ANSA:
http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2015/07/17/fisco-arriva-il-bonus-per-ilrientro-dei-cervelli_f93673d3-c430-43e6-a4e5-7e607a962fa9.html
-
Bando internazionalizzazione per le PMI:
http://www.pmi.it/economia/finanziamenti/news/99961/roma-sportellointernazionalizzazione-per-pmi.html
-
Cna
–
Fondazione
Symbola,
Le
PMI
e
la
sfida
della
qualità,
http://www.symbola.net/html/press/pressrelease/presentazionedossierPMI/videos
-
Dati ISTAT:
http://search.istat.it/search?q=internazionalizzazione&output=xml_no_dtd&client=ista
t_fe&proxystylesheet=istat_fe&sort=date%253AD%253AL%253Ad1&oe=UTF8&ie=UTF-8&ud=1&exclude_apps=1&site=istat_it&submit.x=0&submit.y=0
-
Export
distretti
industriali
Nord-Est:
trend
positivo,
http://www.pmi.it/economia/mercati/news/100280/export-distretti-industriali-nord-esttrend-positivo.html
-
Export
e
innovazione
per
rilanciare
le
PMI,
http://www.pmi.it/economia/mercati/approfondimenti/95173/export-innovazione-perrilanciare-pmi.html
-
Export,
innovazione,
qualità:
PMI
italiane
virtuose,
http://www.pmi.it/economia/mercati/approfondimenti/97019/export-innovazionequalita-pmi-italiane-virtuose.html
-
Guida
pratica
all'internazionalizzazione
delle
PMI,
pdf
online
http://old.odcec.ct.it/?d=4_43&m=MaterialiConvegni&a=view&id=2548
-
Internazionalizzazione: scelta obbligata per valorizzare la competitività delle pmi
italiane? Report sui risultati della ricerca condotta da a+network sui percorsi di
internazionalizzazione della media, piccola e piccolissima impresa, novembre 2013
http://www.aplusnet.it/attachments/article/361/Internazionalizzazione%20scelta%20ob
bligata%20per%20valorizzare%20le%20PMI_291113.01.pdf
-
Italian Centre for Social Responsability, Globalizzazione, delocalizzazione produttiva
delle imprese italiane e politiche di salvaguardia e valorizzazione dei diritti umani,
Milano, 2008.
-
Ministero dello sviluppo economico, Relazione del Garante per le MPMI, marzo 2015
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/RELAZIONE_GAR
ANTE_MPMI_versione_26%20febbraio_2015.pdf
-
Regione Lazio, l'internazionalizzazione delle PMI: 48 progetti per il rilancio,
http://www.cinquequotidiano.it/politica/regione-lazio/2015/07/13/regione-laziolinternazionalizzazione-delle-pmi-48-progetti-il-rilancio/
-
R. Robertson, Globalization, Londra, Sage (ed. it. Globalizzazione: teoria sociale e
cultura globale, Trieste, Asterios, 1999).
-
Sostegno all'internazionalizzazione delle PMI, pdf online
http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/files/support_measures/internationalisation/
internat_best_it.pdf