uno sguardo sul settore alberghiero

Transcript

uno sguardo sul settore alberghiero
1
UNO SGUARDO SUL
SETTORE
ALBERGHIERO
appunti tratti dal testo
“La gestione professionale dell’azienda alberghiera”
di Filippo Bonfiglietti
Editore: FrancoAngeli
2
Gli alberghi in Italia
Sono circa 34.000.
Sono classificati in 5 categorie contraddistinte da “stelle”.
Si va da 5 stelle (alberghi di lusso) sino ad 1 stella.
La tabella sottostante serve per avere una panoramica dell’offerta alberghiera italiana suddivisa per stelle e per
regione.
esercizi alberghieri
Tipologia di esercizio
anno - 2012
Italia
col.1
Trentino A.A.
Emilia-Romagna
Veneto
Lombardia
Toscana
Lazio
Campania
Piemonte
Liguria
Sicilia
Puglia
Sardegna
Marche
Calabria
Abruzzo
Friuli V.G.
Umbria
Valle d'Aosta
Basilicata
Molise
alberghi alberghi alberghi alberghi alberghi residenze
di 5
di 4
di 3
di 2
di 1
turistico
stelle e
stelle
stelle
stelle
stella
alberghiere
5 stelle
lusso
393
5.354
15.243
6.509
3.438
col.3
23
10
42
33
54
32
52
8
10
32
31
25
3
18
6
2
3
3
5
1
col.4
562
431
509
582
451
412
457
206
119
347
312
248
113
209
103
97
77
46
48
25
col.5
2.391
2.446
1.421
1.240
1.324
801
774
733
575
503
427
412
493
345
418
339
245
201
116
39
col.6
1.323
917
638
504
511
455
200
286
434
165
107
97
167
97
125
148
145
125
40
25
col.7
533
402
392
408
253
222
127
225
231
101
45
46
65
50
106
114
50
38
22
8
2.791
col.8
904
256
90
188
271
80
87
82
144
143
89
85
47
121
42
42
34
69
7
10
esercizi
alberghieri
33.728
col.2
5.736
4.462
3.092
2.955
2.864
2.002
1.697
1.540
1.513
1.291
1.011
913
888
840
800
742
554
482
238
108
3
La tabella seguente invece serve per avere una panoramica dell’offerta alberghiera italiana suddivisa per
dimensione degli alberghi e per regione.
Classe dimensionale per
numero di camere
Indicatori
anno 2012
Italia
col.1
Veneto
Lombardia
Lazio
Sicilia
Sardegna
Calabria
Toscana
Emilia-Romagna
Campania
Puglia
Piemonte
Liguria
Abruzzo
Marche
Trentino A.A.
Basilicata
Umbria
Friuli-V.G.
Valle d'Aosta
Molise
col.2
fino a 24
numero di
esercizi
25-99
camere
numero di
esercizi
100 e più
camere
numero
di
esercizi
camere
18.216
247.662
14.121
613.960
1.389
231.617
col.3
1.491
1.745
1.005
717
453
365
1.589
col.5
21.715
23.269
13.649
9.582
6.146
5.087
22.510
col.7
1.424
1.038
853
457
343
364
1.172
col.9
65.341
48.358
40.293
21.727
16.934
17.811
51.652
col.11
177
172
144
117
117
111
103
col.13
25.772
29.661
26.576
22.894
21.964
23.551
14.411
1.760
740
512
1.017
1.017
420
404
3.649
140
354
433
342
63
28.323
9.962
7.118
12.950
12.610
6.064
5.689
45.575
1.744
4.626
5.634
4.567
842
2.603
866
410
474
474
359
465
2.073
84
188
300
132
42
112.181
35.232
19.343
21.822
20.013
16.165
20.213
74.919
3.942
8.577
12.873
4.697
1.867
97
91
89
49
22
21
19
14
14
12
9
8
3
13.397
11.104
16.519
7.782
3.093
2.968
2.427
1.707
2.927
1.691
1.132
1.601
440
totale
numero
di
esercizi
camere
33.728 1.093.286
col.15
3.092
2.955
2.002
1.291
913
840
2.864
4.462
1.697
1.011
1.540
1.513
800
888
5.736
238
554
742
482
108
col.17
112.828
101.288
80.518
54.203
45.044
46.449
88.573
153.948
56.298
42.980
42.554
35.716
25.197
28.329
122.201
8.613
14.894
19.639
10.865
3.149
L’organizzazone di un albergo si avvale di numerose professionalità che oggi sono esercitate indifferentemente da
donne e uomini.
Non ci soffermeremo sulle professionalità più semplici ma sulle
12 figure professionali più rilevanti in albergo
Ecco le principali funzioni di ogni albergo, quelle che nelle aziende di maggiori dimensioni corrispondono ad
altrettanti capi-servizio mentre, nelle aziende minori, vengono spesso accorpate e affidate a una piccola squadra di
responsabili.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Direttore
Responsabile Commerciale
Front Office Manager
Yield & Revenue Manager
Food and Beverage Manager
Concierge
Chef
Maitre d’hotel
Sommelier
Barman
Governante
Responsabile manutenzione
4
1. Il direttore d'albergo
1.Premessa
Ai giorni nostri si calcola che i direttori d'albergo in Italia siano alcune migliaia, inquadrati a volte come dirigenti,
altre volte come quadri ed altre “come capita”, tutti concentrati su circa 400 alberghi a cinque stelle e su circa 5.400
quattro stelle, di solito grandi, ossia con più di un centinaio di camere.
Qualcuno crede che i direttori d'albergo siano una categoria destinata a sparire perché una buona parte dei loro
compiti tradizionali - il commerciale, per esempio, e tutto ciò che è legato all'informatica - sono stati assunti da altri
professionisti più specializzati. Noi invece crediamo che la professione sia destinata a diffondersi, sia per compiti
che per responsabilità, tanto da richiedere una preparazione sempre più vasta e profonda. Perché l'albergo ha
bisogno di qualcuno che ne sia responsabile e lo sappia gestire, mentre la professionalità richiesta al direttore
d'albergo è sempre più alta, e questo pone un limite inevitabile a chi, come proprietario dell'albergo, pretenda di
fare da solo. A meno che non abbia egli stesso la professionalità necessaria: ma in questo caso si tratta solo di un
proprietario che è anche direttore.
Un'ottima ragione, per supporre che la domanda di direttori di albergo qualificati sia in crescita, sta nel progressivo
passaggio di molti alberghi dai privati alle catene alberghiere, agevolate dall'essere presenti in diversi Stati,
dall'avere una raccolta delle prenotazioni molto estesa e dall'essere dotate di un cervello centrale
professionalmente qualificato a sostenere la concorrenza internazionale: cosa per la quale gli alberghi a gestione
familiare hanno difficoltà crescenti.
2. II ruolo e le responsabilità
Il Direttore d'albergo è la figura al vertice dell'impresa alberghiera e, in quanto tale, è responsabile dell'
organizzazione, della gestione e del coordinamento di tutta la struttura per quanto riguarda le risorse economiche, i
servizi e il personale. Il suo ruolo spazia dunque dalle scelte strategiche alla vendita, dall'amministrazione dell'
azienda alla messa in atto delle migliori tecniche del servizio, dalla manutenzione all'eliminazione di tutti i difetti
possibili. In più, il direttore costituisce il principale elemento di riferimento nel rapporto tra la clientela e
l'organizzazione dell'albergo. Quindi ha anche la responsabilità di far sentire il cliente il più possibile a suo agio.
Tutto ciò implica almeno tre fatti complementari:
il primo è che il direttore deve essere un venditore nato e un esperto del marketing e dei suoi strumenti, a
incominciare dalla pubblicità, dalla promozione, dal "web management" al "revenue management" di cui parleremo
più avanti: e, come tale, deve essere capace di curare il rapporto tra la qualità del servizio offerto e il prezzo pagato
dai clienti. E deve essere un esperto di queste faccende anche quando, per ognuna di esse, si avvale di specialisti.
Perché deve saperne valutare il valore, deve saperli assistere ed appoggiare e deve mettere a loro disposizione
fondi dell'azienda - per esempio per la pubblicità e per la scelta degli strumenti organizzativi computerizzati - da
calibrare nel modo giusto perché bastino senza essere uno spreco;
il secondo è che il direttore deve avere il polso della situazione, del servizio fornito, della capacità del suo
personale, della soddisfazione e dell'insoddisfazione dei clienti. E ciò significa che deve essere "sempre" presente:
o, meglio, deve sapersi assentare solo nei momenti meno critici.
il terzo è che il direttore deve essere il "difensore dei clienti" ad ogni costo, salvo che non paghino o che siano
pericolosi. Perché, salvo eccezioni, nessun cliente va mai perduto. Quindi il direttore deve essere anche il primo
nemico dei difetti, di ogni tipo di difetto. Perché nessun direttore, che non sia acerrimo nemico di ogni difetto, può
ottenere che lo siano i suoi collaboratori.
Ma questo non basta. Perché il direttore sovrintende a tutta l'attività dell'impresa alberghiera, dall'elaborazione
delle strategie aziendali, delle politiche finanziarie, di gestione e di marketing, fino alla creazione dei piani di
sviluppo dell'azienda e del budgeting a breve e a medio termine, tenendo conto delle risorse disponibili. E compito
del direttore è anche la costante verifica dei risultati economici raggiunti, in assoluto e in rapporto al budget. Quindi
il direttore è responsabile della gestione delle risorse umane ed è il punto di riferimento per tutto il personale.
L'unica funzione che non lo riguarda direttamente è quella amministrativa e fiscale, per la quale di solito si
appoggia a funzionari specifici o a commercialisti esterni, secondo la dimensione dell' azienda.
Naturalmente, tutto ciò varia con la dimensione dell'albergo, col fatto che sia un' azienda singola oppure che
appartenga a un gruppo o a una catena.
Il direttore assume competenze tanto maggiori e tanto più vicine a quelle di un direttore generale, quanto più
grande è l'azienda. Fino alle catene alberghiere vere e proprie, fomite di una direzione generale centralizzata, che
avoca a sé tutti i compiti strategici, amministrativi e fiscali, liberandone i direttori del singolo albergo, ai quali viene
affidata solo la gestione locale.
Nelle realtà medio-grandi il direttore viene affiancato da un vice a cui sono affidati i compiti di seguire la routine
insieme ad altri, variabili secondo i casi, in base alle capacità professionali del vice: il quale può operare anche
come web manager, come responsabile della sicurezza, come revenue manager e così via, secondo le situazioni.
5
3. La preparazione e la carriera
Da tutto questo si traggono almeno tre conclusioni sulla personalità del direttore ideale:
la prima è sulle qualità professionali: ottime capacità organizzative e manageriali, spiccato spirito d'iniziativa,
dinamico ed intraprendente;
la seconda è sulla cultura, perché non si può fare il direttore d'albergo se non si conosce a fondo il settore
turistico-alberghiero, con le sue regole da un punto di vista economico e legislativo, ma anche con le tecniche di
gestione e organizzazione relative, dal "budgeting" (il bilancio preventivo) al conto economico, dalla gestione del
"food and beverage", alla gestione del ricevimento e a quella delle prenotazioni, dalla gestione delle tariffe secondo
i diversi tipi di clienti in alta, bassa e media stagione al "revenue management", dalla gestione del personale a
quella della sicurezza, dalla capacità di utilizzare i più aggiornati sistemi e programmi informatici per le imprese
alberghiere a quella di creare e utilizzare un sistema di "web management". Per non parlare delle lingue straniere,
perché il direttore ne deve conoscere almeno due alla perfezione.
la terza è sul carattere, perché il direttore deve saper impostare un lavoro di squadra e deve essere un leader
autorevole, capace di farsi seguire anche dai collaboratori più difficili.
Il mestiere di direttore richiede una formazione medio-alta, con almeno un diploma di scuola media superiore in
ambito turistico e ancor meglio una laurea triennale in economia e gestione dei servizi turistici oppure una laurea in
economia e tecnica del turismo. E richiede un'approfondita conoscenza pratica dell'uso dei computer e dei loro
programmi. Il tutto integrato e aggiornato da corsi di formazione specifici.
Ma tutto questo non basta se mancano adeguate esperienze di formazione e lavoro in Italia e all'estero. Cosicché il
futuro direttore, prima di diventare tale, deve aver avuto numerose mansioni subalterne, meglio se in diversi
alberghi internazionali.
Molto varia è la retribuzione, che può partire da un minimo di 25.000 euro annui, ma che dipende dall'esperienza
del direttore e dalla sua abilità nel contrattare, nonché dal tipo di albergo: perché il trattamento fatto da un albergo
modesto di tipo familiare può essere molto diverso da quello praticato da una struttura grande alberghiera e da
alberghi di alto livello. Cosicché non sono rari i direttori di albergo che guadagnano più di 50.000 euro annui ed
oltre. Così come non sono rari i direttori inquadrati come dirigenti, con stipendi ancora più elevati.
4. Manager o leader: autorità e autorevolezza
Ogni tanto qualcuno sente il bisogno di stabilire se il direttore di un albergo debba essere più manager o più leader.
Molto dipende dalla dimensione dell' albergo e dal fatto che appartenga oppure no a un gruppo o ad una catena.
Perché, quanto più numerosi e professionali sono i manager specializzati che dipendono da lui, tanto meno
importanti sono per lui le qualità da manager (che possono essere delegate ad altri) e tanto più importanti sono
quelle da leader, impossibili da delegare.
Non va dimenticato che in ogni albergo alcuni conflitti sono tipici e ripetuti: almeno quello tra maitre e chef (ovvero,
tra ristorante e cucina), quello tra ricevimento e servizi ai piani, quello dentro il gruppo delle cameriere ai piani
nonché tra di loro e la governante. E questi conflitti trovano la soluzione solo nella leadership del direttore.
Perché la maggiore difficoltà di ogni albergo sta nella duplice esigenza di motivare il personale e di controllarlo:
due esigenze contrastanti, perché la prima vorrebbe che si desse la massima libertà e licenza possibile, mentre la
seconda implica che la libertà sia modesta e la licenza nulla. Quindi la prima delle due esigenze richiederebbe un
direttore lungimirante, autorevole e di idee ampie, mentre la seconda ne vorrebbe uno autoritario e fiscale. Perché,
per evitare l'arbitrio e il sotterfugio senza demotivare, si dovrebbe essere insieme liberali, motivanti e autoritari: e
questo non è possibile.
Dunque, il problema sta nello scegliere se essere autorevoli o autoritari: secondo i casi, secondo le situazioni e
secondo il carattere dei dipendenti.
Autorevolezza e autoritarismo non sono per nulla la stessa cosa: la prima è capacità di imporsi per competenza,
esperienza e statura professionale, il secondo è pura manifestazione di potere, capacità di imporre la propria
volontà ed il proprio punto di vista. L'autorevolezza è "buona", l'autoritarismo è "cattivo".
Ma un direttore, pagato per sostenere il peso di un albergo, ha bisogno di entrambe: perché con l'autorevolezza
ottiene il rispetto e con l'autoritarismo si fa seguire. E, nell'insieme delle due, si colloca l'essenza del carisma
indispensabile per gestire il gruppo.
In definitiva, per essere un buon direttore d'albergo, l'unico prerequisito davvero indispensabile è il carattere che gli
consente di essere un leader. Gli altri requisiti sono raggiungibili con studi e pratica.
6
2. Il direttore commerciale
1. Il quadro in cui opera
La vendita - non c'è dubbio - è il punto più critico per ogni albergo.
Se dietro la vendita non c'è una capacità strategica, la vendita non può essere adeguata.
Eppure, la vendita è spesso trascurata e il concetto stesso di strategia è spesso ignorato. Pretendere che di
vendita si occupi un direttore - pur bravo, pur bravissimo - è una follia, per una ragione molto semplice: il direttore
di ogni albergo è sempre sovraccarico di lavoro, quindi non può occuparsi di vendite a tempo pieno. Mentre un
direttore commerciale - o direttore vendite che dir si voglia - non ha il tempo per fare il direttore.
Per giunta, le due funzioni non richiedono né la stessa esperienza, né la stessa attitudine, né lo stesso modo di
lavorare: si potrebbe dire che un ottimo direttore di albergo non è necessariamente un ottimo direttore commerciale
e viceversa.
La strategia commerciale è un fatto complesso che richiede scelte e visione di marketing: è un fatto da cui dipende
- o dovrebbe dipendere - il modo stesso in cui concepire gli alberghi che a questa strategia si rifanno. E quindi
richiede una capacità che va ben oltre quella di vendere, sebbene questa sia a sua volta un'arte complessa, quasi
come quella di dirigere un albergo.
Dunque, l'organizzazione commerciale degli alberghi è un gioco fondamentale e insieme - dal punto di vista dei
clienti "normali" - un aspetto oscuro e ignorato. Oscuro e ignorato perché, per il pubblico, il direttore commerciale o chiunque altro che lavori per lui o con lui - semplicemente non esiste perché non è in contatto con lui, perché non
è visibile, perché non è mai in albergo, perché il suo rapporto con i clienti è tutto in ombra.
Eppure, ai giorni nostri, il primo contatto con molti alberghi è un sito Internet. Dove l'albergo è mostrato, fotografato,
descritto in ogni dettaglio, ivi compresi i prezzi e magari i nomi dei vari capi servizio, soprattutto se sono noti. E ivi
compresi i nomi dei ristoranti, i loro menu, le loro specialità e così via, in un capolavoro di comunicazione.
Dunque, il sito Internet è il parto di una mente di marketing strategico e tattico, capace di pubblicizzare e di
allettare: in poche parole, di vendere bene il proprio prodotto. E questa è un'attività essenzialmente commerciale.
Qualcuno chiama tutto questo E-commerce, perché passa attraverso Internet ("E" sta per elettronica, quindi "Ecommerce" significa "commercio per via elettronica"). Ma non c'è bisogno di spiegare che, se l'elettronica
rappresenta un prezioso veicolo per la commercializzazione e per la vendita, allora bisogna saperne approfittare.
Il fatto, poi, che un albergo si dia un'organizzazione vendite, al contrario di altri che non ne hanno, anche questa è
una scelta strategica che dipende da una mentalità commerciale. Una scelta inevitabile nelle catene alberghiere,
molto meno obbligata quando si tratta di singoli alberghi. Eppure, la capacità di portare a casa clienti dipende
proprio da questa scelta, che è un costo "come tanti altri" ma, forse, uno dei più utili. Così come lo è la decisione di
associarsi a una delle tante etichette alberghiere che di solito non sono solo etichette ma sono anche vere e
proprie organizzazioni commerciali. Organizzazioni, al minimo, capaci di creare una rete di prenotazioni allargata a
tutto il mondo e, quindi, di portare il nome del nostro albergo dalla Cina agli Stati Uniti. Rendendo possibile vendere
a persone che, se non esistesse questo veicolo, non sentirebbero mai parlare di noi. Nomi come "Best Western" e
"Romantik Hotel" sono noti in tutto il mondo proprio per questa ragione.
Ma il quadro di attività dell'E-commerce appena fornito è solo una parte del quadro commerciale totale: perché a
questo vanno aggiunte almeno le vendite attraverso i vari consorzi di acquisto, i tour operators, i contratti
commerciali con le varie aziende interessate a un rapporto con quell'albergo particolare, per i propri dipendenti o
per altri clienti di ogni tipo, gli organizzatori di congressi.
E infine le fiere, alle quali gli alberghi partecipano con stand propri ma anche istituzionali, come quelli comunali,
provinciali, regionali, nazionali ecc. E le persone con cui intendono entrare in contatto sono buyers, ossia delegati
invitati dagli organizzatori della fiera: allo scopo di incontrare operatori commerciali il più possibile vicini al profilo
necessario. Dunque, non necessariamente tour operator ma anche agenti di viaggio, organizzatori congressuali e
organizzatori di meeting a livello aziendale.
Questo quadro, per quanto sembri complesso, non ha nessuna pretesa di essere esaustivo, ma serve a mostrare
quanto sia grande e articolato il mercato in cui l'organizzazione commerciale di un albergo opera: solo per definire
il peso che grava su chi se ne deve occupare in prima persona.
2. L'organizzazione ed i requisiti
Dalla funzione "Direzione Commerciale" dipendono logicamente un certo numero di funzioni logiche come la
"Direzione Marketing", la "Direzione Vendite", la "Yield and Revenue Management", il servizio prenotazioni e il
servizio ricevimento. Così come ne dipendono le varie funzioni di vendita periferiche, quando non si tratti di un
albergo unico ma di un gruppo di alberghi. E ne dipende il portale Internet che descrive l'albergo, fornendo ai clienti
tutte le informazioni occorrenti.
Quanto ai responsabili commerciali, i loro compiti, le loro responsabilità e le loro qualità vanno per forza focalizzati
7
separatamente.
Il direttore commerciale è l'anima e il responsabile di ogni cosa relativa alle vendite e, quando l'insieme è
abbastanza piccolo, è anche colui che fa ogni operazione relativa al marketing e a tutto ciò che vi è connesso. In
questi casi, spesso è anche il direttore o il proprietario dell' albergo. Mentre, quando l'insieme è grande, è colui che
fornisce le linee guida, che sceglie le strategie e i collaboratori, che si riserva i contatti con i clienti più speciali. I
responsabili del marketing, i direttori vendite centrali o periferici, dipendono da lui. La sua mobilità dipende dai suoi
compiti: sarà tanto più elevata quanto più farà il direttore vendite, sarà tanto minore quanto più si limiterà agli
aspetti strategici e di governo.
Il direttore commerciale deve avere una grande esperienza di alberghi e del loro mercato e, soprattutto quando si
occupa di una catena, si ritiene quasi indispensabile che provenga dalla direzione alberghiera. Deve avere una
solida preparazione di vendite e marketing, deve conoscere a fondo le sfaccettature dei compiti dei suoi
collaboratori, deve conoscere le lingue quanto basta per l'albergo di cui si occupa - l'inglese è indispensabile - e
deve avere una grande capacità di analisi, di sintesi e di visione strategica. In compenso, se non si occupa
personalmente delle vendite, non è obbligato a troppi spostamenti e quindi può essere di età matura.
Viceversa, il direttore vendite è, per definizione, giovane e dotato di notevoli energie fisiche, perché si calcola che
debba viaggiare per almeno il cinquanta per cento del suo tempo, con tutti i mezzi disponibili. Non deve avere,
dell'albergo, una conoscenza superiore a quella di un caporicevimento, ma gli serve una buona esperienza di
vendita alberghiera o, al minimo, turistica. Deve avere una grande capacità di comunicare in modo chiaro, sia
verbalmente che per iscritto e una grande capacità di persuasione. In più, deve padroneggiare tutte le lingue
necessarie.
Laddove il compito del direttore marketing è più creativo e intellettuale perché deve occuparsi di comunicazione, di
promozione e così via. E gli spetta di decidere a quali fiere partecipare e in che modo comunicare via Internet.
Dalle politiche di vendita e dalle capacità di attuarle dipende il livello dell'occupazione e delle tariffe, perché un
eccesso di clienti a basso prezzo può essere altrettanto dannoso che un'insufficienza di clienti dovuta a prezzi
eccessivi, a politiche di vendita sbagliate o a strategie inadeguate. Il direttore vendite può essere il più dinamico del
mondo, ma senza una visione strategica rischia sempre di riempire l'albergo di clienti a un prezzo tanto basso da
non permettergli di fare utili. E il marketing manager rischia sempre di fornire, dell'albergo, una visione sbagliata,
magari dando l'impressione di un lusso eccessivo (e quindi rischiando di perdere i clienti meno danarosi) oppure
che di un'eccessiva modestia (e quindi rischiando di perdere i clienti più disponibili a pagarsi il lusso ).
È questo che rende indispensabile l'esistenza di un responsabile fornito di una visione strategica ampia, sia esso il
direttore generale, il direttore commerciale o il proprietario che fornisca linee guida coerenti con la realtà dell'
albergo e del mercato su cui orientare e motivare le persone che si occupano di marketing e di vendita, a
qualunque livello.
8
3. Il front office manager
1. I ruoli e le responsabilità dell'ufficio e dei suoi capi
Il front office, chiamato anche reception o ricevimento, ha compiti che variano col livello degli alberghi, con le
dimensioni, la gestione più o meno familiare, l'appartenenza ad una catena nazionale o internazionale e così via.
I suoi ruoli più classici sono quelli dell'accoglienza, della gestione arrivi e partenze, dell'assegnazione camere, della
cassa e dei contatti di ogni genere con la clientela, inclusi la gestione dei reclami e gli aspetti fiscali e legali.
Il responsabile di quest'ufficio viene chiamato "capo ricevimento", oppure "reception manager" o "front office
manager", a scelta, quasi che questi termini fossero sinonimi, mentre celano molte differenze. Perché in alcuni
alberghi il capo ricevimento è responsabile anche delle prenotazioni, del call-center e del revenue management,
mentre in altri alberghi queste funzioni sono quasi del tutto indipendenti da lui. Così come ci sono alberghi dove il
front office manager ha una responsabilità e un ruolo più ampi di quello del capo ricevimento, tanto da esserne
gerarchicamente superiore. E ci sono addirittura catene alberghiere dove a un solo front office manager riportano i
capi ricevimento di diversi alberghi.
È naturale che, se l'albergo è piccolo e la sua gestione è familiare, il capo ricevimento copra da solo più di un ruolo.
Così com'è naturale che, quanto più grande è l'albergo, tanto più il front office sia articolato e le sue funzioni siano
distribuite a diverse persone.
La sua capacità di fungere da ufficio reclami per ogni cosa che non va, incluso tutto ciò che è relativo alle suddette
attività, dipende molto dalla sua abilità di psicologo: e non si tratta di un'abilità da poco. Tanto più quando si tratta
di gestire in modo indolore le arrabbiature dei clienti causate dall'overbooking sempre più diffuso.
La difficoltà del mestiere di front office manager dipende dunque da due aspetti diversi: il primo sta nella
complessità dei compiti del suo ufficio, il secondo sta nel fatto che il suo ufficio - e lui stesso, come professionista è a contatto diretto e continuo con i clienti. E, quindi, deve essere capace di un "savoir faire", di un tatto, di
un'eleganza, di una cortesia esemplari. Non stupisce che la carriera dei Direttori d'albergo passi quasi
obbligatoriamente per il front office.
2. La preparazione e l'esperienza necessarie
Come si vede, la preparazione occorrente per fare il mestiere del front office manager (da ora scriveremo solo
"F.O.M.") non è molto lontana da, quella necessaria a fare il direttore: sia per il numero di competenze sia per le
responsabilità, sia per gli aspetti di business, di economia, di contabilità e di legge implicati. A partire dalla
padronanza di almeno un paio di lingue e dalla profonda conoscenza del settore turistico-alberghiero, con le sue
regole, le tecniche di gestione e di organizzazione relative, incluso il budgeting. Con un particolare riguardo per
tutto ciò che ha a che fare con le tecniche relative alle prenotazioni, al ricevimento, ai sistemi di pagamento e al
modo di comportarsi con i clienti difficili. E, necessariamente, con un'esperienza professionale ampia e diversificata
di alberghi, sia in Italia che all'estero. Un'esperienza che copre tutte le mansioni possibili.
Il risultato è che il F.O.M. è la persona più importante di ogni albergo dopo il direttore. Ed è anche quella sulla
quale i clienti impattano di più, quella con la quale sono in più diretto contatto. Considerato che il direttore, per sua
natura e a causa dei suoi compiti, ha contatti abbastanza scarsi con i clienti: con i quali, di solito, ha che fare quasi
come ultimo appello, ossia quando c'è da sistemare qualche grana che nessun altro è riuscito a risolvere.
Quanto alla formazione scolastica del front office manager, questa deve essere necessariamente medio-alta,
basata almeno su un diploma di scuola media superiore in ambito turistico, e meglio ancora su una laurea in economia e gestione dei servizi turistici oppure su una laurea in economia e tecnica del turismo. Esattamente come
per i direttori, considerato che la strada maestra per la direzione passa per il ricevimento.
3. Le doti professionali e di carattere
Le doti, professionali e caratteriali necessarie al F.O.M. non sono poche, visto che devono includere anche una
grande autorevolezza personale. Perché il F.O.M. è spesso considerato dai suoi collaboratori un "primus inter
pares", è in confidenza con tutti e quindi non può essere più autoritario di tanto. Ma il loro rispetto è indispensabile
per farsi seguire e per riuscire a coordinarli, impedendo lassismi e leggerezze e imponendo che i clienti vengano
trattati secondo le regole dell'albergo. Quindi ha bisogno di essere stimato e, allo stesso tempo, deve essere un
motivatore e uno stimolatore.
Sta di fatto che, se gli addetti al ricevimento sono distratti, se non rispondono al telefono entro tre squilli come
prescritto, se chiacchierano tra di loro senza badare ai clienti, se quando qualcuno arriva da fuori o si avvicina al
banco fanno finta di non vederlo sperando che si scoraggi e se ne vada: ebbene, in tutti questi casi la prima
responsabilità è del front office manager. Perché è solo lui, a potere far sì che queste cose funzionino. Mentre il
direttore non può mai intervenire su queste faccende senza che il F.O.M. perda la faccia.
Ma, forse, il più sottile banco di prova del buon F.O.M. è la sua capacità di gestire, all'interno del suo ufficio, proprio
le attività che una volta venivano affidate al concierge, se questo è stato abolito. Perché si tratta di faccende
delicate. Perché si tratta di servizio. Perché si tratta di mettere a suo agio un cliente per il quale, trovandosi lontano
da casa sua, ogni cosa è difficile. Perché, mentre per un addetto al front office è relativamente facile chiamare un
taxi, invece è molto più difficile fornire ai clienti informazioni su teatri o musei, che non si limitino ai giornaletti sulle
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novità locali pubblicati in molte città o ai depliant in circolazione negli alberghi. Ed è ancora più difficile trovare
biglietti quando sono esauriti o quando gli sportelli sono chiusi, così come non è da tutti trovare fiori o oggetti da
regalo durante le festività: attività in cui il classico concierge era maestro. E, quando costui non esiste, il cliente che
si rivolge al front office non sa neppure se si sta rivolgendo alla persona giusta o a quella sbagliata: perché, come
è naturale, non tutti hanno le stesse esperienze, le stesse conoscenze e le stesse disponibilità. Dunque, spetta al
F.O.M. fare in modo che i clienti vengano indirizzati alle persone più adatte, in modo che non perdano tempo con
qualcuno che, per ragioni sue, non è in grado di fornire le risposte e l'aiuto richiesto.
E, infine, di nuovo, il computer. Che non è più un optional come anni fa, quando qualche F.O.M., per capire come
funzionasse un programma di video scrittura, doveva rivolgersi al ragazzino appena assunto come bagagista,
perché il ragazzino era capace di usarlo e lui no. Quando al front office bastava saper usare il computer per i soliti
programmi, come quello relativo alle prenotazioni, alla contabilità, alle entrate, alle uscite e ai pagamenti. Ma ormai
il computer contiene tutte le informazioni che servono sui clienti, tiene quotidianamente sotto controllo la
situazione, gestisce la posta in entrata e in uscita. Quindi il F.O.M. deve essere capace di gestirlo in tutte le sue
pieghe, deve essere considerato un virtuoso del computer, sotto pena di non essere considerato all'altezza di
svolgere il proprio lavoro con la professionalità richiesta dai tempi.
4. Yield & revenue manager
1. Yield & revenue management: il ruolo
Tra le figure in più rapido sviluppo negli alberghi, un'attenzione particolare merita quella dello yield & revenue
manager. Che consiste in un perfezionamento della tradizionale capacità di massimizzare i ricavi senza perdere
clienti, adattando istante per istante le tariffe alla situazione del mercato e alla quantità di camere già prenotate,
cercando la migliore combinazione possibile tra numero di clienti e prezzo pagato. Sempre tenendo in mente il
rapporto tra due aspetti contrastanti: l'assioma secondo cui una camera occupata a basso prezzo è meglio di una
camera vuota, e quello secondo cui una camera - una volta venduta - non si può più venderla a un prezzo
maggiore. Una gestione da qualche anno sempre più affidata a professionisti forniti di computer e di programmi
sofisticati per ottimizzare i risultati e ridurre il rischio.
Lo "yield & revenue manager", tra i professionisti degli alberghi, è l'ultimo arrivato: una figura strategica pensata
per massimizzare gli utili facendo un uso razionale di tutti gli strumenti del marketing. E non è davvero poco.
In termini tecnici il suo compito consiste nel trovare la più vantaggiosa combinazione tra prezzo e numero di
camere occupate, in funzione della situazione interna ed esterna all' albergo. Quindi facendo studi difficili, basati su
ogni dato disponibile, sull'impiego di ogni analisi e su ogni possibile strumento di calcolo e di simulazione
matematica.
In termini rozzi, la funzione dello yield & revenue manager è quella di massimizzare i ricavi. Una faccenda che
deve fare i conti con una problematica interna fatta di almeno quattro aspetti critici di ogni albergo:
il paradosso delle prenotazioni,
il rischio dell' overbooking,
l'antinomia tra prezzi e tasso di occupazione e
la deperibilità del prodotto.
Il paradosso delle prenotazioni
sta nel fatto che queste proteggono più il cliente che l'albergo. Perché, potendo essere cancellate all'ultimo
momento, ogni sera lasciano qualche camera vuota. E la difesa più elementare, quella di far pagare ai clienti
almeno un anticipo da perdere se non arriveranno entro una certa ora, non è sempre applicabile.
Così molti alberghi hanno imparato a difendersi con
l'overbooking, basato su un calcolo ovvio: l'albergo può concedersi di prenotare un numero di camere superiore a
quelle che ha. Un numero tanto superiore quanto basta per compensare le cancellazioni dell'ultimo minuto. Così,
se va tutto bene, alla fine sarà davvero pieno. Invece, se il calcolo è sbagliato e qualche cliente si arrabbia perché
non trova posto, si dovrà alloggiarlo da qualche altra parte, più o meno dello stesso livello. Rischiando che si
arrabbi ancora di più e che, se la soluzione di ripiego non è davvero buona, sia anche un cliente perduto. Dunque,
un rischio e un argomento delicato, da gestire con cura.
L'antinomia tra prezzi e tasso di occupazione
dipende dal fatto che quest'ultimo è tanto più alto quanto più bassi si tengono i prezzi. Prova ne sia che i contratti
con le aziende che mandano in un certo albergo i propri dipendenti sono a prezzi più bassi di quelli ottenibili nella
vendita libera. Così si riduce il rischio di invenduti, ma si blocca un certo numero di camere mettendosi in
condizione di non poterle vendere più tardi a prezzi migliori. Ne sa qualcosa chi, per andare sul sicuro, prende
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troppe prenotazioni per gruppi a basso prezzo e chi ha lunghi contratti con qualche compagnia aerea.
Quanto al concetto della
deperibilità del prodotto, corrisponde alla logica, abbastanza recente, che considera un prodotto apparentemente
solido come una camera (inclusi letti, bagno, poltrone, mura, tende e pasti) alla stregua di una "merce rapidamente
deperibile", visto che ha una durata di vita inferiore persino a quella del pesce fresco. E, quindi, da merce deperibile va trattata. Perché, dalla sua vendita "prima che vada a male", dipende la vita stessa dell'azienda, dato che il
volume del fatturato non influisce sui costi fissi di personale, né di riscaldamento, né di aria condizionata.
Nel passato, questi problemi - escluso l'overbooking, in altri tempi considerato poco meno di un crimine - venivano
affrontati a buon senso dal capo ricevimento, vendendo al meglio secondo il principio "prima vendi e poi piangi".
Senza mai risolvere l'eterna diatriba tra chi cercava di riempire l'albergo con gruppi che pagavano un quarto del
prezzo giusto e si disperava quando poi doveva respingere clienti migliori, e quello che rifiutava i gruppi salvo
piangere quando restava mezzo vuoto senza neppure il loro apporto.
Poi gli alberghi hanno scoperto di essere in buona compagnia, visto che gli stessi guai affliggevano anche le linee
aeree, le linee di navigazione e le società di noleggio automobili. E hanno scoperto che costoro ragionavano dei
rapporti con i propri clienti in modo più spregiudicato, un po' perché la loro dimensione permetteva di considerarli
con un distacco ignoto anche alle maggiori catene di alberghi e un po' perché ottimizzare ricavo e occupazione era
ormai questione di vita o di morte. Com'è dimostrato dal numero di compagnie aeree fallite negli ultimi anni. Tant'è
vero che, dalla constatazione dei loro guai, sono nate le compagnie aeree "low cost", basate essenzialmente su tre
fatti nuovi: la capacità di ridurre a zero i servizi, quello di vendere tutto ciò che si può a qualunque prezzo e quello
di imporre al cliente un concetto fondamentale: per prenotare un posto su un volo devi pagare e, una volta pagato,
il posto è tuo. Nel senso che se cambi idea devi pagare un'altra volta.
Ma gli alberghi, a differenza delle compagnie aeree "low cost", non possono permettersi di azzerare il proprio
servizio perché questo ha un peso ben diverso secondo che si passino tre giorni in un albergo piuttosto che un'ora
in un aeroplano. E, poi, ridurre il servizio significa peggiorarlo, tanto che gli "alberghi low cost" non si chiamano più
"alberghi" ma "residence". Ed ecco che agli alberghi, costretti a lasciare il prodotto così com'è (servizio compreso)
o addirittura a migliorarlo per motivi di concorrenza, non resta che ottimizzare l'utile: giocando solo tra prezzo ed
occupazione.
È così che salta fuori lo "yield and revenue manager", per risolvere tutto scientificamente. O, almeno, per provarci.
Dove lo "yield" è più o meno la scienza del saturare gli spazi liberi. Mentre il "revenue" è quella del saturarli al
miglior prezzo possibile. Perché, essendo "yield" il rendimento di una proprietà, e "revenue" le entrate della stessa
proprietà, "yield and revenue management" all'incirca vuol dire "gestire i ricavi della proprietà in modo da
massimizzarne il rendimento".
2. Una scienza inesatta in rapida affermazione
Date queste premesse, per approfondire come funzioni lo yield and revenue management nella pratica, vanno
considerati i parametri su cui si fonda. Parametri che sono numerosi, basati sull'analisi della situazione pregressa,
del contesto in cui l'albergo opera e di ogni altro elemento utile. Un'analisi articolata e profonda, che parte dalle più
accurate segmentazioni del mercato e spazia dalle indagini macroeconomiche più generali a quelle
microeconomiche relative al singolo albergo.
Il macromercato e la sua influenza sull'albergo
L'analisi del macromercato serve a valutare tutto ciò che (come la Sars, la Guerra del Golfo, il G8, gli attentati
terroristici, gli ostacoli o le agevolazioni ad entrare in un certo Stato) può influenzare le tendenze e i flussi turistici,
condizionandoli o incanalandoli verso una destinazione piuttosto che un'altra.
_ L'anallsi dei fattori politici, economici, socioculturali e tecnologici (PEST) prende in esame la stabilità politica
nazionale, le leggi finanziarie, i periodi d'inflazione o recessione, considera la distribuzione della ricchezza secondo
le fasce di età e la relativa propensione a viaggiare.
_ L’analisi della domanda prevedibile (forward demand analysis) serve a tener conto degli eventi speciali
(macroeconomici, geopolitici, climatici, mediatici come fiere, congressi ecc.) che si pensa influenzino il mercato e
l'afflusso dei clienti per fasce di qualità (business, congressi, vacanze, piacere, privati ecc.), di disponibilità
economica, per durata media in funzione della stagione, dei mesi, dei giorni della settimana e così via.
_ L’analtsì storica (backward demand analysis) serve a tener conto della stagionalità tipica dell'albergo nel suo
contesto, in rapporto agli avvenimenti esterni che sì sono verificati e, quindi, di quelli che potranno verificarsi in
futuro.
_L'analisi del prezzo delle singole camere (il "picking-up") nello stesso periodo degli anni precedenti, serve a
verificare le conseguenze della stagionalità ma anche degli avvenimenti del passato che possono essere ripetibili
oppure no.
E anche il tipo di risposta non riguarda solo lo stabilire quale sia la miglior combinazione ipotizzabile, presumibile,
tra prezzo e occupazione: ma tocca anche il modo di valutare proprio la faccenda dell'overbooking, che così
diventa più che mai un rischio calcolato. E anche questo è da affidare al revenue manager. Poco importa se costui,
per tutelarsi, cercherà di forzare l'albergo a fare un overbooking meno spinto di quanto si vorrebbe: perché a volte
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è meglio qualche camera vuota che troppi clienti arrabbiati.
Non abbiamo intenzione di approfondire i calcoli da fare, gli algoritmi da usare e gli innumerevoli elementi da
esaminare, di solito non considerati - e non considerabili - con il giusto peso nelle più comuni stime a braccio. Però
dovrebbe essere chiaro che una previsione diventa razionale e attendibile solo quando è il risultato di una
valutazione matematica seria. Così seria da rendere indispensabile il computer.
Tanto più che questo serve anche a fare le analisi della sensitività, ossia i calcoli di ciò che può succedere al
variare di uno o dell'altro parametro considerato: ciò che permette anche di scoprire quali siano i parametri più
importanti, più rischiosi, più o meno influenti e quindi quelli su cui vale la pena di rischiare e quelli no.
Il micro mercato dei clienti e dei concorrenti
L'analisi del micro mercato dei concorrenti prende in esame due elementi comparati: la propria quota di offerta in
rapporto all'offerta generale del mercato (fair share: il rapporto fra le proprie camere e il totale offerto dal mercato
nella propria zona di influenza) da confrontare con la propria quota di reale di mercato (market share: il rapporto fra
i propri pernottamenti reali in un certo periodo di tempo a confronto con quello dei concorrenti).
L'analisi del micro mercato dei clienti si basa sulla valutazione delle attitudini e dei comportamenti tipici dei vari
segmenti per rispondere alle loro esigenze e attrarli nel proprio albergo. È una segmentazione di mercato
assolutamente necessaria durante i periodi di alta occupazione, quando scegliere i segmenti più redditizi per
riempire il proprio albergo diventa indispensabile. Considerando molte variabili, per ogni segmento. Variabili come:
la sensibilità del cliente al prezzo, nonché al rapporto qualità/prezzo;
la flessibilità del cliente sulle date di arrivo e di partenza;
la propensione del cliente a fare spese extra alloggio.
Attenzione, però. Perché, se è vero che nulla può darci la certezza dei risultati di certe scelte, è anche vero che qui
si tratta di una valutazione matematica basata sui dati storici (anamnesi, si direbbe in medicina) e su altrettanti dati
al contorno. Ossia, non si tratta di un calcolo di probabilità, ma di una previsione: qualcosa molto più solido e
realistico. Perché è una previsione molto simile a quella occorrente per un' operazione chirurgica: che sarebbe
"calcolo di probabilità" se si limitasse a definire la percentuale statistica di successo di questo tipo di operazioni.
Mentre è "previsione" quando tiene conto delle condizioni di salute del paziente, della capacità del medico, delle
attrezzature della sala operatoria, della disponibilità di certe medicine e così via. Ed è perciò che, alla fine,
rassomiglia a una quasi certezza.
L'analisi delle prenotazioni e dell'elasticità della domanda
L'analisi delle prenotazioni già fatte, per valutare l'influenza del giorno della settimana di cui si tratta, della
percentuale di annullamento, dei mancati arrivi e degli arrivi di clienti privi di prenotazione. Perché è evidente
quanto possa essere diversa la previsione di occupazione possibile a fine giornata, secondo che a una cert'ora del
mattino le prenotazioni siano basse oppure alte, secondo che ci si trovi in bassa o in alta stagione, secondo che sia
lunedì piuttosto che sabato e così via.
L’analisi dell'elasticità e della domanda.
Considerando elastico ogni cliente che può fermarsi da noi o da qualunque altra parte, anche a notevole distanza,
perché è in viaggio di piacere. E considerando anelastico il cliente che "deve" venire da noi perché ha una ragione
precisa per farlo: una fiera, un convegno, un incontro. Ciò che rende la non elasticità tanto più alta quanto più
rigido è l'impegno. Perché, per una fiera, è anche possibile alloggiare a qualche diecina di chilometri. Mentre per
un convegno è quasi obbligatorio vivere nello stesso albergo di tutti gli altri convenuti: per motivi di comodità,
d'incontri possibili ma imprevedibili e così via. Con il risultato che il prezzo può essere tanto più alto quanto più
rigida è la domanda.
Per questo siamo partiti da una valutazione sommaria della problematica interna e per questo abbiamo elencato
una serie dei parametri analitici necessari. Non è un caso che lo yield and revenue management sia stato definito
da qualcuno "non una scienza esatta, ma una scienza creata per diminuire l'inesattezza".
3. La preparazione e l'esperienza
Quanto alla persona ideale per fare questo mestiere, vi sono almeno un paio di alternative. La prima è di affidarsi
ad uno specialista di queste tecniche, a uno studioso, a un matematico o a un laureato in statistica ceduto
all'albergo per la sua specializzazione professionale. La seconda è che, invece, lo faccia lo stesso responsabile
delle prenotazioni, proveniente dall'albergo, consapevole di ogni aspetto che lo riguarda ed istruito a gestire i
modelli matematici di riferimento.
Il vantaggio di rivolgersi a uno specialista è quello di avere a che fare con una specie di mostro, capace di fare
calcoli difficili e di adoperare il computer in modo eccellente. Il vantaggio di rivolgersi ad un dipendente riciclato,
d'altra parte, è notevole soprattutto quando, a gestire il tutto, è il reservation manager o il direttore commerciale.
Anche se la loro cultura scientifica e computeristica non è proprio eguale a quella del mostro di cui sopra. Perché
in questo modo si tratta di un personaggio operativo, il quale può essere caricato di tutte le responsabilità dei
risultati, che gli competono per definizione.
Anche perché, qualunque sia la preparazione matematica, è comunque fondamentale la cultura alberghiera. Così
come lo è la conoscenza delle lingue, in particolare dell'inglese, visto che questo mestiere è nato ed è stato
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sviluppato innanzi tutto in America e di lì trae molti dei suoi aggiornamenti.
La cultura alberghiera e manageriale è tanto più importante a causa dello stretto rapporto tra gli aspetti strategici e
quelli gestionali dell' albergo, così interdipendenti da essere quasi due aspetti diversi della stessa professione. E il
revenue management è una premessa ad una corretta stesura del budget, essendo l'unico sistema
scientificamente corretto per prevedere l'andamento delle vendite senza ricorrere al solito, collaudato e banale
sistema di prevederlo come variazione percentuale cervellotica, basato su nessuna sostanza.
Fondamentale è la conoscenza della piazza, visto che, nello stesso ambiente, ci sono alberghi favoriti e altri
sfavoriti per struttura, posizione e età. Visto che ci sono alberghi in grado di ottenere senza sforzo un livello
d'occupazione a cui altri alberghi non riusciranno ad arrivare mai, anche solo per motivi geografici.
Ma l'aspetto più critico di questa professione non è costituito tanto dalle doti professionali quanto dal carattere. Da
una parte, come abbiamo già notato, per il potere che il revenue manager ha di imporsi agli altri a causa del suo
incarico: che, se non è gestito da un carattere simpatico, cordiale e non altezzoso, rischia di renderlo
insopportabile a tutti nel giro di poco tempo. Soprattutto quando è un "primus inter pares" con il potere di imporre le
sue tariffe a tutto l'albergo, direttore incluso, fino a sentirsi "primus" e basta. Tanto più oggi, che gli alberghi offrono
spesso le loro tariffe via Internet. Ed è logico che i prezzi offerti a una certa distanza di tempo possano scostarsi
anche molto da quelli praticati un giorno per l'altro o la mattina per la sera.
Per contro, essendo soggetto alle inevitabili critiche a cui abbiamo già accennato prima, il revenue manager privo
di una sufficiente sicurezza in se stesso e di una serenità rara rischia di demotivarsi - finendo col diventare poco
incisivo e meno affidabile - ma soprattutto rischia di litigare con tutti, cercando di imporsi non per professionalità ma
per prepotenza.
Dunque il revenue manager deve avere un carattere particolarmente gradevole ed accomodante, deve essere
capace di incassare critiche senza prenderle come accuse personali ma controbattendole con argomenti razionali,
e deve essere capace di spiegare i suoi argomenti a persone non preparate ad accoglierli, ma anche prevenute e
ostili contro qualcuno che potrebbe aver l'aria di insegnare un mestiere che credono di conoscere meglio di loro.
5. Il food & beverage manager
1. Origini e storia
Il food & beverage manager - più brevemente F. & B. mgr. - è uno degli "oggetti quasi misteriosi" che costituiscono
le nuove professioni degli alberghi, un po' come lo yield & revenue mgr. Oggetti che dobbiamo approfondire non
solo per la relativa novità, ma anche perché sono importanti.
Con la differenza concettuale che, mentre la professione dello yield & revenue mgr. è nuova per strumenti, filosofia
e preparazione, quella del F. & B. mgr. è tradizionale, perché gestisce la ristorazione, il bar e ogni attività relativa:
cose che si sono sempre fatte da quando albergo è albergo. Solo che il F. & B. mgr. lo fa al massimo livello e con
gli strumenti più adeguati:
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perché il F. & B. mgr. ha una preparazione specifica per fare al meglio le scelte essenziali relative ai menu,
alle bevande da mettere a disposizione dei clienti e alle azioni per impostare la comunicazione necessaria a creare
una certa immagine dell' albergo;
_
perché la professionalità del F. & B. mgr. è tanto più importante quanto più ci si trova di fronte a eventi
speciali, nei quali "la faccia" dell' albergo è più in gioco: si tratti di organizzare un benvenuto o una cena eccezionale, un incontro con personaggi famosi e così via;
_
perché la professionalità del F. & B. mgr. serve a definire le strategie aziendali quando si vuole andare oltre
la routine quotidiana;
_
perché quella del F. & B. mgr. è la professione che ogni giorno gestisce più quattrini, se si esclude la
gestione del personale, che spende molto di più ma sulla base dei dati di fatto meno aleatori, visto che i costi del
personale sono ben noti, mestiere per mestiere, località per località, e tendono ad essere sostanzialmente stabili,
mentre i costi dei cibi e delle bevande variano da momento a momento, da scelta a scelta, da fornitore a fornitore e
da stagione a stagione: cosicché lasciano ampio spazio alla professionalità e alla discrezionalità di chi se ne
occupa.
Si decide di assumere un F. & B. mgr. per almeno tre motivi diversi:
il primo è che le sue funzioni siano diventate così importanti da occupare troppo tempo al direttore;
il secondo è che si voglia potenziare la ristorazione e il bar per ricavarne utili importanti;
il terzo è che le funzioni del F. & B. vadano affidate a un unico responsabile per motivi organizzativi: come
ormai succede in tutte le grandi catene alberghiere.
In ogni caso, il costo del F. & B. mgr. ha un senso solo se il fatturato del ristorante e del bar - e i relativi margini almeno in prospettiva superano un certo minimo. Secondo gli standard di alcune grosse catene alberghiere, il
costo delle materie prime non deve superare il 17-21 % del prezzo di un pasto e il margine minimo ammissibile non
deve essere meno del 25%. Quindi tutti gli altri costi del "sistema ristorazione", incluso lo stipendio del F. & B. mgr.,
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non possono superare il 50% del fatturato. Altrimenti si perdono quattrini.
2. II ruolo e le responsabilità
Gli acquisti dipendono da ciò che l'albergo intende vendere, ossia dal menu. E il menu, negli alberghi maggiori, è
deciso dal F. & B. mgr. insieme al maitre e allo chef. Dove il maitre porta le opinioni e i desideri dei clienti mentre lo
chef porta l'esperienza e la capacità della cucina. Dove tutti e tre insieme devono elaborare qualcosa di certamente
gradito e dove vengono stabiliti i prezzi insieme alla dimensione della porzione.
Poi saranno i risultati, a far capire se le decisioni sono state giuste: risultati come l'aumento o la diminuzione dei
clienti nel tempo, come le dichiarazioni di gradimento o le lamentele, come l'accettazione o il rifiuto di un certo
piatto, come il risultato economico globale. E da questi dati si modificheranno le decisioni relative al futuro, sia del
ristorante che del bar, sia delle prime colazioni che dei pranzi, delle cene e del servizio in camera.
Il F. & B. mgr. sta al centro di questo flusso organizzativo. Non ordina nulla, ma controlla. Non fa da mangiare e
non serve in tavola, ma verifica che tutto sia gradito. E controlla in mille modi, parlando con i clienti, discutendo con
i propri collaboratori, con la proprietà e con la direzione, ma - soprattutto - analizzando e approfondendo i numeri e
i tabulati che gli arrivano. Quindi il F. & B. mgr. è un decisore, un organizzatore, un controllore. Ed è responsabile
dei risultati finali, nei confronti del direttore e della proprietà.
3. La preparazione, la provenienza, la carriera
Di solito il F. & B. mgr. lavora in albergo: ma può succedergli di lavorare in centri di conferenze e di altri eventi,
oltre che in operazioni turistiche dove succeda di mangiare e di bere. Quindi il F. & B. mgr. lavora molte ore al
giorno e in modo molto irregolare, inclusi i week end. Dunque, il F. & B. mgr. deve essere flessibile, bene
organizzato, paziente, responsabile, maturo e focalizzato sui bisogni degli ospiti dell'albergo.
Dal punto di vista tecnico, non solo deve conoscere a fondo il mestiere di tutti i propri collaboratori, ma deve essere
abile nella comunicazione, nella presentazione, nelle verifiche e nei controlli. Deve essere abile nel problem solving
e nelle contrattazioni, deve avere tatto, discrezione e capacità di lavoro, sia indipendente che insieme ad uno staff
di persone. Ma deve essere anche versato in contabilità e saper gestire alla perfezione i sistemi computerizzati a
cui si deve affidare per calcoli e verifiche quotidiane.
La job description dell'F. & B. mgr. in sintesi
Promuove operazioni di business e di mercato.
Pianifica, organizza, controlla, valuta e dirige.
Decide i menu avvalendosi della collaborazione del maitre e dello chef.
Seleziona i prodotti e i venditori.
Pianifica, promuove e gestisce intrattenimenti e eventi di ogni tipo.
Controlla gli ordinativi per ogni genere di cibo, materie prime e forniture.
Cura la registrazione e l'aggiornamento degli inventari di prodotti relative alle operazioni di business.
Gestisce in modo efficace tutte le attività di bar e ristorante dell'albergo.
Verifica il gradimento dei menu e dei portioning da parte dei clienti.
Agisce come team leader delle operazioni di Food and Beverage.
Gestisce in modo efficace e motivante i dipendenti del bar e del ristorante.
Fa una verifica settimanale dei risultati ottenuti, includenti un piano profitti e perdite che includa margini, vendite e costi.
Tiene un completo inventario dei liquori e delle materie prime.
Fornisce una revisione mensile di tutte le attività relative al F. & B.
Prepara i budget mensili ed annuali ed emette rapporti mensili che mostrano le spese reali a fronte della previsione di budget inclusa l'analisi
delle differenze.
Si occupa di pianificazione strategica e prepara business plans che identificano nuove opportunità di business development.
Rivede i processi di lavoro, identifica le aree problematiche e semplifica i processi che servono a migliorare il servizio, inclusa la creazione di
materiali per i clienti.
Identifica le aree che richiedono manutenzione, riparazione delte attrezzature, acquisti di mobili, di attrezzi e tutto ciò che serve per le
operazioni approvate.
Valuta la business performance, si preoccupa della soddisfazione dei clienti continuando a cercare ogni possibile miglioramento.
Col direttore rappresenta gli interessi dell'albergo nei negoziati con i dipendenti.
Si occupa della formazione del suo personale.
Garantisce un'adeguata copertura delle varie funzioni.
Il F. & B. mgr. ha contatti con innumerevoli persone: chef, maitre, restaurant manager e bar manager, personale di
cucina, di bar e di sala, capi servizio, direttori generali e proprietà. In più, interagisce con gli ospiti e con i fornitori di
cibi e bevande. Di conseguenza deve essere semplice, non autoritario, ma anche abbastanza colto da poter
sostenere incontri impegnativi.
Questo ruolo di responsabilità si conquista, assicurano gli addetti ai lavori, dopo anni di gavetta e di esperienza
fatta sul campo. Partendo spesso dal primo gradino. Non è un caso, infatti, che alcuni dei più bravi F. & B. mgr.
abbiano iniziato facendo il cameriere o il barman, ricoprendo poi incarichi di responsabilità sempre maggiori: chef
de rang, sommelier, maitre e responsabile di banchetti.
Insomma, chi conosce a fondo i segreti che regolano l'arte della cucina e del bar ha buone possibilità di
intraprendere questa strada con successo.
In ogni caso è indispensabile una buona preparazione di base, da acquisire presso gli istituti alberghieri o con la
frequenza di corsi di formazione. Tra le competenze del F. & B. mgr., infine, ci deve essere la conoscenza delle
lingue straniere, almeno inglese, francese e tedesco.
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6. Il concierge
1. La situazione
Il concierge (portiere) sembra che sia più diffuso in paesi come gli Stati Uniti, anche perché aiutato da leggi che ne
consentono l'esistenza.
A New York, per esempio, alcuni anni fa - ma forse tuttora - i portieri del Waldorf Astoria, del vicino Intercontinental e dell'Hemsley Park Hotel
nonché degli altri alberghi del centro di Manhattan, gestivano un servizio tanto improprio quanto prezioso per portare i clienti agli aeroporti.
Cosicché, quando qualcuno ne aveva bisogno, bastava che lo dicesse al portiere del suo albergo perché gli riservasse un posto su una
"limousine" collettiva. Così, un'armata di "limousine" raccoglieva al momento giusto gli interessati di tutti gli alberghi, costando un quarto del taxi,
dando una maggior garanzia di arrivare in orario, e soprattutto eliminando il problema di trovare il taxi al momento giusto. E con, in più, il
vantaggio di essere rintracciabile attraverso l'albergo, con il quale era in contatto telefonico. Tanto che una volta sono riuscito a recuperare una
giacca dimenticata appunto in una "Iimousine" che mi aveva portato all'aeroporto, attraverso una semplice telefonata al portiere dell'albergo, il
St. Moritz on the Park. E in tutti questi alberghi i portieri tenevano il bagaglio del cliente in deposito senza domande, senza neppure chiedergli
se fosse un cliente dell'albergo: un servizio molto comodo per chi arrivava da lontano e non poteva fare quattro passi per la città se doveva
portarsi dietro i bagagli.
Purtroppo in Italia, e più generalmente in Europa, il ruolo del portiere appaltatore non va d'accordo con i contratti
collettivi di lavoro. E il portiere è diventato un lusso che non tutti si possono permettere. È così che i suoi ruoli sono
stati caricati al ricevimento, con un miglioramento di costi e con un peggioramento del servizio: perché a nessuno
degli addetti al ricevimento sono affidati in esclusiva i compiti un tempo delegati al portiere e quindi nessuno lo può
svolgere con lo stesso impegno, con la stessa competenza e - perché no - con lo stesso interesse personale. Al
punto che, in qualche albergo di un certo tono, da qualche tempo s'inserisce nel front office un "guest manager",
spesso donna, non solo con il compito di dare agli ospiti le informazioni nel passato fornite dal concierge, ma
anche con quello di offrire un servizio su misura, basato sulla conoscenza storica del cliente e quindi sulle sue
preferenze: di camera, di quotidiani da leggere, di prima colazione, di vini e così via.
Il concierge è senza dubbio la professione alberghiera più discussa quanto ad importanza, futuro e, addirittura,
esistenza.
Dunque, siccome è difficile credere che una professione sia allo stesso tempo essenziale e in via di estinzione,
siccome la maggior parte degli alberghi vive e prospera senza portiere, vale la pena di capire dove si collochi il
nocciolo della situazione, quasi in una logica da romanzo giallo.
E, così, incominciamo dalle funzioni: che non sono solo quelle di dare il benvenuto ai clienti e di farli
accompagnare in camera, ma soprattutto quella di fornire un'innumerevole serie di servizi paralleli.
Perché il portiere classico suggeriva ristoranti, prenotava posti, comprava biglietti di teatri, di stadi e di ogni evento
possibile, sapeva tutto su musei, sui personaggi, su incontri di ogni genere, chiamava taxi e carrozze, acquistava
biglietti di treni e, più tardi, anche di aerei; gestiva i bagagli dei clienti in entrata e in uscita e faceva ogni servizio
personale possibile, incluso quello di organizzare un pranzo di trenta persone e quello di procurare
accompagnatrici notturne non del tutto canoniche.
Tanto importanti e utili erano queste funzioni, che spesso i portieri non erano neppure pagati dall'albergo perché
vivevano di mance, tanto più pesanti quanto più importanti erano gli alberghi: a volte davvero incredibili. Fino al
punto che in molti alberghi di alto livello i portieri non solo non erano retribuiti ma, addirittura, pagavano l'albergo
per avere il diritto di esercitare la loro professione nel suo atrio: così come, d'altronde, continua tuttora in molti
Paesi fuori dell'Unione Europea.
Tanto radicata è l'importanza di queste funzioni nell'immaginario collettivo, che da qualche tempo si sta lanciando
una nuova professione, quella di "concierge privato", un personaggio che offre (a chi se lo può permettere) di
risolvere molti degli innumerevoli problemi che affliggono tutti noi: proprio i problemi a cui si dedicava il concierge
d'altri tempi e a cui si dedica il concierge degli alberghi di lusso.
Certo, si tratta di una professione elitaria, limitata ai grandi alberghi in grado di offrire ai propri clienti un servizio
davvero eccezionale. Ne è riprova il fatto che i portieri iscritti all'UIPA (Unione Italiana Portieri d'Albergo) sono circa
400: di poco superiore al numero degli alberghi a 5 stelle. Considerato che nessun albergo può avere un solo concierge, non fosse altro che nessuno può lavorare ventiquattro ore al giorno ( l'ufficio del portiere dell'hotel Cala di
Volpe, per esempio, occupa sei persone) è chiaro che il servizio fornito dai portieri è un lusso.
E, quanto alle funzioni, lasciamo la parola a Federico Barbarossa, presidente di UIPA:
"Il portiere è colui che per primo vede il cliente e l'ultimo, prima che lo stesso lasci la struttura. In questa sintesi potremmo definire la figura del
Concierge .... un padrone di casa, autentico punto di riferimento per ogni ospite, capace di soddisfare tutte le sue esigenze con la proverbiale
discrezionalità. E come ogni buon padrone di casa, si preoccupa di offrire loro la debita accoglienza, organizzando il loro trasferimento da e per
l'aeroporto, la stazione ferroviaria o il porto.
"Il portiere sa tutto sugli ospiti; è sempre a loro disposizione, tanto da divenire indispensabile per garantire loro un soggiorno indimenticabile. La
sua presenza offre sicurezza, qualità e massima soddisfazione: egli è la figura alla quale indirizzare ogni richiesta e nella quale riporre la
massima fiducia. Il concierge è l'amalgama tra i vari reparti, capace di rispondere al cliente in qualsiasi momento della giornata: saprà essere il
ricettore di sensazioni, desideri e lamentele, che egli farà proprie fino alla loro completa risoluzione.
"La centralità della sua figura porta spesso il portiere a dover interagire con altri reparti e ad avere un buon rapporto con i suoi interlocutori. Una
caratteristica, questa, che gli garantisce il successo nelle cose delle quali si fa carico. Non c'è, infatti, argomento al quale non sia chiamato a
rispondere: per questo motivo la sua figura non potrà mai prescindere da un livello di preparazione non comune. Infatti deve possedere un
elevato grado di cultura generale, conoscenza degli aspetti giuridici e legislativi delle strutture ricettive, padronanza di almeno tre lingue
straniere e modi di fare confacenti alla sua figura".
2. Un po' di storia dell'evoluzione
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L'idea che una porta importante - sia quella di una città, di un castello, di un palazzo patrizio o di governo, di una caserma, di un condominio o
di un albergo - debba essere presidiata da un personaggio dotato di un forte senso della responsabilità ma anche di una cultura sufficiente a
fargli capire chi accogliere, chi respingere e come aiutare chi ha bisogno, è antico come ogni civiltà. Talché qualcuno fa risalire la stessa parola
"concierge" al latino "conversus", mentre non ci sono dubbi sulla stretta connessione tra le parole italiane "porta" e "portiere".
Sta di fatto che il portiere ha avuto, nel tempo, un'evoluzione strettamente connessa alle sue funzioni reali. Negli edifici militari e pubblici, per
esempio, la funzione di sorveglianza vera e propria è stata distinta da quella dell'accoglienza perché la sentinella ha solo il compito - ormai
quasi formale - del presidio armato. E quindi l'ospite o l'intruso deve essere affrontato da qualcun altro, con poteri simili a quelli del portiere
moderno.
Nei condomini, viceversa, la funzione è svolta da una persona sola che, di solito, è alloggiata all'interno dell'edificio in condizioni inferiori a
quelle dei condomini e in più si occupa anche di manutenzione spicciola: col risultato di selezionare spesso persone di scarsa cultura, a cui
vengono rimproverate curiosità, pettegolezzo e maldicenza, facendo decadere l'immagine del portiere. Al punto che nei condomini di maggior
rilievo, specie all'estero, si tende a togliere al portiere i compiti più volgari e a nobilitarne l'immagine con l'uso di divise adeguate. In ogni modo il
portiere ha un costo, e questo costo è tanto più alto quanto più il portiere è importante.
Così, fin dal medioevo il portiere è prerogativa delle case signorili, dei nobili, dei ricchi, o delle congregazioni: ed ecco la caserma, il condominio
e l'albergo. Mentre, quanto ai compiti, anche questi sono tanto più importanti quanto più lo è l'ente che usa il portiere.
Dunque, mentre il condominio di Parigi, già nell' Ottocento, fa uso della tipica patetica concierge immortalata da Medardo Rosso e dai romanzi
di George Simenon, negli alberghi l'importanza del concierge va di pari passo con quella di chi se lo può permettere e lo usa come status
symbol.
D'altronde, a quanto pare, negli alberghi (a parte il padrone) all'inizio c'era solo il portiere. Sembra l'incipit del Vangelo di S. Giovanni, ma è solo
logico: in altri tempi, tutti i compiti di accoglienza e di soddisfazione delle esigenze dei clienti erano svolti dal portiere, appunto.
Quando non c'erano i telefoni - o, meglio, quando le telefonate interurbane erano una rarità e un lusso, quando un albergo come il Miramare di
Genova vantava il telegrafo all'interno dell'hotel - quando le prenotazioni erano fatte per lettera o per telegramma, quando erano poche e
bastava poco per registrarle. Quando il check-in, come fatto burocratico, era minimo, allora bastava l'accoglienza del portiere. Quando il check
out era soprattutto il pagamento, da fare in contanti perché non esistevano carte di credito e gli assegni erano guardati con diffidenza perché
erano solo "promesse di pagamento". Quando non esistevano neppure i contratti di lavoro, cosicché il portiere era un libero professionista
pagato dai clienti con le mance. Quando il front desk era rudimentale e si confondeva con la cassa. Quando non c'era Internet, quando i clienti
colti potevano al massimo disporre del Baedeker, della guida Michelin o di quelle dei vari Touring Club e quando il viaggio era davvero
un'avventura.
Però poi è gradualmente cambiato qualcosa. In Italia, negli anni '70, divenne obbligatorio assumere tutto il personale che lavorava negli alberghi
con contratti predefiniti e i concierge diventarono impiegati stabili per legge: quindi, quello che prima era un servizio dal quale certi alberghi
traevano addirittura un reddito, dopo divenne un costo. Mentre intanto il lavoro cambiava: il check-in e il check-out divennero più complicati, il
momento del pagamento divenne tanto difficile da richiedere procedure apposite onde evitare ai clienti di stare in fila per ore, l'acquisto dei
biglietti aerei divenne una vera e propria professione, la semplice consultazione degli orari delle linee aeree divenne un rebus, tanto che queste
attività vennero demandate ad agenzie di viaggi specializzate, ben liete di poter lavorare gratis per l'albergo, visto che sono pagate dai suoi
clienti.
E intanto prendevano sempre più consistenza le differenze fra tre categorie ben distinte di clienti: i clienti d'affari, i turisti e i privati, e i gruppi:
dove i primi, di solito, hanno bisogno di poco: arrivano, comprano, fanno gli affari propri sapendo dove andare e cosa fare, magari organizzati
dalla propria azienda, e alla fine spariscono;
dove gli ultimi - i gruppi organizzati - si comportano come estranei gestiti dai tour operators che ne sono il riferimento totale;
dove quindi restano i turisti e i privati, peraltro ben più colti dei loro antenati, vista la loro abitudine di documentarsi prima di partire: un tempo,
attraverso la consultazione di guide e manuali, ma oggi addirittura via Internet, che fornisce ogni informazione e consente di acquistare biglietti
per i teatri così come per lo stadio da qualunque parte del mondo.
Ecco, quindi, un aumento notevole delle funzioni tipiche del ricevimento, parallelo a un'equivalente riduzione delle funzioni tipiche del portiere.
Col risultato che il primo continuò a crescere e il secondo continuò a fornire - a spese dell'albergo - servizi che potevano essere svolti da
qualcun altro: ivi inclusa la funzione di accogliere i reclami che peraltro non faceva parte delle attribuzioni più proprie del portiere ma che
diventava sempre più importante per migliorare il servizio.
Da qui a sopprimere il portiere il passo è breve: anche se non si può pretendere che un qualunque addetto al ricevimento abbia l'autorevolezza
e la professionalità di un portiere anziano, esperto e preparato. Forse è questo il senso della frase riportata prima: "Concierge, non segretario:
una figura aggiornata ma sempre specifica ... il portiere di oggi è quello di ieri, con una maggiore preparazione ... " E questo è anche il senso
della sopravvivenza dei portieri in certi alberghi e in centri dove convergono numerosi i VIP e i clienti di alto livello come, per esempio, le case
da gioco. Perché qui restano i fondamentali che giustificano il portiere: il servizio, pur costoso, tiene perché è indispensabile, perché certi clienti
sono abituati a pagare e non si spaventano per mance di grosse dimensioni; e, in ogni modo, è un servizio pagato.
3. Il guest relation manager, un possibile punto d'arrivo
Comunque sia, è chiaro che l'addetto medio al ricevimento, quanto a rapporti con il cliente non è proprio l'ideale.
Perché, pur essendo impossibile non rispondere a un cliente che chiede servizi tipici del concierge, la risposta non
sarà mai soddisfacente se mancano una preparazione specifica e una precisa coscienza dei propri compiti; e in
certi casi, persino il chiedere un aiuto può sembrare fuori luogo.
Dunque, una preparazione specifica è indispensabile, mentre quella disponibile è lacunosa. Quindi è prevedibile
che chiunque voglia l'eccellenza del proprio albergo, presto o tardi sarà costretto a tornare sui suoi passi: senza
che ciò porti proprio a rigenerare il portiere di una volta, così com' era.
Come abbiamo già accennato, un'alternativa in futuro potrà essere quella del "guest relation manager", da un po' di
tempo sempre più frequente: una persona responsabile in prima persona della soddisfazione degli ospiti. Un erede
del portiere, preparato ad occuparsi della corretta gestione dei reclami e della soddisfazione dei bisogni dei clienti,
nonché delle pubbliche relazioni in generale. Una persona facile da individuare da parte di ogni cliente, per evitargli
d'imbattersi in qualcuno meno preparato e disponibile. Una persona destinata a lavorare in un posto dove la sua
funzione sia indicata in modo chiaro ed univoco: come quello del portiere di una volta.
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7. Lo chef
1. Il ruolo e la perfezione
Parlare dello chef significa esplorare i segreti di uno dei prodotti più importanti di ogni albergo: la cucina. E ci fa
entrare nel vivo di quella qualità che non è solo scenografia né servizio, ma arte.
Perché lo chef è responsabile di una qualità che può essere davvero eccellente solo a patto di una cura ed una
professionalità eccezionale. Perché è lui che, del ristorante, fa un luogo di grande attrazione. Oppure un luogo
banale, dove ci si limita a mangiare qualcosa, a "riempirsi la pancia".
Dal punto di vista dell'albergo, quindi, la scelta dello chef è strategica e può basarsi solo sulla capacità di
individuare la persona giusta. Perché scegliere uno chef significa saperlo valutare in base alla sua arte culinaria,
prima che in base alle sue capacità organizzative, in funzione di ciò che l'albergo vuole essere.
E questo non è da tutti, non è comune, perché implica una grande esperienza di ristoranti di qualità e implica saper
valutare la perfezione di un piatto - in rapporto a piatti analoghi preparati da altri cuochi in altri luoghi, per
competenza personale, non per sentito dire o per consiglio altrui. E significa essere capaci di valutare non un
singolo piatto ma ogni piatto, ogni cibo offerto, dall'antipasto al dessert, passando per i primi, per le carni, per i
legumi e così via: rendendo necessaria un' esperienza tanto ampia e profonda da essere quasi impossibile. Un
"quasi" dove c'è tutta la professionalità di un direttore capace, un "quasi" che implica un palato sottile e un
eccezionale un gusto per le raffinatezze.
Perché tutti i cuochi possono cucinare i carciofi alla giudia, la cotoletta e il risotto alla milanese, il pesto e i ravioli
alla ligure, la bistecca alla fiorentina e così via. Ma ci sono cuochi da strapazzo, cuochi buoni, cuochi eccezionali e
cuochi perfetti: se volessimo, potremmo citare almeno un ristorante di Roma, uno di Milano, uno di Genova e uno
di Firenze, uno di Carrù, uno di Ormea e uno di Cisano sul Neva (un premio speciale a chi sa dove sono queste
ultime tre località senza guardare in Internet) dove, secondo noi, si raggiunge la perfezione almeno per un piatto.
Anche perché il livello di tutti gli altri ristoranti che conosciamo ci è sempre sembrato inferiore.
Il punto è che la perfezione della cucina sembra un'opinione, mentre è un fatto, incontrovertibile. Come possa
succedere che un piatto sia perfetto in un certo posto, sempre, mentre non lo è negli altri posti, è misterioso.
Perché esistono le ricette, esistono le scuole di cucina, esiste tutto ciò che produce perfezione, ma in certi luoghi la
perfezione si raggiunge sempre e in altri mai.
Per quale motivo una certa catena alberghiera abbia fama di buona cucina e un'altra no, al di là di tutte le
spiegazioni ufficiali, resta un mistero. Perché non è solo un fatto di denaro: un cuoco ottimo non costa dieci volte
più di un cuoco mediocre e la materia prima è quella che è. Certo, si può risparmiare sia sul cuoco che sulla
materia prima, ottenendo per definizione un risultato mediocre: ma non sembra possibile che un albergo di qualità
si rassegni a un risultato mediocre se ha la perfezione a portata di mano e se, con la perfezione, ha
quell'eccellenza che permette di alzare i prezzi e così via.
Si può capire la mediocrità in una trattoria, il proprietario della quale è anche il cuoco: e, se non sa fare di meglio, è
giusto che sia così. Ma non si può capire la mediocrità del ristorante di un albergo dove il cuoco, lo chef, viene
assunto in base alla sua capacità.
A meno che la chiave di tutto stia nella capacità di palato e di giudizio di chi decide: del proprietario, del direttore,
del F.& B. manager. Una chiave di giudizio alla portata di chiunque voglia affrontare la carriera di chef: perché,
evidentemente, se chi deve assumerne uno non ha gli strumenti per decidere, anche la carriera dello chef è in
pericolo.
Dunque, il direttore perfetto (beninteso, limitatamente alla cucina e al ristorante) è quello capace di scegliere il
cuoco perfetto. Perché, a sua volta, il cuoco perfetto è capace di scegliere collaboratori altrettanto bravi ed è
capace anche di correggerli e di perfezionarli, se occorre. E, allora, tutto l'insieme è perfetto.
Poi, a parte questo modo per scegliere uno chef, ce ne è un altro molto meno impegnativo: ed è quello di affidarsi
alla fama di cui lo chef gode sul mercato, per poi lasciar fare a lui. Oppure, affidarsi al giudizio di qualcuno più
competente, come per esempio un F. & B. mgr. Questo può succedere quando il direttore manca dell' esperienza
sufficiente per decidere, di persona.
Il sospetto è che, come per tutte le arti, per la cucina esistano intenditori anche tra i dilettanti e i clienti. E che
esistano persone incapaci di giudicare anche tra gli esperti. Il risultato è che il cliente a volte si trova in un albergo
dove la cucina è eccellente mentre è scadente in altri alberghi del medesimo livello. E si domanda come sia
possibile. Mentre, se potesse indagare, scoprirebbe che da una parte c'è una solida linea di competenze che partono dal direttore e arrivano all'ultimo dei cuochi mentre, dall'altra, ci sono lacune di competenza perché alcuni
cuochi non sono perfetti e chi ne dovrebbe controllare i prodotti non ne è capace.
In ogni caso, con lo chef si entra nella produzione più raffinata dell'albergo. Perché lo chef, innanzitutto, è un
cuoco. Con un ruolo che, come tanti altri, deriva dalle case patrizie di altri tempi. Un ruolo che è anche quello di un
organizzatore, purché non si dimentichi che il ruolo professionale di base è appunto quello del cuoco.
Nella cucina di un ristorante (ma non solo nella cucina) il nome chef (francese, per "capo", ma a volte anche per
"padrone" e per "direttore", tanto per fare subito un po' di confusione) è usato per tanti compiti. Ma qui, per chef,
intendiamo innanzitutto colui il quale sovrintende la cucina, ossia lo "chef de cuisine". Colui che, insieme alla sua
brigata, è l'unico ad avere in mano i clienti o, se si preferisce, a prenderli per la gola. Per questo è importante. Per
questo può permettersi perfino di essere antipatico, come tutti coloro che stanno dietro le quinte e fanno un lavoro
faticoso (forse si dovrebbe dire "usurante") senza mai vedere nessuno di quelli ai quali il loro lavoro è diretto. Con
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la differenza che lo chef di un ristorante, a volte, viene chiamato alla ribalta per un ringraziamento pubblico. Cosa
che sfortunatamente succede ogni tanto anche agli chef più mediocri. Ma che non succede quasi mai a chi,
anziché cibi, produce automobili o lavatrici.
E, come tale, lo chef è anche quello che valuta le materie prime, le sceglie, e le usa trasformandole in manicaretti.
Se è bravo. E allora i clienti vengono, sono contenti, si passano la voce e fanno venire altri clienti.
2. I compiti e le responsabilità
Entrando nelle pieghe della professione si scopre che anche lo chef ha la sua consistente parte di lavoro
organizzativo e burocratico, ma pure il meccanico dell'officina all'angolo ha compiti organizzativi e burocratici e ciò
non toglie che venga scelto per la sua bravura di meccanico, ma non per come tratta i suoi operai o per come
adempie ai suoi doveri fiscali.
I compiti del primo chef, al minimo, sono quelli di occuparsi delle ricette di cucina, della preparazione e della
cottura dei cibi, anche se di questo, fisicamente, si occupano i suoi collaboratori. E, poi della creazione del menù,
dell'approvvigionamento delle materie prime, della verifica della loro qualità e della loro conservazione, nonché
della formazione del personale.
LA MAPPATURA DEGLI CHEF
GLI CHEF PRINCIPALI
- EXECUTIVE CHEF,
detto anche "primo chef" o, semplicemente, "chef"
- CHEF DE CUISINE,
detto anche "head-chef" ma anche solo "chef"
- SOUS-CHEF,
detto anche chef in seconda
GLI CHEF DI PARTITA
- SAUCIER
- Preparazione delle salse di ogni tipo, in particolare quelle calde e la cottura delle carni in umido, al salto e dei
brasati.
- Ròtisseur
- Cotture al forno, alla griglia, allo spiedo, delle fritture,
preparazione pollame, selvaggina e taglio patate fritte.
Nelle brigate piccole dove non c'è uno chef communard, prepara i secondi per il personale.
- GARDE-MANGER
- Antipasti, piatti freddi per buffet, salse fredde, approvvigionamento, gestione e conservazione carni, pesci e
altri
alimenti deperibili nelle
celle
frigorifere.
Disossamento carni, pulizia e sventramento pesci, pollame e selvaggina.
- Poissonier
- Preparazione di pesce, crostacei e molluschi (ma non
delle fritture e delle grigliate), delle salse, fumetti e fondi
a base di pesce, guarnitura piatti.
- ENTREMETIER - Piatti a base di uova, verdure (tranne quelle fritte o alla
griglia), purèe di verdure, legumi, guarnizioni e preparazione di farinacei e risotti. In Italia si occupa dei primi.
Prepara i primi e i contorni per il personale nelle brigate
piccole prive di chef communard.
- Potager - Preparazioni in brodo, zuppe, creme vellutate e consommé.
- Legumier
- Soprattutto legumi e verdure fritte e alla griglia.
- PATISSIER
- Paste salate, volauvent, tartellette ed altro, entremets
(soufflé, crèpes, budini, charlotte, ecc.), piccola pasticceria, pasticceria vera e propria. Croissant e brioches per la
colazione.
- Glacier - Preparazione dei gelati, dei sorbetti e delle cassate.
• Confiseur
- Assiste lo chef pàtìssier nella preparazione di decorazioni e preparati a base di zucchero e cioccolato.
- TOURNANT
- Rimpiazza i vari chef di partita durante i congedi e le
assenze, deve perciò conoscere tutte le attività di cucina .
• COMMUNARD
- Preparazione dei pasti per il personale.
Il primo chef è responsabile in toto di ciò che avviene in cucina.
E questo significa che coordina il lavoro dei membri della brigata di cucina, stabilendo i turni di lavoro e
assegnando i giorni di congedo; significa che dispone i compiti di ognuno, che indirizza e aiuta l'attività dei suoi collaboratori, che verifica gli ordini dei generi alimentari stilati dai suoi cuochi e dai suoi sotto-chef e che compila la
lista della spesa.
E, ultimo ma non meno importante, lo chef è responsabile del rispetto delle leggi in materia di igiene, di sicurezza,
di conservazione dei cibi: leggi sempre più complicate e con risvolti non solo civili ma anche penali, tali da poter
compromettere il buon nome dell' albergo, oltre che dei suoi ristoranti.
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Agli ordini diretti del primo chef ci sono i sotto-chef, detti anche chef in seconda e quindi i cuochi, detti anche chef di partita, i quali a loro volta
possono essere aiutati da specialisti di vario tipo. Comunque sia, si tratta sempre di quelli che fanno da mangiare. O, meglio, di quelli che hanno
la responsabilità di un certo settore: come il settore freddo, quello degli antipasti, quello della cottura dei primi, delle carni e così via. Dove ogni
singolo cuoco può essere capo del suo singolo reparto di lavoro. E dove la struttura rispecchia un ordine gerarchico con un vertice che
distribuisce i vari compiti in termini così militari che il personale di cucina si chiama "brigata".
Il cuoco è quello che cucina fisicamente, con il suo aiutante o con più aiutanti che operano mettendo in pratica le
sue direttive. E deve essere sempre presente quando ci sono cambiamenti di procedura. Per indirizzare o
correggere e in ogni caso per assaggiare il prodotto finale. Salvo mettersi a far da mangiare di persona per
mostrare come va preparato un piatto nuovo, se questo non è ancora stato sperimentato.
Perché tra i compiti dello chef c'è anche quello di essere attento alle evoluzioni della cucina, di aggiornarsi e anche
di mettere in pratica una sua idea di un diverso modo di preparare un certo manicaretto. Anche perché con gli anni
sviluppa un senso critico personale che va oltre le ricette codificate.
3. Il ruolo organizzativo e gli acquisti
Tra le funzioni organizzative dello chef è essenziale quella relativa agli acquisti di materie prime, che va dalla
creazione della lista della spesa all' acquisto vero e proprio con alcune varianti.
Dove la differenza maggiore, fra un albergo e l'altro, consiste nel fatto che esista un F. & B. rngr., oppure no. Visto
che, se questo non c'è, le sue funzioni vengono svolte dallo chef con la collaborazione dell'economo. Dove lo chef
propone gli acquisti e l'economo li attua fisicamente, tenendo sotto controllo soprattutto i prezzi che possono
variare più sensibilmente in base alla stagionalità, come quelli di certe verdure e del pesce.
Dove poi, per alcuni acquisti come quelli giornalieri delle verdure, delle carni e del pesce, si occupa personalmente
lo chef perché ne controlla quotidianamente la presenza nella cucina, ossia nel suo reparto. Mentre l'economo si
occupa delle cose che vanno a magazzino, come la pasta, l'olio ecc. Dove per i fornitori vengono fatte ricerche
continue, confrontandone due o tre per ogni tipo di acquisto e promuovendo chi dà le maggiori garanzie. E dove la
situazione è molto diversa a seconda che si tratti di un albergo singolo, che di solito acquista su piazza tutto ciò
che gli serve, salvo i prodotti di base, acquistati in genere direttamente dai produttori. Mentre alcune catene
alberghiere si appoggiano a fornitori di grosse dimensioni, senza nessun riguardo per il fatto che siano vicini o
lontani dal singolo albergo.
La seconda funzione organizzativa dello chef è quella relativa al menu.
Che è la conseguenza di una decisione di gruppo alla quale partecipa sempre anche il direttore, con una
collaborazione più o meno impegnata del maitre, perché da una parte c'è l'abilità della cucina mentre dall'altra c'è
tutta una serie di considerazioni di marketing legate al tipo di clientela, all' area geografica, al tipo di albergo, al
peso della banchettistica e così via.
4 La preparazione professionale, la provenienza, la carriera
In generale, il lavoro dello chef dipende da una vocazione. Ma la preparazione di solito è rigorosa, a incominciare
dalla scuola. Nel passato le scuole erano poche e la preparazione pratica era l'unica possibile. Poi, col tempo, le
cose sono cambiate cosicché la preparazione scolastica è sempre più necessaria, anche perché è l'unica a poter
fornire certe conoscenze di base, non strettamente culinarie ma altrettanto indispensabili per uno chef di primo
livello: come le nozioni relative agli acquisti, alla conservazione degli alimenti, alla contabilità, alla sicurezza del
lavoro e alla responsabilità civile e penale sia verso il ristorante sia nei confronti dei suoi clienti.
Esistono ottime scuole per chef un po' dappertutto nel mondo, in particolare nei principali centri di cucina, quali
Parigi, San Francisco, New York, Tokyo e Roma. Ma non solo. Perché esistono programmi per cuochi e chef
anche in diverse Scuole Superiori e Università, soprattutto straniere.
Anche in Italia le scuole per chef sono numerose, almeno una ventina, alcune delle quali rappresentano un vero e
proprio classico.
Terminata la scuola, i cuochi di solito entrano in un ristorante, dove fanno pratica di tutte le attività necessarie,
finalizzate alla preparazione di alimenti, fino a quando finalmente non hanno guadagnato l'esperienza necessaria
per diventare un primo chef.
QUALCHE SCUOLA PER CUOCHI PROFESSIONALI IN ITALIA
La scuola del Gambero Rosso
Via Enrico Fermi 161, Roma
06 -5511.2 211 ANGELO TROIANI
ALMA, Scuola internazionale di cucina italiana
Piazza Garibaldi, 26 - Colorno (Parma)
0521-52.52.11 GUALTIERO MARCHESI
ITAL.COOK. Istituto Superiore di Gastronomia
Palazzo Balleani, via F. Conti n. 5, Jesi (AN)
Scuola di Arte Culinaria Cordon Bleu
Viale del Pattinaggio 100 Roma EURO
0731-56.400
6-541.4048
CAST Alimenti srl Centro Arte Scienza Tecnologia dell'Alimento
Via Serenissima, 5 - Brescia
030-235.0076 IGINIO MASSARI
ARDUINO TASSI
ANNA MARIA PAVIA
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Etoile Istituto Superiore di Arti Culinarie Lungomare Adriatico, 50 Sottomarina (VE)
041-554.3080 ROSSANO Boscolo
La Pentola delle Meraviglie Via Aretina, 118 r – Firenze
055-670.205
BARBARA DESIDERI
A tavola con lo Chef
Via dei Gracchi 60 - Roma
ANTONIO SCIULLO 06-322.2096
GIOVANNI GIGLIO
8. Il maitre d'hotel
1.Origini e storia
Il maitre d'hotel è una delle figure classiche della ristorazione - e quindi degli alberghi - a differenza del revenue &
yield mgr. e del F. & B. mgr., che abbiamo definito "oggetti quasi misteriosi" perché sono così nuovi da non essere
conosciuti bene neppure da tutti, pur essendo ormai figure di rilievo sempre più diffuse.
Il maitre d'hotel invece è una figura familiare che ha mille compiti, da quello di accogliere il cliente, metterlo a suo
agio e offrirgli il meglio della casa, fino a prendere "la commanda". E tante altre cose visto che, anche nel caso del
maitre, sia i compiti quanto i personaggi sono proliferati in modo insospettabile. Perché, se appena appena il
ristorante ha una certa dimensione e un certo livello, il maitre d'hotel si sdoppia in primo e secondi maitre, o
addirittura in "maitre de rang". Dove i compiti sono diversi e dove per "rang" si intende un certo gruppo di tavoli,
quello governato appunto da un certo sotto-maitre.
2. II ruolo e le responsabilità
È curioso che, tutto sommato e per quanto sembri paradossale, nella pratica dei ristoranti comuni i compiti del
maìtre siano ben più complessi di quelli dei maitre di Chez Maxim. Perché il nostro maitre, di solito, è un vero e
proprio direttore di sala.
Quanto alle altre funzioni classiche, nella pratica dei ristoranti normali, il fatto che le prenotazioni vengano prese
dal maitre o da qualcun altro non è importante. Mentre è essenziale che vengano gestite professionalmente e che i
tavoli siano assegnati tenendo conto del valore e delle preferenze dei clienti, nonché della dimensione dei gruppi.
E anche il benvenuto ai clienti, nonché l'accompagnamento al loro tavolo, è una faccenda variabile da luogo a
luogo. Tanto che non serve neppure che l'accompagnatore sia il maitre. Per esempio, nei ristoranti americani
l'accoglienza viene fatta spesso da una bella ragazza in piedi dietro un deschetto simile a quello usato dal
Presidente degli Stati Uniti nelle conferenze stampa. Un deschetto su cui troneggia il quaderno delle prenotazioni.
E da cui la responsabile si allontana solo per accompagnare al tavolo i clienti. A meno che sia tanto impegnata da
avere bisogno di assistenti.
Affidare l'accoglienza e l'accompagnamento dei clienti a una bella ragazza ha almeno un vantaggio che forse Chez
Maxim avrebbe considerato del tutto eterodosso, ma che invece è solo funzionale. Ed è che il maitre ha da fare
cose più importanti, anche se qualche cliente potrebbe seccarsi se non è accompagnato proprio da lui: un'ottima
ragione per trovare un sostituto migliore. Di qui, appunto, l'idea di rimpiazzarlo con una ragazza esteticamente
piacevole, vestita in modo consono e bene addestrata. Si consideri che la decisione di dove sistemare i clienti
richiede una capacità organizzativa, anche se il cliente non ne è consapevole. E in America, addirittura, richiede la
capacità di indirizzare i clienti al giusto tavolo soprattutto per attribuire un numero di clienti equo a tutti i camerieri,
visto che costoro vivono di servizio e che, se i clienti si concentrassero tutti in una certa zona della sala, qualche
cameriere guadagnerebbe troppo e qualcun altro non abbastanza.
Dopodiché, resta il problema di chi raccoglie la commanda. Ma anche qui non si tratta necessariamente del maitre,
Anche perché i tavoli di cui costui si deve occupare sono troppo numerosi per una sola persona. E quindi va
sostituito da uno chef de rang il cui titolo, peraltro, nella cultura del cliente medio italiano è del tutto ignoto: e non è
un male, visto che sono solo affari suoi. Dunque il maitre tenderà ad occuparsi solo dei clienti di un certo tipo, di un
certo rango, di quelli che lo conoscono personalmente e di quelli che considererebbero oltraggioso essere gestiti
da qualcuno meno importante di lui.
E dopo il maitre dovrebbe arrivare il sommelier. Il quale, viceversa, esiste solo in ristoranti eccezionali per servizio
e quindi, necessariamente, anche per prezzo. Mentre, nei ristoranti più comuni, è sostituito da un cameriere che,
prima di raccogliere la commanda, di solito domanda subito al cliente "che cosa vuol bere?" In pura antitesi rispetto
al concetto di sommelier, visto che ignora come il cliente non possa avere idee chiare in proposito perché non ha
ancora letto il menu, non ha ancora deciso cosa mangiare e non ha la più vaga idea dei vini offerti dalla casa: a
meno che la risposta attesa sia solo un'alternativa tra "bianco", "rosso" e acqua minerale.
Ebbene, in questi casi è lecito sospettare che sia proprio il maitre ad avere qualche lacuna professionale: perché
sarebbe facile spiegare ai camerieri che questa, forse, non è la strada giusta. A meno che non venga considerata
solo dal punto di vista del conto. Perché tutti sanno che il cliente, se beve subito, beve di più: e che più beve più
spende. Tanto che su questo punto speculano le pizzerie, che guadagnano più sulla birra che sulla pizza e sanno
che la sete vien mangiando, soprattutto quando si mangia pizza e si aspetta mezz'ora prima che questa arrivi.
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In ogni modo, le principali lacune professionali del maitre si concentrano soprattutto in tre aree: quella della
precisione/puntualità del servizio, quella dell'impeccabilità dei camerieri (divise incluse) e quella della pulizia/ordine
del ristorante in genere. Perché poche cose hanno un aspetto negativo come l'attesa interminabile di fronte a un
tavolo vuoto, i camerieri impillaccherati o maleodoranti, i tavoli smessi in disordine, coperti di piatti e di posate
sporche, e le aree di servizio impastrocchiate. Anche se ritardi, distrazioni e imprecisioni di servizio sono più che
ampiamente compensati dal prezzo. Che, nei casi simili al Chez Maxim, alla Tour d'Argent o da Lasserre è
abbastanza alto da scoraggiare i più forti - a meno che non abbiano rimborsi a piè di lista - tanto da far preferire un
po' d'imperfezioni tutto sommato veniali.
Tanto più quando i ritardi sono compensati da stuzzichini, tranci di focaccia o antipasti non richiesti che, oltre alla
funzione di riempire i tempi morti all'inizio, hanno quella di stuzzicare la sete. Cosa che non guasta mai.
3. I ruoli sconosciuti
Se invece si guarda ai compiti del maitre ignoti al cliente in quanto non visibili, le cose sono più complicate e
dipendono dalla struttura organizzativa di cui il maitre fa parte:
alcuni compiti non sono discutibili, come la gestione del personale, degli orari di lavoro, della mobilità interna e
della copertura dei turni, della corretta applicazione delle procedure operative ed amministrative, della gestione del
servizio di sala, del controllo che questo sia inappuntabile, cortese, efficace e sollecito;
- altri compiti dipendono dall'esistenza o meno di un F. & B. mgr.
Perché, se questo c'è, il maitre riporta a lui e i suoi compiti organizzativi si limitano a un aiuto in fase di
preparazione dei menu, dei budget e della gestione del personale. Mentre se l'F & B. mgr. non c'è, il compito del
maitre è più pesante e rassomiglia molto più a quello di un vero e proprio restaurant manager. E in questo caso
anche la scelta del menu può dipendere molto dalla sua esperienza, oltre a quella dello chef e del direttore. Anche
perché, quanto al budget e all'organizzazione del personale, solo lui può sapere cosa gli serve e quanto può
costare;
-quanto a certi aspetti tecnici pratici - sostituire le attrezzature obsolete o antiestetiche, curare l'estetica del
ristorante, la sua ambientazione e la sua decorazione, l'uso di fiori e così via - può darsi che questi dipendano in
parte da lui, ma certo dipendono molto di più da chi tiene i cordoni della borsa. Nella fattispecie, proprio dal F. & B.
mgr., dal direttore e dalla proprietà.
In ogni caso, una funzione è assolutamente tipica del maitre d'hotel, allo stesso livello del front office manager e
del barman: la fidelizzazione dei clienti. Perché gli avventori passano al ristorante un tempo più lungo di quello che
passano al bar, e infinitamente più lungo che davanti al banco del ricevimento. E la combinazione tra la qualità e il
servizio può essere straordinariamente convincente. Anche perché il contatto con il ristorante di solito è caldo e
amichevole, mentre quello col ricevimento è per la maggior parte burocratico. Una ragione di più per cercare di
attrarre i clienti al ristorante.
Il maitre che, magari a causa del suo abito troppo formale, diventa rigido, inutilmente untuoso e salottiero e che, al
momento in cui il cliente si lamenta che il vino non è fresco come dovrebbe essere, divaga in futili spiegazioni
senza precipitarsi a sostituirlo subito con il vino giusto: ebbene, questo è un maitre incapace di interpretare al
meglio il suo ruolo.
4. La preparazione, la provenienza, la carriera
Il direttore di Chez Maxim aveva iniziato la carriera come commis di sala. I casi di direttori d'albergo che hanno
iniziato come commis di sala o come chef de rang non si contano. E probabilmente non esistono maitre che non
abbiano incominciato alla stessa maniera.
Dunque, senza nulla togliere all'importanza della preparazione scolastica, si potrebbe quasi dire che per diventare
un buon maitre non serve tanto la preparazione teorica quanto l'intelligenza, l'apertura mentale, la capacità di
servire il cliente, quella di capire il concetto di fidelizzazione nei suoi aspetti pratici più correnti. E, naturalmente,
serve la provenienza dalla gavetta, l'aver lavorato fin dall'inizio in tutti i ruoli possibili della sala. Ma soprattutto
serve che abbia servito agli ordini di un maitre di valore, capace di insegnargli il mestiere.
Dire che il maitre deve conoscere almeno un paio di lingue suona ovvio.
Così come è ovvio che debba saper usare un PC, né più ne meno di quanto è ovvio che debba saper usare un
telefono o un citofono: sono solo strumenti del mestiere. Se non sa usarli non può fare il maitre, quindi sono un
prerequisito indispensabile. Esattamente come lo sono le qualità elencate al punto che precede.
Tuttavia per fare un maitre davvero valido non ci sembra che serva molt'altra scuola. Secondo noi la scuola è utile
soprattutto a chi pensa di svolgere questo compito di passaggio, per diventare F. & B. mgr. o magari direttore.
Viceversa, per chi vuole fare questo lavoro come obiettivo della sua vita, occorrono qualità che, di solito, non
appartengono né alla razza dei F. & B. mgr. né a quella dei direttori: per esempio, la modestia, la pazienza, il
piacere di essere a contatto quotidiano con il cliente, di ricevere qualche apprezzamento e, magari, qualche buona
mancia.
9. Il sommelier
1. II ruolo
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Il concetto fondamentale su cui si basa ciò che gira intorno al vino è che questo "si degusta e non si beve".
Un concetto da sommelier abbastanza curioso ed è più un consiglio che un concetto, visto che alzare il gomito un po' troppo è tutt'altro che raro.
E visto che, quando si entra in un ristorante, bere solo vino ignorando l'acqua è tutt'altro che insolito, anche se questo bere è tutt'altro che pura
degustazione, anche se questo bere può creare problemi a chi guida.
In ogni modo lo prendiamo per buono anche perché ci piace. E, inevitabilmente, ne derivano almeno due conseguenze:
la prima, importante, è che ai pasti deve essere sempre presente anche l'acqua: essenziale per dissetarsi senza bere troppo vino. Di
qui la necessità di almeno due bicchieri, altrimenti non si può bere acqua senza aver prima finito il vino, come si fa di solito a casa o nei
ristoranti più modesti, magari con la speranza neanche tanto nascosta che il cliente spenda di più, magari rischiando la sbronza;
la seconda, frivola, è che intorno al vino si è creato un mucchio di regole, d'idee, di riti e di snobismi, tutti legati al concetto di "degustazione", appunto, e tutti impossibili da trovare intorno ad altri cibi o bevande.
Di qui il concetto di sommelier, il degustatore per eccellenza, l'esperto e il maestro dei vini, indispensabile se si vuol bere (scusate, "degustare")
qualcosa di eccezionale. Anche se l'etimologia del termine "sommelier" ha un'origine curiosa che, con questi concetti, ha poco a che fare:
perché sembra che venga dalla parola "soma", che indica il carico dei somari. Riferendola, si suppone, al caricare sul basto le botticelle di vino
in modo assai attento onde non si rovinassero, richiedendo in chi le manipolava una professionalità così speciale da far estendere il termine,
"sommelier", ossia colui che gestisce questo carico, a colui che magari lo vende, e quindi lo fa gustare eccetera.
Ma, ai giorni nostri, l'aspetto più curioso relativo al sommelier è il contrasto tra due opposte evidenze, che ne fanno una sorta di "professionista
misterioso", un po' come il concierge. Perché il sommelier esiste, perché tutti ne hanno visto qualcuno all'opera chissà quando e chissà dove,
completo di divisa e di taste-vin d'argento come la catena a cui è appeso. Solo che di solito non è per niente chiaro dove sia imboscato. Perché,
ai nostri giorni, se andiamo a cercare un sommelier anche nel ristorante di un albergo a cinque stelle, facciamo fatica. O, meglio, di solito non
ne vediamo.
Eppure è innegabile che i vini offerti da alberghi e ristoranti, in genere siano migliori che nel passato. E non c'è dubbio che trovare un vino con
sapore di tappo sia sempre più raro. In più, soprattutto quando andiamo in ristoranti un po' al disopra della media, ci sentiamo spesso offrire vini
di cui non avevamo mai sentito parlare e che, di solito, sono una gradita sorpresa. Dunque, è lecito supporre che dietro questi vini ci sia
qualcuno. Ed è probabile che questo qualcuno sia un sommelier, o almeno qualcuno con un diploma di sommelier.
Poi, approfondendo, si scopre che i sommelier non solo esistono ancora, ma sono tanti, tantissimi: in Italia, per esempio gli iscritti alle due
associazioni maggiori (AIS e FISAR) sono qualcosa come 45.000 (sì, davvero quarantacinquemila), dei quali solo 10.000 professionisti. Dunque
non sono pochi: i restanti 35.000 sono amatori, privati, magari personaggi che hanno studiato, hanno superato un esame e si sono iscritti a un'
associazione per puro diletto.
Tuttavia resta che i diecimila professionisti continuano a essere poco visibili negli alberghi, e questo sorprende i profani. Almeno a prima vista.
Perché, invece, il punto è che i sommelier hanno davvero innumerevoli compiti invisibili, e non solo in alberghi o ristoranti. Perché molti di loro
lavorano nella grande distribuzione a promuovere le singole aziende del vino, nei wine bar, enoteche, nelle cantine come tecnici, nelle scuole
come insegnanti, nelle redazioni come giornalisti. E poi molti sommelier sono impiegati nelle grandi catene alberghiere, ma più per gli acquisti
che per offrire il vino in sala. Col risultato che i clienti non li vedono.
Quanto agli alberghi e ai relativi ristoranti, si calcola che assorbano i restanti quattromila: non molti, considerato che i soli alberghi a quattro e a
cinque stelle sono più di diecimila. E per i ristoranti che non possono (o non vogliono) permettersi un sommelier, esistono anche i sommelier
liberi professionisti, o free-lance che dir si voglia, da prendere in affitto anche per un solo giorno o per un evento tale da rendere la sua assenza
criticabile da parte del cliente. Al profano l'esistenza di quest' attività appare addirittura strana, eppure sembra che funzioni. E pare che, per i
sommelier, sia una fonte non trascurabile di soddisfazioni e di guadagno. Al punto che qualcuno di loro preferisce questo lavoro precario
all'occupazione fissa in un albergo di rilievo.
In più ci sono le nuove tendenze. Una è costituita dai proprietari di alberghi che vanno a scuola per imparare l'arte del sommelier, nel proprio
interesse. Un'altra è la diffusione crescente del cuoco sommelier, che va in sala a prendere la commanda e a farsi fare i complimenti dal cliente,
soprattutto quando si tratta di un cuoco padrone che fa anche il sommelier. Poi si calcola che spesso il F. & B. sia un sommelier e che numerosi
siano i maitre, i barman e gli chef de rang con il diploma di sommelier. Oltre al fatto che la figura del maitre/sornmelier si sta sviluppando,
proprio a cura delle associazioni italiane: si tratta di una sorta di direttore generale del ristorante, capace di essere entrambe le cose. Lo
vedremo meglio più avanti, dove parleremo di associazioni.
In più, almeno secondo i sommelier, nei locali importanti dove c'è qualcuno di loro, il loro costo è ampiamente pagato dal maggior valore del
venduto. E, certamente, una persona che conosce il vino abbastanza bene da far incuriosire il cliente e da indurlo a provare, non può che
essere positiva dal punto di vista del marketing.
In conclusione, almeno in Italia, a quanto pare la professione del sommelier, che a prima vista sembrerebbe in declino fino alla scomparsa,
potrebbe essere addirittura in evoluzione. I sommelier forse sono ancora pochi. Ed è possibile che, con il passare degli anni, la loro presenza e
il loro numero aumenti in un modo che, al momento, è ancora del tutto imprevedibile.
2. I compiti e le responsabilità
I compiti e le responsabilità del sommelier d'albergo sono quelli di aiutare l'azienda ad acquistare i vini consapevolmente e di aiutare i clienti a
scegliere un vino descrivendone il sapore, i pregi, i difetti e il prezzo.
L'aiuto all'acquisto è tanto più importante per le catene alberghiere che appaltano gli acquisti a grosse aziende e che sono in una posizione
particolarmente delicata perché, se non hanno una sufficiente cultura vinicola interna - dunque, una persona col diploma di sommelier e con
abbastanza tempo da dedicare agli acquisti - rischiano di appiattirsi sui vini offerti dai loro fornitori, che non hanno necessariamente i loro stessi
punti di vista circa il modo di soddisfare i clienti. E queste sono una capacità e una responsabilità che, in mancanza di un sommelier dedicato,
possono appartenere solo a un F. & B. manager, a un direttore, o a un proprietario.
Il fatto, poi, che questa capacità l'abbiano anche i maitre e i camerieri serve ad evitare gli errori più comuni: come quello di servire un vino sbagliato, un vino che sa di tappo, un vino a una temperatura diversa da quella ideale. E ad evitare che il ristorante dimentichi i più elementari
accorgimenti per far sì che il vino, una volta sul tavolo, possa mantenere la giusta temperatura per il tempo necessario. Tutti accorgimenti che,
oltre ad essere elementari dal punto di vista professionale, non costano nulla: quindi la loro assenza si spiega solo con l'ignoranza da parte di
chi serve: un'ignoranza tale da non fargli neppure capire l'impatto che possono avere sui clienti.
Personalmente devo la mia conoscenza di vini e di liquori, per quanto modesta, soprattutto al personale degli alberghi e dei ristoranti. Perché
sono stati loro a farmi conoscere certi vini che altrimenti ignorerei completamente. O liquori come il Calvados o come i whisky torbati di cui non
avevo mai sentito parlare prima che me ne facesse assaggiare uno il barman dell'Hotel Capo Taormina in Sicilia.
Se c'è un appunto da fare a questi signori è che poche cose sono così facili da dimenticare come i nomi dei vini e quindi non sarebbe male se
esistessero sistemi adeguati per aiutare a memorizzarli: ma questa è un'altra faccenda. Peccato, poi, che quando si prova ad acquistare un vino
raccomandato da un sommelier, di solito si rimane sconvolti dal prezzo: che probabilmente per lui è ragionevole e per noi no. Anche perché lo
compriamo al dettaglio.
3. La preparazione professionale
L'origine della professione di sommelier è attribuita a un certo Dom Pierre Perignon, un monaco del Seicento nella regione di Reims in Francia,
dove si trovava l'abbazia in cui viveva e dove si coltivava un'uva chiamata Pinot Noir. Che serviva a fare un buon vino bianco con un difetto:
tendeva a diventare effervescente. Dom Pierre, a quanto si dice, passò un mucchio di tempo a cercare di togliere l'effervescenza dal vino finché
capì che, forse, non era un difetto ma un pregio. E allora si rassegnò e trovò il modo di legare il tappo alla bottiglia, per evitare che saltasse. E
quindi passò a cercare le migliori combinazioni finché, a furia di provare, produsse un vino di successo che, in onore alla regione di provenienza
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si chiamò Champagne. Dom Pierre Perignon è oggi considerato l'antesignano dei vinificatori e degli intenditori di vini e quindi, inevitabilmente,
dei sommelier.
Al giorno d'oggi molte cose sono cambiate e la preparazione professionale possibile del sommelier è davvero sterminata, bene al di là di quanto
un profano possa supporre. Innanzitutto perché non si limita ai vini, ma si estende a liquori, birre, soft-drinks, cocktails, acque minerali e
tabacchi, cosicché in certi ristoranti esistono sommelier per l'acqua, per i whisky, per i sigari e così via. E poi perché, quanto alla cultura, quella
del sommelier non si limita al giudizio sul vino ma si estende a materie difficili da immaginare, se non si è del mestiere: va dalla conoscenza dei
nomi di vini e di vigneti di qui alla Nuova Zelanda, alla loro geografia, alle loro caratteristiche organolettiche , alle occasioni in cui è meglio berne
uno piuttosto che un'altro, agli accoppiamenti ideali con i cibi e con le occasioni, per non parlare del tipo di bicchiere da adoperare. Che per un
profano è solo un fatto di estetica, di moda e di sofisticheria mentre per loro è un modo per esaltare il sapore, il profumo e quant' altro. E a tutto
ciò si aggiungono gli aspetti organizzativi: perché dal sommelier ci si aspetta che sappia gestire una cantina, che si occupi dei vini nel modo in
cui si gestiscono gli investimenti e le spese correnti, tanto più che il vino è deperibile, che ha una vita tutta sua e che il modo per conservarlo
dipende dal tipo: una professione nella professione.
Quanto, poi, all'assaggio del vino, questa è una faccenda complessa e delicata che implica tre esami (visivo, olfattivo e gustativo), ognuno dei
quali ha una serie di elementi di controllo per stabilire se il colore, la viscosità, il gusto e il profumo sono quelli che devono essere. Di qui il
sistema di far girare il vino in tondo all'interno del bicchiere in modo che risalga sulle pareti per vedere con quale geografia scende, il sistema di
fiutare tanto il vino che il tappo e quello, alla fine, di assaggiare: un insieme di operazioni che, al profano, danno più l'impressione di una liturgia
che quella di un esame tecnico qual è.
E poi c'è la serie di bicchieri esibita per ogni commensale nei ristoranti di un certo livello: un'esibizione che ai profani sembra di nuovo la premessa di un rito mentre risponde alla necessità di esaltare i sapori e i profumi. Dove la flute - il calice stretto - serve a regolare il flusso dei
profumi dello champagne o dello spumante secco, mentre il bicchiere panciuto serve ad ossigenare e ad esaltare i profumi del vino rosso, tanto
più quando è strutturato e invecchiato. E così via. Scusate se sembra complicato e sottile.
Con la conseguenza di creare un'atmosfera iniziatica tale da far la differenza fra un ristorante di lusso e un ristorante qualunque: ma anche tra
un ristorante snob ed un altro più modesto, dove si spende meno e magari si mangia e si beve bene, ma senza la scenografia che
contraddistingue certe scelte importanti di comunicazione.
4. Le associazioni e le scuole
Il primo risultato è che i sommelier fanno studi approfonditi e concorsi dove la materia, a un profano, suona semplicemente folle. Il secondo
risultato è il fiorire di associazioni di sommelier che, al loro vertice, hanno spesso personaggi noti per motivi ben diversi da quello di conoscere i
vini. Abbiamo trovato in giro una fioritura di iniziative di cui non sospettavamo la dimensione. Tanto che ci sembra importante citarne qualcuna
tra le maggiori.
In Francia, la Confraternita dei Cavalieri del Taste-vin (Confrérie des Chevaliers du Tastevin) è un circolo di appassionati di vini di Borgogna, ha
la sede nel castello di Clos de Vougeot nella regione francese della Cote d'Or. È governata dal Grand Conseil of Chevaliers, il suo presidente è
chiamato Gran Maestro ed ha addirittura una filiale negli Stati Uniti.
Negli Stati Uniti, la più antica organizzazione dove si insegnano i segreti del vino è la Sommelier Society of America fondata nel 1954 con sede
in New York City. Mentre l'unico Board of Education autorizzato a far scuola di sommelier certificata nel Nord America vanta di essere la r.S.G.
(International Sommelier Guild) che fa corsi in più di 20 Stati, opera anche in Canada e in Cina.
In Inghilterra esistono il Wine and Spirit Education Trust (una scuola di fama mondiale specializzata nell' insegnamento di tutto ciò che sta
attorno al mondo del vino) e la Court of Master Sommeliers (Corte dei Maestri Sommelier), che assegna uno dei diplomi di sommelier più
prestigio si del mondo.
L'Italia, per una volta, vanta qualcosa di più. Prima di tutto perché l'AIS, Associazione Italiana Sommelier, con sede a Milano, con 33.000 iscritti,
è la maggiore del mondo, cui si aggiunge la FISAR, Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori, con sede ad Asciano Pisano, con
altri 12.000 iscritti.
Poi perché queste associazioni, lavorando insieme all' AMIRA (l'associazione dei maitre) sta sviluppando una nuova figura di maitre/sommelier:
cosicché i maitre fanno i corsi AIS e viceversa, con lo scopo finale di integrare le due professioni. Col risultato che il sommelier è diventato un
nuovo profilo professionale indispensabile, tanto che ora è stato inserito anche nel contratto di lavoro del turismo, come terzo livello.
In più, quest' anno, dall' AIS è nata anche la WSA (Worldwide Sommelier Association) un'associazione mondiale di associazioni. Con un
presidente italiano, un vice americano ed uno spagnolo. Per fare formazione, degustazione, per valorizzare le eccellenze, per proteggere la
filiera dell'agroalimentare italiano e per creare eventi di ogni tipo.
10. Il barman
1. L'arte del barman
Nella scienza dell'ospitalità e della ristorazione, il mestiere del barman (con quello del cuoco) è l'unico a meritare la
qualifica di arte: intendendo questo termine nel suo senso di capacità di creare il nuovo. Non tanto e non solo
come ricetta di prodotto, quanto nel modo di porgere e di accattivare il cliente.
Chi non ci crede, basta che vada a trovare Tony Micelotta, per gli inglesi "the Duke of Martini", oggi primo barman del Bentley Hotel, cinque
stelle a Genova. E si faccia preparare un Martini alla sua maniera: scoprirà che prende un calice ghiacciato, spruzza al suo interno un niente di
vermouth Martini dry con un vaporizzatore da profumi, aggiunge vodka "Potocki". Poi prende un limone naturale, senza trattamenti superficiali,
acquistato al Mercato Orientale - il più antico e famoso di Genova, a due passi dall'albergo - ne trae una fettina di scorza, ne spruzza il
contenuto nel bicchiere e lascia la scorza a bagno: questo è il suo Martini. Il risultato è stupefacente, provare per credere.
Dunque il mestiere del barman, come quella del cuoco, è un'arte sulla quale è basato ogni suo successo. Eppure,
a parte il contenuto delle loro creazioni, diverso per sostanza ma non per creatività, tra le due posizioni ci sono
almeno due differenze essenziali.
La prima è che il cuoco lavora dietro le quinte ed è chiamato alla ribalta solo quando il cliente si rende conto della
sua bravura e vuole ringraziarlo personalmente. Mentre il barman lavora sempre alla ribalta. In un confronto diretto,
personale, face-to-face con i clienti, dei quali finisce inevitabilmente per diventare, secondo i casi, interlocutore,
confidente, amico e, a volte, persino psicoterapeuta. La seconda è che il barman ha anche il ruolo di gestire in
qualche modo l'estetica del bar in cui lavora, dunque sua è anche la responsabilità di far sì che questo luogo sia
accogliente, piacevole e caldo.
2. II bar
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Dunque, mai come nel caso del barman, prima di parlare della professione bisogna riferirsi al luogo dove questa
viene svolta. Perché è questo luogo, a condizionare ampiamente i compiti, le prestazioni e di conseguenza la
professionalità del barman.
Quanto alla sostanza, bisogna ricordare che i bar possono essere di un'eleganza intimistica inarrivabile ma anche
di uno squallore spaventoso: è solo questione di scelta, di pubblico, di offerta e di prezzi.
Tanto che sono bar anche i pub e gli inn inglesi, dove la bevanda principale è la birra ma dove si serve di tutto a
incominciare dal lunch.
3. La professione
Il barman (in inglese bartender), come scrive Wikipedia è chi opera al banco di un bar, pub o discoteca e, fra le
altre cose, prepara i cocktail. In Italia con bartender si può intendere un'evoluzione del barman, un barista
showman. In particolare il flair bartender (barman acrobatico) è un barman che prepara i cocktail facendo qualche
piccola "acrobazia" con bottiglie, mixin tin, ghiaccio e quant'altro (working flair).
Dunque anche il "barista" ha un sacco di varianti. Perché è barman la persona che ci serve il caffè o il cappuccino
la mattina al bar sotto l'ufficio: e che, se gli si chiede un marocchino, si domanda se ha per caso ha incontrato un
vampiro specializzato in giovani musulmani. Ma è barman anche quello che serve ogni cosa in una discoteca. Ed è
barman quello specializzato in cocktail acrobatici, così come quello che - invece di servire solo bevande a vario
tasso alcolico - distribuisce panini e ogni genere di cose da mangiare.
E barman è anche il confidente notturno dei clienti stranieri negli alberghi a quattro e a cinque stelle di Londra,
Parigi, Roma, Tokio e New York, così come lo è quello che serve la prima colazione nella miriade di piccoli
alberghi stagionali di tutte le riviere marittime del mondo. E tutti questi personaggi sono così diversi, uno dall'altro,
che quelli più sofisticati faticano a chiamare barman quelli più rozzi. I quali, a loro volta, chissà perché non riescono
neppure ad immaginare a quali vette un barman possa arrivare.
In questo mondo variopinto, un ruolo di particolare riguardo spetta ai barman degli alberghi. Un ruolo che non
appartiene al direttore, troppo preso nella gestione; un ruolo che non appartiene al capo ricevimento, incrostato al
front desk; né al maitre, che si avvicina al tavolo solo quando il cliente lo chiama. E nemmeno agli altri
professionisti dell'albergo, inclusi gli artisti della cucina, nascosti dietro le quinte. Mentre soltanto un banco
protegge il barman dai clienti che ne cercano la compagnia. Rendendolo la sola persona in grado di assistere e di
consolare quelli costretti a passare le serate in un albergo perché sono lontani da casa, non conoscono nessuno e
parlano male la lingua del luogo, se pure la parlano. Tanto più immalinconiti se c'è di mezzo il jet-Iag e, quindi,
confondono la mezzanotte con il mezzogiorno.
Solo chi non ha fatto la vita del dirigente d'azienda o quella del giornalista a spasso per il mondo può non
conoscere questo modo di passare le serate.
È così che il barman dev'essere una persona di cultura, di livello e di tatto: perché deve saper parlare di tutto e
deve anche sapere di cosa non parlare, per non entrare in futili discussioni con il cliente che, dopotutto, è
soprattutto un cliente. Anche se tiene per il Liverpool e il barman no, ma è meglio che non lo dica. Così, se va
bene, il cliente continuerà a tornare sempre lì, da un quasi-amico costretto a dargli retta al prezzo di un paio di
scotch: una trentina di euro, magari. Molto meno di un terapeuta che, peraltro, a quell'ora della notte non sarebbe
disponibile. Viceversa, se il barman non è abbastanza colto, se non sa conversare e se non riesce a dimenticare la
sua avversione per il Liverpool, c'è il rischio che il cliente, la prossima volta, si cerchi un altro albergo. Mentre il
direttore dell'albergo, in questo frangente, dorme a casa sua com' è giusto che sia.
Ed ecco che traspare la personalità del perfetto barman: un personaggio che, oltre a conoscere tutti i segreti delle
bevande alcoliche e non alcoliche, oltre a saper preparare i cocktail più ricercati, oltre a saper gestire lo stock delle
bottiglie e dei bicchieri nel modo giusto, è la persona per la quale si torna, il fidelizzatore per definizione.
4. L'estetica e la qualità del prodotto
Dunque, il ruolo principale del barman consiste nell'attirare e fidelizzare i clienti, per abilità professionale e savoir
faire. Magari allungando a qualcuno un assaggino di qualche prelibatezza sconosciuta, in fondo ad un vetro
elegante: un' arma preziosa dell' arte di fidelizzare, ancorché di solito sia una pratica vietatissima dalle occhiute
regole di ogni casa.
Non è un caso che il bar - come del resto il ristorante - sia uno dei luoghi dove i clienti affezionati vanno anche da
lontano: non c'è bisogno di far nomi di bar con un alto numero di fedeli, in Italia come all'estero, perché tutti ne
conoscono. A incominciare dal Bar Basso di Milano che, quando si sparse la voce della sua imminente chiusura,
diffuse il panico per l'intera provincia, finché fu chiarito che si trattava di un equivoco e tutti tirarono un sospiro di
sollievo.
Dunque, il bar può essere inteso come polo di attrazione e come magnete a lungo raggio, oltre che come elemento
di fidelizzazione permanente. Col risultato che anche il bar degli alberghi, se è gestito bene ed ha un barman di
richiamo, riesce a raccogliere clienti tra gli abitanti della città e del circondario, oltre che tra i residenti dell'albergo:
anzi deve, perché così ottiene diversi vantaggi. Incominciando da quello economico, perché la clientela può
aumentare a dismisura. E poi da quello ambientale, perché un bar ricco di clienti è più vivace e attraente di un bar
deserto. Ma soprattutto da quello della risonanza: perché, generalmente, del bar si parla più che dell'albergo,
perché il fatto che il barman famoso sia sbarcato proprio lì è noto a tutti e si legge su Internet: non ci credete?
Provate a digitare il nome di Tony Micelotta e vedrete.
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Tutto questo rende indispensabile che vengano rispettate le regole dell'estetica e della qualità. Perché non c'è
barman che possa fare nulla di ciò che serve, se non è libero di applicare queste regole e se non è capace di farlo.
E non c'è albergo, dove il bar possa prosperare se per qualunque ragione non è capace di aiutare il barman a fare
il suo mestiere al meglio: succede più spesso di quanto si creda. Perché l'estetica non è fatta solo di arredamento:
è fatta anche di esposizione di bottiglie, di bicchieri, di cristalli e di colori. I cui aspetti decorativi sono tanto
gradevoli per la vista quanto complessi e fondamentali per l'economia dell'insieme. Perché l'assortimento è anche
estetica.
Basti notare la differenza di attrattiva tra i bar che offrono due qualità di Whisky, un Brandy, un Gin, un'inevitabile
grappa e una bottiglia di Four Roses, a confronto con quelli capaci di allineare diecine di Whisky, di Cognac, di
Armagnac, di Calvados, di Bourbon, più un'ìnfinità di altre cose.
L'assortimento dei prodotti non è solo un fatto di maggiori opportunità offerte per la scelta, né solo una
manifestazione di ricchezza apparente ma è anche un'espressione di vivacità. In un turbinio che arricchisce il bar
senza richiedere nessun investimento importante. Perché, considerato un costo medio di venticinque euro a
bottiglia, mille bottiglie sono venticinquemila euro: un costo ridicolo in rapporto a quelli di arredamento e di
manutenzione. Ed anche un investimento con un ottimo ritorno economico, visto che quindici dosi, a un prezzo tra
cinque (?!) e quindici euro, danno un valore tra settantacinque e duecentoventicinque euro a bottiglia. Un ricarico
sufficiente a permettere di esibire tutte le possibili bottiglie che girano poco, quelle che fanno solo numero, etichetta
e colore. Ma anche quelle che, poi, a farle girare, ci pensa il barman con la sua arte e con i suoi suggerimenti ai
curiosi e agli indecisi: se non fosse capace di farlo, tanto varrebbe sostituirlo con un distributore automatico.
Si calcola che l'arredamento di un bar può costare anche mezzo milione di euro, dunque il costo delle bottiglie e il
contorno vale meno del cinque per cento di questa spesa. Mentre si calcola che, quanto all'impatto sul pubblico,
l'arredamento pesi per il trenta per cento, il contorno per il venti e il barman (che costa solo il suo stipendio) per il
cinquanta. Con un evidente disequilibrio fra costi e impatti. Ma anche con un'evidente opportunità per chi sa
cogliere e sfruttare il lato positivo della faccenda.
5. La preparazione, le associazioni e le scuole
La strada principale per preparare un barman è quella di una cultura di base seria, che oltre alle scienze
umanistiche e contabili includa ogni aspetto alberghiero e le lingue. È impossibile immaginare un barman di un
grande albergo e di successo che non conosca la logica e la realtà degli alberghi, che non sappia fare i suoi conti,
che non abbia chiare idee sulla strategia e sulle opportunità delle proprie funzioni e che non parli almeno tre o
quattro lingue.
In più, ci sono i corsi di specializzazione: in Italia fa la parte del leone l'AIBES (Associazione Italiana Barmen e
Sostenitori), con oltre tremila soci, fondata nel 1949 a San Donnino di Rubiera da dieci persone di cui,
curiosamente, solo due erano del mestiere (un albergatore e un barman) mentre gli altri erano del tutto estranei a
quest' ambiente, compreso il fondatore, il conte Antonio Spalletti Trivelli.
E poi c'è la pratica, circa la quale c'è solo da rilevare che l'AIBES stessa non associa chi non abbia almeno cinque
anni di esperienza. Se ne aggiunga che un diploma di sommelier aiuta.
Ma, soprattutto, aiutano due caratteristiche personali imprescindibili: un palato abbastanza fine da riuscire a capire
la differenza fra un cocktail di valore ed un altro mal congegnato. Ed un carattere abbastanza espansivo e dotato di
calore umano quanto ne basta per essere gradito ai clienti. E a renderli convinti di quanto ben congegnato sia il
cocktail della casa.
Piaccia o non piaccia, arte o non arte, il barman di successo non può non essere un eccezionale venditore: dei
propri prodotti, del proprio locale, dell'albergo e soprattutto di se stesso.
11. La governante
1. La professione
La governante è la persona che organizza e gestisce l'area camere, ed è tra i diretti collaboratori del direttore. È
responsabile di una fetta consistente dei costi di gestione ma, soprattutto, di un'area di soddisfazione del cliente
diversa da tutte le altre per logica e per risultati.
Il fatto è che i motivi di soddisfazione del cliente, quanto alle camere, sono molto diversi da quelli degli altri reparti.
Perché nell'area del ricevimento il giudizio del cliente dipende soprattutto da aspetti del comportamento, come
cortesia, puntualità, calore, accoglienza, atmosfera, apparenza, tatto, assenza di burocrazia inutile. Nell'area del
ristorante dipende in parte dalla qualità della cucina e in parte dal livello del servizio.
Invece, nell' area camere il giudizio dipende quasi solo da aspetti tecnici e pratici: ordine, pulizia - sempre molto
criticata, soprattutto dalle clienti, cura dei particolari, funzionamento di tutte le apparecchiature, arredamento,
quiete, estetica. Ossia, dipende dagli aspetti tecnici e pratici di cui è responsabile la governante, una delle persone
più nascoste dietro le quinte dell'albergo. E l'aspetto principale del lavoro della governante, probabilmente può
essere riassunto con la frase seguente della signora Mainardi da noi intervistata: "Noi dobbiamo cancellare ogni
traccia della presenza del cliente precedente. Il nuovo cliente, entrando in camera, oltre a trovarla pulita e
profumata, deve avere l'impressione che la stessa non sia stata mai abitata".
Il risultato è che la gestione dei piani può essere completamente affidata a terzi, ma sempre e solo a condizione
che l'albergo abbia un'ottima governante. Tipica è la gestione delle camere degli alberghi nella California meri-
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dionale, spesso affidata a donne latino-americane del tutto incapaci di parlare in inglese e, con noi italiani, molto
più abili a intendersi in spagnolo.
Resta che, chiunque le gestisca fisicamente, per il cliente le camere sono fondamentali. Perché l'ordine e la pulizia
lo toccano fisicamente in prima persona, mentre negli altri servizi e nelle altre aree dell'albergo hanno un valore del
tutto diverso. Perché il ristorante e il bar sono luoghi dove si va solo se ci convincono, mentre la camera equivale
alla casa.
Non va mai dimenticato che è la qualità della camera a far dimenticare al cliente che nel suo letto, il giorno prima,
dormiva un altro e che il suo bagno era usato da qualcuno magari sporco o malato: ma il cui ricordo sparisce nella
perfezione della camera. Non va mai dimenticato che molte persone sono riluttanti a servirsi degli alberghi proprio
per la riluttanza che hanno nell'usare cose e letti che sono usate intimamente da qualcun altro poche ore prima.
Non va mai dimenticato che molti non usano la vasca da bagno dell'albergo per la stessa ragione. Paranoia?
Fissazione? Forse, ma fino a un certo punto. Molto "fino a un certo punto": fino al punto in cui non ci si pensa,
perché altrimenti si rabbrividisce.
Per questo occorre che il cliente, entrando in camera, oltre a trovarla pulita e profumata, abbia l'impressione che la
stessa non sia stata mai abitata.
2. I compiti specifici
Dunque, il compito della governante, organizzativo, oscuro, pesante e ignorato, è fondamentale. Anche se è tanto
più oscuro, se lo si paragona a quello delle sue collaboratrici, le cameriere ai piani, di solito molto più visibili di lei
perché possono essere incontrate mentre lavorano in camera, con il carrello parcheggiato nel corridoio, giusto fuori
della porta. E anche se, spesso, gestire queste persone è difficile e di scarsa soddisfazione. Perché il loro lavoro è
faticoso e umile, e perché succede spesso che le cameriere siano insoddisfatte per come è ripartito fra di loro, con
criteri sempre opinabili e facili da contestare.
Dal punto di vista professionale, la governante distribuisce turni e orari di lavoro, coordinando la copertura di turni e
la mobilità interna (es. lavanderia). Ed è responsabile del buon livello del proprio servizio, che consiste soprattutto
nella pulizia e nel rifacimento delle camere, dei bagni e di ogni accessorio, nel ripristino delle "amenities" e dei
comfort, e nei relativi controlli a campione per accertare che la pulizia sia perfetta, nella verifica costante degli
arredi e degli impianti igienico-sanitari, nella tempestiva segnalazione di eventuali guasti e/o inconvenienti alla
manutenzione, nella verifica della tempestiva esecuzione degli interventi. In più, la governante è responsabile della
corretta gestione dei pacchetti lavanderia e stireria e degli oggetti smarriti.
Dal punto di vista organizzativo, la governante deve garantire che le stanze siano predisposte per l'arrivo dei
clienti, in base alla lista degli arrivi previsti. E deve garantire che, al momento della partenza dei clienti, la loro
stanza sia verificata per accertare che non sia stato dimenticato nulla, che l'arredamento non abbia subito danni e
che non manchino oggetti e/o biancheria di proprietà dell'albergo.
Dal punto di vista economico, la governante ha il compito d'ottenere il risultato migliore al minimo costo. Quindi è
responsabile della preparazione e del rispetto del proprio centro di costo in base al budget. Cosa che implica
anche alcune pretese difficili da soddisfare. Per esempio, quella di rassettare le camere nel modo più rapido ed
economico possibile senza che ciò pregiudichi il risultato e prendendo le mosse da alcuni parametri di base: per
esempio, quello del numero di camere che si possono rassettare in un' ora. In un albergo a cinque stelle, una
camera media in partenza può richiedere quasi un'ora, una camera in fermata mezz'ora. Ma ci sono anche alberghi
dove si riesce a rassettare quattro camere all'ora. Dipende da sapersi accontentare, ma dipende anche dalla
dimensione: perché è naturale che una suite richieda più tempo di una camera ed è naturale che una suite
presidenziale richieda più tempo di una suite normale.
Però è dimostrato che non basta affidarsi alla buona volontà, alla velocità operativa e all'energia delle cameriere,
per ottenere una prestazione eccellente: per farlo, occorre un' accurata analisi del lavoro, dei percorsi da fare e dei
movimenti essenziali. È dimostrato che lo stesso livello di pulizia si può ottenere lavorando e camminando meno di
metà del normale.
Esistono studi sulle peregrinazioni di una cameriera attraverso una camera, prima e dopo la razionalizzazione del
lavoro: se ne rilevano i passi e i movimenti inutili prima e dopo I'intervento ottimizzante.
A questo si aggiunge l'effetto degli impianti e delle attrezzature. Perché anche il carrello di servizio può essere più
o meno efficiente, la sua dimensione può essere più o meno ottimale, il solo fatto di doverlo trasferire da un piano
all'altro con un ascensore o con un montacarichi può determinare una grossa perdita di tempo. Così come può
essere importante avere un aspiratore centrale dotato di una rete di tubi in depressione con bocchette dappertutto,
per non essere costretti a trascinarsi dietro un ingombrante aspirapolvere elettrico. Mentre l'eliminazione di quanto
non serve - pattume, panni sporchi ecc. - costituisce un altro parametro di misura dell'efficienza: senza che questo
debba incoraggiare l'idea di buttare dalla finestra i sacchi pieni di biancheria da lavare, come ho visto fare in un
albergo dove evidentemente nessuno aveva considerato cosa può succedere a chi, un oggetto del genere, lo
riceve sulla testa. E così sono importanti le prese di corrente e la loro distribuzione.
3 II profilo professionale e la base culturale
La prima qualità della governante è senza dubbio il senso della responsabilità, visto che deve gestire un team e
visto che da lei dipende anche la corretta interpretazione e applicazione di tutte le norme di legge riguardanti
l'infortunistica, la prevenzione incendi, la sicurezza e gli aspetti igienicosanitari. La seconda qualità della
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governante è la capacità organizzativa, la terza è quella di saper rispettare i tempi: capacità che implicano la
condivisione degli obiettivi comuni dell'impresa. La quarta qualità della governante è di essere una brava
coordinatrice: cosa che implica una personalità forte, per imporsi ai responsabili degli altri servizi e alle proprie
collaboratrici.
Gli "altri servizi" con cui la governante deve coordinarsi sono almeno tre: la manutenzione, il ricevimento e il
servizio ai piani:
la manutenzione è l'interlocutore base per tutti i difetti da combattere ogni giorno: difetti che, se la
governante non è abbastanza forte, non sono eliminati in tempo e crescono insieme al danno che
provocano;
il ricevimento è l'interlocutore per le entrate e per le uscite. E deve gestire, con la governante, tutte le
inevitabili eccezioni. Perché la precedenza da dare alle camere da sistemare dipende insieme dalle
esigenze dei clienti e da quelle della governante. E perché gestire le camere in modo irrazionale
significa complicazioni organizzative e aumenti di costi;
il servizio ai piani comporta disagio e confusione, soprattutto quando i clienti abbandonano nei corridoi i
vassoi con i resti delle loro consumazioni e nessuno li fa sparire rapidamente.
In strutture dove al reparto piani si affiancano anche le sale riunioni, la supervisione dell'igiene e dell'ordine sono
elementi essenziali per un buon risultato in termini di gradimento da parte della clientela.
Ne deriva che la quinta qualità della governante è la predisposizione a lavorare in team, tenuto conto che è anche
responsabile di un corretto comportamento del suo personale verso la clientela e verso i colleghi di lavoro. In più
ne deve curare l'aspetto esteriore, con particolare riguardo alla pulizia delle uniformi e all' odore del corpo, visto
che fanno un lavoro pesante e quindi sudano molto.
La sesta qualità della governante è la capacità d'osservazione che le consente di cogliere tutte le sfumature di ciò
che non va nella pulizia, nei dettagli e nell'armonia degli ambienti, oltre a un gusto speciale per l'eleganza: perché,
in mancanza di queste doti, è inevitabile che le camere alla fine siano sciatte e piene di difetti. Soprattutto
considerata la ripetitività quotidiana del lavoro e delle ispezioni.
Il prerequisito indispensabile di tutto l'insieme è, infine, la capacità di gestire ogni cosa all'interno di precisi
parametri economici e, di conseguenza, quella di saper gestire la propria contabilità.
Da tutte queste considerazioni deriva che la professione della governante è molto più difficile e richiede una cultura
specifica, anche scolastica, molto più elevata di quel che comunemente si crede.
Nella pratica, poi, il modo con cui una persona diventa governante dipende dalle situazioni di partenza, dai
caratteri, dalla personalità e dalla cultura delle persone. Spesso in Italia la governante viene dalla "gavetta" e
conquista il proprio ruolo per la capacità di imporsi alle proprie colleghe, per la conoscenza del lavoro, per
l'anzianità di servizio, per la fedeltà all'azienda, per la capacità di lavorare, per il coraggio di farsi carico di una
responsabilità allargata.
L'aspetto più importante del background della governante è proprio la conoscenza del lavoro, conseguenza di un
adeguato tirocinio come cameriera, anche se non sempre è così, come mostra una delle interviste che abbiamo
pubblicato insieme a quest'articolo. E la difficoltà maggiore del lavoro della governante sta nella necessità di far
fronte continuamente a imprevisti, a urgenze e a criticità che rendono il lavoro quanto tanto vario quanto
stressante.
Ne consegue che la scelta di una governante è delicata e difficile, tanto da rendere sempre più richieste le persone
esperte impegnate in strutture di alto livello. Anche se, negli ultimi anni, si sono sviluppate nuove prospettive
promettenti, per migliorare la qualità delle governanti:
la prima è la nascita di associazioni di categoria, prima inesistenti;
la seconda è la nascita di scuole e corsi di formazione per preparare sia le nuove leve sia le governanti già attive;
la terza è l'entrata di figure maschili, a fianco o in sostituzione delle classiche figure femminili.
Tutto questo mostra un lavoro oggettivamente molto più difficile di quanto si creda. Ma, in positivo, serve a
concludere che la consapevolezza di tutte queste difficoltà sta trasformando il mestiere della governante in una
professione sempre più apprezzata, col risultato che gli sbocchi nel mercato del lavoro saranno sempre migliori per
le persone più capaci e preparate. Perché, finché ci saranno alberghi, ci sarà sempre bisogno di governanti
sempre più professionali.
12. Il capo servizio manutenzione
1 Il quadro in cui opera
Il servizio manutenzione è il meccanico dell'albergo. Anche se il termine meccanico è riduttivo perché, nel caso
degli alberghi, la sua funzione contiene proprio di tutto: dalla gestione dell'impianto elettrico a quella dell'impianto
idraulico, da quello di condizionamento a quello di riscaldamento, da quello televisivo a quello telefonico (ADSL
compresa), dai computer ai loro software, dalle cucine agli ascensori, dai decoratori ai falegnami, ai muratori.
Tutto ciò entra nelle competenze del "capo servizio manutenzione". Il quale deve circondarsi di specialisti sempre
più sofisticati perché, per svolgere i suoi compiti, la sua competenza specifica non basta mai. E, come tutti i
meccanici, da qualcuno tende ad essere considerato un male necessario, un costo di cui fare a meno: e viene
colpevolizzato per tutto ciò che non funziona. Perché è ovvio dare la colpa ad una manutenzione insufficiente,
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pasticciona, sempre in ritardo, sempre nel posto sbagliato, sempre a fare qualcosa di meno urgente, sempre a far
rumore alle otto di mattina quando i clienti vorrebbero dormire, sempre a sporcare in giro, sempre del tipo "tutte le
volte che interviene per migliorare qualcosa, subito dopo si guasta qualcos' altro", eccetera. Senza troppo
preoccuparsi se la colpa vera andrebbe fatta risalire a chissà cos'altro.
Dunque il capo servizio manutenzione è un tuttologo tuttofare al quale, in definitiva, si chiedono alcune capacità
essenziali:
quella di capire in fretta cos'è che non funziona, anche se non fa strettamente parte del suo bagaglio culturale;
quella di trovare le persone per riparare ogni guaio con la massima velocità;
quella di saper tranquillizzare le sue interfacce: l'albergo, il direttore, i clienti.
Qualche albergo, addirittura, ha due capi manutenzione, uno per la parte elettrica/elettronica ed uno per la parte
impiantistica ed edilizia, ma questo è un dettaglio che non modifica i concetti generali.
Naturalmente, i collaboratori interni - i dipendenti a libro paga, retribuiti a tempo pieno - devono essere ridotti al
minimo perché abbiano sempre da fare: tutto il resto può e deve essere eseguito da ditte esterne, a incominciare
dagli ascensoristi e per finire con i piastrellisti e con gli idraulici.
Col risultato che il servizio manutenzione, di solito, lavora molto più spesso come organizzatore e sovrintendente
del lavoro altrui che in prima persona. La tuttologia è caratteristica soprattutto del capo servizio il quale - al minimo
- deve essere abbastanza colto ed esperto da non farsi imbrogliare dai tecnici a cui si appoggia e tanto onesto da
non approfittare delle situazioni: con un mestiere a metà strada tra quello dell'amministratore di stabili, quello del
geometra, dell'ingegnere, del perito industriale e dell'operatore pratico.
Tanto importante e valido è il compito del capo servizio manutenzione, da renderne preziosa la sua professionalità
quando va in pensione, per la ristrutturazione e la manutenzione degli immobili. Perché pochi come lui conoscono
così bene le aziende che si occupano di questi problemi, pochi ne conoscono costi, pregi e difetti, dato che gli
alberghi sono un banco di prova immediato e continuo, dove i risultati si vedono subito e danno la controprova
della qualità dell' esecuzione.
3. L'organizzazione
L'organizzazione del servizio manutenzione dipende, ovviamente, dalla dimensione e dalla complessità del singolo
albergo. E dipende dal fatto che l'albergo appartenga a una catena oppure no: anche se, in questi casi, la figura del
responsabile centrale è meno ovvia di quanto si potrebbe pensare perché, tutto sommato, i problemi di
manutenzione sono sempre locali.
Con qualche eccezione. Per esempio, se l'albergo deve avere caratteristiche codificate da un gruppo, possono
essere attribuiti al centro i problemi legati all'estetica e alle regole del franchising e possono esserlo i problemi di
ristrutturazione o di manutenzione edilizia straordinaria:
- perché la scelta dell'impresa può prevaricare le culture e le responsabilità locali;
- perché i problemi della sicurezza - a parte le considerazioni umane, civili e penali - sono anche problemi di
immagine e nessun albergo ambisce alle cronache dei giornali per essere implicato in qualche guaio;
- perché i problemi legati all'ambiente stanno acquistando sempre più importanza: e anche per questi, le
conseguenze di possibili incidenti sono troppo preoccupanti per lasciarli nelle mani di operatori non coordinati.
L'organizzazione stabile, in ogni caso, è sempre molto snella. Va da un minimo di una persona - che nelle strutture
minori può essere un esterno ad un gruppo di specialisti (l'idraulico, il muratore, l'elettricista, il falegname) alle
dipendenze del caposervizio nelle strutture più importanti.
3. Le criticità
L'aspetto più critico della manutenzione sta nel riuscire a dare una pronta risposta ai tutti guai possibili, ai reclami e
all'insoddisfazione conseguenti: tanto maggiori quanto più grande è l'albergo, col risultato che l'organizzazione
della manutenzione è tanto più complessa e costosa quanto più costoso ed elegante è l'albergo. Perché, per
ragioni statistiche, è molto alta la probabilità che il primo ad accorgersi di un eventuale inconveniente sia il cliente il
quale, al minimo, si secca perché parte dal presupposto che tutto debba essere perfetto. E la conseguenza è un
evidente danno d'immagine.
Ma non è facile organizzare una catena di comunicazione capace di passare rapidamente dal segnale d'allarme al
sopralluogo, alla presa di coscienza, a decidere il da farsi e alla riparazione. E non è neppure facile gestire il
cliente, dal momento in cui si riceve il suo segnale a quello in cui si conclude.
Il capo manutenzione di un albergo a quattro stelle di Milano con duecentocinquanta camere, che riceve la
segnalazione di un bagno collettivo allagato non proprio da acqua, che non controlla di persona, che manda
qualcuno al bagno sbagliato perché c'è un errore di comunicazione, che non viene sfiorato dall'idea che ci sia un
malinteso - perché una segnalazione ripetuta di un grosso guasto in un bagno collettivo non può essere
immaginaria - che interviene dopo due giorni facendo perdere la faccia all'albergo con duecento congressisti, e alla
fine se la prende con chi gli ha dato un'indicazione imprecisa: ebbene, questo capo manutenzione ha qualcosa da
imparare, per lo meno quanto alla gestione della responsabilità.
E altrettanto ha da imparare anche la direzione, incapace di capire i limiti del capo-manutenzione e i difetti della
catena - oggi, forse, si direbbe "della filiera" - della comunicazione. Anche quando la notizia di questi limiti non
arriva alla proprietà, ossia anche quando questa non è consapevole della perdita di clienti e, men che meno, dei
motivi di questa perdita.
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La casistica delle gaffe dei dipendenti d'albergo è infinita e sarebbe divertente se non fosse tragica: dalla promessa
a vuoto ("stia tranquillo, entro stasera sarà tutto a posto") da parte di chi non ha idea della consistenza del guasto e
della durata dell'intervento, all'interruzione della catena di comunicazione (col risultato che uno crede di aver fatto
una segnalazione, ma l'altro non arriva e così non succede nulla), al ritardo imprevisto e così via.
Alcune catene alberghiere, della perfezione dell'intervento hanno fatto una religione. Una catena di alberghi di
lusso prescrive che "chiunque abbia notizia di un inconveniente la faccia propria" (ossia, nessuno può delegare la
responsabilità di rimediare a nessun altro): quindi lo obbliga non solo a segnalare personalmente l'inconveniente
alla persona giusta ma anche a verificare (entro venti minuti!) che tutto sia a posto, e a tranquillizzare il cliente
senza frottole e senza false promesse.
Naturalmente tutto ciò è perfetto purché lo si veda all'interno di un'organizzazione di alberghi a cinque stelle dove
tutto deve essere ineccepibile e dove molto alto è il rapporto tra numero di dipendenti e numero di clienti. È un po'
meno perfetto quando si tratta di alberghi meno sofisticati, dove il rapporto tra dipendenti e clienti non è così
elevato, ma dove i clienti si aspettano egualmente di non inciampare in disservizi o guai imprevisti.
Resta il fatto che, secondo la nostra esperienza, di rado il personale degli alberghi è addestrato a gestire
adeguatamente i rapporti con i clienti che reclamano. E ancora meno lo è il personale addetto alla manutenzione,
che si considera specializzato nel suo lavoro, ma non si sente impegnato a gestire un rapporto particolarmente
cordiale con i clienti.
4. I compiti e i ritratti dei vari responsabili
La preparazione scolastica dei responsabili della manutenzione è quanto mai varia. Possono essere ingegneri,
architetti, geometri o periti industriali, ma anche ex capimastri o ex muratori cresciuti per la loro esperienza di
lavoro e per la loro maturità personale: perché contano l'esperienza, la fiducia e la conoscenza dell'albergo, del
suo passato, delle sue magagne nascoste, dei suoi fornitori abituali.
Per questo abbiamo intervistato due persone molto diverse, ma entrambe operanti in alberghi a cinque stelle: un
architetto, capo della manutenzione centrale di Turin Hotels International e un manutentore "solo esperto"
(soprattutto di impianti), capo manutenzione dell'Hotel Villa Igiea di Palermo.
E qui proponiamo un elenco delle caratteristiche principali che secondo noi un capo-manutenzione deve avere,
partendo dalla più importante:
- al primo posto c'è l'affidabilità, la certezza di potersi fidare, perché sappiamo che farà bene qualsiasi cosa
succeda e che non farà mai succedere nulla di grave. In più, l'affidabilità implica che la manutenzione sia anche
preventiva, soprattutto per gli aspetti che possono creare grane serie;
- al secondo posto c'è la sicurezza: il capo-manutenzione ne è responsabile anche quando non ha questa qualifica:
perché nessuno, meglio di lui, può sapere se da qualche parte esiste un cornicione pericolante, un gradino rotto,
una presa elettrica difettosa, una cucina mal funzionante, un ascensore difettoso. Solo lui può riparare (o far
riparare) tempestivamente. Solo lui può intervenire quando riceve un reclamo, prima che questo diventi la causa di
una disputa con un cliente. E se lui gioca a fare a scaricabarile con qualcun altro, allora è pericoloso perché nessuno saprà mai con chi prendersela ora né di chi fidarsi la prossima volta;
- al terzo posto c'è la capacità di intervenire: il capo manutenzione deve essere organizzato, ma non burocratico.
Una segnalazione verbale deve bastare quanto una segnalazione scritta: se si esige lo scritto, significa che non si
privilegia la riparazione ma lo scarico di responsabilità. E, in ogni caso, stabilire le precedenze non può dipendere
che da lui, magari insieme a qualcun altro che tenga la parte del cliente;
- al quarto posto c'è la competenza: la manutenzione deve sapere cosa e come fare per il miglior risultato. Il caso
del televisore della suite (albergo a quattro stelle, duecento camere, a Roma) che non riceveva bene il segnale
perché un chiodo aveva tranciato il cavo dell' antenna e nessuno se ne era accorto per anni o quello di un'altra
suite dove il riscaldamento non funzionava bene solo perché il flusso in arrivo era catturato ed espulso da una
bocchetta di aspirazione troppo vicina, sono segni di scarsa attenzione e di professionalità discutibile;
- al quinto posto c'è l'esigenza di chiudere il reclamo in modo soddisfacente per il cliente. Ma il caso dell' elettricista
del Willard Hotel Intercontinental di Washington, cento metri dalla Casa Bianca, che a conclusione di un suo
intervento attaccò sul televisore un appiccico con il suo nome e il suo telefono "casomai ci fosse da intervenire
ancora" è una rarità anche negli USA dove, forse, è spiegata da una venale speranza in una mancia. Ma in Italia è
del tutto inconcepibile;
- per ultimo c'è la capacità di gestire il cliente in modo serio: il manutentore che, per confortare il cliente arrabbiato
perché non funziona l'idromassaggio, gli dice candidamente "guardi che non ha mai funzionato da quando è stato
installato", deve capire il suo interesse a salvare il cliente e imparare ad essere spiritoso in modo diverso. Ma, se
nessuno lo ha mai addestrato a gestire il cliente, qualcuno lo dovrà fare.
La conclusione è che sapersi comportare adeguatamente con il cliente è l'aspetto più essenziale della
manutenzione, anche se spesso è quello considerato più trascurabile.