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PARTITI La lotteria dei finanziamenti SUDAFRICA L’apartheid non è finita N. 50 | 21 DICEMBRE 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20) Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 21 dicembre de l’Unità. Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano forconi I torti e le ragioni della protesta che blocca il paese SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI POSTE ITALIANE SPA - SPED. ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA ANN0 XXV - ISSN 1594-123X AV V E N I M E N T I STORIA Gramsci tradito da Togliatti O M S I L U P O P I T N A V A di Paola Mirenda e Rocco Vazzana left.it AV V E N I M E N T I DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Torrealta [email protected] DIRETTORE EDITORIALE Donatella Coccoli [email protected] CAPOREDATTORE Cecilia Tosi [email protected] CAPOREDATTORE CULTURA E SCIENZA Simona Maggiorelli [email protected] REDAZIONE Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Sofia Basso (inviato) sofi[email protected], Manuele Bonaccorsi (inviato, responsabile sviluppo web) [email protected] Paola Mirenda [email protected], Rocco Vazzana [email protected] Tiziana Barillà (segreteria di redazione) [email protected] PROGETTO GRAFICO Newton21 Roma Lorenzo Tamaro [email protected] GRAFICA Andrea Canfora leftgrafi[email protected] PHOTOEDITOR Arianna Catania leftfotografi[email protected] INFORMATION DESIGNER Martina Fiore leftgrafi[email protected] EDITRICE DELL’ALTRITALIA soc. coop. Presidente CdA: Ilaria Bonaccorsi Gardini Consiglieri: Manuele Bonaccorsi, Donatella Coccoli Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Tel. 06 57289406 - Fax 06 44267008 www.left.it [email protected] PUBBLICITÀ Net1, Via Colico 21, 20158 - Milano [email protected] STAMPA PuntoWeb srl Via Var. di Cancelliera snc 00040 - Ariccia (RM) DISTRIBUZIONE SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18, 20092 - Cinisello Balsamo (MI) Registrazione al Tribunale di Roma n. 357/88 del 13/6/88 LA TESTATA FRUISCE DEI CONTRIBUTI DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250 left 21 dicembre 2013 LA NOTA DI Maurizio Torrealta L’eleganza della semplicità I n questi giorni natalizi attraversati da cortei e proteste, ci occupiamo in questo spazio di un episodio invece inspiegabilmente positivo facendoci condurre più dalla fantasia e da un pizzico di sarcasmo, che dalle esigenze della cronaca. Immaginiamo che esista un’anima unica nel mondo che rappresenta i desideri inespressi e che vaghi da una capitale all’altra alla ricerca degli oggetti sui quali posarsi. Lunedì scorso quest’anima in pena si è posata su una nostra città e cercheremo di capire perché. Intanto qual è lo strumento che ci indica la sensibilità dell’anima del mondo? Mi meraviglio che non lo sappiate: sono i listini delle borse mondiali. Sono i loro indici, gli unici che colgono le speranze, le delusioni, le sfiducie e i sogni che animano i consumatori. E i consumatori sono gli unici soggetti al momento considerati pienamente attivi dalla cultura di questo pianeta, sono loro in grado, di decidere l’imprevedibile andamento dei mercati e dei desideri. Lunedi 16 l’anima del mondo si è fiondata sulla borsa di Milano posandosi sul titolo della Moncler che ha fatto registrare un guadagno del 46 per cento ed è stata l’unica azione al debutto, venduta al suo prezzo massimo dal 2007. Un episodio che rimarrà nella storia della borsa di Milano. Cosa è successo? Ma non eravamo sull’orlo della catastrofe? Non emanavamo quell’ineliminabile puzzo di morte che si posa sui falliti e i miserabili che li rende inavvicinabili? Ecco quello che è avvenuto: l’anima del mondo è stata sopraffatta dal ricordo di un’emozione che aveva provato anni prima nel vedere un oggetto: un semplice ma costoso piumino, quello stesso piumino indossato dagli scalatori che conquistarono il K2, poi portato con orgoglio da attori e mogli di presidenti, da cantanti e sportivi. Un oggetto che si era fatto ricordare per alcuni suoi semplici elementi distintivi: un suo alto valore d’uso, il piumino Moncler funzionava bene, era caldo, piaceva, era elegante e faceva tendenza tra quei giovani di buona famiglia senza troppe ideologie che si trovavano a piazza San Babila da “Al panino”, così fu coniato un termine per definire quella tribù: i paninari. Ovviamente il piumino Moncler costava un mare di soldi. A dire il vero non era un prodotto originale italiano, anche se il successo che ebbe in Italia lo fece rimbalzare in tutta Europa. Dieci anni fa questo marchio ormai esaurita la sua novità è stato salvato dal cestino della spazzatura da un imprenditore italiano che ha lavorato al suo “riuso”. Ed è tornata a esserci attribuita a sorpresa quell’arte rara e delicata che continua a connotare gli italiani, il buon gusto. A nostra insaputa ci è stata attribuita anche la forma più raffinata della produzione immateriale: quella che dona agli oggetti un loro significato e li fa lievitare di valore. Devo confessare che fa piacere in questi giorni in cui una buona parte delle forze politiche non riescono a comporre discorsi senza volgarità e un’altra buona parte è tentata dall’escalation sullo stesso terreno, fa piacere che qualcuno riscopra l’eleganza della semplicità, la sua sobrietà, la sua solidità. Rivendichiamo non solo per la Moncler ma per molti prodotti del nostro Paese l’eleganza della semplicità come tesoro prezioso lasciato in alcuni oggetti dal lavoro di chi ci ha preceduto a nostra insaputa e nostro malgrado. Un’eleganza che ci sta sfuggendo di mano ma nonostante tutto ancora presente. Certo che se i piumini Moncler costassero meno sarebbero davvero perfetti! 3 [email protected] Patrizia, una vita per il bene comune Di cultura si vive. Ma anche si muore. Intendo denunciare come questa organizzazione del lavoro che non è più in grado di regolare risorse e bisogni possa uccidere non solo nelle fabbriche e nei cantieri, ma anche nella Scuola. Dedico questa denuncia a una categoria di lavoratori intellettuali che sono sempre stati maltrattati dall’amministrazione. Una volta si chiamavano “segretari” oggi Dsga (Direttori dei servizi generali e amministrativi). La riduzione delle spese, ha abolito i Provveditorati agli studi, che svolgevano un utile ruolo di coordinamento e supporto, con conseguente alleggerimento delle pratiche la settimanaccia 4 left.it delle segreterie. Mia moglie, Patrizia Strano, era da decenni una Dsga competente, seria, onesta. Si portava il lavoro a casa spesso, perché con le tante incombenze non riusciva ad esaurirlo nell’orario di lavoro. Dedicava parte del suo tempo libero levandolo alla sua cura personale, fisica e psichica, levandolo con sofferenza agli affetti familiari. Non ha mai rubato uno spillo. Mai. Qualche mese fa le riscontrano una cardiopatia ischemica e il cardiologo del San Camillo le prescrive una serie di indagini che danno esito positivo, quindi entra in lista allo stesso Ospedale per una coronarografia. Ma alla coronarografia non ci arriva. Pur in malattia nonostante il cardiologo le avesse prescrit- to “assoluto riposo”, le cose nella scuola si complicano e non si può fare a meno delle sue competenze e del suo supporto. Qualche giorno fa alla normale caotica gestione si aggiunge la visita dei “revisori dei conti” che periodicamente visitano le scuole, alcuni equilibrati, altri pierini in cerca di quel pelo nell’uovo che possa maggiormente gratificarne l’autostima. In malattia da casa, con la pressione arteriosa di 110/200 Patrizia il 10 dicembre passa ore al telefono con la scuola per lavorare davanti ad un computer. Computer che spegnerà a mezzanotte. E durante la notte arriva l’“ictus”. Ora Patrizia è allo stroke unit con una gran parte di cervello devastato. Da ieri i medici, di una profes- sionalità e di una umanità esemplare, l’hanno dichiarata fuori dal pericolo di vita e che si può sperare in un buon recupero. Io con profonda amarezza maledico tutti coloro che nella comoda situazione di pubblico funzionario, con superficialità ed egoismo scaricano le responsabilità su chi ha la sensibilità del proprio ruolo. Queste sanguisughe che agiscono a ogni livello distruggono il bene comune e stanno portando alla fine questa civiltà. Grazie Patrizia che hai sacrificato la tua vita per il bene comune, nonostante lo schifo che ci sta sommergendo sempre più. Carlo Castorina Altre sinagoghe riformate in Italia Nell’articolo “Una sinagoga diversa” di Cecilia Tosi (left n. 49) si sostiene che «in Italia i riti si svolgono solo in sinagoghe di fede ortodossa». In realtà, però, l’ebraismo riformato è una realtà in Italia da oltre dieci anni. E se è vero che Beth Hillel è la prima sinagoga riformata di Roma, a Milano ci sono già Beth Shalom e Lev Chadash, mentre a Firenze c’è Shir Hadash. Tra i suoi rabbini, Beth Shalom ha avuto esponenti di primo piano dell’ebraismo riformato internazionale, incluso Rabbi Stephen Fuchs, già presidente della World union for progressive judaism. La congregazione ebraica riformata di Beth Shalom, Milano 21 dicembre 2013 left left.it sommario IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 50 / 21 DICEMBRE 2013 COPERTINA COMMESSE VAN GOGH AVANTI POPULISMO CONCIATE PER LE FESTE TUTTE (O QUASI) LE LETTERE Agricoltori e neofascisti, insieme a precari e disoccupati. Ecco chi c’è dentro al movimento dei Forconi, tra giuste rivendicazioni e ribellismo autarchico. E anche fuori dall’Italia la ricetta populista conquista la gente, in nome del protezionismo culturale e della nazionalizzazione delle industrie. Part time, a termine o associate in partecipazione. Per l’esercito delle commesse il Natale è una trincea. Si intensificano i turni massacranti e si acuisce la concorrenza al ribasso. A partire dalle giovani colleghe, belle ma senza esperienza. Perfette per le grinfie di un mercato in crisi. Dopo la monumentale edizione critica delle lettere di Van Gogh, uscita quattro anni fa in Olanda, ora Einaudi pubblica l’epistolario nei Millenni. Un volume da cui emerge la consapevolezza che il pittore aveva della propria arte e la verità sui rapporti con i familiari e con il dottor Gachet. 16 24 LA SETTIMANA 03 04 04 06 LA NOTA LETTERE LA SETTIMANACCIA FOTONOTIZIA COPERTINA 16 Forca Italia di Rocco Vazzana 22 In fondo, la sinistra di Paola Mirenda IDEE 12 ALTRAPOLITICA di Andrea Ranieri 12 KEYNES BLOG 13 14 14 SOCIETÀ 24 Conciate per le feste di Tiziana Barillà 28 La lotteria dei contributi di S. Basso 32 Smeriglio: Renzi scopra le sue carte di Manuele Bonaccorsi 34 Lazio, una rete per la sanità di Donatella Coccoli 35 La scuola per intercettare il disagio di Paolo Fiori Nastro 15 54 62 di Daniela Palma e Guido Iodice L’OSSERVATORIO di Francesco Sylos Labini IN PUNTA DI PENNA di Alberto Cisterna IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti SAPERI DIFFUSI di Guido Viale TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli TI RICONOSCO di Francesca Merloni MONDO CULTURA E SCIENZA 38 Qui vive il sogno di Mandela di Alessandra Bartali 41 Nella gabbia dei soldi di p.m. 42 Dove regna la segregazione razziale di Giulia de Luca Gabrielli 44 La Borsa crede all’Islam di C. Tosi 48 Gramsci tradito da Togliatti di Elisabetta Amalfitano 52 Van Gogh, dipingere con le parole di Simona Maggiorelli 56 La democrazia è matematica di Gaspare Polizzi left 21 dicembre 2013 52 RUBRICHE 08 COSE DELL’ALTRO MONDO a cura della redazione Esteri 10 COSE DELL’ALTRITALIA a cura della redazione Interni 11 PICCOLE RIVOLUZIONI a cura di Paolo Cacciari 36 LA SCUOLA CHE NON C’È di Giuseppe Benedetti 58 PUNTOCRITICO CINEMA di Morando Morandini ARTE di Simona Maggiorelli LIBRI di Filippo La Porta 60 BAZAR FICTION, TENDENZE, JUNIOR 60 APPUNTAMENTI a cura della redazione Cultura 61 IN FONDO di Bebo Storti Chiuso in tipografia il 18 dicembre 2013 Illustrazione di copertina: Valerio Paolucci/OfficinaB5 5 fotonotizia A chi piace il Natale A Nizza il 25 dicembre si festeggia così, con un tradizionale bagno nel Mediterraneo, anche grazie a una temperatura non troppo rigida (16 gradi). Sotto lo zero invece la maggior parte degli Usa, dove le aziende non si preoccupano di festeggiare ma di chiudere i conti: quest’anno Natale cade di mercoledì, il giorno centrale della settimana, e i dipendenti non sono abituati a portare a termine i progetti in due giorni lavorativi. Il 24 sarà un giorno di fuoco: d’altronde il martedì, secondo le statistiche, è il giorno più produttivo della settimana. (Cironneau/Ap/Lapresse) cose dell’altromondo © HAMRA/AP/LAPRESSE left.it GAZA L’ondata di maltempo che ha colpito il Medio Oriente la scorsa settimana ha messo in ginocchio la Striscia di Gaza, dove i già inesistenti servizi sono collassati sotto le violente piogge. Allagate la maggior parte delle strade - in alcuni quartieri il livello delle acque supera il metro - evacuate migliaia di persone, scuole chiuse e ospedali senza più letti. L’assenza di elettricità, con i generatori fermi a causa della penuria di carburante, ha messo fuori uso anche i pochi depuratori delle acque reflue che così si sono mescolate ai rivoli di pioggia nelle strade. 55 anni L’età media nel nuovo governo tedesco. La Große Koalition guidata dalla Merkel non brilla per giovinezza: solo in quattro hanno meno di 50 anni. La più giovane è Manuela Schwesig (39 anni, Famiglia), il più anziano Wolfgang Schäuble (71 anni, Finanze) SVIZZERA Pro e contro gli stranieri Il prossimo febbraio gli svizzeri saranno chiamati a decidere se reintrodurre le “quote” per l’ingresso degli stranieri, già sperimentate negli anni Sessanta. anta. Il referendum, chiesto dai cristiano democratici, i, è duramente osteggiato dai socialisti ma anche dalla federazione degli agricoltori, che teme di perdere i lavoratori stagionali. Il comparto che più ù risentirebbe di una vittoria dei “si” sarebbe la sanità: il 40 per cento dei medici, il 32 degli infermieri e il 29 degli ausiliari negli ospedali elvetici ci sono stranieri. LA CRISI DELLA SETTIMANA Più che della settimana quella in Siria è la crisi del secolo, visto il continuo avvicendarsi di massacri e l’afflusso di armi e soldati da ogni latitudine. Purtroppo, però, in questi giorni di freddo invernale la situazione è riuscita a peggiorare ancora. Nei campi rifugiati dove ormai vivono 300mila persone la neve e il ghiaccio stanno rendendo impossibile la vita nelle tende, mentre ad Aleppo - una volta la città più bella del Medio Oriente - il raid aereo del 15 dicembre ha lasciato a terra 122 vittime. E chi è sopravvissuto, difficilmente riuscirà a sfamarsi: il prezzo del pane, in due anni, è aumentato del 500 per cento. 8 21 dicembre 2013 left left.it © KYODO NEWS /AP/LAPRESSE «Oggi viviamo in un mondo zeropolare. Nessuna potenza ha la capacità di risolvere i problemi. Gli Stati Uniti hanno creato un vuoto che rischia di essere riempito dalla Russia» RAZZI CONTRO LO SMOG Laurent Fabius, ministro degli Esteri francese, a una conferenza sul ruolo Usa in Medio Oriente Dopo aver usato la tecnologia per disperdere le nuvole (con i razzi allo iodio alle Olimpiadi 2008), la Cina assolda scienziati per trovare soluzioni “aggressive” allo smog. Il vicesindaco di Pechino ha annunciato l’attivazione di esperimenti per allontanare le polvere sottili che coprono la capitale, ma sui metodi considerati regna un assoluto riserbo. USA Il pasticcere e i gay INTEGRALMENTE TALEBANO I talebani pakistani hanno un nuovo leader. Dopo l’uccisione di Hekimullah Mehsud da parte di un drone Usa, l’organizzazione terroristica ha scelto Maulana Fazlullah, classe 1974, noto per la sua crudeltà e intransigenza. Fazlullah è ostile a qualsiasi forma di progresso, eccetto la radio che utilizza largamente come mezzo di propaganda. Sulle onde di Radio Mullah, il leader si oppone a qualsiasi avanzamento sociale delle donne minacciando i genitori che mandano le figlie a scuola. E incita la popolazione a distruggere tutti gli apparecchi elettronici, a partire da televisori e videoregistratori. left 21 dicembre 2013 I pasticceri non hanno diritto all’obiezione di coscienza. A Denver, Colorado, un giudice amministrativo ha stabilito che non ci si può rifiutare di decorare una torta destinata a un matrimonio gay. Jack Phillips, proprietario del negozio “Il capolavoro del dolce”, l’anno scorso ha ricevuto la richiesta di una torta nuziale da parte di una coppia omosessuale. In Colorado i gay non hanno diritto a sposarsi, ma i due volevano festeggiare una cerimonia privata. Phillips, cristiano osservante, non ha accettato: «Gli ho semplicemente detto che non posso fare torte per matrimoni gay. Anche se due etero mi chiedessero una decorazione erotica mi rifiuterei». Secondo il giudice, anche se i commercianti possono rifiutarsi di partecipare a messaggi che non condividono, in questo caso la necessità di evitare una discriminazione ha la priorità. IL POTERE D’ACQUISTO IN EUROPA Indice del potere di acquisto (fatta 100 la media europea) realizzato a novembre dall’istituto di ricerca tedesco Gfk. Nel grafico, i primi dieci Paesi europei per capacità di spesa. L’Italia è 15esima, con un indice pari a 123,7. Spagna, Grecia e Portogallo hanno un indice inferiore a 100 9 cose dell’altritalia left.it 7:<7,7;;1) 4¼ ) 8 8 ) : ) < 7 )*741B176-,-4.16)6B1)5-6<7 8=**41+7">1<<7:1),-44):-)B1761T+WUQ\I\W+MV\ZITMPIIXXZM[WKWVLQ[IX̉ X]V\WTILMKQ[QWVMLMT/W^MZVWLQMTQUQVIZM XMZLMKZM\WQTÅVIVbQIUMV\WX]JJTQKWIQXIZ̉ \Q\Q:Q\MVQIUW^Q[QIQVY]M[\WI\\W]V¼IỎ OZM[[QWVM LI XIZ\M LMTTM NWZbM ZMIbQWVIZQM VMQ KWVNZWV\Q LMT XZWTM\IZQI\W M LMTT¼]VQKW [\Z]UMV\WLQK]QM[[WLQ[XWVMXMZWZOIVQbbỈ ZMTITW\\IXWTQ\QKIM[WKQITMQTXIZ\Q\W[\M[[W 1V KWV[MO]MVbI LMTTI ZQL]bQWVM LMTT¼MV\Q\o LMQ\ZI[NMZQUMV\QLI5W[KIKWV[QLMZI\MTM QV[W[\Q\]QJQTQ VMKM[[Q\o WZOIVQbbI\Q^M LQ ZILQKIUMV\WLQIOQ\IbQWVMMLQXZWXIOIVLI KPMTIOM[\QWVMLQ]VOZIVLMXIZ\Q\WLQUI[[I KWUXWZ\I ZMX]\IVLW QVWT\ZM QVIKKM\\IJQTM INÅLIZMY]M[\M^Q\ITQM[QOMVbMITT¼ITMI\WZQM\o LMTTIKWV\ZQJ]bQWVM[XWZILQKI^WTWV\IZQIM QVLQ^QL]ITMT¼1UXMOVWLMT+WUQ\I\W+MV\ZITM [IZo^WT\WILQNMVLMZMMIVbQI]UMV\IZMQT ÅVIVbQIUMV\WX]JJTQKWITXIZ\Q\WM[MKWV̉ LIZQIUMV\MIOTQIT\ZQXIZ\Q\Q 1TÅVIVbQIUMV\WX]JJTQKWv]V\MUIIUXQỈ UMV\M\ZI\\I\WVM1T4QJZM\\W/ZQOQWZMKMV\M̉ UMV\MLI\WITTM[\IUXMMQTK]QIKY]Q[\WVMTTM TQJZMZQMJWZOPM[QvWJJTQOI\WZQWÐ]VIXZMZW̉ OI\Q^IQVLQ[XMV[IJQTMXMZOIZIV\QZMI]\W̉ VWUQIWZOIVQbbI\Q^IZQ[XM\\WITKIXQ\ITM MITTIJWZOPM[QIZIXIKM[MUXZMXZWV\II UM\\MZMQVLQ[K][[QWVMTMKWVY]Q[\M[WKQỈ TQW\\MV]\M6WV[QX]QVNI\\QUM\\MZMIZM̉ XMV\IOTQWTIOQoKWUXZWUM[[II]\WVWUQI LMTTIXWTQ\QKI[]JWZLQVIVLWT¼MTIJWZIbQW̉ VMLMTTI[\ZI\MOQILMTXIZ\Q\WIVMKM[[Q\o KWV\QVOMV\QLQZMXMZQUMV\WLMTTMZQ[WZ[M KPMZMVLMZMJJMZWQV]T\QUIIVITQ[QT¼QVQ̉ bQI\Q^IXWTQ\QKILQXMVLMV\MLIQ^WTMZQLMT̉ TMTWJJaLMTTMKWZXWZIbQWVQMLMOTQQV\MZM[̉ [QXZQ^I\QMY]QVLQQVLMÅVQ\Q^ILMTOZIVLM KIXQ\ITMLMTTIJWZOPM[QIMLMQ[]WQTIKKPv (4G)XXIZI\Wv[]\_Q\\MZMNIKMJWWS ETNA LO SPETTACOLO CONTINUA Fontane di lava, cenere e vapori. È la nuova fase eruttiva dell’Etna, inziata il 15 dicembre, nel pomeriggio. Si tratta del ventesimo episodio dall’inizio dell’anno. «Dal nuovo cratere di sudest dell’Etna», spiega il direttore dell’Ingv di Catania, Eugenio Privitera, «è ancora in corso una vivace attività stromboliana di intensità medio alta che sta presentando una certa persistenza temporale, accompagnata dall’emissione di una colata di lava, ancora alimentata, che si estende verso la desertica Valle del Bove, senza creare problemi per centri abitati, né per le persone». Nonostante le rassicurazioni, si preoccupano i Comuni di Santa Venerina, Giarre, Zafferana, Acireale, Pedara e Viagrande, mentre i due aeroporti - quello di Catania Fontanarossa e quello di Comiso, nel ragusano - sono chiusi dal 15 dicembre. 2 miliardi Sono i fondi dell’Unione europea (in euro) che torneranno a Bruxelles perché l’Italia non li ha spesi. I soldi erano stati stanziati per migliorare l’offerta culturale nelle regioni del Sud, attraverso il “Programma operativo interregionale 2007-2013” per lo sviluppo socioeconomico 10 CAGLIARI Armi letali Tra inquinamento bellico, nano particelle e patologie c’è un collegamento. La tesi dei vertici militari sull’assenza di tale connessione è crollata. A denunciarlo è il comitato cagliaritano Gettiamo le basi: «Il rapporto dell’Iarc (International agency research cancer)», spiegano,«ufficializza scientificamente l’alta cancerogenicità di primo livello delle polveri sottili e sottilissime disperse nell’aria». Il comitato lancia un appello alle forze politiche in campagna elettorale: «Quali provvedimenti per contrastare il progetto della Nato e del ministero della Difesa “Progetto di riqualificazione Salto di Quirra”, che potenzia il ruolo militare della Sardegna?». 21 dicembre 2013 left left.it ANONYMOUS A DELINQUERE «Al di là dei valori ideali, quel che conta è il programma che il gruppo si propone: un accordo per introdursi illegalmente nei siti altrui. E quello è di norma reato» Così la sentenza della Cassazione di Roma su Anonymus, definita un’«associazione a delinquere composta osta da cellule». I giudici hanno confermato ermato gli arresti nluca domiciliari per Gianluca Preite, hacker di Anonymous che ha compiuto attacchi a siti istituzionali. Rigettata la tesi di Carlo Taormina, avvocato di Preite, per cui le azioni degli hacker, condivise dall’opinione pubblica, non vanno discusse come “reati associativi” BOLOGNA Inps. Contributi a perdere Una quarantina di migranti e attivisti presidiano la sede centrale dell’Inps di Bologna. Il motivo? I ritardi dell’ente nell’aggiornare i database con i versamenti contributivi dei lavoratori stranieri. Provocando ai migranti gravi disagi, su tutti la difficoltà a rinnovare il permesso di soggiorno. «L’Inps promette futuro ma ruba il presente a migranti e precari», denunciano il Coordinamento migranti e il collettivo Lavoro insubordinato. «Questura e prefettura controllano tutti i versamenti. E se non li trovano bloccano il rinnovo del documento di soggiorno». Procedura che vale anche se è il datore di lavoro a versare in ritardo i contributi. Infine, come se non bastasse, se un migrante lascia il Paese perché espulso o per propria volontà, «non potrà riavere indietro quello che ha versato in anni di lavoro». left 21 dicembre 2013 PiccoleRivoluzioni di Paolo Cacciari Guasti previsti Serge Latouche ci ha scritto un libro (Usa e Getta, Bollati e Boringhieri, 2013). Cosima Dannoritzer ne ha tratto uno splendido documentario (Comprar, tirar, comprar, disponibile su youtube). Ogni consumatore la teme. È la conseguenza più spregevole della logica economica della crescita fine a sé stessa. Si chiama obsolescenza programmata. È quell’insieme di accorgimenti tecnici messi in atto dai produttori per far durare le merci meno di quanto potrebbero. In pratica i progettisti inseriscono deliberatamente nei prodotti di largo consumo dei punti deboli destinati a usurarsi o guastarsi entro un tempo massimo prestabilito e tali da non poter essere riparati o sostituiti. Quante volte ci siamo sentiti dire: “Caro signore, le conviene comprarsi un prodotto nuovo (sia esso una lavatrice o la stampante del computer, un orologio o un l’ombrello, il rasoio e persino l’automobile), perché costa meno cambiarlo che aggiustarlo”. Per evitare il riciclo dei componenti dei computer perfettamente funzionanti, ad esempio, i costruttori li saldano in modo da impedirne lo smontaggio. L’artigianato di riparazione, che per definizione è labour intensive, è eliminato. Accorciare il ciclo di vita di una merce è una strategia produttiva (che serve a mantenere artificiosamente alta la domanda) vecchia quanto il marketing. Sono noti i casi dei maggiori produttori di lampadine che si accordarono per mantenere basso il tempo di funzionamento medio delle lampadine, oppure della fibra in nailon della Dupont, praticamente indistruttibile, ritirata dal mercato. Peccato che con l’obsolescenza programmata non buttiamo via solo oggetti, energia, risorse naturali, ma anche il tempo della nostra vita dedicato a produrre e a comprare merci-spazzatura. In una parola, rendiamo insignificante la nostra vita. Per essere precisi, la sacrifichiamo al fine della continuazione della produzione industriale di massa. Il consumatore, anche quello più attento e consapevole, spesso non ha gli strumenti informativi per difendersi e poter scegliere cosa comprare. Le normative europee sulla garanzia degli elettrodomestici e degli apparecchi elettronici non vanno oltre l’obbligo dei due anni. Nei fatti, una licenza a favore dell’obsolescenza. Ma la Svezia e la Gran Bretagna hanno cominciato a pretendere dai produttori maggiori prestazioni. Il Belgio e la Francia si stanno muovendo. Meritoria, quindi, l’iniziativa dei deputati Lacquaniti e Marcon che hanno depositato una proposta di legge “Disposizioni per il contrasto dell’obsolescenza programmata dei beni di consumo”. L’obiettivo è di fare emergere in etichetta anche la durata potenziale del prodotto, all’interno di un elenco di beni di consumo dove la obsolescenza sia calcolabile. Nonché la possibilità o meno di poterli riparare. [email protected] 11 idee left.it altrapolitica di Andrea Ranieri Terremoto Renzi nella Cgil D Il sindaco vuole superare il collateralismo tra partito e sindacato opo il congresso del Pd sta per prendere avvio il congresso della Cgil. La più grande organizzazione dei lavoratori italiani dovrà riflettere, per lo meno si spera, sulla propria crisi di rappresentanza e sulle ragioni che fanno sì che la rabbia sociale per la crisi in atto tenda sempre più a esprimersi fuori dai suoi confini. Una rabbia qualche volta inseguita, qualche volta arginata, ma sempre più di rado promossa e organizzata dal sindacato dei lavoratori. E dovrà farlo dopo che il congresso del Pd ha troncato di netto i collateralismi su cui si era storicamente basato il rapporto tra sindacato e politica. Perché il Pd aveva ereditato in formato bonsai i fili più o meno rossi che dal sindacato partivano in direzione della politica della prima e della seconda repubblica. La Cgil dovrà fare i conti con un segretario del Pd che esplicitamente si propone di superare quel collateralismo e che apertamente sfida il sindacato sul terreno del cambiamento. «Se ci rispetta siamo pronti al dialogo», oppure «forse Renzi non conosce bene la realtà de sindacato e siamo pronti a spiegargliela» sono alcune delle risposte imbarazzate di chi in questi anni ha preferito galleggiare di fronte alla propria crisi e che spera di trovare anche nel nuovo quadro un modo per continuare a farlo. Più interessante la posizione del segretario Fiom Maurizio Landini, che rilancia la sfida. Prima di tutto sul terreno della democrazia: una legge che riconsegni nelle mani dei lavoratori le decisioni sui loro contratti, come un diritto individuale prima ancora che del sindacato. Un diritto di tutti i lavoratori: d’altronde Renzi è stato eletto non solo dagli iscritti, ma anche dagli elettori del Pd. Il recente accordo interconfederale può essere una buona base di partenza, ma non risolve di per sé il problema. Un sindacato che pratica la democrazia, che non si sottare al giudizio dei lavoratori sulle sue scelte, può rilanciare persino l’unità sindacale, assumendo come un’opportunità e non come un limite la fine dei collateralismi con la politica. E può verificare in piena autonomia come i partiti, tutti i partiti, rispondono alle priorità sociali: l’occupazione, il precariato, il reddito minimo e il salario minimo, il contrasto alla povertà. Una sfida che misuri, senza rimpianti per il passato, come l’innovatore Renzi saprà davvero innovare rispetto ad una politica economica del governo che si è mossa finora a partire da priorità ben diverse da quelle invocate dai lavoratori e dalla parte più povera del nostro Paese. keynes blog La mano N visibile dello Stato egare l’efficacia delle politiche di aumento della spesa pubblica di ispirazione keynesiana per il superamento dell’attuale crisi, passa il più delle volte per l’affermazione che oggi siamo di fronte ad una realtà più complessa, che negli anni Trenta gli effetti potevano essere più diretti e visibili. E che, in definitiva, se le politiche keynesiane hanno potuto funzionare è perché c’è stata la guerra e la conseguente necessità di ricostruire tutto daccapo. C’è insomma una diffusa vulgata “diminutiva” del keynesismo, che vive sulle spalle di un’approssimazione storica. È la vulgata 12 che predilige la metafora delle buche da scavare e poi riempire, e che ridimensiona l’interventismo dell’America di Roosevelt. Mentre i fatti sono andati ben diversamente, prefigurando una visione rivoluzionaria a tutto tondo, consapevole che la mano visibile dello Stato crea anche le condizioni per il futuro sviluppo di un Paese. Alla ricostruzione di questi fatti contribuisce non poco la recente riscoperta del Rapporto “Scienza, la frontiera infinita” di Vannevar Bush - ingegnere e matematico statunitense consigliere scientifico di Roosevelt - tradotto per la prima volta in italia- 21 dicembre 2013 left idee left.it l’osservatorio di Francesco Sylos Labini Efficienti nonostante le zavorre R iporto una notizia, apparsa sulla rivista Nature, che non è stata ripresa dai giornali italiani: «Gli Stati Uniti stanno scivolando verso il basso nella classifica della qualità della ricerca, misurata attraverso l’impatto citazionale dei suoi articoli scientifici. In particolare gli analisti mostrano che gli Usa sono stati superati nella classifica dal Regno Unito nel 2006 e dall’Italia nel 2012». In pratica significa che il surrogato della misura della qualità della ricerca, rappresentato dal numero di volte in cui un articolo scientifico viene citato, per l’Italia ha superato l’analogo indicatore per gli Usa. Dovrebbe essere un risultato da riportare con una certa visibilità e discutere con una certa soddisfazione: finalmente un settore in cui primeggiamo, oltre alle classifiche dei Paesi più corrotti. E invece nessuno ne parla. Perché, invece, appena esce una nuova classifica delle università, in cui notoriamente gli atenei italiani non occupano le prime posizioni, se ne parla su tutti i giornali e il ministro di turno promette interventi drastici per riportare in vita la ricerca e l’accademica italiana, ogni volta additati come la sentina dei vizi nazionali? In realtà dovrebbe accadere il contrario. Infatti, le classifiche basate sulle citazioni di articoli scientifici riportano un dato piuttosto affidabile poiché confrontano un indicatore semplice da misurare. Considerando inoltre che la spesa complessiva per l’istruzione superiore in Italia è un terzo di quella degli Usa (e metà di Francia e Germania) bisognerebbe riconoscere l’efficienza del sistema, nonostante i docenti di ruolo siano i più anziani dei Paesi sviluppati, i gruppi di pressione possano agire con la complicità della politica e i frequenti fenomeni di malcostume nella gestione del potere accademico. Nonostante le scelte politiche degli ultimi anni stiano decimando i giovani ricercatori e mortificando quelli già in ruolo. D’altra parte le classifiche delle università confrontano pere con mele: non hanno consistenza scientifica poiché la posizione è calcolata in base a un mix di parametri che mischiano aspetti incommensurabili (dalla produzione scientifica al numero di studenti per docenti) e soprattutto non tengono conto di un dettaglio non marginale. Per capire quale, basta ricordare che nel 2012 le spese della sola università di Harvard equivalgono a poco meno della metà di tutto il finanziamento ordinario dell’intera università italiana. Visto da noi, dunque, il problema non è che Harvard sia prima, il problema sarebbe se non lo fosse! Negli articoli scientifici l’Italia batte gli Usa di Daniela Palma e Guido Iodice no e setacciato nei suoi passaggi fondamentali nell’acuta introduzione di Pietro Greco. Ancora in pieno conflitto, nel 1944, Roosevelt chiede a Bush come, a guerra conclusa, si possa sfruttare al meglio lo sforzo sostenuto per la ricerca scientifica a scopo bellico e tradurlo in benessere per la nazione. Bush ritiene che la ricerca di base abbia un valore strategico e possa condizionare lo sviluppo degli Usa. È convinto infatti che il benessere di un Paese poggi sulla sua costante capacità di produrre innovazione e che a questo fine il flusso di produzione di nuova conoscenza deve essere left 21 dicembre 2013 continuo e sostanziale. Tutto ciò non può però essere lasciato alla sola iniziativa dell’impresa, a causa dell’incertezza che grava sull’esito dell’investimento. Bush è un conservatore di idee liberali, ma sa bene che per battere i sentieri dell’innovazione non vi sono alternative ad un intervento pubblico di alto profilo, che raccolga la sfida del cambiamento tecnologico in direzione di «un regime di piena occupazione, e un tenore di vita più alto grazie alla produzione di beni e servizi». La storia gli ha dato ragione, ma gli allievi lo hanno dimenticato e hanno bisogno di tornare a scuola. Non c’è sviluppo senza intervento pubblico sull’innovazione 13 idee left.it di Alberto Cisterna in punta di penna Gli integrati ora sono apocalittici I Chi si riteneva protetto dal sistema oggi minaccia sfaceli l Paese si avvia al sesto anno consecutivo di crisi senza una vera speranza. La rassegnazione sembra cedere il passo alla rabbia in un crescendo di recriminazioni. Tranquilli non ci sarà alcuna rivoluzione, nessun assalto al palazzo d’inverno. I Forconi sono una frangia microscopica del malessere sociale, capace di riempire qualche piazza o di mandare in tilt il traffico di un paio di città, ma nulla a che vedere con un’insurrezione. In Grecia e in Spagna ci sono stati disordini, anche gravi, ma nessuno ha messo in discussione l’assetto del sistema. In Italia, si sa, enfatizziamo, ci innamoriamo della prospettiva estremistica per compensare il nostro sostanziale immobilismo e il nostro furbesco attendismo. Se si confrontano i Forconi con i cittadini che hanno votato alle primarie del Pd non c’è partita. Qui qualche migliaia, lì qualche milione. Eppure quella del Pd è stata una partecipazione “fredda”, di quelle che non scaldano gli animi. Lo ha detto anche Renzi che sa di aver incassato l’ultima cambiale politica dal Paese. In fondo l’alternativa è sempre la stessa, tra apocalittici e integrati. Tuttavia a spaventare è proprio l’angoscia crescente della massa di quanti si ritenevano tranquillamente integrati nel sistema di potere. Ceti profes- sionali, evasori, segmenti delle classi lavoratrici, pubblici impiegati, pezzi del sindacato, forze di polizia, autotrasportatori, agricoltori si ritenevano parte integrante di un ceto egemone, capace di condizionare la politica, l’erogazione delle risorse pubbliche, la conservazione dei privilegi. Si ritenevano protetti dal sistema cui garantivano, oltre al voto, anche un sostegno sostanziale: agevolando il clientelismo, chiudendo gli occhi innanzi alla corruzione endemica, partecipando allo sperpero di risorse pubbliche. Insomma facendosi alla Crozza-Razzi i «cazzi propri». Ora quel mondo sa che la politica non può più ignorare che ci sono milioni di cittadini praticamente alla fame o ai limiti della sussistenza e gli «integrati» temono possa toccare a loro, vedono già i contorni di una voragine sociale che potrebbe risucchiarli e minacciano sfaceli. È questo il vero, pericoloso stallo del Paese. Molti tra costoro si sono accostati alle urne del Pd (i veri poveri i due euro da dare al partito non ce li hanno) cercando un ultimo rifugio nelle parole rassicuranti di Renzi. In fondo il sindaco appare agli «integrati» come l’ultima speranza di un aggancio alla rete di protezione che li aveva garantiti, l’ultima chance di conservare uno strapuntino sul treno del benessere. in fondo a sinistra 14 21 dicembre 2013 left idee left.it saperi diffusi di Guido Viale Non spariamo sui forconi N on si sono spremuti le meningi governo, partiti, sindacati e media per spiegare il movimento del 9 dicembre (i cosiddetti Forconi). «Sono autoritari, fascisti, violenti»; «Non si sa che cosa vogliono; non si sa chi li comandi». Grazie tante. Se questo è tutto quello che siete in grado di dirci, possiamo fare a meno di voi. Marco Revelli e Aldo Bonomi hanno cercato di dirci qualcosa di più: è un movimento di poveri e di impoveriti, punto di approdo di una evoluzione della globalizzazione e della finanziarizzazione che sta togliendo il terreno sotto i piedi a tutti, senza sostituirlo con nient’altro. Ma il contributo fondamentale a una loro comprensione “dinamica” lo hanno dato gli studenti che si sono uniti ai presidi, per condizionarne i connotati politici e sociali. Innanzitutto ci hanno fatto capire la cosa più pericolosa: che all’origine di questa mobilitazione c’era un’intesa di lunga data con i vertici delle forze dell’ordine; che - i report in proposito ormai sono incontestabili - non solo hanno tollerato quei presidi anche quando varcavano i confini della legalità, ma li hanno favoriti, incoraggiati se non addirittura diretti. Levarsi i caschi e posare gli scudi è stato sicuramente un gesto programmato; ma quando gli studenti si sono ritrovati soli - a Roma come a Torino e altrove - le cariche della polizia sono state tutt’altro che compiacenti. Pericolose sono poi le parole d’ordine della rivolta proprio perché semplici e di facile effetto: «No all’euro; no all’Europa; no ai banchieri (frasi antisemite a questo riguardo); no a Equitalia (sacrosanto; ma non “no” a chi le tasse le evade a milioni e non a migliaia o centinaia di euro)». E poi, giù il governo, senza dire con che cosa sostituirlo, perché la soluzione è “automatica”. E qualcuno l’ha anche detto: i militari; quelli a cui si rivolge Grillo, che sulla democrazia è di bocca molto buona. Soltanto un vero associazionismo dal basso, di camionisti, di artigiani, di terzisti, di agricoltori, per spuntare condizioni più decenti da committenti e fornitori, può trasportare questo mondo impoverito verso una società in grado di rispettare tutti. Poi ci sono gli altri che si sono uniti a queste manifestazioni; e per ciascuno si possono trovare rivendicazioni specifiche e prospettive generali che li ricompongano tutti in un unico fronte. Basta prestare loro un vero ascolto e non pretendere di saper già tutto prima. La polizia li ha tollerati, favoriti, forse diretti di Fabio Magnasciutti left 21 dicembre 2013 15 copertina FORCA © LAPRESSE Agricoltori e neofascisti, insieme a precari e disoccupati. Ecco chi c’è dentro il movimento del 9 dicembre. Tra rivendicazioni giuste, ribellismo autarchico e banale opportunismo ITALIA di Rocco Vazzana Torino, 11 dicembre 2013. Un momento della protesta dei forconi sotto il palazzo della Regione Piemonte copertina left.it «L’ © LAPRESSE unica definizione in cui mi riconosco è cristiano. Sono un credente, il mio punto di riferimento è papa Francesco, mio figlio l’ho chiamato Karol. È questa l’unica etichetta che ammetto». Danilo Calvani, leader laziale del Coordinamento 9 dicembre, conosciuto come “movimento dei Forconi”, ha paura di essere strumentalizzato da formazioni politiche di estrema destra. E mette i puntini sulle i, soprattutto dopo la rottura con i suoi soci di protesta, il veneto Lucio Chiavegato e il siciliano Mariano Ferro, che alla romana piazza del Popolo hanno preferito la vaticana piazza San Pietro, così da ricevere pure la benedizione del pontefice. La mossa ha diviso il movimento e ha scatenato, secondo Calvani, una campagna di delegittimazione nei suoi confronti. «Si sono inventati che auspicherei un governo guidato dai militari. Mi hanno messo in bocca qualsiasi cosa: sarei antisemita e addirittura farei parte di Scientology. Tutte falsità», dice il capo popolo dell’Agro pontino. Accuse probabilmente favorite dalla natura stessa del movimento dei forconi: un raggruppamento composito in cui si trovano le categorie più disparate e le provenienze politiche più eterogenee. Piccoli imprenditori, autotrasportatori, commercianti, agricoltori, ma anche precari e disoccupati. Tutti accomunati dalla disperazione economica, dal livore nei confronti dei partiti e dall’odio contro l’Europa dei tecnocrati. Un mix di richieste sacrosante e ribellismo cieco, facile preda di forze antidemocratiche. 18 ECCELLENZA A BASSO COSTO «Tocca a Forza Italia difendere questa gente, che è la nostra gente». Non è un caso che anche Silvio Berlusconi abbia provato a mettere il cappello sulle rivendicazioni del movimento dei Forconi. La destra italiana vuole riconquistare il suo blocco sociale, ormai deluso. Eppure, tra chi oggi scende in piazza, c’è un pezzo di Paese schiacciato dalla crisi ma che non può dichiararsi innocente. Danilo Calvani ne dovrebbe sapere qualcosa, visto che ha aderito al coordinamento 9 dicembre a nome dei Cra, i Comitati riuniti agricoli dell’Agro pontino, una delle zone più fruttifere - in ogni senso 21 dicembre 2013 left copertina left.it I LEADER#1 DANILO CALVANI - d’Italia. I campi della provincia di Latina sono pieni di cocomeri, kiwi e soprattutto zucchine. Eccellenze che gli imprenditori del basso Lazio mettono sul piatto degli italiani ed esportano nel mondo. Sono i gioielli produttivi del made in Italy, che rendono inimitabile il nostro Paese e fanno arrivare i finanziamenti pubblici europei a sostegno dell’industria agricola. Ma l’eccellenza della qualità produttiva non corrisponde a uno sviluppo sostenibile. E se si solleva la coperta delle rivendicazioni si scopre che a coltivare i campi dell’Agro pontino sono soprattutto lavoratori extracomunitari, sottopagati e sfruttati. «Il problema minore è il sottosalario», dice Giovanni Gioia, segretario generale della Flai Cgil di Latina, lo stesso territorio da cui viene Calvani. «Ci sono anche casi di riduzione in schiavitù, fenomeni di illegalità diffusa che si manifestano per esempio nella “tratta” dei permessi di soggiorno».Il 90 per cento della manodopera, aggiunge Gioia,« è composta da cittadini indiani del Punjab che molto spesso arrivano con un regolare permesso di soggiorno o con un visto turistico. Appena diventano irregolari scatta il business del caporalato, gestito direttamente dalla criminalità organizzata». Tra chi oggi accende la miccia in piazza contro la “globalizzazione” potrebbe nascondersi anche chi in passato si è arricchito illegalmente. «Ovviamente non si possono fare generalizzazioni», continua Gioia, «ma molti imprenditori hanno gravi responsabilità. La media salariale in provincia di Latina è intorno ai quattro euro l’ora, ma ci sono anche molte persone retribuite con 2 euro l’ora, a fronte di un contratto nazionale che prevede una paga di 8 euro l’ora». E a volte, secondo l’esponente della Cgil, i braccianti non ricevono neanche un euro: lavorano per pagare il debito accumulato con un caporale in cambio di un permesso di soggiorno. Mentre invece le imprese ricevono i contributi comunitari per l’eccellenza distribuiti dalla Regione Lazio attraverso il Psr, il Programma di sviluppo rurale. Il problema dei Forconi, secondo il sindacalista, è che vogliono «meno tasse e più agevolazioni. Chiedono, giustamente, di produrre meno carte e più carote. Solo che le carte che certificano il lavoro di qualità sono fondamentali». left 21 dicembre 2013 Danilo Calvani, 51 anni, ormai incarna la parte dell’area dura e pura del movimento, quella che non intende avere alcun confronto col governo: «Se ne devono andare tutti a casa, punto». È tra i portavoce nazionali del Coordinamento 9 dicembre in quanto presidente dei Cra, i Comitati riuniti agricoli della provincia di Latina. Protagonista dei blocchi stradali nel basso Lazio, Calvani è un piccolo imprenditore agricolo con qualche problema con l’Inps. Dal 2002 a oggi ha accumulato debiti con l’istituto pensionistico a una media di 2.500 euro l’anno, finché non è intervenuta Equitalia. «Ma i contributi che non ho pagato sono i miei», chiarisce, «non quelli dei laavoratori. Tolgo il pane dalla mia bocca non da quella degli altri». Di recente e ha fatto parlare di sé per gli spostamenti in Jaguar, anoomali per un imprenditore che si dichiara alla canna del gas. «Tutte fesserie», dice, «quelquella macchina non era mia, prendo passaggi da amici perché ché non c’ho una lira». Il Forcone laziale: «Il problema sono parassiti politici e sindacali. Se ne devono andare» GLI AGRICOLTORI ARRABBIATI “AL NERO” Ma il leader dei Forconi Danilo Calvani rispedisce al mittente le accuse: «Abbiamo denunciato con forza questo sfruttamento, gente che viene dall’India e paga le mazzette per stare qui. La responsabilità è dei funzionari dello Stato e dei sindacalisti», dice. «Sono i sindacati che organizzano le truffe. I due o quattro euro sono ciò che rimane nelle tasche dell’operaio dopo aver pagato il loro capo mafia che li ha ricattati. Se, per esempio, io do 10 euro all’indiano, lui ne dovrà dare 8 a chi sa lui. E su questa cosa i sindacati non dicono nulla. Perché quel capo mafia, d’accordo coi sindacati, fa arrivare i permessi di soggiorno». Nonostante le parole pesanti, neanche Danilo Calvani però può negare il fenomeno diffuso del lavoro nero. Una pratica inaccettabile non solo per la dignità del lavoro ma anche perché sottrae ingenti risorse pubbliche. E proprio chi oggi invoca in piazza protezione dallo Sta- Torino, 11 dicembre 2013, un manifestante in strada durante la protesta dei Forconi 19 copertina left.it I LEADER#2 LUCIO CHIAVEGATO Lucio Chiavegato, 48 anni, rappresenta l’area veneta del movimento, fino a poco tempo fa molto vicina alla Lega nord. Imprenditore, Chiavegato è titolare insieme alla moglie Barbara di un’azienda di arredamenti per hotel. Con un curriculum da indipendentista (si è candidato nelle liste del Partito nasional veneto), Chiavegato fa parte del coordinamento 9 dicembre come rappresentante di Life, l’associazione dei liberi imprenditori federalisti europei. Il suo movimento «si richiama ai principi del liberismo e del federalismo, per un’economia non assistita e fortemente orientata all’Europa». Comprensibile, con questa carriera politica, l’imbarazzo dell’imprenditore indipendentista davanti alla presenza dei nazionalisti di Casa Pound in piazza. «Siamo riusciti a far parlare per una settimana delle aziende che chiudono in Italia e dei non hanno più da manveneti che n giare, adesso dovremmo buttaad re via tutto per una marcia su t Roma fuori controllo? Quel Calvani è un irresponsaCa bile», ha dichiarato a Repubblica. Il sindacalista di Latina: «Molti imprenditori agricoli pagano i braccianti 2 euro l’ora» In alto, poliziotti e manifestanti dei Forconi nel primo giorno della protesta, davanti alla sede di Equitalia a Torino 20 to magari fino a ieri lucrava ai danni della collettività. «Non voglio negare la presenza di lavoro nero nelle aziende agricole», afferma il leader della protesta di Latina. «Però la questione non riguarda di certo me. Io i miei operai li ho sempre pagati coi contributi, nessuno mi ha mai fatto causa». Lavoro nero a parte, secondo Calvani il problema degli imprenditori agricoli laziali - e di tutto il Paese - resta la politica, considerata «parassitaria». «Gli imprenditori agricoli che hanno sbagliato devono pagare», dice l’esponente del Coordinamento 9 dicembre. «Ma attenzione, delle 100 lire che vengono destinate alle imprese, agli imprenditori ne restano solo 4, gli altri soldi vanno ai parassiti sindacali e alle organizzazioni nostre, tipo la Coldiretti, che si rubano tutto». Anche le associazioni di categoria datoriali, dunque, per i Forconi sono da “rottamare”. Ma a nome di chi parla Calvani? Cosa sono i Comitati riuniti agricoli attraverso i quali si è proposto alla ribal- ta nazionale? «Non è chiaro cosa siano», dice l’esponente pontino della Cgil Giovanni Gioia. «Noi abbiamo avuto a che fare con Danilo Calvani in alcuni momenti, ce lo siamo trovati in un po’ di trattative. Ma visto che non si qualificava in maniera chiara non è stato accettato al tavolo. Io quando parlo non rappresento me stesso ma l’organizzazione a cui appartengo. E il Cra non si sa ancora cosa sia». FORCONI DEL TERZO MILLENNIO In un contesto così indefinito, è facile che ad appropriarsi delle rivendicazioni di questo movimento sia l’estrema destra. Casa Pound e Forza nuova sono solo alcune delle sigle mimetizzate tra i Forconi. La tecnica di infiltrazione è semplice e consolidata. In piazza l’estrema destra si presenta come forza neutra. Nessuna bandiere, niente simboli, pochi segni di riconoscimento. I “fascisti del terzo millennio” amano confondersi tra la folla dichiarandosi equidistanti dalla destra e dalla sinistra. “Né rossi né neri ma liberi pensieri”, del resto, era lo slogan con cui il Blocco studentesco, una sorta di organizzazione giovanile di Casa Pound, qualche anno fa provò a mascherarsi tra gli studenti dell’Onda. Il trucco non funzionò e finì con scontri di piazza. Con la stessa tecnica oggi i neofascisti di Forza nuova hanno occupato per giorni, insieme ai Forconi, piazzale Loreto a Milano. Certo non un luogo privo di trasporto emotivo per chi ancora ha nostalgia del Duce. A Roma, inve- 21 dicembre 2013 left copertina left.it © LAPRESSE I LEADER#3 MARIANO FERRO ce, Casa Pound si è presa un altro luogo dal nome simbolico: piazzale dei Partigiani. Il movimento guidato da Calvani è, per la destra extraparlamentare italiana, un’opportunità troppo ghiotta di riprendersi la piazza. Da protagonisti. Non accadeva dal 1970, anno della rivolta di Reggio Calabria e dei “boia chi molla” di Ciccio Franco. Anche in quel contesto la destra missina e ordinovista si impossessò di una battaglia popolare, trasversale, interclassista. Il risultato furono morti in piazza, bombe ai treni e un’inedita alleanza tra eversione nera e criminalità organizzata. Allora come oggi, alle giuste rivendicazioni di un popolo in miseria si mischiava il ribellismo senza obiettivi. Fu un laboratorio importante per chi, in quegli anni, aveva altri progetti per l’Italia. Come il principe Junio Valerio Borghese, di casa a Reggio nei giorni delle barricate, che l’8 dicembre di quello stesso anno tentò un colpo di Stato. «Nessuno può mettere il cappello su questo movimento popolare», dice ancora Danilo Calvani, «venite a farvi quattro chiacchiere con chi manifesta e ve ne accorgerete». Può darsi. Intanto ci siamo accorti di personaggi che sembrano usciti da un’altra epoca: «Si tratta di una rivolta nazional-popolare contro la plutocrazia mondialista, questa Europa di banchieri, tecnocrati e burocrati, questo governo di servi incapaci, le caste e la partitocrazia». Parola di Roberto Jonghi Lavarini, presidente del comitato Destra per Milano. left 21 dicembre 2013 Mariano Ferro, 53 anni, è uno dei leader più in vista del movimento. Il termine Forconi, con cui la gente ormai identifica i protagonisti della protesta, è il nome del movimento da lui fondato. Siciliano di Siracusa, Ferro è un piccolo imprenditore agricolo (ha un’azienda ad Avola) che nel gennaio del 2012 ha creato un’associazione dando il via alla ribellione dei lavoratori autonomi. Agricoltori, autotrasportatori, pastori. Sono queste le categorie che rientrano nella sfera dei Forconi. Il suo movimento ritiene «indispensabile che vengano ripristinata una vera democrazia e la sovranità popolare: monetaria, alimentare, politica, territoriale, dei beni ambientali ed energetici. Non ci rassegniamo, né mai ci rassegneremo, a diventare schia schiavi passivi di un sistema tema politico-finanziario gestito da oligarchie transnansnazionali che per mezzo zo di meccanismi speculalativi perversi stanno o impoverendo senza scrupoli popoli e nazioni». I neofascisti: «È una rivolta nazionalpopolare contro la plutocrazia» Probabilmente anche per questo gli altri due leader del Coordinamento 9 dicembre, Lucio Chiavegato e Mariano Ferro, hanno abbandonato Danilo Calvani con un comunicato stampa ufficiale in cui dichiarano di «dissociarsi da ogni azione e/o iniziativa intrapresa dal Sig. Danilo Calvani del Cra - Comitati riuniti agricoli -, e dalle persone a lui facenti riferimento e collegate in particolare dal Sig. Baldarelli Gabriele a causa di alcune dichiarazioni farneticanti che lasciano grande spazio ad interpretazioni che nulla hanno a che fare con i motivi della protesta. Altresì si dichiara di non riconoscere la struttura web creata sul social network facebook da persone da noi non autorizzate e i siti non ufficiali». «Chiavegato e Ferro hanno un solo problema: la gente li ha scaricati e ormai prendono ordine dalla politica. Sono dei voltafaccia», conclude Danilo Calvani, orgoglioso e convinto di avere un intero popolo alle spalle. 21 copertina left.it IN FONDO, LA SINISTRA di Paola Mirenda Il distacco da partiti e sindacati. La perdita di identità della classe lavoratrice. Il protezionismo culturale e la nazionalizzazione delle industrie. Così la ricetta populista seduce Europa e America Anche i camionisti tedeschi hanno qualcosa da ridire sulle condizioni di lavoro, da quando la Dinotrans - una delle tre maggiori aziende di trasporti europee - ha deciso di avvalersi di manodopera filippina perché persino quella lettone, che impiegava prima, costa troppo. «Così adesso si lavora per 2,36 euro l’ora», dicono gli autisti denunciando la concorrenza sleale. Che si riversa sui prezzi dei beni trasportati, quindi sul commercio. La Dinotrans lavora per il 45 per cento in Svezia, il 21 in Norvegia, il 18 in Danimarca. Dove con 2,36 euro ci si compra, forse, un caffè. La differenza tra le proposte dei camionisti americani e quelli tedeschi non è solo di fuso orario. Nella rivendicazione dei primi ci entrava un po’ tutto. Obama che non piace, la riforma sanitaria, la Corte suprema, i parlamentari, i gay e quelli che vogliono vietare le armi mentre invece «l’America è libertà di fare quello che vogliamo». Così hanno coinvolto gente di ogni tipo, anche quelli a cui del trasporto non frega nulla. I tedeschi chiedevano invece risposte dallo Stato, non contro lo Stato. Quella differenza, per qualcuno, ha un nome: populismo. © SALIOU/AP/LAPRESSE A lla faccia della filiera corta. Il trinomio agricoltori/camionisti/commercianti funziona sempre, secondo la logica “tu non produci, io non trasporto, lui non vende”. Il punto di arrivo ideale è il quarto step: “Voi non comprate”. A quel punto, in teoria, si dovrebbe verificare la paralisi dello Stato. Non succede solo in Italia. Prendiamo gli Usa, ottobre 2013. Washington non l’hanno espugnata, come invece avevano promesso, e nemmeno hanno cambiato la Costituzione. I camionisti americani, che avevano lanciato la loro marcia contro la corruzione - e contro lo Stato centrale - hanno fatto retromarcia, limitandosi a circolare al minimo della velocità consentita su tutte le quattro corsie delle autostrade statunitensi. Ci hanno riprovato a San Francisco il mese dopo, ma stavolta le rivendicazioni non erano più globali ma strettamente settoriali. «Vogliamo più soldi e orari di lavoro più umani», hanno detto i truckers della Baia, pagati a miglio percorso e insofferenti alle lunghe code per il carico e lo scarico nel porto di Oakland. E hanno vinto. copertina left.it «È arrivato anche in Europa il momento dei Tea party», scrive a novembre il New York Times, guardando al successo dei partiti populisti in Danimarca. «Una rivolta di base che nasce dal risentimento nei confronti di una classe politica che molti vedono come fuori dal mondo». Sono i giorni in cui le proteste dei camionisti e degli agricoltori scoppiano anche in Francia. Nel Nord dell’Esagono, in Bretagna, gli autotrasportatori contestano la misura fiscale pensata per ridurre le emissioni di Co2 e recuperare denaro per le infrastrutture. A loro si uniscono i contadini, tessuto produttivo di una regione per altro molto povera e parecchio lontana dai fasti parigini. In pochi giorni arrivano quelli del Front national: «Siamo al vostro fianco, difendiamo i nostri valori», dicono ai manifestanti. Le Pen padre si fa vedere in tv con il bonnet rouge, il berretto rosso simbolo dei manifestanti. Gli ingredienti per una contestazione nazionalista e identitaria potrebbero esserci tutti. Eppure non succede. «Noi siamo l’antidoto ai fascisti, non la loro sponda», dice il battagliero sindaco di Carhaix Christian Troadec. Lui è di sinistra ma non tifa Partito socialista, Hollande non gli piace e vorrebbe che l’attuale governo se ne andasse a casa. Troadec è contro le tasse e questa è una novità per la gauche. Però l’ecotassa c’è perché la chiede l’Europa, e allora il discorso cambia, perché buona parte della sinistra francese la Ue non l’ha voluta né la vuole. Troadec è populista? «Attenti a come si usa questo termine», avverte lo storico Sylvain Pattieu. «Attenti a non far passare l’idea che tutto quello che viene dal popolo è demagogico, perché non è così». Pattieu ha girato a lungo tra gli operai della Peugeot Citroën a Alnay durante i quattro mesi di sciopero nella primavera 2013. Da quelle interviste ne ha tratto un libro (Avant de disparaitre, Edition Plein Jour) e la convinzione che ci si sia «dimenticati il tempo in cui gli operai erano forti e facevano paura». Oggi, dice, «a fare classe è altro». I sindacati denunciano l’alleanza «tra salariati licenziati e padroni che licenziano». Vale per la Bretagna come per il paesino danese di Hvidovre, dove monta una campagna contro il cibo halal negli ospedali ottenendo consensi da nazionalisti e animalisti, un tempo su fronti opposti. Né destra né sinistra perché «il primo partito degli operai è l’asten- left 21 dicembre 2013 sione», dice Pattieu. Ma questo distacco dalla politica “ufficiale” consegna più frutti alla destra populista di quanti non ne dia ai movimenti di sinistra. Lo conferma anche Susi Meret, coordinatrice del Nordic populism network all’università danese di Aalborg: «Uno dei dati indicativi del populismo scandinavo», dice, «è che è riuscito ad attrarre una grossa fetta della classe lavoratrice, quella che fino a 15 anni fa votava socialdemocrazia. Partiti e sindacati hanno dato risposte non adatte, dando per scontato che la classe operaia non esistesse più. Invece c’è ancora, ma agisce in modo diverso e ha una diversa relazione con chi prima la rappresentava». Delusa e arrabbiata, la classe. Non servono le grandi piazze per l’affermazione dei movimenti populisti. Nel Nord dell’Europa, dove scendere in strada è inusuale, le formazioni che si richiamano ai valori identitari superano la soglia di sbarramento ed entrano per la prima volta in Parlamento, come è successo al Partito democratico svedese, o si confermano nel successo elettorale, come i Veri finlandesi. Il leader dei ribelli bretoni: «Siamo l’antidoto al fascismo, non la sua sponda» Senza grandi mobilitazioni nazionali, lavorano a livello locale, con programmi che rielaborano due parole d’ordine che furono della sinistra: difesa del lavoro e del welfare. «Ci sono due assi su cui si muovono i partiti populisti», spiega Daniel Oesch, dell’università di Losanna. «Uno è quello culturale, dove c’è tradizionalismo, autarchia, rifiuto del multiculturalismo, elementi che caratterizzano la destra autoritaria e securitaria. L’altro», dice lo studioso, «è quello economico. Qui, al contrario, le misure che vengono proposte pescano da una tradizione più di sinistra. In Austria e Svizzera il successo dei partiti populisti tra i lavoratori sembra dovuto principalmente al protezionismo culturale, alla difesa dell’identità nazionale contro gli estranei. In Belgio, Francia e Norvegia, questo va di pari passo con una insoddisfazione profonda per il modo in cui funziona la democrazia nel Paese». Elemento su cui Grillo ha costruito un partito che supera il 20 per cento. Quimper, Bretagna, 2 novembre 2013. Manifestazione dei bonnets rouges contro l’ecotassa sui camion pesanti. Dopo lunghe proteste i bretoni ottengono la riduzione del 50 per cento della tassa e il posticipo dell’introduzione a gennaio 2014 23 società CONCIATE PER LE FESTE di Tiziana Barillà Part time, a termine o associate in partecipazione. Per l’esercito delle commesse il Natale è una trincea. Turni massacranti e concorrenza al ribasso. A partire dalle giovani colleghe, belle ma senza esperienza © MAST/AP/LAPRESSE società I n piedi all’ingresso del negozio, tra gli scaffali o sedute dietro un registratore di cassa, ma sempre con un gran sorriso stampato sulla faccia. Sono le commesse delle boutique o dei grandi magazzini, un esercito di donne le cui fila si ingrossano nel periodo natalizio. Commesse sempre più giovani, belle e sottopagate. Il settore del commercio in Italia impiega due milioni di lavoratori e di questi, secondo le stime dell’Unione sindacale di base, circa l’80 per cento sono donne: un «aparthaid», lo definisce il sindacato che denuncia la «condizione femminile insostenibile», spiega Francesco Iacovone di Usb commercio. Per queste lavoratrici la forma contrattuale più usata è quella del part time, ma sono molto diffuse anche forme di lavoro “stagionale”, ovvero contratti a termine. Negli ultimi anni però ha preso piede un’altra tipologia: “associazione in partecipazione”, e cioè un rapporto di lavoro che vincola la busta paga agli utili dell’impresa. Le più fortunate, quindi, hanno un part time, che garantisce comunque una qualche forma di tute- Katia , 27 contratti in 12 anni: «Tanti sacrifici senza vedere il lavoro stabile» la. Tuttavia, anche se nasce come un’opportunità, questo tipo di contratto viene imposto e per di più a condizioni capestro: salario sì, tra i 600 e i 700 euro mensili ma un’organizzazione del lavoro tale da non permettere nemmeno una seconda occupazione. «Presenze nel fine settimana, variazioni di turno improvvise talvolta comunicate lo stesso giorno e al telefono», riferisce Iacovone di Usb. Questa è la fascia più garantita. Per le commesse più giovani, invece, le opzioni sono due: contratti a termine o “associazione in partecipazione”. Nel primo caso significa lavorare per uno o pochi mesi - nel periodo di Natale, durante i saldi o per sostituire una maternità - senza diritti: né disoccupazione, malattia o gravidanza. La legge fissa a 36 mesi il limite massimo per l’utilizzo di questo tipo di contratti, oltre il quale l’impresa dovrebbe assumere. Eppure «abbiamo tanti casi di lavoratrici che hanno superato ampiamente i 36 mesi, lavorando per anni con la stessa azienda», denuncia Iacovone. «Nonostante abbiano il diritto per legge a essere assunte, devono però ricorrere alle vie 26 legali». Come M., una commessa che ha appena vinto la vertenza per l’assunzione a tempo indeterminato, che si trova proprio accanto al sindacalista. Felice, aspetta prima di raccontare la sua storia. Altre invece parlano. Eccome. LE STAGIONI DELLO SFRUTTAMENTO Giusto durante il periodo natalizio di dodici anni fa Katia Bottoni viene chiamata a lavorare alla Coop di Colleferro, proprio sotto casa sua, con un contratto a termine per il mese di dicembre. A quel contratto ne sono seguiti altri 26. Firma dopo firma, alla Coop Katia ha lavorato per 12 lunghi anni: prima come addetta alla cassa e rifornimento, poi in diversi reparti come la pescheria e la gastronomia. Un jolly, sempre a scadenza: un mese a dicembre, quattro mesi d’estate, a volte due contratti di fila con interruzioni di 15 giorni prima di procedere al terzo. «Ho collezionato 27 contratti in 12 anni. I primi 11 anni a Colleferro, poi sempre più lontana, un mese a Velletri a circa 10 km da casa e l’ultimo anno a Cisterna di Latina, a 45 km», racconta a left Katia, che oggi ha 39 anni, tre figli e nessun lavoro. Oramai è troppo “anziana”. «Quando presento il curriculum mi rispondono che ho 39 anni e lo Stato non li aiuta per prendere me, preferiscono gente con meno esperienza, sì, ma anche meno anni». Il lavoro che Katia ha perso era precario, instabile e con un salario altalenante: quando andava bene ed era full time, e cioè 37 ore settimanali, arrivava a 1.200 euro al mese. E per raggiungere quella cifra cercava di accumulare più ore possibili: «Come quando si faceva l’inventario fino all’una di notte e poi si riattaccava alle sei di mattina», ricorda. Tanti sacrifici sopportati - lavoro ogni domenica, turni massacranti e attese pazienti negli intervalli tra un contratto e un altro - «per aspettare il contratto che però non è mai arrivato». Dal 30 settembre 2012 Katia non lavora più: «So per certo che hanno chiamato altre lavoratrici stagionali tramite agenzie interinali, perché così non maturano l’anzianità necessaria per l’assunzione a tempo indeterminato», dice amara. «È un accordo interno dell’azienda, che non ha nessun valore di legge ma lo usano lo stesso». Perciò, la scorsa primavera, ha deciso di incatenarsi davanti alla Lega delle cooperative di Roma: «Non sono una pazza, prima di quell’atto di forza ho cercato un 21 dicembre 2013 left società colloquio con l’azienda, ho chiesto loro di continuare a lavorare come stagionale, purché mi assicurassero il lavoro. Sarei scesa a qualsiasi patto pur di lavorare». Dopo l’incatenamento ottiene un colloquio con l’azienda: «Mi hanno offerto l’assunzione a Formia, che da casa mia dista circa 130 chilometri, per un contratto di venti ore settimanale. Significa nemmeno 600 euro al mese per coprire 260 chilometri al giorno di tragitto». Katia ha rifiutato, anche perché il supermercato in questione «non esisteva ancora all’epoca e a tutt’oggi non è ancora stato aperto». CONTRATTI DISSOCIATI «Sono arrivata a guadagnare in un mese 295 euro. Pur essendo presente tutti i giorni nel punto vendita, otto ore al giorno che diventavano dodici, tredici o anche quattordici nei periodi dei saldi o sotto Natale». È la testimonianza di una lavoratrice anonima, addetta di un negozio di biancheria per la casa, che ha deciso di scrivere a dissociati.it, il sito aperto da Filcams Cgil e Nidil Cgil per incoraggiare chi lavora in associazione in partecipazione a venire allo scoperto. Oggi, raccolte le numerose testimonianze, il sindacato comincia a tirare qualche somma: «Sono prevalentemente giovani e donne», racconta Mariagrazia Gabrielli, segretaria nazionale di Filcams Cgil. «Certo, la contrazione dei consumi ha acuito le difficoltà nel settore del commercio e mette in una condizione di ansia anche chi ha un lavoro a tempo indeterminato, ma le stratificazioni c’erano anche prima della crisi». A dimostrarlo, secondo la Cgil, è anche il successo della campagna “dissociati”, sin da prima che la crisi economica incombesse. «Da tempo assistiamo a un uso non corretto delle forme contrattuali, tra cui proprio quella di associati in partecipazione per chi svolge mansione di addetta alla vendita», aggiunge Gabrielli. Chi lavora come associato in partecipazione è un soggetto che nell’azienda mette il proprio lavoro invece che il proprio capitale. Rapporti di lavoro legati agli utili delle imprese, «eppure nella maggior parte dei casi i lavoratori non hanno neanche la cognizione di come va il bilancio annuale». La retribuzione, poi, avviene nelle maniere più disparate: un fisso, una percentuale sulle vendite, sugli incassi e gli scontrini fatti. Ecco spiegato il perché di tanta premura delle commesse quando ci accompagnano, passo passo, fino alla tanto so- left 21 dicembre 2013 spirata stampa dello scontrino. Insomma, niente regole né certezze. Nessun controllo. «Negli anni ci è capitato anche di vedere rapporti che garantivano un fisso mensile, ma non era mai quello del contratto nazionale e non rispettava i minimi tabellari. Non esiste un punto di riferimento giuridico normativo. Tutto sta nell’accordo individuale che per sua definizione vede un soggetto debole nella contrattazione, il singolo lavoratore che nella maggior parte dei casi accetta la condizione che gli viene offerta pur di lavorare», spiega Gabrielli. «È anche possibile che qualcuno riesca a ottenere un trattamento economico migliore, ma a fronte di tutta una serie di tutele che mancano, come la maternità, il Tfr o la regolamentazione delle ferie». Eppure i rapporti di lavoro per la mansione di addetti alle vendite sono contemplati dalla legge, c’è un contratto nazionale di riferimento: quello del terziario, meglio conosciuto come contratto del commercio, che include tutti gli impieghi possibili, dal macellaio alla commessa del nego- Una lavoratrice sul sito Cgil dissociati.it: «Otto ore al giorno per 295 euro» zio di abbigliamento. Perciò l’uso e l’abuso di associazioni in partecipazione «oltre a provocare il danno immediato alla condizione del lavoratore», spiega la sindacalista, «provoca anche un effetto dumping tra le imprese e il mercato». Damping, ovvero competizione al ribasso giocata sulla pelle dei lavoratori. Per arginare il fenomeno, l’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero ha tentato di imporre la trasformazione di questi contratti in forme di lavoro dipendente. Qualche azienda lo ha fatto. Molte, troppe, ancora no. «Non siamo in grado di verificare gli effetti della Legge Fornero, bisognerà aspettare l’inizio del 2014», conclude Gabrielli. Nella Legge di Stabilità del governo Letta è stata inserita una norma ad hoc per prorogare al 31 marzo 2014 i tempi per la sanatoria degli associati che vengono trasformati attraverso accordo sindacale. Intanto si avvicina l’ipotesi di esercizi commerciali aperti tutto il giorno e tutto l’anno, per andare incontro alle esigenze del consumatore. Meno a quelle delle lavoratrici. Per loro potrebbe essere Natale tutto l’anno. 27 società left.it L’abolizione dei rimborsi elettorali toglie certezza al finanziamento dei partiti. E apre la strada alle lobby. Mentre qualcuno evoca il tesoretto dei Ds LA LOTTERIA DEI CONTRIBUTI di Sofia Basso 28 21 dicembre 2013 left F abrizio Barca ha evocato addirittura Nerone, che ai leoni del Colosseo dava in pasto qualsiasi cosa per placare la loro rabbia; Antonio Di Pietro ha parlato di legalizzazione delle tangenti. La riforma del finanziamento pubblico ai partiti rilanciata da Enrico Letta è stata accolta da un coro di critiche. Sul banco degli imputati è finito soprattutto l’eccessivo spazio lasciato ai potentati economici. Perché con l’abolizione dei rimborsi elettorali, il sistema dei partiti continuerà a pesare sui contribuenti, solo che a scegliere chi finanziare e in quale misura non sarà più lo Stato ma i privati. In particolare le decisioni saranno prese da chi ha i soldi. Se Renzi non interviene con un’accelerazione, il taglio dei rimborsi sarà graduale: nei prossimi tre anni si passerà dagli attuali 91 milioni a 68, 45 e 36. Dal 2017, con l’azzeramento dei finanziamenti diretti, i partiti potranno contare solo sul 2 per mille (un meccanismo simile a quello per le confessioni religiose, con la differenza che l’inoptato resterà allo Stato) e sulle erogazioni liberali (con una detrazione fiscale del 37 per cento). Soldi di tutti, quindi, ma influenza di pochi. UNA RIFORMA A MISURA DI LOBBY «Sul tema dei finanziamenti pubblici ai partiti c’è molta demagogia, motivata dal fatto che nel sistema circola troppo denaro, speso male e senza alcun controllo», attacca il costituzionalista left 21 dicembre 2013 Gaetano Azzariti, che del provvedimento promuove solo i maggiori controlli. «Distinguerei però le malversazioni dalla necessità di favorire la partecipazione politica». La possibilità di devolvere il 2 per mille a un partito comporta un esborso di denaro pubblico che, però, dipenderà dai singoli redditi: «Questo meccanismo favorisce i partiti sostenuti dall’élite economica e contraddice il principio di parità tra i soggetti politici», stigmatizza il professore di Diritto della Sapienza di Roma. «È quasi un ritorno agli ottocenteschi partiti dei notabili, quando non potevi fare politica se non avevi alle spalle un capitale economico. Una distorsione che può diven- © IMAGE SOURCE/LAPRESSE società left.it 29 società left.it COME SPENDE IL PD LE ENTRATE DEI DEMOCRATICI Azzariti: «È un ritorno all’800. La legge non dovrebbe favorire comportamenti collusivi» Spese ed entrate del Partito democratico nel 2012 divise per settori. Fonte: sito del Pd 30 tare anche qualcosa di peggio: un finanziamento per interesse personale». A preoccupare Azzariti c’è l’altissimo tetto ai contributi privati (fissato a 300mila euro), con detrazioni a carico di tutti: «Chi dona tanti soldi a un partito non lo fa per liberalità ma per avere qualcosa in cambio. Eppure la legge non dovrebbe favorire comportamenti collusivi tra interessi forti e movimenti politici». Il costituzionalista non difende certo l’attuale sistema, in evidente contrasto con il referendum del 1993: «Il mascheramento del finanziamento pubblico attraverso il contributo alle spese elettorali è indifendibile, come lo sono i contributi a pioggia senza controlli. È chiaro che il meccanismo andava radicalmente rivisto. Anziché assegnare direttamente soldi ai partiti, però, bisognerebbe fornire servizi a tutti: spazi per riunirsi, sconti per manifesti e trasporti, e agevolazioni per l’assunzione del personale», propone Azzariti. «Nessuno si arricchirebbe perché non ci sarebbe passaggio di denaro e si rispetterebbe il principio costituzionale di favorire la partecipazione politica». Qualche esempio? «In Inghilterra quasi tutti i finanziamenti pubblici vanno all’opposizione perché si ritiene che i contributi non debbano favorire chi ha già la maggioranza». L’Italia, invece, sembra andare in direzione opposta. Oltre che nei contenuti, la riforma non convince neppure nel modo di procedere: «Il disegno di legge, già approvato alla Camera, era in discussione al Senato», fa notare Azzariti. «All’improvviso, per ragioni probabilmente legate alla competizione tra il premier e il nuovo segretario Pd, il governo ha ritenuto di emanare un decreto legge. Siccome la normativa è spalmata sino al 2017 non si capisce quale sia la “straordinaria urgenza”». Di fronte a un Parlamento che ha già dovu- to incassare la sconfitta della sentenza sull’incostituzionalità del Porcellum, per il giurista «non è un bel segnale che l’esecutivo gli sottragga anche questo provvedimento. Tra i tanti problemi italiani c’è anche la debolezza del Parlamento». Gli esperti sono già al lavoro per stimare il costo della riforma. Roberto Perotti su lavoce.info ha calcolato che, a regime, i partiti costeranno ai contribuenti circa 30-60 milioni di euro. Nel 2011, infatti, l’imposta Irpef netta è stata di 152 miliardi, con 31,5 milioni di contribuenti. Se 3 milioni di simpatizzanti destinassero il 2 per mille ai partiti, il gettito sarebbe di circa 30 milioni. A questi andrebbero aggiunti i circa 16 di mancato introito per la detraibilità delle erogazioni liberali, per un totale di 46 milioni. Nettamente meno rispetto ai 182 del 2011 e al picco del 2009-2010 (circa 290). PD, CASSA LEGGERA E STRUTTURA PESANTE Il partito italiano che ha maggiori costi da sostenere è notoriamente il Pd, il più strutturato. Se nel 2012 il Pdl ha speso 36,4 milioni, la Lega 28,6 e Sel 1,1, l’erede del Pci ha sostenuto oneri per 45 milioni (di cui 12 e mezzo per il personale, 9 per elezioni e comunicazione, 9,5 per contributi a strutture territoriali e 7,5 per altri servizi e acquisto beni). Come tutti, dal 2012 i democratici hanno dovuto fare i conti con l’improvviso dimezzamento dei rimborsi elettorali. «Abbiamo avviato un processo di riorganizzazione delle spese, riducendole da 60 milioni a 45 in un anno», spiega Antonio Misiani, tesoriere del Pd fino alla vittoria di Matteo Renzi. «Per il 2013 le uscite si aggirano attorno ai 40 milioni. Se consideriamo che abbiamo speso 7 milioni per la campagna elettorale, abbiamo quasi dimezzato i costi strutturali». Grazie agli avanzi degli anni precedenti, il deputato bergamasco ha potuto consegnare al suo successore, Francesco Bonifazi, una cassa con 12 milioni di euro malgrado il disavanzo di bilancio di 7 milioni. 21 dicembre 2013 left società © MONALDO / LAPRESSE left.it Pur non negando le difficoltà, Misiani promuove la nuova legge sul finanziamento. Facendo riferimento alla proposta di Renzi di rinunciare da subito al finanziamento pubblico in cambio del sì di Grillo alla riforma elettorale e del Senato, l’ex tesoriere si augura che si prosegua sulla strada «delle riforme serie, senza sorprese o fuochi d’artificio». E precisa: «Condivido il principio che la scelta sul finanziamento ai partiti passi ai cittadini. È chiaro, però, che ci vuole un po’ di tempo perché la politica riguadagni la fiducia degli elettori e i partiti si riorganizzino. Passiamo da un quadro di entrate certe a uno nel quale si devono convincere i cittadini». Misiani, però, ci tiene a ricordare che l’autofinanziamento è nel dna della sinistra: «Siamo il partito delle lotterie e delle feste dell’Unità. Dobbiamo rilanciare questa tradizione, lavorare sul tesseramento e sulle tecniche moderne di raccolta fondi, come il crowdfunding». Del resto, le primarie hanno segnato quello che Misiani definisce «il più grande momento di autofinanziamento della politica in Italia». Il deputato bergamasco assicura che i circa 6 milioni di euro raccolti nei gazebo resteranno sul territorio. E fa appello al “popolo del Pd”: «La nostra base di partenza sono i tre milioni che votano alle primarie e il mezzo milione di iscritti. Dobbiamo chieder loro un maggiore sostegno economico». IL TESORETTO DEI DS Se tra i circa 200 dipendenti del Nazareno (con stipendi che oscillano dai 1.300 ai 4.000 euro netti) circola preoccupazione sul futuro, c’è chi evoca il fantomatico “tesoretto” dei Ds. Si parla di circa mezzo miliardo di euro, costituito essenzialmente dagli oltre duemila immobili, ma anche da opere d’arte (tra cui due Guttuso) e cimeli storici. Alla vigilia della nascita del Pd, però, il patrimonio dei Ds è stato donato a una sessantina di fondazioni diffuse sul territorio. Le banche - che vantano circa 200 milioni di crediti nei confron- left 21 dicembre 2013 ti della Quercia (ancora in vita, a differenza della Margherita, andata in liquidazione dopo lo scandalo Lusi) - accusano l’ex dirigenza Ds di aver trasferito gli immobili per evitare il pignoramento. Lo storico tesoriere dei Ds, il senatore Ugo Sposetti, da sempre sostenitore del finanziamento pubblico ai partiti, non concede interviste sull’argomento: «I debiti non interessano a nessuno», risponde lapidario. Un po’ di storia la fa invece Misiani. «Alla nascita del Pd, la dirigenza si trovò di fronte a un matrimonio potenzialmente diseguale: i Ds erano molto indebitati a Roma ma avevano tanti immobili sul territorio; la Margherita, all’opposto, era ricca nella Capitale ma priva di patrimoni diffusi». Oltre a voler evitare una predominanza degli ex popolari a Roma e degli ex comunisti nel resto del Paese, Veltroni e Franceschini volevano anche segnare una cesura netta col passato: «Il Pd doveva essere un partito nuovo anche dal punto di vista economico», spiega Misiani. «Ereditare la contabilità dei Ds e della Margherita ci avrebbe azzoppato perché ci saremmo dovuti accollare lo spaventoso fardello di 180 milioni di debito. È stata una scelta di discontinuità saggia». Tra l’altro, precisa l’ex tesoriere, gli immobili erano di proprietà delle federazioni provinciali non del nazionale: «Quegli edifici non c’entrano coi soldi di Mosca né col finanziamento pubblico: sono il frutto di generazioni di persone che hanno fatto i tortellini e le salamelle, figli del sudore e della fatica di migliaia di militanti. Meriterebbero rispetto. Oggi sono affittati a prezzi politici al partito e consentono al Pd di fare politica. Nella stragrande maggioranza il canone serve a malapena a coprire le spese e le tasse». E a chi insinua eventuali ricatti degli ex Ds contro il nuovo segretario, Misiani taglia corto: «Le fondazioni sono giuridicamente autonome. Il loro patrimonio, tra l’altro, non è liquido». La vera vendetta di D’Alema contro Renzi, insomma, potrebbe essere preterintenzionale. Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza. In alto, Antonio Misiani, tesoriere del Pd sino alla vittoria di Renzi alle primarie 31 «Renzi scopra le sue carte» © MONALDO / LAPRESSE (2) società di Manuele Bonaccorsi Alla vigilia del congresso di Sel parla Massimiliano Smeriglio, vicepresidente del Lazio. Che apre al rottamatore: «È liberista, ma serve una sinistra nuova» C ome spesso accade il mondo si divide in apocalittici e integrati. Nel nostro caso c’è chi pensa che con Renzi il Pd non sia più di sinistra. E c’è chi è pronto ad accettare la nuova sfida posta dal rottamatore. Tra le due categorie Massimiliano Smeriglio - vicepresidente della Regione Lazio di Nicola Zingaretti, esponente di spicco di Sel - si situa nella seconda. Con qualche distinguo pesante: «Renzi è emblema di un populismo dolce, di una tecnocrazia liberista», attacca. Eppure il neosegretario è «una novità positiva». Alla vigilia del congresso di Sel, Smeriglio disegna la sua strategia sul futuro della sinistra in una lunga chiacchierata con left. Cosa trova di così positivo in Renzi? I democratici governano ormai da anni col centrodestra. Non è una parentesi: il governo Monti prima e quello Letta adesso cambiano la natura del Pd. Il problema è come mettere fine a questa fase. In questo senso Renzi è una novità positiva. Sia chiaro, non ci sfugge la distanza culturale tra noi e lui. Ma il suo posizionamento esplicito con- 32 tro le larghe intese segna l’inizio di un’altra storia. Quando Renzi dice: “Collochiamo il Pd sulla frontiera e non al museo delle cere”, quando mette in discussione la cultura della “responsabilità” sostituendola con quella del “cambiamento”, non fa una cosa da poco. Certo, è una risposta semplice a una domanda complessa. Vedremo la sostanza. Insomma, meglio Renzi di Fassina? Renzi non è fermo agli anni 50, ma se propone il Blair degli anni 90 siamo comunque vent’anni in ritardo. In nessuno dei due casi si propone un cambiamento vero. Di sicuro l’album di famiglia non basta più, oggi è un’altra storia. Per la Cgil Renzi più che Blair sembra la Thatcher. Renzi riprende le tesi di Ichino, che a sua volta copia il modello danese. Se mi propongono il sistema danese - tutto intero, compreso il welfare danese - io dico: ditemi dove si firma. Ma non se ne può prendere solo un pezzo. Renzi come Sel parla di reddito minimo garantito. Quanto è necessario introdurlo? 21 dicembre 2013 left società left.it Noi abbiamo un welfare disegnato su un lavoratore maschio, cinquantenne, sindacalizzato, con la sua famiglia. Ma due terzi della società non rientra in questa definizione. Dobbiamo interloquire con la precarietà, le partite Iva, l’impresa molecolare. Altrimenti non sappiamo come disarticolare i “forconi”. Il 92% delle aziende sono microimprese, e chiedono welfare: è un problema nostro, o lo lasciamo ai “neonazisti dell’Illinois”? Insomma, più che una sinistra di classe, serve una sinistra che parli all’individuo e ai suoi bisogni. Sì, una sinistra che parli ai cittadini, non solo al lavoro. È questa la nostra differenza con Fassina, con quel filone nobile che parla ancora di patto tra produttori, come ai tempi di Togliatti. Sel nasce da questa rivoluzione culturale. Ecco perché il reddito minimo ha una funzione fondamentale. Il governo comincia a sperimentarlo. Soddisfatto? Per nulla: il ministro Giovannini ha stanziato 40 milioni di euro l’anno. Quando il reddito minimo fu sperimentato nella Regione Lazio si impegnarono 70 milioni l’anno per 13mila giovani. Ma la platea dei destinatari era di 130mila persone. Ripeto, nel solo Lazio. L’alleanza tra voi e il Pd è a rischio? Il Pd di Renzi ha esiti imprevedibili, valuteremo passo passo. Senz’altro il vecchio centrosinistra non c’è più, siamo ormai fuori dall’“album di famiglia”. Io credo in un “campo unico” del centrosinistra, come l’aveva definito Goffredo Bettini. Con due soggettività: il Pd di Renzi e una sinistra più ambiziosa e sostanziosa, con un volume diverso rispetto a quello di Sel. Non sembra che abbiate guadagnato consensi dai guai del Pd. Veniamo da una sconfitta, siamo stati i migliori alleati di Bersani e abbiamo subito il lutto. La virata di Letta non è stata un caso, lui è il primo ministro di un progetto politico. Ora dobbiamo far nascere una “Costituente della sinistra”, con chiunque ci voglia stare, da Civati a Landini. A partire dalle Europee. Con la proposta di un riformismo radicale, che non rinuncia all’idea del governo e insieme vuole trasformare il Paese. L’avete sempre detto: Sel è un partito nato per trasformarsi in altro. Ma finora non ci siete riusciti. Dove avete sbagliato? Abbiamo ben seminato, ma come un contadino left 21 dicembre 2013 Sinistra e libertà deve aprirsi a nuove personalità. Da Civati a Landini ubriaco ci siamo scordati di raccogliere. Penso che avremmo potuto usare meglio il gruppo parlamentare: meno ordini del giorno e più visite nelle carceri e nei Cie. E avremmo dovuto chiamare alle proprie responsabilità politiche generali i Pisapia, Doria, Zedda: oggi le città sono luoghi centrali. Certo, il governo locale oggi è un compito difficile, coi tagli e il patto di stabilità. Più che costruire modelli si finisce a prender pomodori. Voi ad esempio, con 11 miliardi di debiti, come governate il Lazio? Sono 20 i miliardi di debito, purtroppo. Ma tra tutte le istituzioni i governi di prossimità prendono meno pomodori, se riesci a “stare sul pezzo”. Nella Regione Lazio insieme a Zingaretti vogliamo costruire un modello che magari, domani, potrà essere utile all’intero Paese. Credete che dal Pd ci sarà una fuga? Qualcuno se ne andrà, ma sarà un esodo silenzioso e non è detto che sia intercettato da Sel, se non cambiamo pelle. Dobbiamo rivolgerci a quel milione di elettori che ha votato Cuperlo e Civati, trovando anche altri compagni di strada. Qualche nome? Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Barbara Spinelli, Carlo Freccero, Gad Lerner, Curzio Maltese, Aldo Bonomi. Ci sono tante personalità a cui possiamo fare un invito esplicito ad assumersi una quota di responsabilità. Sel ha chiesto di entrare nel Pse, che candida alla Commissione Martin Schulz. Ma tra voi c’è qualche ripensamento e ritorna l’idea di stare nella Sinistra europea, con Tzipras e Syriza. D’altro canto Schulz sta nell’Spd, che fa la Grosse koalition con Merkel. Bisogna andare oltre la Grosse koalition tedesca o la grandeur di Hollande. Io sono per interloquire con Schulz, ma bisogna capire che idea di Europa ha in mente il Pse. Non possiamo avere lo stesso candidato di Merkel. D’altronde anche Syriza si interroga sul rapporto coi socialisti. Al congresso si porrà il tema di un cambio della classe dirigente? A partire da Vendola? Nonostante tutti i problemi Nichi è la persona che può traghettare Sel verso una nuova storia. Manifestazione di Sel, a Roma, subito dopo il reincarico di Napolitano. In basso, Massimiliano Smeriglio, esponente di Sel e vicepresidente della Regione Lazio 33 società © SCARPIELLO IMAGOECONOMICA left.it Una rete per la sanità di Donatella Coccoli Come salvare il Lazio dal collasso? Lo psichiatra Paolo Girardi, uno degli esperti della commissione regionale: «Per la salute mentale occorre prevenzione e collegare i vari servizi. Senza creare centri di potere» «C he cosa rimane di una Regione dove il sistema sanitario fallisce? Nulla. Perché il suo compito è amministrare il welfare e tutelare la salute dei cittadini». Paolo Girardi, professore ordinario di Psichiatria alla Sapienza, però è fiducioso: «Credo che la strada presa da Nicola Zingaretti sia buona, deve andare avanti senza guardare in faccia a nessuno». Il medico romano fa parte della commissione tecnico scientifica di 45 saggi che collabora alla “rivoluzione” appena annunciata dal governatore: portare in pareggio il bilancio in rosso di una regione diventata “maglia nera” in Italia per la sanità. Dai tempi della giunta Storace il Lazio è precipitato in un “buco nero” che ogni anno ha divorato centinaia di milioni provocando disservizi ed eclatanti violazioni del diritto alla salute. Così accade che a Roma dove nelle sei facoltà di Me- 34 dicina si forma il 25 per cento dei medici italiani, si assiste al calvario quotidiano dei malati, costretti a estenuanti attese per visite specialistiche o abbandonati a se stessi nei corridoi di un pronto soccorso. «Da una parte il beneficio dell’utente, dall’altra il contenimento della spesa: queste le linee guida dei percorsi di fattibilità che stiamo studiando», spiega Girardi. Entro la primavera 2014 i saggi faranno conoscere le loro analisi, intanto Zingaretti ha già annunciato il taglio di 892 posti letto e la riorganizzazione dei servizi nelle quattro province. Ma se tutta la sanità nel Lazio è in crisi, «per quanto riguarda la salute mentale siamo ad un passo dal collasso», sottolinea il docente universitario. Blocco del turn over, progressivo invecchiamento degli operatori, strutture chiuse e 240 posti letto su circa 500: questo è lo scenario. «Il punto di forza del nostro sistema psichiatrico è 21 dicembre 2013 left società left.it LA SCUOLA, UN LUOGO PER INTERCETTARE IL DISAGIO La scuola dovrebbe essere il luogo della formazione e della prevenzione. Ormai la ricerca epidemiologica, medica e sociale, ha mostrato con chiarezza indiscutibile che l’adolescenza, e quindi la scuola, sono il tempo ed il luogo in cui il malessere si manifesta concretamente. Non si tratta di malattia mentale, ma di un disagio che, nella solitudine e nella mancanza di ascolto, può lentamente trasformarsi in malattia. Questi ragazzi non hanno bisogno di una cura psichiatrica vera e propria, bensì di uno spazio in cui, attraverso un confronto, riuscire ad elaborare quelle difficoltà che non permettono loro di avere una vita sociale serena e che conducono anche all’uso e abuso di sostanze e di alcol. Lo stesso vale per quei genitori che avvertono una colpevole insufficienza nel confronto con una generazione che usa canali di comunicazione e forme di convivenza a loro del tutto estranei. E gli insegnanti vivono con difficoltà il loro ruolo essendo costretti a comprendere dove si debba collocare il limite tra un malessere del tutto fisiologico in adolescenza e una sofferenza legata a realtà contingenti, spesso private. Gli insegnanti possono percepire prima di chiunque altro quei cambiamenti nelle relazioni e nel rendimento scolastico che devono allarmare. Quindi la scuola è un crocevia dove gran parte della sofferenza, soprattutto quella circondata dalla sordità familiare, potrebbe essere intercettata e la community therapy. Ce la invidiano all’estero, la vogliono studiare in Cina. Ma funziona se c’è personale specializzato, perché in psichiatria quello che conta è la relazione tra paziente e medico». La rete dei Centri di salute mentale con i centri diurni e gli Spdc, i servizi psichiatrici di diagnosi e cura per le urgenze e i ricoveri, rischia di spezzarsi. «Alcuni Csm sono sull’orlo della chiusura, altri sono già chiusi, negli Spdc mancano circa 200 operatori», aggiunge il professor Girardi. «E se la rete si interrompe nel territorio, i pazienti si riversano nei Dea, i dipartimenti di emergenza e accettazione, per cui può capitare che persone in emergenza psichiatrica ricevano cure da pronto soccorso invece che essere ricoverate in un Spdc o dentro una comunità». Che cosa si può fare per fermare la deriva? «Intanto bisogna puntare sulla prevenzione che in psichiatria è così importante da coincidere con la diagnosi precoce». Necessaria quindi una politica concreta a favore della maternità, essenziale anche per prevenire le sindromi puerperali, e un’attività costante nelle scuole. «L’età media delle persone che venivano ricoverate nel ’72, quando mi sono laureato, era di 30 anni, adesso è di 22», continua Girardi. «Questo significa che esiste una domanda a rischio nelle fasce adolescenziali con implicazioni che riguardano la famiglia e i gruppi sociali e che vanno anche al di là del fatto medico». In questi casi si tratta di applicare il cosiddetto “modello integrato” e spostare l’asse dall’ospedale verso il territorio. Quale ruolo può giocare l’università? «Può fare tantis- left 21 dicembre 2013 incanalata verso i luoghi di ascolto più idonei. Ma è anche il luogo dove fare “cultura”, dove potremmo modificare la diffidenza nei confronti della psichiatria per cui tanti giovani hanno paura di chiedere aiuto. Nella scuola dovremmo riuscire a trasmettere una visione meno nichilista delle cure e soprattutto un’immagine di malattia più legata all’ambiente, alla vita vissuta e ai rapporti interumani. Un’immagine di malattia mentale curabile e prevenibile, se presa al manifestarsi dei primi segni. Così i ragazzi potrebbero percepire l’utilità di una domanda che oggi appare loro inutile e anche fonte di esclusione sociale. Paolo Fiori Nastro docente di Psichiatria La Sapienza «Il modello della community therapy esiste e funziona ma senza operatori è a rischio» simo», risponde lo psichiatra. «Gli specializzandi, come accade per la scuola che dirigo, vanno già a fare tirocinio nei Csm, nei centri diurni, oppure prevenzione nelle scuole. Così accanto allo studio teorico i giovani medici hanno una conoscenza diretta sulla salute mentale». Ma il problema degli adolescenti come già evidenziato da left (n. 46 del 23 novembre scorso.) è che per loro non ci sono strutture ad hoc. «La continuità terapeutica è importante. Occorre collegare in rete le diverse agenzie che intercettano i pazienti psichiatrici, dalla neuropsichiatria infantile, ai Sert fino al Dsm adulti», propone Girardi che cita gli esempi di Emilia Romagna, Lombardia e Puglia dove questo obiettivo è stato realizzato. In tal modo anche i problemi di abuso di sostanze trattati dai Sert ricadono sotto il più ampio ombrello della salute mentale «imponendo un’inversione culturale: non bisogna dare una lettura repressiva della salute, ma al contrario il suo raggiungimento rappresenta una possibilità espressiva della persona» precisa lo psichiatra. Alla fine però l’ultima parola spetta alla politica. «Occorre far capire che l’integrazione dei vari servizi sia davvero una rete tra pari, senza centri di potere». E in cui le nomine dei direttori generali, “eterno” problema della sanità italiana, «devono essere fatte sulla base di idoneità e senza creare un sistema piramidale verticistico». In apertura, una corsia ospedaliera. Sopra, Paolo Girardi, professore ordinario di Psichiatria presso La Sapienza di Roma e membro della commissione tecnicoscientifica della Regione Lazio 35 la scuola che non c’è società left.it Dall’ispiratore della riforma laburista ecco l’inganno dell’“insegnamento orizzontale” Blair docet di Giuseppe Benedetti C i manca solo la versione italiana di Tony Blair per affossare la scuola pubblica italiana. Sappiamo bene che riusciamo ad imitare perfettamente i difetti degli altri e Blair, con il suo programma incardinato nella terna “education, education, education”, rese ancor più profondo il divario qualitativo tra le scuole private per ricchi, frequentate anche dai suoi figli, e le scuole pubbliche per gli altri, logorate da una competizione squilibrata. Così cominciò, e finì con l’opposizione del sindacato e con i conservatori che appoggiarono l’ultima riforma dell’istruzione del premier laburista. L’ispiratore della sua prima riforma dell’istruzione si chiama Michael Barber e da un paio d’anni lavora per Pearson, un colosso dell’editoria cartacea e digitale. A questa collaborazione si deve l’ultima moda rivoluzionaria in fatto di istruzione. Preludio, come le altre, di nuove lacrime e sangue per la scuola pubblica. Si chiama “insegnamento orizzontale” e sembra una rivisitazione ai tempi di internet di certi slogan di fine anni Sessanta. Secondo Barber si tratta di sostituire il tradizionale “insegnamento verticale”, fondato sull’interazione tra insegnante e allievo, con un nuovo metodo basato su un apprendimento “democratico” mediante le piattaforme della Rete. L’insegnamento digitale, inoltre, avrebbe il vantaggio della misurazione continua perché i risultati dei test potranno essere rilasciati in tempi brevissimi. Si saprà subito se uno studente è rimasto indietro e ha bisogno di un altro sistema di insegnamento. Insomma la scuola della valutazione frenetica dell’era Thatcher, una scuola che aveva smarrito il senso di sé, riprende vita in questa versione tecnologica e apparentemente democratica, in base alla convinzione che tutto può essere misurato e, perciò, 36 Il rapporto tra maestro e allievo sostituito dalla Rete e da saperi solo in apparenza democratici gestito. Intanto si vende la grande illusione che i contenuti saranno completamente gratuiti e accessibili a chiunque. Per ora non ci si pone il problema di chi sarà disposto e con quale contropartita a produrre i contenuti riversati nella Rete. Il gigantesco inganno sta nel presentare questi contenuti, per lo più informazioni, come saperi essenziali. Si gioca sul fatto che grazie all’innovazione tecnologica si producono rapidi e continui cambiamenti, rispetto ai quali ci si muove più agilmente con il bagaglio leggero di un’informazione superficiale. E per procurarsela a quale fonte più fresca e abbondante della rete si può attingere? Secondo Barber, lo studente del XXI secolo dovrà imparare non solo “cosa” - i contenuti - ma anche “come”, cioè come usare ciò che ha studiato. Qualche decennio fa la svalutazione dei saperi si perpetrava anche attraverso la pretestuosa guerra tra metodi e contenu- ti. Poi si passò alla contrapposizione tra competenze e conoscenze, mentre tutti i saperi venivano coniugati secondo il verbo dell’economia. Si fa fatica a credere che in una società in cui crescono a dismisura le disuguaglianze e arretrano i diritti, grandi potenze economiche come i colossi della rete e dell’editoria si preoccupino dei livelli culturali delle persone. Risulta difficile vedere in loro i difensori dell’istruzione come chiave per accedere al futuro. Del resto già abbiamo sperimentato quanto riporti indietro il vento delle riforme. E non siamo più disposti a credere che il taglio delle risorse essenziali della nostra scuola pubblica sia una razionalizzazione del sistema e la diminuzione delle ore di lezione un’innovazione didattica. Non pensiamo che i fondi alle scuole private accrescano la libertà di scelta. Non ci vediamo chiaro in un’autonomia che dipende dai necessari contributi delle famiglie. Non riconosciamo una meritocrazia che premia i progetti fumosi dei più sfaccendati, né riteniamo che la privatizzazione del rapporto di lavoro costituisca una garanzia di efficienza professionale. [email protected] 21 dicembre 2013 left reportage reportage Qui vive il sogno di Mandela di Alessandra Bartali, foto di Mauro Puccini Il Sudafrica cerca di dimenticare l’apartheid a colpi di assistenzialismo. Ma nella township di Knysna due donne scuotono la comunità con un progetto di scuola e lavoro E lla, quarantenne di colore, indossa un lungo vestito giallo e un cappello nero, decorato con perline colorate che le scendono fino al viso. Lo dice lei stessa: «Ho messo il vestito dei giorni di festa». La festa, oggi, è la visita di un gruppo di turisti occidentali nella township di Knysna, nella regione sudafricana di Western Cape, Knysna è una favela vista mare, che dista pochi chilometri da Città del Capo e gode del clima perennemente mite che contraddistingue tutta la zona attraversata dalla panoramica Garten Route. Qui Ella gestisce il tour operator Emzini, fondato nel 2008 insieme a Penny, sua coetanea bianca, che fino a pochi anni fa lavorava a Johannesburg come graphic designer. Nella lingua xhosa, l’etnia di Ella e anche di Nelson Mandela, la parola emzini significa casa, ed è proprio questo che offrono le visite del tour operator: un’esperienza diretta di vita quotidiana in mezzo a una comunità tipica del post apartheid. Di 20mila persone che vivono a Knysna, circa metà sono residenti qui dai tempi della segregazione razziale, mentre le altre si sono trasferite in questi sgarrupati bilocali di legno grazie ai programmi di welfare degli ultimi governi. Molti di loro pagano solo l’elettricità, il resto è a carico dello Stato. «E dove c’è odore di servizi gratuiti, i neri sudafricani accorrono come mosche», commenta Ella senza sarcasmo. È la conseguenza delle leggi antidiscriminatorie introdotte nella fase post apartheid dal presidente Thabo Mbeki (successore di Mandela), uno strumento pensato come compensazione dei torti subiti dalla popolazione di colore durante la dittatura. Sussidi e quote di neri imposte nei ruoli dirigenziali delle aziende e nelle facoltà universitarie a numero Sudafrica, gli abitanti della township di Knysna tornano a casa 39 reportage left.it chiuso miravano a incentivare la nascita di un vero ceto benestante di colore. Ma, oltre a non raggiungere lo scopo, hanno reso la popolazione dipendente dall’assistenzialismo di Stato. È proprio questa mentalità che Ella e Penny mirano a scardinare con le loro visite guidate tra le strade terrose, le case dove si cantano canzoni xhosa e i negozi di lamiera che animano la vita di questa comunità. Il biglietto pagato dai turisti, infatti, non diventa automaticamente una donazione ai bisognosi abitanti della township, ma si converte in un finanziamento per la loro emancipazione. «L’idea», spiega Penny, «è favorire lo sviluppo di un concetto di benessere legato al lavoro, e non agli aiuti pubblici». Così quando un turista olandese ha fornito alla Emzini tour 10 computer tramite la società presso cui lavorava, le due socie hanno dato vita a un corso di alfabetizzazione informatica, frequentato attualmente da una decina di donne della township. Che in contemporanea seguono lezioni di taglio e cucito presso lo skills centre, una scuola inaugurata nel 2012 per l’insegnamento di varie arti e mestieri - previo colloquio di orientamento. «Molte donne hanno uno spiccato senso della tradizione artigianale locale, ma non possiedono gli strumenti per metterlo in pratica», prosegue Penny. «Il corso per la realizzazione di oggetti di bigiotteria sudafricana dà loro le capacità tecniche per realizzare merce da vendere in città, mentre la conoscenza delle potenzialità di internet può spinger- 40 21 dicembre 2013 left reportage left.it Nella pagina accanto: in alto, vista su un quartiere di Knysna; in basso, una giovane madre e suo figlio sulla soglia di casa. In questa pagina, il parrucchiere della township. In basso, un murales dedicato a Mandela a Johannesburg NELLA GABBIA DELL’INEGUAGLIANZA left 21 dicembre 2013 neoliberale adottata durante l’ultimo periodo dell’apartheid. Come risultato, c’è stata un’enorme fuga di capitali e pochi investimenti, soprattutto nei nuovi progetti Ne sono derivate la finanziarizzazione dell’economia e l’inasprimento delle diseguaglianze. «L’apartheid è sparito sul versante delle politiche pubbliche ma è rimasto in campo economico», conferma Pons-Vignon. «Una delle conseguenze delle riforme neoliberiste è che è molto difficile facilitare la nascita di imprese nere. Ufficialmente si è liberalizzato per tentare di indebolire i grandi gruppi e le grandi compagnie minerarie e finanziarie che dominavano l’economia. Ma gli accordi oligopolistici o di cartello hanno impedito la crescita di nuovi concorrenti. La liberalizzazione ha rafforzato lo stesso equilibrio di potere dell’apartheid, anche se è emersa un’esigua élite nera che condivide gli interessi delle grandi compap.m. gnie bianche». © HADEBE/AP/LAPRESSE le a incrementare le vendite con l’e-commerce». La speranza è che le donne diventino imprenditrici e inizino a dedicare la propria energia a qualcosa di diverso dal fare un figlio dietro l’altro per ottenere sussidi. È un modulo classico, che molte seguono perché ritengono l’unico modo per campare, scaricando la responsabilità della propria disoccupazione su chi viene dallo Zimbabwe a “rubare il lavoro”. «La verità è che la politica assistenzialista ha contribuito a creare una nazione di pigri», incalza Ella. «Gli africani che emigrano qui da altri Paesi si ingegnano: i somali si consorziano per acquistare i materiali necessari all’avvio di un’attività a prezzo conveniente, gli uomini dello Zimbabwe arrivano carichi di beni da rivendere qua. Molti sudafricani, invece, vivono nella loro bolla di indolenza. La nostra azienda offre lavoro retribuito, ma a volte l’impiegato di turno non si presenta, gli andiamo a bussare a casa e lui dorme ancora, o magari è ubriaco». Non è il caso di Mawande, che al termine della visita guidata accoglie i turisti nel suo ristorante. Uno scolapasta a mo’ di lampadario crea giochi di luce sulla tavola apparecchiata con piatti di latta colorati colmi di pollo, pap e chakalaka (una sorta di polenta e verdure speziate). Mentre serve gli ospiti, Mawande racconta l’evoluzione della sua carriera, da benzinaio a portiere notturno a guida turistica («la prima di colore in questa zona», sottolinea) a piccolo imprenditore. «I turisti mi chiedevano dove potessero assaggiare «Mandela ha portato la pace, ma non è riuscito a eliminare le diseguaglianze». Nicolas Pons-Vignon, ricercatore alla facoltà di Scienze economiche e aziendali dell’università Witwatersrand (Johannesburg), riconosce che il sistema economico del Sudafrica di oggi non brilla per coerenza con quelli che erano i principi ispiratori di Madiba. «Il Sudafrica non è solo il Paese con il più alto indice di diseguaglianza al mondo», spiega. «Stando ai risultati di una nostra ricerca, il lavoro precario è aumentato proprio dalla fine dell’apartheid. È un fatto sorprendente, che però trova radici anche negli accordi fatti negli anni Novanta da Mandela per consentire la transizione pacifica verso la democrazia. Madibaha dovuto fare concessioni alla minoranza, salvaguardando i diritti di proprietà esistenti, evidentemente estorti dai bianchi alla popolazione africana. Ed è andato ancora più in là, perché ha sostenuto la stessa politica economica 41 reportage Un momento del tour da condividere con i bambini della township left.it la cucina locale, così ho pensato di aprire un ristorante nella township, dove cucino piatti zulu e xhosa». Accanto ha costruito una stanza interamente arredata con materiali riciclati, dove ospita chi vuole fermarsi a dormire. Così dà lavoro ad altre tre persone e organizza pacchetti turistici dal centro di Knysna, collaborando con alcuni tassisti locali, «perché alla gente è meglio dare una canna da pesca, piuttosto che un pesce». Durante i mondiali di calcio ospitati dal Sud Africa, nel 2010, Mawande ha portato a visitare la favela l’intera nazionale danese, che alloggiava in città, e l’anno scorso è salito per la prima volta a bordo di un aereo che lo portava negli Stati Uniti, dove era invitato a parlare della sua esperienza di turismo locale. Mica male, per un ragazzino il cui sogno per il futuro era “diventare un uomo bianco”, come scriveva nei temi scolastici. Come Mawande, anche Ella prima di conquistarsi una casa in muratura (una delle poche della township) sognava un lavoro dignitoso. Prima di riuscirci, ha avuto una vita complicata fatta di molti chilometri da percorrere per raggiungere prima la scuola e poi i campi, dove si univa ai braccianti per guadagnare pochi rand. Oggi, la sua intraprendenza sta lentamente cam- DOVE REGNA LA SEGREGAZIONE RAZZIALE L’apartheid è ancora tra noi. A più di vent’anni dalla scarcerazione di Mandela, le forme di segregazione razziale non hanno cessato di esistere. Sicuramente, la situazione del popolo palestinese rappresenta l’esempio più eclatante e duraturo di una popolazione soggetta ad una forma di sistematica discriminazione e oppressione, vittima dell’eterno conflitto con Israele. Ma anche fuori dal Medio Oriente i casi di segregazione razziale non mancano. 42 MYANMAR Secondo l’Associazione per popoli minacciati (Apm), la situazione in Birmania rimane molto preoccupante e la discriminazione nei confronti della popolazione di fede musulmana è «al limite dell’apartheid». Le minoranze etnico religiose del Myanmar sono numerose e l’integralismo buddista spietato. Al di là del tristemente noto razzismo nei confronti dell’etnia Karen, che niente ha a che vedere con la religione, a Switte, capitale dello stato del Rakhine, i musulmani rohingya sono confinati in un vero e proprio ghetto, recintato da filo spinato e presieduto da milizie buddiste. Non riconosciuti dal governo come cittadini, i rohingya sono esclusi da un regolare accesso al lavoro, dal sistema educativo e da quello sanitario. Secondo il presidente “riformista” Thein Sein, l’unica soluzione al problema è quella di riallocare questi “migranti” in un altro Paese. BAHREIN Nella monarchia del Golfo, la divisione tra i due principali rami dell’Islam - sciita e sunnita - è alla base 21 dicembre 2013 left reportage left.it biando la prospettiva della comunità di Knysna, dove i turisti sono i benvenuti e gli abitanti non si sentono come animali in uno zoo per ricchi. Certo, i nugoli di bambini sporchi e sorridenti ispirano la tenerezza di chi, una volta tornato a casa, metterà la loro foto sul desktop del proprio computer formulando pensieri del tipo «queste persone sono felici anche se non hanno niente». «Ma chi viene a visitare la nostra comunità non deve avere pietà di noi perché andiamo in giro scalzi o perché abbiamo più mucche che auto per le strade», puntualizza Ella. «Questa è la nostra vita e ci va bene così». È l’indipenden- di numerosi episodi di segregazione. Come in Sudafrica, è la minoranza a discriminare la maggioranza. Gli sciiti (circa il 30 per cento della popolazione), si impongono con leggi xenofobe sui concittadini sunniti (circa il 70 per cento), forti dell’appoggio della famiglia reale di Al Khalifa. In una delle società all’apparenza più aperte ed evolute della penisola araba, gli episodi di violenza nei confronti dei sunniti sono all’ordine del giorno e il regime sciita contribuisce attivamente a fomentare il forte sentimento di odio. Molte zone delle principali città limitano l’accesso left 21 dicembre 2013 za che serve a una vita dignitosa ed è questo che va cercando. Un concetto che tanti sudafricani snobbano come vezzo occidentale, mentre Ella e Penny sono convinte che sia un requisito valido a tutte le latitudini. Secondo il giornalista zulu Ndumiso Ncobo, le leggi antidiscriminatorie hanno dimostrato per l’ennesima volta che «l’incubo preferito di noi sudafricani è la razza». Non è più questione di razza, invece, il tentativo di due donne, una nera e una bianca, di trasmettere il valore dell’educazione e della formazione come unica forma di riscatto. agli sciiti e i posti di lavoro, in particolare quelli legati alla sicurezza interna ed esterna, sono riservati a questi ultimi. REPUBBLICA DOMINICANA Critica è anche la situazione degli haitiani a Santo Domingo. Qui, il diffuso sentimento di “antihaitianismo” si manifesta in severe leggi discriminatorie e frequenti episodi di xenofobia nei confronti degli scampati al terremoto. L’autunno scorso, la Corte costituzionale dominicana ha confermato la legittimità di una norma che ritira la cittadinanza ai numerosi haitiani nati dove il 1929. Alcuni discendono dagli emigranti di Madiba Shop, negozio di alimentari nel centro della township inizio secolo, altri da chi fu “importato” per lavorare nei campi. Più di 200mila persone sono state così private dell’accesso ai servizi sanitari e del diritto all’istruzione. MALESIA Nell’arcipelago asiatico, l’art. 53 della Costituzione riserva i diritti di cittadinanza alle etnie “superiori” - tra cui i malay e altre popolazioni indigene - definite bumiputra. Gli altri, come la maggioranza cinese. sono esclusi dauna serie di privilegi e diritti speciali in campo economico e scolastico. Giulia de Luca Gabrielli 43 mondo © DREW/AP/LAPRESSE La Borsa crede nell’Islam di Cecilia Tosi Una solidità senza confronti, un appeal che supera le barriere religiose, un mercato in continua espansione. Ecco perché i titoli finanziari che rispettano il Corano piacciono a tutti. E nel 2014 faranno boom I l 2014 sarà l’anno del sukuk. I sukuk - cioè le obbligazioni islamiche - vanno forte dal 2007, quando il loro valore complessivo ha superato i 30 miliardi di dollari. Da allora, la fetta di mercato dominata dalla finanza rispettosa della sharia non ha fatto che crescere. Anche se rispetto al volume d’affari convenzionale è ancora striminzita (2mila miliardi di dollari contro 100mila), conserva un trend positivo che non conosce nessun altro settore. E il prossimo anno gli analisti finanziari prevedono un vero e proprio boom, trainato principalmente da due fattori: gli investimenti in titoli islamici del Qatar, che si prepara così a finanziare le opere del- 44 la Coppa del Mondo 2022, e la nuova attenzione per i sukuk dei regimi nati dalle cosiddette primavere arabe, governi che vorrebbero costruire una loro stabilità finanziaria in linea con il Corano. Se le aspettative verso gli investimenti dal Maghreb appaiono traballanti, visto lo stato di salute economica di Egitto & co, l’interesse del Qatar è decisamente promettente. IL GOLFO INVESTE HALAL I lavori per organizzare i Campionati mondiali di calcio a Doha sono iniziati. Costruire stadi e ospitare sportivi significherà anche migliorare e ampliare le proprie infrastrutture, specie 21 dicembre 2013 left mondo left.it nel settore energetico e idrico. Molte aziende dei Paesi del Golfo, bisognose di risorse, vogliono diversificare le loro fonti di finanziamento e dichiarano di voler puntare proprio sulla Borsa islamica per favorire lo sviluppo della regione. Ad aver già annunciato importanti emissioni di sukuk ci sono Saudi electricity e Dubai electricity and water authority, che promettono di vendere i titoli islamici ai prezzi più bassi di sempre. E in Qatar il primo ad annunciare un’emissione è stato Ooredoo, il più grande operatore telefonico del Paese. Con queste premesse, Standard and Poor’s prevede una crescita del settore dell’11 per cento. TITOLI RELIGIOSI Ma cos’ha di così eccezionale questa finanza islamica? Il principio su cui si basa è il rispetto della sharia, che pone il bando sul tasso di interesse e sulla pura speculazione monetaria (identificati come mezzi moderni di usura). I rischi vanno condivisi tra creditore e debitore e qualsiasi transazione deve poggiare su un attivo reale, ovvero su società che producono utili e non su altri titoli o depositi: il denaro investito sul denaro (in pratica, i titoli derivati) è pura speculazione e quindi vietato dal Corano. Altri settori in cui è proibito investire sono bibite e cibo non halal (come alcol e maiale), industria del tabacco e delle droghe, scommesse, produzione di armi di distruzione di massa e alcuni prodotti per adulti come giornali e video porno e anche arte erotica. Questo non vuol dire che la finanza islamica non sia elastica. Tra le attività ammesse c’è anche un settore che produce denaro, come la compravendita di immobili, e la banca che concede un mutuo non deve prestare i soldi gratis: può comprare la casa e “concederla” in affitto al cliente, che accetta di pagare una commissione su questo servizio. In pratica, la finanza convenzionale può diventare islamica con qualche accorgimento tecnico e linguistico. Oggi il sukuk attrae per la sua moralità ma anche perché, in epoca di crisi, dà l’idea di un investimento più tangibile di un titolo convenzionale, che difficilmente poggia su qualcosa di concreto. L’investitore islamico, in questo modo, sa di condividere una parte dei profitti dell’attività sottostante. Non è solo la religione, dunque, a left 21 dicembre 2013 guidarli. Per individuare i migliori investimenti halal, i grandi centri finanziari islamici dicono di non temere confronti: gli Emiri del Golfo e i banchieri della Malesia sono specializzati, ma per avere la parte del leone anche nel boom del 2014 dovranno vedersela con i titani della City. Il governo britannico, infatti, ha annunciato che emetterà presto il suo primo titolo islamico e che Londra diventerà un punto di riferimento fondamentale per il settore, anche più di Dubai e Kuala Lumpur. E potrebbe non finire qui. A Hong Kong c’è chi propone il sukuk cinese, sfruttando la rete di rapporti costruita in Asia per finanziare la crescita della Repubblica Popolare anche con i soldi islamici. Ma oltre alle critiche sui costi, pio- Londra, Dubai e Kuala Lumpur si contendono il primato. E forse ci prova anche Hong Kong vono quelle sulla profittabilità: «Non abbiamo un mercato interno», sostiene il parlamentare di Hong Kong Abraham Razack, «Malesia ed Emirati sono islamici, Singapore e Regno Unito hanno grandi minoranze musulmane, ma noi?». La Cina fa bene a pensarci due volte, ma la presenza di comunità musulmane non è una precondizione necessaria a buttarsi nel mercato. Come fa notare John Esposito, professore di Studi islamici alla Georgetown university, le dieci banche islamiche di investimento più grandi del mondo non sono in Arabia Saudita o Qatar, ma in Europa o Usa: Ubs, Hsbc, Barclays, Deutsche Bank, Standard Chartered, Lloyds, Swiss re, Citigroup, Goldman Sachs e Morgan Stanley. Non hanno problemi a garantire la loro credibilità, perché assoldano nei loro consigli di amministrazione i migliori esperti di sharia, dotati di credenziali fornite dalle massime istituzioni religiose. L’ISLAM CHE PIACE AI CRISTIANI Il successo della finanza islamica sta proprio nella sua integrazione con quella tradizionale. Chi sperava che dal Medio Oriente arrivasse un’alternativa al capitalismo occidentale è rimasto deluso. Eppure c’è ancora chi crede in una sua superiorità morale, e non sono solo i musulmani. Tra i cristiani evangelici america- Lo sceicco Nasser Al-Mohammad AlAhmad Al-Sabah, primo ministro del Kuwait, visita la sede di Merrill Lynch a Wall Street 45 mondo © FAISAL/AP/LAPRESSE left.it I cristiani sono attratti dalla possibilità di investire secondo le regole del Libro sacro Un modello dello stadio di al Rayyan, che il Qatar sta costruendo per i Mondiali 2022 46 ni si moltiplicano gli inviti a seguire l’esempio islamico, che dimostrerebbe la percorribilità di una strada di “legalità religiosa” anche nelle finanza. L’esempio dei sukuk dimostrerebbe che anche in Borsa si può preservare l’intangibilità delle regole del libro sacro, regalando ai credenti la salvezza dal peccato. In realtà, i principi alla base della finanza cristiana sarebbero più ampi di quelli che caratterizzano quella islamica. L’economista Antoine Cuny de la Verriere fa un elenco delle caratteristiche del mercato che costringono i cattolici al peccato: l’instabilità dei prezzi dovuta alla speculazione; gli squilibri nella remunerazione; il ricorso eccessivo al debito; la mercificazione dei lavoratori; la perdita di vista delle realtà economiche reali; l’iniqua distribuzione dei profitti; l’anonimato e la deresponsabilizzazione degli investitori; i paradisi fiscali; gli effetti nefasti sull’ambiente; la mancanza di trasparenza. Molti di questi “nemici” sono gli stessi della finanza islamica, ma c’è qualcosa in più. I cristiani aggiungono il problema delle relazioni, si concentrano sul rapporto tra investitore e società finanziata, non apprezzano le dimensioni della finanza islamica che non consente un rapporto diretto tra debitore e creditore. Preferiscono chi offre la possibilità di risparmiare come gruppo (o famiglia) e di investire nell’economia locale, per costruire infrastrutture relazionali che incentivino a coltivare i rapporti con la propria comunità. Purtroppo, per ora, l’unico esempio globale di istituzione cristiana dedita alla finanza è lo Ior, i cui trascorsi non rispecchiano i principi di moralità elencati da Cuny de la Verriere. Basti pensare che la Banca del Vaticano è nota per essere la più segreta al mondo ed è stata al centro di numerose inchieste per riciclaggio di denaro sporco. E anche altri tentativi di fornire al buon cristiano strumenti per l’investimento etico non sono tra i più specchiati. Stoxx Europe christian index offre informazioni agli investitori su società che vengono misurate secondo l’aderenza ai principi cristiani. Peccato che tra le 100 selezionate ci siano petrolieri come la Bp o industrie minerarie molto inquinanti. D’altronde, gli stessi titoli fanno parte anche di un altro indice di matrice religiosa, il Dow Jones islamic market titans 100, che seleziona i titoli compatibili con le regole della sharia. La prova che il dio mercato è allegramente politeista. 21 dicembre 2013 left cultura 48 Gramsci tradito da Togliatti 52 Van Gogh, le lettere 56 Più scienza per la democrazia Il Museo Madre di Napoli, dal 21 dicembre, si apre a una nuova stagione di mostre. In primis con un’ampia retrospettiva, oltre 200 opere, dedicata a Vettor Pisani, dal titolo EROICA / ANTIEROICA. Mentre è attesisissima, a inizio primavera, la retrospettiva di uno dei più grandi artisti italiani di oggi, Ettore Spalletti, realizzata in collaborazione con GAM, Torino e MAXXI. In foto una sua opera recente. cultura 48 left.it 21 dicembre 2013 left cultura left.it Gramsci tradito da Togliatti di Elisabetta Amalfitano Dopo il giallo del quaderno scomparso, un nuovo libro dello storico Mauro Canali prosegue la ricerca sull’originalità e modernità di pensiero del fondatore del quotidiano l’Unità eterodossia gramsciana rispetto a Togliatti e Stalin è diventata ormai un dato acquisito. Negli ultimi due anni gli studiosi hanno reso noti al grande pubblico dati, documenti e fatti che gli archivi sovietici e italiani avevano tenuto più o meno nascosti. Il risultato è il delinearsi in maniera netta la figura assolutamente unica e isolata del pensatore sardo che pagò con il carcere e la morte la propria originalità di pensiero. Con Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata (Marsilio) lo storico Mauro Canali s’inserisce in questo lavoro di svelamento e ricostruzione facendo emergere due ritratti umani distanti e inconciliabili. Allo storico abbiamo chiesto innanzi tutto di spiegarci il fiorire di queste ricerche proprio in questo momento. «Questa rinnovata attenzione per Gramsci in Italia è il frutto della crisi ideologica e politica di una certa sinistra che ha comportato la fine di un’egemonia culturale protrattasi per alcuni decenni dopo la fine della guerra», commenta Canali. E aggiunge: «La ricerca può così prestare ora un’attenzione meno rituale a un personaggio che si presentava ancora evidentemente “ingabbiato” in modelli interpretativi funzionali a un progetto politico ben definito. Nell’attuale tendenza, che ha prodotto alcuni studi interessanti, stanno purtroppo confluendo anche studi nei quali la vicenda di Gramsci continua a presentarsi con le sembianze di un vaso rotto, i cui pezzi più importanti siano andati inspiegabilmente persi. Perciò per dare un senso alla vicenda ed evidenziare la pratica togliattiana dell’omissione, ancora ampiamente praticata da storici provenienti da quella tradizione storiografica, ho dovuto pazientemente “incollare” di nuovo i pezzi, cioè leggere i documenti inediti o già noti alla luce di una cronologia “ritrovata”». L’ left 21 dicembre 2013 Canali, dal suo volume emerge l’immagine di un Togliatti terribile da un punto di vista umano e senza scrupoli dal punto di vista politico. Com’è stata possibile tanta cecità? Già Giorgio Bocca lo aveva detto: Togliatti è stato uno stalinista convinto. Non è vero che avesse accettato lo stalinismo obtorto collo, allo scopo, come si è voluto sempre far credere, di garantire la sopravvivenza del partito e la sua prospettiva storica. Egli fu staliniano schierato fin dal ’26, quando Stalin non aveva ancora il controllo del partito. Nel libro lei retrodata la rottura fra Gramsci e Togliatti al ’23-24. Perché non nel ’26 come sono soliti fare altri storici? Quando, alla fine del ’23, Gramsci costruì la Uno studio serio dei contrasti fra i due, nel ’23 e ’24, farebbe capire cosa accadde veramente frazione di centro, con cui intendeva prendere le distanze sia dalla destra di Tasca che dal “sinistrismo” di Bordiga, Togliatti si espresse contro di lui e a favore della linea di Bordiga. Gramsci scrisse allora profeticamente: «Togliatti come al solito è affascinato dalle personalità vigorose». Uno studio serio dei contrasti tra Gramsci e Togliatti del ’23-24 permetterebbe di superare l’utile, ma pur sempre agiografica, storia del Pci di Spriano. Gramsci nel ’24, quando fonda l’Unità, vuole creare una posizione alternativa a quella di Togliatti? L’idea di fondare l’Unità, un giornale che orientasse il partito secondo una linea di centro e democratica, fu di Gramsci. l’Unità era una risposta al “bordighismo”, e quindi anche al Togliatti esitante di allora. Che cosa significa per certa sinistra di- Un’illustrazione che ritrae Antonio Gramsci 49 cultura left.it fendere ancora la continuità GramsciTogliatti? Togliatti, quando nel ’41 lesse i Quaderni, che contrastavano con la sua strategia, scrisse che potevano servire solo “se manipolati qua e là”! Gramsci aveva previsto tale pericolo: ormai morente, aveva pregato sua cognata d’impedire che cadessero nelle mani di Togliatti. Se oggi, sul terreno della politica, la difesa della continuità Gramsci-Togliatti significa poco, se non per intellettuali ex togliattiani interessati a tutelare la propria biografia politica, può invece significare molto la riaffermazione della discontinuità tra i due. Leggendo il suo libro viene naturale pensare a come sarebbe stata diversa la storia del Pci e della sinistra in Italia se Gramsci fosse riuscito a liberarsi dalla prigionia o se, per lo meno, il tradimento di Togliatti e di certi compagni alla sua linea politica fosse emerso subito! Avremmo avuto una sinistra più democratica e più laica e con minor compromissioni con il cattolicesimo italiano? Nei Quaderni, Gramsci esamina con grande acutezza il ruolo conservatore delle strutture che sostengono la società civile in Paesi a capitalismo maturo. In Occidente occorreva l’egemonia e non la dittatura. Questo Gramsci, op- Negli archivi della polizia segreta sovietica c’è molto da scoprire portunamente rivisitato, è oggi utilizzabile per una cultura del rinnovamento. Inoltre l’atteggiamento di Gramsci verso la questione religiosa sarebbe stato di certo meno corrivo di quello di Togliatti. Faccio fatica a credere, ad esempio, che avrebbe accettato l’inserimento dei Patti Lateranensi addirittura nella Costituzione! Forse questo è uno dei motivi per cui si è tentato di nascondere la discontinuità Gramsci-Togliatti? Il gruppo dirigente comunista esule che torna da Mosca senza il sostegno delle grandi riflessioni sulle società occidentali di Gramsci non sarebbe stato nulla. La continuità è un escamotage per garantire al partito prospettiva, ma anche e soprattutto l’impunità a Togliatti stesso. Una posizione da lei esaminata è quella di Vacca che presiede alla Fondazione Gramsci. Perché in certi ambienti ci si ostina a celare la verità storica? Vacca è stato un uomo di “parte”, più volte deputato del Pci. Appartiene alla generazione degli “intellettuali organici”, veri e propri “chierici” della linea del Pci. Il percorso del suo ultimo lavoro su Gramsci si presenta, a mio avviso, alquanto contraddittorio perché non dà 50 21 dicembre 2013 left cultura left.it Palmiro Togliatti. Nella pagina accanto Stalin conto dei suoi precedenti e assai politicizzati lavori. È vero che le autocritiche sono sempre imbarazzanti, ma a volte necessarie. Il lavoro degli storici può risultare utile alla storia e alla politica italiana? Gramsci fu in parte un’occasione mancata, poiché la sua “togliattizzazione” lo presentava ingiustamente organico a un’area culturale estesa ma politicamente “ghettizzata”. Gramsci si era posto problemi e temi molto vasti che riguardavano una reale via italiana al socialismo che non significava fedeltà a Mosca. Senza dubbio la ricerca storica deve contribuire più attivamente al dibattito sul rinnovamento culturale e politico del Paese. Questo significa anche e soprattutto fare i conti con le verità storiche celate o rimosse. Chi ribadisce la continuità Gramsci-Togliatti mostra di non essersi liberato di un retro-pensiero sciaguratamente assolutorio nei confronti dell’esperienza sovietica e la conseguente “doppiezza” togliattiana. Del resto, a segnare l’attualità dei due leader, sono i giovani che si avvicinano alla politica, cercando istintivamente Gramsci; mentre di Togliatti chi si ricorda più! Si aprono strade nuove di ricerca? Per gli storici del movimento comunista c’è ancora molto da fare, soprattutto negli archivi dell’Nkvd (la polizia segreta sovietica) purtroppo ancora inaccessibili. Aspettiamo che se ne vada Putin! left 21 dicembre 2013 Lo storico Mauro Canali e la copertina del suo nuovo libro edito da Marsilio, che sarà presentato il 16 gennaio alla Feltrinelli, a Roma, e il 24 a Latina 51 cultura left.it Dipingere con i colori e con le parole di Simona Maggiorelli Dopo l’edizione critica delle lettere di Van Gogh in Olanda, Einaudi pubblica l’epistolario nei Millenni. Che mette in luce aspetti poco noti della sua arte è un libro che chi ama Van Gogh, negli anni, ha continuato a leggere e rileggere, è Lettere a Theo nell’edizione Guanda. Per quanto si tratti di un’esigua selezione dall’epistolario (che ad oggi conta 819 lettere superstiti) è stato fin qui lo strumento principe in italiano per conoscere più da vicino la vita e il pensiero di questo genio del colore che ha rivoluzionato la pittura dell’800, mandando definitivamente in soffitta la pittura intesa come mimesis, come calco dal vero, cronaca dell’esistente. del Ora, a 4 anni dalla pub pubblicazione in Olanda dell’edizio critica delle lettere di Van zione Go Gogh, un corposo volume nella collana Millenni Einaudi perm mette, anche in Italia, di allargare lo sguardo affiancando alle missive m al fratello Theo decine d di altre indirizzate a parenti e aad amici pittori(Bonnard, Gauguin, g ecc). E se i rari messaggi iinviati alla madre Anna hanno un u tono formale e distaccato, lasciando percepire un abisso di rabbia e di incomprensione fra lui e la famiglia, spiccano invece per freschezza quelle indirizzate alla sorella Willemien, alla quale Vincent confidava progetti e aspirazioni, senza nascondersi e senza dover giustificare le proprie scelte che non si accordavano alle mode e al gusto corrente, come invece avrebbe voluto il pragmatico Theo. Proprio scrivendo alla sorella mette insieme per la prima volta esplicitamente «arte del colore» e «arte delle parole», facendo così delle lettere un momento importante del processo creativo. Lo rileva acutamente Cynthia Saltzman nell’introduzione a questa nuova pubblicazione Einaudi dal tito- C’ 52 lo Vincent Van Gogh. Le lettere. Un aspetto reso immediatamente tangibile dall’impaginazione del volume, punteggiata da riproduzioni anastatiche di missive in cui lo scritto è accompagnato da schizzi e disegni. «Nella mente di Van Gogh, così come nella pratica - nota Saltzman - la scrittura, il disegno e la pittura sono strettamente legati». «Dipingere è disegnare con i colori», scriveva Van Gogh, «e disegnare è dipingere in bianco e nero». Il disegno è l’ossessione degli anni giovanili: anni di studio “matto e disperatissimo”, passati a cercare di impadronirsi delle differenti tecniche come base e alfabeto necessario per potersi poi esprimere liberamente, fuori dai rigidi canoni d’accademia. Leggendo in sequenza le lettere qui raccolte - che vanno dal 1872 all’anno del suicidio del pittore nel 1890 - si ha l’impressione di una forsennata corsa contro il tempo, come se fosse consapevole di non averne molto . L’urgenza espressiva che lo muoveva traspare dal modo deciso, vigoroso,apparentemente frettoloso di dare le pennellate, dall’uso visionario, intensificato, del colore, ma anche dal modo in cui, nelle lettere, compone parole e immagini per far arrivare all’altro, più profondamente, ciò che ha in mente. E traspare dalla calligrafia che muta a seconda delle circostanze, delle emozioni, degli interlocutori e via via si fa più istintiva e gestuale. Ma c’è anche un altro aspetto che emerge con forza da questo epistolario: la coerenza e l’unitarietà dell’opera di Van Gogh che non consisteva di singoli quadri, per quanto forti e originali, ma di interi cicli intorno a un tema o a un motivo. Così accadde per i contadini, dai volti indefiniti per rappresentare un universale umano, o dalle figure deformate, fin quasi alla caricatura negli anni dei vagabondaggi in Belgio e Olanda. Così accadde per la serie delle barche e ad Arles per i girasoli. «Penso di decorare il mio atelier con una mezza dozzina di quadri di girasoli» scriveva a Emile Bernard nel 1888. Un aspetto che la grande mostra Van Gogh at work aperta fino al 12 gennaio al Museo Van Gogh ad Amsterdam evidenzia in 21 dicembre 2013 left left.it modo straordinario attraverso un percorso di 200 tele (vedi left n.16, 27 aprile) fra le quali, appunto, due versioni dei girasoli esposte insieme alla Berceuse (1889) secondo la sequenza immaginata dall’artista. Diseguali, poliglotte, piene di riferimenti agli amati Shakespeare, Dickens e Hugo, le lettere dimostrano quanto Van Gogh fosse curioso e attento alle novità artistiche che emergevano nel suo tempo, ma anche quanto fosse determinato a portare avanti una propria originale ricerca sul valore espressivo del colore («il pittore del futuro è un colorista come non ce ne sono ancora stati», scriveva) e un’idea di pittura intesa come ricerca del vero, non in senso naturalistico descrittivo, ma come capacità di cogliere e rappresentare in ogni circostanza una verità umana. Perciò Van Gogh amava i ritratti. Prendendo le mosse da Rembrandt cerca «il ritratto che abbia il pensiero, che abbia l’anima del modello». Cerca «la rappresentazione dell’umanità». «Vorrei fare ritratti che tra un secolo alla gente di quel tempo, sembreranno apparizioni. Quindi non cerco di rappresentarci attraverso la somiglianza fotografica, ma attraverso le nostre espressioni appassionate» scriveva a Willemien il 5 giugno 1890. E furono autoritratti e ritratti pieni di dolorosa, bruciante, verità, come quello del dottor Gachet, dallo sguardo malinconico mentre la bocca fa una smorfia. Dopo l’internamento nel 1890 a Saint Remy, è il medico a cui Van Gogh aveva affidato le sue ultime speranze, mentre le crisi psichiche si facevano più violente. «Il dottor Gachet mi ha dato l’impressione di essere piuttosto eccentrico» scrive a Theo il 20 maggio del 1890. «Mi pare confuso e malato quanto te e me». Come medico alienista Gachet ripeteva a Van Gogh di non preoccuparsi, che le sue crisi non erano nulla di grave. Il 29 luglio 1890 Van Gogh si sparò. In Chi ha ucciso Vincent van Gogh? (Skira) lo storico Pierre Cabanne scrive che la freddezza e l’impotenza terapeutica di Gachet contribuirono a determinare quel tragico gesto. left 21 dicembre 2013 cultura La copertina dell’edizione Einaudi dell’epistolario di Van Gogh e il ritratto del dottor Gachet (1890). Alcune lettere dell’artista e in alto alcune sue opere di ispirazione giapponese 53 trasformazione Massimo Fagioli, psichiatra Ho scritto, di nuovo, il dramma di un anno fa per pensare alla parola trasformazione... FU COME se avessi fallito la vita N ovembre. È svanito per sempre ed io ripenso e rivedo che altri esseri umani, simili a me stesso, ebbero oscurità dell’animo, confusione nelle parole che dovrebbero, nel loro mettersi l’una accanto all’altra, dare un senso al suono della voce. Guardai e venne la memoria dello stesso mese di un anno fa quando, senza la febbre che è il segno della reazione dell’organismo al processo infettivo, accadde che le gambe persero la forza dei muscoli e non riuscii più a camminare da solo. La memoria non mi dice se, senza rendermi conto, avevo pensato alla realtà di un vecchio che ha bisogno di un bastone. E, vedendo la verità, l’immagine che si poteva realizzare, nella mente senza coscienza, era quella di un uomo con le stampelle. Non bastava la spalla, non bastavano le braccia forti di un organismo giovane. Poi finì novembre e mi alzai dal letto dell’ospedale dove, sdraiato, sembrava attendessi la morte. Poi, la forza tornò e ripresi a camminare allontanandomi sempre di più dall’esito finale della vita. Ricordo quanto accadde a partire da sedici mesi fa e, pensando, viene la memoria di tre anni fa. E non vado più oltre perché sono perplesso di fronte alla capacità della mente di realizzare la memoria di dieci, trenta... settanta anni fa quando, ferito all’occhio sinistro, modificai la mente che si lasciò andare a pensare la realtà del corpo umano per comprendere la verità del “non corpo” ovvero ciò che non era realtà materiale. Tre anni. Ed, in verità, sono ormai tre anni e mezzo da quando fu pubblicato dalla nuova casa editrice Istinto di morte e conoscenza. Erano passati quasi quaranta anni da quando l’avevo scritto ed avevo, camminando, percorso molte strade diverse da quelle su cui avevo mosso le gambe nei primi trentanove anni di vita. E così viene un pensiero nuovo, ovvero come se fosse la scrittura che stampava una malattia mentale detta schizofrenia, dicevo nel primo capitolo; nel secondo che la nascita dell’essere umano non era distruzione dell’umano. Riuscendo a comprendere, il senso della rivolta ad una medicina che non era mai riuscita ad essere psichiatria, si vede il rifiuto dell’idea della malattia mentale come malattia organica e dei tentativi falliti della Daseinsanalyse e psicoanalisi di comprendere qualcosa che non era direttamente percepibile. Era stato impossibile, da sempre, comprendere la realtà non materiale del corpo umano. Con quel libro dissi che avevo visto che la realtà non materiale del corpo umano origina dalla realtà biologica. E per la capacità di reagire quando giunge l’energia, il fotone sulla sostanza cerebrale che è la rètina, dall’organismo umano emerge e va verso l’esterno la pulsione di annullamento che è fantasia di sparizione. Il pensiero verbale era riuscito a formulare in parole il paradosso della contraddizione: fa di ciò che è, il mondo non umano, ciò che non è; di ciò che non è, ovvero la vita della realtà fisica del feto, in ciò che è nella memoria-fantasia dell’esperienza avuta. Così ho scritto, per l’ennesima volta ciò che, da tempo, viene detta teoria della nascita umana. E già dissi che, negli ultimi mesi, rimasi perplesso di fronte ad un “non capisco” di fronte alla semplicità del pensiero che diceva realtà di una ovvietà evidente... “la vita non inizia per la pressione atmosferica sul torace del neonato e lo fa respirare... è assenza di rapporto con la realtà materiale...”. Ed è noto che, dal 2010 le ricerche biologiche confermano che la sostanza cerebrale della rètina, stimolata dalla luce inizia un movimento e determina il funzionamento del cervello che, nel feto, non è attivo Ma la voce di esseri umani simili a me stesso parla di realtà incomprensibili ed io odo la voce che dice: non capisco, ma sento il suono che dice: non è. E mi chiedo se sia una carenza di intelligenza. Allontanare da sé l’acqua che fa scorrere il sangue, la farina che dà la possibilità di continuare a sviluppare la vita, è strano. Penso alla capacità di reagire ed alla incapacità di comprendere come la sparizione della farina, quando si unisce all’acqua, faccia comparire, con il calore del fuoco, il pane. perché il corpo del neonato è creazione 54 21 dicembre 2013 left left.it E due piccole parole neonate che, respirando, fanno un forte vento che abbatte vecchi alberi secchi, con un sussurro che sembra un urlo, dicono: assenza di capacità di immaginare. E i due termini fantasia di sparizione che insieme fanno una parola nuova, portano una precoce brezza di primavera che, con un soffio di tristezza fa il pensiero. Respingono il linguaggio che è linfa vitale perché non hanno compreso la realtà diversa ed opposta. Il rifiuto è, in verità, negazione. Non hanno mai cercato di comprendere il termine trasformazione che può essere pensato come scomparsa di una realtà che era esistente e la comparsa simultanea di una realtà che prima non c’era. Hanno creduto al termine trasfigurazione. E penso che ho dovuto rifiutare il termine che, raccontando favole, voleva affermare che un corpo, ormai morto e perduto, poteva tornare e rendersi visibile come immagine-spirito. Ovvero come realtà non materiale. E sono obbligato a pensare che la mia mente ha sempre respinto essa credenza. Poi, sono certo che per questo motivo, ho potuto pensare la verità mai vista della realtà non materiale dell’essre umano che emerge dall’organismo biologico per sparire quando la sostanza cerebrale non è più attiva. È dall’organismo che nasce, l’organismo che, con la luce, diventa vivo. E torna la parola trasformazione che dice che la realtà non materiale non compare dopo che il corpo non è più vivo ma quando, dalla realtà biologica senza pensiero, diventa vita umana e la capacità di reagire dell’organismo diventa capacità di immaginare. E penso che una mente... ha trovato il termine per dire di una non esistenza, la trasfigurazione, e non ha mai voluto che si comprendesse la parola trasformazione. Ed ora penso che il termine che diceva: esistenza che, prima, non era mai esistita nascondeva in sé la parola creazione. Non era ricreazione della vitalità e nascita che erano esistite e perdute per l’annullamento e la negazione di un altro essere umano basata sull’anaffettività. Era emergenza spontanea di una forza, la pulsione, per uno stimolo esterno che non è realtà biologica. È una realtà diversa ed estranea all’essere umano. Mi sembra di vedere che la parola trasformazione impallidisca di fronte al termine creazione. Come se creazione avesse una capacità di immaginare più potente perché dice che ciò che c’era prima non è sparito ma è: come se il corpo non fosse mai esistito come la realtà mentale. Il neonato è una realtà assolutamente nuova e dissi, non c’è un corpo con il pensiero, ma il pensiero è corpo e non si possono pensare scissi l’uno dall’altro. Come se il pensiero, che non è realtà materiale fosse realtà biologica umana. La mano stanca mi dice che non vorrebbe più scri- L’unione dell’energia con la sostanza cerebrale non è soltanto comparsa della realtà non materiale. Per una energia che giunge sulla rètina, dall’esterno del corpo, è trasformazione che è creazione di una realtà biologica che, prima, non esisteva vere le lettere dell’alfabeto italiano. Subito so che vorrebbe fare quei segni incomprensibili che parlano a nessuno. Linee fatte a caso, in assenza di coscienza vigile, sembra che camminino lentamente una dietro all’altra… colore. Al loro silenzio voglio mettere un suono che canti la tristezza eterna d’immagine che non c’è mai stata. Fu chiamato scarabocchio ignorando la figura di un occhio imprigionato nella gabbia segnata dalle linee che non disegnano un volto. Non so se ha una espressione perché la capacità di immaginare è fermata dal linguaggio che fa un concetto: la realtà del dolore umano griderà sempre: non è vero. E la mano si ferma perché, nella mente, ci sono le parole: la dinamica per cui la realtà biologica crea un corpo nuovo prima mai esistito, è uguale in tutti gli esseri umani. Mi erano mancate le gambe. Sdraiato nel letto, era iù spostato il corpo nello certezza che non avrei mai più ai. La forza era tornaspazio. Poi mi alzai, camminai. ato. E le parole dista. E, dopo un anno, ho parlato. sero che la ricreazione della vita era la memoria dell’esperienza vissutaa nel rapporto con la ragazzina di un anno più grande di me. é Ma la mano si ferma perché è comparso il profilo rosso di donna. È silenzioso ma io sento il suono e penso che è creazione di una realtà fisica che non è mai esistita che è amore per l’esistenza a materiale dell’essere umano diverso da me. ...il movimento senza luce non è creazione di una realtà che prima non c’era... left 21 dicembre 2013 55 scienza La democrazia In contrasto con Croce e Gentile lo studioso livornese Federigo Enriques si batté perché le discipline scientifiche fossero centrali nella scuola e nella costruzione di un’Italia moderna rano anni di grande speranza quelli che vedevano, un secolo fa, l’Italia presentarsi tra le potenze europee. Si faceva strada, tra contraddizioni e conflitti, la società di massa e la lotta per la democrazia. Gli scienziati contavano nel Regno d’Italia, da Quintino Sella a Vito Volterra. E i matematici costituivano una comunità di punta nel mondo politico; la storia politica dei matematici italiani è ora raccontata in modo esauriente e avvincente da Umberto Bottazzini e Pietro Nastasi in La patria ci vuole eroi. Matematici e vita politica nell’Italia del Risorgimento (Zanichelli). Federigo Enriques è stato l’ultimo protagonista della battaglia culturale, pedagogica e politica dei matematici e degli scienziati italiani, prima che la Grande Guerra portasse con sé, insieme alla distruzione e alla morte, il trionfo del nazionalismo, del populismo e della “mistica fascista”. Enriques combatte apertamente per la democrazia e per la cultura, non solo scientifica. Il matematico livornese individua presto, nelle relazioni tenute nel 1906 e nel 1907 al primo e al secondo Congresso della Società filosofica italiana, che contribuisce a fondare e dirige fino al 1913 (la storia della Sfi è ancora da fare), il ruolo della scienza per la costruzione di una società democratica e lo propone nel momento in cui diviene centrale in Italia il problema della costruzione di un ordinamento didattico coerente con lo sviluppo della società di massa. Egli sostiene la via di una concreta unificazione del sapere su basi scientifiche, nella quale diventi importante il ruolo della storia e della filosofia della scienza. Da matematico, promuove una società di filosofia, che si distingue ancora per essere l’unica in Europa a riunire docenti universitari e liceali: la Sfi è giunta il mese scorso al suo XXVIII congresso a Catania e ha eletto a presidente lo storico della filosofia ed epistemologo Francesco Coniglione. E 56 Consapevole del ruolo civile della formazione scolastica e universitaria, Enriques gioca la sua battaglia per stabilire l’orientamento di fondo della politica scolastica in Italia, in contrasto con Benedetto Croce e Giovanni Gentile, un contrasto che investe - come ha ricordato Michele Ciliberto (Scienza, filosofia e politica: Federigo Enriques e il neoidealismo italiano, in Federigo Enriques. Approssimazione e verità, a cura d O. Pompeo Faracovi, Belforte 1982) - il terreno stesso dell’«egemonia», in senso gramsciano. Nel mutato ambiente post-bellico sul progetto di Enriques prevarrà, nel 1923, la riforma scolastica promossa da Gentile. Enriques rivendica con convinzione un ruolo democratico per la nuova filosofia della scienza; scrive in una lettera del 9 febbraio 1908 a Giovanni Vailati, altra figura di matematicofilosofo impegnato nel medesimo progetto: «la battaglia contro le divisioni artificiali della scienza, mostra che, in questo caso, “democrazia” non significa certo un concetto meno alto della scienza». Una funzione significativa nella direzione del nesso scienza-democrazia svolge la rivista Scientia, stampata a Bologna nel 1907 da Nicola Zanichelli sotto la direzione di Enriques e di Eugenio Rignano, ingegnere milanese. La rivista diffonde in Italia la più recente cultura scientifica internazionale ed è riconosciuta nei centri europei di filosofia della scienza. Vi collaborano i matematici Vito Volterra, Giuseppe Peano, Guido Castelnuovo, Giovanni Vailati, Henri Poincaré, i fisici Enrico Fermi, Werner Heisenberg, Albert Einstein, i filosofi della scienza Bertrand Russell, Rudolf Carnap, Moritz Schlick. Enriques integra la sua visione di una scienza come elemento propulsivo della nascente democrazia con un’articolata riflessione sulla democrazia in Scienza e razionali- 21 dicembre 2013 left matematica di Gaspare Polizzi smo (1912). La democrazia rappresenta per il matematico livornese il punto di arrivo dell’evoluzione istituzionale e va preferita per il suo equilibrio tra «aspirazione egualitaria» e «ambizione dei cittadini». Le forme della rappresentanza devono rispondere alla prima esigenza democratica: «Creare gli organi capaci di formare e di esprimere la volontà generale». In una prospettiva democratica parlamentare è centrale la funzione dei partiti, «organi formativi della coscienza politica». Nei partiti Enriques ritrova la «funzione più alta del governo democratico», temperata da due «forze moderatrici che tendono ad impedire gli abusi del governo di partito»: la presenza di «un gruppo abbastanza numeroso di neutri che viene a decidere della vittoria»; la «possibilità pratica di governare» conciliando interessi di parte ed «esigenze del pubblico». «Il retto funzionamento delle democrazie parlamentari» si basa sulla selezione dei più idonei, confermata dal consenso dei “neutri” e dalla pratica di governo. Il cattivo funzionamento della democrazia è invece dovuto al prevalere degli interessi di parte e alla riduzione dei partiti a strumenti di clientele e di ambizioni personali. Qualcuno oggi può smentire quest’analisi? In definitiva, Enriques propone «un governo democratico più o meno temperato», lanciando una scommessa sul futuro morale civile dell’Italia: «la democrazia più larga e più libera non crea ma suppone nel popolo la coscienza e l’aspirazione al progresso nazionale». La concezione politica di Enriques espresse un secolo fa un’armonia nascosta tra filosofia, scienza e democrazia, a garanzia dello sviluppo culturale e civile dell’Italia. Una scommessa da rilanciare anche oggi, nella speranza - non saprei quanto fondata - che in Italia la politica e la cultura possano rigenerarsi. left 21 dicembre 2013 Nel mutato ambiente post bellico, sul progetto di Enriques prevarrà, nel 1923, la riforma scolastica d’impronta conservatrice Un ritratto di Benedetto Croce (1866 -1952). In alto, Federigo Enriques (1871 - 1946) 57 puntocritico cultura ARTE di Simona Maggiorelli L’arte di progettare C on la sua forma ottagonale e le pareti in elegante marmo bianco e verde, il Battistero di San Giovanni è il vero cuore di Firenze e una straordinaria summa dell’arte fiorentina antica. Con i suoi marmi, i bronzi, i mosaici a cui lavorò Cimabue racconta di un edificio che, come un organismo vivente, è cambiato nel tempo, passando attraverso molteplici fasi costruttive, arricchendosi progressivamente di immagini e di elementi preziosi come la Porta est realizzata nel 1330 da Andrea Pisano e la Porta del Paradiso, storico incunabolo del Rinascimento, una porta creata da Lorenzo Ghiberti nell’arco di 27 anni, dopo aver sconfitto il rivale Brunelleschi nella celebre gara del 1401 indetta dalla potente Arte dei Calimala. Del recente intervento di restauro diretto da Annamaria Giusti su questo capolavoro (composto di 58 rilievi fusi a uno a uno) abbiamo già avuto modo di scrivere su queste pagine, ma ora una nuova pubblicazione ci offre l’occasione per tornare a parlare del lavoro della direttrice dell’Opificio delle pietre dure: nella collana “Mirabilia Italiae”, l’editore Franco Cosimo Panini pubblica una sua monografia dedicata al Battistero di San Giovanni, un volume iconograficamente ricco e di alto profilo scientifico; una strenna che ripropone in versione divulgativa e left.it a prezzi contenuti la monumentale opera sul Battistero di San Giovanni uscita qualche anno fa e destinata soprattutto a un pubblico di studiosi. Ancora rimanendo nell’ambito dell’architettura, ma avvicinandoci a noi nel tempo, segnaliamo l’uscita del secondo e del terzo volume dell’Architettura del Novecento. Opere, progetti, luoghi nella collana “grandi opere” Einaudi. Curati da Marco Biraghi e Alberto Ferlenga i due tomi non pretendono di storicizzare secondo un unico punto di vista l’arte di progettare e di costruire nel secolo scorso. Piuttosto si tratta di volumi polifonici costruiti prendendo in esame 288 esempi fra i più innovativi del XX secolo, analizzati criticamente dai maggiori esperti internazionali di quei progetti che qui sono chiamati a raccontare. Certo la selezione degli inclusi e degli esclusi potrà non contentare tutti, ma l’approfondimento che connota le singole schede è altissimo. Infine concludiamo questo nostro breve viaggio fra le strenne con la segnalazione dell’uscita della monografia di Daniele Pisani sull’opera dell’architetto Paolo Mendes da Rocha edita da Electa. Con fotografie di Leonardo Finotti questo libro ripercorre la carriera di Mendes da Rocha leggendola sullo sfondo della grande scommessa che il Brasile fece negli anni 50, per il miglioramento di megalopoli come San Paolo. Uno sforzo che il governo aveva avviato fin dall’approvazione della Costituzione ma che conobbe uno dei suoi momenti più alti nel 1959 quando le migliori menti dell’architettura e dell’urbanistica furono chiamate a collaborare per realizzare grandi opere pubbliche. In questo ambito si iscrivono molti progetti di Mendes da Rocha raccontati in questo libro con la prefazione di Francesco Dal Co, che documenta anche l’affascinante lavoro di questo architetto brasiliano nell’ambito della progettazione di case private, ma “aperte” all’ambiente in cui sono inserite. Il Battistero di San Giovanni, a Firenze 58 CINEMA di Morando Morandini I due film dell’anno S till life (Gran Bretagna, 2013), scritto, prodotto e diretto da Uberto Pasolini Dall’Onda con Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen Drury, Andrew Buchan e Ciaran McIntyre, è il film più emozionante dell’anno. Comincia e finisce in un cimitero della south east London. Ha un finale poetico almeno in due sensi e in Eddie Marsan, ha un protagonista assoluto di incredibile bravura. È il secondo lungometraggio di Uberto Pasolini Dall’Onda, pronipote di Luchino Visconti, dopo Machan - la vera storia di una falsa squadra del 2008. È stato anche produttore indipendente di Full monty del 1997 che, costato 3,5 milioni di dollari, divenne il film britannico più redditizio del 2000, incassando in tutto il mondo 500 milioni di dollari (secondo altre fonti solo 250 milioni di dollari). È la storia di John May, funzionario comunale, che cerca di rintracciare i parenti più prossimi dei morti in solitudine, prima della definitiva sepoltura. Per loro sceglie la musica più adatta e scrive discorsi celebrativi che quasi nessuno, a parte lui, ascolterà mai. Il che permette di indicarne l’originalità tematica. Un film così non era mai stato fatto. A modo suo (dura soltanto 87 minuti) è un film perfetto. Fotografia: Stefano Falivena; musica: Rachel Portman; scene: Lisa Marie Hall; costumi: Pam Downe; distribuzione in Italia Bim. Still life (natura morta in pittura). 21 dicembre 2013 left cultura left.it LIBRI di Filippo La Porta Hirst e l’arte della truffa V Una scena di Still life e una di Molière in bicicletta Molière in bicicletta (Alceste à la bicyclette) Fr. 2013 di Philippe Le Guay con Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa, Camille Japy, Laurie Bordesoules, Agnèse Mercier, Ged Marlon. Serge Tanneur (Luchini), attore rinomato, si è ritirato all’ile de ré dove vive come un eremita. Va a trovarlo Gauthier Valente (Wilson) amico e collega di grande successo televisivo che gli propone di recitare insieme a teatro Il misantropo (16661667) di Molière (1622 – 1673) alternandosi nelle parti del protagonista Alceste e in quella di Philinte. Serge è scettico pur conoscendo a memoria l’intero testo e gli fa una controproposta: perché non si ferma qualche giorno per fare insieme delle prove di questo esperimento? La presenza inaspettata di Francesca (Maya Sansa) un’italiana che vive nell’isola seduce Serge e sconvolgerà gli equilibri. Le Guay fa di Serge un pragmatico e di Gauthier un falso indulgente che non si fa illusioni sulla mediocre qualità del suo lavoro in tv, ma proprio perciò vuole interpretare Alceste: ha qualcosa dentro che vuole difendere. In questo film sugli attori Le Guay ha introdotto la porno star Zoe (L. Bordesoules) perché incarna il grado zero del mestiere. Ma quando i due maschi le chiedono di recitare versi del testo la sua franchezza produce un’emozione inattesa. Poiché i due si divertono a parodiare i modi di declamare i versi alessandrini è evidente che il film parla anche della lotta per il potere. Un tema serio espresso in modi leggeri. left 21 dicembre 2013 orrei approfittare, un po’ abusivamente, di un romanzo per dire la mia sull’arte contemporanea. Si tratta di Questa è arte! di Giovanna Corrias Lucente (Aracne), nasce da un precedente racconto - profeticodel 1883, se pensiamo che lo squalo in formaldeide di Damien Hirst è del 1991. Vi si narra infatti di un giovane artista molto ambizioso, semi - fallito e paranoide, che trafuga salme nei cimiteri per esporle in galleria. Un commissario un po’ da sceneggiato televisivo è sulle sue tracce, ma quando alla fine riuscirà quasi ad acciuffarlo l’artista si sottrae all’arresto suicidandosi e calandosi in una vasca di plexiglas, pronto anche lui per essere esposto. Il romanzo, un po’ convenzionale nella caratterizzazione dei personaggi, ha il pregio soffermarsi criticamente sul sistema dell’arte, sul variopinto sottobosco che ruota oggi intorno all’arte (mercanti avidi, furbi critici-curatori, collezionisti miliardari e ignoranti, pubblico fatuo dei vernissage), prendendo però sul serio la questione centrale dell’arte contemporanea (o almeno di un suo filone consistente): rinuncia consapevole alla bellezza, contaminazione anche “rischiosa” con la fisicità, estetica dell’orrore. Il tema è delicato. Da una parte l’arte contemporanea viene giudicata da critici autorevoli una truffa organizzata per il business (quello squalo è valutato 25 milioni di dollari!), e dall’altra però questa critica può essere fatta sia in modo argomentato (vedi Clair o Fumaroli) come insofferenza verso tutto ciò che non si capisce (anche gli impressionisti erano rifiutati perché incomprensibili). Da qualche decennio l’arte si misura con la pubblicità, i videogiochi, l’industria della moda e del look, e poi ha ridefinito il proprio stesso statuto. Occorre saper distinguere tra semplice trovata e ricerca rigorosa. Ma soprattutto: il romanzo ci porta a una conclusione. Oggi un artista è più radicale del suo omologo scrittore: mette in gioco se stesso, il proprio corpo, perfino la propria vita, si espone alla vertigine e all’eccesso della creazione, ha una dedizione quasi fanatica al proprio ideale. SCAFFALE IL BONOBO E L’ATEO di Frans de Waal, Raffaello Cortina, 334 pagine, 28 euro «Non accetto il dogmatismo dei credenti che negano la teoria dell’evoluzione», ha detto de Waal in una recente intervista. Un’interessante proposta di umanesimo non religioso è alla base di questo suo fortunato libro. Da biologo de Waal dissente anche da certo determinismo organicista che vorrebbe noi fossimo del tutto determinati dai geni. NON È COSA VOSTRA di AA.VV., Encyclomedia, 96 pagine, 9,90 euro «Combattere il consumo di suolo e combattere la corruzione è la stessa cosa», scrive Salvatore Settis in questo pamphlet a più mani. «Dobbiamo farlo in base alla Costituzione, sapiente mosaico in cui ogni tessera è legata alle altre». Come spiegano qui con passione anche Rodotà, Landini; Bonsanti, Zagrebelsky, Pace e altri studiosi di alto profilo. LUZ, SOLO PER AMORE di Massimo Carlotto e Marco Videtta, Einaudi, 173 pagine, 15 euro Scrittura fresca, narrazione coinvolgente, l’ultimo volume del ciclo delle Vendicatrici è un insolito romanzo d’amore. La tostissima Luz incontra un uomo misterioso in questo libro che si conclude con un memorabile: «Sarò pure scema, nun ci avrò capito niente, ma la vita senza uomini rischia di essere ’na gran rottura de palle...». 59 bazar cultura left.it TENDENZE di Sara Fanelli Il ritorno di Littizzetto Meno pizzi più fascino L’ T FICTION di Alessandra Grimaldi universo fiction è, ormai, ricco di sequel, novità e interpreti che danno lustro e successo a un genere televisivo seguito da un pubblico attento e affezionato. Densi i palinsesti di Rai e Mediaset pronti a sfoderare, per il 2014, le loro ultime opere di finzione. Molto spesso anche la tv riesce a trattare, degnamente, vicende nazionali o profili di personaggi storici e letterari, ma anche realtà sociali come la scuola o più intime come la famiglia: ambienti comuni e ricchi di rapporti umani non sempre adeguatamente narrati. Tra le produzioni più interessanti, a febbraio per Rai Uno vedremo in prima serata Fuoriclasse 2, le avventure umane e professionali di Isa Passamaglia: prof di Lettere e Latino di un liceo scientifico torinese, interpretato dalla popolare Luciana Littizzetto. La serie porta la firma di Domenico Starnone, scrittore e sceneggiatore, per la regia di Riccardo Donna. La simpatica insegnante, abbandonata dal marito, l’attore Neri Marcorè, si destreggia tra il figlio adolescente, qualche collega maligno, Roberto Citran in primis, un preside bizzarro, Giulio Scarpati, e impreviste vicende sentimentali. Tante le novità dell’attesissimo seguito, tra tutte una gravidanza per la protagonista Isa/Luciana. Se la rete privata per antonomasia, Canale 5, si difenderà con sceneggiati aristocratici (I segreti di Borgo Larici), dai contenuti peccato&vergogna o polizieschi, la Rai sfoggerà, in primavera, un evento pretenzioso: Il ritorno di Ulisse. Nei panni dell’eroe di Itaca, il bravo Alessio Boni affiancato dalla Penelope/Caterina Murino. Un tema epico con la rievocazione dell’Odissea, una coproduzione Italia, Francia e Portogallo per la regia di Stéphane Giusti. Prodotto desueto, ma gradito, che spicca tra i vari donmattei e i medici in famiglia, presenti all’appello anche quest’anno, posti in programmazione dopo una fiction diretta da Pupi Avati. Cinquanta anni di storia italiana, dal 1945 al 2005, come sfondo della vita di una coppia medio borghese. Un cast nutrito dal titolo sibillino: Un matrimonio. Al di là delle attese e delle competizioni, a decretare il successo sarà il temutissimo auditel con la speranza che in futuro sia indice di qualità. utti i blog di moda si stanno interrogando su quali saranno i look di queste feste. Per quest’anno il rosso lasciatelo a Jessica Rabbit. L’importante è sapere che bisogna indossare un outift sempre adatto a luogo e circostanza. Non eccedete con pailettes o lustrini, con argenti e fluorescenze, per chiacchiere tra amici o le partite a carte in casa. Abbandonate pizzi rossi e combattete il freddo con comodi maxi-pull, indossati come minidress sopra i leggins. Per un appuntamento più elegante, Lbd, il classico tubino non perde mai il suo fascino. O la camicia bianca su pantaloni di velluto taglio Armani. Il cachemire da amare per cinema e regali di Natale. Alcuni capi della collezione Armani [email protected] DIGITALE Terza Pagina e storia Un’immagine di Fuoriclasse 2 60 Sul canale della Feltrinelli, laeffe Natale dell’Arte costruito attraverso i capolavori di Van Eyck, di Bruegel il Vecchio, di Gauguin, di Botticelli di Filippo Lippi e molti altri. Su Rai storia (canale di Rai educational) invece, il 27 dicembre Italo Balbo, le ali del fascismo con lo storico Mauro Canali. E, soprattutto, da non perdere su Rai scuola ogni sabato alle 9 e in replica ogni due ore , il programma di informazione culturale Terza pagina condotto da Paolo Fallai con Maria Agostinelli. ROMA Anni Settanta Anselmo, Boetti (sua l’opera in foto), Agnetti, Accardi, Consagra e molti altri. Quasi 200 opere, di 100 autori italiani e internazionali, per raccontare l’arte di un decennio a Roma, allora realtà vitale per l’intreccio di linguaggi differenti e sperimentazioni, accogliente bacino di culture visive diverse. Al Palaexpo fino al 2 marzo 2014. 21 dicembre 2013 left cultura left.it JUNIOR di Martina Fotia di Bebo Storti Esplosivi PaGaGnini P In fondo. aGaGnini: dopo il travolgente successo del loro battesimo italiano assoluto, due anni fa, il Piccolo Teatro Strehler di Milano si prepara ad accogliere di nuovo dal 27 al 30 dicembre il virtuoso quartetto d’archi. Diretti da Ara Malikian, enfant prodige della musica classica e violinista di fama mondiale - nato nel 1968, libanese di famiglia armena, uno dei più brillanti artisti della sua generazione - arrivano gli irriverenti musicisti di una compagnia tutta speciale. Tre impettiti violinisti e un violoncellista: severo quartetto d’archi all’apparenza, insospettabili showman non appena si spengono le luci di sala, i musicisti interpretano da virtuosi le arie più famose di Mozart, Vivaldi, Pachelbel, de Falla e, naturalmente, Paganini, la cui tormentata figura è al cuore della pièce. Ma con esilaranti variazioni sul tema: i violinisti sobbalzano a tempo, il direttore si incammina sul palcoscenico per un’“esecuzione itinerante”, il violoncellista impugna le nacchere e improvvisa un flamenco. Né mancano curiose incursioni nella musica rock e pop, da Gainsbourg agli U2.Cominciano a suonare, da grandi professionisti quali sono. Ma qualcosa s’intoppa... e così prende il via una parodia esilarante dei riti, dei tic, degli stereotipi, delle gerarchie (c’è sempre qualcuno che pretende di essere il Capo) della musica “classiclassi ca”. Fino no a quando uno di loro oro si innamomora di una ragazza del pub-blico, chiamata ta sul palco oa interpretare etare un pezzo o di musi- ca contemporanea. E diventa impossibile riportare l’ordine in sala... Le gag, la fisicità e lo humour esplosivi, tipici del linguaggio teatrale della compagnia spagnola, hanno già fatto ridere le platee del mondo intero. Puro teatro e puro divertimento. Altamente contagioso per grandi e piccini. I musicofili li amano perché sono impeccabili esecutori. I bambini impazziscono perché sono meglio dei clown. La critica di tutto il mondo ha gridato al miracolo: uno sp spettacocolto e inlo col telligente, tellig ma anche divertentisdivert simo, ideale per chi c vuoi le iniziare in più giovani all’ascolto all’as della musica classica. classica SESTRIERE ROMA ROMA Libri e musica Libero tango Musica, letteratura, spettacolo, storia, benessere, enogastronomia: a Sestriere torna Casa Olimpia con gli appuntamenti a ingresso gratuito. Dal 26 dicembre al 6 gennaio con Giuseppe Culicchia, Il “citofonista” tv Andrea Rivera, la cantante Awa Ly (in foto) e molti altri. Il Museo storico della Liberazione di via Tasso ha bisogno di fondi per scongiurare la chiusura. Per questo, la rete delle Milonghe popolari organizza una maratona a sostegno del museo al Csa Intifada il 21 e il 22 dicembre dalle 18 alle 6. Quando anche ballare è antifascista. left 21 dicembre 2013 Metropoliz Al MAAM Museo di Arte dell’Altrove di Metropoliz città Meticcia, la mostra evento Extra-Ordinary day con molti artisti, fra i quali Stefano D’Amadio (sua la foto), che espongono per la serata aggiungendosi ai già presenti nel Museo. Tesoro andiamo in Sudafrica! Davvero? Sì davvero davvero! Ma ci posso venire anch’io? Ma certo! Tutti portano tutti! E io chi sono? Il più pirla? Amore tu sei un uomo un po’ pirla... ma va bene. Se dici che non corri il rischio di sputtanarti e che salti fuori uno scandalo, va bene. Ho pensato a tutto. Viaggio, due giorni in un resort della madonna, tu che fai shopping e compri quelle cagate africane per arredare la casa. Bello, mi piace! Senza spendere un euro! Certo che non poteva morire in un momento... come dire... migliore... lì è estate! Eh sì. Povero coso... come si chiama? Mandela. Mandela, bravo! ----------------------Cara! Vedessi le foto! Te le ho mandate su Wazzappo! Si dice Whatsapp. Belle però. Dietro c’è quel cielo azzurro e tutta quella gente! Vedessi quando ho fatto il mio intervento. Ho visto qualcosa nelle news. Sembravi un po’ teso. Non sapevo cosa voleva dire Madiba! Sai che figura di merda! È un titolo onorifico della sua etnia, la Bantu. Sei sempre informata tu! Quando torni? È troppo bello qui. Vabbé non tenere l’aereo di Stato fermo dei giorni che mi serve. A Miami c’è la sfilata di Armani. Va bene amore. ----------------------Semo sicuri che l’onorevole ce porta? Ce porta ce porta! Che me porto roba da bagno? Ma che cazzo, è un funerale! De chi? Ma che cazzo ne so io. Coso. Mandingo! Ecco! (poi li beccarono tutti) 61 ti riconosco di Francesca Merloni La trasparenza Non cercatemi sotto una forma, ne posseggo mille e mai una fissa: ecco perché mi si vede senza conoscermi, senza potermi afferrare né definire: mi si perde di vista vedendomi, mi si sente e non mi si distingue.. Non mi troverete mai diversamente così non sarete mai stanchi di vedermi. E cco il nucleo dell’opera, il respiro ultimo. Inconoscibile, indefinibile e infinitamente percorso. Talvolta perfettamente reso in una forma, sia essa parola, colore, sinfonia o paesaggio. Qualcosa che si avvicina e in qualche modo racchiude, traduce e riproduce quella parte di inconoscibile che riusciamo a vedere solo non guardandola, non di fronte, non per un tempo definito e superiore ad un frammento. La sentiamo, però. Indubitabilmente la riconosciamo in quella forma o in quell’agito. La sentiamo, ma per poco. Essa è già più in là. Inafferrabile. È andata via pur restando nelle forme. Ma qualcosa che si imprigiona fatalmente muore. Così la forma stabile che il pensiero prende non possiede del tutto la forza vitale dell’idea che la genera, il suo nucleo, semplicemente la riproduce, facendosi abitare per un attimo. E quest’attimo profuma per sempre. È quel profumo che ci chiama, è l’assenza di infinito in noi che trova compimento per un istante in una forma stabile da un altro -o da sé- intuita e riprodotta. E con questa de-finizione di qualcosa che prima non c’era, perfettamente combacia. Ecco l’incontro. Ecco il miracolo delle connessioni, il privilegio di riconoscere parte del proprio infinito in una opera di qualunque ingegno incisa in qualunque tempo prima di adesso. La voce dell’opera è eterna e chiama per sempre. È lì da sempre. È sempre stata in questo non-luogo e ci ha visitati, ha lasciato tracce e segni in noi, altrimenti non la riconosceremmo. Non possederemmo quel codice di accesso ad “interminati spazi” fuori e dentro di noi e la profondissima gioia del riconoscimento, anche fuggevole, e la quiete e la pienezza del “ritorno a casa” ci sarebbero ignote. Così la forma, dal guado di questa consapevolezza eterea, ci appare come l’ulteriore velo da sollevare, come un segno da oltrepassare mentre cerchiamo di avvicinare ciò che essa indica, la realtà che in modo diverso si esprime, lo stesso sogno che cambia volto, che cerca il suo volto ed è pronto a mille volte re-immaginarlo, lasciando indietro una compiutezza che, appena raggiunta, sa già di limite. È la disponibilità perfetta la vera forma? La trasparenza, forse. La forma, come ulteriore velo da sollevare, come segno da oltrepassare [email protected] Guardatemi, dice quel che in essi sale dal fondo del linguaggio, dimenticate chi siete perché io sia, fate di me quel che cerco di essere, rinunciate al vostro sogno per il mio, amatemi, datemi forma, volto con le vostre mani d’ombra e luce. Il cielo della sera è forse una rosa. Rosa che verrà con i vostri lavori d’orticoltori nelle nubi, rosa d’alberi, di fiumi, di sentieri, di letti disfatti, di mani semplici che cercano altre mani, alla cieca. Rosa delle parole 62 che uno dice all’altra, soltanto per il fremito del palmo, delle dita. Il cielo cambia. La rosa senza perché siete voi, nei giardini del suo colore. Guardate, ascoltate! La minima parola ha nelle sue profondità una musica, la voce è l’essere, che può fiorire anche in ciò che non è. Yves Bonnefoy, da L’ora presente, Mondadori, 2013. In apertura Marivaux, frammento da Le cabinet du philosophe 21 dicembre 2013 left