E - web.rete.toscana.it

Transcript

E - web.rete.toscana.it
PARTITI La lotteria
dei finanziamenti
SUDAFRICA L’apartheid
non è finita
N. 50 | 21 DICEMBRE 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20)
Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 21 dicembre de l’Unità.
Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano
forconi
I torti
e le ragioni
della protesta
che blocca
il paese
SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI
POSTE ITALIANE SPA - SPED. ABB. POST.
D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004
N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA
ANN0 XXV - ISSN 1594-123X
AV V E N I M E N T I
STORIA Gramsci
tradito da Togliatti
O
M
S
I
L
U
P
O
P
I
T
N
A
V
A
di Paola Mirenda
e Rocco Vazzana
left.it
AV V E N I M E N T I
DIRETTORE RESPONSABILE
Maurizio Torrealta
[email protected]
DIRETTORE EDITORIALE
Donatella Coccoli
[email protected]
CAPOREDATTORE
Cecilia Tosi
[email protected]
CAPOREDATTORE
CULTURA E SCIENZA
Simona Maggiorelli
[email protected]
REDAZIONE
Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma
Sofia Basso (inviato)
sofi[email protected],
Manuele Bonaccorsi
(inviato, responsabile sviluppo web)
[email protected]
Paola Mirenda
[email protected],
Rocco Vazzana
[email protected]
Tiziana Barillà
(segreteria di redazione)
[email protected]
PROGETTO GRAFICO
Newton21 Roma
Lorenzo Tamaro
[email protected]
GRAFICA
Andrea Canfora
leftgrafi[email protected]
PHOTOEDITOR
Arianna Catania
leftfotografi[email protected]
INFORMATION DESIGNER
Martina Fiore
leftgrafi[email protected]
EDITRICE DELL’ALTRITALIA soc. coop.
Presidente CdA: Ilaria Bonaccorsi Gardini
Consiglieri: Manuele Bonaccorsi,
Donatella Coccoli
Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma
Tel. 06 57289406 - Fax 06 44267008
www.left.it
[email protected]
PUBBLICITÀ
Net1, Via Colico 21, 20158 - Milano
[email protected]
STAMPA
PuntoWeb srl
Via Var. di Cancelliera snc
00040 - Ariccia (RM)
DISTRIBUZIONE
SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A.
Via Bettola 18,
20092 - Cinisello Balsamo (MI)
Registrazione al Tribunale di Roma
n. 357/88 del 13/6/88
LA TESTATA FRUISCE
DEI CONTRIBUTI
DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250
left 21 dicembre 2013
LA NOTA DI
Maurizio Torrealta
L’eleganza
della semplicità
I
n questi giorni natalizi attraversati da
cortei e proteste, ci occupiamo in questo spazio di un episodio invece inspiegabilmente positivo facendoci condurre più
dalla fantasia e da un pizzico di sarcasmo,
che dalle esigenze della cronaca. Immaginiamo che esista un’anima unica nel mondo che rappresenta i desideri inespressi e
che vaghi da una capitale all’altra alla ricerca degli oggetti sui quali posarsi. Lunedì scorso quest’anima in pena si è posata
su una nostra città e cercheremo di capire perché. Intanto qual è lo strumento che
ci indica la sensibilità dell’anima del mondo? Mi meraviglio che non lo sappiate: sono i listini delle borse mondiali. Sono i loro indici, gli unici che colgono le speranze,
le delusioni, le sfiducie e i sogni che animano i consumatori. E i consumatori sono gli unici soggetti al momento considerati pienamente attivi dalla cultura di questo pianeta, sono loro in grado, di decidere l’imprevedibile andamento dei mercati
e dei desideri. Lunedi 16 l’anima del mondo si è fiondata sulla borsa di Milano posandosi sul titolo della Moncler che ha fatto registrare un guadagno del 46 per cento
ed è stata l’unica azione al debutto, venduta al suo prezzo massimo dal 2007. Un episodio che rimarrà nella storia della borsa
di Milano. Cosa è successo? Ma non eravamo sull’orlo della catastrofe? Non emanavamo quell’ineliminabile puzzo di morte che si posa sui falliti e i miserabili che
li rende inavvicinabili? Ecco quello che è
avvenuto: l’anima del mondo è stata sopraffatta dal ricordo di un’emozione che
aveva provato anni prima nel vedere un
oggetto: un semplice ma costoso piumino, quello stesso piumino indossato dagli scalatori che conquistarono il K2, poi
portato con orgoglio da attori e mogli di
presidenti, da cantanti e sportivi. Un oggetto che si era fatto ricordare per alcuni
suoi semplici elementi distintivi: un suo
alto valore d’uso, il piumino Moncler funzionava bene, era caldo, piaceva, era elegante e faceva tendenza tra quei giovani di buona famiglia senza troppe ideologie che si trovavano a piazza San Babila
da “Al panino”, così fu coniato un termine
per definire quella tribù: i paninari. Ovviamente il piumino Moncler costava un mare di soldi. A dire il vero non era un prodotto originale italiano, anche se il successo
che ebbe in Italia lo fece rimbalzare in tutta Europa. Dieci anni fa questo marchio
ormai esaurita la sua novità è stato salvato
dal cestino della spazzatura da un imprenditore italiano che ha lavorato al suo “riuso”. Ed è tornata a esserci attribuita a sorpresa quell’arte rara e delicata che continua a connotare gli italiani, il buon gusto.
A nostra insaputa ci è stata attribuita anche la forma più raffinata della produzione immateriale: quella che dona agli oggetti un loro significato e li fa lievitare di
valore. Devo confessare che fa piacere in
questi giorni in cui una buona parte delle
forze politiche non riescono a comporre
discorsi senza volgarità e un’altra buona
parte è tentata dall’escalation sullo stesso terreno, fa piacere che qualcuno riscopra l’eleganza della semplicità, la sua sobrietà, la sua solidità. Rivendichiamo non
solo per la Moncler ma per molti prodotti
del nostro Paese l’eleganza della semplicità come tesoro prezioso lasciato in alcuni oggetti dal lavoro di chi ci ha preceduto a nostra insaputa e nostro malgrado.
Un’eleganza che ci sta sfuggendo di mano ma nonostante tutto ancora presente.
Certo che se i piumini Moncler costassero meno sarebbero davvero perfetti!
3
[email protected]
Patrizia, una vita
per il bene comune
Di cultura si vive. Ma anche
si muore. Intendo denunciare come questa organizzazione del lavoro che non
è più in grado di regolare risorse e bisogni possa uccidere non solo nelle fabbriche e nei cantieri, ma anche
nella Scuola. Dedico questa denuncia a una categoria di lavoratori intellettuali
che sono sempre stati maltrattati dall’amministrazione. Una volta si chiamavano
“segretari” oggi Dsga (Direttori dei servizi generali
e amministrativi). La riduzione delle spese, ha abolito
i Provveditorati agli studi,
che svolgevano un utile ruolo di coordinamento e supporto, con conseguente alleggerimento delle pratiche
la settimanaccia
4
left.it
delle segreterie. Mia moglie,
Patrizia Strano, era da decenni una Dsga competente, seria, onesta. Si portava
il lavoro a casa spesso, perché con le tante incombenze non riusciva ad esaurirlo nell’orario di lavoro. Dedicava parte del suo tempo libero levandolo alla sua
cura personale, fisica e psichica, levandolo con sofferenza agli affetti familiari.
Non ha mai rubato uno spillo. Mai. Qualche mese fa le
riscontrano una cardiopatia ischemica e il cardiologo
del San Camillo le prescrive una serie di indagini che
danno esito positivo, quindi entra in lista allo stesso
Ospedale per una coronarografia. Ma alla coronarografia non ci arriva. Pur in
malattia nonostante il cardiologo le avesse prescrit-
to “assoluto riposo”, le cose
nella scuola si complicano e
non si può fare a meno delle sue competenze e del suo
supporto. Qualche giorno
fa alla normale caotica gestione si aggiunge la visita
dei “revisori dei conti” che
periodicamente visitano le
scuole, alcuni equilibrati, altri pierini in cerca di quel pelo nell’uovo che possa maggiormente gratificarne l’autostima. In malattia da casa, con la pressione arteriosa di 110/200 Patrizia il 10
dicembre passa ore al telefono con la scuola per lavorare davanti ad un computer. Computer che spegnerà
a mezzanotte. E durante la
notte arriva l’“ictus”.
Ora Patrizia è allo stroke
unit con una gran parte di
cervello devastato. Da ieri i medici, di una profes-
sionalità e di una umanità
esemplare, l’hanno dichiarata fuori dal pericolo di vita e che si può sperare in un
buon recupero. Io con profonda amarezza maledico
tutti coloro che nella comoda situazione di pubblico
funzionario, con superficialità ed egoismo scaricano le
responsabilità su chi ha la
sensibilità del proprio ruolo. Queste sanguisughe che
agiscono a ogni livello distruggono il bene comune
e stanno portando alla fine
questa civiltà. Grazie Patrizia che hai sacrificato la tua
vita per il bene comune, nonostante lo schifo che ci sta
sommergendo sempre più.
Carlo Castorina
Altre sinagoghe
riformate in Italia
Nell’articolo “Una sinagoga
diversa” di Cecilia Tosi (left
n. 49) si sostiene che «in Italia i riti si svolgono solo in
sinagoghe di fede ortodossa». In realtà, però, l’ebraismo riformato è una realtà
in Italia da oltre dieci anni.
E se è vero che Beth Hillel è
la prima sinagoga riformata di Roma, a Milano ci sono
già Beth Shalom e Lev Chadash, mentre a Firenze c’è
Shir Hadash. Tra i suoi rabbini, Beth Shalom ha avuto esponenti di primo piano
dell’ebraismo riformato internazionale, incluso Rabbi Stephen Fuchs, già presidente della World union for
progressive judaism.
La congregazione ebraica
riformata di Beth Shalom,
Milano
21 dicembre 2013
left
left.it
sommario
IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 50 / 21 DICEMBRE 2013
COPERTINA
COMMESSE
VAN GOGH
AVANTI POPULISMO
CONCIATE PER LE FESTE
TUTTE (O QUASI) LE LETTERE
Agricoltori e neofascisti, insieme a precari e disoccupati. Ecco chi c’è dentro al movimento
dei Forconi, tra giuste rivendicazioni e ribellismo autarchico. E anche fuori dall’Italia la ricetta populista conquista la
gente, in nome del protezionismo culturale
e della nazionalizzazione delle industrie.
Part time, a termine o associate in partecipazione. Per l’esercito delle commesse il Natale
è una trincea. Si intensificano
i turni massacranti e si acuisce la concorrenza al ribasso. A partire dalle giovani colleghe, belle ma senza esperienza. Perfette
per le grinfie di un mercato in crisi.
Dopo la monumentale edizione critica delle lettere di Van
Gogh, uscita quattro anni fa in
Olanda, ora Einaudi pubblica
l’epistolario nei Millenni. Un volume da cui
emerge la consapevolezza che il pittore
aveva della propria arte e la verità sui rapporti con i familiari e con il dottor Gachet.
16
24
LA SETTIMANA
03
04
04
06
LA NOTA
LETTERE
LA SETTIMANACCIA
FOTONOTIZIA
COPERTINA
16 Forca Italia di Rocco Vazzana
22 In fondo, la sinistra di Paola Mirenda
IDEE
12 ALTRAPOLITICA di Andrea Ranieri
12 KEYNES BLOG
13
14
14
SOCIETÀ
24 Conciate per le feste di Tiziana Barillà
28 La lotteria dei contributi di S. Basso
32 Smeriglio: Renzi scopra le sue carte
di Manuele Bonaccorsi
34 Lazio, una rete per la sanità
di Donatella Coccoli
35 La scuola per intercettare il disagio
di Paolo Fiori Nastro
15
54
62
di Daniela Palma e Guido Iodice
L’OSSERVATORIO
di Francesco Sylos Labini
IN PUNTA DI PENNA
di Alberto Cisterna
IN FONDO A SINISTRA
di Fabio Magnasciutti
SAPERI DIFFUSI di Guido Viale
TRASFORMAZIONE
di Massimo Fagioli
TI RICONOSCO
di Francesca Merloni
MONDO
CULTURA E SCIENZA
38 Qui vive il sogno di Mandela
di Alessandra Bartali
41 Nella gabbia dei soldi di p.m.
42 Dove regna la segregazione razziale
di Giulia de Luca Gabrielli
44 La Borsa crede all’Islam di C. Tosi
48 Gramsci tradito da Togliatti
di Elisabetta Amalfitano
52 Van Gogh, dipingere con le parole
di Simona Maggiorelli
56 La democrazia è matematica
di Gaspare Polizzi
left 21 dicembre 2013
52
RUBRICHE
08 COSE DELL’ALTRO MONDO
a cura della redazione Esteri
10 COSE DELL’ALTRITALIA
a cura della redazione Interni
11 PICCOLE RIVOLUZIONI
a cura di Paolo Cacciari
36 LA SCUOLA CHE NON C’È
di Giuseppe Benedetti
58 PUNTOCRITICO
CINEMA di Morando Morandini
ARTE di Simona Maggiorelli
LIBRI di Filippo La Porta
60 BAZAR
FICTION, TENDENZE, JUNIOR
60 APPUNTAMENTI
a cura della redazione Cultura
61 IN FONDO di Bebo Storti
Chiuso in tipografia il 18 dicembre 2013
Illustrazione di copertina:
Valerio Paolucci/OfficinaB5
5
fotonotizia
A chi piace
il Natale
A Nizza il 25 dicembre si festeggia così, con un tradizionale bagno nel Mediterraneo,
anche grazie a una temperatura non troppo rigida (16
gradi). Sotto lo zero invece la
maggior parte degli Usa, dove
le aziende non si preoccupano di festeggiare ma di chiudere i conti: quest’anno Natale cade di mercoledì, il giorno centrale della settimana, e
i dipendenti non sono abituati a portare a termine i progetti in due giorni lavorativi. Il 24
sarà un giorno di fuoco: d’altronde il martedì, secondo le
statistiche, è il giorno più produttivo della settimana.
(Cironneau/Ap/Lapresse)
cose dell’altromondo
© HAMRA/AP/LAPRESSE
left.it
GAZA L’ondata di maltempo che ha colpito il Medio Oriente la scorsa settimana ha messo in ginocchio la Striscia di Gaza, dove i già inesistenti
servizi sono collassati sotto le violente piogge. Allagate la maggior parte delle strade - in alcuni quartieri il livello delle acque supera il metro
- evacuate migliaia di persone, scuole chiuse e ospedali senza più letti. L’assenza di elettricità, con i generatori fermi a causa della penuria di
carburante, ha messo fuori uso anche i pochi depuratori delle acque reflue che così si sono mescolate ai rivoli di pioggia nelle strade.
55 anni
L’età media nel nuovo governo tedesco.
La Große Koalition guidata dalla Merkel
non brilla per giovinezza: solo in quattro
hanno meno di 50 anni. La più giovane
è Manuela Schwesig (39 anni, Famiglia),
il più anziano Wolfgang Schäuble
(71 anni, Finanze)
SVIZZERA Pro e contro gli stranieri
Il prossimo febbraio gli svizzeri saranno chiamati a decidere se reintrodurre le “quote” per l’ingresso degli stranieri, già sperimentate negli anni Sessanta.
anta. Il referendum, chiesto dai cristiano democratici,
i, è duramente osteggiato dai socialisti ma
anche dalla federazione degli agricoltori, che teme di perdere i lavoratori stagionali. Il comparto che più
ù
risentirebbe di una vittoria dei “si”
sarebbe la sanità: il 40 per cento dei
medici, il 32 degli infermieri e il 29
degli ausiliari negli ospedali elvetici
ci
sono stranieri.
LA CRISI DELLA SETTIMANA Più che della settimana quella in Siria è la crisi del secolo, visto il continuo avvicendarsi di massacri e l’afflusso di armi e soldati da ogni latitudine. Purtroppo, però, in questi giorni di freddo invernale la situazione è riuscita a
peggiorare ancora. Nei campi rifugiati dove ormai vivono 300mila persone la neve e il ghiaccio stanno rendendo impossibile la vita
nelle tende, mentre ad Aleppo - una volta la città più bella del Medio Oriente - il raid aereo del 15 dicembre ha lasciato a terra 122
vittime. E chi è sopravvissuto, difficilmente riuscirà a sfamarsi: il prezzo del pane, in due anni, è aumentato del 500 per cento.
8
21 dicembre 2013
left
left.it
© KYODO NEWS /AP/LAPRESSE
«Oggi viviamo in un mondo
zeropolare. Nessuna potenza
ha la capacità di
risolvere i problemi.
Gli Stati Uniti hanno
creato un vuoto
che rischia
di essere riempito
dalla Russia»
RAZZI CONTRO LO SMOG
Laurent Fabius,
ministro degli Esteri
francese, a una
conferenza sul ruolo
Usa in Medio Oriente
Dopo aver usato la tecnologia per disperdere le nuvole
(con i razzi allo iodio alle Olimpiadi 2008), la Cina assolda
scienziati per trovare soluzioni “aggressive” allo smog. Il vicesindaco di Pechino ha annunciato l’attivazione di esperimenti per allontanare le polvere sottili che coprono la capitale, ma sui metodi considerati regna un assoluto riserbo.
USA Il pasticcere e i gay
INTEGRALMENTE TALEBANO
I talebani pakistani hanno un
nuovo leader. Dopo l’uccisione
di Hekimullah Mehsud da parte
di un drone Usa, l’organizzazione terroristica ha scelto Maulana Fazlullah, classe 1974, noto
per la sua crudeltà e intransigenza. Fazlullah è ostile a qualsiasi forma di progresso, eccetto la
radio che utilizza largamente come mezzo di propaganda. Sulle
onde di Radio Mullah, il leader si
oppone a qualsiasi avanzamento
sociale delle donne minacciando i genitori che mandano le figlie a scuola. E incita la popolazione a distruggere tutti gli apparecchi elettronici, a partire da
televisori e videoregistratori.
left 21 dicembre 2013
I pasticceri non hanno diritto all’obiezione di coscienza. A Denver, Colorado, un
giudice amministrativo ha stabilito che non ci si può rifiutare di decorare una torta destinata a un matrimonio gay. Jack Phillips, proprietario del negozio “Il capolavoro del dolce”, l’anno scorso ha ricevuto la richiesta di una torta nuziale da
parte di una coppia omosessuale. In Colorado i gay non hanno diritto a sposarsi,
ma i due volevano festeggiare una cerimonia privata. Phillips, cristiano osservante, non ha accettato: «Gli ho semplicemente detto che non posso fare torte per
matrimoni gay. Anche se due etero mi
chiedessero una decorazione erotica mi
rifiuterei». Secondo il giudice, anche se i
commercianti possono rifiutarsi di partecipare a messaggi che non condividono, in questo caso la necessità di evitare
una discriminazione ha la priorità.
IL POTERE D’ACQUISTO IN EUROPA
Indice del potere
di acquisto (fatta 100
la media europea)
realizzato a novembre
dall’istituto di ricerca
tedesco Gfk. Nel
grafico, i primi dieci
Paesi europei per
capacità di spesa.
L’Italia è 15esima,
con un indice pari a
123,7. Spagna, Grecia
e Portogallo hanno un
indice inferiore a 100
9
cose dell’altritalia
left.it
7Œ:Œ<Œ7Œ,Œ7Œ;Œ;Œ1Œ)
4¼ Œ) Œ8 Œ8 Œ) Œ: Œ) Œ< Œ7
)*741B176-,-4.16)6B1)5-6<7
8=**41+7">1<<7:1),-44):-)B1761T+WUQ\I\W+MV\ZITMPIIXXZM[WKWVLQ[IX̉
X]V\WTILMKQ[QWVMLMT/W^MZVWLQMTQUQVIZM
XMZLMKZM\WQTÅVIVbQIUMV\WX]JJTQKWIQXIZ̉
\Q\Q:Q\MVQIUW^Q[QIQVY]M[\WI\\W]V¼IỎ
OZM[[QWVM LI XIZ\M LMTTM NWZbM ZMIbQWVIZQM
VMQ KWVNZWV\Q LMT XZWTM\IZQI\W M LMTT¼]VQKW
[\Z]UMV\WLQK]QM[[WLQ[XWVMXMZWZOIVQbbỈ
ZMTITW\\IXWTQ\QKIM[WKQITMQTXIZ\Q\W[\M[[W
1V KWV[MO]MVbI LMTTI ZQL]bQWVM LMTT¼MV\Q\o
LMQ\ZI[NMZQUMV\QLI5W[KIKWV[QLMZI\MTM
QV[W[\Q\]QJQTQ VMKM[[Q\o WZOIVQbbI\Q^M LQ
ZILQKIUMV\WLQIOQ\IbQWVMMLQXZWXIOIVLI
KPMTIOM[\QWVMLQ]VOZIVLMXIZ\Q\WLQUI[[I
KWUXWZ\I ZMX]\IVLW QVWT\ZM QVIKKM\\IJQTM
INÅLIZMY]M[\M^Q\ITQM[QOMVbMITT¼ITMI\WZQM\o
LMTTIKWV\ZQJ]bQWVM[XWZILQKI^WTWV\IZQIM
QVLQ^QL]ITMT¼1UXMOVWLMT+WUQ\I\W+MV\ZITM
[IZo^WT\WILQNMVLMZMMIVbQI]UMV\IZMQT
ÅVIVbQIUMV\WX]JJTQKWITXIZ\Q\WM[MKWV̉
LIZQIUMV\MIOTQIT\ZQXIZ\Q\Q
1TÅVIVbQIUMV\WX]JJTQKWv]V\MUIIUXQỈ
UMV\M\ZI\\I\WVM1T4QJZM\\W/ZQOQWZMKMV\M̉
UMV\MLI\WITTM[\IUXMMQTK]QIKY]Q[\WVMTTM
TQJZMZQMJWZOPM[QvWJJTQOI\WZQWÐ]VIXZMZW̉
OI\Q^IQVLQ[XMV[IJQTMXMZOIZIV\QZMI]\W̉
VWUQIWZOIVQbbI\Q^IZQ[XM\\WITKIXQ\ITM
MITTIJWZOPM[QIZIXIKM[MUXZMXZWV\II
UM\\MZMQVLQ[K][[QWVMTMKWVY]Q[\M[WKQỈ
TQW\\MV]\M6WV[QX]QVNI\\QUM\\MZMIZM̉
XMV\IOTQWTIOQoKWUXZWUM[[II]\WVWUQI
LMTTIXWTQ\QKI[]JWZLQVIVLWT¼MTIJWZIbQW̉
VMLMTTI[\ZI\MOQILMTXIZ\Q\WIVMKM[[Q\o
KWV\QVOMV\QLQZMXMZQUMV\WLMTTMZQ[WZ[M
KPMZMVLMZMJJMZWQV]T\QUIIVITQ[QT¼QVQ̉
bQI\Q^IXWTQ\QKILQXMVLMV\MLIQ^WTMZQLMT̉
TMTWJJaLMTTMKWZXWZIbQWVQMLMOTQQV\MZM[̉
[QXZQ^I\QMY]QVLQQVLMÅVQ\Q^ILMTOZIVLM
KIXQ\ITMLMTTIJWZOPM[QIMLMQ[]WQTIKKPv
(4G)XXIZI\Wv[]\_Q\\MZMNIKMJWWS
ETNA LO SPETTACOLO CONTINUA
Fontane di lava, cenere e vapori. È la nuova fase eruttiva dell’Etna, inziata il 15 dicembre, nel pomeriggio. Si tratta del ventesimo episodio dall’inizio dell’anno. «Dal nuovo cratere di sudest dell’Etna», spiega il direttore dell’Ingv
di Catania, Eugenio Privitera, «è ancora in corso una vivace attività stromboliana di intensità medio alta che sta presentando una certa persistenza temporale, accompagnata
dall’emissione di una colata di lava, ancora alimentata, che
si estende verso la desertica Valle del Bove, senza creare
problemi per centri abitati, né per le persone». Nonostante
le rassicurazioni, si preoccupano i Comuni di Santa Venerina, Giarre, Zafferana, Acireale, Pedara e Viagrande, mentre
i due aeroporti - quello di Catania Fontanarossa e quello di
Comiso, nel ragusano - sono chiusi dal 15 dicembre.
2 miliardi
Sono i fondi dell’Unione europea (in euro)
che torneranno a Bruxelles perché l’Italia
non li ha spesi. I soldi erano stati stanziati
per migliorare l’offerta culturale nelle
regioni del Sud, attraverso il “Programma
operativo interregionale 2007-2013”
per lo sviluppo socioeconomico
10
CAGLIARI Armi letali
Tra inquinamento bellico, nano particelle e patologie c’è un collegamento. La tesi dei vertici militari sull’assenza di tale connessione è crollata. A denunciarlo è il comitato cagliaritano Gettiamo le basi: «Il rapporto
dell’Iarc (International agency research cancer)»,
spiegano,«ufficializza scientificamente l’alta cancerogenicità di primo livello delle polveri sottili e sottilissime disperse nell’aria». Il comitato lancia un
appello alle forze politiche in campagna elettorale: «Quali provvedimenti per contrastare il progetto
della Nato e del ministero della Difesa “Progetto di
riqualificazione Salto di Quirra”, che potenzia il ruolo militare della Sardegna?».
21 dicembre 2013
left
left.it
ANONYMOUS A DELINQUERE
«Al di là dei valori ideali,
quel che conta è il programma
che il gruppo si propone:
un accordo per introdursi
illegalmente nei siti altrui.
E quello è di norma reato»
Così la sentenza della Cassazione di Roma su
Anonymus, definita un’«associazione
a delinquere composta
osta da cellule». I
giudici hanno confermato
ermato gli arresti
nluca
domiciliari per Gianluca
Preite, hacker
di Anonymous
che ha compiuto
attacchi a siti
istituzionali.
Rigettata la tesi di
Carlo Taormina,
avvocato di
Preite, per
cui le azioni
degli hacker,
condivise
dall’opinione
pubblica, non
vanno discusse
come “reati
associativi”
BOLOGNA Inps. Contributi a perdere
Una quarantina di migranti e attivisti presidiano la sede centrale dell’Inps di Bologna. Il motivo? I ritardi dell’ente nell’aggiornare i database con i versamenti contributivi dei lavoratori stranieri.
Provocando ai migranti gravi disagi, su tutti la difficoltà a
rinnovare il permesso di soggiorno. «L’Inps promette futuro ma ruba il presente a migranti e precari», denunciano il Coordinamento migranti e il collettivo Lavoro insubordinato. «Questura e prefettura controllano tutti i
versamenti. E se non li trovano bloccano il rinnovo del
documento di soggiorno». Procedura che vale anche se è
il datore di lavoro a versare in ritardo i contributi. Infine,
come se non bastasse, se un migrante lascia il Paese perché espulso o per propria volontà, «non potrà riavere indietro quello che ha versato in anni di lavoro».
left 21 dicembre 2013
PiccoleRivoluzioni
di Paolo Cacciari
Guasti previsti
Serge Latouche ci ha scritto un libro (Usa e Getta, Bollati e Boringhieri, 2013). Cosima Dannoritzer ne ha tratto
uno splendido documentario (Comprar, tirar, comprar,
disponibile su youtube). Ogni consumatore la teme. È la
conseguenza più spregevole della logica economica della crescita fine a sé stessa. Si chiama obsolescenza programmata. È quell’insieme di accorgimenti tecnici messi in atto dai produttori per far durare le merci meno di
quanto potrebbero. In pratica i progettisti inseriscono deliberatamente nei prodotti di largo consumo dei punti deboli destinati a usurarsi o guastarsi entro un tempo massimo prestabilito e tali da non poter essere riparati o sostituiti. Quante volte ci siamo sentiti dire: “Caro signore,
le conviene comprarsi un prodotto nuovo (sia esso una
lavatrice o la stampante del computer, un orologio o un
l’ombrello, il rasoio e persino l’automobile), perché costa
meno cambiarlo che aggiustarlo”. Per evitare il riciclo dei
componenti dei computer perfettamente funzionanti, ad
esempio, i costruttori li saldano in modo da impedirne lo
smontaggio. L’artigianato di riparazione, che per definizione è labour intensive, è eliminato. Accorciare il ciclo
di vita di una merce è una strategia produttiva (che serve
a mantenere artificiosamente alta la domanda) vecchia
quanto il marketing. Sono noti i casi dei maggiori produttori di lampadine che si accordarono per mantenere basso il tempo di funzionamento medio delle lampadine, oppure della fibra in nailon della Dupont, praticamente indistruttibile, ritirata dal mercato. Peccato che con l’obsolescenza programmata non buttiamo via solo oggetti,
energia, risorse naturali, ma anche il tempo della nostra
vita dedicato a produrre e a comprare merci-spazzatura.
In una parola, rendiamo insignificante la nostra vita. Per
essere precisi, la sacrifichiamo al fine della continuazione della produzione industriale di massa. Il consumatore,
anche quello più attento e consapevole, spesso non ha gli
strumenti informativi per difendersi e poter scegliere cosa comprare. Le normative europee sulla garanzia degli
elettrodomestici e degli apparecchi elettronici non vanno
oltre l’obbligo dei due anni. Nei fatti, una licenza a favore
dell’obsolescenza. Ma la Svezia e la Gran Bretagna hanno cominciato a pretendere dai produttori maggiori prestazioni. Il Belgio e la Francia si stanno muovendo. Meritoria, quindi, l’iniziativa dei deputati Lacquaniti e Marcon
che hanno depositato una proposta di legge “Disposizioni per il contrasto dell’obsolescenza programmata dei beni di consumo”. L’obiettivo è di fare emergere in etichetta
anche la durata potenziale del prodotto, all’interno di un
elenco di beni di consumo dove la obsolescenza sia calcolabile. Nonché la possibilità o meno di poterli riparare.
[email protected]
11
idee
left.it
altrapolitica
di Andrea Ranieri
Terremoto Renzi nella Cgil
D
Il sindaco
vuole
superare il
collateralismo
tra partito
e sindacato
opo il congresso del Pd sta per prendere
avvio il congresso della Cgil. La più grande organizzazione dei lavoratori italiani dovrà riflettere, per lo meno si spera, sulla propria crisi
di rappresentanza e sulle ragioni che fanno sì che
la rabbia sociale per la crisi in atto tenda sempre
più a esprimersi fuori dai suoi confini. Una rabbia qualche volta inseguita, qualche volta arginata, ma sempre più di rado promossa e organizzata dal sindacato dei lavoratori. E dovrà farlo dopo che il congresso del Pd ha troncato di netto i
collateralismi su cui si era storicamente basato
il rapporto tra sindacato e politica. Perché il Pd
aveva ereditato in formato bonsai i fili più o meno rossi che dal sindacato partivano in direzione
della politica della prima e della seconda repubblica. La Cgil dovrà fare i conti con un segretario
del Pd che esplicitamente si propone di superare
quel collateralismo e che apertamente sfida il sindacato sul terreno del cambiamento.
«Se ci rispetta siamo pronti al dialogo», oppure
«forse Renzi non conosce bene la realtà de sindacato e siamo pronti a spiegargliela» sono alcune delle risposte imbarazzate di chi in questi anni
ha preferito galleggiare di fronte alla propria crisi e che spera di trovare anche nel nuovo quadro
un modo per continuare a farlo. Più interessante
la posizione del segretario Fiom Maurizio Landini, che rilancia la sfida. Prima di tutto sul terreno
della democrazia: una legge che riconsegni nelle
mani dei lavoratori le decisioni sui loro contratti,
come un diritto individuale prima ancora che del
sindacato. Un diritto di tutti i lavoratori: d’altronde Renzi è stato eletto non solo dagli iscritti, ma
anche dagli elettori del Pd. Il recente accordo interconfederale può essere una buona base di partenza, ma non risolve di per sé il problema.
Un sindacato che pratica la democrazia, che non
si sottare al giudizio dei lavoratori sulle sue scelte, può rilanciare persino l’unità sindacale, assumendo come un’opportunità e non come un limite la fine dei collateralismi con la politica. E può
verificare in piena autonomia come i partiti, tutti
i partiti, rispondono alle priorità sociali: l’occupazione, il precariato, il reddito minimo e il salario
minimo, il contrasto alla povertà. Una sfida che
misuri, senza rimpianti per il passato, come l’innovatore Renzi saprà davvero innovare rispetto
ad una politica economica del governo che si è
mossa finora a partire da priorità ben diverse da
quelle invocate dai lavoratori e dalla parte più povera del nostro Paese.
keynes blog
La mano
N
visibile
dello Stato
egare l’efficacia delle politiche
di aumento della spesa pubblica di ispirazione keynesiana per il superamento dell’attuale crisi, passa il
più delle volte per l’affermazione che
oggi siamo di fronte ad una realtà più
complessa, che negli anni Trenta gli
effetti potevano essere più diretti e visibili. E che, in definitiva, se le politiche keynesiane hanno potuto funzionare è perché c’è stata la guerra e la
conseguente necessità di ricostruire
tutto daccapo. C’è insomma una diffusa vulgata “diminutiva” del keynesismo, che vive sulle spalle di un’approssimazione storica. È la vulgata
12
che predilige la metafora delle buche
da scavare e poi riempire, e che ridimensiona l’interventismo dell’America di Roosevelt. Mentre i fatti sono andati ben diversamente, prefigurando
una visione rivoluzionaria a tutto tondo, consapevole che la mano visibile
dello Stato crea anche le condizioni
per il futuro sviluppo di un Paese.
Alla ricostruzione di questi fatti contribuisce non poco la recente riscoperta del Rapporto “Scienza, la frontiera infinita” di Vannevar Bush - ingegnere e matematico statunitense
consigliere scientifico di Roosevelt
- tradotto per la prima volta in italia-
21 dicembre 2013
left
idee
left.it
l’osservatorio
di Francesco Sylos Labini
Efficienti nonostante le zavorre
R
iporto una notizia, apparsa sulla rivista Nature, che non è stata ripresa dai giornali italiani: «Gli Stati Uniti stanno scivolando verso il basso nella classifica della qualità della ricerca, misurata attraverso l’impatto citazionale
dei suoi articoli scientifici. In particolare gli analisti mostrano che gli Usa sono stati superati nella classifica dal Regno Unito nel 2006 e dall’Italia
nel 2012». In pratica significa che il surrogato della misura della qualità della ricerca, rappresentato dal numero di volte in cui un articolo scientifico viene citato, per l’Italia ha superato l’analogo
indicatore per gli Usa. Dovrebbe essere un risultato da riportare con una certa visibilità e discutere con una certa soddisfazione: finalmente un
settore in cui primeggiamo, oltre alle classifiche
dei Paesi più corrotti. E invece nessuno ne parla.
Perché, invece, appena esce una nuova classifica
delle università, in cui notoriamente gli atenei italiani non occupano le prime posizioni, se ne parla su tutti i giornali e il ministro di turno promette interventi drastici per riportare in vita la ricerca e l’accademica italiana, ogni volta additati come la sentina dei vizi nazionali? In realtà dovrebbe accadere il contrario. Infatti, le classifiche basate sulle citazioni di articoli scientifici riportano
un dato piuttosto affidabile poiché confrontano
un indicatore semplice da misurare.
Considerando inoltre che la spesa complessiva per l’istruzione superiore in Italia è un terzo
di quella degli Usa (e metà di Francia e Germania) bisognerebbe riconoscere l’efficienza del sistema, nonostante i docenti di ruolo siano i più
anziani dei Paesi sviluppati, i gruppi di pressione
possano agire con la complicità della politica e i
frequenti fenomeni di malcostume nella gestione
del potere accademico. Nonostante le scelte politiche degli ultimi anni stiano decimando i giovani
ricercatori e mortificando quelli già in ruolo. D’altra parte le classifiche delle università confrontano pere con mele: non hanno consistenza scientifica poiché la posizione è calcolata in base a un
mix di parametri che mischiano aspetti incommensurabili (dalla produzione scientifica al numero di studenti per docenti) e soprattutto non
tengono conto di un dettaglio non marginale. Per
capire quale, basta ricordare che nel 2012 le spese della sola università di Harvard equivalgono
a poco meno della metà di tutto il finanziamento ordinario dell’intera università italiana. Visto
da noi, dunque, il problema non è che Harvard sia
prima, il problema sarebbe se non lo fosse!
Negli
articoli
scientifici
l’Italia
batte
gli Usa
di Daniela Palma e Guido Iodice
no e setacciato nei suoi passaggi fondamentali nell’acuta introduzione di
Pietro Greco. Ancora in pieno conflitto, nel 1944, Roosevelt chiede a
Bush come, a guerra conclusa, si possa sfruttare al meglio lo sforzo sostenuto per la ricerca scientifica a scopo bellico e tradurlo in benessere per
la nazione. Bush ritiene che la ricerca di base abbia un valore strategico
e possa condizionare lo sviluppo degli
Usa. È convinto infatti che il benessere di un Paese poggi sulla sua costante capacità di produrre innovazione e
che a questo fine il flusso di produzione di nuova conoscenza deve essere
left 21 dicembre 2013
continuo e sostanziale. Tutto ciò non
può però essere lasciato alla sola iniziativa dell’impresa, a causa dell’incertezza che grava sull’esito dell’investimento. Bush è un conservatore di idee liberali, ma sa bene che per
battere i sentieri dell’innovazione non
vi sono alternative ad un intervento
pubblico di alto profilo, che raccolga
la sfida del cambiamento tecnologico
in direzione di «un regime di piena occupazione, e un tenore di vita più alto
grazie alla produzione di beni e servizi». La storia gli ha dato ragione, ma
gli allievi lo hanno dimenticato e hanno bisogno di tornare a scuola.
Non c’è sviluppo
senza intervento
pubblico
sull’innovazione
13
idee
left.it
di Alberto Cisterna
in punta di penna
Gli integrati ora sono apocalittici
I
Chi si
riteneva
protetto
dal sistema
oggi
minaccia
sfaceli
l Paese si avvia al sesto anno consecutivo di
crisi senza una vera speranza. La rassegnazione sembra cedere il passo alla rabbia in un crescendo di recriminazioni. Tranquilli non ci sarà alcuna rivoluzione, nessun assalto al palazzo
d’inverno. I Forconi sono una frangia microscopica del malessere sociale, capace di riempire
qualche piazza o di mandare in tilt il traffico di un
paio di città, ma nulla a che vedere con un’insurrezione. In Grecia e in Spagna ci sono stati disordini, anche gravi, ma nessuno ha messo in discussione l’assetto del sistema. In Italia, si sa, enfatizziamo, ci innamoriamo della prospettiva estremistica per compensare il nostro sostanziale immobilismo e il nostro furbesco attendismo. Se si
confrontano i Forconi con i cittadini che hanno
votato alle primarie del Pd non c’è partita. Qui
qualche migliaia, lì qualche milione. Eppure quella del Pd è stata una partecipazione “fredda”, di
quelle che non scaldano gli animi. Lo ha detto anche Renzi che sa di aver incassato l’ultima cambiale politica dal Paese. In fondo l’alternativa è
sempre la stessa, tra apocalittici e integrati. Tuttavia a spaventare è proprio l’angoscia crescente della massa di quanti si ritenevano tranquillamente integrati nel sistema di potere. Ceti profes-
sionali, evasori, segmenti delle classi lavoratrici, pubblici impiegati, pezzi del sindacato, forze
di polizia, autotrasportatori, agricoltori si ritenevano parte integrante di un ceto egemone, capace di condizionare la politica, l’erogazione delle
risorse pubbliche, la conservazione dei privilegi.
Si ritenevano protetti dal sistema cui garantivano, oltre al voto, anche un sostegno sostanziale:
agevolando il clientelismo, chiudendo gli occhi
innanzi alla corruzione endemica, partecipando
allo sperpero di risorse pubbliche. Insomma facendosi alla Crozza-Razzi i «cazzi propri». Ora
quel mondo sa che la politica non può più ignorare che ci sono milioni di cittadini praticamente alla fame o ai limiti della sussistenza e gli «integrati» temono possa toccare a loro, vedono già i contorni di una voragine sociale che potrebbe risucchiarli e minacciano sfaceli. È questo il vero, pericoloso stallo del Paese. Molti tra costoro si sono
accostati alle urne del Pd (i veri poveri i due euro
da dare al partito non ce li hanno) cercando un ultimo rifugio nelle parole rassicuranti di Renzi. In
fondo il sindaco appare agli «integrati» come l’ultima speranza di un aggancio alla rete di protezione che li aveva garantiti, l’ultima chance di conservare uno strapuntino sul treno del benessere.
in fondo a sinistra
14
21 dicembre 2013
left
idee
left.it
saperi diffusi
di Guido Viale
Non spariamo sui forconi
N
on si sono spremuti le meningi governo,
partiti, sindacati e media per spiegare il
movimento del 9 dicembre (i cosiddetti Forconi). «Sono autoritari, fascisti, violenti»; «Non
si sa che cosa vogliono; non si sa chi li comandi». Grazie tante. Se questo è tutto quello che
siete in grado di dirci, possiamo fare a meno di
voi. Marco Revelli e Aldo Bonomi hanno cercato di dirci qualcosa di più: è un movimento di
poveri e di impoveriti, punto di approdo di una
evoluzione della globalizzazione e della finanziarizzazione che sta togliendo il terreno sotto i piedi a tutti, senza sostituirlo con nient’altro. Ma il contributo fondamentale a una loro
comprensione “dinamica” lo hanno dato gli
studenti che si sono uniti ai presidi, per condizionarne i connotati politici e sociali. Innanzitutto ci hanno fatto capire la cosa più pericolosa: che all’origine di questa mobilitazione
c’era un’intesa di lunga data con i vertici delle
forze dell’ordine; che - i report in proposito ormai sono incontestabili - non solo hanno tollerato quei presidi anche quando varcavano i
confini della legalità, ma li hanno favoriti, incoraggiati se non addirittura diretti. Levarsi i
caschi e posare gli scudi è stato sicuramente
un gesto programmato; ma quando gli studenti si sono ritrovati soli - a Roma come a Torino e altrove - le cariche della polizia sono state tutt’altro che compiacenti. Pericolose sono
poi le parole d’ordine della rivolta proprio perché semplici e di facile effetto: «No all’euro; no
all’Europa; no ai banchieri (frasi antisemite a
questo riguardo); no a Equitalia (sacrosanto;
ma non “no” a chi le tasse le evade a milioni e
non a migliaia o centinaia di euro)». E poi, giù
il governo, senza dire con che cosa sostituirlo, perché la soluzione è “automatica”. E qualcuno l’ha anche detto: i militari; quelli a cui si
rivolge Grillo, che sulla democrazia è di bocca molto buona. Soltanto un vero associazionismo dal basso, di camionisti, di artigiani, di
terzisti, di agricoltori, per spuntare condizioni
più decenti da committenti e fornitori, può trasportare questo mondo impoverito verso una
società in grado di rispettare tutti. Poi ci sono
gli altri che si sono uniti a queste manifestazioni; e per ciascuno si possono trovare rivendicazioni specifiche e prospettive generali che li
ricompongano tutti in un unico fronte. Basta
prestare loro un vero ascolto e non pretendere
di saper già tutto prima.
La polizia
li ha tollerati,
favoriti,
forse diretti
di Fabio Magnasciutti
left 21 dicembre 2013
15
copertina
FORCA
© LAPRESSE
Agricoltori e neofascisti, insieme
a precari e disoccupati. Ecco chi c’è
dentro il movimento del 9 dicembre.
Tra rivendicazioni giuste, ribellismo
autarchico e banale opportunismo
ITALIA
di Rocco Vazzana
Torino, 11 dicembre
2013. Un momento
della protesta dei
forconi sotto il
palazzo della Regione
Piemonte
copertina
left.it
«L’
© LAPRESSE
unica definizione in cui mi riconosco è cristiano. Sono un
credente, il mio punto di riferimento è papa Francesco, mio figlio l’ho
chiamato Karol. È questa l’unica etichetta
che ammetto». Danilo Calvani, leader laziale
del Coordinamento 9 dicembre, conosciuto
come “movimento dei Forconi”, ha paura di
essere strumentalizzato da formazioni politiche di estrema destra. E mette i puntini sulle
i, soprattutto dopo la rottura con i suoi soci di
protesta, il veneto Lucio Chiavegato e il siciliano Mariano Ferro, che alla romana piazza
del Popolo hanno preferito la vaticana piazza San Pietro, così da ricevere pure la benedizione del pontefice. La mossa ha diviso il movimento e ha scatenato, secondo Calvani, una
campagna di delegittimazione nei suoi confronti. «Si sono inventati che auspicherei un
governo guidato dai militari. Mi hanno messo in bocca qualsiasi cosa: sarei antisemita
e addirittura farei parte di Scientology. Tutte falsità», dice il capo popolo dell’Agro pontino. Accuse probabilmente favorite dalla natura stessa del movimento dei forconi: un raggruppamento composito in cui si trovano le
categorie più disparate e le provenienze politiche più eterogenee. Piccoli imprenditori,
autotrasportatori, commercianti, agricoltori, ma anche precari e disoccupati. Tutti accomunati dalla disperazione economica, dal
livore nei confronti dei partiti e dall’odio contro l’Europa dei tecnocrati. Un mix di richieste sacrosante e ribellismo cieco, facile preda
di forze antidemocratiche.
18
ECCELLENZA A BASSO COSTO
«Tocca a Forza Italia difendere questa gente,
che è la nostra gente». Non è un caso che anche Silvio Berlusconi abbia provato a mettere
il cappello sulle rivendicazioni del movimento
dei Forconi. La destra italiana vuole riconquistare il suo blocco sociale, ormai deluso. Eppure, tra chi oggi scende in piazza, c’è un pezzo di Paese schiacciato dalla crisi ma che non
può dichiararsi innocente. Danilo Calvani ne
dovrebbe sapere qualcosa, visto che ha aderito al coordinamento 9 dicembre a nome dei
Cra, i Comitati riuniti agricoli dell’Agro pontino, una delle zone più fruttifere - in ogni senso
21 dicembre 2013
left
copertina
left.it
I LEADER#1 DANILO CALVANI
- d’Italia. I campi della provincia di Latina sono
pieni di cocomeri, kiwi e soprattutto zucchine.
Eccellenze che gli imprenditori del basso Lazio mettono sul piatto degli italiani ed esportano nel mondo. Sono i gioielli produttivi del
made in Italy, che rendono inimitabile il nostro
Paese e fanno arrivare i finanziamenti pubblici
europei a sostegno dell’industria agricola. Ma
l’eccellenza della qualità produttiva non corrisponde a uno sviluppo sostenibile. E se si solleva la coperta delle rivendicazioni si scopre
che a coltivare i campi dell’Agro pontino sono
soprattutto lavoratori extracomunitari, sottopagati e sfruttati. «Il problema minore è il sottosalario», dice Giovanni Gioia, segretario generale della Flai Cgil di Latina, lo stesso territorio da cui viene Calvani. «Ci sono anche
casi di riduzione in schiavitù, fenomeni di illegalità diffusa che si manifestano per esempio nella “tratta” dei permessi di soggiorno».Il
90 per cento della manodopera, aggiunge Gioia,« è composta da cittadini indiani del Punjab che molto spesso arrivano con un regolare
permesso di soggiorno o con un visto turistico. Appena diventano irregolari scatta il business del caporalato, gestito direttamente dalla
criminalità organizzata».
Tra chi oggi accende la miccia in piazza contro la “globalizzazione” potrebbe nascondersi
anche chi in passato si è arricchito illegalmente. «Ovviamente non si possono fare generalizzazioni», continua Gioia, «ma molti imprenditori hanno gravi responsabilità. La media salariale in provincia di Latina è intorno ai quattro euro l’ora, ma ci sono anche molte persone
retribuite con 2 euro l’ora, a fronte di un contratto nazionale che prevede una paga di 8 euro l’ora». E a volte, secondo l’esponente della Cgil, i braccianti non ricevono neanche un
euro: lavorano per pagare il debito accumulato con un caporale in cambio di un permesso
di soggiorno. Mentre invece le imprese ricevono i contributi comunitari per l’eccellenza distribuiti dalla Regione Lazio attraverso il Psr, il
Programma di sviluppo rurale. Il problema dei
Forconi, secondo il sindacalista, è che vogliono «meno tasse e più agevolazioni. Chiedono,
giustamente, di produrre meno carte e più carote. Solo che le carte che certificano il lavoro
di qualità sono fondamentali».
left 21 dicembre 2013
Danilo Calvani, 51 anni, ormai incarna
la parte dell’area dura e pura del movimento, quella che non intende avere alcun confronto col governo: «Se ne devono andare tutti a casa, punto». È tra i
portavoce nazionali del Coordinamento
9 dicembre in quanto presidente dei Cra,
i Comitati riuniti agricoli della provincia di
Latina. Protagonista dei blocchi stradali
nel basso Lazio, Calvani è un piccolo imprenditore agricolo con qualche problema con l’Inps. Dal 2002 a oggi ha accumulato debiti con l’istituto pensionistico
a una media di 2.500 euro l’anno, finché
non è intervenuta Equitalia. «Ma i contributi che non ho pagato sono i miei»,
chiarisce, «non quelli dei laavoratori. Tolgo il pane dalla mia bocca non da quella degli altri». Di recente
e
ha fatto parlare di sé per gli
spostamenti in Jaguar, anoomali per un imprenditore che
si dichiara alla canna del gas.
«Tutte fesserie», dice, «quelquella macchina non era mia, prendo passaggi da amici perché
ché non
c’ho una lira».
Il Forcone laziale: «Il problema sono parassiti
politici e sindacali. Se ne devono andare»
GLI AGRICOLTORI ARRABBIATI “AL NERO”
Ma il leader dei Forconi Danilo Calvani rispedisce al mittente le accuse: «Abbiamo denunciato con forza questo sfruttamento, gente
che viene dall’India e paga le mazzette per stare qui. La responsabilità è dei funzionari dello
Stato e dei sindacalisti», dice. «Sono i sindacati che organizzano le truffe. I due o quattro euro
sono ciò che rimane nelle tasche dell’operaio
dopo aver pagato il loro capo mafia che li ha ricattati. Se, per esempio, io do 10 euro all’indiano, lui ne dovrà dare 8 a chi sa lui. E su questa
cosa i sindacati non dicono nulla. Perché quel
capo mafia, d’accordo coi sindacati, fa arrivare
i permessi di soggiorno».
Nonostante le parole pesanti, neanche Danilo
Calvani però può negare il fenomeno diffuso
del lavoro nero. Una pratica inaccettabile non
solo per la dignità del lavoro ma anche perché
sottrae ingenti risorse pubbliche. E proprio
chi oggi invoca in piazza protezione dallo Sta-
Torino, 11 dicembre
2013, un manifestante
in strada durante
la protesta dei Forconi
19
copertina
left.it
I LEADER#2 LUCIO CHIAVEGATO
Lucio Chiavegato, 48 anni, rappresenta
l’area veneta del movimento, fino a poco
tempo fa molto vicina alla Lega nord. Imprenditore, Chiavegato è titolare insieme
alla moglie Barbara di un’azienda di arredamenti per hotel. Con un curriculum da
indipendentista (si è candidato nelle liste
del Partito nasional veneto), Chiavegato
fa parte del coordinamento 9 dicembre
come rappresentante di Life, l’associazione dei liberi imprenditori federalisti
europei. Il suo movimento «si richiama ai
principi del liberismo e del federalismo,
per un’economia non assistita e fortemente orientata all’Europa». Comprensibile, con questa carriera politica, l’imbarazzo dell’imprenditore indipendentista
davanti alla presenza dei nazionalisti di
Casa Pound in piazza. «Siamo riusciti
a far parlare per una settimana delle
aziende che chiudono in Italia e dei
non hanno più da manveneti che n
giare, adesso
dovremmo buttaad
re via tutto
per una marcia su
t
Roma fuori controllo? Quel
Calvani è un irresponsaCa
bile», ha dichiarato a
Repubblica.
Il sindacalista di Latina: «Molti imprenditori
agricoli pagano i braccianti 2 euro l’ora»
In alto, poliziotti
e manifestanti
dei Forconi nel primo
giorno della protesta,
davanti alla sede
di Equitalia a Torino
20
to magari fino a ieri lucrava ai danni della collettività. «Non voglio negare la presenza di lavoro nero nelle aziende agricole», afferma il leader della protesta di Latina. «Però la questione non riguarda di certo me. Io i miei operai li
ho sempre pagati coi contributi, nessuno mi ha
mai fatto causa». Lavoro nero a parte, secondo Calvani il problema degli imprenditori agricoli laziali - e di tutto il Paese - resta la politica, considerata «parassitaria». «Gli imprenditori agricoli che hanno sbagliato devono pagare», dice l’esponente del Coordinamento 9 dicembre. «Ma attenzione, delle 100 lire che vengono destinate alle imprese, agli imprenditori
ne restano solo 4, gli altri soldi vanno ai parassiti sindacali e alle organizzazioni nostre, tipo
la Coldiretti, che si rubano tutto». Anche le associazioni di categoria datoriali, dunque, per i
Forconi sono da “rottamare”. Ma a nome di chi
parla Calvani? Cosa sono i Comitati riuniti agricoli attraverso i quali si è proposto alla ribal-
ta nazionale? «Non è chiaro cosa siano», dice
l’esponente pontino della Cgil Giovanni Gioia.
«Noi abbiamo avuto a che fare con Danilo Calvani in alcuni momenti, ce lo siamo trovati in
un po’ di trattative. Ma visto che non si qualificava in maniera chiara non è stato accettato
al tavolo. Io quando parlo non rappresento me
stesso ma l’organizzazione a cui appartengo. E
il Cra non si sa ancora cosa sia».
FORCONI DEL TERZO MILLENNIO
In un contesto così indefinito, è facile che ad appropriarsi delle rivendicazioni di questo movimento sia l’estrema destra. Casa Pound e Forza
nuova sono solo alcune delle sigle mimetizzate
tra i Forconi. La tecnica di infiltrazione è semplice e consolidata. In piazza l’estrema destra
si presenta come forza neutra. Nessuna bandiere, niente simboli, pochi segni di riconoscimento. I “fascisti del terzo millennio” amano confondersi tra la folla dichiarandosi equidistanti dalla destra e dalla sinistra. “Né rossi né neri
ma liberi pensieri”, del resto, era lo slogan con
cui il Blocco studentesco, una sorta di organizzazione giovanile di Casa Pound, qualche anno
fa provò a mascherarsi tra gli studenti dell’Onda. Il trucco non funzionò e finì con scontri di
piazza. Con la stessa tecnica oggi i neofascisti
di Forza nuova hanno occupato per giorni, insieme ai Forconi, piazzale Loreto a Milano. Certo non un luogo privo di trasporto emotivo per
chi ancora ha nostalgia del Duce. A Roma, inve-
21 dicembre 2013
left
copertina
left.it
© LAPRESSE
I LEADER#3 MARIANO FERRO
ce, Casa Pound si è presa un altro luogo dal nome simbolico: piazzale dei Partigiani.
Il movimento guidato da Calvani è, per la destra extraparlamentare italiana, un’opportunità troppo ghiotta di riprendersi la piazza. Da
protagonisti. Non accadeva dal 1970, anno della
rivolta di Reggio Calabria e dei “boia chi molla”
di Ciccio Franco. Anche in quel contesto la destra missina e ordinovista si impossessò di una
battaglia popolare, trasversale, interclassista. Il
risultato furono morti in piazza, bombe ai treni e un’inedita alleanza tra eversione nera e criminalità organizzata. Allora come oggi, alle giuste rivendicazioni di un popolo in miseria si mischiava il ribellismo senza obiettivi. Fu un laboratorio importante per chi, in quegli anni, aveva altri progetti per l’Italia. Come il principe Junio Valerio Borghese, di casa a Reggio nei giorni
delle barricate, che l’8 dicembre di quello stesso anno tentò un colpo di Stato.
«Nessuno può mettere il cappello su questo
movimento popolare», dice ancora Danilo Calvani, «venite a farvi quattro chiacchiere con
chi manifesta e ve ne accorgerete». Può darsi.
Intanto ci siamo accorti di personaggi che sembrano usciti da un’altra epoca: «Si tratta di una
rivolta nazional-popolare contro la plutocrazia mondialista, questa Europa di banchieri,
tecnocrati e burocrati, questo governo di servi
incapaci, le caste e la partitocrazia». Parola di
Roberto Jonghi Lavarini, presidente del comitato Destra per Milano.
left 21 dicembre 2013
Mariano Ferro, 53 anni, è uno dei leader più in vista del movimento. Il termine Forconi, con cui la gente ormai identifica i protagonisti della protesta, è il nome del movimento da lui fondato. Siciliano di Siracusa, Ferro è un piccolo imprenditore agricolo (ha un’azienda ad
Avola) che nel gennaio del 2012 ha creato un’associazione dando il via alla ribellione dei lavoratori autonomi. Agricoltori,
autotrasportatori, pastori. Sono queste
le categorie che rientrano nella sfera dei
Forconi. Il suo movimento ritiene «indispensabile che vengano ripristinata una
vera democrazia e la sovranità popolare: monetaria, alimentare, politica, territoriale, dei beni ambientali ed energetici.
Non ci rassegniamo, né mai ci rassegneremo, a diventare schia
schiavi passivi di un sistema
tema
politico-finanziario gestito da oligarchie transnansnazionali che per mezzo
zo di
meccanismi speculalativi perversi stanno
o
impoverendo senza scrupoli popoli
e nazioni».
I neofascisti: «È una rivolta nazionalpopolare contro la plutocrazia»
Probabilmente anche per questo gli altri due
leader del Coordinamento 9 dicembre, Lucio
Chiavegato e Mariano Ferro, hanno abbandonato Danilo Calvani con un comunicato stampa ufficiale in cui dichiarano di «dissociarsi da
ogni azione e/o iniziativa intrapresa dal Sig.
Danilo Calvani del Cra - Comitati riuniti agricoli -, e dalle persone a lui facenti riferimento e
collegate in particolare dal Sig. Baldarelli Gabriele a causa di alcune dichiarazioni farneticanti che lasciano grande spazio ad interpretazioni che nulla hanno a che fare con i motivi
della protesta. Altresì si dichiara di non riconoscere la struttura web creata sul social network facebook da persone da noi non autorizzate e i siti non ufficiali».
«Chiavegato e Ferro hanno un solo problema:
la gente li ha scaricati e ormai prendono ordine
dalla politica. Sono dei voltafaccia», conclude
Danilo Calvani, orgoglioso e convinto di avere
un intero popolo alle spalle.
21
copertina
left.it
IN FONDO, LA SINISTRA
di Paola Mirenda
Il distacco da partiti e sindacati. La perdita di identità della classe
lavoratrice. Il protezionismo culturale e la nazionalizzazione
delle industrie. Così la ricetta populista seduce Europa e America
Anche i camionisti tedeschi hanno qualcosa da ridire sulle condizioni di lavoro, da quando la Dinotrans - una delle tre maggiori aziende di trasporti
europee - ha deciso di avvalersi di manodopera filippina perché persino quella lettone, che impiegava prima, costa troppo. «Così adesso si lavora
per 2,36 euro l’ora», dicono gli autisti denunciando la concorrenza sleale. Che si riversa sui prezzi
dei beni trasportati, quindi sul commercio. La Dinotrans lavora per il 45 per cento in Svezia, il 21 in
Norvegia, il 18 in Danimarca. Dove con 2,36 euro
ci si compra, forse, un caffè. La differenza tra le
proposte dei camionisti americani e quelli tedeschi non è solo di fuso orario. Nella rivendicazione dei primi ci entrava un po’ tutto. Obama che
non piace, la riforma sanitaria, la Corte suprema,
i parlamentari, i gay e quelli che vogliono vietare
le armi mentre invece «l’America è libertà di fare
quello che vogliamo». Così hanno coinvolto gente di ogni tipo, anche quelli a cui del trasporto non
frega nulla. I tedeschi chiedevano invece risposte
dallo Stato, non contro lo Stato. Quella differenza, per qualcuno, ha un nome: populismo.
© SALIOU/AP/LAPRESSE
A
lla faccia della filiera corta. Il trinomio
agricoltori/camionisti/commercianti
funziona sempre, secondo la logica “tu
non produci, io non trasporto, lui non vende”. Il
punto di arrivo ideale è il quarto step: “Voi non
comprate”. A quel punto, in teoria, si dovrebbe
verificare la paralisi dello Stato.
Non succede solo in Italia. Prendiamo gli Usa,
ottobre 2013. Washington non l’hanno espugnata, come invece avevano promesso, e nemmeno hanno cambiato la Costituzione. I camionisti americani, che avevano lanciato la loro marcia contro la corruzione - e contro lo Stato centrale - hanno fatto retromarcia, limitandosi a circolare al minimo della velocità consentita su tutte le quattro corsie delle autostrade statunitensi.
Ci hanno riprovato a San Francisco il mese dopo, ma stavolta le rivendicazioni non erano più
globali ma strettamente settoriali. «Vogliamo più
soldi e orari di lavoro più umani», hanno detto i
truckers della Baia, pagati a miglio percorso e insofferenti alle lunghe code per il carico e lo scarico nel porto di Oakland. E hanno vinto.
copertina
left.it
«È arrivato anche in Europa il momento dei
Tea party», scrive a novembre il New York Times, guardando al successo dei partiti populisti in Danimarca. «Una rivolta di base che nasce
dal risentimento nei confronti di una classe politica che molti vedono come fuori dal mondo».
Sono i giorni in cui le proteste dei camionisti e
degli agricoltori scoppiano anche in Francia.
Nel Nord dell’Esagono, in Bretagna, gli autotrasportatori contestano la misura fiscale pensata per ridurre le emissioni di Co2 e recuperare
denaro per le infrastrutture. A loro si uniscono
i contadini, tessuto produttivo di una regione
per altro molto povera e parecchio lontana dai
fasti parigini. In pochi giorni arrivano quelli del
Front national: «Siamo al vostro fianco, difendiamo i nostri valori», dicono ai manifestanti.
Le Pen padre si fa vedere in tv con il bonnet rouge, il berretto rosso simbolo dei manifestanti.
Gli ingredienti per una contestazione nazionalista e identitaria potrebbero esserci tutti. Eppure non succede. «Noi siamo l’antidoto ai fascisti, non la loro sponda», dice il battagliero sindaco di Carhaix Christian Troadec. Lui è di sinistra ma non tifa Partito socialista, Hollande non
gli piace e vorrebbe che l’attuale governo se ne
andasse a casa. Troadec è contro le tasse e questa è una novità per la gauche. Però l’ecotassa
c’è perché la chiede l’Europa, e allora il discorso cambia, perché buona parte della sinistra
francese la Ue non l’ha voluta né la vuole. Troadec è populista? «Attenti a come si usa questo termine», avverte lo storico Sylvain Pattieu.
«Attenti a non far passare l’idea che tutto quello
che viene dal popolo è demagogico, perché non
è così». Pattieu ha girato a lungo tra gli operai
della Peugeot Citroën a Alnay durante i quattro
mesi di sciopero nella primavera 2013. Da quelle interviste ne ha tratto un libro (Avant de disparaitre, Edition Plein Jour) e la convinzione
che ci si sia «dimenticati il tempo in cui gli operai erano forti e facevano paura». Oggi, dice, «a
fare classe è altro». I sindacati denunciano l’alleanza «tra salariati licenziati e padroni che licenziano». Vale per la Bretagna come per il paesino danese di Hvidovre, dove monta una campagna contro il cibo halal negli ospedali ottenendo consensi da nazionalisti e animalisti, un
tempo su fronti opposti. Né destra né sinistra
perché «il primo partito degli operai è l’asten-
left 21 dicembre 2013
sione», dice Pattieu. Ma questo distacco dalla
politica “ufficiale” consegna più frutti alla destra populista di quanti non ne dia ai movimenti
di sinistra. Lo conferma anche Susi Meret, coordinatrice del Nordic populism network all’università danese di Aalborg: «Uno dei dati indicativi del populismo scandinavo», dice, «è che è
riuscito ad attrarre una grossa fetta della classe lavoratrice, quella che fino a 15 anni fa votava socialdemocrazia. Partiti e sindacati hanno
dato risposte non adatte, dando per scontato
che la classe operaia non esistesse più. Invece
c’è ancora, ma agisce in modo diverso e ha una
diversa relazione con chi prima la rappresentava». Delusa e arrabbiata, la classe.
Non servono le grandi piazze per l’affermazione dei movimenti populisti. Nel Nord dell’Europa, dove scendere in strada è inusuale, le formazioni che si richiamano ai valori identitari superano la soglia di sbarramento ed entrano per la
prima volta in Parlamento, come è successo al
Partito democratico svedese, o si confermano
nel successo elettorale, come i Veri finlandesi.
Il leader dei ribelli bretoni: «Siamo l’antidoto
al fascismo, non la sua sponda»
Senza grandi mobilitazioni nazionali, lavorano
a livello locale, con programmi che rielaborano
due parole d’ordine che furono della sinistra: difesa del lavoro e del welfare.
«Ci sono due assi su cui si muovono i partiti populisti», spiega Daniel Oesch, dell’università di
Losanna. «Uno è quello culturale, dove c’è tradizionalismo, autarchia, rifiuto del multiculturalismo, elementi che caratterizzano la destra autoritaria e securitaria. L’altro», dice lo studioso,
«è quello economico. Qui, al contrario, le misure che vengono proposte pescano da una tradizione più di sinistra. In Austria e Svizzera il successo dei partiti populisti tra i lavoratori sembra
dovuto principalmente al protezionismo culturale, alla difesa dell’identità nazionale contro gli
estranei. In Belgio, Francia e Norvegia, questo va
di pari passo con una insoddisfazione profonda
per il modo in cui funziona la democrazia nel Paese». Elemento su cui Grillo ha costruito un partito che supera il 20 per cento.
Quimper, Bretagna,
2 novembre 2013.
Manifestazione dei
bonnets rouges
contro l’ecotassa
sui camion pesanti.
Dopo lunghe proteste
i bretoni ottengono
la riduzione del
50 per cento della
tassa e il posticipo
dell’introduzione
a gennaio 2014
23
società
CONCIATE
PER LE FESTE
di Tiziana Barillà
Part time, a termine o associate in partecipazione. Per l’esercito
delle commesse il Natale è una trincea. Turni massacranti e concorrenza
al ribasso. A partire dalle giovani colleghe, belle ma senza esperienza
© MAST/AP/LAPRESSE
società
I
n piedi all’ingresso del negozio, tra gli scaffali o sedute dietro un registratore di cassa,
ma sempre con un gran sorriso stampato sulla faccia. Sono le commesse delle boutique o dei
grandi magazzini, un esercito di donne le cui fila si ingrossano nel periodo natalizio. Commesse
sempre più giovani, belle e sottopagate. Il settore
del commercio in Italia impiega due milioni di lavoratori e di questi, secondo le stime dell’Unione
sindacale di base, circa l’80 per cento sono donne: un «aparthaid», lo definisce il sindacato che
denuncia la «condizione femminile insostenibile», spiega Francesco Iacovone di Usb commercio. Per queste lavoratrici la forma contrattuale
più usata è quella del part time, ma sono molto
diffuse anche forme di lavoro “stagionale”, ovvero contratti a termine. Negli ultimi anni però ha
preso piede un’altra tipologia: “associazione in
partecipazione”, e cioè un rapporto di lavoro che
vincola la busta paga agli utili dell’impresa.
Le più fortunate, quindi, hanno un part time, che
garantisce comunque una qualche forma di tute-
Katia , 27 contratti in 12 anni:
«Tanti sacrifici senza vedere il lavoro stabile»
la. Tuttavia, anche se nasce come un’opportunità, questo tipo di contratto viene imposto e per
di più a condizioni capestro: salario sì, tra i 600
e i 700 euro mensili ma un’organizzazione del lavoro tale da non permettere nemmeno una seconda occupazione. «Presenze nel fine settimana, variazioni di turno improvvise talvolta comunicate lo stesso giorno e al telefono», riferisce Iacovone di Usb. Questa è la fascia più garantita. Per le commesse più giovani, invece, le
opzioni sono due: contratti a termine o “associazione in partecipazione”. Nel primo caso significa lavorare per uno o pochi mesi - nel periodo di
Natale, durante i saldi o per sostituire una maternità - senza diritti: né disoccupazione, malattia o gravidanza. La legge fissa a 36 mesi il limite massimo per l’utilizzo di questo tipo di contratti, oltre il quale l’impresa dovrebbe assumere. Eppure «abbiamo tanti casi di lavoratrici che
hanno superato ampiamente i 36 mesi, lavorando per anni con la stessa azienda», denuncia Iacovone. «Nonostante abbiano il diritto per legge
a essere assunte, devono però ricorrere alle vie
26
legali». Come M., una commessa che ha appena vinto la vertenza per l’assunzione a tempo indeterminato, che si trova proprio accanto al sindacalista. Felice, aspetta prima di raccontare la
sua storia. Altre invece parlano. Eccome.
LE STAGIONI DELLO SFRUTTAMENTO
Giusto durante il periodo natalizio di dodici anni fa Katia Bottoni viene chiamata a lavorare alla Coop di Colleferro, proprio sotto casa sua,
con un contratto a termine per il mese di dicembre. A quel contratto ne sono seguiti altri 26. Firma dopo firma, alla Coop Katia ha lavorato per
12 lunghi anni: prima come addetta alla cassa e
rifornimento, poi in diversi reparti come la pescheria e la gastronomia. Un jolly, sempre a scadenza: un mese a dicembre, quattro mesi d’estate, a volte due contratti di fila con interruzioni di
15 giorni prima di procedere al terzo. «Ho collezionato 27 contratti in 12 anni. I primi 11 anni a Colleferro, poi sempre più lontana, un mese a Velletri a circa 10 km da casa e l’ultimo anno a Cisterna di Latina, a 45 km», racconta a left
Katia, che oggi ha 39 anni, tre figli e nessun lavoro. Oramai è troppo “anziana”. «Quando presento il curriculum mi rispondono che ho 39 anni e lo Stato non li aiuta per prendere me, preferiscono gente con meno esperienza, sì, ma anche meno anni». Il lavoro che Katia ha perso era
precario, instabile e con un salario altalenante:
quando andava bene ed era full time, e cioè 37
ore settimanali, arrivava a 1.200 euro al mese. E
per raggiungere quella cifra cercava di accumulare più ore possibili: «Come quando si faceva
l’inventario fino all’una di notte e poi si riattaccava alle sei di mattina», ricorda. Tanti sacrifici sopportati - lavoro ogni domenica, turni massacranti e attese pazienti negli intervalli tra un
contratto e un altro - «per aspettare il contratto che però non è mai arrivato». Dal 30 settembre 2012 Katia non lavora più: «So per certo che
hanno chiamato altre lavoratrici stagionali tramite agenzie interinali, perché così non maturano l’anzianità necessaria per l’assunzione a tempo indeterminato», dice amara. «È un accordo
interno dell’azienda, che non ha nessun valore
di legge ma lo usano lo stesso». Perciò, la scorsa
primavera, ha deciso di incatenarsi davanti alla
Lega delle cooperative di Roma: «Non sono una
pazza, prima di quell’atto di forza ho cercato un
21 dicembre 2013
left
società
colloquio con l’azienda, ho chiesto loro di continuare a lavorare come stagionale, purché mi assicurassero il lavoro. Sarei scesa a qualsiasi patto pur di lavorare». Dopo l’incatenamento ottiene un colloquio con l’azienda: «Mi hanno offerto
l’assunzione a Formia, che da casa mia dista circa 130 chilometri, per un contratto di venti ore
settimanale. Significa nemmeno 600 euro al mese per coprire 260 chilometri al giorno di tragitto». Katia ha rifiutato, anche perché il supermercato in questione «non esisteva ancora all’epoca
e a tutt’oggi non è ancora stato aperto».
CONTRATTI DISSOCIATI
«Sono arrivata a guadagnare in un mese 295 euro.
Pur essendo presente tutti i giorni nel punto vendita, otto ore al giorno che diventavano dodici,
tredici o anche quattordici nei periodi dei saldi o
sotto Natale». È la testimonianza di una lavoratrice anonima, addetta di un negozio di biancheria
per la casa, che ha deciso di scrivere a dissociati.it, il sito aperto da Filcams Cgil e Nidil Cgil per
incoraggiare chi lavora in associazione in partecipazione a venire allo scoperto. Oggi, raccolte le
numerose testimonianze, il sindacato comincia
a tirare qualche somma: «Sono prevalentemente
giovani e donne», racconta Mariagrazia Gabrielli, segretaria nazionale di Filcams Cgil. «Certo,
la contrazione dei consumi ha acuito le difficoltà nel settore del commercio e mette in una condizione di ansia anche chi ha un lavoro a tempo
indeterminato, ma le stratificazioni c’erano anche prima della crisi». A dimostrarlo, secondo la
Cgil, è anche il successo della campagna “dissociati”, sin da prima che la crisi economica incombesse. «Da tempo assistiamo a un uso non corretto delle forme contrattuali, tra cui proprio quella
di associati in partecipazione per chi svolge mansione di addetta alla vendita», aggiunge Gabrielli.
Chi lavora come associato in partecipazione è un
soggetto che nell’azienda mette il proprio lavoro
invece che il proprio capitale. Rapporti di lavoro
legati agli utili delle imprese, «eppure nella maggior parte dei casi i lavoratori non hanno neanche
la cognizione di come va il bilancio annuale». La
retribuzione, poi, avviene nelle maniere più disparate: un fisso, una percentuale sulle vendite,
sugli incassi e gli scontrini fatti. Ecco spiegato il
perché di tanta premura delle commesse quando
ci accompagnano, passo passo, fino alla tanto so-
left 21 dicembre 2013
spirata stampa dello scontrino. Insomma, niente
regole né certezze. Nessun controllo. «Negli anni ci è capitato anche di vedere rapporti che garantivano un fisso mensile, ma non era mai quello del contratto nazionale e non rispettava i minimi tabellari. Non esiste un punto di riferimento
giuridico normativo. Tutto sta nell’accordo individuale che per sua definizione vede un soggetto
debole nella contrattazione, il singolo lavoratore
che nella maggior parte dei casi accetta la condizione che gli viene offerta pur di lavorare», spiega
Gabrielli. «È anche possibile che qualcuno riesca
a ottenere un trattamento economico migliore,
ma a fronte di tutta una serie di tutele che mancano, come la maternità, il Tfr o la regolamentazione delle ferie».
Eppure i rapporti di lavoro per la mansione di addetti alle vendite sono contemplati dalla legge,
c’è un contratto nazionale di riferimento: quello del terziario, meglio conosciuto come contratto del commercio, che include tutti gli impieghi
possibili, dal macellaio alla commessa del nego-
Una lavoratrice sul sito Cgil dissociati.it:
«Otto ore al giorno per 295 euro»
zio di abbigliamento. Perciò l’uso e l’abuso di associazioni in partecipazione «oltre a provocare
il danno immediato alla condizione del lavoratore», spiega la sindacalista, «provoca anche un effetto dumping tra le imprese e il mercato». Damping, ovvero competizione al ribasso giocata sulla pelle dei lavoratori. Per arginare il fenomeno,
l’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero ha tentato
di imporre la trasformazione di questi contratti
in forme di lavoro dipendente. Qualche azienda
lo ha fatto. Molte, troppe, ancora no. «Non siamo
in grado di verificare gli effetti della Legge Fornero, bisognerà aspettare l’inizio del 2014», conclude Gabrielli. Nella Legge di Stabilità del governo Letta è stata inserita una norma ad hoc per
prorogare al 31 marzo 2014 i tempi per la sanatoria degli associati che vengono trasformati attraverso accordo sindacale.
Intanto si avvicina l’ipotesi di esercizi commerciali aperti tutto il giorno e tutto l’anno, per andare incontro alle esigenze del consumatore.
Meno a quelle delle lavoratrici. Per loro potrebbe essere Natale tutto l’anno.
27
società
left.it
L’abolizione dei rimborsi elettorali toglie certezza
al finanziamento dei partiti. E apre la strada alle
lobby. Mentre qualcuno evoca il tesoretto dei Ds
LA LOTTERIA
DEI CONTRIBUTI
di Sofia Basso
28
21 dicembre 2013
left
F
abrizio Barca ha evocato addirittura Nerone, che ai leoni del Colosseo dava in
pasto qualsiasi cosa per placare la loro
rabbia; Antonio Di Pietro ha parlato di legalizzazione delle tangenti. La riforma del finanziamento pubblico ai partiti rilanciata da Enrico Letta è
stata accolta da un coro di critiche. Sul banco degli imputati è finito soprattutto l’eccessivo spazio lasciato ai potentati economici. Perché con
l’abolizione dei rimborsi elettorali, il sistema dei
partiti continuerà a pesare sui contribuenti, solo che a scegliere chi finanziare e in quale misura
non sarà più lo Stato ma i privati. In particolare le
decisioni saranno prese da chi ha i soldi.
Se Renzi non interviene con un’accelerazione,
il taglio dei rimborsi sarà graduale: nei prossimi
tre anni si passerà dagli attuali 91 milioni a 68,
45 e 36. Dal 2017, con l’azzeramento dei finanziamenti diretti, i partiti potranno contare solo sul
2 per mille (un meccanismo simile a quello per
le confessioni religiose, con la differenza che
l’inoptato resterà allo Stato) e sulle erogazioni liberali (con una detrazione fiscale del 37 per cento). Soldi di tutti, quindi, ma influenza di pochi.
UNA RIFORMA A MISURA DI LOBBY
«Sul tema dei finanziamenti pubblici ai partiti c’è
molta demagogia, motivata dal fatto che nel sistema circola troppo denaro, speso male e senza alcun controllo», attacca il costituzionalista
left 21 dicembre 2013
Gaetano
Azzariti,
che del provvedimento promuove solo i
maggiori controlli. «Distinguerei però le malversazioni dalla necessità di favorire la partecipazione politica». La possibilità di devolvere il
2 per mille a un partito comporta un
esborso di denaro pubblico che,
però, dipenderà dai singoli
redditi: «Questo
meccanismo favorisce i partiti sostenuti dall’élite economica e contraddice il principio di parità tra i soggetti politici», stigmatizza
il professore di Diritto della Sapienza di Roma. «È quasi un ritorno agli ottocenteschi
partiti dei notabili, quando non potevi fare politica se non avevi alle spalle un capitale economico. Una distorsione che può diven-
© IMAGE SOURCE/LAPRESSE
società
left.it
29
società
left.it
COME SPENDE IL PD
LE ENTRATE DEI DEMOCRATICI
Azzariti: «È un ritorno all’800. La legge non
dovrebbe favorire comportamenti collusivi»
Spese ed entrate
del Partito
democratico nel 2012
divise per settori.
Fonte: sito del Pd
30
tare anche qualcosa di peggio: un finanziamento
per interesse personale». A preoccupare Azzariti c’è l’altissimo tetto ai contributi privati (fissato a 300mila euro), con detrazioni a carico di tutti:
«Chi dona tanti soldi a un partito non lo fa per liberalità ma per avere qualcosa in cambio. Eppure la legge non dovrebbe favorire comportamenti
collusivi tra interessi forti e movimenti politici».
Il costituzionalista non difende certo l’attuale sistema, in evidente contrasto con il referendum
del 1993: «Il mascheramento del finanziamento
pubblico attraverso il contributo alle spese elettorali è indifendibile, come lo sono i contributi
a pioggia senza controlli. È chiaro che il meccanismo andava radicalmente rivisto. Anziché assegnare direttamente soldi ai partiti, però, bisognerebbe fornire servizi a tutti: spazi per riunirsi, sconti per manifesti e trasporti, e agevolazioni
per l’assunzione del personale», propone Azzariti. «Nessuno si arricchirebbe perché non ci sarebbe passaggio di denaro e si rispetterebbe il principio costituzionale di favorire la partecipazione
politica». Qualche esempio? «In Inghilterra quasi
tutti i finanziamenti pubblici vanno all’opposizione perché si ritiene che i contributi non debbano
favorire chi ha già la maggioranza». L’Italia, invece, sembra andare in direzione opposta.
Oltre che nei contenuti, la riforma non convince neppure nel modo di procedere: «Il disegno di
legge, già approvato alla Camera, era in discussione al Senato», fa notare Azzariti. «All’improvviso, per ragioni probabilmente legate alla competizione tra il premier e il nuovo segretario Pd,
il governo ha ritenuto di emanare un decreto legge. Siccome la normativa è spalmata sino al 2017
non si capisce quale sia la “straordinaria urgenza”». Di fronte a un Parlamento che ha già dovu-
to incassare la sconfitta della sentenza sull’incostituzionalità del Porcellum, per il giurista «non è
un bel segnale che l’esecutivo gli sottragga anche
questo provvedimento. Tra i tanti problemi italiani c’è anche la debolezza del Parlamento».
Gli esperti sono già al lavoro per stimare il costo della riforma. Roberto Perotti su lavoce.info
ha calcolato che, a regime, i partiti costeranno ai
contribuenti circa 30-60 milioni di euro. Nel 2011,
infatti, l’imposta Irpef netta è stata di 152 miliardi, con 31,5 milioni di contribuenti. Se 3 milioni di
simpatizzanti destinassero il 2 per mille ai partiti,
il gettito sarebbe di circa 30 milioni. A questi andrebbero aggiunti i circa 16 di mancato introito
per la detraibilità delle erogazioni liberali, per un
totale di 46 milioni. Nettamente meno rispetto ai
182 del 2011 e al picco del 2009-2010 (circa 290).
PD, CASSA LEGGERA E STRUTTURA PESANTE
Il partito italiano che ha maggiori costi da sostenere è notoriamente il Pd, il più strutturato. Se
nel 2012 il Pdl ha speso 36,4 milioni, la Lega 28,6
e Sel 1,1, l’erede del Pci ha sostenuto oneri per
45 milioni (di cui 12 e mezzo per il personale, 9
per elezioni e comunicazione, 9,5 per contributi a strutture territoriali e 7,5 per altri servizi e
acquisto beni). Come tutti, dal 2012 i democratici hanno dovuto fare i conti con l’improvviso
dimezzamento dei rimborsi elettorali. «Abbiamo avviato un processo di riorganizzazione delle spese, riducendole da 60 milioni a 45 in un anno», spiega Antonio Misiani, tesoriere del Pd fino alla vittoria di Matteo Renzi. «Per il 2013 le
uscite si aggirano attorno ai 40 milioni. Se consideriamo che abbiamo speso 7 milioni per la
campagna elettorale, abbiamo quasi dimezzato i costi strutturali». Grazie agli avanzi degli anni precedenti, il deputato bergamasco ha potuto
consegnare al suo successore, Francesco Bonifazi, una cassa con 12 milioni di euro malgrado il
disavanzo di bilancio di 7 milioni.
21 dicembre 2013
left
società
© MONALDO / LAPRESSE
left.it
Pur non negando le difficoltà, Misiani promuove
la nuova legge sul finanziamento. Facendo riferimento alla proposta di Renzi di rinunciare da subito al finanziamento pubblico in cambio del sì
di Grillo alla riforma elettorale e del Senato, l’ex
tesoriere si augura che si prosegua sulla strada
«delle riforme serie, senza sorprese o fuochi d’artificio». E precisa: «Condivido il principio che la
scelta sul finanziamento ai partiti passi ai cittadini. È chiaro, però, che ci vuole un po’ di tempo
perché la politica riguadagni la fiducia degli elettori e i partiti si riorganizzino. Passiamo da un
quadro di entrate certe a uno nel quale si devono convincere i cittadini». Misiani, però, ci tiene
a ricordare che l’autofinanziamento è nel dna della sinistra: «Siamo il partito delle lotterie e delle
feste dell’Unità. Dobbiamo rilanciare questa tradizione, lavorare sul tesseramento e sulle tecniche moderne di raccolta fondi, come il crowdfunding». Del resto, le primarie hanno segnato quello che Misiani definisce «il più grande momento
di autofinanziamento della politica in Italia». Il
deputato bergamasco assicura che i circa 6 milioni di euro raccolti nei gazebo resteranno sul territorio. E fa appello al “popolo del Pd”: «La nostra
base di partenza sono i tre milioni che votano alle
primarie e il mezzo milione di iscritti. Dobbiamo
chieder loro un maggiore sostegno economico».
IL TESORETTO DEI DS
Se tra i circa 200 dipendenti del Nazareno (con
stipendi che oscillano dai 1.300 ai 4.000 euro netti) circola preoccupazione sul futuro, c’è chi evoca il fantomatico “tesoretto” dei Ds. Si parla di
circa mezzo miliardo di euro, costituito essenzialmente dagli oltre duemila immobili, ma anche
da opere d’arte (tra cui due Guttuso) e cimeli storici. Alla vigilia della nascita del Pd, però, il patrimonio dei Ds è stato donato a una sessantina di
fondazioni diffuse sul territorio. Le banche - che
vantano circa 200 milioni di crediti nei confron-
left 21 dicembre 2013
ti della Quercia (ancora in vita, a differenza della
Margherita, andata in liquidazione dopo lo scandalo Lusi) - accusano l’ex dirigenza Ds di aver trasferito gli immobili per evitare il pignoramento.
Lo storico tesoriere dei Ds, il senatore Ugo Sposetti, da sempre sostenitore del finanziamento
pubblico ai partiti, non concede interviste sull’argomento: «I debiti non interessano a nessuno»,
risponde lapidario. Un po’ di storia la fa invece
Misiani. «Alla nascita del Pd, la dirigenza si trovò di fronte a un matrimonio potenzialmente diseguale: i Ds erano molto indebitati a Roma ma
avevano tanti immobili sul territorio; la Margherita, all’opposto, era ricca nella Capitale ma priva di patrimoni diffusi». Oltre a voler evitare una
predominanza degli ex popolari a Roma e degli
ex comunisti nel resto del Paese, Veltroni e Franceschini volevano anche segnare una cesura netta col passato: «Il Pd doveva essere un partito
nuovo anche dal punto di vista economico», spiega Misiani. «Ereditare la contabilità dei Ds e della Margherita ci avrebbe azzoppato perché ci saremmo dovuti accollare lo spaventoso fardello di
180 milioni di debito. È stata una scelta di discontinuità saggia». Tra l’altro, precisa l’ex tesoriere,
gli immobili erano di proprietà delle federazioni
provinciali non del nazionale: «Quegli edifici non
c’entrano coi soldi di Mosca né col finanziamento
pubblico: sono il frutto di generazioni di persone
che hanno fatto i tortellini e le salamelle, figli del
sudore e della fatica di migliaia di militanti. Meriterebbero rispetto. Oggi sono affittati a prezzi politici al partito e consentono al Pd di fare politica.
Nella stragrande maggioranza il canone serve a
malapena a coprire le spese e le tasse». E a chi insinua eventuali ricatti degli ex Ds contro il nuovo segretario, Misiani taglia corto: «Le fondazioni
sono giuridicamente autonome. Il loro patrimonio, tra l’altro, non è liquido». La vera vendetta di
D’Alema contro Renzi, insomma, potrebbe essere preterintenzionale.
Gaetano Azzariti,
professore
ordinario di Diritto
costituzionale
alla Sapienza.
In alto, Antonio
Misiani, tesoriere
del Pd sino
alla vittoria di Renzi
alle primarie
31
«Renzi scopra
le sue carte»
© MONALDO / LAPRESSE (2)
società
di Manuele Bonaccorsi
Alla vigilia del congresso di Sel parla Massimiliano Smeriglio, vicepresidente
del Lazio. Che apre al rottamatore: «È liberista, ma serve una sinistra nuova»
C
ome spesso accade il mondo si divide
in apocalittici e integrati. Nel nostro
caso c’è chi pensa che con Renzi il Pd
non sia più di sinistra. E c’è chi è pronto ad accettare la nuova sfida posta dal rottamatore. Tra le
due categorie Massimiliano Smeriglio - vicepresidente della Regione Lazio di Nicola Zingaretti,
esponente di spicco di Sel - si situa nella seconda.
Con qualche distinguo pesante: «Renzi è emblema di un populismo dolce, di una tecnocrazia liberista», attacca. Eppure il neosegretario è «una
novità positiva». Alla vigilia del congresso di Sel,
Smeriglio disegna la sua strategia sul futuro della
sinistra in una lunga chiacchierata con left.
Cosa trova di così positivo in Renzi?
I democratici governano ormai da anni col centrodestra. Non è una parentesi: il governo Monti prima e quello Letta adesso cambiano la natura
del Pd. Il problema è come mettere fine a questa
fase. In questo senso Renzi è una novità positiva.
Sia chiaro, non ci sfugge la distanza culturale tra
noi e lui. Ma il suo posizionamento esplicito con-
32
tro le larghe intese segna l’inizio di un’altra storia.
Quando Renzi dice: “Collochiamo il Pd sulla frontiera e non al museo delle cere”, quando mette in
discussione la cultura della “responsabilità” sostituendola con quella del “cambiamento”, non fa
una cosa da poco. Certo, è una risposta semplice
a una domanda complessa. Vedremo la sostanza.
Insomma, meglio Renzi di Fassina?
Renzi non è fermo agli anni 50, ma se propone
il Blair degli anni 90 siamo comunque vent’anni
in ritardo. In nessuno dei due casi si propone un
cambiamento vero. Di sicuro l’album di famiglia
non basta più, oggi è un’altra storia.
Per la Cgil Renzi più che Blair sembra la
Thatcher.
Renzi riprende le tesi di Ichino, che a sua volta copia il modello danese. Se mi propongono il sistema danese - tutto intero, compreso il welfare danese - io dico: ditemi dove si firma. Ma non se ne
può prendere solo un pezzo.
Renzi come Sel parla di reddito minimo garantito. Quanto è necessario introdurlo?
21 dicembre 2013
left
società
left.it
Noi abbiamo un welfare disegnato su un lavoratore maschio, cinquantenne, sindacalizzato, con
la sua famiglia. Ma due terzi della società non rientra in questa definizione. Dobbiamo interloquire con la precarietà, le partite Iva, l’impresa molecolare. Altrimenti non sappiamo come disarticolare i “forconi”. Il 92% delle aziende sono microimprese, e chiedono welfare: è un problema
nostro, o lo lasciamo ai “neonazisti dell’Illinois”?
Insomma, più che una sinistra di classe, serve una sinistra che parli all’individuo e ai
suoi bisogni.
Sì, una sinistra che parli ai cittadini, non solo al lavoro. È questa la nostra differenza con Fassina,
con quel filone nobile che parla ancora di patto
tra produttori, come ai tempi di Togliatti. Sel nasce da questa rivoluzione culturale. Ecco perché
il reddito minimo ha una funzione fondamentale.
Il governo comincia a sperimentarlo. Soddisfatto?
Per nulla: il ministro Giovannini ha stanziato 40
milioni di euro l’anno. Quando il reddito minimo
fu sperimentato nella Regione Lazio si impegnarono 70 milioni l’anno per 13mila giovani. Ma la
platea dei destinatari era di 130mila persone. Ripeto, nel solo Lazio.
L’alleanza tra voi e il Pd è a rischio?
Il Pd di Renzi ha esiti imprevedibili, valuteremo
passo passo. Senz’altro il vecchio centrosinistra
non c’è più, siamo ormai fuori dall’“album di famiglia”. Io credo in un “campo unico” del centrosinistra, come l’aveva definito Goffredo Bettini.
Con due soggettività: il Pd di Renzi e una sinistra
più ambiziosa e sostanziosa, con un volume diverso rispetto a quello di Sel.
Non sembra che abbiate guadagnato consensi dai guai del Pd.
Veniamo da una sconfitta, siamo stati i migliori alleati di Bersani e abbiamo subito il lutto. La virata
di Letta non è stata un caso, lui è il primo ministro
di un progetto politico. Ora dobbiamo far nascere una “Costituente della sinistra”, con chiunque
ci voglia stare, da Civati a Landini. A partire dalle
Europee. Con la proposta di un riformismo radicale, che non rinuncia all’idea del governo e insieme vuole trasformare il Paese.
L’avete sempre detto: Sel è un partito nato
per trasformarsi in altro. Ma finora non ci
siete riusciti. Dove avete sbagliato?
Abbiamo ben seminato, ma come un contadino
left 21 dicembre 2013
Sinistra e libertà deve aprirsi a nuove
personalità. Da Civati a Landini
ubriaco ci siamo scordati di raccogliere. Penso che avremmo potuto usare meglio il gruppo
parlamentare: meno ordini del giorno e più visite nelle carceri e nei Cie. E avremmo dovuto
chiamare alle proprie responsabilità politiche
generali i Pisapia, Doria, Zedda: oggi le città sono luoghi centrali.
Certo, il governo locale oggi è un compito
difficile, coi tagli e il patto di stabilità. Più
che costruire modelli si finisce a prender pomodori. Voi ad esempio, con 11 miliardi di
debiti, come governate il Lazio?
Sono 20 i miliardi di debito, purtroppo. Ma tra tutte le istituzioni i governi di prossimità prendono
meno pomodori, se riesci a “stare sul pezzo”. Nella Regione Lazio insieme a Zingaretti vogliamo
costruire un modello che magari, domani, potrà
essere utile all’intero Paese.
Credete che dal Pd ci sarà una fuga?
Qualcuno se ne andrà, ma sarà un esodo silenzioso e non è detto che sia intercettato da Sel, se non
cambiamo pelle. Dobbiamo rivolgerci a quel milione di elettori che ha votato Cuperlo e Civati,
trovando anche altri compagni di strada.
Qualche nome?
Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Barbara Spinelli, Carlo Freccero, Gad Lerner, Curzio Maltese, Aldo Bonomi. Ci sono tante personalità a cui
possiamo fare un invito esplicito ad assumersi
una quota di responsabilità.
Sel ha chiesto di entrare nel Pse, che candida alla Commissione Martin Schulz. Ma tra
voi c’è qualche ripensamento e ritorna l’idea
di stare nella Sinistra europea, con Tzipras
e Syriza. D’altro canto Schulz sta nell’Spd,
che fa la Grosse koalition con Merkel.
Bisogna andare oltre la Grosse koalition tedesca o la grandeur di Hollande. Io sono per interloquire con Schulz, ma bisogna capire che idea di
Europa ha in mente il Pse. Non possiamo avere
lo stesso candidato di Merkel. D’altronde anche
Syriza si interroga sul rapporto coi socialisti.
Al congresso si porrà il tema di un cambio
della classe dirigente? A partire da Vendola?
Nonostante tutti i problemi Nichi è la persona
che può traghettare Sel verso una nuova storia.
Manifestazione
di Sel, a Roma, subito
dopo il reincarico
di Napolitano.
In basso,
Massimiliano
Smeriglio,
esponente di Sel
e vicepresidente
della Regione Lazio
33
società
© SCARPIELLO IMAGOECONOMICA
left.it
Una rete per la sanità
di Donatella Coccoli
Come salvare il Lazio dal collasso? Lo psichiatra Paolo Girardi, uno
degli esperti della commissione regionale: «Per la salute mentale occorre
prevenzione e collegare i vari servizi. Senza creare centri di potere»
«C
he cosa rimane di una Regione
dove il sistema sanitario fallisce? Nulla. Perché il suo compito è amministrare il welfare e tutelare la salute dei cittadini». Paolo Girardi, professore ordinario di Psichiatria alla Sapienza, però è fiducioso: «Credo che la strada presa da Nicola
Zingaretti sia buona, deve andare avanti senza
guardare in faccia a nessuno». Il medico romano fa parte della commissione tecnico scientifica di 45 saggi che collabora alla “rivoluzione”
appena annunciata dal governatore: portare in
pareggio il bilancio in rosso di una regione diventata “maglia nera” in Italia per la sanità. Dai
tempi della giunta Storace il Lazio è precipitato in un “buco nero” che ogni anno ha divorato
centinaia di milioni provocando disservizi ed
eclatanti violazioni del diritto alla salute. Così
accade che a Roma dove nelle sei facoltà di Me-
34
dicina si forma il 25 per cento dei medici italiani, si assiste al calvario quotidiano dei malati,
costretti a estenuanti attese per visite specialistiche o abbandonati a se stessi nei corridoi di
un pronto soccorso. «Da una parte il beneficio
dell’utente, dall’altra il contenimento della spesa: queste le linee guida dei percorsi di fattibilità che stiamo studiando», spiega Girardi. Entro
la primavera 2014 i saggi faranno conoscere le
loro analisi, intanto Zingaretti ha già annunciato il taglio di 892 posti letto e la riorganizzazione dei servizi nelle quattro province.
Ma se tutta la sanità nel Lazio è in crisi, «per
quanto riguarda la salute mentale siamo ad un
passo dal collasso», sottolinea il docente universitario. Blocco del turn over, progressivo invecchiamento degli operatori, strutture chiuse e 240
posti letto su circa 500: questo è lo scenario. «Il
punto di forza del nostro sistema psichiatrico è
21 dicembre 2013
left
società
left.it
LA SCUOLA, UN LUOGO PER INTERCETTARE IL DISAGIO
La scuola dovrebbe essere il luogo
della formazione e della prevenzione. Ormai la ricerca epidemiologica,
medica e sociale, ha mostrato con
chiarezza indiscutibile che l’adolescenza, e quindi la scuola, sono il
tempo ed il luogo in cui il malessere
si manifesta concretamente. Non si
tratta di malattia mentale, ma di un
disagio che, nella solitudine e nella
mancanza di ascolto, può lentamente trasformarsi in malattia. Questi ragazzi non hanno bisogno di
una cura psichiatrica vera e propria,
bensì di uno spazio in cui, attraverso
un confronto, riuscire ad elaborare
quelle difficoltà che non permettono
loro di avere una vita sociale serena e che conducono anche all’uso
e abuso di sostanze e di alcol. Lo
stesso vale per quei genitori che avvertono una colpevole insufficienza
nel confronto con una generazione
che usa canali di comunicazione e
forme di convivenza a loro del tutto
estranei. E gli insegnanti vivono con
difficoltà il loro ruolo essendo costretti a comprendere dove si debba
collocare il limite tra un malessere
del tutto fisiologico in adolescenza e una sofferenza legata a realtà
contingenti, spesso private. Gli insegnanti possono percepire prima
di chiunque altro quei cambiamenti
nelle relazioni e nel rendimento scolastico che devono allarmare. Quindi
la scuola è un crocevia dove gran
parte della sofferenza, soprattutto
quella circondata dalla sordità familiare, potrebbe essere intercettata e
la community therapy. Ce la invidiano all’estero, la vogliono studiare in Cina. Ma funziona se
c’è personale specializzato, perché in psichiatria quello che conta è la relazione tra paziente
e medico». La rete dei Centri di salute mentale
con i centri diurni e gli Spdc, i servizi psichiatrici di diagnosi e cura per le urgenze e i ricoveri,
rischia di spezzarsi. «Alcuni Csm sono sull’orlo
della chiusura, altri sono già chiusi, negli Spdc
mancano circa 200 operatori», aggiunge il professor Girardi. «E se la rete si interrompe nel territorio, i pazienti si riversano nei Dea, i dipartimenti di emergenza e accettazione, per cui può
capitare che persone in emergenza psichiatrica
ricevano cure da pronto soccorso invece che essere ricoverate in un Spdc o dentro una comunità». Che cosa si può fare per fermare la deriva?
«Intanto bisogna puntare sulla prevenzione che
in psichiatria è così importante da coincidere
con la diagnosi precoce». Necessaria quindi una
politica concreta a favore della maternità, essenziale anche per prevenire le sindromi puerperali,
e un’attività costante nelle scuole. «L’età media
delle persone che venivano ricoverate nel ’72,
quando mi sono laureato, era di 30 anni, adesso
è di 22», continua Girardi. «Questo significa che
esiste una domanda a rischio nelle fasce adolescenziali con implicazioni che riguardano la famiglia e i gruppi sociali e che vanno anche al di là
del fatto medico». In questi casi si tratta di applicare il cosiddetto “modello integrato” e spostare l’asse dall’ospedale verso il territorio. Quale
ruolo può giocare l’università? «Può fare tantis-
left 21 dicembre 2013
incanalata verso i luoghi di ascolto
più idonei. Ma è anche il luogo dove fare “cultura”, dove potremmo
modificare la diffidenza nei confronti
della psichiatria per cui tanti giovani hanno paura di chiedere aiuto.
Nella scuola dovremmo riuscire a
trasmettere una visione meno nichilista delle cure e soprattutto un’immagine di malattia più legata all’ambiente, alla vita vissuta e ai rapporti
interumani. Un’immagine di malattia
mentale curabile e prevenibile, se
presa al manifestarsi dei primi segni.
Così i ragazzi potrebbero percepire l’utilità di una domanda che oggi
appare loro inutile e anche fonte di
esclusione sociale.
Paolo Fiori Nastro
docente di Psichiatria La Sapienza
«Il modello della community therapy esiste
e funziona ma senza operatori è a rischio»
simo», risponde lo psichiatra. «Gli specializzandi, come accade per la scuola che dirigo, vanno
già a fare tirocinio nei Csm, nei centri diurni, oppure prevenzione nelle scuole. Così accanto allo studio teorico i giovani medici hanno una conoscenza diretta sulla salute mentale». Ma il problema degli adolescenti come già evidenziato da
left (n. 46 del 23 novembre scorso.) è che per loro non ci sono strutture ad hoc. «La continuità
terapeutica è importante. Occorre collegare in
rete le diverse agenzie che intercettano i pazienti psichiatrici, dalla neuropsichiatria infantile, ai
Sert fino al Dsm adulti», propone Girardi che cita
gli esempi di Emilia Romagna, Lombardia e Puglia dove questo obiettivo è stato realizzato. In
tal modo anche i problemi di abuso di sostanze
trattati dai Sert ricadono sotto il più ampio ombrello della salute mentale «imponendo un’inversione culturale: non bisogna dare una lettura
repressiva della salute, ma al contrario il suo raggiungimento rappresenta una possibilità espressiva della persona» precisa lo psichiatra. Alla fine però l’ultima parola spetta alla politica. «Occorre far capire che l’integrazione dei vari servizi sia davvero una rete tra pari, senza centri di
potere». E in cui le nomine dei direttori generali,
“eterno” problema della sanità italiana, «devono
essere fatte sulla base di idoneità e senza creare
un sistema piramidale verticistico».
In apertura, una
corsia ospedaliera.
Sopra, Paolo Girardi,
professore ordinario
di Psichiatria presso
La Sapienza di Roma
e membro della
commissione tecnicoscientifica della
Regione Lazio
35
la scuola che non c’è
società
left.it
Dall’ispiratore della riforma laburista ecco l’inganno dell’“insegnamento orizzontale”
Blair docet
di Giuseppe Benedetti
C
i manca solo la versione italiana di Tony Blair per affossare la scuola pubblica italiana. Sappiamo bene che riusciamo
ad imitare perfettamente i difetti degli
altri e Blair, con il suo programma incardinato nella terna “education, education, education”, rese ancor più profondo il divario qualitativo tra le scuole private per ricchi, frequentate anche dai suoi figli, e le scuole pubbliche
per gli altri, logorate da una competizione squilibrata. Così cominciò, e finì
con l’opposizione del sindacato e con
i conservatori che appoggiarono l’ultima riforma dell’istruzione del premier
laburista. L’ispiratore della sua prima
riforma dell’istruzione si chiama Michael Barber e da un paio d’anni lavora per Pearson, un colosso dell’editoria cartacea e digitale. A questa collaborazione si deve l’ultima moda rivoluzionaria in fatto di istruzione. Preludio, come le altre, di nuove lacrime e
sangue per la scuola pubblica. Si chiama “insegnamento orizzontale” e sembra una rivisitazione ai tempi di internet di certi slogan di fine anni Sessanta. Secondo Barber si tratta di sostituire il tradizionale “insegnamento verticale”, fondato sull’interazione tra insegnante e allievo, con un nuovo metodo basato su un apprendimento
“democratico” mediante le piattaforme della Rete. L’insegnamento digitale, inoltre, avrebbe il vantaggio della
misurazione continua perché i risultati dei test potranno essere rilasciati in tempi brevissimi. Si saprà subito
se uno studente è rimasto indietro e ha
bisogno di un altro sistema di insegnamento. Insomma la scuola della valutazione frenetica dell’era Thatcher,
una scuola che aveva smarrito il senso
di sé, riprende vita in questa versione
tecnologica e apparentemente democratica, in base alla convinzione che
tutto può essere misurato e, perciò,
36
Il rapporto tra maestro
e allievo sostituito dalla
Rete e da saperi solo in
apparenza democratici
gestito. Intanto si vende la grande illusione che i contenuti saranno completamente gratuiti e accessibili a chiunque. Per ora non ci si pone il problema
di chi sarà disposto e con quale contropartita a produrre i contenuti riversati
nella Rete. Il gigantesco inganno sta
nel presentare questi contenuti, per lo
più informazioni, come saperi essenziali. Si gioca sul fatto che grazie all’innovazione tecnologica si producono
rapidi e continui cambiamenti, rispetto ai quali ci si muove più agilmente
con il bagaglio leggero di un’informazione superficiale. E per procurarsela a quale fonte più fresca e abbondante della rete si può attingere? Secondo
Barber, lo studente del XXI secolo dovrà imparare non solo “cosa” - i contenuti - ma anche “come”, cioè come
usare ciò che ha studiato. Qualche decennio fa la svalutazione dei saperi si
perpetrava anche attraverso la pretestuosa guerra tra metodi e contenu-
ti. Poi si passò alla contrapposizione
tra competenze e conoscenze, mentre tutti i saperi venivano coniugati secondo il verbo dell’economia. Si fa fatica a credere che in una società in cui
crescono a dismisura le disuguaglianze e arretrano i diritti, grandi potenze
economiche come i colossi della rete
e dell’editoria si preoccupino dei livelli culturali delle persone. Risulta difficile vedere in loro i difensori dell’istruzione come chiave per accedere al futuro. Del resto già abbiamo sperimentato quanto riporti indietro il vento
delle riforme. E non siamo più disposti a credere che il taglio delle risorse
essenziali della nostra scuola pubblica sia una razionalizzazione del sistema e la diminuzione delle ore di lezione un’innovazione didattica. Non pensiamo che i fondi alle scuole private
accrescano la libertà di scelta. Non ci
vediamo chiaro in un’autonomia che
dipende dai necessari contributi delle
famiglie. Non riconosciamo una meritocrazia che premia i progetti fumosi
dei più sfaccendati, né riteniamo che
la privatizzazione del rapporto di lavoro costituisca una garanzia di efficienza professionale.
[email protected]
21 dicembre 2013
left
reportage
reportage
Qui vive
il sogno
di Mandela
di Alessandra Bartali, foto di Mauro Puccini
Il Sudafrica cerca di dimenticare l’apartheid
a colpi di assistenzialismo. Ma nella township
di Knysna due donne scuotono la comunità
con un progetto di scuola e lavoro
E
lla, quarantenne di colore, indossa un
lungo vestito giallo e un cappello nero, decorato con perline colorate che le
scendono fino al viso. Lo dice lei stessa: «Ho messo il vestito dei giorni di festa». La festa, oggi, è
la visita di un gruppo di turisti occidentali nella
township di Knysna, nella regione sudafricana
di Western Cape, Knysna è una favela vista mare,
che dista pochi chilometri da Città del Capo e gode del clima perennemente mite che contraddistingue tutta la zona attraversata dalla panoramica Garten Route. Qui Ella gestisce il tour operator Emzini, fondato nel 2008 insieme a Penny, sua
coetanea bianca, che fino a pochi anni fa lavorava a Johannesburg come graphic designer. Nella lingua xhosa, l’etnia di Ella e anche di Nelson
Mandela, la parola emzini significa casa, ed è
proprio questo che offrono le visite del tour operator: un’esperienza diretta di vita quotidiana in
mezzo a una comunità tipica del post apartheid.
Di 20mila persone che vivono a Knysna, circa
metà sono residenti qui dai tempi della segregazione razziale, mentre le altre si sono trasferite in questi sgarrupati bilocali di legno grazie ai
programmi di welfare degli ultimi governi. Molti di loro pagano solo l’elettricità, il resto è a carico dello Stato. «E dove c’è odore di servizi gratuiti, i neri sudafricani accorrono come mosche»,
commenta Ella senza sarcasmo. È la conseguenza delle leggi antidiscriminatorie introdotte nella
fase post apartheid dal presidente Thabo Mbeki
(successore di Mandela), uno strumento pensato come compensazione dei torti subiti dalla popolazione di colore durante la dittatura. Sussidi
e quote di neri imposte nei ruoli dirigenziali delle aziende e nelle facoltà universitarie a numero
Sudafrica, gli abitanti
della township
di Knysna tornano
a casa
39
reportage
left.it
chiuso miravano a incentivare la nascita di un vero ceto benestante di colore. Ma, oltre a non raggiungere lo scopo, hanno reso la popolazione dipendente dall’assistenzialismo di Stato.
È proprio questa mentalità che Ella e Penny mirano a scardinare con le loro visite guidate tra le
strade terrose, le case dove si cantano canzoni
xhosa e i negozi di lamiera che animano la vita
di questa comunità. Il biglietto pagato dai turisti,
infatti, non diventa automaticamente una donazione ai bisognosi abitanti della township, ma si
converte in un finanziamento per la loro emancipazione. «L’idea», spiega Penny, «è favorire lo
sviluppo di un concetto di benessere legato al lavoro, e non agli aiuti pubblici». Così quando un
turista olandese ha fornito alla Emzini tour 10
computer tramite la società presso cui lavorava,
le due socie hanno dato vita a un corso di alfabetizzazione informatica, frequentato attualmente da una decina di donne della township. Che in
contemporanea seguono lezioni di taglio e cucito presso lo skills centre, una scuola inaugurata
nel 2012 per l’insegnamento di varie arti e mestieri - previo colloquio di orientamento. «Molte donne hanno uno spiccato senso della tradizione artigianale locale, ma non possiedono gli strumenti
per metterlo in pratica», prosegue Penny. «Il corso per la realizzazione di oggetti di bigiotteria sudafricana dà loro le capacità tecniche per realizzare merce da vendere in città, mentre la conoscenza delle potenzialità di internet può spinger-
40
21 dicembre 2013
left
reportage
left.it
Nella pagina accanto: in alto, vista su un quartiere di Knysna;
in basso, una giovane madre e suo figlio sulla soglia di casa.
In questa pagina, il parrucchiere della township.
In basso, un murales dedicato a Mandela a Johannesburg
NELLA GABBIA DELL’INEGUAGLIANZA
left 21 dicembre 2013
neoliberale adottata durante l’ultimo periodo dell’apartheid. Come risultato, c’è stata
un’enorme fuga di capitali e
pochi investimenti, soprattutto nei nuovi progetti Ne sono
derivate la finanziarizzazione
dell’economia e l’inasprimento
delle diseguaglianze. «L’apartheid è sparito sul versante delle
politiche pubbliche ma è rimasto in campo economico»,
conferma Pons-Vignon. «Una
delle conseguenze delle riforme neoliberiste è che è molto
difficile facilitare la nascita di
imprese nere. Ufficialmente
si è liberalizzato per tentare di
indebolire i grandi gruppi e le
grandi compagnie minerarie
e finanziarie che dominavano
l’economia. Ma gli accordi oligopolistici o di cartello hanno
impedito la crescita di nuovi
concorrenti. La liberalizzazione ha rafforzato lo stesso equilibrio di potere dell’apartheid,
anche se è emersa un’esigua
élite nera che condivide gli
interessi delle grandi compap.m.
gnie bianche».
© HADEBE/AP/LAPRESSE
le a incrementare le vendite con l’e-commerce».
La speranza è che le donne diventino imprenditrici e inizino a dedicare la propria energia a qualcosa di diverso dal fare un figlio dietro l’altro per
ottenere sussidi. È un modulo classico, che molte seguono perché ritengono l’unico modo per
campare, scaricando la responsabilità della propria disoccupazione su chi viene dallo Zimbabwe a “rubare il lavoro”. «La verità è che la politica assistenzialista ha contribuito a creare una
nazione di pigri», incalza Ella. «Gli africani che
emigrano qui da altri Paesi si ingegnano: i somali
si consorziano per acquistare i materiali necessari all’avvio di un’attività a prezzo conveniente, gli
uomini dello Zimbabwe arrivano carichi di beni
da rivendere qua. Molti sudafricani, invece, vivono nella loro bolla di indolenza. La nostra azienda offre lavoro retribuito, ma a volte l’impiegato
di turno non si presenta, gli andiamo a bussare a
casa e lui dorme ancora, o magari è ubriaco».
Non è il caso di Mawande, che al termine della
visita guidata accoglie i turisti nel suo ristorante. Uno scolapasta a mo’ di lampadario crea giochi di luce sulla tavola apparecchiata con piatti
di latta colorati colmi di pollo, pap e chakalaka
(una sorta di polenta e verdure speziate). Mentre
serve gli ospiti, Mawande racconta l’evoluzione
della sua carriera, da benzinaio a portiere notturno a guida turistica («la prima di colore in questa zona», sottolinea) a piccolo imprenditore. «I
turisti mi chiedevano dove potessero assaggiare
«Mandela ha portato la pace,
ma non è riuscito a eliminare
le diseguaglianze». Nicolas
Pons-Vignon, ricercatore alla
facoltà di Scienze economiche
e aziendali dell’università Witwatersrand (Johannesburg),
riconosce che il sistema economico del Sudafrica di oggi non
brilla per coerenza con quelli
che erano i principi ispiratori di
Madiba. «Il Sudafrica non è solo il Paese con il più alto indice
di diseguaglianza al mondo»,
spiega. «Stando ai risultati di
una nostra ricerca, il lavoro precario è aumentato proprio dalla
fine dell’apartheid. È un fatto
sorprendente, che però trova
radici anche negli accordi fatti
negli anni Novanta da Mandela per consentire la transizione
pacifica verso la democrazia.
Madibaha dovuto fare concessioni alla minoranza, salvaguardando i diritti di proprietà
esistenti, evidentemente estorti
dai bianchi alla popolazione
africana. Ed è andato ancora
più in là, perché ha sostenuto
la stessa politica economica
41
reportage
Un momento
del tour
da condividere
con i bambini
della township
left.it
la cucina locale, così ho pensato di aprire un ristorante nella township, dove cucino piatti zulu
e xhosa». Accanto ha costruito una stanza interamente arredata con materiali riciclati, dove ospita chi vuole fermarsi a dormire. Così dà lavoro
ad altre tre persone e organizza pacchetti turistici dal centro di Knysna, collaborando con alcuni tassisti locali, «perché alla gente è meglio dare
una canna da pesca, piuttosto che un pesce». Durante i mondiali di calcio ospitati dal Sud Africa,
nel 2010, Mawande ha portato a visitare la favela
l’intera nazionale danese, che alloggiava in città,
e l’anno scorso è salito per la prima volta a bordo
di un aereo che lo portava negli Stati Uniti, dove
era invitato a parlare della sua esperienza di turismo locale. Mica male, per un ragazzino il cui sogno per il futuro era “diventare un uomo bianco”,
come scriveva nei temi scolastici.
Come Mawande, anche Ella prima di conquistarsi una casa in muratura (una delle poche
della township) sognava un lavoro dignitoso.
Prima di riuscirci, ha avuto una vita complicata
fatta di molti chilometri da percorrere per raggiungere prima la scuola e poi i campi, dove si
univa ai braccianti per guadagnare pochi rand.
Oggi, la sua intraprendenza sta lentamente cam-
DOVE REGNA LA SEGREGAZIONE RAZZIALE
L’apartheid è ancora tra noi. A più
di vent’anni dalla scarcerazione di
Mandela, le forme di segregazione
razziale non hanno cessato di esistere. Sicuramente, la situazione
del popolo palestinese rappresenta
l’esempio più eclatante e duraturo
di una popolazione soggetta ad una
forma di sistematica discriminazione
e oppressione, vittima dell’eterno
conflitto con Israele. Ma anche fuori
dal Medio Oriente i casi di segregazione razziale non mancano.
42
MYANMAR Secondo l’Associazione per
popoli minacciati (Apm), la situazione in
Birmania rimane molto preoccupante
e la discriminazione nei confronti della popolazione di fede musulmana è
«al limite dell’apartheid». Le minoranze etnico religiose del Myanmar sono
numerose e l’integralismo buddista
spietato. Al di là del tristemente noto
razzismo nei confronti dell’etnia Karen,
che niente ha a che vedere con la religione, a Switte, capitale dello stato del
Rakhine, i musulmani rohingya sono
confinati in un vero e proprio ghetto, recintato da filo spinato e presieduto da
milizie buddiste. Non riconosciuti dal
governo come cittadini, i rohingya sono esclusi da un regolare accesso al lavoro, dal sistema educativo e da quello
sanitario. Secondo il presidente “riformista” Thein Sein, l’unica soluzione al
problema è quella di riallocare questi
“migranti” in un altro Paese.
BAHREIN Nella monarchia del Golfo,
la divisione tra i due principali rami
dell’Islam - sciita e sunnita - è alla base
21 dicembre 2013
left
reportage
left.it
biando la prospettiva della comunità di Knysna, dove i turisti sono i benvenuti e gli abitanti non si sentono come animali in uno zoo per
ricchi. Certo, i nugoli di bambini sporchi e sorridenti ispirano la tenerezza di chi, una volta tornato a casa, metterà la loro foto sul desktop del
proprio computer formulando pensieri del tipo
«queste persone sono felici anche se non hanno
niente». «Ma chi viene a visitare la nostra comunità non deve avere pietà di noi perché andiamo
in giro scalzi o perché abbiamo più mucche che
auto per le strade», puntualizza Ella. «Questa è
la nostra vita e ci va bene così». È l’indipenden-
di numerosi episodi di segregazione.
Come in Sudafrica, è la minoranza a
discriminare la maggioranza. Gli sciiti
(circa il 30 per cento della popolazione), si impongono con leggi xenofobe
sui concittadini sunniti (circa il 70 per
cento), forti dell’appoggio della famiglia reale di Al Khalifa. In una delle società all’apparenza più aperte ed evolute della penisola araba, gli episodi di
violenza nei confronti dei sunniti sono
all’ordine del giorno e il regime sciita
contribuisce attivamente a fomentare
il forte sentimento di odio. Molte zone
delle principali città limitano l’accesso
left 21 dicembre 2013
za che serve a una vita dignitosa ed è questo che
va cercando. Un concetto che tanti sudafricani
snobbano come vezzo occidentale, mentre Ella
e Penny sono convinte che sia un requisito valido a tutte le latitudini.
Secondo il giornalista zulu Ndumiso Ncobo,
le leggi antidiscriminatorie hanno dimostrato
per l’ennesima volta che «l’incubo preferito di
noi sudafricani è la razza». Non è più questione di razza, invece, il tentativo di due donne,
una nera e una bianca, di trasmettere il valore
dell’educazione e della formazione come unica forma di riscatto.
agli sciiti e i posti di lavoro, in particolare quelli legati alla sicurezza interna ed
esterna, sono riservati a questi ultimi.
REPUBBLICA DOMINICANA Critica è anche la situazione degli haitiani a Santo
Domingo. Qui, il diffuso sentimento di
“antihaitianismo” si manifesta in severe leggi discriminatorie e frequenti
episodi di xenofobia nei confronti degli scampati al terremoto. L’autunno
scorso, la Corte costituzionale dominicana ha confermato la legittimità di
una norma che ritira la cittadinanza
ai numerosi haitiani nati dove il 1929.
Alcuni discendono dagli emigranti di
Madiba Shop,
negozio di alimentari
nel centro
della township
inizio secolo, altri da chi fu “importato” per lavorare nei campi. Più di
200mila persone sono state così
private dell’accesso ai servizi sanitari e del diritto all’istruzione.
MALESIA Nell’arcipelago asiatico,
l’art. 53 della Costituzione riserva i
diritti di cittadinanza alle etnie “superiori” - tra cui i malay e altre popolazioni indigene - definite bumiputra. Gli altri, come la maggioranza cinese. sono esclusi dauna serie
di privilegi e diritti speciali in campo
economico e scolastico.
Giulia de Luca Gabrielli
43
mondo
© DREW/AP/LAPRESSE
La Borsa
crede nell’Islam
di Cecilia Tosi
Una solidità senza confronti, un appeal che supera le barriere religiose,
un mercato in continua espansione. Ecco perché i titoli finanziari
che rispettano il Corano piacciono a tutti. E nel 2014 faranno boom
I
l 2014 sarà l’anno del sukuk. I sukuk - cioè
le obbligazioni islamiche - vanno forte dal
2007, quando il loro valore complessivo ha
superato i 30 miliardi di dollari. Da allora, la fetta di mercato dominata dalla finanza rispettosa della sharia non ha fatto che crescere. Anche se rispetto al volume d’affari convenzionale è ancora striminzita (2mila miliardi di dollari
contro 100mila), conserva un trend positivo che
non conosce nessun altro settore. E il prossimo
anno gli analisti finanziari prevedono un vero e
proprio boom, trainato principalmente da due
fattori: gli investimenti in titoli islamici del Qatar, che si prepara così a finanziare le opere del-
44
la Coppa del Mondo 2022, e la nuova attenzione
per i sukuk dei regimi nati dalle cosiddette primavere arabe, governi che vorrebbero costruire una loro stabilità finanziaria in linea con il Corano. Se le aspettative verso gli investimenti dal
Maghreb appaiono traballanti, visto lo stato di
salute economica di Egitto & co, l’interesse del
Qatar è decisamente promettente.
IL GOLFO INVESTE HALAL
I lavori per organizzare i Campionati mondiali di calcio a Doha sono iniziati. Costruire stadi e ospitare sportivi significherà anche migliorare e ampliare le proprie infrastrutture, specie
21 dicembre 2013
left
mondo
left.it
nel settore energetico e idrico. Molte aziende
dei Paesi del Golfo, bisognose di risorse, vogliono diversificare le loro fonti di finanziamento e
dichiarano di voler puntare proprio sulla Borsa islamica per favorire lo sviluppo della regione. Ad aver già annunciato importanti emissioni di sukuk ci sono Saudi electricity e Dubai
electricity and water authority, che promettono di vendere i titoli islamici ai prezzi più bassi di sempre. E in Qatar il primo ad annunciare un’emissione è stato Ooredoo, il più grande
operatore telefonico del Paese. Con queste premesse, Standard and Poor’s prevede una crescita del settore dell’11 per cento.
TITOLI RELIGIOSI
Ma cos’ha di così eccezionale questa finanza
islamica? Il principio su cui si basa è il rispetto della sharia, che pone il bando sul tasso di
interesse e sulla pura speculazione monetaria
(identificati come mezzi moderni di usura). I
rischi vanno condivisi tra creditore e debitore e qualsiasi transazione deve poggiare su un
attivo reale, ovvero su società che producono
utili e non su altri titoli o depositi: il denaro investito sul denaro (in pratica, i titoli derivati) è
pura speculazione e quindi vietato dal Corano.
Altri settori in cui è proibito investire sono bibite e cibo non halal (come alcol e maiale), industria del tabacco e delle droghe, scommesse, produzione di armi di distruzione di massa e alcuni prodotti per adulti come giornali e
video porno e anche arte erotica. Questo non
vuol dire che la finanza islamica non sia elastica. Tra le attività ammesse c’è anche un settore che produce denaro, come la compravendita di immobili, e la banca che concede un mutuo non deve prestare i soldi gratis: può comprare la casa e “concederla” in affitto al cliente, che accetta di pagare una commissione su
questo servizio. In pratica, la finanza convenzionale può diventare islamica con qualche accorgimento tecnico e linguistico.
Oggi il sukuk attrae per la sua moralità ma anche perché, in epoca di crisi, dà l’idea di un investimento più tangibile di un titolo convenzionale, che difficilmente poggia su qualcosa di concreto. L’investitore islamico, in questo modo, sa
di condividere una parte dei profitti dell’attività
sottostante. Non è solo la religione, dunque, a
left 21 dicembre 2013
guidarli. Per individuare i migliori investimenti halal, i grandi centri finanziari islamici dicono di non temere confronti: gli Emiri del Golfo e i banchieri della Malesia sono specializzati,
ma per avere la parte del leone anche nel boom
del 2014 dovranno vedersela con i titani della
City. Il governo britannico, infatti, ha annunciato che emetterà presto il suo primo titolo islamico e che Londra diventerà un punto di riferimento fondamentale per il settore, anche più di
Dubai e Kuala Lumpur.
E potrebbe non finire qui. A Hong Kong c’è chi
propone il sukuk cinese, sfruttando la rete di
rapporti costruita in Asia per finanziare la crescita della Repubblica Popolare anche con i soldi islamici. Ma oltre alle critiche sui costi, pio-
Londra, Dubai e Kuala Lumpur si contendono
il primato. E forse ci prova anche Hong Kong
vono quelle sulla profittabilità: «Non abbiamo
un mercato interno», sostiene il parlamentare di Hong Kong Abraham Razack, «Malesia ed
Emirati sono islamici, Singapore e Regno Unito
hanno grandi minoranze musulmane, ma noi?».
La Cina fa bene a pensarci due volte, ma la presenza di comunità musulmane non è una precondizione necessaria a buttarsi nel mercato. Come fa notare John Esposito, professore di Studi islamici alla Georgetown university, le dieci banche islamiche di investimento
più grandi del mondo non sono in Arabia Saudita o Qatar, ma in Europa o Usa: Ubs, Hsbc,
Barclays, Deutsche Bank, Standard Chartered,
Lloyds, Swiss re, Citigroup, Goldman Sachs e
Morgan Stanley. Non hanno problemi a garantire la loro credibilità, perché assoldano nei loro
consigli di amministrazione i migliori esperti di
sharia, dotati di credenziali fornite dalle massime istituzioni religiose.
L’ISLAM CHE PIACE AI CRISTIANI
Il successo della finanza islamica sta proprio
nella sua integrazione con quella tradizionale. Chi sperava che dal Medio Oriente arrivasse un’alternativa al capitalismo occidentale è
rimasto deluso. Eppure c’è ancora chi crede
in una sua superiorità morale, e non sono solo
i musulmani. Tra i cristiani evangelici america-
Lo sceicco Nasser
Al-Mohammad AlAhmad Al-Sabah,
primo ministro del
Kuwait, visita la sede
di Merrill Lynch
a Wall Street
45
mondo
© FAISAL/AP/LAPRESSE
left.it
I cristiani sono attratti dalla possibilità
di investire secondo le regole del Libro sacro
Un modello dello
stadio di al Rayyan,
che il Qatar sta
costruendo per i
Mondiali 2022
46
ni si moltiplicano gli inviti a seguire l’esempio
islamico, che dimostrerebbe la percorribilità di
una strada di “legalità religiosa” anche nelle finanza. L’esempio dei sukuk dimostrerebbe che
anche in Borsa si può preservare l’intangibilità delle regole del libro sacro, regalando ai credenti la salvezza dal peccato.
In realtà, i principi alla base della finanza cristiana sarebbero più ampi di quelli che caratterizzano quella islamica. L’economista Antoine Cuny
de la Verriere fa un elenco delle caratteristiche
del mercato che costringono i cattolici al peccato: l’instabilità dei prezzi dovuta alla speculazione; gli squilibri nella remunerazione; il ricorso eccessivo al debito; la mercificazione dei lavoratori; la perdita di vista delle realtà economiche reali; l’iniqua distribuzione dei profitti; l’anonimato e la deresponsabilizzazione degli investitori; i paradisi fiscali; gli effetti nefasti sull’ambiente; la mancanza di trasparenza. Molti di questi “nemici” sono gli stessi della finanza islamica, ma c’è qualcosa in più. I cristiani aggiungono il problema delle relazioni, si concentrano sul
rapporto tra investitore e società finanziata, non
apprezzano le dimensioni della finanza islamica
che non consente un rapporto diretto tra debitore e creditore. Preferiscono chi offre la possibilità di risparmiare come gruppo (o famiglia) e di investire nell’economia locale, per costruire infrastrutture relazionali che incentivino a coltivare i
rapporti con la propria comunità. Purtroppo, per
ora, l’unico esempio globale di istituzione cristiana dedita alla finanza è lo Ior, i cui trascorsi non rispecchiano i principi di moralità elencati da Cuny
de la Verriere. Basti pensare che la Banca del Vaticano è nota per essere la più segreta al mondo
ed è stata al centro di numerose inchieste per riciclaggio di denaro sporco. E anche altri tentativi di fornire al buon cristiano strumenti per l’investimento etico non sono tra i più specchiati. Stoxx Europe christian index offre informazioni
agli investitori su società che vengono misurate
secondo l’aderenza ai principi cristiani. Peccato
che tra le 100 selezionate ci siano petrolieri come
la Bp o industrie minerarie molto inquinanti. D’altronde, gli stessi titoli fanno parte anche di un altro indice di matrice religiosa, il Dow Jones islamic market titans 100, che seleziona i titoli compatibili con le regole della sharia. La prova che il
dio mercato è allegramente politeista.
21 dicembre 2013
left
cultura
48
Gramsci tradito
da Togliatti
52
Van Gogh,
le lettere
56
Più scienza per
la democrazia
Il Museo Madre di Napoli,
dal 21 dicembre, si apre a
una nuova stagione di mostre. In primis con un’ampia retrospettiva, oltre 200
opere, dedicata a Vettor Pisani, dal titolo EROICA / ANTIEROICA. Mentre è attesisissima, a inizio primavera,
la retrospettiva di uno dei
più grandi artisti italiani di
oggi, Ettore Spalletti, realizzata in collaborazione con
GAM, Torino e MAXXI. In foto una sua opera recente.
cultura
48
left.it
21 dicembre 2013
left
cultura
left.it
Gramsci
tradito da Togliatti
di Elisabetta Amalfitano
Dopo il giallo del quaderno scomparso, un nuovo libro dello storico
Mauro Canali prosegue la ricerca sull’originalità e modernità
di pensiero del fondatore del quotidiano l’Unità
eterodossia gramsciana rispetto a Togliatti e Stalin è diventata ormai un
dato acquisito. Negli ultimi due anni
gli studiosi hanno reso noti al grande pubblico
dati, documenti e fatti che gli archivi sovietici
e italiani avevano tenuto più o meno nascosti.
Il risultato è il delinearsi in maniera netta la
figura assolutamente unica e isolata del pensatore sardo che pagò con il carcere e la morte
la propria originalità di pensiero. Con Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata
(Marsilio) lo storico Mauro Canali s’inserisce
in questo lavoro di svelamento e ricostruzione
facendo emergere due ritratti umani distanti
e inconciliabili. Allo storico abbiamo chiesto
innanzi tutto di spiegarci il fiorire di queste ricerche proprio in questo momento.
«Questa rinnovata attenzione per Gramsci in
Italia è il frutto della crisi ideologica e politica di una certa sinistra che ha comportato la
fine di un’egemonia culturale protrattasi per
alcuni decenni dopo la fine della guerra», commenta Canali. E aggiunge: «La ricerca può così
prestare ora un’attenzione meno rituale a un
personaggio che si presentava ancora evidentemente “ingabbiato” in modelli interpretativi
funzionali a un progetto politico ben definito.
Nell’attuale tendenza, che ha prodotto alcuni
studi interessanti, stanno purtroppo confluendo anche studi nei quali la vicenda di Gramsci continua a presentarsi con le sembianze di
un vaso rotto, i cui pezzi più importanti siano
andati inspiegabilmente persi. Perciò per dare
un senso alla vicenda ed evidenziare la pratica
togliattiana dell’omissione, ancora ampiamente praticata da storici provenienti da quella
tradizione storiografica, ho dovuto pazientemente “incollare” di nuovo i pezzi, cioè leggere
i documenti inediti o già noti alla luce di una
cronologia “ritrovata”».
L’
left 21 dicembre 2013
Canali, dal suo volume emerge l’immagine
di un Togliatti terribile da un punto di vista
umano e senza scrupoli dal punto di vista
politico. Com’è stata possibile tanta cecità?
Già Giorgio Bocca lo aveva detto: Togliatti è
stato uno stalinista convinto. Non è vero che
avesse accettato lo stalinismo obtorto collo,
allo scopo, come si è voluto sempre far credere, di garantire la sopravvivenza del partito
e la sua prospettiva storica. Egli fu staliniano
schierato fin dal ’26, quando Stalin non aveva
ancora il controllo del partito.
Nel libro lei retrodata la rottura fra Gramsci e Togliatti al ’23-24. Perché non nel ’26
come sono soliti fare altri storici?
Quando, alla fine del ’23, Gramsci costruì la
Uno studio serio dei contrasti fra i due, nel ’23
e ’24, farebbe capire cosa accadde veramente
frazione di centro, con cui intendeva prendere le distanze sia dalla destra di Tasca che dal
“sinistrismo” di Bordiga, Togliatti si espresse
contro di lui e a favore della linea di Bordiga.
Gramsci scrisse allora profeticamente: «Togliatti come al solito è affascinato dalle personalità vigorose». Uno studio serio dei contrasti
tra Gramsci e Togliatti del ’23-24 permetterebbe di superare l’utile, ma pur sempre agiografica, storia del Pci di Spriano.
Gramsci nel ’24, quando fonda l’Unità,
vuole creare una posizione alternativa a
quella di Togliatti?
L’idea di fondare l’Unità, un giornale che
orientasse il partito secondo una linea di centro e democratica, fu di Gramsci. l’Unità era
una risposta al “bordighismo”, e quindi anche
al Togliatti esitante di allora.
Che cosa significa per certa sinistra di-
Un’illustrazione
che ritrae
Antonio Gramsci
49
cultura
left.it
fendere ancora la continuità GramsciTogliatti?
Togliatti, quando nel ’41 lesse i Quaderni, che
contrastavano con la sua strategia, scrisse che
potevano servire solo “se manipolati qua e là”!
Gramsci aveva previsto tale pericolo: ormai
morente, aveva pregato sua cognata d’impedire che cadessero nelle mani di Togliatti. Se
oggi, sul terreno della politica, la difesa della
continuità Gramsci-Togliatti significa poco, se
non per intellettuali ex togliattiani interessati
a tutelare la propria biografia politica, può invece significare molto la riaffermazione della
discontinuità tra i due.
Leggendo il suo libro viene naturale
pensare a come sarebbe stata diversa la
storia del Pci e della sinistra in Italia se
Gramsci fosse riuscito a liberarsi dalla
prigionia o se, per lo meno, il tradimento
di Togliatti e di certi compagni alla sua
linea politica fosse emerso subito! Avremmo avuto una sinistra più democratica e
più laica e con minor compromissioni con
il cattolicesimo italiano?
Nei Quaderni, Gramsci esamina con grande
acutezza il ruolo conservatore delle strutture
che sostengono la società civile in Paesi a capitalismo maturo. In Occidente occorreva l’egemonia e non la dittatura. Questo Gramsci, op-
Negli archivi della polizia segreta
sovietica c’è molto da scoprire
portunamente rivisitato, è oggi utilizzabile per
una cultura del rinnovamento. Inoltre l’atteggiamento di Gramsci verso la questione religiosa
sarebbe stato di certo meno corrivo di quello di
Togliatti. Faccio fatica a credere, ad esempio,
che avrebbe accettato l’inserimento dei Patti
Lateranensi addirittura nella Costituzione!
Forse questo è uno dei motivi per cui si
è tentato di nascondere la discontinuità
Gramsci-Togliatti?
Il gruppo dirigente comunista esule che torna
da Mosca senza il sostegno delle grandi riflessioni sulle società occidentali di Gramsci non
sarebbe stato nulla. La continuità è un escamotage per garantire al partito prospettiva, ma anche e soprattutto l’impunità a Togliatti stesso.
Una posizione da lei esaminata è quella di
Vacca che presiede alla Fondazione Gramsci. Perché in certi ambienti ci si ostina a
celare la verità storica?
Vacca è stato un uomo di “parte”, più volte deputato del Pci. Appartiene alla generazione degli “intellettuali organici”, veri e propri “chierici” della linea del Pci. Il percorso del suo
ultimo lavoro su Gramsci si presenta, a mio avviso, alquanto contraddittorio perché non dà
50
21 dicembre 2013
left
cultura
left.it
Palmiro Togliatti. Nella pagina accanto Stalin
conto dei suoi precedenti e assai politicizzati
lavori. È vero che le autocritiche sono sempre
imbarazzanti, ma a volte necessarie.
Il lavoro degli storici può risultare utile
alla storia e alla politica italiana?
Gramsci fu in parte un’occasione mancata, poiché la sua “togliattizzazione” lo presentava ingiustamente organico a un’area culturale estesa
ma politicamente “ghettizzata”. Gramsci si era
posto problemi e temi molto vasti che riguardavano una reale via italiana al socialismo che
non significava fedeltà a Mosca. Senza dubbio la
ricerca storica deve contribuire più attivamente
al dibattito sul rinnovamento culturale e politico
del Paese. Questo significa anche e soprattutto
fare i conti con le verità storiche celate o rimosse. Chi ribadisce la continuità Gramsci-Togliatti
mostra di non essersi liberato di un retro-pensiero sciaguratamente assolutorio nei confronti dell’esperienza sovietica e la conseguente
“doppiezza” togliattiana. Del resto, a segnare
l’attualità dei due leader, sono i giovani che si
avvicinano alla politica, cercando istintivamente
Gramsci; mentre di Togliatti chi si ricorda più!
Si aprono strade nuove di ricerca?
Per gli storici del movimento comunista c’è
ancora molto da fare, soprattutto negli archivi dell’Nkvd (la polizia segreta sovietica) purtroppo ancora inaccessibili. Aspettiamo che se
ne vada Putin!
left 21 dicembre 2013
Lo storico
Mauro Canali
e la copertina
del suo nuovo
libro edito
da Marsilio, che
sarà presentato
il 16 gennaio alla
Feltrinelli, a Roma,
e il 24 a Latina
51
cultura
left.it
Dipingere con i colori
e con le parole
di Simona Maggiorelli
Dopo l’edizione critica delle lettere di Van Gogh in Olanda, Einaudi pubblica
l’epistolario nei Millenni. Che mette in luce aspetti poco noti della sua arte
è un libro che chi ama Van Gogh, negli anni, ha continuato a leggere e rileggere, è Lettere a Theo nell’edizione
Guanda. Per quanto si tratti di un’esigua selezione dall’epistolario (che ad oggi conta 819 lettere superstiti) è stato fin qui lo strumento principe in italiano per conoscere più da vicino la vita e
il pensiero di questo genio del colore che ha rivoluzionato la pittura dell’800, mandando definitivamente in soffitta la pittura intesa come mimesis, come calco dal vero, cronaca
dell’esistente.
del
Ora, a 4 anni dalla
pub
pubblicazione in Olanda dell’edizio critica delle lettere di Van
zione
Go
Gogh, un corposo volume nella collana Millenni Einaudi perm
mette, anche in Italia, di allargare lo sguardo affiancando alle
missive
m
al fratello Theo decine
d
di altre indirizzate a parenti e
aad amici pittori(Bonnard, Gauguin,
g
ecc). E se i rari messaggi
iinviati alla madre Anna hanno
un
u tono formale e distaccato,
lasciando percepire un abisso
di rabbia e di incomprensione
fra lui e la famiglia, spiccano
invece per freschezza quelle
indirizzate alla sorella Willemien, alla quale Vincent confidava progetti e aspirazioni, senza nascondersi e senza dover giustificare le proprie scelte che non si accordavano
alle mode e al gusto corrente, come invece avrebbe voluto il pragmatico Theo. Proprio scrivendo alla sorella mette insieme
per la prima volta esplicitamente «arte del
colore» e «arte delle parole», facendo così delle lettere un momento importante del
processo creativo. Lo rileva acutamente
Cynthia Saltzman nell’introduzione a questa nuova pubblicazione Einaudi dal tito-
C’
52
lo Vincent Van Gogh. Le lettere. Un aspetto reso
immediatamente tangibile dall’impaginazione
del volume, punteggiata da riproduzioni anastatiche di missive in cui lo scritto è accompagnato da
schizzi e disegni. «Nella mente di Van Gogh, così come nella pratica - nota Saltzman - la scrittura, il disegno e la pittura sono strettamente legati». «Dipingere è disegnare con i colori», scriveva Van Gogh, «e disegnare è dipingere in bianco
e nero». Il disegno è l’ossessione degli anni giovanili: anni di studio “matto e disperatissimo”, passati a cercare di impadronirsi delle differenti tecniche come base e alfabeto necessario per potersi poi esprimere liberamente, fuori dai rigidi canoni d’accademia. Leggendo in sequenza le lettere qui raccolte - che vanno dal 1872 all’anno del
suicidio del pittore nel 1890 - si ha l’impressione
di una forsennata corsa contro il tempo, come se
fosse consapevole di non averne molto . L’urgenza espressiva che lo muoveva traspare dal modo
deciso, vigoroso,apparentemente frettoloso di
dare le pennellate, dall’uso visionario, intensificato, del colore, ma anche dal modo in cui, nelle lettere, compone parole e immagini per far arrivare all’altro, più profondamente, ciò che ha in
mente. E traspare dalla calligrafia che muta a seconda delle circostanze, delle emozioni, degli interlocutori e via via si fa più istintiva e gestuale.
Ma c’è anche un altro aspetto che emerge con forza da questo epistolario: la coerenza e l’unitarietà dell’opera di Van Gogh che non consisteva di
singoli quadri, per quanto forti e originali, ma di
interi cicli intorno a un tema o a un motivo. Così accadde per i contadini, dai volti indefiniti per
rappresentare un universale umano, o dalle figure deformate, fin quasi alla caricatura negli anni
dei vagabondaggi in Belgio e Olanda. Così accadde per la serie delle barche e ad Arles per i girasoli. «Penso di decorare il mio atelier con una mezza dozzina di quadri di girasoli» scriveva a Emile
Bernard nel 1888. Un aspetto che la grande mostra Van Gogh at work aperta fino al 12 gennaio
al Museo Van Gogh ad Amsterdam evidenzia in
21 dicembre 2013
left
left.it
modo straordinario attraverso un percorso di 200 tele (vedi left n.16, 27 aprile) fra
le quali, appunto, due versioni dei girasoli esposte insieme alla Berceuse (1889) secondo la sequenza immaginata dall’artista.
Diseguali, poliglotte, piene di riferimenti
agli amati Shakespeare, Dickens e Hugo, le
lettere dimostrano quanto Van Gogh fosse
curioso e attento alle novità artistiche che
emergevano nel suo tempo, ma anche quanto fosse determinato a portare avanti una propria
originale ricerca sul valore espressivo del colore
(«il pittore del futuro è un colorista come non ce
ne sono ancora stati», scriveva) e un’idea di pittura intesa come ricerca del vero, non in senso naturalistico descrittivo, ma come capacità di cogliere e rappresentare in ogni circostanza una
verità umana. Perciò Van Gogh amava i ritratti.
Prendendo le mosse da Rembrandt cerca «il ritratto che abbia il pensiero, che abbia l’anima del
modello». Cerca «la rappresentazione dell’umanità». «Vorrei fare ritratti che tra un secolo alla
gente di quel tempo, sembreranno apparizioni.
Quindi non cerco di rappresentarci attraverso la
somiglianza fotografica, ma attraverso le nostre
espressioni appassionate» scriveva a Willemien
il 5 giugno 1890. E furono autoritratti e ritratti pieni di dolorosa, bruciante, verità, come quello del
dottor Gachet, dallo sguardo malinconico mentre la bocca fa una smorfia. Dopo l’internamento
nel 1890 a Saint Remy, è il medico a cui Van Gogh
aveva affidato le sue ultime speranze, mentre le
crisi psichiche si facevano più violente. «Il dottor
Gachet mi ha dato l’impressione di essere piuttosto eccentrico» scrive a Theo il 20 maggio del
1890. «Mi pare confuso e malato quanto te e me».
Come medico alienista Gachet ripeteva a Van Gogh di non preoccuparsi, che le sue crisi non erano nulla di grave. Il 29 luglio 1890 Van Gogh si sparò. In Chi ha ucciso Vincent van Gogh? (Skira) lo
storico Pierre Cabanne scrive che la freddezza e
l’impotenza terapeutica di Gachet contribuirono
a determinare quel tragico gesto.
left 21 dicembre 2013
cultura
La copertina
dell’edizione Einaudi
dell’epistolario di
Van Gogh e il ritratto
del dottor Gachet
(1890). Alcune lettere
dell’artista
e in alto alcune sue
opere di ispirazione
giapponese
53
trasformazione
Massimo Fagioli, psichiatra
Ho scritto, di nuovo, il dramma di un anno fa
per pensare alla parola trasformazione...
FU COME
se avessi fallito la vita
N
ovembre. È svanito per sempre ed io ripenso e
rivedo che altri esseri umani, simili a me stesso, ebbero oscurità dell’animo, confusione nelle parole che dovrebbero, nel loro mettersi l’una accanto
all’altra, dare un senso al suono della voce.
Guardai e venne la memoria dello stesso mese di un
anno fa quando, senza la febbre che è il segno della reazione dell’organismo al processo infettivo, accadde che
le gambe persero la forza dei muscoli e non riuscii più a
camminare da solo.
La memoria non mi dice se, senza rendermi conto,
avevo pensato alla realtà di un vecchio che ha bisogno
di un bastone. E, vedendo la verità, l’immagine che si poteva realizzare, nella mente senza coscienza, era quella di un uomo con le stampelle. Non bastava la spalla,
non bastavano le braccia forti di un organismo giovane.
Poi finì novembre e mi alzai dal letto dell’ospedale dove,
sdraiato, sembrava attendessi la morte. Poi, la forza tornò e ripresi a camminare allontanandomi sempre di più
dall’esito finale della vita.
Ricordo quanto accadde a partire da sedici mesi fa e,
pensando, viene la memoria di tre anni fa. E non vado più
oltre perché sono perplesso di fronte alla capacità della
mente di realizzare la memoria di dieci, trenta... settanta anni fa quando, ferito all’occhio sinistro, modificai la
mente che si lasciò andare a pensare la realtà del corpo
umano per comprendere la verità del “non corpo” ovvero
ciò che non era realtà materiale.
Tre anni. Ed, in verità, sono ormai tre anni e mezzo da
quando fu pubblicato dalla nuova casa editrice Istinto di
morte e conoscenza. Erano passati quasi quaranta anni da
quando l’avevo scritto ed avevo, camminando, percorso
molte strade diverse da quelle su cui avevo mosso le gambe nei primi trentanove anni di vita.
E così viene un pensiero nuovo, ovvero come se fosse
la scrittura che stampava una malattia mentale detta schizofrenia, dicevo nel primo capitolo; nel secondo che la nascita dell’essere umano non era distruzione dell’umano.
Riuscendo a comprendere, il senso della rivolta ad
una medicina che non era mai riuscita ad essere psichiatria, si vede il rifiuto dell’idea della malattia mentale come
malattia organica e dei tentativi falliti della Daseinsanalyse e psicoanalisi di comprendere qualcosa che non era direttamente percepibile.
Era stato impossibile, da sempre, comprendere la realtà non materiale del corpo umano. Con quel libro dissi che
avevo visto che la realtà non materiale del corpo umano origina dalla realtà biologica. E per la capacità di reagire quando giunge l’energia, il fotone sulla sostanza cerebrale che è
la rètina, dall’organismo umano emerge e va verso l’esterno la pulsione di annullamento che è fantasia di sparizione.
Il pensiero verbale era riuscito a formulare in parole il
paradosso della contraddizione: fa di ciò che è, il mondo
non umano, ciò che non è; di ciò che non è, ovvero la vita
della realtà fisica del feto, in ciò che è nella memoria-fantasia dell’esperienza avuta.
Così ho scritto, per l’ennesima volta ciò che, da tempo,
viene detta teoria della nascita umana. E già dissi che, negli ultimi mesi, rimasi perplesso di fronte ad un “non capisco” di fronte alla semplicità del pensiero che diceva realtà di una ovvietà evidente... “la vita non inizia per la pressione atmosferica sul torace del neonato e lo fa respirare...
è assenza di rapporto con la realtà materiale...”.
Ed è noto che, dal 2010 le ricerche biologiche confermano che la sostanza cerebrale della rètina, stimolata dalla luce inizia un movimento e determina il funzionamento
del cervello che, nel feto, non è attivo
Ma la voce di esseri umani simili a me stesso parla di
realtà incomprensibili ed io odo la voce che dice: non capisco, ma sento il suono che dice: non è. E mi chiedo se sia
una carenza di intelligenza.
Allontanare da sé l’acqua che fa scorrere il sangue, la farina
che dà la possibilità di continuare a sviluppare la vita, è strano. Penso alla capacità di reagire ed alla incapacità di comprendere come la sparizione della farina, quando si unisce
all’acqua, faccia comparire, con il calore del fuoco, il pane.
perché il corpo del neonato è creazione
54
21 dicembre 2013
left
left.it
E due piccole parole neonate che, respirando, fanno un
forte vento che abbatte vecchi alberi secchi, con un sussurro
che sembra un urlo, dicono: assenza di capacità di immaginare. E i due termini fantasia di sparizione che insieme fanno
una parola nuova, portano una precoce brezza di primavera
che, con un soffio di tristezza fa il pensiero. Respingono il linguaggio che è linfa vitale perché non hanno compreso la realtà diversa ed opposta. Il rifiuto è, in verità, negazione.
Non hanno mai cercato di comprendere il termine trasformazione che può essere pensato come scomparsa di
una realtà che era esistente e la comparsa simultanea di
una realtà che prima non c’era. Hanno creduto al termine
trasfigurazione.
E penso che ho dovuto rifiutare il termine che, raccontando favole, voleva affermare che un corpo, ormai morto e perduto, poteva tornare e rendersi visibile come immagine-spirito. Ovvero come realtà non materiale. E sono obbligato a
pensare che la mia mente ha sempre respinto essa credenza.
Poi, sono certo che per questo motivo, ho potuto pensare la verità mai vista della realtà non materiale dell’essre umano che emerge dall’organismo biologico per sparire
quando la sostanza cerebrale non è più attiva. È dall’organismo che nasce, l’organismo che, con la luce, diventa vivo.
E torna la parola trasformazione che dice che la realtà non materiale non compare dopo che il corpo non è più
vivo ma quando, dalla realtà biologica senza pensiero, diventa vita umana e la capacità di reagire dell’organismo diventa capacità di immaginare.
E penso che una mente... ha trovato il termine per dire di
una non esistenza, la trasfigurazione, e non ha mai voluto
che si comprendesse la parola trasformazione. Ed ora penso che il termine che diceva: esistenza che, prima, non era
mai esistita nascondeva in sé la parola creazione.
Non era ricreazione della vitalità e nascita che erano esistite e perdute per l’annullamento e la negazione di un altro essere umano basata sull’anaffettività. Era emergenza
spontanea di una forza, la pulsione, per uno stimolo esterno
che non è realtà biologica. È una realtà diversa ed estranea
all’essere umano.
Mi sembra di vedere che la parola trasformazione impallidisca di fronte al termine creazione. Come se creazione
avesse una capacità di immaginare più potente perché dice che ciò che c’era prima non è sparito ma è: come se il corpo non fosse mai esistito come la realtà mentale. Il neonato
è una realtà assolutamente nuova e dissi, non c’è un corpo
con il pensiero, ma il pensiero è corpo e non si possono pensare scissi l’uno dall’altro. Come se il pensiero, che non è realtà materiale fosse realtà biologica umana.
La mano stanca mi dice che non vorrebbe più scri-
L’unione dell’energia
con la sostanza cerebrale
non è soltanto comparsa
della realtà non materiale.
Per una energia
che giunge sulla rètina,
dall’esterno del corpo,
è trasformazione
che è creazione
di una realtà biologica
che, prima, non esisteva
vere le lettere dell’alfabeto italiano. Subito so che vorrebbe fare quei segni incomprensibili che parlano a
nessuno. Linee fatte a caso, in assenza di coscienza vigile, sembra che camminino lentamente una dietro
all’altra… colore.
Al loro silenzio voglio mettere un suono che canti la
tristezza eterna d’immagine che non c’è mai stata. Fu
chiamato scarabocchio ignorando la figura di un occhio imprigionato nella gabbia segnata dalle linee che
non disegnano un volto.
Non so se ha una espressione perché la capacità di immaginare è fermata dal linguaggio che fa un concetto: la
realtà del dolore umano griderà sempre: non è vero. E la
mano si ferma perché, nella mente, ci sono le parole: la
dinamica per cui la realtà biologica crea un corpo nuovo
prima mai esistito, è uguale in tutti gli esseri umani.
Mi erano mancate le gambe. Sdraiato nel letto, era
iù spostato il corpo nello
certezza che non avrei mai più
ai. La forza era tornaspazio. Poi mi alzai, camminai.
ato. E le parole dista. E, dopo un anno, ho parlato.
sero che la ricreazione della vita era la memoria dell’esperienza vissutaa nel rapporto con la ragazzina di un anno più
grande di me.
é
Ma la mano si ferma perché
è comparso il profilo rosso
di donna. È silenzioso ma
io sento il suono e penso
che è creazione di una realtà fisica che non è mai esistita che è amore per l’esistenza
a
materiale dell’essere umano
diverso da me.
...il movimento senza luce non è creazione di una realtà che prima non c’era...
left 21 dicembre 2013
55
scienza
La democrazia
In contrasto con Croce e Gentile lo studioso livornese
Federigo Enriques si batté perché le discipline scientifiche
fossero centrali nella scuola e nella costruzione di un’Italia moderna
rano anni di grande speranza quelli che
vedevano, un secolo fa, l’Italia presentarsi tra le potenze europee. Si faceva
strada, tra contraddizioni e conflitti, la società
di massa e la lotta per la democrazia. Gli scienziati contavano nel Regno d’Italia, da Quintino
Sella a Vito Volterra. E i matematici costituivano una comunità di punta nel mondo politico;
la storia politica dei matematici italiani è ora
raccontata in modo esauriente e avvincente da
Umberto Bottazzini e Pietro Nastasi in La patria ci vuole eroi. Matematici e vita politica
nell’Italia del Risorgimento (Zanichelli).
Federigo Enriques è stato l’ultimo protagonista
della battaglia culturale, pedagogica e politica
dei matematici e degli scienziati italiani, prima
che la Grande Guerra portasse con sé, insieme alla distruzione e alla morte, il trionfo del
nazionalismo, del populismo e della “mistica
fascista”. Enriques combatte apertamente per
la democrazia e per la cultura, non solo scientifica. Il matematico livornese individua presto, nelle relazioni tenute nel 1906 e nel 1907
al primo e al secondo Congresso della Società
filosofica italiana, che contribuisce a fondare e
dirige fino al 1913 (la storia della Sfi è ancora
da fare), il ruolo della scienza per la costruzione di una società democratica e lo propone
nel momento in cui diviene centrale in Italia il
problema della costruzione di un ordinamento
didattico coerente con lo sviluppo della società
di massa. Egli sostiene la via di una concreta
unificazione del sapere su basi scientifiche, nella quale diventi importante il ruolo della storia
e della filosofia della scienza. Da matematico,
promuove una società di filosofia, che si distingue ancora per essere l’unica in Europa a riunire docenti universitari e liceali: la Sfi è giunta il
mese scorso al suo XXVIII congresso a Catania
e ha eletto a presidente lo storico della filosofia
ed epistemologo Francesco Coniglione.
E
56
Consapevole del ruolo civile della formazione
scolastica e universitaria, Enriques gioca la sua
battaglia per stabilire l’orientamento di fondo
della politica scolastica in Italia, in contrasto
con Benedetto Croce e Giovanni Gentile, un
contrasto che investe - come ha ricordato Michele Ciliberto (Scienza, filosofia e politica: Federigo Enriques e il neoidealismo italiano, in
Federigo Enriques. Approssimazione e verità,
a cura d O. Pompeo Faracovi, Belforte 1982) - il
terreno stesso dell’«egemonia», in senso gramsciano. Nel mutato ambiente post-bellico sul
progetto di Enriques prevarrà, nel 1923, la riforma scolastica promossa da Gentile.
Enriques rivendica con convinzione un ruolo
democratico per la nuova filosofia della scienza; scrive in una lettera del 9 febbraio 1908 a
Giovanni Vailati, altra figura di matematicofilosofo impegnato nel medesimo progetto:
«la battaglia contro le divisioni artificiali della
scienza, mostra che, in questo caso, “democrazia” non significa certo un concetto meno
alto della scienza».
Una funzione significativa nella direzione del
nesso scienza-democrazia svolge la rivista
Scientia, stampata a Bologna nel 1907 da Nicola Zanichelli sotto la direzione di Enriques
e di Eugenio Rignano, ingegnere milanese. La
rivista diffonde in Italia la più recente cultura scientifica internazionale ed è riconosciuta
nei centri europei di filosofia della scienza. Vi
collaborano i matematici Vito Volterra, Giuseppe Peano, Guido Castelnuovo, Giovanni
Vailati, Henri Poincaré, i fisici Enrico Fermi,
Werner Heisenberg, Albert Einstein, i filosofi
della scienza Bertrand Russell, Rudolf Carnap, Moritz Schlick.
Enriques integra la sua visione di una scienza come elemento propulsivo della nascente democrazia con un’articolata riflessione
sulla democrazia in Scienza e razionali-
21 dicembre 2013
left
matematica
di Gaspare Polizzi
smo (1912). La democrazia rappresenta per
il matematico livornese il punto di arrivo
dell’evoluzione istituzionale e va preferita per
il suo equilibrio tra «aspirazione egualitaria»
e «ambizione dei cittadini». Le forme della
rappresentanza devono rispondere alla prima esigenza democratica: «Creare gli organi
capaci di formare e di esprimere la volontà
generale». In una prospettiva democratica
parlamentare è centrale la funzione dei partiti, «organi formativi della coscienza politica».
Nei partiti Enriques ritrova la «funzione più
alta del governo democratico», temperata da
due «forze moderatrici che tendono ad impedire gli abusi del governo di partito»: la presenza di «un gruppo abbastanza numeroso di
neutri che viene a decidere della vittoria»; la
«possibilità pratica di governare» conciliando
interessi di parte ed «esigenze del pubblico».
«Il retto funzionamento delle democrazie
parlamentari» si basa sulla selezione dei più
idonei, confermata dal consenso dei “neutri”
e dalla pratica di governo. Il cattivo funzionamento della democrazia è invece dovuto
al prevalere degli interessi di parte e alla riduzione dei partiti a strumenti di clientele e
di ambizioni personali. Qualcuno oggi può
smentire quest’analisi? In definitiva, Enriques propone «un governo democratico più o
meno temperato», lanciando una scommessa
sul futuro morale civile dell’Italia: «la democrazia più larga e più libera non crea ma suppone nel popolo la coscienza e l’aspirazione
al progresso nazionale».
La concezione politica di Enriques espresse
un secolo fa un’armonia nascosta tra filosofia,
scienza e democrazia, a garanzia dello sviluppo culturale e civile dell’Italia. Una scommessa
da rilanciare anche oggi, nella speranza - non
saprei quanto fondata - che in Italia la politica
e la cultura possano rigenerarsi.
left 21 dicembre 2013
Nel mutato ambiente post bellico,
sul progetto di Enriques prevarrà, nel 1923,
la riforma scolastica d’impronta conservatrice
Un ritratto
di Benedetto Croce
(1866 -1952). In alto,
Federigo Enriques
(1871 - 1946)
57
puntocritico
cultura
ARTE di Simona Maggiorelli
L’arte di
progettare
C
on la sua forma ottagonale e le
pareti in elegante marmo bianco e verde, il Battistero di San Giovanni è il vero cuore di Firenze e una straordinaria summa dell’arte fiorentina
antica. Con i suoi marmi, i bronzi, i mosaici a cui lavorò Cimabue racconta di
un edificio che, come un organismo vivente, è cambiato nel tempo, passando attraverso molteplici fasi costruttive, arricchendosi progressivamente
di immagini e di elementi preziosi come la Porta est realizzata nel 1330 da
Andrea Pisano e la Porta del Paradiso,
storico incunabolo del Rinascimento,
una porta creata da Lorenzo Ghiberti
nell’arco di 27 anni, dopo aver sconfitto il rivale Brunelleschi nella celebre
gara del 1401 indetta dalla potente Arte dei Calimala. Del recente intervento
di restauro diretto da Annamaria Giusti su questo capolavoro (composto di
58 rilievi fusi a uno a uno) abbiamo già
avuto modo di scrivere su queste pagine, ma ora una nuova pubblicazione ci
offre l’occasione per tornare a parlare
del lavoro della direttrice dell’Opificio
delle pietre dure: nella collana “Mirabilia Italiae”, l’editore Franco Cosimo
Panini pubblica una sua monografia
dedicata al Battistero di San Giovanni,
un volume iconograficamente ricco e
di alto profilo scientifico; una strenna
che ripropone in versione divulgativa e
left.it
a prezzi contenuti la monumentale
opera sul Battistero di San Giovanni uscita qualche anno fa e destinata soprattutto a un pubblico di studiosi. Ancora rimanendo nell’ambito dell’architettura, ma avvicinandoci a noi nel tempo, segnaliamo l’uscita del secondo e del terzo
volume dell’Architettura del Novecento. Opere, progetti, luoghi nella
collana “grandi opere” Einaudi. Curati da Marco Biraghi e Alberto Ferlenga i due tomi non pretendono di
storicizzare secondo un unico punto di vista l’arte di progettare e di costruire nel secolo scorso. Piuttosto
si tratta di volumi polifonici costruiti prendendo in esame 288 esempi fra i più innovativi del XX secolo,
analizzati criticamente dai maggiori esperti internazionali di quei progetti che qui sono chiamati a raccontare. Certo la selezione degli inclusi e degli esclusi potrà non contentare tutti, ma l’approfondimento che connota le singole schede è
altissimo. Infine concludiamo questo nostro breve viaggio fra le strenne con la segnalazione dell’uscita
della monografia di Daniele Pisani sull’opera dell’architetto Paolo
Mendes da Rocha edita da Electa.
Con fotografie di Leonardo Finotti questo libro ripercorre la carriera
di Mendes da Rocha leggendola sullo sfondo della grande scommessa
che il Brasile fece negli anni 50, per
il miglioramento di megalopoli come San Paolo. Uno sforzo che il governo aveva avviato fin dall’approvazione della Costituzione ma che
conobbe uno dei suoi momenti più
alti nel 1959 quando le migliori menti dell’architettura e dell’urbanistica furono chiamate a collaborare
per realizzare grandi opere pubbliche. In questo ambito si iscrivono
molti progetti di Mendes da Rocha
raccontati in questo libro con la prefazione di Francesco Dal Co, che
documenta anche l’affascinante lavoro di questo architetto brasiliano nell’ambito della progettazione
di case private, ma “aperte” all’ambiente in cui sono inserite.
Il Battistero di San Giovanni, a Firenze
58
CINEMA di Morando Morandini
I due film
dell’anno
S
till life (Gran Bretagna, 2013),
scritto, prodotto e diretto da
Uberto Pasolini Dall’Onda con Eddie
Marsan, Joanne Froggatt, Karen Drury, Andrew Buchan e Ciaran McIntyre, è il film più emozionante dell’anno. Comincia e finisce in un cimitero della south east London. Ha un finale poetico almeno in due sensi e in
Eddie Marsan, ha un protagonista assoluto di incredibile bravura. È il secondo lungometraggio di Uberto Pasolini Dall’Onda, pronipote di Luchino Visconti, dopo Machan - la vera storia di una falsa squadra del
2008. È stato anche produttore indipendente di Full monty del 1997 che,
costato 3,5 milioni di dollari, divenne il film britannico più redditizio
del 2000, incassando in tutto il mondo 500 milioni di dollari (secondo altre fonti solo 250 milioni di dollari).
È la storia di John May, funzionario
comunale, che cerca di rintracciare i
parenti più prossimi dei morti in solitudine, prima della definitiva sepoltura. Per loro sceglie la musica più
adatta e scrive discorsi celebrativi
che quasi nessuno, a parte lui, ascolterà mai. Il che permette di indicarne l’originalità tematica. Un film così
non era mai stato fatto. A modo suo
(dura soltanto 87 minuti) è un film
perfetto. Fotografia: Stefano Falivena; musica: Rachel Portman; scene:
Lisa Marie Hall; costumi: Pam Downe; distribuzione in Italia Bim. Still
life (natura morta in pittura).
21 dicembre 2013
left
cultura
left.it
LIBRI di Filippo La Porta
Hirst e l’arte della truffa
V
Una scena di Still life e una di Molière in bicicletta
Molière in bicicletta (Alceste à la
bicyclette) Fr. 2013 di Philippe Le
Guay con Fabrice Luchini, Lambert
Wilson, Maya Sansa, Camille Japy,
Laurie Bordesoules, Agnèse Mercier, Ged Marlon.
Serge Tanneur (Luchini), attore rinomato, si è ritirato all’ile de ré dove vive come un eremita. Va a trovarlo Gauthier Valente (Wilson) amico
e collega di grande successo televisivo che gli propone di recitare insieme a teatro Il misantropo (16661667) di Molière (1622 – 1673) alternandosi nelle parti del protagonista
Alceste e in quella di Philinte. Serge
è scettico pur conoscendo a memoria l’intero testo e gli fa una controproposta: perché non si ferma qualche giorno per fare insieme delle
prove di questo esperimento?
La presenza inaspettata di Francesca (Maya Sansa) un’italiana che vive nell’isola seduce Serge e sconvolgerà gli equilibri. Le Guay fa di
Serge un pragmatico e di Gauthier
un falso indulgente che non si fa illusioni sulla mediocre qualità del
suo lavoro in tv, ma proprio perciò
vuole interpretare Alceste: ha qualcosa dentro che vuole difendere. In
questo film sugli attori Le Guay ha
introdotto la porno star Zoe (L. Bordesoules) perché incarna il grado
zero del mestiere.
Ma quando i due maschi le chiedono di recitare versi del testo la sua
franchezza produce un’emozione
inattesa. Poiché i due si divertono a
parodiare i modi di declamare i versi alessandrini è evidente che il film
parla anche della lotta per il potere. Un tema serio espresso in modi leggeri.
left 21 dicembre 2013
orrei approfittare, un po’ abusivamente, di un romanzo per dire la mia sull’arte contemporanea.
Si tratta di Questa è arte! di Giovanna Corrias Lucente
(Aracne), nasce da un precedente racconto - profeticodel 1883, se pensiamo che lo squalo in formaldeide di Damien Hirst è del 1991. Vi si narra infatti di un giovane artista molto ambizioso, semi - fallito e paranoide, che trafuga salme nei cimiteri per esporle in galleria. Un commissario un po’ da sceneggiato televisivo è sulle sue tracce, ma quando
alla fine riuscirà quasi ad acciuffarlo l’artista si sottrae all’arresto suicidandosi e calandosi in una vasca di plexiglas, pronto anche lui per essere esposto. Il romanzo, un po’ convenzionale nella caratterizzazione dei
personaggi, ha il pregio soffermarsi criticamente sul sistema dell’arte,
sul variopinto sottobosco che ruota oggi intorno all’arte (mercanti avidi,
furbi critici-curatori, collezionisti miliardari e ignoranti, pubblico fatuo
dei vernissage), prendendo però sul serio la questione centrale dell’arte contemporanea (o almeno di un suo filone consistente): rinuncia consapevole alla bellezza, contaminazione anche “rischiosa” con la fisicità,
estetica dell’orrore. Il tema è delicato. Da una parte l’arte contemporanea viene giudicata da critici autorevoli una truffa organizzata per il business (quello squalo è valutato 25 milioni di dollari!), e dall’altra però questa critica può essere fatta sia in modo argomentato (vedi Clair o
Fumaroli) come insofferenza verso tutto ciò che non si capisce (anche
gli impressionisti erano rifiutati perché incomprensibili). Da qualche decennio l’arte si misura con la pubblicità, i videogiochi, l’industria della
moda e del look, e poi ha ridefinito il proprio stesso statuto. Occorre saper distinguere tra semplice trovata e ricerca rigorosa. Ma soprattutto: il
romanzo ci porta a una conclusione. Oggi un artista è più radicale del suo
omologo scrittore: mette in gioco se stesso, il proprio corpo, perfino la
propria vita, si espone alla vertigine e all’eccesso della creazione, ha una
dedizione quasi fanatica al proprio ideale.
SCAFFALE
IL BONOBO
E L’ATEO
di Frans de Waal,
Raffaello Cortina,
334 pagine,
28 euro
«Non accetto il dogmatismo dei credenti che negano la
teoria dell’evoluzione», ha detto de Waal in una recente
intervista. Un’interessante proposta di umanesimo non religioso è alla base di questo suo fortunato libro. Da biologo
de Waal dissente anche da certo determinismo organicista
che vorrebbe noi fossimo del tutto determinati dai geni.
NON È COSA
VOSTRA
di AA.VV.,
Encyclomedia,
96 pagine,
9,90 euro
«Combattere il consumo di suolo e combattere la corruzione è la stessa cosa», scrive Salvatore Settis in questo pamphlet a più mani. «Dobbiamo farlo in base alla Costituzione,
sapiente mosaico in cui ogni tessera è legata alle altre».
Come spiegano qui con passione anche Rodotà, Landini;
Bonsanti, Zagrebelsky, Pace e altri studiosi di alto profilo.
LUZ, SOLO
PER AMORE
di Massimo Carlotto
e Marco Videtta,
Einaudi, 173 pagine,
15 euro
Scrittura fresca, narrazione coinvolgente, l’ultimo volume
del ciclo delle Vendicatrici è un insolito romanzo d’amore. La tostissima Luz incontra un uomo misterioso in
questo libro che si conclude con un memorabile: «Sarò
pure scema, nun ci avrò capito niente, ma la vita senza
uomini rischia di essere ’na gran rottura de palle...».
59
bazar
cultura
left.it
TENDENZE di Sara Fanelli
Il ritorno di Littizzetto
Meno pizzi
più fascino
L’
T
FICTION di Alessandra Grimaldi
universo fiction è, ormai, ricco di sequel, novità e interpreti che danno lustro e successo a un
genere televisivo seguito da un pubblico attento e affezionato. Densi i
palinsesti di Rai e Mediaset pronti a
sfoderare, per il 2014, le loro ultime
opere di finzione. Molto spesso anche la tv riesce a trattare, degnamente, vicende nazionali o profili di personaggi storici e letterari, ma anche
realtà sociali come la scuola o più intime come la famiglia: ambienti comuni e ricchi di rapporti umani non
sempre adeguatamente narrati. Tra le
produzioni più interessanti, a febbraio per Rai Uno vedremo in prima serata Fuoriclasse 2, le avventure umane e professionali di Isa Passamaglia: prof di Lettere e Latino di un liceo scientifico torinese, interpretato
dalla popolare Luciana Littizzetto. La
serie porta la firma di Domenico Starnone, scrittore e sceneggiatore, per
la regia di Riccardo Donna. La simpatica insegnante, abbandonata dal
marito, l’attore Neri Marcorè, si destreggia tra il figlio adolescente, qualche collega maligno, Roberto Citran
in primis, un preside bizzarro, Giulio
Scarpati, e impreviste vicende sentimentali. Tante le novità dell’attesissimo seguito, tra tutte una gravidanza
per la protagonista Isa/Luciana. Se la
rete privata per antonomasia, Canale
5, si difenderà con sceneggiati aristocratici (I segreti di Borgo Larici), dai
contenuti peccato&vergogna o polizieschi, la Rai sfoggerà, in primavera, un evento pretenzioso: Il ritorno
di Ulisse. Nei panni dell’eroe di Itaca,
il bravo Alessio Boni affiancato dalla
Penelope/Caterina Murino. Un tema
epico con la rievocazione dell’Odissea, una coproduzione Italia, Francia
e Portogallo per la regia di Stéphane
Giusti. Prodotto desueto, ma gradito,
che spicca tra i vari donmattei e i medici in famiglia, presenti all’appello
anche quest’anno, posti in programmazione dopo una fiction diretta da
Pupi Avati. Cinquanta anni di storia
italiana, dal 1945 al 2005, come sfondo della vita di una coppia medio borghese. Un cast nutrito dal titolo sibillino: Un matrimonio. Al di là delle attese e delle competizioni, a decretare il successo sarà il temutissimo auditel con la speranza che in futuro sia
indice di qualità.
utti i blog di moda si stanno interrogando su quali saranno i
look di queste feste. Per quest’anno
il rosso lasciatelo a Jessica Rabbit.
L’importante è sapere che bisogna
indossare un outift sempre adatto a luogo e circostanza. Non eccedete con pailettes o lustrini, con argenti e fluorescenze, per chiacchiere tra amici o le partite a carte in casa. Abbandonate pizzi rossi e combattete il freddo con comodi maxi-pull, indossati come minidress
sopra i leggins. Per un appuntamento più elegante, Lbd, il classico tubino non perde mai il suo fascino. O la camicia bianca su pantaloni di velluto taglio Armani. Il
cachemire da amare per cinema e
regali di Natale.
Alcuni capi della
collezione Armani
[email protected]
DIGITALE
Terza Pagina e storia
Un’immagine di Fuoriclasse 2
60
Sul canale della Feltrinelli, laeffe Natale
dell’Arte costruito attraverso i capolavori di
Van Eyck, di Bruegel il Vecchio, di Gauguin,
di Botticelli di Filippo Lippi e molti altri. Su Rai
storia (canale di Rai educational) invece, il
27 dicembre Italo Balbo, le ali del fascismo
con lo storico Mauro Canali. E, soprattutto,
da non perdere su Rai scuola ogni sabato alle 9 e in replica ogni due ore , il programma
di informazione culturale Terza pagina condotto da Paolo Fallai con Maria Agostinelli.
ROMA
Anni Settanta
Anselmo, Boetti (sua l’opera in foto), Agnetti, Accardi, Consagra e molti altri. Quasi 200 opere, di
100 autori italiani e internazionali, per raccontare l’arte di un decennio a Roma, allora realtà vitale per l’intreccio di linguaggi differenti e sperimentazioni, accogliente bacino di culture visive
diverse. Al Palaexpo fino al 2 marzo 2014.
21 dicembre 2013
left
cultura
left.it
JUNIOR di Martina Fotia
di Bebo Storti
Esplosivi PaGaGnini
P
In fondo.
aGaGnini: dopo il travolgente successo del
loro battesimo italiano assoluto, due anni fa, il Piccolo Teatro Strehler di Milano
si prepara ad accogliere di
nuovo dal 27 al 30 dicembre
il virtuoso quartetto d’archi.
Diretti da Ara Malikian, enfant prodige della musica
classica e violinista di fama
mondiale - nato nel 1968, libanese di famiglia armena,
uno dei più brillanti artisti
della sua generazione - arrivano gli irriverenti musicisti
di una compagnia tutta speciale. Tre impettiti violinisti e un violoncellista: severo quartetto d’archi all’apparenza, insospettabili showman non appena si spengono le luci di sala, i musicisti
interpretano da virtuosi le
arie più famose di Mozart,
Vivaldi, Pachelbel, de Falla e, naturalmente, Paganini, la cui tormentata figura è al cuore della pièce. Ma
con esilaranti variazioni sul
tema: i violinisti sobbalzano a tempo, il direttore si incammina sul palcoscenico
per un’“esecuzione itinerante”, il violoncellista impugna le nacchere e improvvisa un flamenco. Né mancano curiose incursioni nella
musica rock e pop, da Gainsbourg agli U2.Cominciano
a suonare, da grandi professionisti quali sono. Ma qualcosa s’intoppa... e così prende il via una parodia esilarante dei riti, dei tic, degli
stereotipi, delle gerarchie
(c’è sempre qualcuno che
pretende di essere il Capo)
della musica “classiclassi
ca”. Fino
no a quando
uno di loro
oro
si innamomora di una
ragazza
del pub-blico,
chiamata
ta
sul palco
oa
interpretare
etare
un pezzo
o di musi-
ca contemporanea. E diventa impossibile riportare l’ordine in sala...
Le gag, la fisicità e lo humour esplosivi, tipici del
linguaggio teatrale della
compagnia spagnola, hanno già fatto ridere le platee del mondo intero. Puro
teatro e puro divertimento. Altamente contagioso
per grandi e piccini. I musicofili li amano perché sono impeccabili esecutori. I bambini impazziscono perché sono meglio dei
clown. La critica di tutto il
mondo ha gridato al miracolo: uno sp
spettacocolto e inlo col
telligente,
tellig
ma anche
divertentisdivert
simo, ideale
per chi
c vuoi
le iniziare
in
più giovani
all’ascolto
all’as
della musica
classica.
classica
SESTRIERE
ROMA
ROMA
Libri e musica
Libero tango
Musica, letteratura, spettacolo,
storia, benessere, enogastronomia: a Sestriere torna Casa Olimpia
con gli appuntamenti a ingresso
gratuito. Dal 26 dicembre al 6 gennaio con Giuseppe Culicchia, Il “citofonista” tv Andrea Rivera, la cantante Awa Ly (in foto) e molti altri.
Il Museo storico della Liberazione
di via Tasso ha bisogno di fondi per
scongiurare la chiusura. Per questo, la rete delle Milonghe popolari
organizza una maratona a sostegno
del museo al Csa Intifada il 21 e il
22 dicembre dalle 18 alle 6. Quando anche ballare è antifascista.
left 21 dicembre 2013
Metropoliz
Al MAAM Museo di Arte dell’Altrove di Metropoliz città Meticcia, la
mostra evento Extra-Ordinary day
con molti artisti, fra i quali Stefano
D’Amadio (sua la foto), che espongono per la serata aggiungendosi
ai già presenti nel Museo.
Tesoro andiamo in Sudafrica!
Davvero?
Sì davvero davvero!
Ma ci posso venire anch’io?
Ma certo! Tutti portano tutti! E io
chi sono? Il più pirla?
Amore tu sei un uomo un po’ pirla... ma va bene. Se dici che non
corri il rischio di sputtanarti e che
salti fuori uno scandalo, va bene.
Ho pensato a tutto. Viaggio, due
giorni in un resort della madonna, tu che fai shopping e compri
quelle cagate africane per arredare la casa.
Bello, mi piace! Senza spendere un euro!
Certo che non poteva morire in
un momento... come dire... migliore... lì è estate!
Eh sì. Povero coso... come si
chiama?
Mandela.
Mandela, bravo!
----------------------Cara! Vedessi le foto! Te le ho
mandate su Wazzappo!
Si dice Whatsapp. Belle però.
Dietro c’è quel cielo azzurro e tutta quella gente!
Vedessi quando ho fatto il mio intervento.
Ho visto qualcosa nelle news.
Sembravi un po’ teso.
Non sapevo cosa voleva dire Madiba! Sai che figura di merda!
È un titolo onorifico della sua etnia, la Bantu.
Sei sempre informata tu!
Quando torni?
È troppo bello qui.
Vabbé non tenere l’aereo di Stato
fermo dei giorni che mi serve. A
Miami c’è la sfilata di Armani.
Va bene amore.
----------------------Semo sicuri che l’onorevole ce
porta?
Ce porta ce porta!
Che me porto roba da bagno?
Ma che cazzo, è un funerale!
De chi?
Ma che cazzo ne so io. Coso.
Mandingo! Ecco!
(poi li beccarono tutti)
61
ti riconosco
di Francesca Merloni
La trasparenza
Non cercatemi sotto una forma,
ne posseggo mille e mai una fissa:
ecco perché mi si vede senza conoscermi,
senza potermi afferrare né definire:
mi si perde di vista vedendomi,
mi si sente e non mi si distingue..
Non mi troverete mai diversamente
così non sarete mai stanchi di vedermi.
E
cco il nucleo dell’opera, il respiro ultimo. Inconoscibile, indefinibile e infinitamente percorso. Talvolta perfettamente reso in una forma, sia essa parola, colore, sinfonia o paesaggio. Qualcosa che si avvicina e in qualche modo racchiude, traduce e riproduce quella parte di inconoscibile che riusciamo a vedere solo non guardandola, non di
fronte, non per un tempo definito e superiore ad un frammento. La sentiamo, però. Indubitabilmente la riconosciamo
in quella forma o in quell’agito. La sentiamo, ma per poco. Essa è già più in là. Inafferrabile. È andata via pur restando
nelle forme. Ma qualcosa che si imprigiona fatalmente muore. Così la forma stabile che il pensiero prende non possiede del tutto la forza vitale dell’idea che la genera, il suo nucleo, semplicemente la riproduce, facendosi abitare per un
attimo. E quest’attimo profuma per sempre. È quel profumo che ci chiama, è
l’assenza di infinito in noi che trova compimento per un istante in una forma
stabile da un altro -o da sé- intuita e riprodotta. E con questa de-finizione di
qualcosa che prima non c’era, perfettamente combacia. Ecco l’incontro. Ecco il miracolo delle connessioni, il privilegio di riconoscere parte del proprio
infinito in una opera di qualunque ingegno incisa in qualunque tempo prima
di adesso. La voce dell’opera è eterna e chiama per sempre. È lì da sempre. È
sempre stata in questo non-luogo e ci ha visitati, ha lasciato tracce e segni in noi, altrimenti non la riconosceremmo.
Non possederemmo quel codice di accesso ad “interminati spazi” fuori e dentro di noi e la profondissima gioia del riconoscimento, anche fuggevole, e la quiete e la pienezza del “ritorno a casa” ci sarebbero ignote. Così la forma, dal
guado di questa consapevolezza eterea, ci appare come l’ulteriore velo da sollevare, come un segno da oltrepassare
mentre cerchiamo di avvicinare ciò che essa indica, la realtà che in modo diverso si esprime, lo stesso sogno che cambia volto, che cerca il suo volto ed è pronto a mille volte re-immaginarlo, lasciando indietro una compiutezza che, appena raggiunta, sa già di limite. È la disponibilità perfetta la vera forma? La trasparenza, forse.
La forma, come ulteriore
velo da sollevare, come
segno da oltrepassare
[email protected]
Guardatemi,
dice quel che in essi sale dal fondo del linguaggio,
dimenticate chi siete perché io sia,
fate di me quel che cerco di essere,
rinunciate al vostro sogno per il mio,
amatemi, datemi forma, volto
con le vostre mani d’ombra e luce. Il cielo della sera
è forse una rosa. Rosa che verrà
con i vostri lavori d’orticoltori nelle nubi,
rosa d’alberi, di fiumi, di sentieri,
di letti disfatti, di mani semplici che cercano
altre mani, alla cieca. Rosa delle parole
62
che uno dice all’altra, soltanto per
il fremito del palmo, delle dita.
Il cielo cambia. La rosa senza perché
siete voi, nei giardini del suo colore.
Guardate, ascoltate! La minima parola
ha nelle sue profondità una musica,
la voce è l’essere, che può fiorire
anche in ciò che non è.
Yves Bonnefoy, da L’ora presente, Mondadori, 2013.
In apertura Marivaux, frammento
da Le cabinet du philosophe
21 dicembre 2013
left