Cari Amici, nelle ultime settimane, dopo la

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Cari Amici, nelle ultime settimane, dopo la
Cari Amici,
nelle ultime settimane, dopo la beatificazione di Papa Woytila, si è tanto parlato della frase damose da fa’
che Giovanni Paolo II ebbe a dire in Vaticano, durante il tradizionale incontro di inizio Quaresima nel
febbraio del 2004. Abbiamo visto e ascoltato trasmissioni televisive e radiofoniche, letto articoli su giornali
e riviste, osservato bellissimi manifesti affissi sui lampioni e sugli autobus in città (alcuni tanto belli che ho
ricevuto più di una richiesta per averne uno tutto per sé da appendere in casa…).
Una frase buttata lì, che ha fatto il giro del mondo per il modo folkloristico con cui un papa polacco utilizzò
il dialetto romanesco che anche io, come credo la maggior parte delle persone che conosco, ho giudicato
con troppa superficialità, solo per la simpatia che ha portato con sé.
Dietro quella battuta, in realtà, c’era un messaggio più grande, semplice nella formula ma alto nel
contenuto: d’altronde la storia ci ha insegnato che dietro ogni frase di un grande uomo - e Carol Wojtyla è
stato un grandissimo statista, un politico senza pari – c’è sempre un monito, un avvertimento, spessissimo
un insegnamento.
Alcune notti fa mi sono svegliato e non ho più avuto il desiderio di riprendere sonno: il pensiero è andato a
questo Papa che si accinge a diventare santo e a quella sua frase, una frase semplice come dicevo, ma che
racchiude – in un una sola battuta – tutto un insieme di emozioni, quelle che proprio adesso ho cominciato
a provare.
In questi ultimi tempi ho la netta sensazione che tutto stia precipitando: la crisi economica distrugge le
famiglie, i matrimoni sono in netto calo e le separazioni in forte aumento; le difficoltà finanziarie
annientano le grandi aziende e le piccole botteghe artigiane, chiudono sia le prime che le seconde;
dovunque vedo saracinesche di negozi chiuse, ristoranti sempre mezzi vuoti e pasticcerie che non svuotano
le vetrine di pastarelle neanche la tradizionale domenica. Il mercato del lavoro è in una palude, chi lavora
fatica a mantenere la propria occupazione e chi non lavora sembra non avere spiragli. Le istituzioni, a
qualsiasi livello, sono oggetto di un attacco incondizionato, che ha l’unico effetto di minarne credibilità e
rispetto.
Di fronte a tali enormi sproporzioni, di fronte a tanta ingiustizia sociale, di fronte a questo crollo verticale
della nostra società, qual è il significato di quel damose da fa’? Come è possibile dasse da fa’?
E dietro quel semo romani con cui Papa Carol concludeva il suo appello, damose da fa’ semo romani, si
celava forse un messaggio ai nostri governanti, a quelli che ha conosciuto nel suo lunghissimo pontificato –
tanti - un messaggio che rispondeva in anticipo alle più becere polemiche dei giorni nostri?
Sono questi gli interrogativi cui facevo riferimento, quelli che affollano la mia mente in queste settimane a
partire da quella famosa notte.
Si parla troppo, sento un gran ciarlare, ma nessuno si ferma davanti ai numeri di questa ecatombe sociale,
al bollettino di guerra quotidiano dei licenziamenti, delle liste d’attesa senza fine per un esame clinico, di
ospedali che chiudono, anziani che rinunciano a curarsi e scuole senza materiale didattico.
Allora mi domando, anzi domando a tutti noi: non siamo forse di fronte ad un vecchio e logoro modo di
fare la politica? Non stiamo assistendo impassibili ad uno sterile tira e molla, un ridicolo ping pong di
battute e repliche che hanno solo il fine di riempire l’aria che ci circonda di boatos e di ovvietà?
Dove sono andati a finire gli sforzi, i sacrifici, l’umiltà di cui erano cariche le nostre coscienze, quelle dei
nostri padri delle nostre madri e dei nostri nonni, fino a qualche decennio fa?
Io non ce la faccio più ad assistere a questo spettacolo e voi?
Io non credo sia più ammissibile, oltre che moralmente corretto, chiedere il voto alla gente, che poi sono i
nostri fratelli sorelle e figli, senza aver risposto a queste domande, senza aver lavato e sciacquato la nostra
dignità e compreso che il mandato di rappresentanza politica che siamo chiamati ad onorare – già, perché
di questo si tratta – arriva dal basso, arriva da tutti noi.
Quel vecchio modo di fare politica, quello per cui sono importanti solo immunità e impunità di ogni ordine
e grado, è morto e defunto: servono idee e forze nuove, servono capacità e un nuovo sprint, serve dare vita
ad un nuovo corso che riparta dall’uomo e dalla donna, dalla famiglia e dal lavoro, da un progetto di società
che, con la mente al futuro, trovi forza nelle nostre radici comuni.
Ho bisogno di condividere con voi questo pensiero, ho bisogno del contributo di ognuno, servono le
riflessioni di tutti: forza, facciamo insieme questo sforzo e gettiamo le basi del nostro comune futuro.
Damose da fa’, facciamolo sul serio stavolta.
Gilberto Casciani