3 La legge del Signore studio completo sul Pentateuco

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3 La legge del Signore studio completo sul Pentateuco
STUDENTATO TEOLOGICO SAVERIANO
AFFILIATO ALLA
PONTIFICIA UNIVERSITÀ URBANIANA
IN ROMA
CORSO COMPLETO SULL’ANTICO TESTAMENTO
A CURA DI P. RENZO LARCHER
LA LEGGE DEL SIGNORE
STUDIO ESEGETICO DEL PENTATEUCO
PRESENTAZIONE
PREMESSA
"Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti ;
ma si compiace della Legge del Signore,
la sue legge medita giorno e notte.
Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai ;
riusciranno tutte le sue opere ... "
Sono le parole che aprono il libro della preghiera di Israele, l'inizio del primo salmo
che è un testo-programma. L'uomo giusto è delineato a partire da ciò che non fa e soprattutto
in base a ciò che ama : il suo centro di interesse (il testo ebraico parla di "hepes" termine che
indica simultaneamente un progetto di vita e un oggetto di compiacenza) è la Legge del
Signore.
Essa è punto continuo di riferimento : il giusto la pensa e la ama sempre. A questo
atteggiamento e comportamento il salmo collega la riuscita nella vita, l'abbondanza dei frutti,
la felicità. La "Torah" è per Israele la "istruzione" divina, è la Parola di Dio in quanto
rivelativa del pensiero del Signore e ispiratrice della condotta dell'uomo.
- Come termine tecnico la "Torah" designa i primi cinque libri della BH (TaNaK), "i libri di
Mosè", il Pentateuco nel vocabolario cristiano. Questo primo blocco delle Scritture Sacre
gode presso il Giudaismo biblico e postbiblico di preminenza autoritativa, poiché delinea in
forma sintetica le origini di Israele (Genesi), i contenuti essenziali della sua fede (la
Liberazione e l'Alleanza) nel libro dell'esodo, gli orientamenti fondamentali del vivere (le
"dieci parole" in Es 20 e Dt 5), come anche le istituzioni maggiori e il comportamento umano
all'interno di queste strutture (cf codici deuteronomista e sacerdotale).
In una prospettiva ecumenica di dialogo ebraico-cristiano è quindi essenziale la conoscenza
dell'ingente patrimonio di storia, di fede e di cultura sedimentato nella Torah di Israele.
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"Ora il termine della legge è Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede" (Rom
10,4). La Legge del Signore data a Israele è una base essenziale dell'adempimento cristiano ;
per comprendere il mistero di Cristo bisogna partire anche dalla Torah : "E cominciando da
Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" (Lc 24,27).
- Lo studio che ora si apre è un corso di esegesi del Pentateuco. Esso è stato preceduto da una
Introduzione Generale al Mondo della Bibbia, che ha fornito le coordinate per accostare oggi
la Scrittura nella chiesa e nella cultura ; è stato anche preparato da una accurata presentazione
della Storia di Israele, la quale ha permesso di cogliere l'intelaiatura del discorso biblico, di
toccare con mano il genere narrativo nei "Libri Storici dell'AT".
Si tratta ora di costruire su queste fondamenta l'edificio solido e armonico della conoscenza
della Parola ispirata, "affinché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera
buona" (2Tm 3,16). Di Francesco d'Assisi è stato detto che "abitava nelle Scritture", a tal
punto la Parola era diventata la sua "casa", il suo "habitat", l'aria che respirava, il pane che
mangiava ...
Qualcosa di simile desidera per sé chiunque nella chiesa si consacra alla missione, cioè
all'annuncio.
La esegesi dice studio analitico, minuzioso e sofferto del testo, implica uno scavare sotto le
parole per coglierne le risonanze umane e divine e così incontrare la Parola che salva.
Tale è il senso globale del corso : accostare il Libro della Legge di Israele per incontrare in
esso la LUCE di Dio, che poi brilla in pienezza sul volto di Cristo (cf 2Cor 4,6).
Il piano di lavoro
E veniamo alla articolazione del corso. Il nostro cammino prevede tre tappe, ciascuna
delle quali ha una sua propria specificità non solo materiale ma anche formale. Penso utile
abbozzarle per sapere dove andiamo a parare e cosa si vuole ottenere.
A) La prime tappa consiste nello studio della genesi e formazione del Pentateuco o - detto
diversamente - nella conoscenza del retrotesto o delle "fonti" dell'opera. Studio un tantino
noioso ma utile. Aiuta infatti a capire la sedimentazione progressiva del materiale biblico, la
crescita quantitativa e qualitativa della Parola, il valore e i limiti del metodo "storico-critico"
nello studio della Bibbia.
Infatti dal punto di vista del metodo, la "radiografia" del Pentateuco segnala una esigenza
scientifica che bisogna rispettare, se non si vogliono prendere abbagli nella interpretazione e
spiegazione di un testo antico (come capita attualmente al Prof. Anati nel suo tentativo di
identificare il Sinai con Har Karkom) .
Contemporaneamente questo primo momento dello studio ci permette di dare uno sguardo
alla storia moderna della esegesi biblica, alla "rivoluzione" che è intervenuta, ai pionieri e
agli esponenti più qualificati della scienza biblica in rapporto al Pentateuco.
Concretamente ci occuperemo della cosiddetta "questione mosaica" e della "ipotesi
documentaria" con le reazioni che ha determinato nell'ambito del Magistero e del sapere
biblico.
Poi passeremo in rassegna le 4 fonti principali del Pentateuco, per delinearne la fisionomia
letteraria e teologica.
Uno studio più abbondante sarà riservato alla "fonte deuteronomista" e al libro omonimo,
come anche al "Documento Sacerdotale" e allo studio del Levitico.
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Cercheremo infine di comprendere la redazione attuale del Pentateuco, la composizione
globale della Torah, trovando il suo motivo unificante nel "credo di Israele".
B) La seconda tappa viene riservata allo studio del Genesi, più precisamente del materiale di
Gn 12-50 = Tradizioni patriarcali.
Dopo alcune premesse di carattere storico e letterario poste dal primo libro della Bibbia,
accosteremo testi concreti all'interno dei vari cicli. Qui incomincia la esegesi vera e propria.
Metodologicamente questo secondo momento vuole essere un avvio, un timido apprendistato
(esemplificazione) di come si fa esegesi, delle tecniche da adoperare, dei passaggi da
rispettare per arrivare alla intelligenza storica di un testo.
C) La parte più cospicua, il vero corpo del corso è rappresentato dalla Teologia dell'Esodo.
Non sarà un semplice studio del libro che porta questo nome, ma una "teologia", cioè una
"lettura sintetica della esperienza biblica in questa chiave.
L'Esodo infatti è l'avvenimento fondamentale ed esemplare della salvezza, ha determinato
l'identità di Israele come popolo e come Popolo di Dio. Teologia dell'Esodo corrisponde a
Teologia della Salvezza. Anzi teologia dell'esodo equivale a "teologia della Liberazione".
Nozioni turgide quali appunto Liberazione, deserto, terra, pasqua, alleanza, mediazione
trovano alimento nella teologia dell'Esodo.
Anche qui si prevedono vantaggi dal punto di vista del metodo. E' un tentativo di
ermeneutica : "L'esegesi è rispetto al testo, l'ermeneutica è affetto al testo" (Alonso). E' una
proposta di "teologia biblica", obbedendo al discorso biblico senza proiettare su di esso i
nostri schemi di pensiero. Non una teologia per "concetti" (Hauptbe-griffe), "proposizionale",
cioè le "idee su ... ", ma una teologia "simbolica" in aderenza ai suggerimenti del testo stesso.
Linguaggio non solo della informazione, ma anche e soprattutto della comunione.
Datevi da fare
Le cose da dire sono tante, la materia è ingente e il tempo è tiranno, per cui bisognerà
effettuare delle scelte-rinunce. Le dispense scolastiche fanno molto, cercano di presentare un
discorso essenziale, armonico e lineare per quanto è possibile. Esse hanno il grave limite di
mantenere l'uditorio in uno stato di ricezione invece che di ricerca.
Le cose dette vengono giù così bene, che tutto appare scontato e non si ha la percezione esatta
dei problemi, la fatica della indagine e lo sforzo della sintesi.
Sotto questo aspetto una tale impostazione didattica matura di meno, è poco stimolante per
gli uditori, abitua poco a pensare e soffrire. E' bene avvertire lo studente perché si dia da fare
e corra ai ripari.
- I suggerimenti sono già stati offerti nel capitolo sulla "Lectio scholastica" all'interno del
corso "Verso la Bibbia. Introduzione Generale al mondo della Bibbia".
Qui val la pena di richiamare :
^ L'obbligo grave della lettura completa del testo biblico al di là dei brani presi come saggi di
esegesi ; per questo corso è richiesta la lettura di Gn, Es, Lv, Nm, Dt, Gs (= Esateuco), 211
capitoli !
^ L'opportunità di verificare le citazioni con il testo biblico alla mano, per cogliere l'esattezza
o meno del discorso.
^ La grande utilità di accostare un minimo di bibliografia per conoscere i migliori autori e
accorgersi della possibilità di impostare diversamente i temi trattati.
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^ L'impegno ermeneutico, come tentativo di attualizzazione del messaggio, di fondere la
storicità della Parola con la sua contemporaneità.
^ L'esercizio personale di studio su testi non inclusi nell'area scolastica obbliga a pensare e ad
applicare un metodo.
"Non rientra nell'impegno specificamente culturale, ma costituisce obbligo morale per
l'insegnante e per gli alunni il passaggio dallo studio alla preghiera sul testo e a partire da
esso, come anche la messa in pratica della verità biblica, il "factores Verbi" (Gc 1,22).
Lo studio della Scrittura accresce non solo la cultura religiosa, ma la fede se è fatto nelle
dovute disposizioni ; la "mira profunditas Scripturarum" (Agostino) dispensa verità e bellezza
e con ciò comunica gioia al cuore dell'uomo.
Ad esso è legata una beatitudine evangelica che aggiorna la dichiarazione di felicità del salmo
1 : "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono" (Lc 11,28).
Suggerimenti bibliografici riguardo alle fonti del Pentateuco
- H. CAZELLES, J. P. BOUHOT, Il Pentateuco, Paideia - Brescia 1968
- AA W, Introduction a la Bible, Tome 2, Desclée - Paris 1973 pp 99 - 139
- AA VV, Il messaggio della salvezza, voi 3, LDC 1977 pp 27-103
- J. SCHREINER, Parola e messaggio, EP 1973 (passim).
- J. BRIEKD, Una lettura del Pentateuco, Quaderni "Bibbia oggi" 8 - Gribaudi
- E. CORTESE, Da Mosè ad Esdra. I libri storici dell'Antico Israele, EDB 1985
Nb ! Puoi accostare utilmente le Introduzioni al Pentateuco e fare un confronto :
- BJ pp 21-33
- TOB primo volume pp 39-44
- MARIETTI 80 primo volume pp XLIII - LV
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PRIMA PARTE : LA FORMAZIONE DEL
PENTATEUCO
LA "QUESTIONE MOSAICA"
PREMESSA
Il problema della genesi del Pentateuco, della sua origine e formazione è diventato oggetto di
interesse e di dibattito soltanto in epoca moderna. La problematica che ne è scaturita va sotto
il nome di "questione mosaica" : infatti la messa in crisi della opinione tradizionale circa la
origine mosaica e la unità d'autore della Torah ha spinto i commentatori a percorrere sentieri
nuovi per ricostruire il processo formativo dell'opera.
Per capire le cose bisogna anzitutto descrivere il dato della tradizione, per mostrarne poi la
insostenibilità e la necessità di ricorrere, a spiegazioni diverse per interpretare i fenomeni.
IL DATO DELLA TRADIZIONE
Fino al 1500 dC circa la formazione del Pentateuco non ha fatto problema. I primi cinque
libri della Bibbia (il nome Pentateuco storicamente compare nel 160 dC. circa ; viene
introdotto da un certo TOLOMEO, un discepolo dello gnostico Valentino nella lettera a Flora
citata da Epifanie cf PG 41,560) erano ritenuti espressione ed opera di Mosè la grande guida
di Israele nel passaggio dall'Egitto a Canaan, il grande legislatore del mondo ebraico.
- Si trattava di un dato pacifico, acritico, ereditato dalla tradizione giudaica e cristiana a
partire dagli stessi testi biblici. All'interno della Bibbia troviamo una duplice serie di dati :
a) si può citare una lista di testi, in cui si afferma come Mosè è autore del Libro della Legge,
chiamata perciò Legge di Mosé oltrechè Legge del Signore
Nee 8,1: "Allora tutto il popolo si radunò ... e disse ad Esdra lo scriba di portare il libro della
Legge di Mosè che il Signore aveva dato ad Isr"
Sir 24, 22: "Tutto questo è il libro dell'Alleanza dell'Altissimo, la legge che ci ha imposto
Mosè, l'eredità delle assemblee di Giacobbe"
Mal 3,22: "Tenete a mente la legge del mio servo Mosè , al quale ordinai sull'Oreb statuti e
norme per tutto Israele"
La tradizione ebraica postbiblica (rabbinica) sarà concorde nel ripetere qs dato della
tradizione biblica : cf Strack-Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und
Midrasch, IV (1928) 439-443
Ma anche la tradizione cristiana va d'accordo su questo punto : per tutti gli autori del NT
Mosè è autore del Pentateuco. Basti pensare al binomio "Mosè e i profeti" cf Lc16,29
Mc 12,26 "Non avete letto nel libro di Mosè " segue la citazione di Es 3,6
Lc 24,44 "Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei
Profeti e nei Salmi"
Gv 1,45 "Colui del quale scrisse Mosè nella Legge e i profeti ... "
Rom 10,5 "Mosè infatti scrive…" seguono attestazioni di Lv e Dt
vedi anche Mt 5,17 e Lc 16,16 per la formula "legge e profeti"
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b) la Bibbia stessa informa, documenta di una attività letteraria di Mosè, il quale diventa
scrittore dietro esplicita richiesta ed impulso divino :
Es 17,14: "SCRIVI questo come memoriale nel libro" : ordine di Dio a Mosè, che così
decreta la condanna allo sterminio di Amalech
Es 24, 4: "Mosè scrisse tutte le parole del Signore ... " a proposito del documento di alleanza
Es 34,27: "SCRIVI per te tutte qs parole"
A partire da queste ed altre citazioni dei testi biblici, si è affermata a partire dal dopoesilio la
convinzione che Mosè non solo fosse stato guida del popolo dall'Egitto alla Terra promessa,
ma anche Legislatore di Israele e scrittore, autore della Thorah, il libro primario della
Rivelazione.
- Qs persuasione è andata in crisi all'inizio dell'epoca moderna, allorché si afferma un
atteggiamento nuovo nei confronti della Bibbia. L'aspetto sacro del testo non viene più
considerato un ostacolo ad una indagine rigorosa nei confronti del lato UMANO della
Scrittura.
Nasce la scienza biblica e muove i primi passi : essa rivendica il diritto di studiare la
Bibbia come documento storico, come "parola dell'uomo", come prodotto di una cultura.
Nasce la mentalità critica, l'esigenza di un sapere rigoroso e documentato ; si afferma
progressivamente e tra molti contrasti il diritto di applicare alla Bibbia metodi e strumenti in
uso per studiare le altre opere della antichità. Esigenza di scientificità, criticità,
documentazione.
- La "questione mosaica" diventa il cavallo di battaglia per l'affermarsi di una mentalità
"laica" nei confronti del testo biblico, non più considerato sacro e intoccabile. Il metodo
storico-critico applicato alla Bibbia mostra la insostenibilità della unità e paternità mosaica
del Pentateuco e questo non in modo aprioristico, ma partendo da una indagine condotta sul
complesso dell'opera.
GLI ARGOMENTI DI CRITICA INTERNA
Diverse serie di indizi oggettivi vanno contro una attribuzione del Pentateuco a Mosé e
depongono a sfavore di una unità profonda dell'opera. Proviamo ad elencarli :
a) PRESENZA DI DOPPIONI : si tratta di racconti paralleli, doppi, riportati due volte con
leggere varianti.
^ ad es un duplice racconto della creazione in Gn 1 e 2
^ narrazione doppia della alleanza di Dio con Abramo in Gn 15 e 17
^ due volte è riportato il decalogo in Es 20 e Dt 5
^ due volte il rinvio di Sara in Gn 16 e 21
^ quattro volte il calendario delle feste di Israele in Es 23 e 34 ; Lv 23 ; Dt 16
b) ROTTURE o TENSIONI nel racconto ; incominciamenti ex abrupto
^ Gn 34 = Simeone e Levi che vendicano l'onore di Dina loro sorella, frattura la storia di
Giacobbe
^ Gn 38 = il racconto delle avventure amorose di Giuda, interrompe la novella di Giuseppe
appena iniziata
^ Es 19,25: "Mosè scese verso il popolo e parlò" è seguito immediatamente da 20,1: "Dio
allora pronunziò queste parole"
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c) RAGGRUPPAMENTI ARTIFICIOSI : è una specificazione del precedente. Si notano
talora nel racconto delle interruzioni volontarie, per inserire blocchi eterogenei, per lo più
sezioni legislative, caso classico le due sezioni di Es 25-31 e 35-40.
Carattere artificioso dei discorsi di Mosè nel Dtr.
d) DISCORDANZE - CONTRADDIZIONI nel racconto :
^ In Gn 6,19 si dice che nell'Arca del diluvio furono introdotti "due animali di ciascuna
specie", poco dopo in Gn 7,2 si parla invece di "sette".
^ "Quaranta giorni di inondazione" secondo Gn 7,17 - "centocinquanta" in 7,24.
^ In Gn 37 il salvatore di Giuseppe prima è Ruben e poi Giuda ; i mercanti che lo trascinano
schiavo in Egitto sono insieme Madianiti ed Ismaeliti.
E' il capitolo classico per la critica delle fonti.
^ In Es 24 Mosè sale sul monte prima con Aronne, Nadab, Abiu e 70 anziani (così in 24,1. 911) e subito dopo con il solo aiutante Giosuè : 24,12-13.
e) ANACRONISMI : si tratta di informazioni che tradiscono la loro origine post-mosaica,
non possono risalire a Mosè.
^ Gn 21,34 "Abramo fu forestiero nel paese dei Filistei per molto tempo" : eppure arrivano
sul finire del II° millennio.
^ Gn 36,31 "Questi sono i re che regnarono nel paese di Edom, prima che regnasse un re
degli Israeliti" = la lista giunge fino all'epoca di Davide.
^ Dt 34,10 "Non è più sorto un profeta pari a Mosè ... " Come attribuire a lui il racconto della
... sua morte e il giudizio di valore sulla sua persona ?
^ Gn11,28 "nella sua terra natale, in Ur dei Caldei".
f) DIFFERENZE DI VOCABOLARIO, di stile - linguaggio :
^ i racconti del ciclo di Abramo sono molto diversi dalla storia di Giuseppe
^ il linguaggio caldo del Dt diverge assai da quello arido e incolore del Lv
^ altre differenze, anche vistose, appaiono nell’originale ebraico
+ VALUTAZIONE :
abbiamo evidenziato una serie di fenomeni obiettivi, cioè presenti nel testo e riscontrabili ad
una lettura attenta, non superficiale di esso. Sono innegabili ! Richiedono di essere spiegati,
domandano una corretta interpretazione. Come mai le cose stanno in questi termini ?
Il metodo scientifico è quello che si basa sulla convergenza degli indizi, sul concorso delle
prove. Ebbene gli indizi accumulati vanno in questa direzione. Essi mettono in crisi la
opinione tradizionale che il "Pentateuco" sia opera dovuta a Mosè. Questo è impossibile.
Occorre negare la paternità mosaica dell'opera almeno nella sua totalità ; Mosè non può avere
scritto tutto !
Occorre negare anche la UNITA' DELL'OPERA. I cinque libri non possono essere prodotto
di un solo autore. Un bravo scrittore non lascia coesistere contraddizioni, tensioni innaturali
nel suo lavoro ; neppure è in grado di esprimere linguaggi e stili così diversi.
- Però negare non basta. L'opera c'è ed è così ! Necessita un discorso in positivo. Come
interpretare i fenomeni letterari evidenziati ?
L'opera non è un meteorite caduto dal cielo, come si è formata ?
Se Mosè non è l’autore, chi ha trasmesso qs informazioni e scritto queste cose ?
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Quali sono le fonti del Pentateuco, come si sono combinate ?
Ecco impostata la "questione mosaica"
STORIA DELLA "QUESTIONE MOSAICA"
"La storia della critica intorno alla formazione e all'origine dell' attuale Pentateuco non è né
breve né facile. Iniziata alla metà del secolo XVII, ancora oggi una soluzione che risponda a
tutti i quesiti e trovi il consenso di tutti non c'è" (Bernini) . Anzi oggi il mare della critica è
tornato al brutto, le onde sono parecchio agitate.
Noi essenzializziamo al massimo il discorso, quel tanto che serva a cogliere i
problemi ed il loro significato. Fermiamo la nostra attenzione su tre momenti e nomi di
questa ricostruzione storica.
Richard SIMON
L'iniziatore, il pioniere della critica letteraria applicata alla Bibbia è il sacerdote oratoriano o
meglio l'esegeta francese Richard Simon : nato a Dieppe il 13/5/1638, morto nella stessa città
l’ 11/4/1712, espulso dall'Ordine il 21/5/ 1678
Nel 1678, dunque all'età di 40 anni, pubblicò un'opera che fece scalpore : "Histoire critique
du Vieux Testament" a cui in seguito avrebbe aggiunto un libro analogo per il NT.
Nel suo lavoro attacca la autenticità mosaica del Pentateuco, attribuisce a Mosè solo le parti
legislative. "Egli riconosce a Mosè un posto di primo piano nella composizione del Pent ma
poi con prove ed esempi mostra che i testi trascendono storicamente il grande legislatore ...
sono presenti delle aggiunte"(Cazelles).
Occorre riconoscere a lui una scienza incontestabile, erudizione sorprendente, una grande
sagacità di critico. Egli vuole affrontare con mentalità scientifica la Bibbia a costo di
scandalizzare i lettori devoti.
"E’ più facile trovare la verità della religione cristiana in queste interpretazioni mistiche dei
Padri, che nelle interpretazioni letterali dei grammatici, che spiegano a dir il vero, la storia
dell'AT, ma non fanno conoscere sufficientemente la religione" (Histoire critique, III, 8).
Ha avuto intuizioni validissime, ha precorso i tempi, non è stato capito, giudicato un
demolitore della fede. Ha avuto il merito di porre il problema, di smuovere le acque e di
obbligare a pensare. Nasce con lui la scienza biblica nel senso moderno del termine.
Julius WELLHAUSEN
(nato ad Hameln nel 1844, morto a Gottinga nel 1918).
- nella storia della "questione mosaica" senz'altro il nome di Wellhausen è il più
rappresentativo e autorevole. A lui è infatti legata la "ipotesi documentaria" come tentativo
nuovo di spiegare il progetto e processo formativo del Pentateuco.
Wellhausen può essere definito un semitista cioè uno studioso di cose semite, un
filologo e storico della Bibbia. Ha prodotto una quantità notevole di opere nell'ambito della
storia di Israele. Il volume più autorevole è la "Jsraelitische und Judische Geschichte" del
1894
Nelle trattazioni storiche W applica i principii della filosofia hegeliana con la distinzione tra
la "religione del cuore" (Gefuhlsreligion) e "religione della mente ragione"(Vernunftreligion).
Si è occupato anche di Studi Arabi ed ha pubblicato commenti ai singoli vangeli. In
lui l'interesse storico-scientifico prevale nettamente su di una lettura spirituale e pastorale dei
testi.
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"Sono diventato teologo perché lo studio scientifico della Bibbia mi interessava. Lentamente
m'è parso chiaro che il professore di teologia ha ugualmente il compito concreto di preparare
gli studenti per un servizio nella Chiesa Evangelica e che io non soddisfo alle esigenze
pratiche di qs compito, ma piuttosto, a dispetto di tutta la mia riserva, io rendo i miei uditori
inabili per un tale servizio. Per questo il mio professorato come teologo è un peso per la mia
coscienza" (Da una sua lettera al Ministro del Culto in data 5 aprile 1882).
- a noi però interessa principalmente per ciò che ha detto e scritto circa la formazione del
Pentateuco. Il "sistema di Wellhausen" - si chiama così la interpretazione globale che egli ha
dato della genesi e sviluppo del Pentateuco - si può trovare espresso in questi contributi :
^ articolo "ISRAEL" nella Encyclopedia britannica
^ articolo "Hexateuch" nell'Encyclopedia Biblica coll 2045 - 2058
^ "Die Composition des Hexateuchs und der historischen Bucher des Alten Testaments" 4 ed
Berlino 1963
- Bisogna dire subito che Wellhausen non è stato originale ; il suo merito è quello di aver
operato un bilancio ed una sintesi degli studi relativi al Pentateuco che lo hanno preceduto. Si
è limitato a ripresentare "con chiarezza pari alla sua forza dimostrativa" (Cazelles), con
erudizione ed eleganza il risultato di ricerche già condotte da due secoli.
- Notare come W parla di Esateuco : sei libri non cinque. Nel suo sistema infatti entra anche
il libro di Giosuè, che egli considera legato e imparentato strettamente ai primi cinque libri.
W lavora sul materiale legislativo, giuridico : confronta tra loro i vari codici presenti
nel Pentateuco e nota disposizioni diverse in rapporto alle diverse tappe della storia di Israele.
A proposito di uno stesso argomento (ad es il luogo di culto) si può notare chiaramente una
evoluzione nella normativa, nella legislazione.
W analizza anche il materiale narrativo, che è assai abbondante, e nota come i racconti
hanno fisionomia diversa e rispondono ad esigenze diverse, non possono essere frutto di un
solo autore.
W afferma anche che la primitiva letteratura biblica è costituita di tradizioni
costituitesi oralmente e solo in seguito sedimentate nello scritto.
La Bibbia stessa conosce composizioni scritte, raccolte parziali anteriori a sé : "Il libro del
Giusto" (Gs 10,12) ; "Il libro delle guerre di Jahwè" (Nm 21,14), 2Sam 1,18
+ Esposizione del sistema : L'interpretazione che W ha dato circa la formazione del Pent
porta il nome di "ipotesi documentaria".
IPOTESI = teoria, tentativo di spiegare determinati fatti letterari, che fanno problema e
chiedono di essere interpretati
DOCUMENTARIA = i cinque-sei libri sarebbero stati composti non di getto, ma sulla base
di documenti preesistenti, testi scritti di epoca diversa adoperati dai redattori come fonti
immediate
- Si tratta in sostanza di 4 documenti. Sotto il testo attuale dell'Esateuco si trovano quattro
strati, livelli letterari. L'Esat è come una realtà policroma, combina insieme quattro colori
diversi.
1) II documento più antico è quello Jahvista : appartiene al IX secolo secondo W : un
indizio di datazione W lo trova in Gn 27,40 : la vicenda di Isacco ed Esaù allude alla
affrancazione di Edom da Giuda (cf 2Re 8,20-22) episodio avvenuto sotto Joram (853-841).
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IL LUOGO di stesura è il regno di Giuda, viene redatto al Sud : lo mostra l’interesse
riservato alla figura di Giuda e alla omonima tribù, l'attenzione dedicata alla monarchia e alla
città di Ebron, legata alla vicenda di Davide
2) La seconda fonte scritta è rappresentata dal documento Elohista. E’ posteriore di un
secolo allo J : suppone Moab espulso dai territori a settentrione dell'Arnon (Nm 21,13b) ;
sarebbe posteriore alle vittorie di Geroboamo II° ma anteriore alla caduta di Samaria (721).
Il luogo di origine è il regno del Nord ; il carattere più spirituale e morale dei racconti
suppone già avviata la predicazione profetica.
Nb ! Successivamente, dopo la fine del Regno del Nord ; un Redattore avrebbe fuso questi
due documenti dando priorità allo J e ottenendo come risultato un testo chiamato Jehovista
(JE).
3) II terzo strato è il Deuteronomista : per W si tratta senz'altro del "Libro della
Legge" rinvenuto sotto Giosia nel 622 aC come documenta 2Re 22.
Qs racconto secondo W è una "pia frode", cioè un fatto inventato a bella posta per giustificare
la Riforma religiosa promossa da Giosia con l'appoggio del clero di Gerusalemme. Qs fatto
divenne il "punto di Archimede" secondo la espressione di Eissfeldt per la ricerca sul
Pentateuco
4) Quarto ed ultimo documento in ordine di tempo si situa il Codice Sacerdotale
presente soprattutto nel Levitico. Ezechiele ne avrebbe gettate le basi durante l'esilio (basti
pensare ai cc 40-48) ; costituisce la "legge del re del cielo" portata a Gerusalemme e
promulgata da Esdra sacerdote e scriba.
In seguito verso il 400 un redattore sacerdotale avrebbe operato la redazione attuale del
Pentateuco che ben presto venne considerato come scritto canonico, cioè ispirato, vincolante,
normativo.
Il pronunciamento della Pontificia Commissione Biblica
- Gli studi e le conclusioni di W proposte con tanta autorevolezza suscitarono un notevole
dibattito, crearono consensi ma anche notevoli reazioni ed opposizioni, non sempre serene ed
intelligenti in ambito protestante ed anche nel mondo cattolico, che fu costretto ad
interrogarsi e a prendere posizione. Questo a livello di studiosi ed anche di Magistero.
- Il magistero ordinario della Chiesa è intervenuto in data 27 giugno 1906 con una presa di
posizione "de authentia mosaica Pentateuchi". Qs pronunciamento si articola in 4 punti :
1. Gli argomenti ammassati dai critici non danno diritto di negare la autenticità mosaica del
Pentateuco contro tutta la tradizione giudaica e cristiana unanime su questo punto e contro gli
indizi interni "quae ex ipso textu eruuntur"
2. Mosè è autore del Pentateuco, ma non è necessario che abbia scritto tutto di suo pugno ;
può essersi servito di collaboratori ed aver dettato a degli amanuensi.
3. Nella composizione del Pentateuco Mosè può essersi servito di fonti scritte precedenti ed
anche di tradizioni orali che lui può poi aver elaborate.
4. Salva la sostanziale integrità e autenticità mosaica del Pent ... "admitti potest ei
modificationes obvenisse ut additamenta ... glossas et explicationes"
+ Valutazione dell’intervento : con un provvedimento di autorità il magistero ordinario
destituisce di valore gli studi storici e letterari per riaffermare il dato costante della tradizione.
La Legge del Signore
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- Il primo NO è poi stemperato dai tre punti che seguono : si afferma la paternità mosaica
sostanziale del Pentateuco, ma vi si introducono dei correttivi.
- Si tratta di un pronunciamento pastorale, non dogmatico : l'autenticità di uno scritto non si
deve confondere con la ispirazione. Le due cose sono diverse. Intaccare una non significa
negare l'altra. Quello della autenticità è un problema storico e letterario non una questione di
fede e di competenza del Magistero.
- Si può comprendere qs giudizio ecclesiale senza giustificarlo, tenendo presente il tempo in
cui si verifica. Era difficile distinguere i presupposti filosofici, razionalisti di W dalle
affermazioni storicamente accertate.
Le stesse comunità protestanti sentirono il bisogno di reagire alla esegesi illuminista, liberale,
razionalistica dell'epoca. Teologia dialettica.
Siamo nella "crisi modernista" che Pio X° qualificava "la somma di tutte le eresie" ;
sembrava ai pastori della Chiesa che il mondo moderno si fosse dato appuntamento per
scalzare i fondamenti della religione rivelata, negando il soprannaturale. Gunkel parla di
"comprensibile illusione di proteggere il santuario contro l'assalto della incredulità" (i Profeti,
pg 247).
- L'autorità ecclesiastica temeva che l'eccessivo interesse accordato ai problemi storicoletterari del testo biblico, finisse con il far perdere di vista quello che è l'aspetto primario
della Bibbia : la verità salvifica.
- Pur con queste attenuanti il pronunciamento in questione è di stampo conservatore, poco
illuminato e lungimirante. "Questa risposta sarà per molti decenni di remora ad un
avanzamento in campo cattolico della soluzione dell'origine del Pentateuco" (Bernini).
Ad essa del resto fecero seguito altri interventi sulla autenticità del Libro di Is, del quarto
vangelo ecc ... tutti nello stesso segno. Una lunga stagione di gelo si stendeva sugli studiosi
cattolici e parecchi ebbero a soffrirne, (ad es Lagrange) : conflitto tra fede e scienza, tra
chiesa e mondo moderno.
- soltanto con l'enciclica di Pio XII del 1945 "Divino Afflante Spiritu" il clima incomincia a
cambiare : con qs documento si dà diritto di cittadinanza al metodo storico-critico nello
studio della Bibbia, si riconosce valore alla esegesi scientifica ; è una ventata di libertà
introdotta nel campo degli studi biblici portati avanti dai cattolici. Si supera lentamente il
complesso di inferiorità nei confronti della ricerca prodotta dal mondo protestante.
La storia della poco bella figura fatta dal Magistero ecclesiale ordinario nel passato dovrebbe
essere istruttiva per i rapporti odierni della chiesa nei confronti della cultura moderna ...
LA CRITICA STORICO - LETTERARIA DEL
PENTATEUCO OGGI
Per un bilancio degli studi puoi confrontare :
- J. VERMAYLEN, La formaticion du Pentateuque à la lumière de l'éxégèse historicocritique, in "RTL" 1981/3 pp 324-346
- A. FANULI, Le "tradizioni" nei libri storici dell'AT. Nuovi orientamenti in "Problemi e
prospettive di scienze bibliche" a cura di R. Fabris, Queriniana, Brescia 1981, pp
13-40
La Legge del Signore
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- E. CORTESE, Il Pentateuco oggi : la teoria documentaria in crisi ? in "La scuola
Cattolica" 111 (1983) pp 79-88
- P. SACCHI, Legge e patto nell’ebraismo, una nuova prospettiva per lo studio delle fonti del
Pentateuco. Henoch 1985/2 pp 129-150
SITUAZIONE ODIERNA
La critica letteraria applicata al Pent e ai libri storici dell'AT ha fatto notevoli passi dopo la
sintesi elaborata da Wellhausen ; gli studi sono continuati, anzi si sono moltiplicati. Gli
esperti tuttavia non sono ancora riusciti a trovare consenso né tanto meno uniformità nella
interpretazione degli stessi dati. Il ventaglio delle opinioni circa la origine e il processo
formativo del Pent è quanto mai multiforme.
La teoria/sistema di Wellhausen, che era riuscito progressivamente ad imporsi, è stato
sottoposto in questi ultimi anni a notevoli contestazioni.
Dopo il 1975 c'è stato un rimescolamento generale delle carte ; il 1977 è stato in particolare
un anno funesto per la ipotesi documentaria : alcuni studiosi, quasi esclusivamente dell'area
anglosassone, hanno inteso ripensare radicalmente il problema della genesi e composizione
del Pent, allontanandosi dallo schema interpretativo dei 4 documenti, per formulare ipotesi
diverse. Cf
- R. RENDTORFF, Das uberlieferungsgeschichtliche Problem des Pentateuch, Berlin-New
York 1977
- S. TENGSTROEM, Die Hexateucherzahlung, Lund 1976
- K. H. SCHMID, Der sogennante Jahwist. Beobachtungen und Fragen zur
Pentateuchforschung, Zurich 1976
- B. C. SCHMITT, Die nichtpriesterliche Josephsgeschichte. Ein Beitrag zur neuesten
Pentateuchkritik, Berlin - New York 1980
- J. R. RENDTORFF, The future of Pentateuchal Criticism, in Henoch 1984/1 pp 1-16
"La Questione del Pent si trova ormai completamente in movimento e nei prossimi
anni dobbiamo attendere grosse novità in qs campo" (Soggin)
"Sulle piste del deserto si può sognare la terra promessa. Ma la terra promessa dopo un secolo
di ricerche, non è ancora all'orizzonte" (Langlamet) .
I DATI AQUISITI
Nonostante il terreno accidentato vi sono riguardo al Pentateuco alcune zone di sicurezza.
a) Nessuno studioso serio ammette oggi l'autenticità mosaica del Pent nei termini della
tradizione giudaica e cristiana antica. L'atto di morte decretato alla attribuzione mosaica
dell'opera è irreversibile : Mosè in quanto scrittore del Pent è un morto non più risuscitabile.
Esiste certo una esigua minoranza di studiosi dalla tendenza conservatrice che difende
la "unità fondamentale e l'alta antichità del Pentateuco" (ad es G. Pella e Holwerda). Più
preoccupante è la resistenza alla critica storica e letteraria della Bibbia esercitata da settori
cristiani affezionati a una pura lettura "spirituale" dei testi = fondamentalismo.
b) La quasi totalità degli esperti riconosce nel Pent una formazione graduale, progressiva :
sotto la superficie attuale del testo esistono diversi strati o livelli, che corrispondono ad una
pluralità di fonti.
La redazione finale ha cercato di ricondurre ad una certa unità e armonia l'ingente
materiale che la fede di Israele aveva prodotto.
La Legge del Signore
12
Vi sono però interpretazioni divergenti nel modo di identificare le fonti, la loro natura e la
loro estensione. "Non vi sono due autori che siano d'accordo in tutto sulle ripartizione esatta
dei testi fra i diversi documenti" (BJ).
TRE IPOTESI
Si possono individuare nella scienza biblica moderna tre interpretazioni diverse, tre tendenze
principali circa lo spinoso problema della nascita e dello sviluppo del Pentateuco.
A)
Ipotesi documentaria : riprende sostanzialmente la teoria di Wellhausen, ritoccandola
in alcuni aspetti. L'Esateuco sarebbe il frutto della fusione di quattro grandi tradizioni
letterarie e teologiche che hanno scandito la storia di fede di Israele. "Essa resta
sostanzialmente un modo valido di concepire la formazione del Pentateuco" (Fanuli).
"Gli assalti lanciati alla teoria documentaria non hanno sortito tutti gli effetti
desiderati…moda passeggera ... capisaldi rimesti in piedi" (Cortese).
Di parere diverso Vermeylen : "Anche se si manifestano isole di resistenza, si può dire che la
cittadella delle teorie wellhauseniane è oggi smantellata ... nella sua forma rigida l'ipotesi
documentaria non è più sostenibile".
- nell'attesa che la situazione attualmente intorbidata si chiarifichi e si decanti, conviene
seguire come valida la impostazione delle 4 fonti, continuare ed usare questo strumento
interpretativo. E' quanto noi faremo.
Del resto essa è diventata di dominio pubblico ; anche nelle opere di divulgazione
biblica si incontrano le sigle J E D P. cf CdA pp 492-496.
Si stampano addirittura Bibbie con la ripartizione dei versetti del Pentateuco tra le diverse
fonti ; cf Bibbia Marietti vol I°.
Lo stesso magistero utilizza queste sigle con note erudite di carattere biblico in calce ai
discorsi ; cf le catechesi di Giovanni Paolo II° su Gn 1-3.
B)
Ipotesi dei frammenti : alla base del Pent non vi sarebbero documenti scritti, ma
piuttosto TRADIZIONI ORALI, originariamente presenti in piccole unità e successivamente
raggruppate in cicli narrativi.
Si possono riconoscere alcuni "temi maggiori" : il ciclo delle origini in Gn 1-11 ; le tradizioni
relative ai patriarchi raccolte attorno al tema della promessa e confluite in Gn 12-36 ; l'uscita
dall'Egitto (Es 1-15) ; i ricordi del soggiorno nel deserto (Es 16-18 e Nm 11-20) ; teofaniarivelazione al Sinai in Es 19-24 e 32-34 ; memorie sulla entrata nella terra.
E' soprattutto Martin Noth che sostiene questa interpretazione : "il suo interesse è di
stabilire l'evolversi o la storia delle tradizioni di Israele fino al loro cristallizzarsi nel libri del
Pent. La sua è pertanto una Traditionsgeschichte, una storia della tradizione di Israele"
(Fanuli).
C)
Ipotesi dei complementi (Erganzungypothese) : è la proposta più recente e si colloca
agli antipodi rispetto alla posizione precedente. Alla base del Pent non si troverebbe una serie
di piccole unità indipendenti a carattere narrativo o legislativo poi agglomerate dai redattori,
ma un grande racconto che fu più volte commentato, ampliato, COMPLETATO secondo il
metodo antico delle "riletture successive".
Così Tengstroem, Lubsczyk, Vermeylen ...
La Legge del Signore
13
- la struttura portante sarebbe rappresentata da quella che è chiamata la tradizione o
documento Jahvista, la cui indole però e oggetto di discussione.
A questa impalcatura del Pent sono state portate delle integrazioni. Due scuole hanno lasciato
le tracce maggiori della loro "rilettura". La Scuola Deuteronomista nel VII-VI secolo e quella
Sacerdotale del VI secolo.
"Vi è praticamente unanimità nell'ammettere il carattere specifico dei pezzi di tipo P
sia sotto la forma di un documento particolare, sia sotto la forma di una serie di addizioni"
(Vermaylen).
Come si vede "la formazione del Pt è oggi oggetto di un dibattito appassionante e le posizioni
sono al presente diametralmente opposte ... l'esegesi storico critica è entrata in un periodo
anarchico, è alla ricerca di un nuovo equilibrio" (Vermaylen).
Cf E. CORTESE, Il Pentateuco oggi : la teoria documentarista in crisi ? In Sc Catt 111
(1983) 79-88
RIFLESSIONI E CONCLUSIVE
La molteplicità e contraddittorietà delle interpretazioni offerte dagli studiosi nel valutare gli
stessi dati e le identiche informazioni emergenti dal testo può creare confusione e sconcerto
nel lettore e nello studente della Bibbia.
Obiettivamente il problema è complesso e difficile, perché si tratta di lavorare su dati
lacunosi e su argomenti di critica interna.
La pluralità di teorie rivela anche che l'apparato scientifico (filologico e storico) con cui
alcune opere di esperti si presentano è soltanto apparente, presunto se non preteso. Tante
teorie appoggiano su sabbie mobili, adoperano argomenti di argilla ; relatività della critica
letteraria.
- Conoscere il processo genetico di un'opera, la sua nascita ed evoluzione se realmente c'è
stata o, detto diversamente : fare uno studio DIACRONICO, ricostruire il retrotesto è
certamente un fattore di comprensione, mi aiuta a capirla di più e spiega alcune evidenti
anomalie presenti nel testo.
Nella progressiva crescita del Pent ad es noi troviamo riflessa la storia della fede di
Israele, vi si rispecchia la sua vicenda storico-religiosa dalle origini fino al postesilio. Il
fenomeno di Israele ci si para davanti agli occhi in tutta la sua maestosità. Quindi non si
possono trascurare gli aspetti genetici di un testo sia antico sia moderno (si pensi ai
documenti conciliari e alle diverse redazioni attraverso cui sono passati).
- D'altra parte non bisogna sopravvalutare la critica letteraria ; c'è il rischio di uno
spappolamento del testo, di una sua atomizzazione in tante fonti diverse. E’ necessario
prestare attenzione alla redazione attuale del testo, allo stato-configurazione-fisionomia
presente dell’opera.
Interesse quindi al metodo SINCRONICO : mentre il momento precedente faceva
leva sulla discontinuità del testo, sulle sue incongruenze e tensioni, qui l'accento è posto sulla
sua continuità-coerenza. L'opera così come è fa senso, ha una sua logica, un suo significato
voluto dai redattori, una sua struttura rivelativa che bisogna investigare.
In definitiva il testo biblico è quello pervenuto a noi nella redazione attuale : occorre
recuperare il valore positivo di questa attività redazionale, che ha consegnato alla Bibbia i
vari libri così come appaiono nelle nostre mani, contro la mania delle congetture circa il
processo formativo. I metodi devono servire per capire (verstehen) non per accumulare
semplici informazioni sul testo (wissen).
La Legge del Signore
14
- Non è un dogma né la paternità mosaica del Pent né la molteplicità di fonti all'interno di
esso. In fondo si tratta di criteri di lettura diversi ; la tradizione giudaica e cristiana antica
dava più importanza alla redazione dell'opera, la mentalità critica moderna è più sensibile al
suo processo formativo.
Non siamo nell'ambito della fede, ma in quello della scienza storico-letteraria con i suoi
meriti e con i suoi limiti. Siamo quindi nel terreno della ragione : si tratta di riflettere e
discutere con argomenti alla mano, non in base ad argomenti di fede o a posizioni
autoritative. Il problema della autenticità degli scritti biblici non coinvolge quello della
Ispirazione biblica.
- L'autenticità mosaica del Pent, negata dalla critica moderna, di fatto viene recuperata in un
modo più profondo e più vero. Mosè è autore del Pent non perché abbia scritto di suo pugno
questo vasto complesso narrativo e legislativo, ma perché è stato quella grande personalità
che ha segnato profondamente la vicenda storica di Israele nella esperienza della liberazione
e della rivelazione. E’ la personalità umana emergente all'interno di quest'opera.
Appartiene all'epoca fondazionale : tutte le grandi istituzioni di Israele sono collocate
sotto la sua paternità.
STUDIO DELLE QUATTRO FONTI
Studiando il Pent oggi si preferisce non il metodo di analisi dei singoli 5 libri, ma piuttosto lo
studio delle singole fonti nella loro fisionomia letteraria e nella loro valenza teologica. E'
quanto faremo passando in rassegna le 4 grandi tradizioni : fonte Jahvista, strato Elohista,
movimento Deuteronomista, Scuola Sacerdotale.
LA FONTE JAHVISTA
cf di N . NEGRETTI le voci "Jahvista ed Elohista" nel "Dizionario Teologico
Interdisciplinare" voi II pp 300-302.
- L. RUPPERT, Il Jahvista : annunciatore della storia della Salvezza, in Schteiner pp 147177.
Il primo studioso che storicamente abbia individuato il fondo Jahvista del Pentateuco
è J. Astruc ; nel 1753 ha portato un contributo sulla linea di R. Simon alla comprensione della
preistoria del testo con la pubblicazione di un'opera dal titolo : "Conyectures sur les
memoires originaux, dont il paroit que Moise s'est servi pour compoar le livre de la Genèse".
Basandosi sui nomi divini YHWH ed ELOHIM per primo determinò con chiarezza
l'esistenza nella Genesi di due strati-colori distinti.
Nel sistema di Wellhausen e della sua scuola lo J è il documento più arcaico, la prima storia
sacra che sia apparsa in Israele.
- E’ indubbia all'interno del Pentateuco una famiglia di testi tra loro imparentati per
linguaggio e pensiero.
Le pagine che gli studiosi collocano sotto questa sigla hanno in comune questi dati :
^ L'uso del nome sacro YHWH (nomen personae) a indicare lo divinità. Nei primi cc del Gn
compare "YHWH ELOHIM"
La Legge del Signore
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^ Vocabolario specifico, cioè l'esistenza di termini o perifrasi propri come : "tagliare il
patto" ; "Cananei" per indicare gli antichi abitanti della terra ; "Sinai" per designare la
montagna sacra ; il verbo "conoscere" in senso matrimoniale.
^ Lo stile vivace, colorito, concreto, "presque naif" (TOB). A questo si aggiunge l'abilità
narrativa. Fanuli parla di "eccellenti doti di poeta, psicologo, incomparabile narratore"
Comunanza di identici "motivi narrativi", cioè di situazioni che si ripetono : antropomorfismo
e antropopatismo nel parlare di Dio, cioè una umanizzazione della sua figura, tramite la
attribuzione a lui di pensieri e passioni-sentimenti umani, non però in modo sconveniente.
Predilezione per i racconti dove brilla la figura del figlio minore, del cadetto che viene
preferito al primogenito, perché la logica divina scavalca i meriti umani : Abele preferito a
Caino (Gn 4) ; Isacco ad Ismaele (Gn 16) Giocobbe ad Esaù (Gn 27) ; Giuseppe ai suoi
fratelli (Gn 37) ; Davide ai fratelli maggiori in 1Sam 16 e Salomone ad Adonia (cf 1Re 1).
- Il luogo di provenienza dello J è il Sud, il regno di Giuda. J è "Lo storico meridionale"
(Grant). Indizi di questa patria di origine è l'interesse riservato ai santuari del Sud legati alla
figura di Abramo e Isacco : Hebron, Mamre e Bersabea.
Analogo interesse per la figura di Giuda, capostipite della omonima tribù emergente al Sud,
la tribù di Davide : attenzione quindi per la ideologia monarchica e per il messianismo.
La stessa promessa : "renderò grande il tuo nome" si incontra in Gn 12,2 a proposito di
Abramo o in 2Sam 7,9b a proposito di Davide : Davide viene visto come il punto di arrivo
della benedizione formulate al primo patriarca.
Che il Sud avesse la sua "storia sacra" nella quale confluivano le tradizioni culturali e
religiose della nazione è del tutto verosimile.
- La maggioranza degli studiosi è orientata a far risalire la composizione della fonte J al regno
di Salomone contro Wellhausen che lo collocava nel IX secolo. "Seconda metà del regno di
Salomone" (Briend). Anche Vermaylen parla di "consistenza salomonica" dello J.
Gli argomenti che si possono addurre a sostegno di questa ipotesi :
^ La somiglianza di linguaggio con la "narrativa della successione" risalente a questo periodo
^ L'interesse che i racconti riservano alla figura del cadetto e al valore della monarchia
(messianismo retroproiettato) . E' un modo di legittimare l'ascesa al trono di Salomone.
E' verosimile la formazione del documento in questo periodo, cioè nell'ambiente
dell'illuminismo salomonico, epoca di bilancio e di notevole vivacità culturale.
"E’ trascurando questo aspetto dinastico che parecchi autori vorrebbero datare la storiografia
jahvista dopo i profeti o addirittura dopo l'esilio. Ma in quest'epoca il problema della
legittimità dinastica è superato del tutto. Questo non impedisce che si possano riconoscere dei
'ritocchi' nella storiografia regale preprofetica allo scopo di adattare testi antichi con l'apporto
teologico dei profeti e dei deuteronomisti" (Cazelles).
- La fonte J si presenta essenzialmente come una "storia sacra", forse la prima opera di
teologia narrativa apparsa in Israele.
cf Hannelis SCHULTE, L'origine della storiografia nell'Israele antico, Paideia - Brescia
1982.
Benché non manchi materiale legislativo, la struttura portante è data dal racconto delle
relazioni tra il Signore e Israele.
La Legge del Signore
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Circa l'estensione si può dire : "Questo documento è presente in maniera predominante nel
libro della Gn e dal c 10 in poi nel libro dei Num è assente totalmente dal Lv, ma chiude il
libro del Dt (34,1-4).
Fuori del Pentateuco sembra lo si debba rintracciare in Gdc 1" (Fanuli).
Il racconto esordisce con le tradizioni relative alle origini : così la narrazione dell'Eden in Gn
2 seguita dal racconto del primo peccato (Gn 3), dall'episodio di Caino e Abele in Gn 4. C'è
una narrazione J del diluvio e poi si colloca il racconto della torre in Gn 11.
Seguono le narrazioni relative alle figure dei patriarchi in particolare il materiale riguardante
Abramo e Isacco.
Le tracce dello J proseguono nei racconti sulla permanenza di Israele in Egitto, uscita dalla
schiavitù, soggiorno nel deserto, alleanza al Sinai, entrata nella terra.
- Alcuni studiosi si sono avventurati nella ricerca del pensiero religioso che sta alla base della
storia sacra J ed hanno evidenziato i seguenti contenuti maggiori :
^ L'idea di Dio come "Signore della storia", guida degli eventi umani. La storia di Israele è un
paradigma per capire il comportamento di Dio verso tutta l'umanità. Gn 1-11 è il prologo
della storia di Israele. L'autore J ha configurato la storia primordiale dell'umanità sulla
falsariga della esperienza salvifica di Israele, trovando in questa la spiegazione di quella.
^ Teologia della promessa o benedizione. La terra è il segno concreto del favore divino :
l'entrata in Canaan è il termine del piano divino iniziato con i patriarchi ; l'ingresso è stentato
(cf Gdc 1) e soltanto con l'ascesa di Davide la promessa divina si compie. Ma lo scopo della
conduzione divina degli avvenimenti non è l'impero di Davide in quanto realizzazione
politica. Esso è un mezzo nelle mani di Dio per la salvezza dei popoli. Con Davide si realizza
la promessa della benedizione di Gn 12,1-4 : "in te si diranno benedette tutte le stirpi della
terra". "Il paese di Canaan, nel quale J ha condotto Abramo, da paese abitato da uomini
maledetti (Gn 9,20-27) deve diventare la irradiazione della salvezza" (Ruppert).
^ Teologia del Resto o ottimismo salvifico : la ribellione dell'uomo non può vanificare il
piano di Dio e il castigo è solo parola penultima. La salvezza è una storia a lieto fine, la
grazia avrà il sopravvento (cf lo schema in Gn 1-11).
^ Importanza della idea messianica che viene "retroproiettata" da Davide alla figura di Giuda
in Gn 49,10 : "Giuda, te loderanno i tuoi fratelli" o in Nm 24,17 "oracolo della stella".
J è il primo "annunciatore della storia della salvezza" (Ruppert). "Il teologo della salvezza
universale in Abramo" (Fanuli).
- In definitiva come valutare il significato di questa tradizione ?
I giudizi degli studiosi sono altamente elogiativi : "Una delle più grandi opere nella storia
dello spirito" (Von Rad) ; "Il suo autore deve essere annoverato tra i geni letterari più
originali che Israele abbia posseduto" (Harrington) ; "Un'opera originale pur nella ripresa di
tradizioni" (Briend).
"Nell'insieme è un monumento letterario senza paragoni nella storia delle religioni, dal
momento che essa condensa in sé ciò che lo J ha di specifico e irriducibile : una teologia della
storia fondata sulla teologia della promessa ... noi dateremmo l'insieme del lavoro al regno di
Salomone ... così all'apogeo politico e culturale che marca il primo secolo della monarchia
israelita, si può dire in un certo senso che la Bibbia ha già una struttura letteraria ... questo
non impedisce d'altra parte che le tradizioni continuino a trasmettersi parallelamente sotto
forma orale ... ma le idee principali dello scrittore o della scuola J, prima sintesi di una
rivelazione incominciata già da gran tempo, continueranno ad imporsi in sintesi analoghe
avviate in seguito con prospettive un po' differenti" (Grelot).
cf per una presentazione divulgativa il CdA pg 495.
La Legge del Signore
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LO STRATO ELOISTA
- L. RUPPERT, L’Elohista : il teologo del popolo di Dio, in Schreiner pp 179-194
Individuata come J la prima volta da Astruc (1753), questa seconda fonte del
Pentateuco è da sempre oggetto di molto dibattito : "L'insieme dei testi riuniti sotto
l'appellativo E è molto meno coerente ; un certo numero di testi del Pt che utilizzano tutti il
nome Elohim presentano tuttavia della caratteristiche stilistiche e teologiche comuni"
(Vermaylen) .
E’ più difficile rinvenire questa tradizione come racconto continuo, perché a quanto sembra i
redattori avrebbero utilizzato J come documento-base, mentre E servirebbe piuttosto come
"complemento". Sopravvive quindi solo in alcuni pezzi. "E’ stata tramandata in maniera
molto incompleta" (Ruppert) ; "noi abbiamo solo dei frammenti di questo documento"
(Briend) .
- I testi a matrice E hanno questa fisionomia :
^ Vocabolario : oltre ad Elohim per indicare la divinità, si ha "Amorrei" per gli antichi
abitanti della terra, Oreb è il nome del monte della rivelazione ecc.
^ Stile meno vivace nei racconti : il capolavoro dell'E è fuori dubbio il racconto del sacrificio
di Isacco in Gn 22.
^ Predilezione per alcuni temi :
a) la rivelazione come dialogo : chiamata di Dio e risposta dell'uomo (cf Gn 22,1. 11 ;
31,11 ; 46,2 ; Es 3,4b) ;
b) distanza o trascendenza del divino sull'umano : Dio non parla direttamente ma
tramite i "segni" (ad es il fuoco in Es 3), i "sogni"(ad es in Gn 22) ; la nube come in
Es 19 .
c) presenza dei mediatori, visti come profeti e intercessori ;
d) importanza per l'uomo della prova per misurare la qualità della fede (cf Gn 22,1 ed
Es 20,20). Il rapporto religioso è espresso con l'aiuto della nozione del "timor
Domini" (Gn 20,11 ; 22,12 ; 42,18 ; Es 1,17. 21 ; Es 20,20).
- Nella formulazione classica della ipotesi documentaria la famiglia dei testi E costituisce una
"seconda storia sacra" parallela e in antitesi rispetto al documento J, ma ad esso posteriore.
La patria dell'E è il regno del Nord. Grant lo chiama "Lo storico settentrionale". Le prove che
si possono portare sono :
+ L'interesse per i santuari del Nord (Dan e Betel, Gilgal e Sichem).
+ L'attenzione riversata sulla figura di Israele-Giacobbe
+ Disinteresse per la monarchia e il sacerdozio, esperienze più legate a Gerusalemme
+ Influssi della predicazione profetica nel modo di valutare i comportamenti dei
personaggi della storia sacra ; vi sono esigenze etiche più profonde. Il profetismo
tipicamente israelitico è comparso al Nord con Elia ed Eliseo, Amos ed Osea.
Come data di composizione si propende a pensare al secolo VIII
E’ verosimile che anche nel Regno del Nord, tagliato fuori da Gerusalemme dai tempi di
Geroboamo e dalle vicende del 932, si avvertisse il bisogno di fare un bilancio del passato e
di redigere una storia sacra con il materiale veicolato dalle tribù settentrionali. Non pare però
che sia l'ambiente della reggia il luogo di redazione del testo, ma piuttosto i circoli profetici.
"Le radici profonde del documento E vanno ricercate nel movimento profetico del regno del
Nord ... vi si coglie una viva preoccupazione per i problemi di morale, un senso molto
La Legge del Signore
18
profondo dell'obbedienza a Dio, un interesse reale per il vero culto, una preoccupazione
molto chiara di sottolineare che Dio è tutt'altro rispetto all'uomo ... è difficile per il momento
andare oltre la delimitazione 850-750.
Non ci si sbaglierà di molto valutando che la redazione è avvenuta nella prima metà dell'VIII
secolo aC" (Briend).
"Dopo questa storiografia regale, cioè J, appare una storiografia profetica, come i testi
elohisti del pentateuco dove lo Spirito = Ruah di Dio passa da Saul e da Davide al profeta
Mosè (Nm 11) ...
Redatta secondo ogni verosimiglianza nel regno del Nord e nei suoi ambienti profetici (Os
8,4 ; 13,11) mostra un Davide che viene onorato ma non il suo casato e nessuna delle dinastie
del Nord.
La salvezza viene dalla fedeltà ai costumi premonarchici che rimontano a Mosè, talvolta
fissati nei vecchi scritti conservati nei santuari levitici (Sichem, Gilgal, Betel, Dan). Riprende
sovente i dati della storiografia precedente ma con un senso morale più raffinato.
Infine ha conservato dati preziosi sulla vita delle tribù del Nord e i loro rapporti con gli
Aramei, fratelli, quantunque fratelli nemici.
Si deve ad essa inoltre una redazione del libro dei Giudici centrata sui comandamenti di Dio e
non sulla persona del re" (Cazelles).
Il "prendere sul serio la coscienza umana" (Vermaylen) è proprio di questa fonte : cf Gn
12,10-20 (J) con il parallelo 20,1-18 (E).
Accanto a questa ricostruzione c'è sempre stata nella critica una tendenza che rifiuta di vedere
nell'E un "Sagenbuch del regno del Nord" e preferisce vedere nella famiglia dei testi elohisti
un semplice ritocco o complemento dello J da parte di un autore sensibile alla predicazione
dei profeti. "Bisogna accettare l'ipotesi di un fonte E indipendente ? Non sembra ! ... le
tradizioni elohiste non hanno affatto la pretesa di riflettere una tradizione antica indipendente
da J ... bisogna dunque rinunciare alla ipotesi di un documento E o di una tradizione orale E e
parlare preferibilmente di 'complementi elohisti' "(Vermaylen).
- Circa la estensione del racconto E possiamo sintetizzare così la trama narrativa : mancano
testimonianze E nella sezione delle origini, ma in questa antica storia sacra gli inizi sono
rappresentati dalle vicende patriarcali ; le prime tracce si incontrano in Gn 15.
Il primo capitolo di sicura matrice E è Gn 20 : "offre un'unità ben definita e permette di
scoprire la maggior parte delle caratteristiche del documento E" (Briend). Il capolavoro come
si è detto di questa narrativa è Gn 22.
Nella storia patriarcale privilegia la figura di Giacobbe.
In parallelo con lo J possediamo tradizioni elohiste relative alla permanenza di Israele in
Egitto, alle "piaghe", al passaggio del mare, alla marcia attraverso il deserto, teofania del
Sinai. Sono elohisti Es 3 e 32 con la figura di Mosè come intercessore.
Mettere a confronto Es 32,4 con 1Re 12,28.
Nel libro dei Nm possiamo segnalare le tradizioni sulle mormorazioni nel deserto e tre carmi
di Balaam (cc 22-24 ; il quarto carme invece in Nm 24,15-19 è attribuito alla fonte J).
Nel Dt potrebbe essere elohista il c 33 (le benedizioni di Mosè) e i versetti che delineano la
figura di Mosè come profeta, cioè 34,5-6. 10. Si possono mettere a confronto con Os 12,14 :
"Per mezzo di un profeta il Signore fece uscire Israele dall'Egitto e per mezzo di un profeta lo
custodì".
- Passando alla teologia della tradizione E gli studiosi evidenziano i seguenti punti rilevanti :
La Legge del Signore
19
^ L'E è il "teologo del popolo di Dio" (Ruppert). A differenza dello J la benedizione si
concentra non tanto sulla terra ma piuttosto sulle discendenza. Egli si limita alle tradizioni
nazionali di Israele escludendo riferimenti a popoli stranieri.
Il popolo di Dio è al di sopra dei due regni divisi e contrapposti (cf Gn 15 e 50).
^ "L'Elohista : il teologo di un Dio trascendente e salvatore". Rifugge da un linguaggio
antropomorfico. Vuole difendere la trascendenza di Dio. Egli si rivela negli elementi cosmici
o nei sogni.
Inoltre è "il Dio morale, il Dio della radicale esigenza di impegno"(Fanuli).
^ L'atteggiamento che conviene all'uomo davanti a Dio viene sintetizzato nel "timor Domini"
= rispetto, senso religioso profondo, obbedienza incondizionata a Dio e alla sua legge. Questa
adesione a Dio può anche domandare la disobbedienza all'autorità politica che ordina la
morte, mentre Dio vuole la vita (cf Es 1,15-21).
^ L'uomo davanti a Dio deve essere verificato, ha bisogno di una prova. Questo
dell'esperimento è un tratto caro all'E. Cosi capita ad Abramo in Gn 22 ed anche al popolo nel
commino attraverso il deserto. "In Egitto e nel deserto Dio ha sollevato e portato su ali di
aquila il suo popolo ; all'Oreb gli propone di elevarlo al proprio livello, di condurlo alla
maturità dell'amore, facendone un partner con il quale realizzare una storia che è salvezza,
culto e santità" (Fanuli).
Il popolo viene meno all'alleanza e la sua partenza dal Sinai equivale ad una cacciata (Es 32,
34). La prostituzione dietro il vitello d'oro è il peccato originale di Israele.
^ Per raggiungere il suo popolo e agire nella storia Dio adopera dei mediatori umani che l'E
qualifica come profeti : così Abramo (Gn 20,7) Giuseppe (Gn 50,20) e soprattutto Mosè (Es
4,15-16 ; 7,1 ; 32,30-32).
Gli inviati poi non hanno nulla da esibire davanti a Dio se non la loro debolezza e miseria.
In definitiva "meno ottimista ed universalista del Jahvista, l'E ha però la rara capacità di
introdurci in una visione più profonda ed emozionante del suo Dio" (Fanuli).
- Come giudizio conclusivo riporto il pensiero di M. Grant : "Anche il regno settentrionale
produsse uno storico importante, che viene denominato E perché a differenza di J (e in modo
più plausibile) afferma che il nome di YHWH fosse rivelato agli Israeliti soltanto all'epoca di
Mosè ... E non condivide la dimensione universale di J ...
a differenza di J egli deplora l'esistenza della monarchia e desidera dimostrare che YHWH ha
elaborato antiche istituzioni di tipo assai diverso. Per E la storia era soltanto il luogo dove
Israele poteva dimostrarsi obbediente o disobbediente alla volontà di Jahvè.
In questo quadro la monarchia era un fallimento.
L'eroe per eccellenza era stato Mosè che non fu mai un re ...
I giudizi morali sono più frequenti e meditati e gli errori più piccanti della condotta dei
patriarchi vengono ignorati ...
Sebbene lo stile di questo storico settentrionale non sia energico e vivace come quello di J,
egli dimostra una notevole sottigliezza psicologica. Gli piace dimostrare in che modo
l'obbedienza degli esseri umani a YHWH viene messa alla prova duramente ... "(da "L'antica
civiltà di Israele" pp 140-142).
JEHOVISTA : con questo termine (sigla JE) gli studiosi intendono la fusione che si sarebbe
prodotta tra J ed E. Quando ?
Il momento ideale si pensa sia stato quello di Giosia, allorché come sappiamo si è ricuperata
la riunificazione tra Sud e Nord, approfittando della decadenza dell'Assiria (cf 2Re 23).
Però la notizia non si può dimostrare in modo apodittico per il silenzio delle fonti.
La Legge del Signore
20
"La storia jahvista era apparsa in Giuda e quella elohista in Israele (molto probabilmente) e la
loro unione fu fatta con grande lavoro ed accurata deliberazione certamente per uno scopo
ben preciso, per un forte motivo. Quale fu lo scopo di tale congiunzione e quando avvenne ?
Nell'opera stessa sono ben pochi gli indizi ... La sola risposta possibile è che ciò accadde al
tempo di Giosia, quando il re volle riunire i due regni" (Vogt).
LA FONTE DEUTERONOMISTA DEL PENTATEUCO
Cf. P. D AQUINO, voce “Deuteronomista” in "Dizionario teologico interdisciplinare" I pp
675-691.
Il discorso relativo a questa tradizione si pone in termini diversi rispetto a quello
dedicato alle fonti JE. Lo studio comprende due capitoli distinti : il primo riservato al libro
del Dt, il secondo riguardante la storiografia deuteronomista.
- Il primo studioso che abbia affrontato scientificamente la problematica posta dal Dt è W.
Martin Leberchet DE WETTE con la sua tesi di laurea del 1805 : "Dissertatio critica, qua
Deuteronomium, a prioribus Pentateuchi libris diversum, alius cuiusdam recentioris auctoris
opus esse demonstratur" .
De Wette ha avuto due intuizioni validissime ancora oggi :
+ è lui che per primo ha identificato nel Dt "il libro della Legge" scoperto nell'anno 822
sotto Giosia, durante i lavori di restauro del tempio (2Re 22);
+ il quinto libro di Mosè ha caratteristiche di linguaggio e di contenuto, che si ritrovano
anche nei libri a lui successivi, da Gs a 2Re.
Argomenti prodotti :
- Risulta dal racconto biblico di 2Re 22 che il libro della legge scoperto nel tempio possiede
un carattere minaccioso, capace di suscitare terrore : "udite le parole del libro il re si lacerò le
vesti" (22, 11).
Questa qualifica si ritrova in Dt 27-28 (= benedizioni e MALEDIZIONI).
- le misure di riforma intraprese da Giosia corrispondono a precise disposizioni del Dt. Vedi
la centralizzazione del culto nel tempio : mettere a confronto 2Re 23 con Dt 12. Oppure le
norme nuove relative alla celebrazione della Pasqua nel santuario centrale : fare la sinossi di
2Re 23,21-23 con Dt 16,1-8.
Il divieto della prostituzione religiosa e delle altre pratiche pagane come il culto a Moloch, la
divinazione, la evocazione degli spiriti (23,7 e Dt 23,18-19).
Fisionomia del Dt
Qs libro "ha una sua propria entità e autonomia". Nel testo masoretico si presenta come
l'insieme di 4 grandi discorsi di Mosè, pronunciati alla soglia della terra promessa, nel paese
di Moab, alla vigilia stessa della entrata nella terra di Canaan, nel giorno stesso della sua
morte.
Questi discorsi denunciano dunque il carattere di Testamento di Mosè ; sono discorsi d'addio,
genere letterario ben conosciuto nell'antichità : si pensi a Gn 49 per Giacobbe, 1Sm 12 per
Samuele, 2Re 2 per Davide, Gv 13-17 per Gesù e At 20 per Paolo ...
Nb ! Il nome Dt proviene da una errata interpretazione del TM da parte della LXX che ha
reso Dt 17,18 con "deuteron nomon" = seconda legge, invece che "una copia della legge"
La Legge del Signore
21
come sarebbe corretto. I traduttori greci hanno visto nel Dt un aggiornamento-riedizione della
legislazione sinaitica.
- Ecco l'inizio dei QUATTRO DISCORSI
+ 1,1: "Queste sono le parole che Mosè rivolse a tutto Israele oltre il Giordano nel
deserto, nella valle dell'Arabah ... "
+ 4, 44: "Questa è la legge che Mosè espose agli Israeliti. Queste sono le istruzioni, le
leggi e le norme che Mosè diede agli Israeliti ... "
+ 28,69: "Queste sono le parole dell'alleanza che il Signore ordinò a Mosè di stabilire
con gli Israeliti nel paese di Moab, oltre all'alleanza che aveva stabilito con loro
sull'Oreb ... "
+ 33,1: "Ed ecco la benedizione con la quale Mosè, uomo di Dio, benedisse gli Israeliti
prima di morire ... "
- Giudizio : analizzando più da vicino questa struttura ci si accorge che essa è imposta
dall'esterno, è di superficie, non corrisponde alla unità interna dell'opera. Al di là di essa si
intuisce la presenza di un altro piano regolatore, anche se non subito afferrabile, ma senz'altro
sottostante alla sua percettibile unità organica.
Inoltre appare evidente la finzione letteraria : quale differenza tra questo Mosè
omileta, predicatore moraleggiante ed il Mosè guida del popolo proposto dalla tradizione
Jahvista ! Tutto questo fa nascere dei problemi : Come è nato e si è formato il Dt ? Qual è il
suo principio unitario, la sua struttura dinamica ?
Storia della formazione dell'opera
"Uno dei punti fondamentali nella discussione del Dt è il problema della sua origine" (Ska).
Patria del Dt è il regno del Nord (almeno del nucleo originale dell'opera). Gli argomenti
per comprovare questa affermazione sono le dipendenze di temi e di linguaggio con il
racconto Elohista e le tradizioni profetiche che sono nate nell'Israele del Nord = somiglianze
di vocabolario e di contenuto :
+ i termini Oreb o "temere il Signore" ;
+ interesse per il popolo e per la sua permanenza nella terra, più che per l'espansione del
territorio nazionale ;
+ assenza della ideologia regale e del messianismo ;
+ esigenze morali molto alte, il comportamento morale come "timor".
- Von Rad precisa ulteriormente le cose allorché, operando un'analisi morfologica del
materiale, parla della nascita dell'opera negli ambienti levitici del Nord, a motivo del suo
carattere omiletico, di "legge predicata".
Questi leviti erano dei predicatori itineranti, forse legati ai santuari locali, che passavano di
paese in paese, esortando con insistenza alla pratica della Torah. Il tono dei loro interventi era
caldo e appassionato.
Il Dt "parla agli uomini dell'VIII - VII secolo e forse agli uomini del distrutto regno
settentrionale ... al Nord anche dopo la distruzione di Samaria esistevano molti israeliti
credenti e fiorivano circoli di genuina vita religiosa : l'autore di Dt è figlio e portavoce di un
movimento religioso della provincia assira di Samaria" (Vogt).
Dello stesso parere anche Grelot : "L'origine del Dt e la sua prima redazione può collocarsi al
secolo VIII negli ambienti levitici originari del Nord, probabilmente presso il santuario di
Sichem cf Dt 27,11-13".
La Legge del Signore
22
"A quanto pare i sacerdoti leviti erano incaricati di esporre, spiegare, inculcare la legge :
un'attività letteraria di tipo retorico. In qs tradizione andò formandosi il materiale che
finalmente arrivò ad essere libro" (Alonso).
Qualche altro autore (Weinfeld) parla di origine sapienziale e scribale del Dt.
- E’ probabile che dopo il 722 questi circoli riformisti, influenzati dalla predicazione
profetica, siano emigrati al Sud portando con sé il materiale elaborato. E' difficile sapere se le
norme del Dt abbiano già potuto influenzare la riforma religiosa avviata da Ez (cf 2Re
18,22)…
La scomparsa del testo risulta attendibile se teniamo presente la situazione religiosa di
Giuda durante il lungo regno di Manasse : 55 anni di regno del tutto sottomesso all'Assiria in
materia politica e religiosa.
"Il Dt esprime le tendenze riformatrici degli ambienti levitici che lottavano contro il
sincretismo religioso e i rilassamenti morali appoggiandosi sulle tradizioni più autentiche
dell'Antico Israele.
Questi leviti erano in maggioranza dei rifugiati fuggiti dall'antico regno del Nord in
occasione delle invasioni assire prima della caduta di Samaria nel 722" (TOB).
- Il libro della Legge rinvenuto nel 622 non rappresenta tutto il Dt attuale ma piuttosto il suo
corpo centrale : qualcuno lo vede nel blocco dei cc 12-26, qualche altro autore (Vogt) lo
amplia ulteriormente incorporando anche il secondo grande discorso cioè dei cc 5-28. Codice
Deuteronomista propriamente detto.
All'epoca dell'esilio il Dt ha conosciuto una seconda edizione con la composizione dei cc 1-4
in testa e di 29-30 in coda. Vi si afferma la necessità della conversione per conseguire la
grazia del ritorno : Israele che sta per entrare nella terra di Canaan diventa la figura modello
per il ritorno degli esuli da Babilonia a Gerusalemme.
Allorché infine in epoca postesilica venne redatto il Pent, l'inserimento del Dt come
quinto libro di Mosè ha comportato modifiche ulteriori ; è entrato il c 27 e sono stati aggiunti
i cc 31 a 34.
Forma letteraria e struttura del Dt
La struttura interna, soggiacente del Dt è rappresentata dal genere letterario dei trattati politici
di vassallità. "E’ chiamato : "Bundesformular".
E’ un genere ben conosciuto nella letteratura antica extrabiblica ; lo si incontra nel mondo
mesopotamico e soprattutto nell’ambiente hittita.
cf V. KOROSEC, Hetitische Staatsvertrage, Leipzig 1931
- D. J. Mc CARTHY, Treaty and Covenant, AnBib 21A, Roma 2ed 1978
- Per una raccolta delle fonti cfr ANET, Legal Texts, 159-222
- Di che si tratta ? I trattati di vassallaggio provengono evidentemente dal mondo diplomatico
e rispondono a situazioni ricorrenti nella vicenda politica dei popoli. Lo stato più forte
vincola a sé gli staterelli più deboli, cooptandoli con un patto-alleanza. In forza di questo
vincolo giuridico il signore si impegna ad assicurare incolumità e protezione al vassallo e
questi si obbliga alla fedeltà nei confronti del contraente maggiore.
La loro struttura non era rigida, tuttavia rispettava uno schema di base, che
comprendeva i seguenti elementi :
La Legge del Signore
23
a) un prologo storico : richiamava i precedenti dell'accordo e serviva di esortazione alla
fedeltà ;
b) le clausole del patto : gli impegni reciproci da osservare ;
c) benedizioni e maledizioni : i vantaggi della fedeltà, i danni della trasgressione.
- Questa istituzione del mondo politico è stata assunta dal linguaggio religioso di Israele, è
servita a configurare le relazioni tra Dio e il suo popolo.
YHWH è come il signore, il sovrano che offre il patto, che propone l'alleanza ; il popolo è il
vassallo, che cerca in Dio protezione e difesa, impegnandosi in cambio alla fedeltà, la quale
consiste nella osservanza dei comandamenti.
Questo genere lo si riconosce in Es 19-24 (sezione dell'alleanza) e con grande chiarezza in Gs
24 (rinnovo dell'alleanza in Sichem).
Quando poi il vassallo tradisce la fedeltà dovuta al signore, allora questi può denunciare la
rottura del patto e istituire un processo contro il partner infedele ; in questo caso abbiamo il
RIB = giudizio bilaterale, di cui un ottimo esempio è fornito da 1Sm 12,7-25.
- Anche il movimento deuteronomista ha assunto questa struttura del mondo diplomatico e se
ne è servito come schema interpretativo del fatto religioso, come strumento per capire il
rapporto dell'uomo con Dio.
La religione jahvista è un patto di amore, amicizia e solidarietà tra il Signore e il suo
Israele ; è un patto reciproco, un'alleanza a due, bilaterale, impegna entrambi.
In questo stampo è calato l'intero libro del Dt e le sue singole parti.
Il materiale dell'opera organizzato secondo il formulario dell'alleanza risulta quindi così
distribuito :
a) prologo storico (cc 1-4) : Mosè in qualità di mediatore richiama il passato salvifico,
rievoca con passione i benefici di Dio verso Israele ;
b) le clausole del patto : "le dieci parole" al c 5; mentalità con cui praticare la legge : 5-11;
Codice deuteronomista : 12-26 ;
c) abbozzo di un rito di alleanza : la legge scritta su pietre e assenso del popolo al c 27
d) benedizioni e maledizioni : c 28.
Struttura del Deuteronomio - secondo A. CHOLEWINSKI
1°) Dt 1-3 : è il prologo di tutta la grande opera storica Dtr che introduce i temi teologici di qs
storia e cerca di situare in un contesto più ampio il discorso centrale di Mosè : 5-28. Sono
indubbie le linee di pensiero che legano qs sezione a Dt 5-28 e a tutta la storia dtr.
2°) Dt 4,1-40 : è un'unità a parte. Proviene dagli autori della storia dtr, probabilmente in
occasione della seconda edizione alla fine dell'esilio. Vuole essere una riproposizione delle
idee centrali di Dt 5-11 per la generazione che vive in esilio.
3°) Dt 4,44-28,68 : è il discorso centrale identico a Urdt ritrovato nel 621.
Esso si divide nelle seguenti parti :
a) 4,44-11,31 è un insieme di varie unità letterarie con mescolanza di parenesi a
commento del comandamento principale, dell'alleanza, quello della fedeltà e
dell'amore, e di storia come motivazione in più per aderire alla volontà del Signore.
Questa è l'esatta funzione dei prologhi storici nei trattati di vassallità.
b) Dt 12,1-26,15 contiene le leggi particolari
La Legge del Signore
24
c) 26,16-19 contiene il rito di stipulazione dell'alleanza mediante il reciproco
giuramento
d) 28,1-68 è il capitolo delle benedizioni e maledizioni
In tutta questa parte troviamo la più piena espressione dell'alleanza in analogia ai trattati di
vassallaggio.
4°) Dt 27 : è senz'altro un'aggiunta posteriore. Mostra come nella liturgia del patto sono
indispensabili i riti delle offerte, l'erezione di una stele e l'assenso di tutto il popolo alle leggi
proclamate
5°) Dt 28,69-30,20 : comprende il terso discorso di Mosè, anch'esso con ogni probabilità
redatto dagli autori della storia dtr. Presenta in miniatura la struttura interna del
Bundesformular : c'è il prologo storico con parenesi, elenco delle parti tra cui si stipulerà
l'alleanza, il comandamento principale, maledizioni e benedizioni.
6°) Dt 31 : è un misto di unità letterarie di diversa provenienza.
La nomina di Giosuè come successore di Mosè (1-8) ; la teofania all'ingresso della tenda del
convegno (14-15) ; introduzione al cantico di Mosè (16-22) ; prescrizioni circa la lettura e la
deposizione del Documento dell'alleanza (9-13. 24-29). "E’ probabile che questo miscuglio di
testi sia opera dei deuteronomisti come elementi di transizione alla storia successiva.
7°) Dt 32 : è un cantico, sorto indipendentemente da Dt, e inserito qui probabilmente dalla
scuola dtr
8°) Dt 33 : la "benedizione" di Mosè alle singole tribù. Poesia che proviene da una fonte
indipendente. Appare come il testamento di Mosè alla vigilia della sua morte, come una
profezia efficace pronunciata da Mosè profeta, uomo di Dio.
9°) Dt 34 : la descrizione della morte di Mosè è il seguito logico di 32,48-52 (P). Qui
concorrono Dtr e P (1. 7-9).
Il linguaggio del Dt
Ha uno stile unico, inconfondibile. "Molto" originale ed enfatico" (Grant). "Retorico,
ripetitivo e un po' pesante" (Alonso). E' il linguaggio del cuore ; quella del Dt è una
"theologia cordis". Non è un discorso che si limita ad informare e si rivolge solo alla testa
dell'uditore, vuole impressionare, coinvolgere, convincere, convertire.
A questo contribuisce l'uso familiare del "tu", che stabilisce un rapporto personale,
dialogico (la seconda persona è tipica della funzione impressiva del linguaggio) e la presenza
di formule stereotipe, che possono infastidire il lettore moderno, ma che si capiscono bene in
una cultura della oralità.
"I predicatori usano, quasi sperperano sinonimi senza precisare il senso differenziato di ogni
termine (ad es. 7 termini per comando) ... adoperano parecchi aggettivi (rari in ebraico) …
ma non dimentichiamo che il Dt era prima di tutto predicazione orale, destinata all'ascolto.
Declamando ad alta voce, questo libro risulta più accettabile ...
Nella predicazione della Legge abbonda la motivazione ricavata dal passato, che è la
storia dei benefici divini e del futuro, che è carico di promesse e di minacce" (Alonso).
- Linguaggio dunque parenetico, aggressivo, immediato, vuole inculcare.
"Inculcare" è espresso in ebraico con la forma intensiva del verbo che significa "scavare un
pozzo = be’er" a forza di ripetere e di insistere, la legge penetra negli ascoltatori. Si leggano
come esemplari i cc 6-11.
La Legge del Signore
25
- G. VON RAD, La predica del Deuteronomio e la nostra predica, in "Scritti del Vecchi
Testamento" Jaca Book 1984 pp 139-156
Il messaggio del Dt
La portata teologica del "Dt è grande, possiede un alto significato, soprattutto se si tiene
presente il periodo della sua composizione e il problema dell'impatto di Israele con la cultura
e religione cananaica. E' uno dei libri più belli di tutto l'AT.
Per una sintesi della teologia del Dt cfr N. LOHFINK, Ascolta Israele, Queriniana BS
- Il Dt non si presenta come una storia sacra sul modello delle fonti JE.
E' piuttosto un ripensamento sul passato salvifico operato dagli ambienti più sensibili di
Israele nell'VIII e VII secolo. Si tratta di una meditazione retrospettiva, di una meditazione
dell'esodo e dell'alleanza.
Con terminologia più appropriata parleremmo di un "midrash" , cioè di una rilettura
attualizzante dei grandi interventi di Dio a favore di Israele, per mostrarne il significato per la
generazione presente : "Il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un'alleanza sull'Oreb. Il
Signore ha stabilito questa alleanza non con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti
in vita" (Dt 5,2-3). Dio tramite il finto Mosè continua a parlare all'Israele monarchico, che
subisce il fascino delle divinità della terra di Canaan.
- Il Dt esalta l'amore appassionato e geloso di Dio per il suo popolo, che si esprime nel dono
della elezione e della liberazione (cf 7,6-8) ; nell'offerta della Parola di Dio che è legge di vita
per il popolo (cf 30,15-20), è vicina al cuore dell'uomo, cioè corrisponde alle sue attese, ai
suoi veri bisogni (cf 30,11-14) e costituisce la sapienza e il prestigio di Israele (4,6-8).
Altro grande segno salvifico è la Terra, che il Dt esalta con notevole enfasi, per
scongiurare il pericolo di perderla. Ritorneremo su questo capitolo nello studio della teologia
dell'esodo (cf 11 ,10ss).
Il Dt è pervaso da un profondo senso di Dio, del Dio unico che ha scelto Israele e si è
impegnato con questo popolo, amandolo con affetto di predilezione (cf 10,14-15), che vuole
vita e felicità per il suo popolo (quante volte si incontra l'espressione "perché tu sia felice" ...
4,40 ; 6,3 ... ).
- La risposta dell’uomo : "Tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio e il Signore ti ha
scelto, perché tu fossi il popolo privilegiato, fra tutti i popoli che sono sulla terra" (14,2).
Da questa dignità e condizione scaturiscono delle conseguenze pratiche nella vita del popolo.
Troviamo spesso nel Dt il passaggio dall'indicativo all'imperativo : se le cose stanno così e
così, se il Signore ti ha voluto bene, come dovrai tu agire ... "Osserva DUNQUE i comandi, le
leggi e le norme che oggi ti do , mettendole in pratica" (7,11) cf anche 8,17 ; 10,12 ; 11,8.
- L'atteggiamento fondamentale è quello dell'ASCOLTO ; Israele si concepisce come il
popolo dello shema' (si tratta del celeberrimo testo di Dt 6,4-8 diventato a partire dal
Giudaismo la preghiera quotidiana dell'ebreo credente).
Cf A. MELLO, "Ascolta Israele" : l'ascolto della Parola nel Dt, in PSV 1 pp 27 - 41.
L’ascolto è poi orientato alla sequela di YHWH, che si ha nella messa in pratica del suo
volere : "Quanto il Signore nostro Dio ti avrà detto noi lo ascolteremo e lo faremo" (5,27).
Cf F. FESTORAZZI, Israele alla sequela del Signore. "Seguite il Signore vs Dio" (Dt 13,5) in
PSV 2 pp 25-43.
La Legge del Signore
26
- Le esigenze basiche dell'Alleanza trovano la loro formulazione essenziale nelle "Dieci
Parole", cioè nel Decalogo riportato al c 5 ; esse sono poi completate dalle "leggi e
prescrizioni" di 12-26. Il Decalogo costituisce la magna cartha dell'alleanza, lo statuto
fondamentale, le norme che seguono regolano i vari settori della vita. Più esattamente :
- i cc 12-1 8 : corrispondono alla prima tavola del Decalogo, riguardano le relazioni di Israele
con Dio, trattano della fedeltà del popolo verso YHWH
+ nel mantenimento dell'unità di culto (centralizzazione) al c 12
+ nel mantenimento dell'unità di fede cc 12,29-13,19
+ nel mantenimento della purità di culto (I4,l-21a).
+ nella partecipazione alle ricorrenze festive (14,21b-16,17).
+ nel rispetto delle istituzioni di cui Israele si è dotato per garantire l'esercizio della
giustizia (giudici, sacerdoti, re e profeti) (cc 17-18).
- La seconda tavola del Decalogo è rispecchiata dalla normativa dei cc 19-25 capillarizza i
doveri dell'uomo verso l'uomo, il rispetto verso la vita e viene regolata una molteplicità di
situazioni :
+ come comportarsi in caso di omicidio involontario e di appropriazione indebita (e 19).
+ rispetto verso i vinti di guerra (20).
+ verso la donna prigioniera, il primogenito, i genitori vecchi (21).
+ rispetto alla vita nell'ambito della sessualità (22).
+ gli esclusi dall'assemblea in nome della purità legale (23).
+ rispetto per i poveri e i non abbienti (24).
+ rispetto per la dignità e il buon nome del prossimo (25).
- La distribuzione del materiale in due parti "riflette già una concezione logica. L'esistenza
umana si esplica sulla base del rapporto con Dio e del rapporto con gli altri uomini. Le regole
di vita sociale, politica ed etica sono date da Dio ed hanno un valore religioso ; l'esecuzione
di queste regole e la professione di fede, è atto di fedeltà verso Dio" (Merendino).
C'è nel Dt un profondo rispetto verso l'uomo ? Alcune norme sono altamente
umanitarie : si veda la legislazione verso gli schiavi in 15,12-18 ; l'attenzione verso il povero
(gli strati deboli della società sono ; forestieri, orfani, vedove e leviti) cf c 24. Non sfugga
quel felicissimo dispositivo : "Quando un uomo si sarà sposato da poco, non andrà in guerra e
non gli sarà imposto alcun incarico ; sarà libero per un anno di badare alla sua casa e fare
lieta la moglie che ha sposata" (24,5).
- D'altra parte la prospettiva è NAZIONALISTA ; i "fratelli" sono i membri del popolo, i
componenti della comunità, non gli stranieri. Manca del tutto una prospettiva missionaria
come atteggiamento di apertura, dialogo, assunzione dei valori dall'ambiente circostante. Il
clima è piuttosto di chiusura, di cittadella assediata, quindi difensivo. L'epoca storica con il
pericolo del sincretismo (contaminazione della fede con la religione Cananea) non consentiva
un comportamento diverso. Si capisce in questa atmosfera la pratica dello sterminio (cf
20,27) e la legge del taglione (19,21).
- Per un ritratto dei deuteronomisti cf il salmo 1 : descrive efficacemente questi uomini dotti e
pii che si dedicavano allo studio della Legge.
La Legge del Signore
27
LA STORIOGRAFIA DEUTERONOMISTA
Il Deuteronomio, il quinto libro di Mosè, è un'opera bifronte, guarda
contemporaneamente in dietro e in avanti : si volge indietro ai quattro libri che lo precedono e
di essi si pone come epilogo, guarda in avanti ai libri che lo seguono e ad essi si offre come
esordio.
Per "storia deuteronomista" si intende quel complesso narrativo, che abbraccia i libri di Gs,
Gdc, Sm e Re ; si potrebbe pertanto parlare di "pentateuco deuteronomista" prendendo il Dt
come introduzione.
L'arco storico compreso in questa grande narrativa è la vicenda di Israele dall'ingresso nella
terra con Giosuè alla perdita della terra con l'esilio.
Il primo ad intuire le affinità di linguaggio e di ideologia tra il Dt e i libri che seguono fu
sempre M. L. De Wette nella già citata tesi dell'anno 1805. La interpretazione di De Wette
non fu ripresa e discussa per più di un secolo, anzi vennero effettuati dei tentativi per
rovesciarla :
cf G. HOLSCHER, Komposition und Ursprung des Deuteronomiums, 1922.
- T. OESTREICHER, Das Deuteronomische Grundgesetz, Gutersloh 1923
Ma "essa regge fino ad oggi, rimanendo uno dei punti più saldi ed indiscussi della scienza
biblica moderna" (Cholewinski).
- E' stato Martin NOTH a riaprire l'interesse ad a mostrare la fondatezza della intuizione di
De Wette. "Nella sua famosa opera 'Ueberlie-ferungsgeschichtiliche Studien' del 1943,
questo illustre scienziato presenta al mondo la sua ipotesi, divenuta quasi subito certa teoria,
secondo la quale i libri di Gs, Gdc, 1e 2Sm, 1e 2 Re costituiscono un'unica grande opera
storica ; la cosiddetta Storia deuteronomistica, che mette insieme diversi materiali (per es gli
annali dei re) e tradizioni storiche che ricoprono un vasto periodo di tempo che va dagli
ultimi anni di Mosè fino all'inizio dell'esilio.
A tale scopo all'inizio di questa storia viene messo il Dt perché serva come criterio per
giudicarla e condannarla" (Cholewinski). R. Noth di conseguenza non parla di "pentateuco"
come vuole la tradizione, né di Esateuco come Wellhausen e Von Rad, ma piuttosto di
"tetrateuco", sganciando dalla Torah il Dt. "Questa teoria di Noth è stata comunemente
accolta da molti scienziati e sembra essere ben fondata" (Cholewinski).
- H. Cazelles nella sua "Storia politica di Israele" la presenta così ; "Nel secolo VII aC, ma
più probabilmente alla fine dell'VIII, dopo la scomparsa del Regno di Israele che poneva
terribili problemi teologici, vede la luce la storiografia deuteronomica. E' un'opera
nuovissima centrata sul tempio di Gerusalemme, ma anche in connessione stretta con la
storiografia profetica del secolo precedente.
Essa utilizza ancora modelli babilonesi giudicando i re secondo le loro fedeltà o infedeltà al
santuario nazionale oppure tentando una storia sincronica dei due Regni. I patriarchi passano
sullo sfondo, di loro si conservano solo le promesse e il giuramento fatto a YHWH.
Essa conosce la monarchia e questa viene controllata e sorvegliata dalla Legge, dai preti leviti
che l'hanno in deposito e dai profeti.
Questa storia incomincia con il Dt e termina con i libri dei Re. Essa avrà un duplice aspetto :
molto colta nella sua utilizzazione delle fonti cittadine e ufficiali ; molto popolare
nell'adoperare i cicli sui profeti itineranti come Elia ed Eliseo".
La Legge del Signore
28
- Questa ricostruzione storica non deve essere vista come una creazione ex novo, quale
iniziativa di un autore o di una scuola che redigono un nuovo prodotto di teologia narrativa
per dare seguito a J ed E.
La vicenda di Israele dopo l'ingresso nella terra viene condotta con l'ausilio di antiche
tradizioni e documenti, che sono stati utilizzati in un'ottica particolare. Si tratta di un lavoro
prevalentemente redazionale, di una rielaborazione-teologizzazione di materiale preesistente.
Propria della "scuola deuteronomista" è la impalcatura teologica.
Esistevano già infatti le tradizioni relative alla conquista della terra e alla spartizione del
Canaan tra le diverse tribù.
Si conoscevano le gesta degli antichi giudici e le vicende dell'Arca nella lotta contro i Filistei,
già esisteva il "racconto dell'ascesa" e la "narrativa della successione" a Davide, il "libro delle
gesta di Salomone" e gli "Annali dei re di Israele e di Giuda", come anche le sezioni narrative
di Elia, Eliseo, Isaia ... (tutto materiale questo già valutato nel suo spessore storico) .
- Tutte queste fonti sono state rispettate e incorporate. In che cosa dunque si situa l'apporto
della storia dtr ? E' un semplice raccoglitore di pezzi staccati o un vero autore l'individuo che
ha combinato insieme questi documenti ?
L'indole della redazione dtr si fa notare negli elementi di raccordo tra i vari plessi narrativi,
nella impostazione generale, nello schema teologico impresso a tutto il materiale.
La Weltanschauung del Dtr si coglie in alcuni pezzi composti ad hoc, allorché l’autore
avanza sulla scena e si espone con il suo giudizio sugli avvenimenti. Pagine significative al
riguardo sono :
^ Gs 1 : parole di Dio a Giosuè prima dell'ingresso nella terra ;
^ Gs 23 : il "testamento" di Gs dopo la conquista ;
^ 1 Sm 12 : il testamento di Samuele ;
^ 1 Re 8 : preghiera di Salomone per la dedicazione del tempio.
Quando mancano i personaggi che con i loro discorsi possono veicolare le idee del Dtr, allora
il redattore interviene di persona, sospende la narrazione e inserisce il suo giudizio di teologo.
Così capita in
^ Gdc 2,11-23 : premessa teologica al libro dei Giudici ;
^ 2Re 17,7-41 : bilancio dopo la caduta di Samaria.
Per tastare il polso al Dtr bisogna rifarsi a questi pezzi rivelativi.
Qui appare una teologia della storia nell'ottica della fedeltà al Patto. Lo schema è quello
conosciuto del "pragmatismo a quattro tempi" ; ribellione, castigo, pentimento-invocazione,
salvezza.
"I deuteronomisti inseriscono nell'opera brevi frasi e riflessioni che esprimono le loro idee e
le pongono sulla bocca di personaggi famosi (Mosè , Samuele , Davide , Salomone) e ci
danno la storia del popolo di Israele durante sette secoli.
Il tema fondamentale è che la parola annunciata da Mosé e dai profeti si è compiuta nella
storia. Tutta la storia della salvezza è un alternarsi dei grandi benefici divini seguiti dalla
disobbedienza del popolo e dai castighi dovuti a tale disobbedienza ; con la conversione si
ottiene una nuova salvezza" (Vogt).
La Legge del Signore
29
La fedeltà al Signore si esprime poi concretamente nella osservanza della Legge, quella
condensata nel Codice dtr. Indicativo a questo riguardo è l'uso della espressione "questa
legge" (Gs 1,8 ; Gs 23,6).
- Quando è stata composta la storiografia deuteronomista ? Per la sua redazione scritta
sembra si debbano distinguere due tempi.
^ Epoca di Giosia : un autore principale (o équipe) scrive una "storia di Salomone e dei Re"
giudicando il passato monarchico di Israele alla luce dei criteri già individuati.
Nota importante : questi autori hanno bisogno di giustificare la distruzione del venerando
santuario di Betel (ricordare 2Re 23,15ss) : a tale scopo inseriscono l'episodio dell'uomo di
Dio, del profeta anonimo che in 1Re 13,2 condanna il culto scismatico di Geroboamo :
"Altare, altare ! così dice il Signore : ecco nascerà un figlio della casa di Davide, di nome
Giosia, che ti profanerà".
^ Tempo dell'esilio : è il grande momento della riflessione, del ripensamento, del "bilancio
dopo la catastrofe". E' in questo contesto che i "deuteronomisti" propriamente detti,
compongono le sezioni 1-4 e 29-30 del Dt e fanno di questo libro l'esordio della grandiosa
opera che segue.
cf K. LOHFINK, Bilancio dopo la catastrofe. L'opera storica deuteronomistica, in Schreiner
pp 317-336
A quale scopo ? I dtr mostrano che l'esilio è la giusta peno dell'antica idolatria e ribellione del
popolo all'alleanza : è il momento del giudizio di Dio, del castigo di tutta la nazione.
Sarà la fine di tutto ?
I dtr non sono profeti, uomini carismatici, con una rivelazione speciale da trasmettere,
sono piuttosto pensatori religiosi, teologi, guardano il futuro con il sostegno delle leggi
religiose del passato : "Le cose occulte = future appartengono al Signore nostro Dio, ma le
cose rivelate = passate, sono per noi e per i nostri figli, perché pratichiamo tutte le parole di
questa legge" (Dt 29,28).
2Re sappiamo che termina con uno spiraglio di speranza : la riabilitazione di Joiachin (25,27.
29). Tutto non è perduto : adesso bisogna accettare responsabilmente il castigo di Dio per i
peccati commessi : " ... per questo si è accesa la collera del Signore contro questo paese,
mandandovi contro tutte le imprecazioni scritte in questo libro. Il Signore li ha strappati dal
loro suolo con ira, con furore e con grande sdegno e li ha gettati in un altro paese, com'è
ancora oggi" (Dt 29,26-27).
Ma la storia insegna che alla tappa del castigo fa seguito il momento della salvezza, se il
popolo ritorna al Signore e alla fedeltà al patto. Ed è a questo che i dtr si impegnano : a
promuovere la conversione del popolo, affinché possa ritornare nella terra.
Il ritorno nella terra è come una riconquista : "Ma di là cercherai il Signore tuo Dio e lo
troverai se lo cercherai con tutto il cuore e con tutta l'anima. Con angoscia, quando tutte
queste cose ti saranno accadute, negli ultimi giorni, torna al Signore tuo Dio e ascolta la sua
voce, poiché il Signore tuo Dio è un Dio misericordioso ; non ti abbandonerà e non ti
distruggerà, non dimenticherà l'alleanza che ha giurato ai tuoi padri" (Dt 4,29-31).
Leggere nella stessa prospettiva 1Re 8,46-51 (invito rivolto agli esiliati a pregare in direzione
di Gerusalemme) e 2Re 17,12-15.
Val la pena di ricordare anche come la "scuola dtr" ha rivestito grande importanza nella
trasmissione della predicazione profetica e nella rilettura-rielaborazione degli oracoli (cf libri
di Amos, Osea, Michea e soprattutto Geremia (fonte C).
La Legge del Signore
30
Per un approfondimento della fonte D si possono consultare questi contributi di N.
LOHFINK nella sua opera "Le nostre grandi parole", Paideia - Brescia 1986.
- Pluralismo. La teologia come risposta a crisi di plausibilità dinanzi al sorgere di situazioni
pluralistiche, trattata sull'esempio del codice deuteronomico, pp 29-50.
- Signoria. La signoria di Dio come eliminazione del dominio dell'uomo nella teologia
deuteronomica, pp 51- 64.
- Separazione dei poteri. Le leggi del Deuteronomio sugli uffici come progetto di una
costituzione che prevede la separazione dei poteri e il diritto canonico cattolico, pp 65- 86.
LA MATRICE SACERDOTALE DEL PENTATEUCO
cf la voce "Sacerdotale" (P) curata da E. Cortese nel "Dizionario Teologico Interdisciplinare"
vol 3 pp 170-184
cf R. KILIAN, Il documento sacerdotale. Speranza nel ritorno, in "Schreiner" pp 363-390
Studiamo per ultimo questo strato per seguire l'ordine cronologico assai probabile di
apparizione del materiale. Nella storia della scienza biblica moderna, il primo studioso che
abbia identificato e circoscritto questa fonte è J. G. Eichhorn, morto nel 1827.
La denominazione tradizionale di "Priestercodex" = Codice presbiterale per indicare la fonte,
risulta impropria, perché insufficiente, inadeguata. Infatti lo strato sacerdotale non è limitato
ad un codice di Leggi (il Levitico), ma comprende anche una storia sacra, parallela a J ed E.
- Circa le caratteristiche formali della fonte P possiamo dire :
^ Lo stile, il modo di scrivere è facilmente individuabile ; è inconfondibile come il linguaggio
dtr.
^ Vocabolario specifico : espressioni come "questi sono i nomi" ; "questa è la genealogia" ;
"Io sono YHWH" ; "erigere il patto" ... sono tipiche di questo strato.
^La datazione accurata (anno, mese, giorno), l'amore per la precisione : la cronologia non è
quella monarchica ma quella del tempio.
^ Passione per le genealogie : non tutti i testi genealogici sono sicuramente di P, però il
ricorso a questa forma letteraria è una sua peculiarità. Rappresentano una parte notevole.
Costituiscono pezzo di collegamento tra le varie sezioni narrative, rivelano soprattutto una
preoccupazione di ordine, legittimità, purezza razziale.
"Interesse comprensibile in un popolo sradicato" (Briend).
^ interesse speciale accordato alla figura di Aronne, visto come capostipite del sacerdozio in
Israele, e alla organizzazione del culto.
^ Gusto per la simmetria : ama i procedimenti concentrici. I racconti sono in funzione di
determinati istituti giuridici (sabato, circoncisione, pasqua ... ).
Complessivamente è uno "stile arido e incolore" (Harrington).
Linguaggio a livello "tecnico", piuttosto freddo e monotono.
cf R. BORCHERT, Stil und Aufbau der priesterlichen Erzahlung, Heidelberg 1956
- Ambiente di provenienza : le tradizioni storiche insieme con il materiale liturgico e
giuridico di P sono da tutti gli studiosi ritenute prodotto ed espressione dell'ambiente del
Tempio, del clero di Gerusalemme. Questa interpretazione è corretta.
La Legge del Signore
31
Conosciamo dalla Storia di Israele la straordinaria importanza del Tempio e dell'elemento
sacerdotale ad esso collegato ; valore notevolmente accresciuto dopo la centralizzazione forse
avviata da Ezechia e sicuramente messa in atto da Giosia.
Il clero costituiva una categoria ben definita della popolazione ed era una classe di potere,
non solo religioso ma anche politico. Pensiamo alle frizioni della classe sacerdotale con il
carisma interpretato dai profeti (Amos, Michea, Geremia ... ).
L'esercizio del culto comprendeva oltre alla prassi sacrificale anche la "istruzione" del popolo
e forse l'animazione della preghiera comunitaria come sembra far capire la struttura di alcuni
salmi. Tutto ciò domandava preparazione, competenza, occorreva possedere la "da'at", cioè la
"scienza sacerdotale" essa veniva coltivata ex professo.
Che questo ambiente "separato" fosse portatore di tradizioni e documenti autonomi per
potersi costituire come casta è del tutto credibile. L'ambiente del clero di Gerusalemme è
stato senz'altro una fucina ; si può giustamente parlare di "scuola sacerdotale".
Luogo di conservazione dei ricordi (la mentalità-psicologia sacerdotale e di solito
conservatrice), di riflessione e rielaborazione religiosa.
Questa matrice, si diceva, ha influenzato il linguaggio : "Le espressioni sono fredde e non
raramente dettagliate, fino alla pedanteria degli strati tardivi. Tuttavia sotto la scorza del tono
ieratico a volte si riesce a scoprire un sentimento profondo, come la nostalgia per la patria
lontana o il sacro rispetto per le cose di Dio" (Cortese).
Il materiale espresso da questa scuola può essere classificato e suddiviso in tre generi
letterari, ciascuno dei quali merita un discorso specifico :
^ Storia sacra Sacerdotale.
^ "Legge di santità" (codice morale).
^ "Ordinamento sacerdotale del culto (codice liturgico).
LA "HISTORIA SACERDOTALIS"
Mentre il movimento-scuola dtr aveva elaborato la storia di Israele da Mosè all'esilio,
l'ambiente sacerdotale ricompone un "quadro completo e continuativo della storia della
salvezza" dalle origini all'ingresso nella terra. Il documento base sacerdotale infatti o "strato
sacerdotale originario" (sigla Ps) si presenta come una "narrazione storica continua" (Kilian).
- Questa nuova storia sacra incomincia con il racconto della creazione : il magnifico portale
della nostra Bibbia (Gn 1,1-2,4a) è stato costruito dai sacerdoti esuli a Babilonia e fa da
supporto immediato alla pratica del riposo sabbatico : non essendoci più il Tempio quale
luogo per incontrare Dio, sarà ormai il Tempo il segno della sua presenza.
La genealogia prediluviana o dei setiti ci trasporta poi al racconto del diluvio, dove il
redattore finale del Pentateuco ha adottato la tecnica dello "sbriciolamento delle fonti" tra J e
P.
Di particolare importanza l'alleanza di Dio con Noè, che ha carattere universale, anzi
cosmico, perché si presenta come offerta di riconciliazione di Dio all'uomo nella creazione
dopo il turbamento degli elementi nel ritorno al caos del diluvio.
Il suo segno manifestativo è l'arcobaleno : "Il mio arco io pongo sulle nubi ed esso sarà il
segno dell'alleanza tra me e la terra" (Gn 9,13). In questa prima fase il nome divino usato è
Elohim.
La Legge del Signore
32
- Dopo la preistoria delle origini, tramite la "tavola dei popoli" di Gn 10 e la genealogia
semitica (Gn 11,10-27. 31-32) entriamo nella seconda tappa di questa storia dedicata ai
patriarchi.
P possiede parecchio materiale riguardo ad Abramo (soprattutto Gn 17 e 23) e Giacobbe
(soprattutto Gn 28 e 35) ; tracce della fonte si incontrano anche nella narrativa su Giuseppe.
In questa seconda fase il nome divino è El Shaddai, Dio onnipotente, etimologicamente
sembra "Dio delle montagne".
La terza tappa riguarda l'esperienza dell'Esodo, cioè l'uscita dall'Egitto e l'entrata nella terra :
abbiamo materiale P nella narrativa delle "piaghe", nella descrizione della Pasqua (cc 12-13),
nel racconto del passaggio del mare e dell'attraversamento del deserto.
Il culmine della storia si ha al Sinai con la grande rivelazione di Dio al suo popolo : la "gloria
del Signore" si posa prima sulla montagna sacra (Es 24,15-18) e poi sulla tenda di convegno
(Lv 9,23b) : in questo contesto rivelativo Dio istituisce e fonda il culto di Israele.
Alcuni interpreti parlano di un racconto sacerdotale dell'alleanza sinaitica che avrebbe nel
sabato il suo segno manifestativo (cf Es 31, 17) ; ma quest'ultimo testo sembra appartenere
alla redazione successiva non al progetto iniziale della storia.
Con l'esodo comunque si ha la rivelazione del nome YHWH (6,2-8). Manca un racconto P
sull'ingresso in Canaan e questo nonostante che il tema della terra sia un filo conduttore, un
contenuto essenziale della promessa di Dio : i racconti parlano piuttosto di un rifiuto della
terra (Nm 13-14), di rivolte sacerdotali (Nm 16 -17) e del castigo di Mosè ed Aronne impediti
di entrare (per Aronne cf Nm 20,25).
La storia sacra sacerdotale termina mostrandoci Mosè che 'fissa' accuratamente i confini sulla
base degli antichi racconti degli esploratori (Nm 27,12-23) e con la imposizione delle mani
( !) trasmette la funzione di essere guida-pastore del popolo a Giosuè.
Poi sale a contemplare la terra dal monte Nebo, sul quale muore (Dt 32,48-52 ; 34,1. 7ss).
Perché questa storia incompiuta ?
- Il periodo di stesura della storia sacerdotale è l'esilio babilonese.
Il tempio era stato distrutto, il culto era finito, il clero più influente deportato (cf Ger 29,1).
Nella triste situazione dell'esilio nasce l'esigenza di non disperdere il patrimonio del passato,
di meditarlo per capire il presente e preparare il futuro.
La rilettura a partire dagli anni oscuri dell'esilio spiega la impostazione di questa storia. Come
Mosè puntava gli occhi in tutte le direzioni verso la terra promessa (Nm 17,12), così gli esuli
babilonesi guardano nostalgicamente a Gerusalemme.
Come la generazione del deserto doveva espiare il suo peccato per poter entrare in Canaan,
così in terra straniera bisogna accettare l'amara purificazione dell'esilio. Gli esuli come gli
antichi sono prossimi alla conquista della terra ; essa è per loro attualmente impedita ma
sicuramente promessa. Il ritorno è possibile grazie alla fedeltà di Dio alla sua promessa : tale
infatti è l'impegno unilaterale, la alleanza gratuita che ha preso con Abramo (cf Gn 17). Ha il
carattere della eternità. Importanza in questa luce di Lv 26,39-45.
Ambiente storico :
"Sono molto pochi coloro che sostengono per P una datazione pre-esilica. Dopo Wellhausen,
è generalmente prevalso il parere che il documento sacerdotale sia l'ultimo della serie (J E D
P), salvo supporre, come fa qualcuno, che ci sia un documento o una fase anteriore
all'elaborazione attuale della nostra fonte. Un aspetto, invece, che non è ancora stato messo
sufficientemente in evidenza è la differenziazione all'interno di P. Ai tempi di Wellhausen
non vi si prestava attenzione, e in seguito non si è riconosciuto abbastanza il merito di M.
La Legge del Signore
33
Noth, che ha distinto accuratamente P dalle redazioni successive e ha datato il documento
primitivo ai tempi dell'esilio babilonese, chiarendo così molti problemi. Centocinquant'anni
sono intercorsi tra P e gli strati successivi della redazione sacerdotale, l'ultimo dei quali va
collocato, come vedremo, sotto Esdra e Neemia (390 aC.). La redazione intermedia, elaborata
a Babilonia o a Gerusalemme in occasione della ricostruzione del tempio (510 aC.), può
riflettere il clima dell'esilio, ma è soprattutto P, scritto tra la distruzione di Gerusalemme
(587) e l'editto di Ciro (531), a manifestare l'atteggiamento spirituale degli esuli, come
abbiamo fatto notare più volte nella precedente lettura del documento.
La datazione esilica di Pc è sostenuta da alcuni argomenti classici, fra cui ricordiamo
in particolare l'accento posto sulla circoncisione e sul sabato (unici punti di riferimento per la
religiosità di un popolo privo del suo tempio, della terra e delle antiche strutture religiose) e
l'uso del calendario babilonese, che non è segnalato in Palestina prima del secondo impero
babilonese, e cessa con l'avvento dei persiani. A questo bisogna aggiungere la straordinaria
affinità di stile col testo esilico di Ezechiele, e l'analogia di contenuto che abbiamo riscontrato
con alcuni tratti del Deutero Isaia.
La necessità di una nuova meditazione sulla storia antica e sulla legge non era
avvertita soltanto dalla scuola sacerdotale. Il modo di vedere proprio di J e della sua
redazione giosiana si era rivelato eccessivamente ottimistico, "carnale", filo-monarchico.
Durante l'esilio, la monarchia era considerata la principale, se non l'unica responsabile della
rovina d'Israele. Per questo anche altri avevano posto mano a una revisione della primitiva
storia deuteronomica (cf. l'Opera deuteronomistica), riproponendo nello stesso tempo una
breve sintesi delle antiche tradizioni dal Sinai in poi (Dt 1-3), come vedremo nella seconda
parte del nostro lavoro. L'esigenza di ripensare le antiche tradizioni era sentita comunque con
maggior intensità dalla scuola sacerdotale, che ai re non rimproverava soltanto lo scisma e la
corruzione della vita cultuale nel nord e nel sud, ma anche un controllo poco gradito sulle
cose del tempio. Bisognava inoltre combattere la delusione e la disperazione che si erano
abbattute su Israele dopo il crollo delle speranze alimentate dalle sacre tradizioni del passato.
Tra gli esuli non regnava soltanto una sensazione di morte e di fallimento (cf. Ez 36s), ma
addirittura il sospetto che le antiche tradizioni e tutta la religione ebraica non fossero che una
tragica illusione. Questo sentimento era acuito dalla vista dello splendore della religione
babilonese e della potenza dell'impero di cui gli ebrei erano diventati schiavi. Babilonia
vantava magnifici templi e stava attraversando, sotto l'imperatore Nabonide, un periodo di
grande fervore religioso, che si esprimeva in celebrazioni e processioni solenni. I sacerdoti di
Gerusalemme in esilio sentirono dunque il bisogno di opporre a tutto questo una visione della
storia e delle istituzioni di Israele purificata dalla concezione troppo materiale che si
rimproverava alla precedente formulazione delle antiche tradizioni. Era opportuno presentare
agli esuli una visione utopistica delle realtà israelitiche, che rappresentasse una valida
alternativa all'allettante spettacolo della religione babilonese. Si eliminò così quasi
completamente la coloritura monarchica della storia d'Israele, che venne sfrondata anche di
tutti gli elementi più ameni e pittoreschi. Rimase soltanto l'aspetto sacrale del patrimonio
antico, e l'immagine stessa della terra, oggetto di tanti sospiri da parte degli esuli, sfumò in
un'atmosfera di sogno, in cui l'animo poteva rifugiarsi con nostalgia, ma soprattutto con fede.
P non si spiega senza la fede della scuola sacerdotale e di tutti i pii israeliti dell'esilio : una
fede grandiosa che riesce a far rinascere Israele dalla rovina e dalla morte, una fede che
compie il miracolo della risurrezione, come proclama Ezechiele, nel già citato c. 37,
attraverso la visione delle ossa aride che riprendono vita. " (da ENZO CORTESE, "Da Mosè
a Esdra - I libri storici dell’Antico Israele" EDB 1985, pp 113-114).
- Ed ecco sulla storia sacerdotale il giudizio di H. Cazelles : "La storiografia sacerdotale
ignora la monarchia e costruisce una storia assai originale di Israele in mezzo alle nazioni. La
La Legge del Signore
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vita di Israele è centrata sul santuario. Dio è apparso occasionalmente ai patriarchi. Dopo
Mosè è in mezzo al suo popolo tramite una legge liturgica dagli elementi sovente assai arcaici
e attraverso il servizio cultuale di un clero che si richiama ad Aronne.
Questa storiografia continua nei libri delle Cronache, di Esdra e di Neemia, essi pure centrati
sul culto del tempio e sulle sue riforme. Vi si trovano molti elementi informativi sulla storia
postesilica ed anche sui movimenti delle tribù all'epoca della monarchia".
LA "LEGGE DI SANTITÀ"
Con questa espressione tecnica (il primo a coniarla in tedesco "Hailigkeitsgesetz" fu
Augusto Klostermann nel 1877) si intende il complesso legislativo di Lv 17-26.
Si tratta di un insieme di leggi che regolano non tanto il culto di Israele, ma la sua condotta, il
comportamento etico del popolo nei vari campi della esistenza.
Si possono elencare i seguenti contenuti maggiori :
c 17 : centralizzazione del culto nel santuario e rispetto del sangue, sede della vita
c18 : l'etica sessuale in Israele
c 19 : è un commento alle norme del Decalogo. Di rilievo in 19,18 il comandamento
dell'amore al prossimo
c 23 : il calendario delle feste di Israele
c 25 : normativa sulla "giustizia sociale"
c 26 : richiamo all'alleanza, benedizioni e maledizioni (il e 27 è un appendice che fissa
le tariffe da pagare per le varie prestazioni liturgiche).
- Come si vede, questo ampio blocco legislativo ha un andamento abbastanza simile al codice
Dtr ; è possibile fare un confronto sinottico tra i due testi per cogliere analogie e varianti.
"Tutto lascia supporre che il codice sacerdotale, proveniente dal clero di Gerusalemme,
voglia fare da contraltare a quello deuteronomico proveniente dal Mora, da circoli levitici,
accolto con scarso calore dal clero gerosolimitano (cf 2Re 23,9 e Dt 18,8)" (Fanuli).
Gli studiosi parlano di momenti diversi nella formazione progressiva di questo materiale,
prima - durante - dopo l'esilio, a partire da vari elementi, tra cui la formula di
autopresentazione divina : "Io sono il Signore" e "Io sono il Signore che li santifica".
La ricostruzione del processo è in gran parte complicata e ipotetica, non trasmette emozioni e
non è di eccessivo aiutò nella comprensione dei testi.
- L'interesse di questo materiale risiede nella concezione di Dio e dell'uomo che in esso si
riflette. Un corpus legislativo lascia trasparire il grado di civiltà di un popolo, la sua dignità
etica, la sapienza delle leggi è indizio di una cultura. Le leggi evidenziano la percezione di
determinati valori, un progetto di vita, una percezione dei diritti e dei doveri della persona e
della società. Cui mette conto segnare la "santità di Dio" come motivo formale e supporto
delle leggi : "Siate santi, perché io il Signore vostro Dio sono santo" (cf Lv 19,2 ; ed anche
20,24. 26).
La santità di Dio è trascendenza-assolutezza ed anche perfezione etica. Parimenti il popolo
che gli appartiene è segregato, separato, diverso ; chiamato a difendere la sua identità e ad
esprimere in mezzo alle nazioni la sua speciale appartenenza al Signore.
Non sfugga anche il limite di questa concezione, le possibili deformazioni cui può andare
incontro (pericolo di rinserrare le file e di concepire la diversità come privilegio e
La Legge del Signore
35
superiorità). E’ questo "codice di santità" la Legge che Esdra ha portato a Gerusalemme nella
sua missione di inizio quarto secolo ?
L'ORDINAMENTO SACERDOTALE DEL CULTO
L’opera letteraria dell'ambiente sacerdotale ha prodotto un terzo tipo di materiale, oltre alla
"historia sacerdotalis" e alla "Legge di santità". Si tratta del "rituale", di un codice liturgico
assai dettagliato, di un complesso di norme riguardanti l'antica liturgia di Israele.
+ Estensione del materiale :
Appare già nel libro dell'Esodo in due sezioni tra loro parallele, perché la seconda è la messa
in opera, la esecuzione pratica delle disposizioni contenute nella prima. I due blocchi
corrispondono ai cc 25-30 e 35-40.
Parlano della costruzione della DIMORA, cioè del santuario portatile del deserto, poi del
personale riservato al culto cioè i sacerdoti, ed infine della organizzazione del culto stesso (i
due olocausti quotidiani, l'olio dell'unzione, l’incenso ecc ... ).
- Il materiale maggiore però compare nel Levitico, che, come dice il nome datogli dalla LXX,
e il "libro del culto di Israele affidato ai figli di Levi". Qs terzo libro della BH è interamente
prodotto della "scuola sacerdotale" come il Dt era analogamente risultato dell'omonimo
movimento.
Più precisamente :
cc 1-7 : rituale dei sacrifici
cc 8-10 : racconto dell'investitura dei primi sacerdoti
cc 11-15 : "Legge di purità" = istruzioni su "puro ed impuro "
c 16 : il KIPPUR = il rituale del giorno della Espiazione con il duplice capro "espiatorio
ed emissario"
- Anche il libro dei NUMERI contiene materiale liturgico della corrente sacerdotale :
cc 1-10 : primo censimento del popolo, statuto dei leviti, prescrizioni rituali varie
cc 28-29 : ordinamento delle feste
+ Significato del materiale per Israele :
cfr G. VON RAD, Teologia dell'AT, I° pp 268-320 "La redazione sacerdotale"
cfr E. CORTESE, Le ricerche sulla concezione Sacerdotale circa puro ed impuro nell'ultimo
decennio, in "Riv Bibl" 1979/3-4 pp 339-358
- Il materiale relativo al culto, al tempio e alla sua liturgia, è stato compilato molto
probabilmente a Babilonia. Non si tratta di creazione di norme nuove, ma è piuttosto lavoro
redazionale, utilizzazione di antiche tradizioni che ora vengono rielaborate, come progetto
per il futuro, allorché si potrà tornare a Gerusalemme, ricostruire il tempio e restaurarvi in
esso il culto. Non per nulla qs materiale presenta analogie formali e contenutistiche con la
così detta "Thorah" di Ez, cioè con la sezione conclusiva dell'omonimo libro corrispondete ai
cc 40-48.
- Nella concezione sacerdotale, la legislazione liturgica rappresenta un grande dono fatto da
YHWH ad Israele ; al Sinai è apparsa la "gloria del Signore" ed è stata fondata per volontà di
lui la liturgia, il culto di Israele. Anche i sacerdoti, fanno risalire all'evento fondante, cioè alla
La Legge del Signore
36
rivelazione sinaitica, le origini del culto di Israele : la TENDA/TABERNACOLO chiamata
anche DIMORA non è altro che l'abbozzo del TEMPIO.
Mosè anche qui è il grande mediatore, intermediario : non è lui personalmente a
gestire il culto di Israele, esso è affidato ad Aronne ed ai suoi discendenti, che appartengono
alla tribù di Levi. E' però Mosè che riceve gli ordinamenti del culto e consacra Aronne come
sacerdote, deputandolo a questa funzione (cfr Lv c 8).
- Nella concezione sacerdotale è essenziale la teologia della PRESENZA del Signore nel
luogo di culto o nel momento del culto. La GLORIA = KABOD è questa presenza quasi
ipostatizzata, personalizzata. Nel culto avviene il riconoscimento di questa presenza attiva di
Dio, del suo PESO nella storia.
- Nell'opera sacerdotale, Israele viene concepito come una ‘edah, cioè come una comunità di
culto, governata da sacerdoti. Tale fu effettivamente in epoca postesilica, allorché,
nell'assenza di strutture politiche autonome e spentasi la voce dei profeti, l'elemento
sacerdotale accrebbe il suo prestigio e potere presso il popolo, mentre il discorso della laicità
fu assunto dagli scribi e dai sapienti dell'epoca.
Il Lv è una celebrazione del popolo eletto, della sua diversità e separazione rispetto
agli altri popoli (Lv 20,24,26). Movimento ad intra più che ad extra, missione liturgica più
che apostolica.
Nel momento del culto Israele si ritrova e si riconosce : "per me un giorno nei tuoi atri è più
che mille altrove" (s 84,11). "Beato chi hai scelto e chiamato vicino, abiterà nei tuoi atri" (s
65,5).
- Puro e impuro : l'ordinamento sacerdotale del culto veicola una concezione sacrale del
rapporto con Dio ossia della religione. Si accede al mistero di Dio attraverso successive
separazioni : si separa uno spazio isolato dall'ambiente circostante e questo è il Tempio (= Il
Santo). All'interno del Tempio vi è uno spazio ancora più sacro e riservato = il Santo dei
Santi, dove può entrare soltanto il Sommo Sacerdote una volta l'anno.
Il sacerdote è separato dal popolo : al culto è deputata una speciale tribù, quella di
Levi che ha in consegna il santuario. I sacerdoti devono osservare parecchie norme rigorose,
che li preservano dal contatto con la laicità.
Il sacerdote è anche distinto dalle vittime che offre a Dio nei sacrifici ; non può offrire
se stesso, si fa rappresentare da animali mondi.
- Una delle categorie fondamentali che caratterizzano il pensiero ebraico e in particolar modo
la Scuola Sacerdotale è la netta distinzione tra sacro e profano, tra ciò che appartiene alla
sfera del divino e quanto attiene all'ambito dell'umano. Cf Lv 10,10 : "Sarà una legge perenne
di generazione in generazione, perché possiate distinguere ciò che è santo da ciò che è
profano, e ciò che è immondo da ciò che è mondo".
L'uomo può usare liberamente delle cose profane non di quelle sacre. Lo sconfinamento dalla
sfera del profano in quella del sacro provoca la morte. Vedi ad es. l'esclamazione del padre di
Sansone in Gdc 13,22 oppure 2 Sam 6,6-9 o Is 6,5 ...
Parallela alla sfera del sacro è quella dell'IMPURO : sono impure le cose che nella materia
appartengono a Dio in maniera particolare, ad es il sangue e il sesso che sono sede della vita,
attributo fondamentale di Dio.
(Anche le Sacre Scritture "rendono impure le mani" di chi le accosta).
La Legge del Signore
37
Il contatto con l'impurità non uccide, MA TOGLIE VIGORE, depotenzia.
In rapporto al sangue e al sesso erano considerati impuri il momento della nascita (per la
puerpera) e della morte (per chi tocca il cadavere).
Per il primo caso leggi Lv 12,1-8 e per il secondo Lv. 21,1-5.
Lo stato di purità (non aver toccato donna, né sangue, né animali impuri) era richiesto nei
momenti di maggior pericolo, quando l'individuo ha bisogno di tutta la sua forza. Ad es sul
campo di battaglia per affrontare il nemico o all'altare per affrontare la sacertà del divino (Es
19,15 e 1 Sam 21,5-6).
Al semplice laico era richiesta una purità inferiore rispetto al sacerdote ; il laico quindi era
impuro rispetto al sacerdote, a maggior ragione lo era il pagano rispetto al semplice ebreo.
- Come si vede le nozioni di puro e impuro si avvicinano molto al concetto di tabù, quale
incontrano gli storici delle religioni presso i popoli più diversi. Non sono categorie morali
corrispondenti a buono o cattivo, ma divisioni sacrali ; infatti interessano le cose (vesti e
abitazioni) oltre che le persone. Riguardo agli animali non è chiaro il criterio per stabilirne la
impurità (cf Lv 11).
Si può contrarre uno stato di impurità e quindi di inabilità al culto anche in modo
involontario, senza avvertenza e senza consenso : ad es fenomeni come polluzioni o
mestruazioni rappresentano impedimenti alla pratica cultuale ed esigono una purificazione
normalmente con acqua (cf Lv 15).
Non è escluso che fossero in origine norme igieniche pratiche (anche il divieto di mangiare
alcune carni, possibile veicolo di infezioni), il cui valore viene affermato e potenziato con
l’entrata nell'ambito religioso.
L'intento di questa legislazione è di assicurare al Signore un popolo puro e pulito nel
corpo e nello spirito. Accedere al mistero di Dio nel culto è una cosa seria da non prendersi
alla leggera. Ma cos'è più importante ? La purità rituale o quella della coscienza, la onestà
della vita ?
Una contestazione di una visione sacrale della esistenza si può cogliere anche
all'interno dell'AT : basti pensare alle denunce profetiche contro il formalismo del culto e la
sua separazione dalla giustizia ed anche i salmi della "liturgia della porta" ad es il 24 e il 15,
dove sono elencate le condizioni esistenziali per salire e abitare sul monte del Signore.
+ Significato del materiale per noi :
Pur apprezzando la ispirazione di fondo della Legge di purità, il Lv con tutta la sua
normativa sacrale ha soltanto per il cristiano di oggi un valore storico, di conoscenza di un
remoto passato.
Rappresenta un ramo secco dell'AT. Sono le scorie della esperienza religiosa di Israele,
materiale di scarto, superabile e superato.
E’ stato superato dal NT : qui il rapporto tra i due sistemi religiosi è di rottura e di
superamento. Mentre è passata nella Chiesa la preghiera di Israele raccolta nei salmi, è stato
rifiutato il sistema sacrificale e cultuale legato all'antico Tempio.
- Nella sua proposta etica, legata all'annuncio del Regno di Dio, Gesù prende le distanze nei
confronti del "sistema della macchia" tipico del Lv e della tradizione sacerdotale, per
privilegiare il "sistema del dono" legato maggiormente alla corrente profetica e al movimento
deuteronomista.
Si veda la controversia con l'ambiente farisaico in Mc 7 e Mt 23. Gesù dichiara mondi
tutti gli alimenti e pone la sede della moralità non nelle cose, ma nel cuore dell'uomo, al di
La Legge del Signore
38
dentro, nel santuario della coscienza, là dove si prendono le grandi decisioni pro o contro
Dio, pro o contro l'uomo.
- Il velo del tempio che si spezza alla morte del Signore (Mc 15,38) simboleggia la fine del
vecchio tempio e del vecchio culto ; ormai Dio si incontra non in un edificio materiale,
costruito dalle mani dell'uomo, ma nel corpo del Cristo Risorto (Mc 14,58).
Ormai il culto cristiano non è più legato a Gerusalemme o al Garizim, ma è
"adorazione nello Spirito e nella verità" (Gv 4,23).
- La rottura con il sistema levitico, sacrale dell'AT si ha in maniera netta e documentata nella
Lettera agli Ebrei, particolarmente nella parte centrale del Sermone Sacerdotale (cc 7-10).
Il livello del culto sacrificale di Israele, dice l'autore, è terreno, esprime il desiderio
della comunione dell'uomo con Dio, ma non è in grado di produrla, perché rimane esteriore
all’uomo.
"Si tratta di doni e sacrifici che non possono rendere perfetto (= trasformare) l'offerente,
essendo solo cibi, bevande, varie abluzioni, tutte prescrizioni umane (= dikaiomata sarkos =
riti di carne), valide fino al tempo del loro raddrizzamento" Ebr 9, 9-10.
Cf anche 10,1 "Avendo la legge solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose,
non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei sacrifici che si offrono
continuamente di anno in anno, coloro che si accostano e Dio"
- Il NT segna il superamento della concezione sacrale del mondo grazie al mistero ed evento
della Incarnazione, in forza del quale il Messia "doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per
diventare un sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo
scopo di espiare i peccati del popolo" (Ebr 2,17).
Il movimento è inverso : non separazione ed esaltazione rispetto al popolo, ma
assimilazione e abbassamento. Non offerte rituali ma il dono della propria vita per amore.
Ormai tutto l'apparato cultuale di Israele ha solo valore sociologico, servirà a far risaltare la
novità della nuova alleanza.
LA REDAZIONE DELLA THORÀ
+ Premessa :
Partendo dal testo attuale del Pentateuco, dai suoi indizi letterari e da nozioni di storia di
Israele, abbiamo cercato di identificare e illustrare le sue fonti, ricostruendo una probabile
preistoria dell'opera.
E’ giunto ora il momento di parlare del montaggio dell'opera, della sua sincronia,
della redazione che ha portato alla fisionomia attuale.
Questo lavoro si è realizzato in epoca postesilica, quando con esattezza non lo sappiamo.
Dove ? Sul suolo palestinese oppure nella Diaspora ?
+ Dati sicuri :
Le sicurezze storiche non sono molte. La prima si riferisce alla missione di ESDRA a
Gerusalemme e alla sua promulgazione della Legge raccontata con enfasi e dovizia di
particolari in Neemia 8.
Il documento letto in assemblea da Esdra è chiamato : "Legge del re del cielo", "libro della
Legge di Mosè", "libro della legge di Dio".
Questa solenne liturgia della Parola si protrae un'intera settimana. "Esdra fece la lettura della
legge di Dio ogni giorno, dal primo all'ultimo ; la festa si celebrò durante sette giorni e
l'ottavo vi fu una solenne assemblea secondo il rito" (Neemia 8,18).
La Legge del Signore
39
Soltanto un'opera vasta come il Pentateuco attuale poteva esigere un tempo così
prolungato per essere adeguatamente promulgata e ricevere l'assenso della comunità. Occorre
anche ricordare la fama che si è acquistato Esdra nel Giudaismo successivo come scriba ed
esperto della Legge ; questa tradizione non nasce dal nulla.
- Altro dato certo è lo scisma Samaritano, anche se continua a rimanere incerta la data della
sua consumazione. Orbene i Samaritani adottarono come Scrittura solo il Pentateuco,
inserendovi delle varianti che formano appunto il Pentateuco Samaritano. Questo avvenne
senz'altro prima della insurrezione maccabaica, prima del secondo secolo ; cf 2Macc 6,2
"inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello
sul Garizim a Giove Ospitale come si confaceva agli abitanti del luogo".
Il prologo del Siracide attesta la tripartizione delle Scritture del Giudaismo in TaNaK
e qui siamo verso il 130 aC.
Con ogni verosimiglianza la composizione di Legge e Profeti ebbe luogo nel corso del V°
secolo e servì a strutturare la stessa liturgia sinagogale, cioè il servizio della Parola, che
comprendeva l'ascolto della Legge e dei Profeti.
+ Procedimenti compositivi :
Come si sono comportati i redattori del Pentateuco ? Non sono stati dei semplici raccoglitori
del materiale, ma hanno dato una fisionomia loro all'opera.
Avevano a disposizione 4 grandi tradizioni e forse anche documenti scritti ; il loro
assemblaggio obbedisce a diversi criteri.
Talvolta viene seguito il principio della giustapposizione delle fonti, così ad es. per i primi
due racconti della creazione o per il Codice Deuteronomista che fa seguito alla Legislazione
Sacerdotale in Lv e Nm.
Talora prevale la tecnica dello "sbriciolamento delle fonti" : è il caso ad es. di Gn 6-9
con il racconto del diluvio o di Es 14 per il passaggio del Mare dei giunchi.
Entra nel progetto definitivo anche materiale estraneo alle 4 fonti, come Gn 14 oppure
il cantico di Mosè in Dt 32 ecc ...
Non si tratta tuttavia di un processo puramente meccanico a base di computer ma di un
processo organico. Vermaylen usa l'espressione "modelli biologici" per indicare la
formazione progressiva dell'opera : è la crescita di un organismo vivo, che cresce
progressivamente non per aggiunte successive ma piuttosto per trasformazione del materiale.
- Più importante ancora è la concezione che sta alla base e presiede alla composizione
definitiva. E' l'idea di un ricchissimo patrimonio storico, culturale, religioso che non deve
andare disperso, che bisogna ricondurre a sintesi. La terra della storia e della fede di Israele
era stata percorsa da 4 grandi fiumi che ora confluiscono insieme a formare un mare. Le
acque non sono tutte identiche, ma hanno colore diverso perché trasportano materiali diversi.
Tutte e quattro le fonti però danno acqua preziosa che non è saggio disperdere ma
bisogna raccogliere in unità.
- La molteplicità delle fonti della Torah sfociate nel Pentateuco è un chiaro indizio, una
testimonianza evidente del PLURALISMO TEOLOGICO esistente nell’Israele biblico. La
stessa fede nel Signore Liberatore, Alleato del popolo e guida della storia umana può
assumere formulazioni diverse, rivestimenti molteplici, che non si oppongono a vicenda ma
piuttosto si integrano.
La Legge del Signore
40
In Israele c'è stata una grande vivacità teologica, un impegno notevole di
approfondimento, comprensione e sistemazione dei dati di fede in rapporto al cammino di
questo popolo nella storia.
Ci sono chiaramente sottolineature diverse e accentuazioni varie all'interno delle 4 fonti.
Questa diversità non è stata eliminata ma piuttosto ricondotta ad unità. Non si è adottato il
metodo della esclusione o delle alternativa, ma piuttosto quello della integrazione e della
complementarietà.
- Una analogia per chiarire il discorso : come la vicenda di Gesù di Nazareth è giunta a noi
attraverso il "vangelo quadriforme" : il racconto di Mt, Mc, Lc e Gv, COSI' all'interno di
Israele sono apparse quattro formulazioni-sistemazioni diverse dell'evento fondatore di
questo popolo : Esodo e Alleanza.
C'è anche una differenza : la Chiesa si è opposta alla fusione dei quattro vangeli in
uno, ha contrastato questa tendenza ; il Diatessaron di Taziano è abortito. Per Israele invece
c'è stato un impasto dei quattro colori in un unico testo normativo per la fede e la vita del
popolo : la Torah infatti di Mosè ha valore di primato, è il documento-principe della
rivelazione e della fede, è alla sua luce che devono essere giudicati i due corpus che seguono :
Profeti e scritti ...
Individuare e discernere le fonti allora è più che una risposta, una soluzione ai
problemi suscitati dalle anomalie del testo (la serie di irregolarità registrate all'inizio) ; è
molto di più lo strumento che abbiamo a disposizione per seguire il percorso
interessantissimo della fede di Israele, che è attraverso il filtro del NT anche la nostra fede.
Infatti "tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in
virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle scritture teniamo viva, la
nostra speranza" (Rom 15,4)
Questo il significato più profondo dello studio storico letterario del Pentateuco.
+ Il risultato :
L'opera redazionale non è stata perfetta ; è mancata una vera limatura del lavoro definitivo. Il
redattore/i ha lasciato coesistere diverse imperfezioni (tensioni, doppioni, contraddizioni
ecc... ) ; se l'assemblaggio fosse stato perfetto, senza difetti, non ci saremmo accorti della
presenza sotterranea delle 4 fonti !
Il redattore non ha potuto o non ha voluto eliminare tutte le asperità.
- Qs imperfezioni però non intaccano la robustezza del tessuto d'insieme, la solidità
dell'impianto. Ascoltiamo Von Rad : "Una volta rilevata l'immensa varietà che costituisce,
come in un mosaico le grandi opere storiche, non possiamo non stupirci dell'intima unitarietà,
della compattezza logica del quadro storico in tal modo ottenuto, un'unità che non è certo un
risultato fortuito, ma il prodotto di una TENDENZA UNIFICATRICE, che fu dominante
nell'intero processo genetico di un'opera come quella dell'Esateuco".
Il Pentateuco si presenta infatti come un grande affresco di carattere storico, letterario
e teologico dalle origini del mondo e di Israele fino all'ingresso nella terra, anzi mediante D e
P ci conduce fino al Giudaismo.
Un'opera di teologia narrativa vigorosa e geniale, quale non è dato riscontrare in nessuna
delle antiche letterature orientali ; un'opera di sintesi della storia e della fede di Israele.
Può essere utile a questo punto uno sguardo di insieme per cogliere le grandi
articolazioni dell'opera al di là della divisione piuttosto estrinseca e artificiosa nei cinque
classici libri : Gn, Es, Lv, Nm, Dt !
La Legge del Signore
41
COMPOSIZIONE / STRUTTURA DELL’ESATEUCO
Questa grande opera di "teologia narrativa" è articolata nelle seguenti sezioni in un
abbraccio abbastanza armonico di racconti e di leggi :
+ Genesi 1-11
+ Gen 12-50
+ Esodo 1,1-15,21
+ Es15,22-18,27
+ Es 19-24
+ Es 25-31
+ Es 32-34
+ Es 35-40
: le tradizioni delle origini = "preistoria biblica" = prologo della storia
di Israele.
: le tradizioni patriarcali : cicli di Abramo, Isacco e Giacobbe ; la
"novella di Giuseppe" come raccordo tra l’epoca dei patriarchi e le
vicende dell’esodo.
: tradizioni relative alla permanenza ed oppressione di Israele in
Egitto ; istituzione della Pasqua ; uscita dall’Egitto e liberazione =
traversata del Mare dei Giunchi.
: tradizioni sul deserto ; sosta al SINAI.
: sezione riguardante l’alleanza = proposta del patto e preparazione del
popolo, le "dieci parole", il "codice dell’alleanza" (E) e il rito in 24,111.
: sezione liturgica riguardante la Dimora, il personale del culto ed i
sacrifici = "codice della scuola sacerdotale".
: rottura e ricostruzione dell’alleanza = infedeltà del popolo con il
vitello d’oro, ira e castigo del Signore, preghiere di Mosè e
riconciliazione ; "codice cultuale J" = c 34
: la costruzione del Santuario = messa in opera delle disposizioni
contenute in 25-31. "Allora la nube coprì la tenda del convegno e la
Gloria del Signore riempì la dimora" (40,34).
+ Levitico 1-7
+ Lv 8-10
+ Lv 11-15
+ Lv 17-26
: rituale dei sacrifici
: racconto dell’investitura dei primi sacerdoti
: la "legge di purità" ; c 16 : il "kippur"
: la "legge di santità" ; c 27 appendice = tariffario.
+ Numeri 1-10
+ Nm 11-27
: primo censimento del popolo e prescrizioni rituali varie
: in 10,12 termina la sosta al Sinai e riprende la marcia nel deserto. Di
nuovo tradizioni relative al deserto. Da evidenziare la sezione Nm 2224 : gli oracoli di Balaam
: ordinamento delle feste. c 30 : leggi sui voti
: riprende il materiale legislativo e soprattutto narrativo.
+ Nm 28-29
+ Nm 32-36
+ Deuteronomio 1-4 : primo discorso di Mosè nelle steppe di Moab
+ Dt 5-28
: nucleo centrale del Dt ; 12-26 "codice dtr"
+ Dt 29-34
: complementi con discorsi, siglatura del patto, "benedizione di Mosè"
(c 33) e morte in 34.
+ Giosuè 1-12
+ Gs 13-21
+Gs 22-24
: tradizioni relative alla conquista : ingresso nella terra secondo la
versione "ufficiale, liturgica, panisraelitica"
: spartizione del territorio tra le singole tribù
: complementi narrativi. Di particolare interesse il c 24 "rinnovo
dell’alleanza in Sichem con Giosuè".
IL "CREDO STORICO" DI ISRAELE
La Legge del Signore
42
L’IPOTESI DI VON RAD
La radiografia del Pentateuco effettuata dalla scienza biblica moderna ha individuato
una pluralità di fonti-strati-tradizioni sotto la superficie attuale del testo, ciascuna delle quali
ha una sua propria fisionomia letteraria ed indole teologica.
A questo punto ci si può chiedere : qual è l'impalcatura delle varie storie sacre apparse in
Israele ? Qual è il principio di unità del pentateuco-esateuco ? Lo schema di fondo ? La
sostanza e identità della fede al di là delle diverse formulazioni di essa ?
Questo problema è stato affrontato con passione da uno studioso tedesco, Gerhard Von Rad,
il quale ha proposto una interpretazione che ha fatto molto fortuna, anche se in questi ultimi
tempi ha subito delle contestazioni. Egli sostiene che il principio sostentatore delle varie
storiografie apparse in Israele come anche della redazione dell'Esateuco è il "credo storico"
dell'antico popolo.
Questa intuizione è stata documentata da molti studi :
^ "Das formgeschichtiliche Problem des Hexateuch", Stuttgart 1938
^ "Gesammelte Studien zum Alten Testament", Munchen 1958
^ "Teologia dell'AT", vol I pp 149-165 - Paideia, Brescia 1972
Ma dove compare il "credo storico" di Israele ?
ANALISI
DI
DT 26,1-11
Von Rad ha puntato gli occhi su questa pericope, nella quale ha intravisto la primitiva
professione di fede del pio israelita e con ciò una forma classica del pensiero di Israele.
Cf anche B. LANG, Confessioni di fede nell'Antico e nel Nuovo Testamento, "Conc" 1978/8
pp 21-32
In questa unità letteraria si possono discernere abbastanza chiaramente una cornice liturgica e
la presenza di un credo.
- Il contesto cultuale, liturgico è evidente, non c'è bisogno di ricavarlo mediante deduzioni, si
tratta del rituale delle primizie.
Il termine ebraico "re'shit" = primizia non indica solo i primi frutti della stagione, ma anche e
soprattutto il meglio del raccolto. Senso quindi non tanto cronologico ma qualitativo. Fa parte
della psicologia umana offrire alla persona che si ama i primi risultati del propri lavoro
manuale o artistico.
Il contadino ebreo, l'israelita credente in occasione del raccolto si reca al santuario della tribù
ed offre al Signore in segno di gratitudine il meglio dei prodotti del suolo che ha coltivato e in
questa occasione formula la sua professione di fede.
Nella finzione letteraria del Dt è Mosè che si rivolge ad Israele ed istituisce il rituale e la festa
delle primizie. Il testo insiste molto sulla terra che è dono di Dio al suo popolo. Il termine
"bwo" = entrare è intenzionalmente ripetuto con una varietà di sfumature.
Appare una vera costellazione terminologica della terra : entrare, ricevere in eredità,
possedere, stanziarsi, ricevere in dono…
Questa molteplicità di termini vuole sottolineare il valore della terra per Israele e l'obbligo
conseguente di riconoscere il dono di Dio.
La Legge del Signore
43
- Dove offrire ? "Nel luogo che il Signore tuo Dio avrà scelto per farvi abitare il suo nome".
Nel linguaggio del Dt questo giro di parole indica il Tempio di Gerusalemme, unico luogo di
culto legittimo dopo il 622, ma il rituale è senz'altro più antico (e difficilmente immaginabile
centralizzato al tempio) ; ha come sfondo usanze arcaiche nei santuari locali ; il primo
mannello della messe veniva portato nel santuario ed ivi trebbiato, il primo chicco veniva
arrostito.
Appare anche il ruolo del custode del santuario, il sacerdote : questi prende la cesta ed
insieme all'offerente si reca processionalmente all'altare dove il dono viene deposto.
Decisiva è la dichiarazione del v 3 ; "Io dichiaro oggi al Signore tuo Dio che sono entrato nel
paese ... "
Chiaramente si tratta di una "confessione - professione" di fede.
L'ingresso cultuale nel santuario attualizza l'entrata storica del popolo nella terra ; nell'OGGI
liturgico si rappresenta e ripresenta l’evento originario storico-salvifico.
Raccogliendo i prodotti del suolo, il pio israelita riconosce come personale il dono della terra,
i cui destinatari immediati furono i padri. Ecco il significato e la potenza del rito.
Il collegamento tra il fatto e la sua ritualizzazione appare evidente nel passaggio dal v 9 al
v10 : all'azione del Signore che ha fatto entrare nella terra corrisponde l'azione del credente
che "fa entrare" nello spazio cultico e offre a Dio i prodotti del suolo.
Dopo il gesto di adorazione-prostrazione, il v 11 accenna al clima di festa : gioire equivale in
ebraico anche a far festa. La festa è condivisione comunitaria : qui c'è l'invito a spartire con le
categorie povere (levita e forestiero) i prodotti offerti in dono (cf Nm 18,12).
La professione di fede : si incontra ai vv 5-9.
Von Rad ritiene giustamente che il testo del simbolo sia più antico del contesto legislativo.
Come argomenti di possono portare la presenza di termini arcaici e la forma ritmica ternaria
del testo nell'originale ebraico.
Stilisticamente si può notare la composizione del credo a base di formule brevi, membri
stringati, che possiamo in modo appropriato chiamare articoli. Da rilevare anche la tecnica
elementare del contrasto : il testo si sviluppa "per oppositiones" : da uno a molti, perché sono
molti vengono maltrattati, perché perseguitati gridano, perché invocano sono ascoltati ...
- Contenutisticamente questa professione di fede è un racconto, viene narrata una storia,
quella dei rapporti di Israele con Dio. I fatti storici non sono tra loro slegati, disarticolati, ma
unificati, concatenati in una storia coerente, rivelativa.
^ il primo articolo, semplicissimo, abbraccia tutta l'epoca patriarcale, simboleggiata nella
figura dell'arameo Giacobbe (l'indicazione è preziosa per lo storico delle origini di Israele),
"unus, errans et peregrinus" (cf Gn 25,20 ; 28,5 ; 47,9), uomo senza patria.
Ma questo "uno" diventa popolo grande e forte ; il soggiorno in Egitto assume la funzione
biologica di moltiplicare Israele (si veda anche Gn 12,2 ; 17,20 ; Es 1,7).
^ La numerosità del popolo è sinonimo di forza ; nasce la persecuzione, il progrom. Nel v 6
l'io dell'offerente si fonde nel noi del popolo ; sente la storia passata come sua, se ne
appropria. Risuonano termini del vocabolario dell'Esodo.
Dio incomincia ad apparire nel momento della prova, del pericolo ; viene professato come un
Dio solidale con il popolo, liberatore.
I modelli interpretativi usati sono appunto quelli della liberazione (l'espressione "condurre
fuori" è gergo giuridico per indicare la liberazione dalla schiavitù) e del bisogno - aiuto,
intervento : "Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la
nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione ... "
La Legge del Signore
44
^ L'esodo appare nel suo duplice momento di uscita-entrata. Non è stata una uscita facile, una
partenza neutra, ma un'impresa che ha esigito un intervento di forza da parte di Dio : "mano
potente e braccio teso" ; sono termini guerreschi. L'affrancamento ha avuto luogo non
mediante il versamento di un riscatto, ma con un atto di forza (che nel caso di un
asservimento illegale risultava legittimo).
^Viene esaltato il dono della terra, negata ai padri e concessa al popolo con l'esodo, tramite la
formula mitica "latte e miele".
- Si impone a questo punto una valutazione del Credo.
La prima osservazione si riferisce al carattere storico di questa fede. Israele non professa la
sua fede negli attributi di Dio, come il mussulmano che celebra le 99 qualità di Allah, ma le
azioni di Dio, i suoi interventi concreti nella storia umana penetrata dalla grazia.
"YHWH non viene dedotto da una metafisica astratta, ma è il Dio di Israele, quel Dio che il
popolo ha esperimentato come suo salvatore ed al quale rende con riconoscenza la sua
confessione" (Lang).
La fede degli Israeliti era sotto questo aspetto di una estrema facilità : non sorretta da principi
o verità astratte, ma da ciò che Dio aveva fatto per essi nella storia.
Notare anche i silenzi : non appare l'evento della creazione, non si accenna all'epoca del
deserto, alla alleanza sinaitica, nemmeno alla reazione del popolo ai doni di Dio.
Queste omissioni possono essere un indizio ulteriore del carattere arcaico di questo primitivo
simbolo.
Studi recenti hanno cercato di contestare il valore antico di Dt 26, vedendo in esso un punto
di arrivo (una ricapitolazione) e non di partenza (una cellula germinale) della fede di Israele,
ed anche di ridimensionare la storicità di una tale fede.
Gli argomenti adoperati non convincono.
cf M. LOHFINK, La "storia della salvezza". Un esempio di sfoggio del concetto teologico di
"storia della salvezza" negli ultimi decenni, in "Le nostre grandi parole" pp 87-104
- Nella linea della fede storica di Dt 26, Von Rad invita a considerare altre pagine della
Bibbia, che presentano in forma di racconto un compendio dei "mirabilia Dei" a favore del
suo popolo. Tali sono :
^ Gs 24,1-28 : nel contesto della rinnovazione dell'alleanza a Sichem. Nel "prologo storico"
dell'alleanza, parla il Signore per la voce di Giosuè ed elenca i benefici fatti al suo popolo : la
elezione, la discendenza, la liberazione, la terra con la vittoria sopra i nemici. Si accenna al
passaggio attraverso il mare e alla sosta nel deserto : il racconto quindi si dilata.
Anche il popolo, prendendo atto dell'impegno che si assume accettando la alleanza con il
Signore, narra le opere del Signore, professa la sua fede negli interventi storici di Dio (vv 1718).
^ Neemia 9 : il pezzo è postesilico e si presenta formalmente come una "thodah" =
confessione dei peccati, genere particolarmente sviluppatosi nella spiritualità giudaica. Il
riconoscimento delle colpe è preceduto dalla confessione particolareggiata dei favori divini
elargiti ad Israele. L'arco storico contemplato si estende oltre la entrata nella terra per
riassumere sinteticamente l'esperienza del profetismo e la perdita della terra con l'esilio.
L'epoca patriarcale a sua volta è preceduta dal ricordo dell'intervento creatore di Dio : "Tu fai
vivere tutte queste cose e l'esercito dei cieli ti adora" .
^ Gdt 5 : Anche qui abbiamo un riassunto di storia della salvezza nello schema classico.
L’elemento di novità è il fatto che il compendio viene messo in bocca ad un pagano, Achior,
La Legge del Signore
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il cui nome significa "mio fratello è luce" ; nel consiglio di guerra di Oloferne, Achior spiega
il motivo della invincibilità di Israele. Oggetto dell'elogio è il popolo, non i suoi eroi.
Vengono evitati accuratamente i nomi singoli. E' un breve e chiaro riassunto pragmaticoreligioso della storia di Israele con accento finale sulla verità che Israele risulta invincibile
quando è fedele al suo Dio.
Il discorso corre liscio finché c'è lo schema base su cui tessere ; la fase successiva all'ingresso
nella terra è trattata assai sbrigativamente : perdita del tempio e della terra, riconciliazione
con Dio e ritorno dalla diaspora.
- In conclusione : la fede di Israele è risposta ad una rivelazione storica, è riconoscimento di
un Dio vicino alla vicenda di un popolo oppresso, di una divinità in cammino sulle strade
dell'uomo. Questa fede ha avuto bisogno di formule sintetiche per essere professata.
Le varie storie sacre che hanno visto la luce in Israele, la stessa redazione finale
dell'Esateuco, non sono altro che un commento dilatato agli articoli di fede del "piccolo credo
storico". Il libro della Gn può essere visto come un commento-ampliamento all'articolo :
"Mio padre era un arameo errante", l'esodo non è altro che una illustrazione di : "Il Signore ci
fece uscire" e Giosuè commenta il dato dell’ingresso nella terra ...
La Legge del Signore
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SECONDA PARTE : IL LIBRO DELLA GENESI
INTRODUZIONE
Lo studio dei singoli strati del Pentateuco nelle loro caratteristiche storiche e
letterarie, la messa in evidenza delle varie tendenze di pensiero religioso presenti in Israele
rappresentano indubbiamente un contributo notevole alla conoscenza del Pentateuco e con
ciò alla comprensione delle origini di Israele.
Nondimeno le ricerche diacroniche prodotte dalla critica moderna non possono sostituire un
accostamento ai singoli libri così come essi sono usciti dalla redazione finale e come tali sono
passati nella tradizione ed hanno attraversato i secoli. E’ quanto ci proponiamo di fare
incominciando ora l'esegesi del Genesi.
LA PASSIONE PER LE RADICI
Risalire alla sorgente del fiume, rimontare alla propria origine, riandare al proprio
passato è un bisogno dell'uomo e quindi della cultura. La ricerca del "come eravamo", "da
dove siamo venuti" è un fenomeno psico-sociologico universale. Si capisce meglio la propria
natura, ciò che siamo oggi, risalendo alla propria nativitas, capendo come siamo nati, da dove
siamo partiti, perché l'uomo è essenzialmente storico, vive nel tempo ed è segnato
profondamente da esso. Ogni popolo ha il suo "patrimonio genetico", cioè il suo bagaglio di
ricordi prossimi e remoti, un insieme di tradizioni e di valori che ci costruiscono. Conoscere
questo tesoro è garanzia di continuità storica e di progresso.
Siccome poi gli inizi spesso sono oscuri e le origini modeste, ecco che la ricerca e
valorizzazione del proprio passato non segue spesso la pista della storiografia, ma preferisce
battere sentieri diversi, affidarsi cioè ad altre forme letterarie, come il mito, la saga, il poema
epico, la leggenda ...
- Israele non sfugge a questa regola, anzi dimostra in pieno la validità di questa legge dello
spirito. Il primo libro della sua storia sacra lo chiama "Beresit = IN PRINCIPIO", mentre i
traduttori greci hanno introdotto il termine "genesis" : è infatti, il libro della nascita, delle
origini, del mondo per creazione, del male per il peccato dell'uomo, di Israele per chiamata ed
elezione.
Questo popolo ricerca nel libro della Genesi le sue radici, rimonta al suo passato remoto,
quando ha incominciato ad esistere ; Gn è come un album di famiglia, fa conoscere l'infanzia
di Israele.
Il primo libro delle Scrittura è il libro dei padri e delle madri di Israele, dei tre 'aboth :
Abramo, Isacco e Giacobbe
e delle quattro 'immaoth : Sara, Rebecca, Lia e Rachele.
E' il libro degli antenati, dei patriarchi appunto, cioè dei progenitori del popolo sullo sfondo
universalista rappresentato dalla sezione delle origini in Gn 1-11 : "Facciamo l'elogio degli
uomini illustri, dei nostri antenati per generazione ... di loro alcuni lasciarono un nome, che
ancora è ricordato con lode" (Sir 44,1. 8).
- La Gn però è più della semplice collezione dei primi ricordi di Israele. L'opera non è
compilata a gloria di Israele, ma a lode e onore del Signore. E' un libro della fede di Israele :
è la presenza e la signoria di Dio in questa umile vicenda che viene narrata e celebrata.
Dio è l'attore di fondo, è lui che assicura l'esistenza di Israele, che veglia sulle origini di
questo popolo impegnandosi con i suoi padri.
La Legge del Signore
47
La Genesi non è altro che l'amplificazione e la maturazione di quel seme : "Mio padre era un
Arameo errante" (Dt 26,5) o di "I vostri padri come Terach padre di Abramo e padre di
Nacor, abitarono dai tempi antichi oltre il Fiume e servirono altri dei. Io presi il padre vostro
Abramo ... " (Gs 24,2-3).
Questa storia viene raccontata, pregata e celebrata : "Cercate il Signore e la sua potenza,
cercate sempre il suo volto. Ricordate le meraviglie che ha compiuto, i prodigi e i giudizi
della sua bocca, voi stirpe di Abramo suo servo, figli di Giacobbe suo eletto. E' lui il Signore
nostro Dio, su tutta la terra i suoi giudizi. Ricorda sempre la sua alleanza : parola data per
mille generazioni, l'alleanza stretta con Abramo e il suo giuramento ad Isacco"(sal 105,4 - 9).
CENTRI DI INTERESSE
Il Gn riserva diversi motivi di interesse, può essere accostato da vari punti di vista in
rapporto alle domande ed esigenze del lettore.
A)
Il primo si riferisce all'opera in quanto realtà letteraria, testo scritto di una remota
antichità. Si può applicare al caso Gn il discorso fatto nella Introduzione Generale a proposito
della "chiave della bellezza" che bisogna adoperare per aprire lo scrigno delle Scritture. La
Bibbia infatti non è un semplice prodotto linguistico, ma anche un fatto artistico, una risorsa
di poesia. E la esegesi può essere vista anche come "scienza della letteratura biblica", non può
prescindere dagli aspetti formali ed estetici del testo ; è capacità di leggere i testi in dialogo
con quelle risorse di umanità che essi esprimono.
La Gn è disponibile a uno studio di questo tipo, fornisce materiale interessante per la poetica
sonora dei racconti e la qualità narrativa delle sue pagine. Vi dedicheremo un'apposita
premessa.
B)
Di notevole interesse è lo studio del Gn dal punto di vista storico. Lo scienziato
appassionato di Orientalistica non può chiaramente fare a meno di confrontarsi con questi 50
capitoli alla ricerca della venatura storica dei racconti.
Certamente non è facile discernere nel materiale attuale stratificato e teologizzato lo spessore
storico dei racconti, ciò che è effettivamente successo, come realisticamente sono andate le
cose ; però da queste pagine esce indubbiamente la fotografia di un ambiente, cogliamo i
tratti caratteristici di un'epoca e di una cultura, percepiamo la presenza di alcuni valori umani,
un'antica concezione del mondo e della esistenza. Interesse culturale.
Quale ambiente esce da questa narrativa ? Quello degli attori di questa storia o dei suoi
redattori ? Cercheremo di rispondere anche a queste domande.
C)
Interesse teologico. Le due angolature prima descritte sono legittime, anzi necessarie,
però insufficienti. La Gn è un prodotto della fede di Israele, è un'opera di credenti per
credenti, vuol dirci e darci molto di più : una visione in fede degli inizi del disegno di Dio con
l'uomo e con Israele. Appartiene a quella storia della fede nella quale anche noi siamo
coinvolti ; la nostra salvezza incominciava a realizzarsi, allorché Dio chiamava questi primi
padri di Israele ed essi lo seguivano. Non dobbiamo mai dimenticare che lo specifico della B
è la "verità salvifica" (DV 11b). Questa è garantita dal carisma della ispirazione. La Gn
racconta gli esordi della nostra salvezza, gli interventi di Dio nella vita dei nostri padri nella
fede, i pensieri, desideri e voleri del nostro Dio che Israele incomincia a percepire.
La Chiesa è l’"Israele di Dio" (Gal 6,16) che si rispecchia nell' "Israele secondo la carne"
(1Cor 10,18). C'è anche una lettura "cristiana" della Gn e di tutto l'AT. L'accostamento al
Libro Sacro non può essere solo storico-filologico-estetico, ma teologico.
La Legge del Signore
48
C'è un approccio figurativo-tipologico, governato come sappiamo dal luminoso principio :
"Tutte queste cose accaddero loro come profezia, ma sono state scritte per ammonimento
nostro, di noi che viviamo negli ultimi tempi" (1Cor 10,11).
"Certamente fu scritto per noi" (1Cor 9,10). "Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato
scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci
vengono dalle Scritture, teniamo viva la nostra speranza" (Rom 15,4).
E che cosa fa l'autore del Sermone Sacerdotale se non proporre alla generazione cristiana la
fede dei padri di Israele ? Cf Ebr 11 : il capitolo è una vera lettura cristiana del Genesi.
LA GENESI NELLA TRADIZIONE
Nell'accostare un testo biblico non possiamo saltare a piè pari il tempo che ci separa
dalla sua redazione finale, come se nel frattempo nulla fosse successo. Al contrario un libro
arriva a noi carico anche della tradizione interpretativa e applicativa che su di esso si è
esercitata. Il cammino del testo nei secoli che ha attraversato entra a far parte del patrimonio
e del messaggio del testo stesso ; il testo arriva a noi carico della fede, intelligenza ed
esperienza di quanti lo hanno incontrato, pensato, pregato e praticato.
Trattandosi di un testo veterotestamentario, cioè della prima alleanza il cammino percorso è
duplice, nella tradizione ebraica postbiblica (giudaismo rabbinico) e nella vita della chiesa.
Ambito ebraico : possiamo concentrarci su tre prodotti.
^ Il Targum della Genesi è compreso nei grandi Targum della Torah veicolati a noi dalla
tradizione ebraica : Targum di Onkelos, Neofiti e Pseudo-Jonathan.
E' stato pubblicato in francese da R. Le Déaut per la collana "Sources Chrétiennes"
^ Commento al Genesis (Beresit Rabbà). Introduzione, versione e note di A. Ravenna nella
collana "Classici UTET" - Torino 1978
E' un midrash esegetico, articolato in 100 capitoli, che segue via via il testo biblico. E' un
compendio della esegesi rabbinica sul Gn
^ RASHI di TROYES, Commento alla Genesi. Prefazione di P. De Benedetti, Marietti Torino 1985
Rashi è il principe dei commentatori medievali giudaici delle Scritture. Nacque a Troyes,
capitale del ducato di Champagne, centro agricolo e commerciale, intorno al 1040. Studiò
nelle prestigiose scuole renane di Worms e di Magonza dove aveva insegnato il famoso
dottore del Talmud Gershom ben Yehudah. Tornato a Troyes, vi fondò una scuola e iniziò le
compilazioni dei suoi commenti alla Bibbia e al Talmud. Morì nel 1105.
Questo commento al Gn è unanimemente considerato il più importante e autorevole di tutta la
tradizione ebraica. L'affascinante e ricca personalità di Rashi, l'originalità della sua esegesi,
fluttuante tra l'iterpretazione letterale e quella midrashica, hanno esercitato una grande
influenza su tutto il mondo medievale : tracce della sua opera si ritrovano anche nei maggiori
commentatori cristiani dell'epoca, come Ugo e Andrea di San Vittore e Nicola di Lira.
Ambito cristiano : dividiamo il discorso per epoche.
^ Possediamo numerosissime testimonianze di commenti al Gn da parte dei Padri sia della
chiesa greca che latina. Si possono ricordare Efrem Siro, Cirillo Alessandrino e in Occidente
Ambrogio e Agostino.
Il vescovo di Ippona si è interessato ripetutamente dell'argomento : Confessiones XI-XIII ; De
Genesi centra Manicheos ; De Genesi ad litteram ; Quaestiones in Genesim, Sermones de
Vetere Testamento. Approccio piuttosto filosofico.
La Legge del Signore
49
^ Dell'epoca di mezzo sia sufficiente ricordare il prestigioso nome di RUPERTO abate di
DEUTZ alle soglie del XII secolo. A lui dobbiamo - inserito in un'opera esegetica di
dimensioni colossali - uno dei commenti alla Gn più ampi e profondi che siano mai stati
scritti nella tradizione cristiana.
Alla Genesi sono dedicati i primi nove libri dei 42 che costituiscono il "De Sancta Trinitete et
operibus eius". Ruperto ha ben chiaro che può veramente godere delle Scritture solo chi ne
coglie il mistero profondo : chi cioè, fissando gli occhi della fede nell'apparente "planities"
della "littera", sa vedervi risplendere, come in uno specchio, "la rutilante immagine del Sole
celeste", ossia "la bella e vera similitudine allegorica del Figlio di Dio".
^ Val la pena di ricordare due nomi di Riformatori.
LUTERO : nel commento maggiore alla Genesi Lutero ci ha lasciato una delle sue più
importanti opere esegetiche : iniziò a svolgerlo per i suoi studenti di Wittemberg nel 1535 e
lo terminò il 17 novembre 1545, solo tre mesi prima della sua morte.
All'ultima lezione si congedava così : "Ecco dunque la cara Genesi. Voglia il Signore nostro
Dio concedere ad altri, dopo di me, di fare meglio. Io non ne posso più : sono stanco. Orate
Deum pro me". E' un commento "detto" a scuola, pieno di sfoghi e di confidenze personali :
di straordinario interesse, quindi, anche per ciò che ci rivela, attraverso digressioni
estemporanee talvolta lunghissime, della vita del Riformatore, del suo ambiente e dei suoi
tempi travagliati.
CALVINO : il grande commentario di Calvino alla Genesi, terminato nel 1550, fu stampato
quattro anni dopo a Ginevra presso Robert Estienne, con il titolo : "In primum Mosis librum,
qui Genesis vulgo dicitur, commentarius Ioannis Calvini" .
Quanto sono diverse le personalità di Calvino e di Lutero, tanto diversi ne appaiono i
rispettivi commenti. Nulla nell'opera di Calvino - evidentemente scritta, e non "detta" in una
scuola o predicata su un pulpito - del calore appassionato, delle felici improvvisazioni e degli
sfoghi intemperanti di Lutero ; assai meno in rilievo, anche nel dettaglio della esegesi - la
concentrazione e l’esplicitazione cristologica che così fortemente caratterizzano la lettura
veterotestamentaria del riformatore tedesco.
Epoca moderna : con l’avvento della esegesi storico-critica si moltiplicano i commentari alla
Genesi, parleremo tra poco di quello di Gunkel. Qui si possono ricordare :
^ A. E. CLAMER, Genèse, pubblicato nel 1953 nella Serie "La Sainte Bible" di Letouzey.
"Può considerarsi tipica della media produzione cattolica del secondo dopo-guerra :
ineccepibilmente ortodossa e insieme ragionevolmente aperta a istanze nuove e ai risultati più
sicuri della ricerca storico-critica. " (Neri).
^ G. VON RAD, Genesi, Paideia - Brescia 1972. L'edizione tedesca originaria è del 1949 poi
costantemente rivista dall'autore che è morto nel 1971.
Segna nella storia dell'esegesi anticotestamentaria una svolta verso qualcosa di nuovo ;
questo commento infatti non bada solo al rigore storico-letterario, ma rappresenta anche "un
buon progresso in quella linea di esegesi che da lungo tempo ormai la predicazione della
Chiesa attendeva dalla ricerca sull'AT" (Kraus).
^ C. WESTERMANN, Genesis, Neukirchen-Vluyn 1977-1979
E' un'opera colossale e preziosa per la ricchezza di informazione e l'accuratezza senza
precedenti dell'analisi e della critica testuale.
Meno apprezzabile sul versante di una lettura teologica e "spirituale" del testo.
Recensione di Langlamet in "RB" 1981/5 pp 415-419.
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Nb ! Il materiale di commento prodotto dagli autori citati finora è felicemente utilizzato in
un'opera recente apparsa sul mercato italiano : GENESI a cura di Umberto Neri, Gribaudi Torino 1986. L'opera è il primo volume di una serie prestigiosa che si intitola : "BIBLIA. I
libri della Bibbia interpretati dalla Grande Tradizione". Dopo una sapienziale Prefazione di
G. DOSSETTI, il curatore del volume e l'ideatore del progetto U. NERI illustra nella
introduzione "L'idea di Biblia". Questa collezione rivisita e ripropone in termini nuovi un
antico genere letterario, si inserisce nel solco tracciato da una veneranda tradizione. I modelli
di riferimento sono le "catene" o "glosse" prodotte dal mondo cristiano a partire già dal
secolo VI con Procopio di Gaza, allorché si compilarono opere che non solo riproducevano il
testo biblico al centro della pagina, ma insieme con esso e attorno ad esso venivano riportati i
commenti alla Scrittura lasciati dai Padri, così che la Bibbia appariva veicolata dalla grande
tradizione ecclesiale e il lettore poteva beneficiare di una interpretazione feconda da parte di
autori che non solo erano stati maestri, ma anche testimoni della Parola di Dio.
Qualcosa di simile è accaduto nel mondo ebraico : in parallelo e ad imitazione del modello
cristiano delle "catene", l'ebraismo ha curato le edizioni di "Bibbie grandi = miqraot gedolot"
o "Bibbie Rabbiniche", dove accanto al testo ebraico delle Scritture impresso a caratteri
grandi e marcati, compare il Targum e poi tutt'intorno a mo di aureola vengono scritti i
commenti dei maestri dell'ebraismo, i rabbini, tra i quali eccelle RASHI, "interprete
insuperato di tutta la Bibbia" (Neri).
Indicazioni bibliografiche a carattere divulgativo
- AA VV, IL messaggio della salvezza, vol III : Pentateuco, Storia Deuteronomista e
Cronista, LDC Torino 1977
- E. TESTA, Genesi (NVB) EP Roma 1972
- F. ASENSIO, II Pentateuco, PUG Roma 1970
- M. CIMOSA, Genesi 1-11. Alle origini dell'uomo, collana LoB Queriniana - Brescia
1984
- R. MICHAUD, I patriarchi (Gn 12-36), collana LoB Queriniana - Brescia 1979
- A. BONORA, La storia di Giuseppe (Gn 37-50), collana LoB Queriniana - Brescia
1982
- G. W. COATS, Genesis with an Introduction to Narrative Literature, Ed.
Eberdmans - Grands Rapids (Michigan) 1985. E' il primo volume della collana FOTL (= The
Forms of the Old Testament Literature).
- N. NEGHETTI, C. WESTERMAMNN, G. VON RAD, Il Genesi. Gli inizi della
nostra storia, Marietti - Torino 1974
- S. QUINZIO, Commento alla Bibbia. I. Sul Pentateuco e i Libri Storici, Adelphi
1972
- Una menzione speciale per la originalità del suo contributo merita il libro di L.
ALONSO SCHOEKEL, Donde esta tu hermano ? Textos de fraternidad en el libro del
Gènesis, Valencia 1985
"Nulla in questa vita rende forte il nostro intelletto e lo mostra tale, quanto lo studio della
Sacra Scrittura ; nulla di più dolce si sperimenta in questo pellegrinaggio, nulla di più dolce si
riceve, nulla di più vero, si accoglie : nulla maggiormente distoglie l'anima dall’amore del
mondo, nulla tanto rafforza lo spirito contro le tentazioni e l'intelletto contro gli errori, nulla
La Legge del Signore
51
tanto ravviva l'uomo e lo soccorre per ogni opera e ogni fatica, quanto l'assidua meditazione
delle parole di Dio" (San Lorenzo Giustiniani, De perseverantia, IV).
IL LIBRO BELLA GENESI COME
FATTO LETTERARIO
Nella esegesi moderna del Gn accanto a una tendenza interessata a scoprire le fonti
dell'opera, si pone un'altra posizione critica più attenta alla forma artistica del testo, al suo
livello letterario.
Il pioniere a questo riguardo è senz'altro Hermann GUNKEL (1862-1932). Il suo
commentario alla Gn pubblicato nel 1901 fece scalpore, perché imboccava una strada nuova :
dotato di una notevole sensibilità letteraria egli si accostava all'opera non alla ricerca della
verità storica dei racconti, ma della bellezza formale del testo. "Occorre - affermava evidenziare la bellezza e non solo la veridicità del testo".
Il commentatore deve mostrare ciò in cui la Bibbia è bella, non solo ciò in cui essa è vera.
Gunkel è uno dei nomi di prestigio nella storia della considerazione artistica della Bibbia ;
egli si è occupato non solo della narrativa del Gn ma anche della letteratura profetica e del
mondo dei Salmi.
Non si interessa delle fonti, ma dei generi letterari, lavora sulle singole unità letterarie o
pericopi alla ricerca dei loro aspetti formali e quindi del piacere estetico che emanano.
Il suo metodo ha fatto scuola, ha mostrato l'importanza di non trascurare la qualità letteraria
del testo biblico, i suoi valori artistici.
In questa linea si possono collocare contributi recenti quali :
- R. LACK, L'arte narrativa nell'AT, in "Letture strutturaliste dell'AT Borla 1978 pp
65-77
- A. STRUS, La poetique sonore des récits de la Genèse, in "Biblica" ; 1979/1 pp 122
- J. GUILLEN, Motivos tòpicos en Génesis, in un'opera a più voci "El misterio de la
Palabra", Madrid 1983 pp 99-120
- il già citato volume di G. W. COATS con la sua introduzione alla letteratura
narrativa, primo prodotto di un progetto editoriale che vuole appunto privilegiare gli aspetti
formali della letteratura AT
UNA RACCOLTA DI SAGHE
Il genere letterario del materiale genesiaco è chiaramente narrativo : viene raccontata
una storia, vengono narrati degli episodi. Però il genere racconto conosce una pluralità di
sottogeneri : storiografia, parabola, favola, novella, saga ...
Il maggior numero di unità letterarie presenti in Gn sono saghe.
Che cos'è una saga ? Il termine proviene dal mondo anglosassone, dal verbo "sagen" = dire,
raccontare. Il suo significato è tecnico. La saga è un genere letterario fiorito nel Medio Evo
nordico, più particolarmente in Islanda (saga dei Nibelunghi) ; rappresenta un genere di
poesia, un unicum nella letteratura del Medio Evo europeo.
La saga è un racconto in forma poetica di antiche tradizioni orali. Con ciò però non è stato
ancora individuato il suo elemento specifico : "la saga si ha quando un episodio è la
proiezione in miniatura di una vicenda storica di un intero popolo" (Ravasi).
La Legge del Signore
52
Detto diversamente : dietro i personaggi e le vicende individuali narrate ci stanno in realtà
avvenimenti e gruppi collettivi. Ad es in Gn 4 dietro Caino ed Abele stanno due civiltà a
confronto e in contrasto : l'agricoltura e la pastorizia.
Si può adoperare anche il termine "leggenda etnologica" = racconto riguardante l'origine o la
vita di un gruppo umano dell'antichità, che si deve "leggere" per capire situazioni presenti.
Gunkel per primo ha definito la Genesi una "Sagensammlung = collezione di saghe", un
insieme di "shone Geschichten = belle storie", frutto di una consumata narrativa popolare.
"Parecchi racconti della Gn che implicano gli antenati riferiscono in realtà avvenimenti che
hanno impegnato dei popoli. Tuttavia questi avvenimenti sono conoscibili solo attraverso il
velo della poesia. Più chiaro ancora è il ritratto delle tribù e delle classi rappresentate" (Lack).
- Approfondiamo ora il discorso interrogandoci sulle caratteristiche delle saghe :
^ In origine sono racconti isolati e assai brevi, la composizione a cicli è successiva.
^Sono racconti assai semplici, lineari, pochi attori. Inizialmente appena due : Abramo e Lot
in Gn 13 ; Giacobbe ed Esaù in Gn 25 ; successivamente tre come Caino, Abele e Dio in Gn
4 oppure quattro come in Gn 3 : l'uomo, la donna, Dio e il serpente ...
^ La caratterizzazione è elementare : ogni personaggio incarna un tratto tipico : Caino è il
geloso, Canaan è il guardone, Lot il tipo avido, Abramo la persona conciliante, Rebecca la
donna astuta, Esaù il corto.
^Grande parsimonia di aggettivi : i personaggi si rivelano non per la descrizione dell'autore,
ma tramite le loro azioni e soprattutto i loro discorsi. Importanza del parlare per lo sviluppo
dell'intreccio e per svelare la psicologia dei personaggi. Ad es Gn 23 : Abramo e l'Eteo
Il lettore deve di conseguenza lasciarsi incantare da questa narrativa popolare, deve
assaporare anzitutto la verità umana del testo.
"In quanto produzione letteraria poetica, la leggenda ('che si trova a metà strada tra la favola e
il racconto storico' Wilberger) ha una sua consistenza ed una sua efficacia spirituale o morale
che la storiografia possiede in modo infinitamente inferiore. Per comprendere l'identità di un
popolo è più importante conoscere le sue leggende che la sua storia" (Lack).
- Circa poi i contenuti o i centri di interesse della saga possiamo osservare :
^ Il centro di interesse maggiore è la famiglia : i fatti che fanno notizia sono avvenimenti del
villaggio : nascite, matrimoni, funerali. Umili vicende domestiche che fanno l'incanto dei
narratori.
^ Altro interesse dominante sono le eziologie : questo termine (lo si usa in medicina oltre che
in letteratura) proviene dal greco, dove significa alla lettera : discorso sulle cause.
I racconti nascono e fioriscono come risposta a molteplici perché.
Le saghe hanno tra l'altro carattere etnologico-etnografico. Gn è anche testimonianza di una
primitiva cultura popolare di Israele, contiene le risposte che il popolo si dava a molteplici
fenomeni dell'ambiente geografico e umano in mezzo al quale viveva.
In Gn troviamo i primi passi di una scienza bambina che si interroga sui fatti e cerca di darsi
ragione dei fenomeni.
L'interesse eziologico è presente in varie forme :
a) eziologia di luogo : si cerca una ragione perché le varie località geografiche portino
quella tal denominazione : cf 16,14 ; 29,19 ; 32,31
La Legge del Signore
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b) eziologia di persona o di popolo : i nomi non sono casuali, ma si ricerca il loro
significato in base a circostanze ben precise : cf 17,5. 15 ; 25,25. 26. 30 ; 32,39
c) eziologia di costume o ambiente : perché le acque del Mar Morto sono invivibili ?
Ecco il racconto di Gn 19
d) perché l'arcaico tabù alimentare di non mangiare il nervo sciatico ? Ecco la saga della
lussazione del femore di Giacobbe in 32,33
Sono spiegazioni ingenue, popolari, che non hanno pretesa scientifica cioè filologica, ci
possono anche far sorridere, ma che l'antropologo prende sul serio come attestazione di un
popolo in ricerca, che incomincia a costruirsi una concezione del vivere.
- Dobbiamo spendere anche una parola sul "Sitz im Leben" delle saghe della Gn : è il terzo
elemento che permette di individuare un genere letterario oltre alla forma e ai contenuti
comuni.
Il termine è ormai entrato nella grammatica della esegesi e quindi va chiarito :
etimologicamente significa : "sede nella vita" o "ambiente, situazione, contesto vitale".
Bisogna ricordare che la letteratura biblica è eminentemente funzionale : nasce dalla vita e
serve alla vita.
Gunkel parla della famiglia come luogo di trasmissione delle memorie patriarcali. La veglia
d'inverno attorno al fuoco - "il fuoco degli Anziani" - è il momento classico della narrativa
popolare ; qui si trasmettono i ricordi degli antenati, il patrimonio della sapienza clanica,
tribale. Situazione educativa.
Indubbiamente anche i santuari locali hanno svolto un ruolo decisivo nella
trasmissione del materiale : essi vengono messi in rapporto con le vicende dei padri. Si tratta
con ogni probabilità di santuari cananei trasformati e consacrati successivamente al culto
jahvista.
I sacerdoti, custodi del luogo sacro, trasmettevano i relativi ricordi in occasione delle feste
agricole che vi si celebravano.
STRUTTURA DELLA GENESI
Nella redazione attuale suddivisa in 50 capitoli, le saghe della Gn sono raccolte in
cicli narrativi (Sagenkranz), cioè in grappoli di racconti che ruotano attorno e un personaggio.
Questa la composizione dell'opera :
^ I1 ciclo delle origini : cc 1-11
^ Ciclo di Abramo : cc 12-23. Materiale abbondante e qualificato dal punto di vista letterario
e teologico.
^Ciclo di Isacco : cc 24-27. Piuttosto povero di racconti. Figura di transizione. Gn 26 è il vero
capitolo di Isacco.
^ Ciclo di Giacobbe : cc 28-35. Ricompare la vena narrativa. Attorno a questa personalità
corporativa circolano molte memorie. Spessore umano e teologico.
^ Novella di Giuseppe : cc 37-50 (il 36 è occupato da genealogie). Necessita di un
trattamento a parte. La storia di Giuseppe ha caratteristiche formali e contenutistiche
peculiari, che la differenziano nettamente dai cicli che precedono. Fa da transizione alle
tradizioni sull'Esodo.
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LA STORICITA' DEL GENESI
PROBLEMA COMPLESSO
cf S. HERRMANN, Introduzione : Storia di Israele, in "Problemi e prospettive di Scienze
Bibliche" pp 429-460.
- F. FESTORAZZI, II problema storico e il problema teologico delle origini di Israele, in
"Rivista Biblica" 1981/2 pp 205Qual è il grado di storicità, di fattualità del racconti della Gn ?
Ovviamente per rispondere si tratta di intendersi bene sulla nozione di storicità. Che cosa c'è
di vero, di obiettivamente accaduto nei personaggi e negli avvenimenti narrati ?
La questione si "pone in termini diversi passando da Gn 1-11 e 12-50.
Qui ci interessa (il rapporto tra i patriarchi ebrei e la storia.
Già sappiamo dallo studio della Storia di Israele che è intercorso un notevolissimo periodo di
tempo tra l'epoca dei fatti narrati e la loro redazione scritta ; di più, il motivo della loro
registrazione per iscritto non è dovuto ad esigenze storiografiche ma teologiche.
Ma "il carattere problematico delle origini di Israele è un caso tutt'altro che unico, anzi è
normale" (Liverani).
Alonso Schoekel osserva al riguardo che "la questione della storicità è un compito immane
che dà scarsi risultati".
- Nel mondo degli studiosi che si occupano della "protostoria di Israele" è possibile
individuare una triplice tendenza.
A.
Massimalismo storico : i racconti meritano credito, sono veri, obiettivi, mettono in
scena fatti e personaggi realmente accaduti. E' una posizione più fideistica che scientifica. La
storicità della Gn è dedotta dalla ispirazione, da una malcompresa nozione della inerranza
biblica. Fondamentalismo biblico.
Interpretazione ingenua, da abbandonare perché non tiene conto del genere letterario dei
racconti e delle acquisizioni della archeologia.
B.
Minimismo storico : si tratta chiaramente di una posizione radicale, che rifiuta
sistematicamente ogni valore di obiettività ai racconti, vedendo in essi delle semplici
"opinioni" di epoca recente rispetto alle origini remote del popolo, in grado di introdurci a
come vedevano le cose le varie scuole letterarie e teologiche apparse successivamente in
Israele, ma incapaci di farci risalire alla fattualità degli avvenimenti.
Per Gunkel "il materiale della Gn è pura invenzione popolare". Secondo Liverani le origini di
Israele sarebbero "un progetto irrealizzabile di ricerca etnogenetica" ; cf il suo articolo in
"Rivista Biblica" 28 (1980) pp 9-32.
Afferma : "Con qualche semplificazione si può dire che non abbiamo dati sulle origini di
Israele. Abbiamo invece opinioni e soprattutto quel corpo di opinioni stratificate nel tempo
che è l'AT".
Gli inizi di Israele sfuggono ad ogni possibilità di ricostruzione scientifica per il silenzio
quasi totale delle fonti ; i racconti patriarcali ci introducono nella mentalità di fede con cui
l'Israele monarchico rievocava quel remoto periodo e lo celebrava nel culto, ma non
possiedono alcuna garanzia di autenticità.
La Legge del Signore
55
cf Th. L. THOMPSON, The Historicity of the Patriarchal Narratives. The Quest for the
Historical Abraham
e A. VAN SETERS, Abraham in History and Tradition, 1975
C.
Sostanziale storicità della Genesi : Non abbiamo il diritto di rifiutare in blocco la
storicità dei racconti : occorre verificare meglio come stanno le cose. L'analisi letteraria deve
precedere lo studio storico-critico. Le saghe etnologiche non sono dei miti.
Ascoltiamo Soggin : "Se nelle confessioni di fede e nel culto di Israele appaiono elementi
come le narrazioni dei patriarchi… non abbiamo il diritto di affermare che tali narrazioni
sono globalmente prive di storicità ... recenti reperti orientali antichi rendono probabile una
sostanziale storicità dell'epoca patriarcale, senza peraltro la possibilità di identificare i
personaggi e di sincronizzarli con persone ed avvenimenti a noi diversamente noti" (Soggin).
E Alonso Schokel : "Lo storico può solo dire che è possibile che Israele abbia conservato
ricordi autentici delle sue origini. Per andare oltre occorre uscire dalla Bibbia".
ELEMENTI
E FERMENTI DI STORICITÀ
^ La successione Abramo-Isacco-Giacobbe con i figli che scendono in Egitto risulta
chiaramente artificiosa : rappresenta la semplificazione di un processo formativo ben più
esteso nel tempo e più complesso.Questo è un dato acquisito.
^ E' problematica la individualità storica delle singole figure patriarcali a motivo del genere
letterario "saga" che richiede una interpretazione tribale. I racconti ad es parlano anche delle
origini di Edom, Moab, Ammon ... facendoli risalire ad altrettanti individui imparentati con i
patriarchi ; ma questo è un artificio popolare per richiamare e affermare rapporti di parentela
o altre relazioni etniche.
Sono anche Abramo-Isacco e Giacobbe eroi alla pari di Ismaele o Esaù o i nati delle figlie di
Lot in Gn 19,36-38 ?
Sono esistiti i patriarchi ? Non certo così come vengono descritti.
Ma non si può escludere che la tradizione possa contenere un fondo di materiale arcaico e
cioè il ricordo di alcune figure del passato remoto di Israele che hanno lasciato un segno
profondo. Le tradizioni orali hanno buona memoria circa la topografia e la toponomastica.
I patriarchi come appaiono in Gn non sono figure mitiche, ma hanno precise coordinate
spaziali e culturali.
"E’assicurata l'esistenza di alcuni capi nomadi, i patriarchi appunto, che venuti in Canaan si
sostituiscono agli eroi delle leggende cultuali ivi esistenti" (Festorazzi).
Il criterio dei nomi ad es depone a favore e l'onomastica è un principio assai importante
accanto a quello della lingua per appurare la storicità dei dati.
"Non vi è alcun dubbio che i patriarchi portano nomi affini per formazione, etimologia e
sintassi a quelli della onomastica di Mari" (Soggin).
^ Secondo la Gn i patriarchi sono seminomadi, non legati a un territorio particolare ; Canaan
è la "terra delle loro peregrinazioni" (P). Essi costituiscono un flusso migratorio che dalla
Bassa Mesopotamia (Ur dei Caldei secondo la tradizione P, che scrive all'epoca dell'esilio
nella regione da cui i patriarchi sono partiti ; la denominazione è in ogni caso recente), da
Harran (così la fonte J che scrivendo agli inizi della monarchia vedrebbe nella conquista di
Aram e della Mesopotamia occidentale come un ritorno in sede) li porta poi a percorrere il
paese di Canaan fino ad arrivare in Egitto.
In tal modo è percorsa per intero la "mezzaluna fertile".
La Legge del Signore
56
I patriarchi si inseriscono in un flusso migratorio : lo storico De Vaux parla del movimento
degli Amorriti e colloca Abramo nel secolo XIX (verso il 1850). "Verso il 1800 primo arrivo
dei clan patriarcali in Canaan" (TOB).
Altri parlano piuttosto della "migrazione aramea" e qui l'età si abbassa di due secoli (qui si
colloca meglio la figura di Giacobbe l'Arameo errante). Secondo sempre De Vaux la fine
dell'epoca patriarcale si avrebbe in connessione con il movimento dei cosiddetti Hyksos o "re
pastori" che verso la fine del secolo XVIII partendo da Canaan avrebbero fatto irruzione in
Egitto in veste di conquistatori presumibilmente semiti.
Cazelles osserva : "Tra i nomi di antenati delle antiche famiglie israelitiche emerge quello di
Abramo ... è un buon nome mesopotamico del secondo millennio, evoca il culto del dio padre
... Harran è un luogo di culto lunare…
gli specialisti ammettono senza riserve-difficoltà che Abramo abbia emigrato da Harran in
Canaan. Una prima migrazione di Abramo da Ur dei Caldei è possibile ma resta discussa ...
In Ebron e Bersabea le tradizioni di Abramo e Isacco si sovrappongono (cf Gn 26 con Gn
12,9-20 e 21,22-34)"
"Un gruppo umano può a rigore inventare i propri eroi popolari, ma non inventa i propri
antenati. O piuttosto : il 'ritrovamento' dell'antenato è l'atto costitutivo della comunità" (A De
Pury).
^ Una parola sulla storicità dell'ambiente, il fondale sociologico : "I racconti patriarcali si
integrano nel quadro generale dei costumi sociali e giuridici del Vicino Oriente Antico.
Alcuni di questi accostamenti giustificano l'anzianità delle tradizioni, ma si ricava anche che i
migliori paralleli non appartengono all'epoca presente dei patriarchi ma a quella in cui le
tradizioni che li riguardano sono state redatte. Essi non possono né provare ne contraddire la
storicità fondamentale di queste tradizioni. In particolare essi apportano poca assistenza per
stabilire la data dei patriarchi" (De Vaux). Alcuni dispositivi giuridici scoperti a Mari e Nuzi
concordano con i tratti del costume patriarcale.
LA RELIGIONE DEI PATRIARCHI
cf il fondamentale studio di A. ALT, Der Gott der Vater, 1929.
- E. GALBIATI, La religione dei patriarchi, in "Ricerche bibliche e religiose" 1974/9 pp 722
La redazione attuale vede evidentemente i patriarchi come credenti e adoratori nel
Signore, il Dio di Israele ; d'altra parte le tradizioni collocano alla rivelazione del Sinai la
conoscenza del nome di YHWH.
Divario dunque all'interno dello stesso racconto.
La religione dei patriarchi risente del duplice carattere della loro condizione :
a) sono seminomadi, allevano e curano il piccolo gregge, sono gente in cammino. La divinità
è legata alla persona del padre del clan :
"Il dio di mio/tuo/vostro padre" (Gn 31,5b. 29b ; 46,1 ; 50,17).
"Il dio di Abramo o di Isacco o di Nahor" (Gn 31,53 ; 26,24 ; 28,13).
Vi sono poi denominazioni arcaiche come :
"Il terrore di Isacco" (Gn 31,42. 53) ; "il potente, forte (toro) di Giacobbe" (Gn 49,24) ; "il
pastore di Israele" (Gn 48,15 o Sal 80,1).
La Legge del Signore
57
In netta opposizione ai culti cananaici legati a delle località ed espressione di forze della
natura, il culto dei patriarchi ha come carattere essenziale il rapporto costante con un preciso
gruppo e con le sorti di esso. Si tratta, secondo Alt, di una particolare figura nell'ambito della
storia delle religioni, quella chiamata correntemente del "Theos patroos", una forma di
divinità che non è agricola, né appare legata ad un santuario, ma che segue il gruppo dei
propri adoratori nelle loro migrazioni. Von Rad vede qui addirittura "implicita la futura idea
della elezione".
b) in quanto tendenti alla sedentarizzazione vivono in adiacenza delle terre coltivate ...
seminano, coltivano campi, bramano la benedizione di terre grasse (cf Gn 27,28 ), seguono il
culto dei santuari cananei in cui localizzano tutte le loro tradizioni religiose, identificando il
loro El con i vari dei cananei.
Cf gli epiteti : "El Roi = Dio della visione" in 16,13 ; "El 'olam" cioè dio eterno a Bersabea
secondo 21,33 ; "El Shaddai = dio delle montagne" in 17,1 ( la LXX traduce con
"pantokrator") ; "El Betel" in 31,13 e 35,7
In conclusione : "Il concetto fondamentale del Dio dei padri patriarcale, connesso a persone e
non a luoghi e che non aveva nulla a che fare con i pantheon politeistici era destinato a dare
importanti frutti nella religione in seguito elaborata dal popolo israelitico" (Grant).
Una difficoltà ermeneutica
Questo capitolo sulla storicità della Gn potrebbe mettere a disagio qualche lettore e
fare problema alla fede di qualcuno. Non è giusto mettere in crisi per il semplice gusto di
scandalizzare ; non è atteggiamento onesto.
Le domande che nascono suonano pressappoco così : se il filo storico di Gn è così esiguo, se
dal punto di vista culturale sappiamo pochissimo della individualità reale dei patriarchi e
delle loro vicende, che senso possono avere i racconti che li riguardano ?
Sono simili a una letteratura di immaginazione, a un "romanzo storico" ? E' dunque tutto una
finzione teologica che fa a pugni con la verità storica ?
- Risponderei cosi : da un punto di vista culturale il significato di un testo non dipende dalla
sua storicità. Un grande poema o romanzo, un film d'autore posseggono un altissimo
messaggio, una verità umana comunicativa, anche se la vicenda narrata fosse totalmente
prodotte della fantasia.
Nel caso della Gn c'è un fondo storico, su cui si è esercitata la fede di Israele : ciò che è
messaggio non è il grado di storicità dei racconti, ma il significato che Israele ha attribuito a
questi fatti, la consapevolezza di fede espressa da questa narrativa.
E per il carisma della ispirazione questa è anche la intenzionalità divina per la comunità che
riceve l'opera.
Non sappiamo da un punto di vista storico i termini precisi di Gn 22, se ci sia stato o no un
sacrificio di Isacco, però il senso di questo racconto rimane al di là della storicità discussa. Il
significato che ne emerge (mi accorgo che potevo essere filosoficamente più preciso nell'uso
dei due termini senso e significato) è una certa immagine di Dio e della fede : così Israele ha
capito l'episodio, così Dio ha voluto che Israele capisse e questo è anche il significato per la
generazione credente, ebraica o cristiana.
Se può bastare cosi ...
La Legge del Signore
58
IL CICLO DI ABRAMO
"GUARDATE AD ABRAMO VOSTRO PADRE" (IS 51 ,2).
La figura di Abramo è una delle più suggestive nella galleria dei personaggi della
prima alleanza.
"Chi è Abramo ? E’ esistito Abramo ? Non è esistito ? Potremmo discutere sulla storicità di
Abramo, ma ciò che a noi interessa non è tanto la figura storica di Abramo, quale che può
essere stato questo seminomade con le sue greggi, ma ciò che di Abramo ha conosciuto la
tradizione biblica : la sua figura, ciò che Dio ha fatto con lui, ciò che ci è stato tramandato di
lui. Quindi ciò che Abramo rappresenta per tutti coloro che se ne disputano la figura. Perché
Abramo non è soltanto una figura singola, ma è anche un tipo" (C. M. Martini).
cf sulla figura di Abramo il numero 357 (1981) di "Fetes et Saisons".
- Nell'AT il nome di Abramo è citato nella forma Abram 60 volte, 174 nella forma Abraham,
quindi più di 230 citazioni, e nel NT 72 volte. Ma i libri dell'AT che citano Abramo sono
meno di quanto si penserebbe. La figura di Abramo non è così popolare nell'AT. E’ il
giudaismo posteriore che lo rimette in luce.
"La tradizione sapienziale antica non tratta praticamente di lui, non nomina mai Abramo. E'
nominato nella tradizione sapienziale più recente deuterocanonica : Sap ed Eccli. Nel libro
della Sap si legge di lui un breve tratto, in quello dell'Eccli se ne parla nelle "Lodi dei Padri".
Solo due salmi menzionano Abramo : il 47 e il 105.
Nei profeti troviamo solo sette menzioni, anche qui ben poco e per lo più in testi tardivi ... si
potrebbe dire che la figura di Abramo ha preso importanza più grande nella Bibbia a partire
dall'esilio" (Martini).
Per ispirazione lirica merita di essere ricordato l'invito a considerare la figura di Abramo
rivolto dal DeuteroIsaia ai suoi discepoli : "Ascoltatemi voi che siete in cerca di giustizia, voi
che cercate il Signore, Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati
estratti. Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito ; poiché lui io ho
chiamato, lo benedissi e lo moltiplicai" (Is 51,1-2).
Per la legge del parallelismo sinonimico capiamo che Abramo è paragonato alla "roccia" e
Sara alla "cava". Si tratta di metafore che hanno una indubbia trasparenza sessuale, evocano
l'amplesso fecondo dei due corpi. Secondo Dt 32,18 "Dio è la roccia che genera" e Abramo
partecipa di questa fecondità insieme con Sara sposa e madre.
- Anche il NT cita ripetutamente Abramo : 72 volte e sempre in termini elogiativi. Basti
pensare al cantico di Zaccaria : "del giuramento fatto ad Abramo nostro padre" (Lc 1,73) o
all'inno della Vergine Maria : "come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua
discendenza per sempre" (Lc 1,55).
Notevole impeto esprime Paolo nel rievocare la figura di Abramo in Rom 4 e l'autore di "agli
Ebrei" nella sezione dedicata alla fede dei padri (11,8-19).
La generazione cristiana deve guardare nello specchio della storia di Abramo e di Sara, deve
imparare da queste figure bibliche.
- Quella di Abramo è una figura ecumenica : guardano ad essa il mondo ebraico, quello
cristiano e quello islamico (il Corano lo cita 69x) anche se cambiano le prospettive. Ad ogni
modo le tre grandi religioni monoteiste si richiamano tutte quante ad Abramo come antenato
La Legge del Signore
59
comune nella fede. Il Vat II ha ritenuto opportuno evidenziare questo elemento nella
dichiarazione Nostra Aetate :
"Essi (i mussulmani) cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche
nascosti, come si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce"
(3a).
"Scrutando il mistero della Chiesa, il Sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del
NT è spiritualmente legato "con la stirpe di Abramo ... (la chiesa) afferma che tutti i fedeli di
Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca ... "
(4ab).
IL TEMA DELLA DISCENDENZA
+ Premessa :
All'interno dei racconti che costituiscono il ciclo di Abramo (cc 12-23, anche se qualcuno
spinge fino a 25) ci sono chiaramente DUE FILI NARRATIVI, due motivi teologici che lo
solcano e che imprimono un certo dinamismo al ciclo, seppure in modo non perfetto.
Sono i due contenuti della promessa di Dio, chiamata qui benedizione e cioè il tema della
discendenza e quello della terra. Si possono di conseguenza fare due letture unitarie, globali.
- Nell'episodio della vocazione ad Abramo è connessa la promessa di una discendenza
numerosa : "Farò di te un grande popolo e ti benedirò" (12,4).
Ma appare subito lo scarto tra ciò che Dio promette e la realtà permette, tra il visibile e
l'invisibile, tra la parola di Dio e le risorse umane. In altri termini il conflitto fede - ragione .
- Infatti Abramo è ormai avanzato negli anni ; ne ha 75 e soprattutto SARA è sterile, la prima
donna infeconda dopo la creazione (cfr Gn 11, 30).
Allora Abramo fa un primo tentativo di accelerare la esecuzione della promessa, vuol dare
una mano a Dio, vuole garantirsi il futuro : sfrutta una usanza dell’ambiente, secondo la quale
in mancanza di figli, poteva essere adottato tra i servi l'erede dei beni. Abramo puntò le sue
carte su ELIEZER un servo di Damasco e si scusò con Dio di quella soluzione così onesta e
normale, perché non vedeva altra via per uscire dall'impasse (cf 15,2-3).
- Ma Dio intervenne a scoraggiare qs proposta-soluzione di Abramo e volle riconfermare la
sua promessa : "Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede" (15,4).
Il futuro che Dio prometteva doveva nascere da Abramo stesso, non era possibile cercarsi
sostituti.
- A qs punto interviene SARA, che escogita un'altra maniera per realizzare la promessa del
Signore : "Ecco il Signore mi ha impedito di avere prole ; unisciti alla mia schiava, forse da
lei potrò avere figli" (16,2).
Proposta ragionevole per quei tempi : è documentata anche nei testi di Nuzi e di Mari, ma alla
sua base c'era ancora il difetto antico.
Abramo e Sara non avevano il coraggio di credere in Dio e nemmeno avevano fiducia in se
stessi. Il sostegno della loro speranza non era la parola della promessa, bensì le fecondità di
una donna, Agar la schiava.
I due vecchi coniugi ragionavano secondo la logica umana, in base al buon senso : "A uno di
100 anni può nascere un figlio ? E Sara all'età di 90 anni potrà partorire ? Mi basta che viva
Ismaele davanti a te !" ( 17, 17 ).
La Legge del Signore
60
- Dio interviene una seconda volta a rimproverare l'incredulità di Abramo dicendogli : "No !
Sara tua moglie ti partorirà un figlio" (17, 19).
Tutto fu nuovamente azzerato. E fu la seconda batosta che toccò ad Abramo, il quale
finalmente decise di seguire la Parola divina, vincendo anche la resistenza (il riso incredulo)
di Sara (cf 18,12). Difficoltà in famiglia : gelosia di Sara.
- Soltanto in qs ambiente di fede recuperata, può nascere il bambino, il figlio della promessa,
la parola di Dio fatta carne. "Il Signore visitò Sara, come aveva detto e fece a Sara come
aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che
Dio aveva fissato" (21 ,1-2).
Il testo biblico ci fa assistere alla gioia che suscita la nascita di qs bimbo, motivo di stupore
per tutto il vicinato : "Allora Sara disse : Motivo di riso mi ha dato Dio ; chiunque lo saprà
sorriderà di me" (21,6).
- La narrativa sottolinea la crescita di qs bambino ed in particolare il traguardo dello
SVEZZAMENTO, allorché il bambino si stacca dal seno materno, finisce di prendere latte e
incomincia a mangiare cibi solidi, momento assai importante nelle antiche culture. "Il
bambino crebbe e fu svezzato e Abramo fece un gran banchetto allorché Isacco fu svezzato"
(21 ,8).
- Tutto sembrava procedere per il meglio ; la promessa della discendenza incominciava a
realizzarsi. Già c'era uno, principio di tanti. Ed ecco che il Signore immette scompiglio nelle
certezze acquisite di Abramo ; in modo imprevedibile ed umanamente assurdo, chiede ad
Abramo di sacrificare il figlio.
E' possibile questo Dio ? Non va forse contro se stesso ? Non equivale forse ad annientare la
promessa di Dio ? Dopo le prove della solitudine e della sterilità ad Abramo era richiesta 1a
prova del sangue ; doveva sopprimere suo figlio, tagliare il ramo della pianta su cui era
seduto, non solo recidere i ponti con il passato, ma tagliarsi anche i legami con il futuro.
E’ il momento vertice del racconto ; si tratta del capitolo 22.
- La prova è felicemente superata. Abramo stavolta si fida completamente di Dio, sacrifica il
figlio nel cuore e come conseguenza della "obbedienza della fede" riceve la promessa in
termini ancora più enfatici. (22,15-18).
La discendenza viene ulteriormente rafforzata con il matrimonio tra Isacco e Rebecca,
SCELTA NON "tra le figlie dei Cananei" (24,3) per non danneggiare l'opera divina,
contaminando la stirpe, ma nella regione di origine "nel paese dei due fiumi, alla città di
Nahor" (24,10).
- Con lo sposalizio di Isacco, Abramo ha terminato la sua missione in quanto trasmettitore
della benedizione della discendenza. Il testo biblico accenna ad un'altra moglie Chetura e ai
numerosi figli che nascono, ma essi sono esclusi dalla linea della promessa (25,1ss).
Solo Isacco diventa erede dei beni (25,5) e soltanto con lui cammina la promessa di Dio :
"Dopo le morte di Abramo, Dio benedisse il figlio di lui Isacco" cf 25,11.
+ In sintesi :
Qs prima linea narrativa evidenzia sul piano umano il valore della fecondità e discendenza
come contenuto della promessa di Dio, della salvezza. A livello religioso racconta il
cammino della fede di Abramo, la sua "peregrinatio fidei" ; è una strada in salita, cammino
difficile, Abramo qualche volta anche cade, impara dagli sbagli a fidarsi di Dio, a dargli
La Legge del Signore
61
pienamente credito. Diventa in tal modo simbolo dell'uomo con i suoi slanci di eroismo, ma
anche con le sue debolezze e bassezze.
Sulla figura di Abramo cf "Fetes et Saisons" 357 (1981).
LA TERRA COME FILO CONDUTTORE DEL CICLO DI ABRAMO
Il secondo fil rouge che si intreccia con il precedente è quello della TERRA. Terra e
discendenza diventano per Abramo i beni della salvezza : Dio si fa presente in essi e
contemporaneamente li supera, li trascende.
Una trattazione completa della terra nei suoi significati, nel suo valore antropologico e
teologico appartiene alla teologia dell'Esodo.
Per ora, continuando la lettura sincronica del ciclo di Abramo, ci limitiamo a segnalare i passi
dove il motivo compare.
- Il punto di partenza è la bassa Mesopotamia, l'estremità Est della Luna Fertile ; questo è il
luogo di origine, la culla di Israele secondo P.
cf 11,28 "Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua TERRA NATALE, in Ur
dei Caldei".
Qui inizia la prima trasmigrazione : "Poi Terach prese Abram, suo figlio e Lot ... e uscì con
loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino ad Harran e vi si
stabilirono" (Gn 11, 31).
In qs primo spostamento (notare l'uso del verbo uscire nel senso di trasmigrare) non compare
alcuna motivazione religiosa ... quello di Terach è uno dei tanti flussi migratori che si
spostano verso Occidente.
Fenomeno consueto nell'antichità.
- La chiamata di Dio : è il senso della vocazione di Abram in 12,1ss "Vattene dal tuo paese ...
nel paese che io ti dirò"
In qs secondo spostamento interviene qualcosa di nuovo : l'ispirazione drammatica di
Dio, la Parola creatrice di storia che spinge all'azione. In qs caso la partenza è obbedienza, è
fede nel Signore, perché è lasciare un passato sicuro per un futuro precario ; è camminare
verso l'ignoto.
Abram non sa se la terra gli verrà data, dove arriva trova già degli inquilini cf "nel
paese si trovavano allora i Cananei" (12, 6b) e allora può apparire una beffa la promessa di
Dio subito dopo : "alla tua discendenza io darò qs paese" (12,7) …bella consolazione !
Nondimeno Abram consacra quella terra al Signore mediante la erezione di altari ; si tratta di
una semplice pietra eretta "sub divo" ... è un modo di proclamare la signoria di Dio su quella
terra ... sceglie poi la regione stepposa del Sud, cioè il Negeb come spazio in cui piantare e
smontare la tenda (12,9).
- La tentazione : "Venne la fame nel paese e Abram scese in Egitto per soggiornarvi perché la
carestia gravava sul paese" (12,10).
L'Egitto è attraente, è la terra fertile, riserva di grano, può vincere le paure di Abramo, il
quale ne subisce l'incanto e quindi lascia la terra della promessa per seguire il visibile ...
Interviene il Signore a tirarlo fuori : l'episodio di Sarai, la sposa di Abram, fatta
passare per sorella agli occhi del Faraone e della corte con il pericolo di venir usata come
concubina, sottolinea (come negli analoghi racconti di Gn 20 e 26) diversi elementi : la
folgorante bellezza delle donne dei patriarchi ("donna di aspetto avvenente" in 12,11.14) ;
La Legge del Signore
62
l'astuzia dei beduini, ma soprattutto la vigilanza di Dio (12,17) che colpisce il Faraone e non
permette ad Abram di adagiarsi negli agi e nella sicurezza dell'Egitto.
Infatti Abram ritorna (13,1).
- Terra contesa : gli affari rovinano gli affetti ... il territorio è povero e non dà da mangiare a
tutti (cf 13, 6 : "Il territorio non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni
troppo grandi ... per qs sorse una lite tra i mandriani di Abram e quelli di Lot").
Di qui la divisione dei pascoli ed Abram conciliante si accontenta della parte al momento più
povera.
In 13,14ss abbiamo un rinnovo della promessa e Abram percorre idealmente la terra ; la
possiede in spe (13,8).
Un rinnovamento-ampliamento della promessa lo incontriamo in 15,18-19 e poi in 17,8 "darò
a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan"
Appare ancora terra contesa al c 21, allorché nasce la disputa tra Abramo e Abimelech a
causa dei pozzi d'acqua ... segue un trattato di pace ... "E fu forestiero nel paese dei Filistei
per molto tempo" (21,34).
- Il primo lotto di terra : la terra diventa di Abramo solo quando muore la moglie Sara ...
perdendo la sposa possiede la terra. Abramo la acquista come "proprietà sepolcrale" ; fa di
tutto per comperare il campo conducendo abilmente le trattative con gli Hittiti
complimentosi.
Non vuole un semplice prestito ma un regolare acquisto ... E' la grotta di Macpela dove
seppellisce Sara. Tutto questo è raccontato al c23.
Un'altra tentazione si profila al c 24 : il richiamo del paese di origine. Si tratta di
scegliere una sposa per Isacco : allo scopo di preservare la purezza del clan non bisogna
prenderla tra le figlie dei Cananei, ma nel "paese dei due fiumi, alla città di Nahor" (24,10).
Per qs viene spedito un servo. Ma qs viaggio non può significare un ritorno all' indietro, un
dimenticare la promessa di Dio : "Guardati dal ricondurre là mio figlio" (24,6-8).
Con la sua MORTE Abramo possiede effettivamente la terra cf 25,7-11
" ... lo seppellirono i suoi figli, Isacco e Ismaele, nella caverna di Macpela, nel campo di
Efron… è appunto il campo che Abramo aveva comperato dagli Hittiti : ivi furono sepolti
Abramo e sua moglie Sara ... "
cf S. VIRGULIN, La speranza della terra e della numerosa discendenza nel libro della
Genesi, in "PSV" 9 pp 13-26.
"IL SIGNORE DISSE AD ABRAM ... " : VOCAZIONE DI ABRAMO (GN 12,1-9).
"Il testo che ci racconta la vocazione di Abramo e la sua venuta in Canaan è uno dei
più importanti dell'AT per la storia religiosa di Israele e dell’umanità" (Chaine).
Traspare l'intenzione del narratore di imprimere esemplarità all'episodio ; il racconto ha
valore di programma, è l'avvio di una tappa nuova. Povero di elementi narrativi ma ricco di
contenuto teologico.
La sua significatività aumenta nel contesto in cui è inserito, alla luce di ciò che precede
immediatamente, il racconto della torre in Gn 11,1-9. Conviene richiamare brevemente dati
già noti.
La Legge del Signore
63
La narrazione di Babele si chiude senza una prospettiva salvifica con la parola castigo.
Questo silenzio non può non impensierire il lettore attento della Bibbia, perché pone un
problema serio, quello del rapporto di Dio con i popoli o della esauribilità della misericordia
divina. La pericope della chiamata di Abramo risponde che la riserva della grazia non si è
consumata. Dio non ha cessato di amare l'uomo ; riprende in mano il filo spezzato e per
arrivare alla umanità incomincia un rapporto nuovo con Abramo, facendo di lui un tramite
della benedizione universale.
Si ricordi che per Von Rad il brano di Gn 12,1-9 va considerato piuttosto pezzo conclusivo
del ciclo delle origini che apertura della narrativa su Abramo.
Analisi stilistica : la forma del testo
^ Il racconto ha un inizio improvviso, "ex abrupto", cioè senza alcuna preparazione ;
sorprende il lettore.
^ Parla il Signore in termini imperativi : notare la triplice particella di allontanamento e
l'aggettivo possessivo "tuo". Non è senza significato.
^ Il comando di Dio è accompagnato da una serie di promesse : verbi al futuro. Leitwort è il
termine "benedire = brk" (5volte).
^ Al v 4 si registra l'esecuzione dell'ordine : Abramo agisce, nel racconto non parla mai.
^ I vv 4b-5 hanno un valore esplicativo e sono un leggero doppione ; potrebbero venire
soppressi e il racconto correrebbe lo stesso. .
^ Al v 7 teofania di Dio con breve parola di accompagnamento. Nuova promessa : la terra
alla discendenza.
^ vv 7b-9 : risposta fattiva di Abramo : costruisce altari, pianta e leva la tenda.
La struttura è quindi molto semplice :
parola di Dio - azione
visione e parola di Dio - azione
- Il racconto viene attribuito alla fonte J.
A parte l'uso del Tetragramma sacro a indicare Dio, i nomi geografici sono quelli della
Palestina centrale (Sichem, Betel e Ai), però il luogo dove Abramo si accampa è il Negev,
quindi il Sud arido della regione.
Si può inoltre ricordare il già più volte citato contatto verbale di Gn 12,2 "renderò il tuo nome
grande" con 2Sm 7,9b. Questo secondo testo appartiene sicuramente al Sud, sarà identica la
matrice anche del primo ?
Certo il racconto non ha la vivacità della narrativa J ; assenza completa di antropomorfismi.
Per questo Von Rad lo cataloga tra i racconti "intermedi" : si tratta di quei testi che non hanno
alla base una tradizione popolare legata a luoghi o a costumi (interesse eziologico), ma sono
stati composti dal teologo J per veicolare un messaggio teologico.
I vv 4b-5 sembrano essere di P : cf precisazione età di Abramo, ma si potrebbe discutere se
l'intero brano non sia sacerdotale per i paralleli di Gn 12 con Gn 1 (ruolo della Parola e tema
della benedizione) e per le analogie di Abramo con la figura di Noè.
Dirimere la questione non è decisivo per la intelligenza del testo.
Analisi contenutistica : i valori del testo
1)
La Parola di Dio : "Il Signore disse ad Abram ... "
La Legge del Signore
64
E’ come una ripresa di Gn 1 : "E Dio disse". Quella parola che aveva chiamato all'esistenza le
cose e assegnato loro una funzione nella armonia del cosmo, diventa ora creatrice di storia,
mette in movimento una tappa nuova, la "via di Israele". "E’ un ripartire da zero" (Martini) .
Qui appare il significato impressivo della parola : "Vattene !"
Dio entra nella vita di un uomo e le imprime un nuovo orientamento.
In Gs 24,3 il termine parallelo è "prendere", parola di elezione.
In Nee 9,7 l'intervento divino è così articolato : "Tu sei il Signore, il Dio che hai scelto
Abram, lo hai fatto uscire da Ur dei Caldei e lo hai chiamato Abramo".
2)
La berakah : l'imperativo presente è accompagnato da una promessa con sei verbi al
futuro. Il centro di gravità del discorso di Dio sta nella promessa. Martini chiama questi
elementi "i vangeli ad Abramo, il kerygma per Abramo". Il kerygma non è il partire (questo è
solo la condizione), ma l’annuncio strabiliante che segue. Dio si impegna a dare ad Abram
dei beni.
Il primo è la fecondità, chiave della vita sociale e della continuità : in cambio della parentela
e della gente che ha lasciato, Dio si impegna a rendere Abramo un patriarca, cioè padre,
inizio-"archè" di un popolo.
Di fatto Israele non sarà un popolo numeroso, come lo stesso ebraismo riconosce ("siete più
piccoli degli altri popoli" Dt 7,7ss), ma un popolo "grande" sì, non grasso ma grande per il
patrimonio che ha trasmesso all'umanità. "Ha detto bene dunque, non : 'farò di te un popolo
numeroso', ma 'un grande popolo'. Grande davvero infatti, è il popolo 'il cui Dio è il Signore' :
il popolo che Dio ha reso grande e onorato, dal quale abbiamo grandi patriarchi e profeti,
scribi periti e grandi personaggi di diversi meriti, mediante i quali il mondo conobbe la vera
grandezza di Dio" (Ruperto).
Secondo è il "nome" che richiama, il peso, il valore di una persona. Quel nome che la
generazione di Babele inutilmente aveva cercato di "farsi" (cf Gn 11,3) sarà reso celebre da
Dio. Ed è stato proprio così.
- La duplice promessa di Dio viene qui espressa con la terminologia del
benedire/benedizione. E' opportuno a questo punto aprire una parentesi su questa
importantissima nozione biblica.
Alcune segnalazioni bibliografiche :
- X. L. DUFOUR, Dizionario di Teologia Biblica Marietti, voce "benedizione" colonne 126134
- G. CROCETTI, Significato e prassi della "benedizione" nella Bibbia in "Rivista Liturgica"
1986/2 pp 166-187
- A. BONORA, La benedizione nella Bibbia : vita e solidarietà, in "RPL" 1986/3 pp 5-12
- I. NOWEL, Il contesto narrativo della benedizione nell'AT, in"Concilium" 2/1985 pp 17-31
- R. FABRIS, Benedizione, maledizione ed esorcismo nella tradizione biblica, idem pp 32-45
- L. ALONSO SCHOEKEL, Offertorio-Eucaristia-Beraka, in"Vita Consacrata" 1986/6-7 pp
437-443
Il significato del termine nell'uso corrente contiene uno stravolgimento completo della
accezione biblica : richiama normalmente il gesto del prete che traccia un segno di croce su
determinati oggetti per legare al loro uso dei favori o comunque per evitare pericoli.
La Legge del Signore
65
In ebraico il termine è imparentato con la parola "bèrek" che significa ginocchio e può essere
un eufemismo per indicare il sesso e questo è già indicativo perché colloca la benedizione
nell'ambito della vita e della fecondità.
"La radice ebraica brk, specialmente nella coniugazione piel, barek, viene solitamente
tradotta con "benedire" ; ma è necessario differenziare la traduzione. Fondamentalmente il
verbo implica due persone, e un bene di una di esse. La benedizione di A si riferisce ad un
bene rispetto a B. Se B non lo possiede, la benedizione è un augurargli di ottenerlo ; se lo ha
già conseguito, è felicitarsi con lui per esso. Un amico ci dice che sta per affrontare un esame
o un concorso, e noi gli auguriamo buona fortuna, felice esito : lo "bene-diciamo". Più tardi
lo incontriamo, ed egli ci comunica che ha avuto successo ; allora ci felicitiamo con lui.
Entrambi i contenuti si possono intendere con il verbo brk, secondo le occasioni" (Alonso).
Benedire può significare "salutare" e quando una persona ci ha fatto un favore anche
"ringraziare" ; il regalo che esprime il sentimento di gratitudine può esso stesso venire
chiamato "berakah" (cf Gn 33,11).
"La benedizione è un dono che ha rapporto con la vita e il suo mistero ed è un dono espresso
mediante la parola e il suo mistero ... il bene che apporta non è un oggetto preciso, un dono
definito, perché non appartiene alla sfera dell'avere, ma a quella dell'essere, perché non deriva
dall'azione dell'uomo, ma dalla creazione di Dio" (DTB, coll 126).
- In ambito religioso incontriamo due tipi di benedizione.
Vi è una "berakah discendente" : parte da Dio e raggiunge i viventi. Non sono le cose a
venire benedette ma i viventi.
Nel racconto di Gn 1 Dio non si limita a creare ma "benedice" gli animali (v 22) e soprattutto
la prima coppia umana : le parole che seguono in entrambi i casi, mostrano che si tratta della
fecondità, del propagarsi della vita.
E’ quasi un intervento supplementare di Dio : comunica ai viventi la capacità di trasmettere la
vita. C'è in questi testi la sorpresa di Israele per il miracolo della trasmissione della vita.
Stesso significato in Gn 9,1 : benedizione sugli scampati dal diluvio, rilancio della vita dopo
la morte.
Talvolta la benedizione di Dio si serve di mediatori : il pater familia è incaricato di
trasmettere la benedizione testamentaria (Gn 27,26-30) oppure il sacerdote come attesta il
limpido testo di Nm 6,22-27 o anche il re, ad es in 2Sm 6,18.
Dio dunque "dice bene" dell'uomo, ma siccome la sua parola è "Dabar", cioè parola-evento,
fa il bene dell'uomo, lo colma di favori.
- Di movimento inverso, si capisce, è la berakah ascendente : l'uomo benedice Dio, dice bene
di lui, cioè lo ringrazia e lo loda, lo ammira e lo esalta. E' "la gaudiosa proclamazione della
gloria di Dio presente nelle sue opere" (Sottocornola).
Lo studio dello berakah ascendente ci introduce in un tratto tipico della spiritualità biblica : lo
sguardo di fede rivolto alla creazione e alla storia, che suscita nell'ebreo credente lo stupore
davanti all'opera di Dio, la gratitudine, anzi la lode pubblica e gratuita :
"Ti benedico Dio, mio Signore, poiché dopo le tenebre mi hai concesso la luce, ... "
Davanti al vino : "Benedetto il Signore che crea il frutto della vite"
In occasione di un terremoto : "Benedetto YHWH ... la cui forza riempie il mondo ... "
Alla accensione del fuoco la sera : "Benedetto ... che creasti la luce del fuoco" (tutti questi
testi ed altri che si potrebbero citare provengono dal trattato "Berakot" della "Mishnah").
La Legge del Signore
66
La berakah è la "preghiera continua" del Giudaismo ed è la "preghiera dell'avvenimento" :
tutto è occasione per magnificare Colui che è santo.
Ma le radici sono profonde. Un'arcaica benedizione ascendente di incontra ad es in Gn 24, 67
^ situazione : incontro del servo di Abramo con Rebecca
^ gesto : prostrazione profonda
^ preghiera esclamativa con : invocazione del nome
titolo
motivazione
Poi lo schema si dilata tramite aggiunte ai singoli elementi ; specie nel giudaismo la berakah
conosce un notevole sviluppo e così penetra nel NT (cf la"eulogia" di Ef 1,3-10).
Alla luce delle considerazioni espresse parecchie pagine della B si illuminano e insegnano un
atteggiamento.
L'Eucaristia cristiana è erede della berakah biblica attraverso la "birkat hamazon" =
benedizione della mensa, alimenti.
Gesù infatti nella cena pasquale "ha reso grazie = eulogesas, eucharistesas" e la preghiera
eucaristica (anafora), cuore della celebrazione non è altro che la espansione di questo
elemento. Senza atteggiamento di gratitudine e di lode per i doni di Dio, particolarmente per
il dono più grande che è Cristo, non ci può essere eucaristia cristiana.
- Tornando al testo di Gn 12 potremmo parafrasare con la TILC :
"Ti benedirò. Sarai fonte di benedizione. Farò del bene a chi te ne farà. Maledirò chi ti farà
del male. Per mezzo tuo io benedirò tutti i popoli della terra".
Riguardo a 3b possono darsi due interpretazioni :
^ "in te si diranno benedette (cioè fortunate, felici, ricolme dei favori di Dio ... " oppure
^ Tutte le nazioni della terra augureranno a se stesse, i favori elargiti ad Abramo, egli diverrà
un termine di paragone : Dio mi benedica come ha benedetto Abramo ...
Commenta Von Rad : "Ci si è chiesti se queste parole intendano affermare soltanto che
Abramo diventerà un specie di formula per benedire, e che la benedizione da lui goduta
passerà in proverbio (cfr Gn 48,20) ... ma dal punto di vista ermeneutico è erroneo limitare a
un solo significato, e a quello più sbiadito, una proposizione tanto programmatica e
stilisticamente elevata ... Si deve perciò ritornare all'interpretazione tradizionale : ... ad
Abramo viene riservato, nel piano salvifico del Signore, il ruolo di mediatore della
benedizione per 'tutte le generazioni della terra' ".
3)
Fede e missione. "Vattene dal tuo paese, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre" :
"Dio chiede una rottura radicale con le antiche sicurezze, espressa con gradualità e finezza
letteraria in un crescendo verso ciò che è più caro e perciò più difficile da abbandonare :
paese, parentela, famiglia. E’ un esodo misterioso verso un paese ancora
sconosciuto"(Virgulin).
Non è sbagliato vedere in Abramo il primo chiamato e il primo sradicato. La fede (in
particolare quando diventa missione = fede comunicata) è anche rinuncia al proprio passato, è
rischio, è camminare verso l'ignoto.
"Verso il paese che io ti indicherò" dice la voce divina : "Dio non rivelò subito ad Abram che
terra fosse, perché essa fosse più cara ai suoi occhi e perché gli potesse dare la ricompensa,
per avere egli obbedito ad ogni parola" (Rashi).
La Legge del Signore
67
- Qui appare dunque una dimensione essenziale della missione : la partenza, come staccorottura nei confronti di un passato garantito e come cammino verso un futuro incerto con la
sola sicurezza della Parola di Dio ; come uscita da una cultura per andare "là dove il nome del
Signore è ancora forestiero" (Vigilio, terzo vescovo di Trento).
In ciò opera una dinamica pasquale : qualcosa deve morire, affinché qualcosa possa
rinascere : "La partenza, vissuta come avvenimento pasquale di una vita che si abbandona e
di una nuova vita che comincia diventa per se stessa parte del mistero di salvezza per il
mondo" (Costituzioni Saveriane, 19).
- "Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore" (v 4)
"Parte e non semplicemente 'si trasferisce' : purificato e liberato, aperto verso un futuro non
troppo preciso nei suoi contenuti, ma garantito da una presenza sicura, quella di Dio che sta
davanti a lui e cammina " ( Martini ).
... partire non è tutto certamente, c'è chi parte e non da niente, cerca solo libertà...
Questa risposta di Abramo il NT la chiama "fede" o "obbedienza della fede" : "Per fede
Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e
partì senza sapere dove andava" (Ebr 11,8).
L'espressione "nel paese si trovavano allora i Cananei" (v 6) non è una informazione neutra,
ma suona come una prima prova della fede di Abramo : trova una terra già occupata e deve
credere che sarà la sua.
"La tradizione J presenta l’atteggiamento fondamentale di Abramo di fronte a Dio sotto
l'aspetto della obbedienza della fede ; quella E sotto l'aspetto del Timor di Dio, P sotto
l'aspetto della osservanza della legge" (Virgulin in "La sequela di Abramo", "PSV" 2 pp 724).
- L'itinerario di Abramo è poi descritto in tre tappe : Sichem, Betel e il Negheb : così
peregrinando conosce la terra. "Andando e spostandosi" dice letteralmente il testo, è lo stile
del seminomade che pianta la tenda e poi toglie i paletti. La tenda è la dimora della
provvisorietà, della precarietà. Ebr 11,9-10 commenterà liricamente così : "Per fede
soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera abitando sotto le tende, come
anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città
dalle salde fondamenta, il cui costruttore e architetto è Dio stesso".
La fede a questo punto si esprime nel culto : il primo altare in Sichem è dedicato "al Signore
che gli era apparso". Nel cuore di una terra ignorante od ostile il Signore ha un primo
adoratore, uno che invoca il suo nome.
L'installazione era molto semplice : una grande pietra grezza in una area a cielo aperto,
talvolta vicino a un albero sacro, oracolare.
"L'altare è un segno della presenza divina. Negli antichi tempi era memoria di una teofania"
(De Vaux).
Edificare l'altare è anche un modo di affermare la signoria di Dio su un determinato luogo,
sottraendolo al possesso di altri dei.
- E qui possiamo cogliere un altro aspetto della missione, quello della testimonianza :
Abramo non parla, agisce, non fa propaganda ma semplicemente si comporta da uomo
credente, esprime la sua fede. Tutto questo messaggio contiene in nuce il semplicissimo testo
di Gn 12,1-9.
Abramo come prefigurazione di Cristo secondo Isidoro, PL 113, 116 "Reliquit terram
Christus et cognationem Iudaeorum, et magnificatus est in populis gentium".
La Legge del Signore
68
ABRAMO E MELCHISEDECH (GN 14,18-20).
L'incontro di Abramo con Melchisedech è l'episodio culminante del c 14. Questo
capitolo "el mas enigmàtico del Génesis" (Alonso) è di difficile interpretazione, ma la sua
strana difficoltà lo popola di suggestioni. E’ un masso erratico rispetto al materiale restante,
"un mondo a sé" (Kohler) ; è di fonte sconosciuta secondo gli studiosi. "Fu inserito a questo
punto dagli ultimi redattori della Genesi, perché ribadiva in qualche modo le costanti
teologiche che presiedono alla vicenda del patriarca" (Dacquino).
- Letterariamente assume il tono della informazione esatta, antica e difficile : vuole inserire la
persona di Abramo, il detentore della promessa nel quadro della storia universale ("sarai una
benedizione").
Un piccolo nomade è coinvolto in uno scontro armato tra una coalizione di quattro re
orientali e cinque sovrani palestinesi.
I nomi delle città sono documentati nelle tavolette di Ebla.
Con i suoi 318 uomini Abramo compie una marcia enorme fino a Dan, l'estrema frontiera
Nord della Palestina, sorprende il nemico di notte, lo mette in fuga e dopo aver fatto razzia,
ritorna vittorioso sui suoi passi e libera Lot.
"Per noi che conosciamo la storia del secondo millennio aC la narrazione è incongruente e
fantastica, ma l'autore che la compose con materiali eterogenei non aveva la stessa
impressione, dominato forse dalla sua intenzione chiaramente teologica" (Alonso).
Abramo e il re di Sodoma : il racconto procede con la "tecnica ad incastro" : l'incontro con
Melchisedech infatti è incuneato-inserito nella narrazione di un incontro precedente, quello
con il re di Sodoma (vv 17. 21-24).
Costui muove interessatamente incontro ad Abramo per recuperare i beni e gli dice : "Dammi
le persone ; i beni prendili per te".
Abramo risponde sdegnosamente a questa proposta, non accetta nulla, "né un filo, né un
legaccio di sandalo" e sottolinea questo suo diniego con un gesto solenne, alza la mano in
segno di giuramento. Il narratore vuole sottolineare la magnanimità di Abramo, il suo
disinteresse ; traspare qualcosa della fierezza beduina, del senso dell'onore, dignità personale
che si incontra anche in epoche primitive.
"Questa sdegnosa fierezza è proprio il contrario dell'umile ossequio mostrato nel pagare la
decima" (Von Rad).
Incontro con Melchisedeh : improvvisamente appare sulla scena un misterioso personaggio, è
come se emergesse dalla oscurità, dal mistero. Il narratore lo caratterizza così :
^ il nome significa alla lettera "re di giustizia"
^ E' anche "re di Salem", cioè di Gerusalemme secondo la identificazione riscontrabile nel
salmo 76, 3 : "E’ in Salem la sua dimora, la sua abitazione in Sion".
Ma "salem" fa assonanza con "shalom = pace" e del resto il nome Gerusalemme viene
popolarmente spiegato con "città della pace" (con questa paronomasia gioca il salmo 122 !).
E così avremmo un classico binomio della bibbia "giustizia e pece", quale sintesi dei beni
messianici.
^ Un altro titolo riceve Melchisedech : "sacerdote del Dio altissimo". E' un re sacerdote, un
ministro della divinità suprema del pantheon cananaico ; è il senso della espressione "El
Elyon". Per l'autore sacro si identifica senz'altro con YHWH (cf v 22).
^ Melchisedech compie anzitutto un gesto e poi parla.
Azione : estrae pane e vino. Quale significato ?
La Legge del Signore
69
Può trattarsi di un atto di ospitalità : "Così si usa fare per coloro che ritornano affaticati dalla
guerra" (Rashi).
Ma potrebbe essere anche un atto di culto, benché non compaia nel TM il termine tecnico
"offrire". Non si dimentichi che ad agire è un sacerdote ; il narratore potrebbe pensare ad un
banchetto di comunione sacrificale.
^ Non sfugga neppure la importanza della coppia "pane e vino", questi "frutti della terra e del
lavoro dell'uomo", cosi carichi di significazione nella storia della salvezza.
Sono un condensato che rivela il Signore dell'universo : il pane come alimento - base designa
il semplice, l'accessibile, il necessario. "Il pane è umile e semplice : si offre senza
presunzione e senza resistenza ... è la prosa quotidiana ... invece il vino è la poesia, la
gratificazione, la festa ... il vino è l'amicizia e l'amore e il sacrificio" (Alonso) .
^ E poi Melchisedech parla, formula una benedizione mista, che si compone di due membri :
la prima invoca sopra Abramo la benedizione del suo Dio, "procreatore del cielo e della
terra" ; la seconda, di tipo ascendente ha per destinatario lo stesso Dio, magnificato per la
vittoria concessa ad Abramo.
^ Come risposta, Abramo, il primo adoratore di YHWH, si inchina davanti al re e sacerdote
cananeo per dargli la decima parte dei suoi beni e con ciò riconoscendo a lui un diritto di
proprietà e supremazia.
Significato dell’inserzione : perché mai il redattore del Gn ha voluto introdurre il personaggio
Melchisedech" : Si possono formulare alcune ipotesi verosimili :
1) Il racconto può essere una eziologia, cioè fonda la prassi di versare la decima ai leviti
rappresentati dal re sacerdote (cf Nm 18,20-24).
Il popolo deve imitare il comportamento del padre Abramo mantenendo il personale dedito al
culto.
Oppure "Gen 14 è un racconto eziologico destinato a legittimare il sacerdozio sadokita di
origine gebusea in Gerusalemme" (Rowley) .
2) L'autore vede nel culto del Dio Altissimo qualcosa che è imparentato con il culto di Jahvè.
Questo re cananeo è presentato come assai prossimo alla fede nel Dio unico creatore del
mondo, anzi il giuramento di Abramo in 22 ne postula l'identità. "Non esiste alcun altro testo
dell'AT che testimoni un atteggiamento così positivo e tollerante verso un culto cananeo
esteriore a quello di Israele" (Von Rad).
3) In Abramo che rende omaggio a Melchisedech è l'epoca davidica ad essere onorata dai
patriarchi. Gerusalemme infatti sarebbe diventata la sede della monarchia e del tempio, del
trono e dell'altare. "Orbene nel nostro testo è implicito lo sforzo di creare un legame tra
Abramo e il luogo del trono di Davide, di cui già postula l'esistenza dal momento che
Melchisedech era secondo la concezione sacrale della corte il tipo, il modello, il precursore
dei discendenti di Davide. Noi vediamo così che Abramo si inchina davanti a colui che
occupa il posto del futuro unto" (Von Rad).
Melchisedech nella tradizione ebraica e cristiana
In Gn 14 Melchisedech scompare dalla storia così come era entrato ma il suo ricordo
sopravvive nella orazione e nella riflessione teologica.
Il secondo ed unico passo vt che rievochi la figura di Melchisedech è rappresentato
dal notissimo salmo 110,4.
La Legge del Signore
70
Appartiene alla serie dei salmi regali, cioè di quelle composizioni elogiative nei confronti
della dinastia davidica e della figura del sovrano (Konigslied). L'occasione della sua nascita è
quasi certamente l’intronizzazione del re o l'anniversario ; durante il rito una voce profetica o
sacerdotale prende la parola e nello stile di corte formula auguri al festeggiato.
Il salmo è chiaramente montato su un duplice oracolo = dichiarazione della volontà divina.
Nel primo (vv 1-3) il Signore adotta il sovrano di Israele come vassallo e gli assicura vittoria,
mentre la glossa profetica amplia l'oracolo introducendo il tema del dominio universale e
della predestinazione divina (il v 3 è tuttora un enigma).
Una seconda volta il Signore interviene in forma di giuramento irrevocabile a definire il
sacerdozio del re-messia nella linea (sul modello) del leggendario Melchisedech. Segue un
ulteriore ampliamento con sapore militare : il re diventa giustiziere. E dopo la vittoria si
rifocilla (beve ritualmente l'acqua della vita ?). Il sollevare la testa e segno di vittoria.
E' un salmo in gran parte enigmatico ed esorbitante nelle sue prospettive se riferito a un re di
Giuda ; è un testo aperto, disponibile a ricevere significato nuovo.
^ Per incontrare in ordine di tempo altri riferimenti letterari a Melchisedech, dobbiamo
portarci nella comunità degli esseni di Qumran, dove la sua figura assume un grande rilievo :
i frammenti di un manoscritto della grotta 11 pubblicato nel 1965 ce lo presentano come
sommo sacerdote celeste e misericordioso, impetratore del perdono divino nell'era
escatologica.
^ Ma è soprattutto la lettera agli Ebrei ad impossessarsi della figura di Melchisedech e a farne
una lettura cristologica. Di particolare interesse è l'intero cap 7 che sviluppa l'annuncio
tematico di 5,10 "proclamato sommo sacerdote secondo Melchisedech".
Mostra come già l'AT conosceva e preannunciava un tipo di sacerdozio diverso e alternativo
rispetto a quello ufficiale levitico.
L'autore costruisce la sua argomentazione sfruttando sia le parole sia i silenzi della Gn : in
Abramo che versa la decima e Melchisedech che riceve la benedizione rileva la inferiorità del
sacerdozio levitico e la sua provvisorietà.
Per il teologo di Ebr Melchisedech è senz'altro una prefigurazione di Cristo, "fatto simile al
figlio di Dio, rimane sacerdote in eterno".
Nel secondo paragrafo della sezione (7,11-28) l'autore utilizza l'oracolo del sal 110,4
mostrando come il sacerdozio di Cristo, oggetto di rivelazione divina, soppianta per diversi
motivi l'antico sacerdozio di Levi, il quale ha così esaurito la sua funzione e conclude con un
rialzo di tono : "Tale era il sommo sacerdote che ci occorreva ... " Egli "può salvare
perfettamente quelli che per mezzo suo si accostano a Dio" (7,25).
^ Mette conto evidenziare anche una "lettura eucaristica" della figura di Melchisedech. Una
volta identificato con Cristo non era difficile vedere nel pane e nel vino di Melchisedech un
preannuncio del sacrificio eucaristico. "Anche per il genere del suo sacrificio, di cui rese
partecipe pure Abramo benedicendolo, Melchisedech prefigurò il sacrificio del NT, che per
primo il nostro Signore offrì nel sacramento del suo corpo e del suo sangue, e che lasciò alla
sua chiesa da offrire per sempre in remissione dei peccati" (Beda).
Lo stesso nella tradizione liturgica : "Sacerdos in aeternum Christus Dominus secundum
ordinem Melchisedech panem et vinum obtulit". " ... l'oblazione pura e santa di
Melchisedech, tuo sommo sacerdote" (Canone Romano).
La Legge del Signore
71
GN 15 : FEDE, ALLEANZA, PROFEZIA
Diamo uno sguardo alla situazione letteraria, che presenta qualche tensione e
incoerenza, segno di una pluralità di fonti.
^Il v 3 si presenta come un doppione del v 2
^ C'è una evidente tensione tra il v 5, dove Abramo esce a scrutare il cielo e a contar le stelle
con i vv 12. 17, dove invece si parla del sole che tramonta e della notte che scende.
^ I vv 12-16 interrompono il racconto
^ La parola "uscire" funziona da termine chiave ; la composizione del testo è influenzata dalla
teologia dell' esodo.
- Secondo i critici il testo combina insieme due fonti
J : 1b-2. 7-12. 17-21 ;
E : 1a. 3-6. 13-16 (prime tracce matrice E).
Lo J si interessa soprattutto della terra che verrà posseduta con l'alleanza ; il rito è arcaico ed
ha qualcosa di numinoso (sonno dell'estasi = tardemah come in Gn 2,21 ; terrore, fuoco e
fumo).
L'E invece presenta una visione di pace : calma di un cielo stellato.
La trascendenza di Dio è salva perché egli comunica in parola e in visione.
L'interesse è portato sulla "eredità" di Abramo che sarà come le stelle. Si possono cogliere
anche preoccupazioni di ordine morale : Dio giudica l'Egitto per la sua politica di
oppressione ; l'ingresso in Canaan a spese di altri popoli è legittimato solo a partire dalla loro
malvagità.
- A livello redazionale è possibile individuare due momenti di sviluppo : promessa della
discendenza e risposta della fede in 1- 6, alleanza e profezia in 7 - 20.
Il messaggio del testo
Il racconto esordisce in stile profetico : "La parola del Signore fu rivolta a ... " e tutto
il capitolo è nel segno della Parola di Dio.
Parola e visione sono le due modalità della rivelazione profetica.
La parola incontra Abramo in una situazione difficile : è ormai troppo vecchio, sterile,
rassegnato a trasmettere la eredità ad un servo. "Non temere" è la risposta di Dio, che spesso
ricorre nella Bibbia ; si incontra negli "oracoli di salvezza" dei profeti. E' una parola di
consolazione. Motivata dal fatto che Dio è scudo e cioè protezione e difesa dell'uomo :
"Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi
infuocati del maligno"(Ef 6,16).
^ "Merces tua multa nimis" (Vg) continua la voce di Dio. Abramo avrà una paga abbondante,
Dio gli promette un salario (shekor) cospicuo, come se fosse entrato al servizio di Dio (così
sacerdoti e leviti).
^ Si diceva che il termine semanticamente più ricco è nel brano il verbo uscire (ys').
Accostandone i vari usi otterremmo questo ricamo.
Con la sua parola Dio ha fatto uscire (v 6) Abramo dal Ur dei Caldei (da una civiltà cittadina
sicura) per avviarlo a una vita nomade e insicura. Abramo ha accettato questo progetto ma nel
chiuso della tenda è tormentato delle preoccupazioni circa il suo avvenire. Allora Dio lo fa
uscire (v 5) dalla tenda angusta, costruita dalla mano dell'uomo, sotto la tenda del cielo
notturno d'Oriente, dove scompare lo spazio piccolo di un erede e Dio vi sostituisce la
La Legge del Signore
72
moltitudine delle stelle. E Abramo deve vedere la corrispondenza del cielo con la terra ; la
discendenza che uscirà dalle sue viscere (v 4) dovrà a sua volta uscire (v 14) dalla schiavitù
per un cammino di libertà.
^ Alla Parola di Dio segue il silenzio di Abramo, cioè il suo abbandono nella fede. Dobbiamo
fermarci su questo importante v 6 che definisce l'atteggiamento di Abramo con Dio : "Abram
ebbe fiducia nel Signore e per questo il Signore lo considerò giusto" (TILC).
Il verbo ebraico "credere" è la forma causativa di una radice che nella forma semplice (qal)
significa "tenere saldamente" e nella forma, passiva (niph'al) corrisponde a "poggiare, stare
saldo".
Abram si fida di Dio : questo atteggiamento viene da Dio computato, messo dalla parte
dell'avere - diritto - giustizia (sedaqah). Il merito di Abramo è di fidarsi di Dio, non una sua
opera particolare.
Così ha interpretato la tradizione biblica (cf Gal 3,18).
Abramo si appoggia su Dio e il cristiano si appoggia, su Cristo.
Così Ambrogio commenta : "Gli fu accreditato come giustizia. Poiché non indagò con la
ragione, ma credette con prontissima fede. La fede infatti deve prevenire la ragione : poiché
non sembri che chiediamo ragione al Signore nostro Dio come facciamo con un uomo".
Mek. Es 14,31 : "E così tu vedi che Abramo nostro padre, per il solo merito della fede che
ebbe in Dio ereditò questo e l'altro mondo, come è detto : Egli credette in Dio ed egli gli
computò questo come giustizia".
- Nella prima parte avevamo promessa e fede, ora incontriamo alleanza e profezia. Nel
contesto attuale la fede precede l'alleanza e l'alleanza ratifica la promessa. La berith indica
essenzialmente relazione, legame tra contraenti. Qui è il Signore che la offre e la fonda,
esordisce ricordando il beneficio della uscita nella prospettiva della terra (sobrio prologo
storico).
^ Il rito di alleanza è arcaico ed impressionante ; lo si capisce alla luce di Ger 34,18 : "Gli
uomini che hanno trasgredito la mia alleanza, perché non hanno eseguito i termini
dell'alleanza che avevano concluso in mia presenza, io li renderò come il vitello che
spaccarono in due passando fra le sue metà".
Mentre però nel testo di Ger i cadaveri dei traditori del patto saranno cibo degli uccelli
dell'aria, qui Abramo scaccia gli uccelli, che sono segno di malaugurio (cf Gn 40,17-19) ; essi
non possono compromettere la realtà del patto voluta da Dio.
La cerimonia ha luogo nella tenebra della notte. Tra le vittime squarciate passa un forno
fumante (forno a cono assiro-babilonese) e una fiaccola ardente. Sono il segno del passaggio
di Dio, Abramo non passa. Questa alleanza è unilaterale, Dio si impegna da solo, promette
gratuitamente.
Questo passare attraverso le vittime corrisponde a un rito imprecatorio : i contraenti dicono di
accettare le conseguenze di un eventuale tradimento del patto. Forse di qui l'espressione
"tagliare l'alleanza"
^ Il torpore e il terrore sono elementi che si accompagnano alla manifestazione del sacro. Il
primo, chiamato in ebraico "tardemah" è il sonno dell'estasi, della rivelazione : "è un sonno
profondo nel quale le attività dello spirito e della sensibilità vengono sospese ... in certi casi
però esso apre all'uomo uno stato superiore di veglia, cioè lo abilita a ricevere una rivelazione
(cf Gb 4,13 ; 33,15) " (Von Rad).
La Legge del Signore
73
^ Nel racconto Abram non è solo portatore della promessa, ma anche della profezia
riguardante il futuro del popolo. I vv 13 -16 contengono una embrionale teologia della storia
che comprende :
a) peregrinazione e permanenza del popolo in Egitto + oppressione
b) giudizio di Dio contro l'Egitto ed uscita con grandi beni
c) entrata ritardata nella terra, perché l'iniquità dei locali non è ancoro arrivata al
culmine (cf Lv 18,28).
"Il problema qui affrontato è quello di come si potesse conciliare con le promosse divine il
lungo ed oscuro periodo in cui gli Ebrei rimasero schiavi in Egitto ... anche questo
avvenimento doloroso faceva parte del di Dio piano" (Dacquino). "Per forza del contesto
questa tappa tra la promessa della terra ad Abramo e la consegna della terra a Israele riceve
significato. La distanza dei fatti che a livello umano pare strana e ingiustificata, a livello
divino è piano salvatore" (Alonso).
^ il v18 dà un titolo all'intero racconto : "in quel giorno il Signore concluse un'alleanza con
Abram" e ripete la promessa della terra in forma dilatata. Il"fiume d'Egitto" come si sa è lo
wadi el -Arish.
ALLEANZA E CIRCONCISIONE IN GN 17
Il c 17 appartiene per intero alla fonte sacerdotale. Gli indizi che si possono portare sono :
^ Il gusto per la precisione numerica e per le date (vv 1,24-25).
^ racconto in funzione di una istituzione : la circoncisione
^ la formula di autopresentazione divina : El Shaddai
^ al posto di "tagliare il patto" abbiamo : "donare / erigere l'alleanza". E’ una data
storica il giorno in cui essa viene praticata (17,23).
^ Stilisticamente il racconto è lineare, quasi monotono, lontano dalla vivezza del
racconto parallelo di Gn 15.
"Non ha una struttura omogenea" (Von Rad) . Il racconto procede per così dire ad ondate,
dove qualcosa si ripete e qualcosa si precisa. E’ quasi per intero discorso divino ; Abramo
risponde sobriamente ed al termine offre l’obbedienza dell’azione.
Possiamo dividere il capitolo in due paragrafi :
1 - 14 : alleanza e suo segno
15 - 22 : Sara e Ismaele più esecuzione del comando divino (23-27).
Il ruolo di Dio
L'azione è messa in movimento dall'intervento di Dio, descritto come una teofania (è
lui che "appare" v 1) nello schema di "salire e scendere" (v 22).
Il Signore si presenta, pone una esigenza ad Abramo : "ambula coram me et esto perfectus !"
(Vg) ed offre-pone-concede (ebr. ntan) spontaneamente il patto. Al v 2 la proposto si
accompagna con la promessa della discendenza numerosa ; nei vv 4-5 si rinnova in forma
intensiva la promessa e come elemento di novità incontriamo il cambiamento di nome :
"Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, PERCHE' padre di una moltitudine di
popoli ti renderò".
^ il cambiamento di nome indica un mutamento di destino
La Legge del Signore
74
^ l'eziologia del nome Abramo è popolare ('ab significa padre).
^* ritroviamo qui la prospettava universalista di Gn 12 : "con la promessa fatta ad Abramo,
veniva pure ricollegata la speranza di una salvezza universale, che si sarebbe estesa al di là
dello stesso Israele" (Von Rad).
Se il testo è stato pensato e redatto in esilio, si possono includere in questa prospettiva i
proseliti, che attirati dalla testimonianza di fede di Israele vi aderiscono con la circoncisione.
Nei vv 7-8 questa alleanza riceve la qualifica di "eterna - perenne". Ha quindi una validità
illimitata, legata alla discendenza di Abramo.
Stessa aggettivazione in Is 55,3b ; Ger 32,40 ; Ez 16,60.
"Ma soprattutto ciò che cambia sono i doni della salvezza : una nuova relazione con Dio e la
terra promessa" (Von Rad).
Nel secondo paragrafo (è il testo di P parallelo alla prima parte del c 18 che è J) la promessa
della discendenza si specifica nel cambiamento di nome a Sara (v15), nell'annuncio della
nascita del figlio della promessa e nel futuro riguardante Ismaele : anch'egli è oggetto delle
benedizioni di Dio ("dodici principi egli genererà" ; allusione ad una organizzazione
anfizionica delle tribù ismaelite).
Però l'alleanza (promessa) è nella linea di Isacco.
Il comportamento di Abramo
Come deve comportarsi il partner del patto con Dio ?
"L'obbligo che incombe ad Abramo al momento della rivelazione è la messa in causa di tutta
la sua vita, che deve essere vissuta alla presenza di Dio (di Noè ed Enoch si diceva che hanno
camminato con Dio) come una marcia al suo fianco" (Von Rad).
Il camminare è nel linguaggio biblico il verbo della condotta morale. L'espressione
"camminare alla presenza" indica felicemente la nozione della fede come habitus della
persona ; non come compartimento tra i tanti della vita, nel quale si entra in particolari
occasioni, ma come modo di essere permanente agli occhi di Dio. "Cammina davanti al
Signore per essere perfetto, colui che in ogni momento si ricorda di stare al cospetto della
divinità" (Beda).
"Sii integro" è una specificazione ulteriore. L'aggettivo "thamim" deriva dal culto, designa la
qualità della vittima sacrificale : senza macchia, con tutti i requisiti richiesti per essere accetta
a Dio.
"Non ha il senso di una perfezione morale, ma quello di una relazione con Dio ; significa
quindi il carattere intero e incondizionato dell'abbandono, della consacrazione. L'esigenza che
qui è espressa in maniera assai concisa, nella sua forma più esplicita suona così : Sii tutto
completamente col tuo Dio (Dt 18,15)" (Von Rad).
La fede di Abramo si esprime in 17,3 con il gesto della prostrazione : è il gesto della
adorazione in Oriente, allorché la persona poggia per terra sulla fronte, sulle mani e sulle
ginocchia.
Ma la fede di Abramo non è senza incrinature ; anche in questo nostro padre c'è una
"peregrinatio fidei" , un camminare - procedere nella fede. Al v 16 si parla del "riso di
Abramo". I Padri lo interpretano in senso positivo : "Segno non di incredulità, ma di
esultanza" (Ambrogio), ma le parole che seguono dicono che si tratta di un riso di
compatimento davanti alla inaudita proposta di Dio che si scontra con le evidenze umane :
"Mi accontento che tu conservi Ismaele alla tua presenza" dice Abramo ed ecco che il
Signore è costretto a rettificare.
La Legge del Signore
75
Il racconto termina mostrando una "circoncisione generale" dei maschi in caso di Abramo,
schiavi e liberi. "Solo nell'assunzione del segno della circoncisione ordinato da Dio, in
Abramo diventa visibile che egli si pone nell'obbedienza sotto la promessa divina"
(Zimmerli).
La circoncisione
Secondo Gn 17 all'offerta del patto è connesso l'obbligo per Abramo e la sua
discendenza di praticare la circoncisione. Conviene dedicare un paragrafo alla illustrazione di
questa pratica (di cui già qualcosa è stato detto nella Storia, di Israele) per le implicazioni
anche neotestamentarie di essa.
E' conosciuta nell'antichità, viene praticata da quasi tutti i popoli orientali ed ha il significato
di iniziazione alla vita sessuale ; viene quindi effettuata ai ragazzi all'epoca della pubertà, per
evitare uno sviluppo anormale del prepuzio, capace di impedire lo stesso rapporto coniugale e
diventa una consacrazione delle energie virili al servizio della tribù.
Il carattere arcaico della pratica si può documentare nella B a partire da testi come Gn 34,24 ;
Es 4,24-26 ; Gs 5,2-9.
In Israele assume valore religioso, diventa cioè segno della alleanza con Dio. Gn 17 può
essere visto come la eziologia religiosa di questa istituzione.
E' segno ('oth) anzitutto della relazione speciale che Israele ha con Dio : è un segno scritto
nella carne, nell'organo della generazione, dal momento che le promesse di Dio riguardano la
fecondità, la discendenza come mostra anche il contesto narrativo della sua istituzione.
"E' segno del legame vitale tra Israele e Dio. Per questo viene praticata non all'epoca
puberale, ma otto giorni dopo la nascita : si indica con ciò l'appartenenza a Dio fonte della
vita.
Ma è anche appartenenza al popolo di Dio, è segno di aggregazione alla comunità
dell'alleanza. Questo aspetto è recente, si impone a partire dall'esilio, allorché, cambiato il
clima culturale, insieme con il sabato, diventa segno essenziale di riconoscimento.
Chi lo rifiuta viene "tagliato fuori" dalla comunità, messo al bando, scomunicato. Gn 17 è
duro al riguardo.
- Ma il pericolo di ogni istituzione è quello di formalizzarsi, sclerotizzarsi (vale anche per i
sacramenti). Nella storia di Israele la circoncisione è diventata per molti il sostituto
dell'alleanza invece che il suo segno : bastava avere questo segno per essere a posto con Dio.
Il rito soppianta la vita, invece che simbolizzarla, il segno sostituisce la realtà. Prevalenza
dell'aspetto statico sulla dinamicità dell'atto.
"La circoncisione non è certo l'alleanza, ma 'segno' e 'sigillo' della alleanza, come dice anche
l'Apostolo nella lettera ai Galati" (Procopio).
Contro questa deformazione insorgono allora i profeti, in particolare Geremia, che esorta ad
una circoncisione diversa, quella del cuore, cioè a rimuovere ciò che impedisce la docilità alla
parola di Dio :
4,4 : "circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore"
6,10 : "ecco il loro orecchio non è circonciso, sono incapaci di prestare attenzione" cf anche
9,24-25
L'insegnamento profetico di Ger è passato nella tradizione dtr :
10,16 : "circoncidete il vostro cuore ostinato e non indurite più la vostra cervice"
La Legge del Signore
76
30,6 : "il Signore tuo Dio circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua discendenza, perché tu
ami il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima e viva"
- La prassi della circoncisione è diventata una questione bollente nel cristianesimo primitivo.
Già sappiamo come la circoncisione fosse un handicap nell'incontro con la cultura greca.
Una delle questioni più spinose che le prime comunità cristiane dovettero affrontare fu quella
se si dovesse imporre la circoncisione e il giogo della legge mosaica ai cristiani provenienti
dal paganesimo, cioè dal mondo non giudaico (etnico-cristiani). Si tratta di un vero e proprio
problema di inculturazione. Non c'era di mezzo solo la ripugnanza ad accettare un rito
considerato come una specie di mutilazione ma molto di più un problema teologico : quello
del rapporto di Gesù con il giudaismo : potevano la circoncisione e la legge essere
considerate indispensabili alla salvezza dopo la venuta di Gesù e la sua pasqua ? O Mosè o
Gesù, ecco il dilemma !
Il problema è stato avviato a soluzione "dopo lunga discussione" nella cosiddetta "assemblea
di Gerusalemme", di cui riferisce Atti 15. In essa si scontrano sensibilità e posizioni
divergenti, che però non hanno impedito di arrivare ad un accordo, introdotto da scultoree ed
impegnative parole : "Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi ... "
Si afferma il principio della non necessità della circoncisione e contemporaneamente per
facilitare la coesistenza e coesione tra le due culture si propongono le pratiche del patto
noachico.
Paolo più di ogni altro ha sofferto questo problema : nella lettera ai Gal, "il manifesto della
libertà cristiana", l'apostolo difende la "verità del Vangelo", che egli identifica in 2,16 nel
principio della giustificazione per virtù della fede e non in forza delle opere della Legge.
Praticare la circoncisione significa svuotare la croce, rendere cioè vano l'evento del Calvario
(cf 5,1-13). Parlando in termini aggressivi dei suoi avversari giudaizzanti, dirà di loro :
"Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano" (5,12).
In un momento successivo, placatosi il fuoco della polemica, la pratica della circoncisione
potrà diventare simbolo del battesimo, come rito di ingresso e soprattutto di purificazione :
"Uniti a lui avete ricevuto la vera circoncisione : non quella fatta dagli uomini, ma quella che
ci libera dalla nostra debolezza" (Col 2,11).
DIO OSPITE DI ABRAMO (GN 18,1-13).
Accostiamo una delle pagine più famose del Gn soprattutto per gli echi che essa ha
conosciuto nella tradizione cristiana : essa mette in scena la visita di Dio ad Abramo con il
rinnovo della promessa.
La prima osservazione da fare si riferisce alla parentela di questo racconto con passi paralleli
della letteratura antica : "Il tema di dei che vanno in giro per il mondo in forma umana, per
mettere alla prova la ospitalità dei mortali, per castigarli o premiarli, è un motivo apprezzato
nella antichità e con certe variazioni pure oggi tra gente semplice" (Alonso) .
Cf per la visita ad una coppia sterile : presso i Fenici, Aqhat II, V 3-35 ; Odissea XVII, 485487 ; Ovidio Fast V, 495ss
Per la visita divina a una città colpevole cf Metamorfosi di Ovidio VIII 616-724
Un secondo rilievo si riferisce al carattere enigmatico del racconto : il rapporto tra l'Uno
(YHWH) e il tre (messaggeri).
La Legge del Signore
77
Non sappiamo perché lo Jahvista abbia conservato o introdotto il numero tre : elemento
essenziale della storia è che Abramo non sappia chi siano, ma che il lettore resti disorientato
può essere effetto di incuria o voluto a bella posta dall'autore.
Nel versetto introduttivo ci si dice che è il Signore ad apparire, ma subito dopo Abramo vede
tre personaggi ; in seguito la narrazione oscilla tra il singolare e il plurale, alla fine gli uomini
(senza dirne il numero) si mettono in cammino mentre il Signore rimane con Abramo.
In 19,1 si parla di due angeli/messaggeri.
Dire, come fa la TOB, che si tratta del Signore e dei due angeli che poi andranno a Sodoma, è
un po' semplicistico e sbrigativo.
Il narratore jahvista ha certamente giocato con il fattore "indeterminatezza".
I significati del testo
Il primo valore ad essere esaltato è quello della accoglienza. Abbiamo un esempio
della "proverbiale ospitalità" dei nomadi. L'ospite è sacro, deve essere trattato con rispetto e
cordialità, non gli si può lasciar mancar nulla. Abramo diviene esempio di alacrità, attenzione
all'altro "Corse loro incontro" (v 2), si prostra davanti a loro ed offre la possibilità di una
sosta e di un ristoro "nell'ora più calda del giorno". Ci si para davanti un assolato paesaggio
orientale con l'ombra di una Quercia e il riparo di una tenda.
I segni concreti della ospitalità antica sono l'offerta di un bagno ai piedi resi stanchi e
polverosi per il viaggio e di una colazione per rifocillarsi : "andò in fretta nella tenda" (6) a
sollecitare Sara.
Impastare e cuocere il pane è compito delle donne, mentre agli uomini spetta apprestare le
carni ("all'armento corse lui stesso Abramo").
Il vitello tenero e buono è cibo straordinario. Vi è poi latte acido e latte fresco. Così il cuore
viene rinfrancato (v 5) .
Notare anche il titolo che Abramo loro riserva : Adonai, "mio signore", mentre Abramo è
semplice servitore : "così mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli
mangiarono" (8b).
Lo stare in piedi è proprio di chi serve, pronto a captare gli ordini di chi è servito. Vale anche
oggi.
La tradizione ebraica non sottolinea particolarmente questa esemplarità del racconto, che
invece viene sfruttata nella lettura cristiana del brano. "Non dimenticate l'ospitalità,
raccomanda l'autore di Ebr 13,2 e la motiva così : alcuni, praticandola, hanno accolto degli
angeli senza saperlo".
Origene : "Vedi quanta alacrità in ogni cosa, nell'accoglierli ! In tutto ci si affretta, in tutto ci
si premura, nulla si fa con pigrizia" e ancora : "Abramo, padre e maestro delle genti, ti
insegna così come tu debba ricevere gli ospiti e lavar loro i piedi. Ma anche questo è detto in
senso mistico : poiché egli sapeva che i misteri del Signore non si sarebbero conclusi se non
con la lavanda dei piedi".
- Un secondo valore umano emergente dal testo è quello della fecondità. La sterilità è un
disonore, è una vita non riuscita, una mancata realizzazione. Sara è ormai rassegata : "erano
vecchi, avanti negli anni ; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne ( v 11 )
... avvizzita come sono dovrei provare il piacere ( 'ednah = libido), mentre il mio Signore è
vecchio ? (v 12) ... "
E’ una donna senza speranza, ormai ha cessato di lottare.
E' in questo contesto che Dio conferma e precisa la sua promessa :
"Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio" (vv 10. 14).
La Legge del Signore
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- Il terzo contenuto del brano è un appello alla fede e alla speranza.
Alla promessa puntuale del figlio Sara risponde con la incredulità, ride della Parola di Dio e
poi, per paura, nega spudoratamente di averlo fatto (v 15). Non interviene però un castigo, ma
una riconferma della promessa.
"Con la frase 'c'è dunque qualcosa di troppo straordinario per il Signore ?' la narrazione tocca
il suo apice" (Von Rad).
"Poiché la tavola di Abramo era stata benedetta dal Signore e poiché egli stesso vi si era
seduto, quando Abramo e Sara mangiarono dei resti, i loro corpi furono trasformati : la
vecchiaia fu ringiovanita, e la sterilità guarita" (Ishodad).
Lettura cristiana dell’episodio
La tradizione cristiana a partire dall'antichità vede nella oscillazione dei numeri TRE UNO una prefigurazione trinitaria. "Tres vidit, UNUM ADORAVIT".
"Quei tre uomini alcuni dicono che erano tre angeli ; i giudaizzanti dicono che uno di loro era
Dio e angeli gli altri due ; altri dicono che si ha qui un'immagine della santa e consostanziale
trinità, alla quale ci si rivolge poi con 'Signore " (Procopio).
"E’ il mistero della fede. Dio gli apparve ed egli vide tre persone, Dio gli risplende ed egli
vede la Trinità : non accoglie il Padre senza il Figlio, né confessa il Figlio senza lo Spirito
Santo"(Ambrogio) . E Beda : "Vide tre, ma adorò e pregò un unico Signore : poiché benché
ci sia Trinità nelle persone, nella divinità tuttavia c'è un'unica uguaglianza del Sovrano,
oggetto di un'unica adorazione".
- Né possiamo dimenticare un'interpretazione eucaristica del brano e qui il dettaglio ad essere
elaborato in chiave Cristologica è "il vitello tenero e buono".
"Ecco un altro mistero. Il vitello non è duro, ma buono e tenero. Ora che cosa c'è di così
tenero, che cosa c'è di così buono quanto Colui che per noi si abbassò fino alla morte e pose
la sua vita per i suoi amici ? E' lui quel vitello grasso che il padre immola per accogliere il
figlio pentito (Lc 15,23)" (Origene).
"Tale vitello l'ombra della Legge lo prefigurò, tale vitello la verità del Vangelo ce lo mostrò"
(Ambrogio).
"Significa lo stesso mediatore di Dio e degli uomini" (Beda).
A questo riguardo un ricordo specialissimo merita la conosciutissima Icona della Trinità di
Andrej Rublev, fatta conoscere anche dall'omonimo e intenso film di Tarkowskj .
Andrej Rublev (+1425), monaco venerato dal popolo per la sua santità, interpretò Gn 18,1-9
come una rivelazione trinitaria e dipinse una icona, la più rappresentativa dell'arte russa, per
la cattedrale della Trinità ed ora conservata nella galleria statale Tretjakov di Mosca.
Le icone, usate anche come quadro liturgico per le solennità, erano soprattutto una "finestra
sull'eternità", quindi uno strumento di contemplazione per rivelare all'uomo gli eterni misteri
dell'esistenza, comunicando il sentimento vivo della realtà della beatitudine celeste.
Sovente erano il frutto di una maturazione comunitaria e l'artista si preparava lungamente
nella penitenza e nella preghiera.
In Gn 18 l'artista credente contempla anzitutto le figure dell'amore. La loro comunione è
perfetta : i tre compongono un gruppo che si iscrive in un cerchio, simbolo dell'eternità,
dell'unità e della perfezione.
Assorti in profonda contemplazione, sono anche immedesimati nell'azione comune : i volti si
guardano amorevolmente, gli sguardi si concentrano sugli altri senza distrazioni. Si coglie il
silenzio e il senso attivo e circolante della donazione di ognuno agli altri.
La Legge del Signore
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Alla felicità, delle divine persone non manca nulla. L'Amore di sua natura è però comunione
e quindi apertura. L'icona lo esprime nel lato della mensa lasciato scoperto dagli Ospiti. E’ il
posto di Abramo e, in Abramo, dell'uomo !
L'icona presenta una triplice forma di calice : il gruppo nel suo insieme, la mensa delineata
dal profilo dei personaggi e il piatto con la testa di vitello sacrificato (che è anche il centro
strutturale dell'intero quadro). E' evidente l'allusione al sacrificio pasquale e all’Ultima Cena.
cf C. J. DUMONT, L'inspiration d'André Roublev, in "La Vie Spirituelle" 672 (1986) pp 669
- 678.
L’INTERCESSIONE DI ABRAMO (GN 18,16-33).
La seconda parte del c 18, sempre di matrice J, mette in scena la figura di Abramo
come intercessore a favore di Sodoma e Gomorra e rappresenta il prologo della vicenda del
castigo delle città peccatrici di cui parla il c 19. E' un racconto altamente drammatico per la
"vis verbalis" e problematico per i contenuti teologici abbozzati.
^ La narrazione incomincia con un altro dettaglio della magnifica ospitalità di Abramo : "li
accompagnava per congedarli". Lascia intendere che anche il momento della partenza
dell'ospite è delicato, non deve essere lasciato al caso.
^ E' in questa situazione umana che l'autore introduce il soliloquio di Dio, il ragionamento
che il Signore fa con se stesso. Si tratta di "un espediente letterario audace (Dt 52,26) e poco
frequente ; l'autore scrive come se avesse assistito alla deliberazione divina. Egli vuole
mostrare propriamente Abramo come profeta confidente del Signore" (Alonso).
Egli è l'amico di Dio, "conosciuto" (v 19) dal Signore, depositario di una grande promessa (v
18), con un "mandato di magistero verso i suoi discendenti" (Von Rad). Una delle leggi della
amicizia è la confidenza il non avere segreti, il non coltivare riserve mentali : "Potrò io tener
nascosto ad Abramo quello che sto per fare ... ? "
^ Il v 19 formula in termini inusuali la missione affidata ad Abramo : "Io l'ho conosciuto
affinché comandi i suoi figli e la sua casa dopo di lui e osservino la via del Signore per fare
giustizia e diritto" (traduzione letteralista).
Il binomio "diritto e giustizia" richiama le due virtù richieste alla dinastia davidica ed usa il
linguaggio giuridico, tipico di questo capitolo.
^ I vv 20-21 esplicitano invece il senso della discesa di Dio. Il Signore si presenta come un
giudice, che ha ricevuto un reclamo contro le città e decide di condurre personalmente
l'indagine per sincerarsi che la denuncia sia obiettiva e attingere informazioni di prima mano.
"La lagnanza è un termine tecnico del linguaggio giuridico ed indica la invocazione di aiuto
che lancia colui che è danneggiato nel suo diritto con un atto di violenza" (Von Rad).
"Qui la Scrittura insegna ai giudici che essi non devono pronunciare un verdetto che
comporta la pena capitale, senza aver prima preso una visione personale dei fatti" (Rashi).
^ A partire dal v 22 ci imbattiamo nella figura di Abramo intercessore "in piedi davanti al
Signore" (gli scribi, ritenendo la posizione irriguardosa, hanno invertito l'ordine delle parole
del testo). E subito viene posto il problema cruciale : "Davvero sterminerai il giusto con
l'empio ?" Davanti a Dio ha maggior peso la cattiveria di molti o la bontà di pochi ? Che cosa
è più consono alla sua giustizia ? "Il problema implicato in Gn 18 è quello della
responsabilità collettiva (cf Gs 7)" (Ravasi).
Quella di Abramo è una preghiera dell'audacia : non solo chiede una deroga all'antico
principio, fa molto di più, domanda che venga applicato in senso contrario : l'onestà di un
piccolo numero, che non merita punizione, non potrebbe ottenere il perdono per tutta la
comunità ?
La Legge del Signore
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^ I1 dialogo è incalzante e si compone di sei tappe, la contrattazione è appassionata. In esso
traspare il coraggio e insieme l'umiltà della preghiera di Abramo :"Vedi come ardisco parlare
al mio Signore io che sono polvere e cenere ... "(27.31) ; "non si adiri il mio Signore se parlo
ancora una volta" (30.32).
Non si dimentichi che l'intercedere è uno dei compiti gravi del mediatore secondo la Bibbia :
"Quanto a me non sia mai che io pecchi contro il Signore, tralasciando di supplicare per voi e
di indicarvi la via buona e retta" (1Sm 12,23).
Grandi figure di intercessori sono dopo Abramo, Mosè e Geremia.
^ Il fatto che Dio accetti il confronto significa che è influenzabile, che può cambiare idea
dietro pressione dell'uomo, emerge la potenza della preghiera di intercessione e Abramo
allora contratta, "motivando il suo ardire, paradossalmente con la sua inadeguatezza, perché
si è fermato a dieci ? Non poteva spingersi più in là ?
Il seguito del racconto in Gn 19 applica il principio della retribuzione individuale : Sodoma e
Gomorra vengono distrutte per le perversioni nell'esercizio della sessualità umana (vv 4-11),
per la mancanza di accoglienza e solidarietà verso i poveri secondo un'altra tradizione
raccolta in Ez 16,49-50 ; Lot e la sua famiglia invece si salvano : "così Dio, quando distrusse
le città della valle, si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe" (v 29).
Dunque Abramo aveva visto giusto : il giudice della terra pratica la giustizia e non annienta
l'innocente insieme al colpevole !
- Il problema posto da Gn 18 continua nella teologia biblica della giustizia di Dio che non
può essere semplicemente di tipo retributivo.
Già in Ger 5,1 si intuisce che basta un solo giusto a salvare la città : "Percorrete le vie di
Gerusalemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze ; se trovate un uomo,
uno solo che agisca giustamente e cerchi di mantenersi fedele, io le perdonerò, dice il
Signore". Ma la ricerca è vana come documenta anche Ez 22,30 : "Io ho cercato fra loro un
uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese
perché io non lo devastassi, ma non l'ho trovato".
Un profeta tardivo avrà il compito di rispondere che ci sarà il giusto che salva tutti : "Il giusto
mio servo giustificherà i molti, egli si addosserà la loro iniquità" (Is 53,11b).
Un apostolo avrà l'incarico di proclamarlo : "Se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato
presso il Padre : Gesù Cristo, giusto" (1Gv 2,1).
Quando appare un unico giusto che si carica le colpe di tutti, si esplica la giustizia salvifica di
Dio, ma per trovarlo, Dio deve mandare il proprio figlio : "Se infatti per la caduta di uno solo
morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo,
Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini" (Rom 5,15) .
IL SACRIFICIO DI ISACCO IN GN 22,1-19
"Questo racconto, afferma Von Rad, nel suo commento alla Genesi, è il più perfetto
nella sua forma e il più insondabile nel suo fondo di tutte le storie patriarcali". E'
meritatamente la narrazione più celebre dell'intero ciclo di Abramo, carica di ripercussioni
nelle tradizioni ebraiche e cristiana, oggetto di interpretazioni contrastanti nella modernità.
Cerchiamo allora di entrare progressivamente nella intelligenza del testo interrogandoci sulle
fonti letterarie, sugli interessi del retrotesto, sugli aspetti estetici e sul messaggio di Gn 22.
Infine ne coglieremo le risonanze nella tradizione successiva.
La Legge del Signore
81
- Circa le fonti, la critica letteraria individua in esso la matrice Elohista. Cf R. LACK, Le
sacrifice d'Isaac. Analyse structurale de la couche elohiste, "Biblica" 56(1975) pp 1divulgazione in "Letture strutturaliste dell'AT", pp 118-127
Gli indizi che si possono allegare :
^ L’uso del nome Elohim
^ La risposta Eccomi ai vv 1. 7. 11
^ La salvaguardia della trascendenza divina : la rivelazione avviene di notte, nel sogno (vv 12). L'angelo grida dall'alto (v 11).
I vv 15-18 sembrano essere un'aggiunta al testo primitivo, forse J.
Preistoria del testo. Gli interessi narrativi.
A.
E’ indubbio sullo sfondo un interesse eziologico. In origine il racconto era la leggenda
cultuale o "mito di origine" di un santuario israelita, dove al posto di sacrifici umani praticati
nell'ambiente cananaico, si offrono sacrifici di animali.
Il nome del santuario è sconosciuto, doveva ad ogni modo avere a che fare con la locuzione
"Dio vede/provvede" (22,14).
Infatti il nome Moria che compare nel TM di 22,2 è manifestamente tardivo, LXX e Vg non
lo conoscono. La LXX porta al v 2 : "verso una terra " alta" e la Vg "in terram visionis".
L' identificazione quindi è recente, forse dovuta ai Masoreti a partire da 2 Cronache 3,1 :
"Salomone cominciò a costruire il tempio del Signore in Gerusalemme sul monte Moria".
E non senza significato : là dove il Signore è apparso ad Abramo per elogiarne la fede e la
obbedienza, si fa incontro al suo popolo che accorre al tempio per offrire i sacrifici.
B.
Altrettanto sicura nel racconto è la condanna, dei sacrifici umani. Era una pratica ben
conosciuta nell'ambiente cananaico : si fanno per inaugurare un santuario ; quando si erigono
le mura della città (1Re 16,34)) quando la città è assediata per chiedere la vittoria (2Re 3,27).
Sono considerati il massimo della religione, come dedizione alla divinità tramite la rinuncia
al primogenito.
A Cartagine sono documentati da Diodoro Siculo, Bibl. Hist. 20,14 cf Eusebio, Praep. Ev.
I,10 PG 21,85
Eccezionalmente sono penetrati anche in Israele, specie al tempo della dominazione assira,
meritandosi condanna totale da parte dei profeti : Ger 7,29-34 ; 32,35 ; Ez 16,20 ; 20,31 ;
23,39
Qualche esegeta (cf ad es. Schedl nella sua "Storia del Vecchio Testamento") pensa che nella
realtà storica l'iniziativa di sacrificare il figlio sia partita da Abramo non da una richiesta di
Dio : Abramo si è sbagliato, cioè ha creduto che Dio gli chiedesse il sacrificio del figlio.
Aveva visto i sacrifici dei Cananei e, ritenendo questi sacrifici qualcosa di eroico, si è detto :
anch'io dovrei fare così ; si è sbagliato, fino a quando Dio non lo ha illuminato.'
C.
A livello redazionale però, tutto il racconto è collocato nella prospettiva della prova :
"Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo". Il termine è una spia, fornisce una chiave
di lettura. Dio fa un esperimento, ha bisogno di una verifica. Esperimento è collocare un
corpo in una determinata situazione e vedere come reagisce.
Anche per Abramo "gli esami non finiscono mai" : come se la caverà Abramo ? Riuscirà a
vincere la prova ? L'esito non è scontato.
La Legge del Signore
82
Analisi stilistica
cf Y. MAZOR, Genesis 22 : The Ideological Rethoric and the Psychological composition, in
"Biblica" 1986/1 pp 81-88
cf Analisi Strutturale di Gn 22 in "Sémiotique et Bible" 35 (1984).
"L'autore narra con economia magistrale, sottolineando il tema filiale accelerando o
ritardando il tempo narrativo, interponendo silenzi" (Lack). Assai pregevole l'analisi formale
di Hermann Gunkel.
"Ciò che mette in movimento la scena è un dialogo nella notte, dove Dio, ancora una volta
entra nella vita di Abramo a scompaginare i suoi piani. Al duplice appello Abramo risponde
semplicemente : Eccomi ! Questo motivo letterario "chiamata-risposta" ritorna al centro del
racconto in 22,7 (Isacco chiama e Abramo risponde) ed anche al termine del brano (l'Angelo
del Signore e Abramo). Si tratta quindi di un elemento strutturale.
^ il v 2 presenta con tutto rilievo il tema filiale mediante 4 precisazioni : il tuo figlio, il tuo
unico, colui che ami, Isacco. Lascia intuire il peso smisurato di quella richiesta : il figlio tanto
atteso, desiderato, amato, il figlio del sorriso !
^ La risposta di Abramo è l'azione : quell'intrepido interlocutore del c18, che ere intervenuto
con tanta foga a strappare Sodoma dal castigo qui rimane senza parole, è come muto, il suo
silenzio fino al luogo del sacrificio è impressionante.
Notare la lunghezza del racconto nel descrivere i preparativi in contrasto con i "tre giorni" di
cammino, di cui non si dice nulla. "Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide
quel luogo". E' un tuffo al cuore, l'evento si avvicina.
^ L'azione riprende al v 5 ai piedi del monte del sacrificio : qui vengono lasciati i servi, i
quali non devono sapere né assistere alla scena crudele ; la comitiva da quattro si riduce a
due, padre e figlio senza testimoni.
Nuovo tratto di sensibilità al v 6. Il bambino porta la legna, il padre ha preso da parte sua gli
oggetti pericolosi : il coltello e il fuoco che potrebbero far del male al bambino. La prudenza
del padre che sta per sacrificare il figlio perché il bambino non si faccia del male è
narrativamente assai efficace.
^ Il momento più straziante dal punto di vista affettivo si ha ai vv 8-9. "Il narratore ha le
lacrime agli occhi" (Gunkel). Curioso come tutti i bambini, Isacco pone al papà una domanda
estremamente imbarazzante :"Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per
l'olocausto ?". "La risposta di Abramo è calcolata sapientemente dal narratore. Tre piani : la
ignoranza del figlio, la risposta del padre che crede di sapere e risponde più di quello che non
sappia, lo sguardo/intenzione di Dio che dà altro senso alle parole" (Alonso).
E' una risposta elusiva in apparenza, in profondità contiene una verità di cui nemmeno
Abramo è cosciente.
^ Poi cade di nuovo un pesante silenzio. Notare la forza di quel "proseguirono insieme" ai vv
6. 8. Rimette la scena tutta davanti agli occhi. In 9b-10 il tempo narrativo è di nuovo ritardato
da azioni precise : costruì, collocò, legò, lo depose, stese la mano, afferrò il coltello ... Siamo
al culmino del racconto : il lettore rimane per un attimo col fiato sospeso ... Ma interviene
subito il grido di Dio dal cielo a sciogliere il racconto. La tensione narrativa si risolve in una
considerazione teologica : si rinnova la promessa della discendenza con elemento nuovo :
vittoria sui nemici.
I valori del brano
La Legge del Signore
83
A)
Un primo contenuto teologico è la figura della rivelazione come dialogo, l'Io e il Tu,
l'incontro interpersonale, parola di Dio a noi e parola nostra a Dio, proposta e risposta.
Chiamata per nome che individua, scova e scuote e carica di responsabilità.
Questo dice la semplice struttura : "Abramo ... Eccomi !"
"Termine chiave dell'essere pronto : hinnenì. Termine composto che viene tradotto in modo
assai maldestro : Eccomi, ma che invece, rispettando il valore di ognuna delle sue
componenti, occorre rendere alla lettera con : "Sì, Io" così Andre Neher, il quale definisce
Abramo : "L'inventore del sì".
B)
Un secondo significato del brano è quello relativo alla PROVA. La richiesta di
sacrificare il figlio è il collaudo supremo, "quasi la prova di carico di una costruzione per
vedere se resiste" (Martini).
Tutto è messo sotto una cornice teologica molto chiara :
v 1 : Dio mise alla prova Abramo
v 12b : Ora so che temi Dio
e due comandi contraddittori :
v 2 : offri in olocausto
v 12 : non stendere la mano
Quello della prove-tentazione è un motivo ricorrente nella Bibbia. Essa appare necessaria
come verifica della fedeltà ; ha lo scopo di purificare la fede, essenzializzarla, liberarla da
ogni aspetto di interesse e di tornaconto. Attraverso il crogiuolo della prova passano tutti i
personaggi grandi della storia della salvezza :
"Oltretutto ringraziarne il Signore Dio nostro che ci mette alla prova, come ha fatto già con i
nostri padri. Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare ad Isacco e
quanto è avvenuto a Giacobbe… Certo come ha passato al crogiuolo costoro non altrimenti
che per saggiare il loro cuore, così ora non vuole far vendetta di noi ma è a fine di correzione
che il Signore castiga coloro che gli stanno vicino" (Giuditta 8,26 ; Vg 8,21b-23).
E' un tema particolarmente elaborato dalla tradizione sapienziale : "Figlio mio, non
disprezzare l’istruzione del Signore e non avere a noia la sua esortazione, perché il Signore
corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto" (Pr 3,11-12).
"Figlio mio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione" (Sir 2,1).
"E’ per la vostra correzione che voi soffrite ! Dio vi tratta come figli e qual è il figlio che non
viene corretto dal padre ?" (Ebr 12,7).
Dalla prova non è stato preservato il grande Inviato, il Figlio Unigenito : "provato in ogni
cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato"(Ebr).
C)
Il cantico della fede e della inevidenza : tale può essere il titolo di Gn 22. Quando gli
viene richiesto ha dell'assurdo, mette Dio in contraddizione con se stesso : si tratta infatti di
sopprimere Isacco, che è come dire "la parola di Dio fatta cerne", di annientare la promessa.
"Con questa prova, Dio chiede ad Abramo se egli sia capace di restituire a Dio anche il dono
della promessa. Egli dovrebbe saperlo fare (e infatti l'ha saputo fare), perché esso non è un
bene che possa essere trattenuto a titolo di un diritto qualsiasi e grazie ad una rivendicazione
umana. Il che è come dire che egli pone ad Abramo la questione se il dono della salvezza sia
da lui effettivamente considerato come un dono puro e semplice" (Von Rad).
La richiesta sconcertante di Dio in Gn 22 ha conosciuto diverse letture nella storia della
interpretazione, tra loro abbastanza in contrasto. Non è mancata l’interpretazione sarcastica
(ad es quella di Kolacowski), per cui Abramo rappresenta l'obbedienza alla ragion di stato :
La Legge del Signore
84
Abramo fa benissimo : non si deve mai domandare il perché di un ordine, l'ordine deve essere
eseguito in ogni caso. Quindi Abramo è il modello del perfetto cittadino, che sempre
obbedisce alle leggi.
Ma questa è una parodia del racconto e alla fine una parodia del concetto di Dio stesso.
Suggestiva anche la meditazione su Gn 22 di Soren Kirkegaard in "Timore e tremore", che si
richiamo al concetto del superamento dell'etico e del conflitto dei doveri. Nel testo però c'è
un conflitto d'amore, di tenerezza.
In Abramo chiamato a sacrificare il figlio vi e l'uomo di fronte al caso limite, chiamato a
perdersi per ritrovarsi. In definitiva ciò che gli viene domandato è di sacrificare una
immagine di Dio già confezionata, di rinunciare ad una esperienza già effettuata di lui per
accedere in termini nuovi al mistero ; gli è richiesto un nuovo salto nella conoscenza di Dio,
che è eminentemente un "Deus absconditus" (Is 45,15). La prova profondissima è sul "timore
di Dio" = fede, cf v 12b
Ha diritto Dio di chiedere all'uomo queste prove scarnificanti ?
"La fede non è un possesso solido e incontestato, del quale l'uomo possa disporre sempre,
come d'un capitale da cui detrarre una somma secondo il bisogno, ma e un atto altissimo di
vitalità del rapporto con Dio che in ogni situazione deve essere riattualizzato in modo
radicalmente nuovo e riconquistato contro gli assalti delle potenze del dubbio e del caos"
(Weiser) .
Il sacrificio di Isacco nella tradizione
L'altissimo testo di Gn 22 non poteva non essere oggetto di meditazione all'intorno del
mondo ebraico e cristiano.
^ La tradizione ebraica ha speculato sul luogo del sacrificio, identificandolo con il sito del
Tempio. Al posto di "nel territorio di Moria" i Targum di Onkelos e di Jonathan hanno "nella
terra del culto" e Rashi commenta : "E’ Gerusalemme ... i nostri rabbini hanno spiegato che si
è chiamato Moria a motivo dell'insegnamento che di là esce per Israele".
Un altro dettaglio del racconto su cui l'ebraismo postbiblico si è soffermato è quello della
"legatura". "Gli legò le mani e i piedi dietro" di lui. Il termine ‘aqedah indica infatti il
legamento delle mani e dei piedi" (Rashi). La parola è passata a significare l'intero sacrificio
di Isacco. La ‘aqedah è vista come fonte di grazia e di espiazione per il popolo ebraico. E'
ancora Rashi a sintetizzare un'intera tradizione cosi : "Il midrash aggadico dice : 'Il Signore
possa vedere questo legamento di Isacco per perdonare a Israele ogni anno e per risparmiargli
il castigo, così che si dica : oggi - cioè in tutte le generazioni future - sul monte del Signore
appare la cenere di Isacco, raccolta e posta in espiazione' ".
Il Midrash aggadico corrisponde a : Tanhuma , Wa-yera 23 ; Genesis Rabbah LVI,10 ;
Targum Yonatan Gn 22,14
cf R. PENNA, II motivo della 'Aqedah sullo sfondo di Rom 8,32 in "Rivista Biblica" 1985/4
pp 425 - 460
^ La tradizione cristiana invece ha letto tipologicamente Gn 22, ha visto cioè in Isacco una
prefigurazione di Cristo e del suo sacrificio.
All'interno del NT lo si rileva in due passi :
Rom 8,32 : "Dio non risparmiò il suo proprio figlio ... "
Qui Paolo adopera lo stesso verbo greco "pheidomai" impiegato dalla LXX per rendere Gn
22,12. 16. Quel Dio che ha chiesto ad Abramo solo il sacrificio del cuore, non ha esitato a
consegnare a noi il Figlio amatissimo.
La Legge del Signore
85
Ebr 11,17-19 : "Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva
ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto : In Isacco avrai una
discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai
morti : per questo lo riebbe e fu come un simbolo".
Qui l'autore di Ebr mostra di avere ben compreso la posta in gioco di Gn 22 e cioè il carattere
sconcertante della richiesta divina e di conseguenza la grande prova attraverso la quale deve
passare Abramo, chiamato continuamente a superarsi.
Egli spiega l'obbedienza eroica di Abramo con la sua fede nella risurrezione di Isacco. Questo
però è antistorico : né il redattore del racconto né tantomeno l'antico patriarca potevano
coltivare la fede nella risurrezione dei morti, che si fa strada lentamente solo negli ultimi
secoli dell'era precristiana.
Quella di Ebrei è una lettura "per eccesso" del racconto biblico.
Anche l'autore di Ebr vede in Isacco collocato sull'altare e poi risparmiato un simbolo
anticipatore della morte-resurrezione di Cristo.
L'esegesi dei Padri non farà altro che riprendere e dettagliare questo messaggio (così Origene,
Procopio, Ruperto, Cirillo Alessandrino). In Isacco che sale il monte carico della legna, viene
ravvisato un abbozzo di Cristo che sale il Calvario carico della croce ... "E’ il Cristo stesso ad
attestare come gli elementi della storia ora narrata si riferiscano esattamente a lui ; poiché
dice : In capo al libro sta scritto di me. Il 'libro' è tutto intero il profondissimo Pentateuco di
Mosè ; ma di questo libro quasi 'capo' e inizio è ciò che si chiama la Genesi : dove appunto si
trovano scritte del Cristo queste cose" (Cirillo Alessandrino).
cf G. VON RAD, II sacrificio di Isacco, Broscia- Morcelliana 1977
- W. VOGELS, Dieu éprouva Abraham, in "Sémiotique et Bible" 26 (1982) 25-36
LA FIGURA DI ABRAMO NELLE BIBBIA
Parecchio materiale e già stato anticipato nel commento ai singoli episodi del ciclo ;
qui mi limito a integrare il discorso. La figura di Abramo è stata intensamente pensata ed
amata dal Giudaismo biblico e post come anche dalla generazione apostolica e dalla Antichità
cristiana.
- Per il Giudaismo biblico accanto a Gdt 8,26 e 1Macc 2,52 si può ricordare l'elogio della
persona di Abramo in Sir 44,19-21.
Fa parte di un'ampia sezione di questo libro sapienziale (cc 44 - 50) nella quale vengono
passati in rassegna gli "uomini illustri" della storia di Israele (per questo il Sir è chiamato
anche "il libro dei padri"). Bisogna dire che l'autore non è eccessivamente illuminato nel
delineare questi medaglioni ; si limita per lo più a riassumere qualche dato della
corrispondente narrativa biblica che lo ha preceduto, ma non è capace di andare in profondità
nella comprensione dei personaggi.
Nei pochi versetti dedicati ad Abramo ritroviamo motivi del ciclo del Gn, eppure avvertiamo
che la accentuazione è diversa : non è presente il tema della fede, ma la sottolineatura è
portata sulla pratica della Legge. Il giudaismo vede Abramo essenzialmente come modello di
fedeltà nella prova, come figura esemplare nella pratica della Legge. In Gn non c'è mai il
termine "nomos = legge".
La Legge del Signore
86
Nel Sir l'alleanza viene dopo l'osservanza, la promessa presuppone la fedeltà nella prova
invece di essere gratuita.
- Nel NT incontriamo due presentazioni antitetiche della figura di Abramo : modello della
fede ma anche della pratica delle opere.
^ Paolo in particolare ha avvertito il bisogno di illuminare la condizione cristiana con il
riflettore della figura di Abramo : lo fa nella lettera ai Gal 3,6-9 ;4,21-31 Per estirpare la
zizzania del Giudaismo e soprattutto in quel poderoso trattato che è l'epistola ai Romani.
L'intero c 4 è una lettura cristiana della figura di Abramo.
Paolo vede in Abramo il "padre di tutti i credenti", in quanto è modello della fede ; è questa il
fondamento della esistenza, non la osservanza della Legge, come invece sosteneva il
giudaismo dell'epoca. Paolo considera decisivo il versetto di Gn 15,6.
I veri figli di Abramo non sono i discendenti "secondo la carne", ma è quella discendenza
"che deriva dalla fede di Abramo" (Rom 4,16). Profonda è anche la intuizione della fede di
Abramo che diventa speranza : "in spe contra spem credidit" (Rom 4,18). La speranza è
quella fede che guarda al futuro e intensamente lo desidera e lo prepara.
^ Nella linea di Paolo si colloca l'autore di Ebrei. Egli dedica un capitolo (sezione) del suo
sermone a illustrare la fede dei personaggi biblici, proposti come "nugolo di testimoni" alla
generazione cristiana. All'interno della carrellata due se ne distaccano in particolare : Abramo
e Mosè. . L’elogio della fede di Abramo e dei patriarchi in 11,8-19 è attraversato da notevole
impeto lirico e profondità teologica. Nella sua rievocazione l'autore va chiaramente al di là
delle possibilità di senso insite nella narrativa della Gn, fa dire al testo molto di più di quello
che storicamente contiene, interpreta l'epoca patriarcale come una figura del pellegrinaggio
cristiano in cerca della città futura e permanente. E' l'evento della risurrezione di Cristo che
ha permesso al nostro autore di leggere in termini nuovi l'esperienza patriarcale.
^ Su una sponda opposta si colloca invece Giacomo, che si richiama alle figura di Abramo in
2,20-24. Nella sua lettera l'accento è posto sulle "opere della fede" quale conseguenza della
adesione a Dio. Scultorea è la massima : "senza le opere la fede è morta". Il che ha meritato a
questo testo la definizione spregiativa di Lutero : "lettera di paglia". In linea con la
interpretazione giudaica riflessa nel Sir, Abramo è modello di osservanza ; l'opera più grande
che abbia compiuto è il sacrificio del figlio ; per quel gesto secondo Giacomo "venne
giustificato", mentre nel racconto genesiaco la giustificazione di Abramo è anteriore alla
richiesta di immolare il figlio. E' probabile un contesto polemico in Gc ; risponde a un
fraintendimento del pensiero paolino.
IL CICLO DI GIACOBBE
PRESENTAZIONE GLOBALE
a) Estensione : la figura di Giacobbe campeggia, fa da protagonista nei cc. 28 a 35 della
Genesi, eccetto il 34.
E’ presente però in modo cospicuo anche nel ciclo di Isacco, allorché carpisce prima la
primogenitura (25,27-34) e poi la "benedizione (27).
b) Qualità letteraria : il ciclo è caratterizzato da una abbondanza e varietà di racconti di
matrice popolare, che denotano una vera felicità del narrare. Sono pezzi gustosi che mettono
in scena attori elementari che si incontrano e si scontrano : Isacco, Rebecca, Esaù, Labano,
Lia e Rachele.
La Legge del Signore
87
La composizione di insieme rivela contatti con la teologia (schema) dell'Esodo ; la vicenda di
Giaccobbe prefigura per certi aspetti l'esperienza dell'Esodo : "La narrazione del ritorno di
Giacobbe è costruita in modo simile all'uscita di Israele dall'Egitto : partenza da un mondo
ostile, carico di famiglia e di ricchezze, inseguimento, passaggio di un fiume, superamento di
nemici, arrivo nella terra. Giacobbe si identifica con Israele ed è l'arameo errante del credo
(Dt 26,5)" (Alonso).
Giacobbe è il padre di Israele, l'eroe eponimo come si dice, cioè l'antenato che dà nome a
questo popolo di seminomadi "figli di Giacobbe", "figli di Israele" ; è una personalità
corporativa. Pare che il personaggio sintetizzi le qualità e i vizi di Israele, è uno specchio del
popolo, un Israele in miniatura. Israele si riconosce e si narra in questo eroe.
c) La verità umana del ciclo : Giacobbe è la figura del tipo abile, truffatore che sa trarre
partito dalle situazioni della vita. E' il beduino astuto, imbroglione, ritratto di Israele.
- c'è una caratterizzazione elementare cfr Gen. 25,27-28 : "I fanciulli crebbero ed Esaù
divenne abile nella caccia, un uomo della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo,
che dimorava sotto le tende.
Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto, mentre Rebecca prediligeva
Giacobbe".
- La prima mossa consiste nel carpire la primogenitura, approfittando del temperamento
istintivo, primario, del fratello in un momento di stanchezza. Basta una minestra di lenticchie
per farlo sragionare : "Ecco sto morendo, a che mi serve la primogenitura ? ... a tal punto
aveva disprezzato la primogenitura". (25,29-34) .
- secondo gesto truffaldino : la benedizione ottenuta con l'inganno. E' il racconto del c. 27 :
impietoso scherzo al padre vecchio, cieco, vicino a morire, con l'aiuto ineffabile della madre
Rebecca, la quale inventa l'espediente del capretto, la cui pelle fa rassomigliare Giacobbe ad
Esaù. Ha un bel da fare Agostino nel voler giustificare l'episodio : "Non est dolus !", sed
misterium !
Conseguenza del fatto secondo lo J è la fuga di Giacobbe in Carran, per sfuggire all'ira
omicida del fratello (cfr 27,41-45). Secondo P invece la partenza di Giacobbe è motivata dal
bisogno di scegliersi una sposa non tra le donne ittite-cananee, ma all'interno della sua stirpe
(cfr il testo di Gen. 27,46 e 28,1-2).
- Il racconto cresce di interesse e di verve allorché nel seguito della storia l'autore mette di
fronte due furbi : Labano e Giacobbe, zio e nipote. Labano è un tipo avido, calcolatore, però
cerca di mascherare la sua avarizia, facendo finta di mostrarsi generoso e disinteressato in
nome della gratuità della parentela.
29, 15 = "Poiché sei mio parente, mi dovrai forse servire gratuitamente ? Indicami quale deve
essere il tuo salarlo".
Ma in realtà lo sfrutta : gli promette in sposa Rachele, la minore, che "era bella di forme e
avvenente di aspetto, perciò Giacobbe amava Rachele" (così in 29, l7-18) mentre "Lia aveva
gli occhi smorti".
La Legge del Signore
88
"Preferisco darla a te piuttosto che ad uno estraneo" dice Labano (29,19) ma il prezzo è
quanto mai pesante : 7 anni di servizio : "gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore
per lei" (29,20).
Ma al momento buono, quando sta per unirsi intimamente alla sua sposa, Labano gli scambia
la donna nel letto, "Quando fu mattino ... ecco era Lia" (29,25). E Giacobbe deve sgobbare
altri sette anni : "Egli si unì a Rachele e amò Rachele più di Lia" (29,30).
- Quando Giacobbe decide di partire, Labano vorrebbe lasciarlo andare come un pitocco, ma
Giacobbe si dimostra più intelligente e ricorre ad una specie di "compensazione occulta"
tramite un particolare accoppiamento degli animali. "Così i capi di bestiame debole erano per
Labano e quelli robusti per Giacobbe. Egli si arricchì oltre misura e possedette greggi in
grande quantità, schiave e schiavi, cammelli e asini" (vedi c 30).
- Elude l'attenzione dello zio che non vorrebbe lasciarlo partire (31,20) e questi
spudoratamente lo insegue e gli dice : "Perché sei sfuggito di nascosto, mi hai ingannato e
non mi hai avvertito ? Io ti avrei congedato con festa e con conti, a suon di timpani e di cetre"
(31,27).
- C'è di più. Partendo da casa, Rachele ho asportato gli idolotti del padre,"li aveva messi nella
sella del cammello, poi vi si era seduta sopra ; così Labano frugò in tutta la tenda e non li
trovò" (31,34) e poi prende come pretesto le mestruazioni per non scendere dal caramello e
restituirli.
Giacobbe si mostra abile anche quando ritorna in patria e sta per varcare il confine : si fa
precedere prima da una ambasciata e poi da un abbondante donativo per placare la collera di
Esaù e maturare la riconciliazione (cfr 31,21-22).
+ Tutto questo è il Giacobbe uomo : è il soppiantatole secondo quella qualifica che è iscritta
nel suo stesso nome : cfr 27,36a "Forse perché si chiama Giacobbe mi ha già soppiantato due
volte" ; abbiamo a che fare con una eziologia di nome di persona, elaborata come le altre in
stile popolare tramite la assonanza dei nomi : ‘qb = a tergo secutus est lucrum aliquod
captans, dolo fefellit : come sostantivo significa "tallone", Zorell, 622.
E cosi é passato nella tradizione biblica : Os. 12,3 "egli nel grembo soppiantò il fratello e da
adulto lottò con Dio. " Is. 43,27 "Il tuo primo padre peccò". Giacobbe è pesantemente
peccatore ; una storia di peccato, nella quale però si dimostra più forte la grazia.
d) elezione e promessa nel ciclo di Giocobbe ; è evidente leggendo il ciclo di Giacobbe come
il motivo della truffa non ne esaurisce la portata. Dietro questa vicenda pesantemente umana
c'è un piano di Dio che si sviluppa : Dio veglia, è all'opera per fare di Giacobbe il peccatore
che si converte. Traspare l'azione di Dio che dirige gli avvenimenti umani. Anche come
credente Giacobbe raffigura, sintetizza Israele : l'avventura religiosa di Israele è
miniaturizzata in qs personaggio.
Dio è espressamente riconosciuto regista di qs vicenda :
- E’ all'origine della nascita del bambino : "Isacco supplicò il Signore per sua moglie perché
era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta"(25,21).
La Legge del Signore
89
- Isacco formula su Giacobbe quella benedizione di cui Dio è la fonte : "Dio ti conceda dal
cielo rugiada ... " (27,28).
- La visione di Betel all'inizio del viaggio in Mesopotamia equivale ad una vera e propria
vocazione - elezione del personaggio, scavalcando la legge umana della primogenitura. "Ho
amato Giacobbe ed ho odiato Esaù" afferma Mal 1,2 ; in Gen 28 troviamo formulate le prime
parole rivolte da Dio personalmente a Giacobbe. La benedizione-promossa con i suoi due
contenuti di terra e discendenza è rinnovata, Giacobbe ne diventa il destinatario dopo Abramo
e Isacco (28,13-15).
- E’ Dio che rende feconda Lia (29,31) e poi Rachele (30,22) in modo che nascano
progressivamente i 12 figli nonostante la sterilità delle mogli. La sterilità delle donne dei
patriarchi è chiaramente un espediente narrativo per meglio sottolineare l'azione di Dio.
- E' ancora il Signore che vigila affinché Giacobbe non smarrisca in Mesopotamia il senso
della sua missione e lo spinge a partire : "Il Signore disse a Giacobbe : Torna al paese dei tuoi
padri, nella tua patria e io sarò con te" (31,3) "Io sono il Dio di Betel, dove tu hai unto una
stele e dove mi hai fatto un voto. Ora alzati, parti da questo paese e torna nella tua patria !"
(31,13).
- Durante il viaggio di ritorno gli si fanno incontro gli angeli di Dio e "Giacobbe al vederli
disse : Questo è l'accampamento di Dio e chiamò quel luogo Macanaim" (32,3).
- Grande importanza ha la preghiera formulata da Giacobbe in 32,10-13 : è una supplica nella
quale viene ricordato il tema della elezione e della benedizione. Significativo è anche il
richiamo all'indegnità dell'uomo "Io sono indegno di tutta la benevolenza e di tutta la fedeltà
che hai usato al tuo servo" (11). Riconoscimento della propria miseria e della propria paura e
appello alla forza di Dio : "Salvami dalla mano del mio fratello Esaù perché io ho paura di
lui" (12).
- Funzione decisiva della lotta con Dio al torrente Jabbok con il cambiamento del nome.
Equivale a una vera conversione di Giacobbe (32,23-33).
- Nelle parole rivolte ad Esaù al momento della riconciliazione ricompare il richiamo a Dio
come fonte dei beni di cui Giacobbe può disporre : "sono i figli di cui Dio ha favorito il suo
servo"(5) ; "Dio mi ha favorito e sono provvisto di tutto" (11). Poi segue la erezione
dell'altare "e lo chiamò El , Dio di Israele" (33,20).
- Il ritorno a Betel in 35,1-15 (episodio conclusivo del ciclo) comporta l'abbandono definitivo
degli idoli da parte del clan di Giacobbe. Essi vengono sotterrati, segue la costruzione
dell'altare con l'unzione e la libazione. C'è anche una teofania a Giacobbe : il discorso di Dio
menziona nuovamente il cambiamento di nome e riformula la benedizione nei suoi due
classici contenuti di discendenza e di terra. Non è altro che le pagina sacerdotale parallela a J
ed E in 28.
LA VISIONE DI BETEL (GN 28,10 - 22 ).
cf "Le songe de Jacob : Gn 28,10-29,1" in "Sémiotique et Bible" 14
La Legge del Signore
90
- G. HAMMAN, Le songe de Jacob et sa lutte avec l'ange (Genèse 28 et 32). Repères
historiques d'une lecture et de ses variations in "RHPhR" 1986/1 pp 29-42
Questa pericope del ciclo di Giacobbe è una combinazione di J ed E.
I nomi divini e la duplice apparizione degli angeli e di Dio sono i criteri distintivi.
Appartengono alla tradizione E : il sogno della scala che conduce al cielo (10-12. 17) e il voto
di Giacobbe con la fondazione del santuario di Betel (I8. 20. 21a. 22).
Sono della fonte J : l'apparizione del Signore che rinnova le promesse fatte ad Abramo e ad
Isacco e che Giacobbe riconosce come il suo Dio (13-16. 19- 21b).
Struttura : la narrazione si compone di due scene :
visione notturna con la promessa di Dio (10-15).
rito mattutino con il voto di Giacobbe (16-22).
Il contenuto.
E' fuori dubbio un interesse eziologico nella narrazione : il racconto è la leggenda
cultuale di un santuario, quello di Betel, probabilmente tale già al tempo dei Cananei,
diventato successivamente "tempio civico" del Regno del Nord, contraltare di Gerusalemme a
partire dalla scissione del 932 (cf 1Re 12,26-29 ; Amos 7,10-17).
Per Israele e diventato un luogo sacro grazie alla teofania, che ha avuto come destinatario il
padre della nazione : "e chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava
Luz" (v 19).
Beth-el = "questa è proprio la casa di Dio" (v 17).
^ Giacobbe è solo e fuggitivo ("Arameo errante" di Dt 26,5) ; la notte lo sorprende nel suo
viaggio ed egli è costretto a fermarsi e a dormire sub divo. "Tutte le parole della
presentazione possono avere un'accezione cultuale e una profana : 'luogo' è di frequente
termine tecnico di luogo di culto ; 'pietra' designa spesso un idolo o una stele cultuale,
'coricarsi e passare la notte nel luogo' può indicare l'incubazione sacra in attesa dell'oracolo.
Per Giacobbe tutto è semplice e profano ; nell'intenzione del narratore tutto suggerisce
un'altra dimensione Non ci è detto però il nome del luogo" (Alonso).
L'autore gioca dunque con parole a duplice significato. Per la "incubazione sacra" = sosta e
riposo nel tempio cf 1Re 3 : sogno del re Salomone a Gabaon.
^ Il sogno di Giacobbe è suggestivo : una grande scalinata (non è una scala a pioli ma
piuttosto una rampa a gradinate, come nei templi mesopotamici chiamati "ziqqurat") che
mette in comunicazione cielo e terra. Messaggeri divini salgono e scendono, non volano.
E’ la rappresentazione di una teofania, richiama l'incontro e la comunicazione del cielo con la
terra, di Dio con l'uomo.
I rabbini speculeranno sui punti di appoggio della scala e sulla sua inclinazione e
identificheranno i primi due in Bersabea e Betel, mentre il punto di mezzo della sua
inclinazione sta sopra Gerusalemme, copre l'area del Tempio (cf il commento di Rashi).
^ Finalmente in piedi sopra la scala appare il Signore, da solo senza messaggeri, pronunzia un
oracolo che Giacobbe ascolta in sogno. Incomincia presentandosi con il titolo patriarcale ; la
benedizione ripetuta è fondamentalmente quella di Abramo (dono della discendenza e della
terra) con il dato nuovo dei punti cardinali. A questo si aggiunge una promessa personale : il
Signore si compromette con Giacobbe, gli assicura la sua protezione. La scena diventa quindi
il racconto della vocazione di Giacobbe. Dio lo accompagnerà nel suo viaggio ; la forza attiva
sarà la sua parola o promessa.
La Legge del Signore
91
^ La reazione di Giacobbe al v 17 è quella del timore reverenziale. Da tutto questo racconto
traspare la concezione del sacro come "separato" realtà attrattiva e repulsiva insieme,
"fascinans ac tremendum".
Il genio/nume del luogo gli è apparso ; questo nel racconto originario, ma com'è ora, è il
Signore stesso ad apparire nel cuore della terra. Per la sua presenza quel luogo è "casa di Dio"
e come tempio è la "porta del cielo", attraverso la quale Dio entra ed esce. Il tempio è la
immagine terrena del cielo e lega la terra al cielo. "Gli antichi consideravano i santuari quali
ponti gettati tra il cielo e la terra" (Dacquino). Rashi spiega : "E’ il luogo della preghiera, da
cui la preghiera sale al cielo. Il midrash afferma che il Santuario celeste corrisponde al
Santuario terrestre".
^ Ed eccoci al rito mattutino : "Al mattino presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era
posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità" (v 18).
^ Il cippo, la stele di pietra, nell'antichità è sentito come un polarizzatore di potenza
generatrice, un phallus. Ricordi di questa concezione sono frequenti nell'AT : 'Hai
abbandonato la roccia che ti ha generato' (Dt 32,18). 'Il Signore è la mia roccia' (Sal
18,2 ;92,15 ;95,1). Anche Giosuè innalza dodici cippi, phalli, in 'memoriale', carichi cioè di
potenza generatrice per le dodici tribù d'Israele.
Non ci deve turbare questo realismo, inconsueto per la nostra mentalità ; nell'AT, non di rado
e forse come concezione fondamentale, Dio è sentito come il fecondatore. Basta leggere il
cap 30 della Genesi per rendersene conto" (Vennucci).
L'unzione è poi un rito di consacrazione. L'olio non scorre via come l'acqua, ma si appiccica,
rimane, penetra, imbibisce, può connotare l'azione permanente e penetrante dello Spirito ; per
questo entra nell'organismo sacramentale della chiesa. Ancora oggi nella "dedicazione" di
una chiesa, un elemento del rito è rappresentato dalla unzione.
^ Il voto formulato da Giacobbe (vv 20-22) prescinde dalla benedizione di Abramo che è
gratuita e manifesta il suo carattere interessato e calcolatore ; la sua scelta di Dio e la erezione
del santuario appaiono condizionate alla protezione e ai benefici di Dio stesso : se ... se ... Ma
Dio accetta il bene che vede negli uomini tollerando i loro limiti. Altro esempio di preghiera
patriarcale.
Giacobbe appare in questi versetti come fondatore del santuario di Betel e iniziatore del
versamento della decima.
L'adempimento si ha in 35,7 ma non si fa menzione della decima.
Risonanze del testo nella tradizione.
^ "In verità, in verità vi dico : vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul
Figlio dell'uomo" (Gv 1,51). Giacobbe è la figura di Cristo ; in Gesù si ha la comunicazione
piena di Dio con l’uomo, l’evento massimo della rivelazione, "divina terrenis junguntur".
^ Targum : "Cinque miracoli furono compiuti per Giacobbe quando uscì da Bersabea. Primo
miracolo : furono abbreviate le ore del giorno e il sole tramontò quando non era il suo tempo,
perché la Parola bramava di parlare con lui. Secondo miracolo : le quattro pietre che aveva
messe come suo guanciale le trovò al mattino divenute un'unica pietra. Terzo miracolo : la
pietra che rotolavano dalla bocca del pozzo dopo che tutti i greggi si erano radunati, egli la
rotolò con un solo braccio. Quarto miracolo : che il pozzo traboccò e l'acqua salì davanti a lui
e traboccava tutti i giorni che egli fu a Carran. Quinto miracolo : si restrinse la terra davanti a
lui, e nel medesimo giorno uscì e giunse a Carran".
^ L'esegesi "spirituale" dei Padri articola l’interpretazione cristologica di Gv 1,51. Nella
"scala" viene ravvisata la funzione mediatrice di Cristo, "pontefice" = costruttore del ponte
gettato sull'infinito di Dio e nel duplice movimento degli angeli un'allusione alla duplice
La Legge del Signore
92
natura, di Cristo. Agostino : "Questi angeli sono figura degli evangelisti, annunciatori del
Cristo" e Ruperto : "Gli angeli di Dio - cioè i santi annunziatori - sono i predicatori della
verità, annunziatori e testimoni delle due generazioni del Cristo : la divina e l'umana. Salendo
essi dicono che 'in principio era il Verbo' ; scendendo, dicono che 'il Verbo si è fatto carne' ".
LA LOTTA DI GIACOBBE CON DIO (GN 32,23-33).
E' "una delle più celebri e tese pagine della Genesi. " (Ravasi) ; è il racconto più
enigmatico del ciclo di Giacobbe, ma a conti fatti anche il più profondo e suggestivo.
La sua rilevanza deriva dal fatto che il Giacobbe che diviene Israele si fa simbolo del popolo
stesso.
Gli studiosi divergono nell’identificare la fonte di provenienza : BJ e Von Rad parlano di
racconto jahvista, mentre la TOB opta per una fusione JE. Non importa : il testo si lascia
ugualmente accostare e gustare.
Qualità letteraria : una parola sullo stile del racconto. Alcuni elementi narrativi lo popolano
di suggestione.
^ La notte, tempo della tenebra e poi il sopraggiungere della luce-alba
^ La solitudine di Giacobbe : tutta la sua carovana (le due mogli, le due schiave e gli undici
figli oltre il bestiame) ha già passato il guado
^ L'indeterminatezza dell'avversario, indicato dapprima genericamente come "un uomo / un
tale", mentre poi continua come semplice pronome (soggetto o complemento).
^ La lotta corpo a corpo : avvinghiati si rotolano nella polvere. Il dibattersi dei corpi è
simbolico di un dibattersi dell'anima
^ La serie incalzante delle domande, una delle quali rimane inevasa ; l'avversario si rifiuta di
dire il suo nome, però dona benedizione
^ Scomparsa dell'avversario nel nulla. Giacobbe è dichiarato vincitore, ma esce
profondamente segnato dalla lotta (l’azzoppatura) . Riesce a strappare la benedizione, ma non
riceve la confidenza del nome.
Tracce mitiche : il racconto contiene nel suo fondo tratti antichi, residui arcaici.
^ La credenza in esseri misteriosi (geni o dèmoni o numi tutelari) posti a guardia di fiumi, che
bisogna propiziare prima di attraversare. Qui è la divinità fluviale dello Jabbok, che respinge
ogni atto di invasione.
La letteratura di Erodoto e Plutarco offre testimonianze al riguardo.
^ Si tratta di spiriti delle tenebre, attivi ed operanti nel corso della notte, mentre l'apparire
della luce li depotenzia.
^ La convinzione che conoscere il nome di una persona significhi possederla, poter disporre
di essa.
^ La paura davanti a Dio, la persuasione che vederlo equivale a morire, fulminati dal sacro.
"A Gunkel in particolare dobbiamo le osservazioni sulla grande antichità di questo soggetto
letterario, che risale molto indietro, fino ai primordii della storia di Canaan, in ogni caso
all'epoca preisraelitica e prejahvistica. Esso è poi stato assorbito entro la fede jahvistica"
(Von Rad).
Eziologie : come si configura attualmente, è indubbio che la narrazione vuol rendere ragione
di alcuni fatti.
La Legge del Signore
93
^ Incontriamo una eziologia di luogo. Come in Gn 28 a proposito di Betel così ora siamo
davanti ad una leggenda cultuale, al mito di origine del santuario di Penuel. Lo dice
espressamente il v 31, dove viene offerta la etimologia popolare del nome : "Ho veduto Dio
(‘el) faccia a faccia (panim) " .
^ Eziologia di costume, fondazione di un arcaico tabù alimentare : gli Israeliti non mangiano
il nervo sciatico, perché lo sconosciuto ha lussato il cavo del femore di Giacobbe.
"La parte superiore dell'osso del femore che è infossata nell'anca viene chiamata KAF, perché
la carne che è sopra di essa ha la forma del mestolo (kaf) di una pentola" (Rashi).
^ Eziologia di nome personale : come in 17 per Abramo, così qui abbiamo il passaggio da
Giacobbe a Israele. Il nome cambiato indica nuovo orientamento di vita oltre che dipendenza
da colui che interviene a mutarlo. Giacobbe (spiegato in Gn 25,26 come 'calcagno') qui
diventa Israele, "perché hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto".
Significati profondi.
Giacobbe è l'antenato del popolo della Bibbia, è l'eroe eponimo, i discendenti si
chiamano infatti "benè Israel". Da questa figura il popolo dipende e in essa si riconosce.
Giacobbe è l'Israele in miniatura ; nello spessore umano del personaggio è delineato il volto
urbano di Israele, le sue caratteristiche di popolo, quasi i suoi tratti temperamentali.
Nell'itinerario spirituale di Giacobbe è rappresentato il cammino etico di Israele.
Nel cambiamento di nome si ha l'esperienza di un passaggio, una specie di conversionetrasformazione. Giacobbe è il nome dell'uomo vecchio, che agisce con inganno. Prima
carpisce la primogenitura (25,27-34) e poi con la frode strappa la benedizione al padre
morente : "Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già due volte ? Già ha carpito
la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione !" afferma Esaù in 27,36.
Anche qui si parla di benedizione : "Non ti lascerò, fin quando non mi avrai benedetto" (27b).
Prima lotta per la benedizione, poi per il nome ; ottiene la prima, gli è negato il secondo.
Deve lottare per ottenere la benedizione, deve abilitarsi ad essa. Questo duello è una prova
purificatrice, una passaggio doloroso, una strettoia da cui esce l'uomo nuovo, pronto a
riconciliarsi con Esaù al c 33 e a scegliere con il suo clan a Betel il Signore come unico Dio
(c 35).
L'episodio della lotta visualizza in termini narrativi l'esperienza secolare che Israele ha fatto
di Dio : della sua trascendenza e presenza, nel suo concedersi e ritirarsi, del suo rivelarsi e
nascondersi. "Veramente tu sei un Dio che si nasconde, Dio di Israele, Salvatore" (Is 45,15).
Lotta incessante e affascinante, con una realtà che non è mai completamente afferrabile né
tanto meno domabile.
La storia di fede di Israele è raffigurata in questo episodio : Dio ha incalzato questo popolo,
non gli ha lasciato pace, non gli ha dato requie e profondamente segnato dall'incontro, Israele
ha attraversato il fiume della storia.
Il Libro di Os 12,4-5 testimonia come l'epoca profetica guardava alla figura dell'antenato,
legato soprattutto alle tradizioni del Nord : "Egli nel grembo materno soppiantò il fratello e
da adulto lottò con Dio. Lottò con l’angelo e vinse, pianse e domandò grazia. Ritrovò Dio in
Betel e là parlò a noi".
Osea interpreta questo passo, come se fosse una parabola della preghiera e all'antico profeta
del Nord farà eco l'autore recente del libro della Sapienza : "Lo custodì dai nemici, lo
protesse da chi lo insidiava, gli assegnò la vittoria in una lotta dura, perché sapesse che la
pietà è più potente di tutto" (10,12).
La Legge del Signore
94
- Anche questo "è stato scritto per nostra esortazione" (Rom 15,4).
Qual è 'dunque il significato perenne di questa pagina biblica ?
E’ un simbolo dell'esistenza credente, della fede come lotta. Non solo contro le forze del
male, ma con il mistero insondabile di Dio.
La fede più come ricerca che come possesso : "Deus sine fine quaerendus quia sine fine
amandus" (Agostino). Fiume vorticoso e non acqua calma. Perché è rapporto con il Vivente,
che non si può mai comprendere del tutto, che non si deve nominare invano, né tanto meno
banalizzare con un linguaggio religioso opaco e sbiadito, con un parlare insulso e logoro.
Ascoltiamo LUTERO : "Questo passo è ritenuto da tutti fra i più oscuri di tutto l'AT. E non
c'è da stupirsene : poiché si tratta di quella sublime tentazione per cui il patriarca Giacobbe
dovette lottare non contro la carne e il sangue o contro il diavolo, ma contro Dio stesso.
Combattimento davvero terribile, quando è Dio in persona a combattere e in tale lotta si mette
contro di noi da nemico, come volendo toglierci la vita ... "
All'interno della "vita secondo lo Spirito" come lotta, questo aspetto è vissuto nella
esperienza della preghiera. La preghiera come agonia, come confronto appassionato e
vitalissimo con Dio.
Tale è l'esperienza di Cristo nel Getsemani : "nei giorni della sua vita di carne offrì preghiere
e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la
sua pietà" (Ebr 5,7). E tale è anche la preghiera del cristiano : "Vi esorto fratelli per il Signore
nostro Gesù Cristo e l'amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per
me a Dio" (Rom 15,30).
"Vi saluta Epafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non cessa di lottare per voi
nelle sue preghiere, perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio" (Col 4,12).
- Riporto in conclusione l’attualizzazione che di questo testo fa, nel suo commento alla
Genesi, Alonso Schokel : "Perpetuamente l'uomo affronta Dio e lotta con lui ; e molte volte è
una lotta a corpo a corpo con Dio che lo trattiene, lo incalza, lo assale, apparendo e
dileguandosi all'improvviso, in forme enigmatiche e sconcertanti per la loro semplicità.
L'uomo lotta per ottenere da questo Dio la benedizione per la propria vita, forse quella
benedizione promessa in un altro incontro, e lotta soprattutto per conoscere il nome dello
sconosciuto : lo chiama 'Dio' e non basta ; lo chiama 'tu' e si avvicina soltanto ; scopre un
nome e gli si logora con l'uso. La domanda del nome non dice : che cosa sei ? ma : chi sei ?
In culture e tempi antichi questa lotta può prendere forma mitica e leggendaria : il dio ha
forma umana, l'eroe ha dimensioni e forze gigantesche ; il dio è limitato ad un tempo, il
tempo delle tenebre e l'uomo lo vince con un sotterfugio speciale e gli strappa una
concessione. Di tutto ciò rimangono tracce confuse nel racconto biblico.
In una religione più esigente è forse Dio colui che piega l'uomo, pur facendosi trattenere da
lui. Dio stesso lo provoca alla lotta ; alla ricerca insoddisfatta, allo sforzo tenace per benedirlo
alla fine ... in altri tempi la lotta è per conoscere il nome di Dio, quello autentico e puro, non
quello che l'uso e l'abuso umano hanno reso consunto e vuoto. Allora bisogna restare a tu per
tu con l'essere misterioso, per ascoltarne il nome fresco, pronunziato di recente e da lui
stesso. Questo sta soltanto in germe nel testo biblico.
Dio benedice, pronunzia o tace il proprio nome, sebbene l'aver udito la sua parola nel dialogo
sia già scoperta della sua presenza.
E l'uomo esce zoppicante dalla lotta, il povero pellegrino verso la terra promessa".
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------"Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della pasqua, che è Cristo ...
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla
La Legge del Signore
95
vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per
sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele e in
Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe e in Giuseppe fu venduto. Fu
esposto sulle acque in Mosè e nell'agnello fu sgozzato. Fu perseguitato in Davide e nei profeti
fu disonorato ...
Egli è l'Agnello che non apre bocca, egli è l'agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella
senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto
nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla
decomposizione. Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del
sepolcro". (Dall' "Omelia sulla Pasqua" di Melitone di Sardi, vescovo (65-67 ; SC 123, 95101)).
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
LA STORIA DI GIUSEPPE
Cf Antonio BONORA, La storia di Giuseppe. Genesi 37-50. Queriniana Brescia 1982
collana LoB 1. 3
PREMESSA LETTERARIA
La novella di Giuseppe, "la storia della famiglia di Giacobbe" (Gn 37,2) presenta
differenze notevoli di forma e di contenuto rispetto ai cicli precedenti di Abramo, Isacco e
Giacobbe. C'è una chiara discontinuità passando al plesso narrativo di Gn 37-50. Questo
racconto ha una fisionomia diversa e contiene altri interessi.
^ Sorprende anzitutto la lunghezza e complessità dell'intreccio ; non si tratta di racconti
scoordinati tra loro come nei cicli precedenti, ma di un impianto narrativo pregevole con una
molteplicità di personaggi e di situazioni ; di una novella con tutti gli ingredienti del racconto
interessante.
"Un racconto ideale comincia con una situazione stabile che una forza qualunque
viene a perturbare. Ne risulta uno stato di squilibrio ; per l'azione di una forza diretta in senso
contrario, l'equilibrio è ristabilito ; il secondo squilibrio è simile al primo, ma i due non
saranno mai identici".
cf T. TODOROV, Poétique de la prose, Paris 1971 pg 121.
Ebbene il racconto di Giuseppe passa attraverso questi tre classici momenti : equilibrio
iniziale, rottura, ricomposizione ad un livello superiore.
^ Gli interessi eziologici sono secondari, marginali. Il racconto non è legato ad un luogo di
culto, come diverse saghe del Gn.
a) 41,51 vengono spiegati i nomi dei due figli di Giuseppe, che sono una memoria vivente del
genitore :
MANASSE "perché, disse, Dio mi ha fatto dimenticare ogni affanno e tutta la casa di mio
padre" (il passato è dunque dimenticato ?)
La Legge del Signore
96
EFRAIM "perché, disse : Dio mi ha reso FECONDO nel paese della mia afflizione così in
41,52 (Torna il ricordo del passato : l'afflizione si è mutata in benedizione che dona
fecondità).
b) 47,13-26 : Giuseppe viene presentato come modello di politica economica, di
amministratore, in particolare : "Così Giuseppe fece di questo una legge che vige fino a oggi
sui terreni di Egitto, per la quale si deve dare la quinta parte al Faraone. Soltanto i terreni dei
sacerdoti non divennero del Faraone" 47,22.
c) 50,11 : eziologia topografica. Abel Mizraim a motivo del LUTTO che vi fecero i figli di
Giacobbe, allorché seppellirono il padre.
^ Il tema della benedizione-promessa con i due contenuti di discendenza e di terra, classico in
Gn 12-36 qui è del tutto marginale. Appare soltanto in 46,1-4 = teofania a Giacobbe, un testo
dal carattere posticcio, avventizio.
^ Manca anche l'elemento miracolo : diversamente rispetto al Dio dei Padri, quello di Gn 3750 non interviene che mediatamente attraverso sogni (parecchi) gli avvenimenti e le persone.
E' interessante notare inoltre che il nome YHWH compare ripetutamente e soltanto in Gn 39
= episodio della seduzione.
"Qs racconto magistrale ... di non comune compiutezza letteraria, prodotto di una
esperta e raffinata arte narrativa ... vicenda pervasa e guidata dal principio della
TRASFORMAZIONE" (Bonora) che registra in superficie anomalie evidenti rispetto al
materiale restante della Gn, pone dei problemi circa la sua origine ed evoluzione.
+ problema delle fonti : la investigazione biblica presenta attualmente una pluralità di vedute
circa il retrotesto.
1.
Ipotesi classica : il racconto utilizza le classiche fonti JE.
Il c 37 con la menzione di Ruben e Giuda che svolgono lo stesso ruolo, di Madianiti e
Ismaeliti che trascinano schiavo Giuseppe in Egitto, veniva usato in passato come cavallo di
battaglia, a sostegno della teoria. Ma le cose non sono così semplici.
Duplicità del nome del patriarca : Giacobbe-Israele.
2.
Ipotesi della espansione : cf D. B. REDFORD, A study of the Biblical Story of Josef,
SVT 20 1970.
Il racconto sarebbe cresciuto progressivamente attraverso questi momenti :
- il nucleo iniziale ... vede la luce nell'Israele del Nord e mette in scena il primogenito
RUBEN come salvatore di Giuseppe (= versione Ruben).
- allorché il racconto passò al Sud, i meriti di Ruben furono trasferiti su Giuda, l'eroe della
tribù regale (= espansione , GIUDA). Qui vi "è predilezione per il nome Israele invece di
Giacobbe come nel primo
- l'editore della Gn incorpora la storia nel libro, aggiungendovi materiale supplementare
proveniente da altre fonti :
le imprese erotiche di Giuda al c 38
la visione di Bersabea in 46,1-7
la genealogia sacerdotale di 46,8-27
l'udienza di Giacobbe presso il Faraone in 47,7-10
i funerali di Giacobbe in 50,7-14
La Legge del Signore
97
la morte di Giuseppe in 50,22-26.
- La redazione finale del Pentateuco sarebbe responsabile del c 39, introdotto allo scopo di
accrescere i meriti di Giuseppe, mentre in 47,13-26 la stessa finalità è raggiunta presentando
Giuseppe come inventore del sistema economico egiziano.
3
L'origine della narrazione su Giuseppe è da far risalire al Regno del Nord che porta
appunto il nome di "casa di Giuseppe" e comprendeva le due cospicue tribù di Efraim e di
Manasse, richiamantesi ai nomi dei due figli di Giuseppe.
Sulla base di questo ricordo storico, un sapiente della corte di Salomone avrebbe
costruito questa narrazione romanzata, "nella quale fece confluire con consumata maestria
letteraria, ricordi del passato, informazioni sui luoghi e costumi dell'Egitto, tocchi pittoreschi
di colore esotico, il gusto dell'avventura e il senso critico della misteriosa provvidenza divina
nella storia, una velata esaltazione della monarchia e della leadership burocratica dell'impero
salomonico, una sorvegliata dose di secolarismo sapienziale e di apertura universalistica"
(Bonora).
- Il racconto così fatto si affermò e diffuse. Sappiamo che Salomone condusse una politica
filoegiziana, sposando una delle figlie del Faraone (cf 1Re 3,1) e quindi non risulta
improbabile l'elaborazione della novella con striature sapienziali nell'aristocratico mondo
salomonico.
"Pian piano si avvertì il bisogno di collegare più strettamente questa meravigliosa storia
con i racconti patriarcali che il popolo conservava gelosamente come suo sacro patrimonio
sulle origini. Il racconto di Giuseppe fu ritoccato con alcune aggiunte o frammenti :
Gn 41 ,50-52: sui due figli di Giuseppe capostipiti di due tribù israelitiche
46,15: sulla visione notturna di Giacobbe destinatario delle promesse già fatte ad
Abramo
Gn 48: sulla benedizione per Manasse ed Efraim
50,23-25: sul legame tra la storia di Giuseppe e l'esodo ...
Come un albero che mette fuori nuovi rami, così il ns racconto ... crebbe per l'innesto di
due rami estranei : i capitoli 38 e 49,1-28 = benedizioni di Giacobbe morente sulle singole
tribù ...
E' necessario non trascurare quei tocchi e ritocchi lasciati nel testo dalla cosiddetta Scuola
Sacerdotale durante e dopo l'esilio babilonese. Si tratta di brevi interventi : 37,1-2 ; 41,46a ;
46,6-7 (forse anche 8-27) ; 47,27b-28 ; 49,29-33. La sacerdotale tradizione non mostra un
grande interesse per la storia di Giuseppe se non come mezzo per collegare i patriarchi con
l'Esodo e per rimarcare il tema della benedizione e della terra ...
E’ bello notare come la Parola di Dio è nata da un parto secolare, fecondata dalla
rugiada dello Spirito divino ma anche dalla fatica e dal sudore letterario di generazioni di
scribi che rilessero, rieditarono, attualizzarono e modificarono con aggiunte, glosse e
commenti il testo originario. In tutto quel lungo processo si dispiegò la sinergia meravigliosa
di Dio e degli scrittori sacri, secondo quel misterioso connubio di divino e di umano che con
la nostra fede chiamiamo 'ispirazione'" (A. Bonora, La storia di Giuseppe, pp 22-24).
Tutte e tre le ipotesi di ricostruzione del testo concordano in un punto : la storia di Giuseppe
non è nata di getto così come si presenta, ma ha alle sue spalle un cammino complesso di
formazione, le cui singole tappe sono segnate da interventi particolari in risposta a
determinate domande storiche o teologiche. Ricostruire per filo e per segno il cammino non è
possibile e non è neppure necessario per la comprensione del testo.
La Legge del Signore
98
- Il Giuseppe della storia " : la memoria storica e la fede di Israele conservavano il ricordo di
una lunga permanenza dei figli di Israele in Egitto : cf Dt 26,5-6 e Giosuè 24,4 "Giacobbe e i
suoi figli scesero in Egitto", "Il racconto biblico su Giuseppe è lo sviluppo e l'ampliamento
liberamente folkloristico di questo 'dato' storico ... cerca di riempire il 'vuoto' di tradizioni
bibliche sul soggiorno di Israele in Egitto ... è stata dunque inserita abilmente tra i patriarchi e
l'Esodo come un nesso tra i due, benché forse sia nata come racconto indipendente a sé stante
...
La data più appropriata per l'epoca di Giuseppe è verso il 1300 sotto il Faraone Sethi I
(1306-1290 aC) o al massimo verso il 1350 aC ...
Pur non essendo un testo di storia nel senso moderno del termine, possiamo legittimamente
considerare la narrazione di Giuseppe un saggio di storiografia nordisraelitica, fatta propria e
accolta poi da tutto Israele ...
Giuseppe non è una pura invenzione poetica della fantasia creatrice dello scrittore biblico, ma
invera e incarna un dato storico di grande rilievo per le origini del popolo di Israele" (Bonora,
trattazione più ampia alle pp 25-28).
- I contenuti : il messaggio dell'intero racconto può essere racchiuso in tre tematiche belle,
ricche e profonde :
a) L'uomo come autorealizzazione
b) Il tema della famiglia = fraternità e riconciliazione
c) La tesi della Provvidenza = Dio guida la storia
L' UOMO COME AUTOREALIZZAZIONE
Nel delineare la figura di Giuseppe gli autori biblici hanno voluto presentare un
modello di umanità, di persona riuscita, anche se non perfetta perché conosce momenti di
debolezza. E' l'ideale di uomo, cittadino del mondo, vagheggiato e proposto dal pensiero
sapienziale.
Tra gli investigatori moderni è stato Von Rad (1901-1971) quello che ha invitato a
rilevare gli influssi sapienziali sulla novella di Giuseppe. "La storia di Giuseppe si distingue
per la sua mondanità rivoluzionaria, una mondanità che descrive tutto l'ambito della vita
umana, tutte le sue sublimità e profondità con un realismo per niente miracolistico" scrive.
- Qs aspetto emerge nel c 39, quello della seduzione mancata. Giuseppe è descritto come
"bello di forma e avvenente di aspetto" (39,6) ; l'autore quindi non è insensibile al valore
umano della bellezza fisica.
Giuseppe sa resistere alla tentazione della sposa di Potifar, che attratta dal suo incanto,
vorrebbe possederlo.
Ebbene una tematica sapienziale più volte ricorrente è la messa in guardia contro la
seduzione della donna : cf Pr 2,16 -17 ; 7,11-21.
La ragione che invoca in 39,8-9 "mette anzitutto in primo piano il suo senso di lealtà da
galantuomo verso il suo padrone : egli non può tradire l'amicizia, l'ospitalità, la fiducia totale
che Potifar ha messo in lui. Come fidato amministratore dei beni del suo padrone egiziano,
Giuseppe doveva mostrarsi anche un vero gentleman, un sapiente dotato di selfcontrol, un
onesto amico e ospite.
Giuseppe respinge dunque la proposta di adulterio innanzitutto per senso di
responsabilità verso il suo padrone. Questa è morale umanistica ! "(Bonora) "E come potrei
fare questo grande male e peccare contro Dio ?" : il richiamo religioso a Dio è colto nel
La Legge del Signore
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valore umano non al di fuori di esso. Abusare della sposa del padrone è offesa a Dio perché è
offesa al padrone, rottura di un rapporto di dipendenza e di fedeltà.
Quando poi è gettato in carcere pur essendo innocente, non una parola di
recriminazione o rivolta da parte di Giuseppe : "Così egli rimase là in prigione" (39,20).
Questa conclusione fa risaltare ancor di più la statura morale di Giuseppe.
- Un ebreo egizianizzato : il sapiente è un uomo ecumenico, internazionale, capace di
adattarsi alle situazioni. In qs termini è presentato Giuseppe "intelligente e sapiente" (41,33)
integrato completamente nell'ambiente egiziano, la cui gerarchia sociale ascende
rapidamente. Riceve un nome egiziano, Safnat Pan'eah (41,45) che significa : "l'uomo che sa
le cose". La sua sposa è Asenat, figlio di Putifera, sacerdote di Eliopoli, dove si adorava il
disco solare simbolo del dio-sole.
- Giuseppe segue il costume egiziano : pratica la divinazione mediante una coppa, come si era
soliti fare in Egitto (44,5) mentre questo uso sarà rigorosamente proibito agli Israeliti (cf Dt
18,9-14).
Giura "Com'è vero che vive il Faraone" in 42,15-16 mentre in Israele il giuramento è
introdotto dalla formula "Com'è vero che vive YHWH" (cf s 18,18,47).
Giuseppe porta l'anello regale del Faraone, indossa abiti di lino finissimo, ha al collo
una collana d'oro (41,42) : queste erano TRE insegne tipicamente egiziane date al visir nel
giorno della sua intronizzazione.
E' presentato quindi nei panni di un uomo perfettamente egizianizzato. "La novella di
Giuseppe ha un innegabile colorito egiziano, è quasi tutta ambientata in Egitto" (Bonora).
Il libro di J. VERGOTE, Joseph en Egypte. Genèse chap. 37-50 à la lumière des
études égyptologiques récents, Lovanio 1959, ha mostrato efficacemente e in modo
convincente che l'autore biblico conosceva l'ambiente, i costumi e gli usi egiziani. Figura del
saggio di corte.
- Costituito in autorità : vi sono altri ingredienti che accrescono l'immagine di Giuseppe
come uomo riuscito, figura del saggio. Von Rad li sintetizza così : "Egli è 'l'uomo pacato che
calma le risse' (Pr 15, 18) ; di lui è vero che 'l'amore copre tutte le offese' (Pr 10,12). E la
grande storia della tentazione va proprio letta come un racconto esemplare degli avvertimenti
a guardarsi dalla donna straniera.
La particolarità di questo ideale formativo sta nel fatto che esso non educa il giovane
alla religione, alla rivelazione e alla fede, ma parte dalla rivelazione. Il timore di Dio è l'inizio
di questa formazione umana (Pr 1,7 ; 15,33).
Anche Giuseppe si sottomette a questo timore di Dio (Gn 42,18). Manca dunque a questo
anelito educativo ogni afflato di liberazione. Ne è caratteristica la flessibilità e la mancanza di
fanatismo. Nella sua aspirazione a tutto ciò che è possibile, esso ha qualcosa di molto
realistico".
Si sa che l'ideale sapienziale è un umanesimo religioso.
- Giuseppe è presentato come un uomo capace che sa il fatto suo. Interpreta i sogni prima del
panettiere e del coppiere e poi del faraone facendo appello alla ispirazione divina ai cc 40 e
41. "Potremo noi trovare un uomo come questo, in cui sia lo Spirito di Dio ?" esclama il
faraone in 41,38. Batte infatti "tutti gli indovini e i saggi dell'Egitto" (40,8).
Questa sua attitudine gli permette di scalare il potere : "Sono il faraone, ma senza il tuo
permesso nessuno potrà alzare la mano o il piede in tutto il paese d'Egitto" (41,44) e viene
La Legge del Signore
100
costituito visir, un ministro dell'agricoltura con poteri anche politici : aveva l'impegno di
curare l'agricoltura, i lavori pubblici, di seguire la amministrazione della giustizia.
Il suo metodo è altamente e ingenuamente elogiato : 47,13-26. Vende il grano e così si
fa dare tutto il denaro dalla gente ; poi la gente per sopravvivere è costretta a cedere i campi,
si riduce a vendere addirittura la propria persona e a diventare schiava per saldare i debiti ...
Metodo squisitamente capitalista ... vera alienazione : "Ci hai salvato la vita, ci sia solo
concesso di trovar grazia agli occhi del mio signore e saremo schiavi del Faraone" (47,25).
Riguardo alla capacità di consigliare e parlare si ricordi come tutta la tradizione
sapienziale antica, anche biblica, attribuisce grande importanza all'arte del parlare :
Pr 25,11 "E’ un frutto d'oro su un piatto d'argento una parola detta a proposito"
Pr 24,26 "Bacio sulla bocca è una risposta giusta"
+ Conclusione : appare chiara l'intenzione dei narratori di presentare Giuseppe come figura
modello. E’ un esemplare di uomo realizzato da imitare. Ha navigato nel mare tempestoso
della vita ed ha saputo reggersi, non andare a fondo nelle traversie incontrate. Ha potuto
sperimentare la benedizione di Dio perché nella prova si è dimostrato fedele.
Al di fuori della Gn la sua figura compare piuttosto raramente : la si incontra nel salmo
105,16-23 ; Sir 49,15 e 1Macc 2,53
IL TEMA DELLA FAMIGLIA NELLA NOVELLA DI GIUSEPPE
Premessa
"Il principio della narrazione ci dà la chiave per leggere tutto il resto : 'Questa è la storia della
famiglia dì Giacobbe' (37,2). Rendiamo così una densa espressione ebraica che suonerebbe :
'Queste sono le toledot di Giacobbe. Toledot significa 'generazioni', 'discendenza' e in senso
lato 'storia'. In realtà in Gn 37-50 noi leggiamo la storia della famiglia di Giacobbe. E' la
storia di una famiglia lacerata dall'invidia e dall'odio, tragicamente divisa, che attraverso dure
prove e tribolazioni giunge alla fine ad una inaspettata e immeritata riconciliazione"
(Bonora).
Il tema familiare dei fratelli è uno degli elementi più forti che tengono desto l'interesse
della narrazione e la tensione drammatica della vicenda. La perizia narrativa dell'autore
raggiunge vertici veramente notevoli di esiti artistici.
- Per individuare questa dimensione del racconto bisogna battere due piste : la prima è la
sequenza dei fatti e cioè il processo di sfaldamento della armonia familiare (c 37) e la lenta
ricucitura dei rapporti da 42 a 45 con epilogo in 50. La seconda strada da percorrere è il
sistema di rapporti verbali che si incontrano nella narrazione.
Il tessuto verbale è assai robusto, l'autore utilizza gli ingredienti della convivenza e
costruisce serie di termini significativi.
Il sistema dei rapporti verbali
a)
Il dialogo/il potere : è elemento essenziale della fraternità - convivenza.
La parola è infatti il ponte ordinario della comunicazione personale per il suo valore
informativo, espressivo ed impressivo.
Togliere la parola è segno di rottura, interruzione dei rapporti.
Notare i rapporti tra i seguenti versetti. Il verbo parlare è in crescendo.
37,4:
Non riuscivano a parlargli in pace
42,7:
Parlò loro duramente
La Legge del Signore
101
42,24: Parlò con essi (da estraneo)
45,12: E’ proprio la mia bocca che vi parla
45,15: I suoi fratelli si misero a parlare con lui
50,21: Li consolò e parlò al loro cuore
b)
Il vedere : altra esperienza determinante per costruire rapporti. C' è un vedere ostile,
nemico, un vedere indifferente, un vedere cordiale, amico, che comunica ancor prima di
discorrere. Il verbo vedere assume nella novella di Giuseppe diversi colori in rapporto allo
sviluppo della vicenda.
37,18: Essi lo videro da lontano ... e complottarono di farlo morire
42,7: Vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma fece l'estraneo
45,29: Egli alzò gli occhi e guardò Beniamino suo fratello
45,12: Ed ecco i vostri occhi vedono e vedono gli occhi di Beniamino
che è proprio la mia bocca che vi parla
c)
Il piangere : altra notevole risorsa nella comunicazione dell'anima, per tradurre
sentimenti ed emozioni. Nel racconto di Giuseppe si piange parecchio. Che cos'è ? Il vecchio
trucco di far piangere gli attori per far piangere a sua volta lettori e spettatori ? Non mi
sembra un racconto strappa lacrime, sentimentale e sdolcinato. La trama è vigorosa e i
sentimenti sono dignitosi.
42,24: Allora egli si allontanò da loro e pianse
43,30: Giuseppe uscì in fretta perché si era commosso nell'intimo alla presenza di suo
fratello e sentiva il bisogno di piangere ;entrò nella sua camera e pianse
45,1-2: Allora Giuseppe non poté più contenersi ... diede in un grido di pianto
45,15: E pianse stringendoli sé
50,17: Giuseppe pianse quando gli parlarono così
d)
Il movimento : e un altro elemento assai importante. Non è soltanto spostamento
fisico, geografico. Il movimento disegna un paesaggio interiore, una lenta trasformazione
dell'anima. I fratelli si spostano fisicamente ed evolvono moralmente ; c'è un progressivo
accostamento fisico che corrisponde a un crescente movimento di riconciliazione e di
comunione. Esso culminerà nell'abbraccio tra Giuseppe e i fratelli al c 45.
Per il movimento ricordare la seguente serie di testi :
il duplice viaggio dei fratelli da Canaan in Egitto ai cc 42-43
le numerose annotazioni del c 43 (termine baith = casa è centrale)
45,4 Avvicinatevi a me. Si avvicinarono
45,15 Baciò tutti stringendoli a sé
Puoi notare anche l'uso del termine "Shalom" = pace-salute usato dal narratore con diverse
sfumature. L'autore gioca sapientemente con questa varietà di elementi.
Il plot del tema familiare
- All'inizio c'è una situazione di equilibrio ; la famiglia è unita. I fratelli stanno bene insieme.
In 37,2 troviamo un quadro di vita familiare idilliaco, sereno e tranquillo.
Ma subito nascono e si accumulano le tensioni.
- La rottura si produce per uno sbaglio educativo del padre : "Israele amava Giuseppe più di
tutti i suoi figli e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche e perché era il figlio avuto
in vecchiaia" (37,3).
Si tratta della rottura a motivo della diversità di affetto e trattamento. La tunica, che nel c 37
ha grande importanza, diventa il simbolo del privilegio, è l'abito del principino, di chi non
deve sporcarsi le mani nel lavoro.
Giuseppe viene descritto come pettegolo (37,2).
La Legge del Signore
102
Nei fratelli nasce la gelosia e l'avversione verso Giuseppe ; l'unità familiare si incrina,
l'armonia si guasta. Segno evidente è la mancanza di dialogo : "Non riuscivano a parlargli in
pace, amichevolmente" (37,4).
- Il solco di divisione si approfondisce a motivo dei sogni di Giuseppe : il suo covone rimane
diritto mentre quelli degli altri si piegano. Sole e luna (padre e madre) e 11 stelle (fratelli) si
prostrano davanti a Giuseppe superstar. "Lo odiarono ancora di più a causa dei suoi sogni"
(37,8).
Nella economia generale del racconto qs sogni prefigurano la esaltazione di
Giuseppe ; al momento però denotano la mania di primeggiare da parte di Giuseppe stesso e
creano soltanto distanza.
- Il risentimento-odio dei fratelli diventa proposito di eliminazione e omicidio, allorché
mentre essi sono al pascolo a lavorare, arriva il privilegiato mandato dal padre : "Va' a vedere
come stanno (lett. "se sono in pace") i tuoi fratelli ... " 37,14. Giuseppe "va in cerca di
fratelli" (37, 16) troverà invece complici di omicidio.
E' sufficiente la vista "da lontano" del "sognatore" per far rimescolare il sangue e
generare il proposito di sopprimerlo. Soltanto l'intervento di Ruben-Giuda trasforma la
decisione di morte immediata in una sentenza dilazionata. Giuseppe diventa uomo oggetto in
mano ai fratelli, non parla più, subisce soltanto : gli strappano di dosso il segno della
differenza "quella tunica dalle lunghe maniche che indossava" (37,23) lo gettano in una
cisterna secca indifferenti alla sua sorte.
"E si sedettero a mangiare" (37,25) : qs dettaglio dice con chiarezza che il crimine dei
fratelli è stato commesso a sangue freddo, con premeditazione con la completa assenza di
rimorso.
E' sufficiente che passi una carovana di Ismaeliti/Madianiti perché Giuseppe venga barattato
come uno schiavo per venti sicli, portato in Egitto e assorbito nel nuovo mondo. Si ha un
senso di perdita, accentuato dalla presenza attuale del c 38 che parla di tutt'altre cose.
- A qs punto viene attuata la vendetta nei confronti del padre Giacobbe e la ricerca di un alibi
di ferro. Quella tunica (ritorna ancora) viene intinta di sangue di un capro scannato e fatta
recapitare al padre con queste parole : "Questa abbiamo trovato : riscontra se è o no la tunica
di tuo figlio" (37,32) e in qs modo i fratelli fanno sì che il padre pronunci quelle parole che li
mettono fuori causa : "E’ la tunica di mio figlio. Una bestia feroce l'ha divorato. Giuseppe è
stato sbranato" (37,33).
La improntitudine dei fratelli si esprime nelle inutili ed ipocrite condoglianze : "Tutti i suoi
figli e le sue figlie vennero a consolarlo" (37,35). Ma Giacobbe è troppo addolorato : "No, io
voglio scendere al figlio mio nella tomba. E il padre suo lo pianse" (37,35b). Verrà il giorno
in cui Giacobbe effettivamente scenderà, ma non nella tomba. Scenderà in Egitto (45,9) !
Con la menzogna nei confronti del padre giunge a termine il processo di decomposizionedeterioramento dei rapporti familiari. La falsità distrugge la convivenza.
Il cammino della riconciliazione
- Con il c 42 incomincia la seconda parte del racconto, la più bella. Protagonisti sono
Giuseppe e i suoi fratelli. L'esperienza insegna quanto sia facile distruggere e quanto difficile
edificare, facile rompere la fraternità e difficile ricostruire un clima di intesa e di fiducia.
Tutta questa verità umana si incontra nella novella di Giuseppe.
Il c 42 deve essere letto in parallelo e in contrasto con il c 37.
La Legge del Signore
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- Arrivano in Egitto sospinti dalla carestia 10 fratelli (il più piccolo, Beniamino, fratello
completo di Giuseppe perché nato da Rachele, morta nel parto del bambino cf 35,17 rimane a
casa) e come prima cosa fanno la prostrazione (così 37,11 incomincia a ricevere il suo primo
adempimento).
Gs li vede (il termine "vedere" è Leiwort in qs capitolo), li riconosce, ma non si fa da
essi riconoscere, anzi li tratta da estranei e parla loro duramente (42,7). Giuseppe si ricorda
dei sogni e passa all'attacco : "Voi siete spie" dice in 42,9. E' una accusa che li presenta come
una banda, complici nel male. I fratelli oppongono il legame di parentela che li unisce. Non
sono una banda, sono una famiglia : "Noi siamo figli di un uomo SOLO" (42,11). Anzi, senza
esserne richiesti parlano dell'ultimo, del più piccolo rimasto in casa e aggiungono : "UNO
NON C'È PIU’" (42,13).
Il crimine commesso incomincia a riemergere nella coscienza.
- Si presti attenzione al procedimento messo in moto da Giuseppe, per non equivocare sul suo
significato. Non è che Giuseppe voglia assaporare lentamente la vendetta e giocare
crudelmente con i fratelli come il gatto con il topo ; Giuseppe vuole promuovere una
pedagogia di riconciliazione. Non vuole svendere il suo perdono, non deve essere offerto in
modo precipitoso, quando i fratelli non sono maturati e pronti ; non sarebbe capito e non
diverrebbe maturante.
Bisogna portare i fratelli gradualmente a riconoscere il male fatto e a sostituire alla complicità
la fraternità, a ritessere la trama lacerata dei rapporti familiari.
- Giuseppe non ha bisogno di verificare la fondatezza delle informazioni trasmesse dai
fratelli, sa benissimo che non sono spie al servizio dello straniero, ha bisogno di verificare la
sincerità dei loro sentimenti. E' proprio vero che sono fratelli ? Per questo "li raccoglie
insieme" per tre giorni in prigione (42,17). Poi li sottopone ad una prima prova : trattiene con
sé come ostaggi Simeone e fa partire i fratelli verso Canaan con l'impegno di portare in Egitto
Beniamino per riavere anche Simeone.
- Di fronte a qs proposta-ricatto il rimorso del delitto commesso si fa più forte. I fratelli
prendono coscienza collettivamente della loro responsabilità verso Giuseppe, che per la prima
volta viene chiamato : "Nostro fratello" 42,21 . Più avanti, quando scoprono il denaro
all'imboccatura dei sacchi di frumento si "sentirono mancare il cuore e TREMARONO L'UN
PER L'ALTRO" (42,28).
Ecco che incomincia a funzionare la "mentalità del noi", cresce la tenuta dei legami familiari.
- Nel loro resoconto al padre insistono sulla sincerità dei loro sentimenti e delle loro parole,
essi che lo avevano spudoratamente ingannato e di nuovo proclamano la loro fraternità : "Noi
siamo 12 fratelli, figli di nostro padre".
La richiesta di lasciar partire Beniamino provoca in Giacobbe il ricordo lancinante di
Giuseppe perduto/morto e cresce il senso di colpa nei fratelli.
Ma Ruben si rende garante presso il padre della incolumità del fratellino più piccolo : "Farai
morire i miei due figli se non te lo ricondurrò.
Affidalo a me e io te lo restituirò" (42,37).
- Nei cc 43-45 (formano una unità) assistiamo al secondo viaggio, seconda prova e alla scena
del riconoscimento. Lo sbocco è la riconciliazione, la ricostituzione della fraternità.
Giacobbe, sebbene col cuore straziato, lascia partire Beniamino per riavere l'altro figlio.
Arrivati alla presenza di Giuseppe, i fratelli con la duplice prostrazione devono ancora
una volta abbassarsi, umiliarsi cf 43,26-28
La Legge del Signore
104
Giuseppe chiede ancora una volta notizie del padre, se è "in pace" 43,26. Anche la topografia
qui è importante ed ha un ruolo simbolico. In 43 la parola CASA ritorna otto volte : i fratelli
sono convocati nella casa di Giuseppe per condividere il pasto con lui. Simbolo della
convivialità.
Noi assistiamo ad un incontro che nelle intenzioni di Giuseppe vuole essere una
"riunione di famiglia".
- Notare il progresso topografico : dapprima i fratelli vengono avviati "verso la casa di
Giuseppe (43,17) e si spaventano. Sulla soglia di casa in presenza del maggiordomo vengono
sbrigati gli affari (43,19).
Poi viene condotto Simeone e allora gli 11 fratelli al completo vengono introdotti in casa,
dove conoscono i gesti della ospitalità (acqua per i piedi e foraggio per il bestiame).
Una volta in casa vengono preparati i regali (43,25) ; ormai le questioni di interesse
sono alle spalle, siamo al momento della amicizia e della gratuità. Giuseppe è commosso alla
vista del fratello minore e si ritira nella sua camera per sfogarsi nel pianto, però non cede alla
pressione dei sentimenti, ma porta avanti con la ragione il suo piano.
Frattanto viene servito il pranzo in tavole distinte secondo il costume degli Egiziani e
gli 11 fratelli si dispongono in ordine di anzianità come fossero a casa loro : è proprio una
riunione di famiglia e Beniamino si fa ... viziare con una porzione "cinque volte più
abbondante di quella degli altri" (43,34-). E' un pranzo di festa, c'è un clima di gioia : "e
bevvero con lui fino all'allegria" (43,34).
- Ma Giuseppe ritiene indispensabile una seconda verifica, una prova qualificatrice : la coppa
con cui Giuseppe traeva gli auspici viene furtivamente collocata nel sacco del Beniamino e i
fratelli partono ignari.
Immediatamente inseguiti sono accusati di rispondere con l'ingratitudine e l'inganno a chi ha
fatto loro del bene (44,4-5). L'aver poi trafugato la coppa divinatoria è anche un segno di
stupidità perché non hanno calcolato le capacità conoscitive di Giuseppe.
A qs punto la disperazione si impossessa dei fratelli, i quali, solidali con il presunto
colpevole, fanno ritorno sui loro passi e si gettano davanti a Giuseppe, riconoscendo il loro
peccato, disposti ad essergli schiavi, cf 13-16.
- L'interrogatorio è condotto da Giuseppe con molta abilità. Egli vuole che i fratelli facciano
per Beniamino quanto non hanno fatto per lui, sostituire la solidarietà alla complicità. Per
questo vuole inizialmente dissociarli, desolidarizzarli dal presunto colpevole : "Lungi da me
il fare questo ! L'uomo trovato in possesso della coppa, lui sarà mio schiavo : quanto a voi
tornate in pace da vostro padre", cf 44, 17.
- Giuda allora si inserisce come intercessore e tiene una commovente perorazione davanti a
Giuseppe, rievocando il dolore incommensurabile del padre, quando saprà di aver perso
anche Beniamino ; sarà una notizia letale, "perché la vita dell'uno è legata alla vita dell'altro"
(44,30).
Conclude l'intervento dicendo : "Ora lascia che il tuo servo rimanga invece del giovinetto
come schiavo del mio signore e il giovinetto torni lassù con i suoi fratelli !" (44,33). In tutto
ciò abbiamo una ammissione della colpa commessa (44,16) e la volontà di ripararla.
A questo punto c'è la dimostrazione chiara della tenuta dei legami familiari e allora
può avvenire il riconoscimento ed il perdono offerto può essere adeguatamente ricevuto e
compreso.
La Legge del Signore
105
- La scena del riconoscimento in Gn 45 è il momento vertice della narrazione. Giuseppe fa
uscire tutti gli estranei, perché si tratta di rapporti personali e non di problemi burocratici.
Resta solo con i fratelli e nella loro grande sorpresa-paura rivela la sua identità. Il movimento
si restringe e diventa abbraccio di riconciliazione ; non c'è soltanto prossimità fisica, c'è
fusione e intesa delle persone. "Allora egli si gettò al collo di Beniamino e pianse. Anche
Beniamino piangeva stretto al suo collo". Poi baciò tutti i fratelli e pianse stringendoli a sé.
Dopo i suoi fratelli si misero a parlare con lui" (45,14-15).
Ci sono tutti gli ingredienti : movimento, pianto, visione affettiva, dialogo, ripreso.
- Il resto non aggiunge elementi sostanziali. In 46,29-30 è narrata la discesa del vecchio padre
in Egitto e l'incontro con il figlio pianto come desaparecido : "Appena se lo vide davanti gli si
gettò al collo e pianse a lungo stretto al suo collo."
L'EPILOGO in 50,15-26 non appartiene al testo originale e dal punto di vista stilistico
rappresenta un regresso : mette in scena infatti i fratelli di Giuseppe che dubitano del perdono
accordato loro e temono una sua vendetta ora che il padre è morto, per questo si dicono
disposti a farsi suoi schiavi. "Giuseppe pianse, quando gli si parlò così" (50,17).
Ritroviamo comunque i termini caratteristici della storia di famiglia : confessione del crimine
commesso, prostrazione, pianto di Giuseppe, prosecuzione del dialogo.
Conclusioni
La novella di Giuseppe è un messaggio sul valore fraternità, famiglia. Questa è la sua
profonda verità umana. Ma essa è contemporaneamente verità teologica. In Giuseppe che va
in cerca dei fratelli, è Dio stesso che va in cerca dei fratelli, che vuole la pace tra gli uomini.
"Il primo libro della Bibbia, la Genesi, è compreso tra due avvenimenti che hanno
come protagonisti dei fratelli : Caino e Abele, la cui vicenda è il simbolo dei rapporti
interpersonali tra gli uomini ; Giuseppe e i suoi fratelli, anch'essi rappresentanti dell'intera
famiglia umana e della difficile via delle relazioni fraterne" (Bonora).
Nel primo caso abbiamo "homo homini lupus", nel secondo "homo homini frater" : in
entrambi Dio veglia e vuole fraternità. "La voce del sangue del tuo fratello grida a me dal
suolo" (Gn 4,10). Sta dalla parte di Abele.
- E perché Giuseppe non si vendica, ma perdona i suoi fratelli ? Come si passa dall'odio alla
riconciliazione ? Il testo non lo dice espressamente, lo lascia intuire mostrando l'azione di Dio
come fermento di tutta la storia.
"Il motivo per cui Giuseppe perdona ai suoi fratelli non sta in essi e nel cambiamento dei loro
sentimenti ; sta piuttosto nella Provvidenza divina, che a favore di Giuseppe ha tratto il bene
dal male, Giuseppe perdona, non perché i fratelli lo meritino, ma perché Dio lo merita"
(Schenker).
"In altri termini, il perdono di Dio è la sorgente, la causa del perdono di Giuseppe. La
riconciliazione fraterna è dunque il frutto e il simbolo del perdono e della misericordia
salvifica di Dio" (Bonora).
Tutto questo ci porta alle soglie del NT, dove l'evento del Calvario è appunto
interpretato in termini di solidarietà (= redenzione) e Riconciliazione come dono di Dio e
iniziativa divina (2Cor 5,18-20).
- Per accogliere la "forza della riconciliazione" tutti gli attori della storia devono rinunciare a
qualcosa, purificarsi, perdersi per ritrovarsi. Giuseppe deve lasciare la sua spocchiosità e
arroganza iniziale, accettare la umiliazione della schiavitù, la condanna ingiusta e passare nei
confronti dei fratelli da un atteggiamento di superiorità a quello di servizio.
La Legge del Signore
106
I fratelli devono scendere in Egitto e prostrarsi davanti a Giuseppe e più ancora far
venire a galla il crimine commesso, accettare le prove purificatrici e convertirsi al dono.
Giacobbe stesso deve smarrire qualcosa ; soffrire la scomparsa di Giuseppe, accettare il
rischio di perdere Beniamino, vedere il pane esaurirsi nella madia di casa e quindi profilarsi
la fame ...
Per due volte infatti la carestia stende l'ombra di morte sulla famiglia.
Solo così si mette in movimento la dinamica pasquale ; è la misteriosa fecondità del dolore.
La fraternità è dono ma anche impegno.
"Non c'è in tutto l’AT una così plastica rappresentazione della riconciliazione e una così
sottile e profonda intuizione del processo della riconciliazione come in questa meravigliosa
novella che penetra così acutamente dentro la realtà umana con un lucidissimo sguardo di
fede" (Bonora).
LA TESI DELLA PROVVIDENZA
Oltre al valore della realizzazione personale e al tema della famiglia, entro cui si
collocano gli aspetti della fraternità e della riconciliazione, una terza dimensione del racconto
- già lo si è annunciato - fa riferimento alla regia, alla guida divina della storia.
E non potrebbe non essere così : non è infatti una famiglia qualunque quella che viene messa
in scena, è la famiglia di Giacobbe, cioè il "microIsraele", il nucleo, l'embrione del futuro
popolo.
La discesa dei fratelli in Egitto rappresenta l'antefatto dell'Esodo : si capisce allora perché
Dio vigili sulla sopravvivenza e sul destino di questo gruppo umano. A motivo della elezione,
quella vicenda diventa storia di salvezza, epifania di un disegno di Dio.
Qui la salvezza appare essenzialmente come vita : vita di una famiglia vita di un intero
popolo, che il Signore promuove e realizza, nonostante, anzi attraverso i pericoli di morte che
si accumulano e si addensano. A questo riguardo bisogna prestare attenzione al binomio,
meglio alla opposizione "morte - vita", che si incontra qua e là nel racconto che permette di
evidenziare una prima tavola di rapporti significativi.
Una seconda tavola è rappresentata dai versetti, dove compare il termine "fare = ‘asah". La
storia è il risultato di una "sinergia", cioè di una fusione-armonizzazione di forze diverse :
Dio e uomini.
Il mondo onirico
Dio manifesta le sue intenzioni profonde, esplicita il suo volere non in modo
miracolistico, strabiliante, ma in maniera assai umile e discreta, attraverso tre modalità : i
sogni, gli avvenimenti fisici naturali, la condotta delle persone.
Nella storia di Giuseppe un ruolo narrativo importante è svolto dai sogni. Già all'inizio i due
sogni dei covoni e del sole-luna-stelle (c 37) preludono alla glorificazione di Giuseppe. Ma la
via per arrivarvi non è annunciata e risulta del tutto imprevedibile per i personaggi : è la
strada della umiliazione del personaggio protagonista, il metodo che Dio sceglie è quello
della prova purificatrice. Infatti il frutto immediato dei sogni di gloria è un complotto di
morte : Giuseppe deve venire soppresso (cf 37,9-11).
^ Al c 40 incontriamo i sogni del panettiere e del coppiere. Questi sogna di versare nel calice
del Faraone vino spremuto dagli acini di tralci : è un sogno fausto che prelude alla
riabilitazione del personaggio. Il panettiere al contrario vede in sogno sopra la sua testa tre
canestri di pane bianco, ma ahimè, gli uccelli mangiano il pane del canestro superiore : è un
La Legge del Signore
107
sogno di malaugurio, negativo : "Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti impiccherà
ad un palo e gli uccelli ti mangeranno la carne addosso" (40,19).
E Giuseppe è chiamato ad interpretarli, cosa che egli fa puntualmente riconoscendo però in
Dio l'origine di questo potere : "Non è forse Dio che ha in potere le interpretazioni ?
Raccontatemi dunque !" (40,8b). La lettura corretta dei sogni dei due funzionari rappresenta
per Giuseppe la "prova qualificante", nel senso che lo abilita a decifrare i sogni del Faraone,
con cui si avrà la "prova glorificante".
^ I due sogni del Faraone narrati al c 41 sono passati in proverbio : le sette vacche grasse
divorate da altrettante bestie magre, le sette spighe vuote che inghiottono le sette spighe
piene, rappresentano un numero identico di anni di abbondanza e di carestia. E' certo un
modo elementare di concepire la storia a periodi alterni.
Ma alla corte egizia satura di maghi non vi è alcuno in grado di decodificare i sogni del
faraone, solo Giuseppe l'ebreo ne è capace, diventando così la figura del saggio di corte,
dell'esperto consigliere. Il narratore evidenzia la funzione puramente strumentale di
Giuseppe : è Dio all'origine dei sogni, essi svelano un suo progetto, ma non tutti sono in
grado di coglierlo ; per capirlo ci vuole fede, cioè credere all'azione di Dio nella storia.
Essa viene ripetutamente menzionata :
41,16 : "Giuseppe disse al faraone : non io, ma Dio darà la risposta al faraone"
41,25 : "Il sogno del faraone è uno solo : quello che Dio sta per fare, lo ha indicato al
faraone"
41,28 : "Quanto Dio sta per fare, l'ha manifestato al faraone"
38-39 : "Potremo trovare un uomo come questo, in cui sia lo Spirito di Dio ? Il faraone
disse a Giuseppe : Dal momento che Dio ti ha manifestato tutto questo, nessuno è
intelligente e saggio come te"
Il sogno come tramite di rivelazione lo si incontra anche nel NT ; basterebbe ricordare i
sogni di Giuseppe nel "prologo cristologico" di Mt. Ci sta sotto la intuizione di un rapporto
tra il mondo onirico e la vita della persona che sogna : i sogni contengono un messaggio,
rivelano l'individuo a se stesso, gli rendono noti i desideri e gli impulsi profondi. Attraverso
questa verità umana possono passare indicazioni divine per la persona che crede.
Gli avvenimenti naturali
Nel nostro racconto il piano di Dio si svela anche attraverso la carestia, la fame che
distende un'ombra di morte sul paese di Canaan. L'autore sottolinea la gravità del fenomeno
che induce i figli di Giacobbe a scendere in Egitto per poter sopravvivere.
E' questione di vita o di morte. In questo caso andare in Egitto è scelta di vita : di
sopravvivenza fisica e di ristabilimento morale mediante la cucitura dei rapporti familiari.
42,2 : "Ecco, ho sentito dire che vi è grano in Egitto. Andate laggiù e compratene per
noi, perché possiamo conservarci in vita e non morire"
43,8 : "Lascia venire il giovane con me ; partiremo subito per vivere e non morire, tu e i
nostri bambini"
I comportamenti personali
La storia di Giuseppe insegna a capire le intenzioni di Dio soprattutto attraverso le
scelte comportamentali delle persone, mediante i loro atti, in positivo e in negativo.
In ciò contiene una profonda teologia della storia, perché non postula interventi straordinari
di Dio, ma ne sa decifrare i segni nella ordinarietà della vita.
^ Il c 39 (che sembra estraneo all'intreccio originario ; è l'unico capitolo in cui si parla sempre
del Signore), sottolinea ripetutamente la presenza di Dio, ma senza alcun intervento-miracolo.
La Legge del Signore
108
"Il Signore fu con Giuseppe : a lui tutto riusciva bene e rimase nelle casa dell'Egiziano suo
padrone (59,2. 3. 5).
Questo non impedisce che la prova si abbatta pesante su di lui, accusato di insidiare la moglie
di Potifar, mentre è esattamente il contrario : "Come potrei fare questo grande male e peccare
contro Dio ?" (39,9).
Giuseppe viene dunque calunniato e imprigionato, benché innocente : "Ma il Signore fu con
Giuseppe, gli conciliò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della
prigione" (39,21. 23b).
^ In 41,51-52 l'idea della Provvidenza è legata al nome che Giuseppe impone ai suoi due
figli : gli ricordano, il primo, il coraggio che ha avuto nel dimenticare un dolorosissimo
passato e nell'impostare in termini nuovi la sua vita, il secondo, cioè Efraim, l'abbondanza e
la fertilità esperimentata in terra di Egitto.
^ Nel capitolo 42 l'azione di Dio è riconosciuta dai fratelli, allorché scoprono alla
imboccatura dei sacchi il denaro restituito da Giuseppe. "Allora si sentirono mancare il cuore
e tremarono l'un per l'altro, dicendo : Che è mai questo che Dio ci ha fatto ?" (v 28).
Più ampiamente si veda tutto lo sviluppo dei vv 18-28, dove il fatto che Simeone venga
trattenuto in catene, unito alla richiesta di portare in Egitto Beniamino viene vissuto come
giusta punizione per la crudeltà espressa nei confronti di Giuseppe : "Si dissero l'un l'altro :
Certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello, perché abbiamo visto la sua
angoscia quando ci supplicava e non lo abbiamo ascoltato. Per questo ci ha colpito questa
angoscia" (v 21).
^ In 43,23 l'azione di Dio e riconosciuta dal maggiordomo : "State in pace, non temete ! Il
vostro Dio e il Dio dei vostri padri vi ha messo un tesoro nei sacchi ; il vostro denaro è
pervenuto a me".
Anche la seconda prova voluta da Giuseppe per purificare e far maturare i fratelli viene da
costoro interpretata come smascheramento e giusta espiazione per il crimine commesso :
"Che diremo al mio signore ? Come parlare, come giustificarci ? Dio ha scoperto
(letteralmente "ha trovato" da mettere in rapporto con 37,32) la colpa dei tuoi servi ... (44,16).
^ Ma la lezione più grande sulla Provvidenza la ricava dalla sua storia Giuseppe stesso, colui
che ha sofferto più di ogni altro ; è lui che con sguardo di fede supera la scorza rude degli
accadimenti per ravvisare in essi la mano benefica di Dio, di Colui che "non turba mai la
gioia dei suoi figli se non per darne loro una più certa e più grande (Manzoni).
Il punto di gravità dell'intera vicenda, il vertice teologico di essa si ha nella scena del
riconoscimento in 45, 5-8.
"Ma ora non vi rattristate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima
di voi, per conservarvi in vita". Quello che nella intenzione dei fratelli era un complotto di
morte, è diventato nelle mani di Dio un piano di vita ; la vendita di Giuseppe come schiavo in
Egitto, vista retrospettivamente appare quasi essere un invio di Giuseppe "in missione" :
precede i fratelli, perché di lui essi avranno un giorno bisogno per sopravvivere e alla loro
sopravvivenza è legato il destino stesso di Israele.
Per questo aggiunge : "Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la
sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente. Dunque non siete stati voi
a mandarmi qui (anche questo paradossale : i fratelli sono stati gli esecutori materiali di un
progetto divino), ma Dio ed egli mi ha stabilito padre per il Faraone, signore su tutta la sua
casa e governatore di tutto il paese di Egitto".
La Legge del Signore
109
^ L'idea è poi ripresa e riaffermata nella scena dell'epilogo in 50,2 "Giuseppe disse loro : Non
temete. Sono io forse al posto di Dio ? Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha
pensato di farlo servire ad un bene : far vivere un popolo numeroso".
Tutto ciò non suona affatto come giustificazione del crimine commesso. Il peccato c'è, è stato
grave, ha dovuto in qualche modo essere espiato, ma la provvidenza di Dio sa trarre il bene
anche dal male ; il proverbio popolare dice che "Dio sa scrivere diritto su righe storte".
L'apostolo Paolo direbbe : "Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano
Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno" (Rom 8,28). Gli fa eco il preconio
pasquale : "O felix culpa ... o vere necessarium Adae peccatum ... "
E' questo l'apogeo della storia di Giuseppe : il Dio della Bibbia, il Dio dei patriarchi, dei
profeti e di Gesù ha questo straordinario potere di recuperare la negatività della storia, di far
volgere al bene la stessa malvagità umana, non certo in modo magico, ma con la sofferta
partecipazione del peccatore stesso.
Riappare sul finire della Gn l'ottimismo salvifico : il male era entrato nel mondo come rifiuto
del progetto "buono" di Dio, ma il Signore non si arrende, "non si lascia vincere dal male, ma
vince il male con il bene" (cf Rom 12,21).
Con uno sguardo infine alla futura liberazione, presentata come visita del Signore ad un
popolo oppresso, si chiude il primo libro della Bibbia e viene annunziata l'epopea dell'Esodo.
La storia delle risonanze
Analogamente a quanto fatto per Abramo, ci congediamo dalla figura di Giuseppe l'ebreo,
accennando alle risonanze del personaggio nella tradizione biblica, postbiblica, extrabiblica.
Come Abramo infatti, così anche Giuseppe è una figura ecumenica, riconosciuta ed esaltata
dalle tre grandi religioni monoteistiche : ebraismo, cristianesimo e islamismo.
A)
All’interno della Bibbia i richiami non sono molti.
^ Una prima rilettura di ha in Gn 49,22-26
E’ la benedizione che il "Testamento di Giacobbe" riserva ella tribù di Efraim, allorché
questa svolgeva un ruolo di leadership al centro della confederazione di tribù riunitesi a
Sichem (cf Gs 24). L'antenato della tribù è Giuseppe, di cui si dice : "Germoglio di ceppo
fecondo è Giuseppe ; germoglio di ceppo fecondo presso una fonte ... "
^ La figuro di Giuseppe è richiamata in un salmo storico, il 105,16-23 :
"Chiamò la fame sopra quella terra e distrusse ogni riserva di pane. Davanti a loro mandò un
uomo, Giuseppe venduto come schiavo. Gli strinsero i piedi con ceppi, il ferro gli serrò la
gola, finché si avverò la sua predizione e la parola del Signore gli rese giustizia. Il re mandò a
scioglierlo, il capo dei popoli lo fece liberare ; lo pose signore della sua casa, capo di tutti i
suoi averi, per istruire i capi secondo il suo giudizio e insegnare la saggezza agli anziani. E
Israele venne in Egitto, Giacobbe visse nel paese di Cam come straniero".
^ Anche la tradizione sapienziale ricorda volentieri Giuseppe, che del resto - lo abbiamo detto
- anticipa in sé i lineamenti del saggio di corte. A questo proposito si può segnalare :
Sir 49,15 : "Non nacque un altro uomo come Giuseppe, capo dei fratelli, sostegno del
popolo ; perfino le sue ossa furono onorate"
Più dilatato il richiamo in Sap 10,13-14. Sette azioni compie la sapienza nei confronti
di Giuseppe : "Essa non abbandonò il giusto venduto, ma lo preservò dal peccato, scese con
lui nella prigione, non lo abbandonò mentre era in catene, finché gli procurò uno scettro
La Legge del Signore
110
regale e potere sui propri avversari, smascherò come mendaci i suoi accusatori e gli diede una
gloria eterna".
Della stessa tradizione didattica fanno parte le tre novelle di Ester, Rut e Giuditta : si
possono stabilire contatti di questi testi postesilici con il ciclo di Gn 37-50.
In particolare abbiamo una analogia di situazione con la vicenda di Ester (cfr S. B. BERG,
The Book of Esther, Missolula 1979).
L' esemplarità della figura di Giuseppe è colto anche in 1Macc 2,53 : "Giuseppe nell'ora
dell'oppressione osservò il precetto e divenne signore dell'Egitto".
- Nella rilettura cristiano della Gn, il NT offre due contributi per confrontarsi con la figura di
Giuseppe.
Ebr 11,22 : "Per fede Giuseppe alla fine della vita parlò dell'esodo ai figli di Israele e diede
disposizioni circa le proprie ossa"
At 7,9-16 : Nel compendio di storia salvifica vt collocato sulla bocca di Stefano, viene
sintetizzata l'avventura di Giuseppe
Osserva correttamente A. Bonora : "Questi frammenti neotestamentari non ci aiutano molto a
fare una lettura cristiana della novella genesiaca. D'altra parte, non dobbiamo basarci soltanto
su citazioni esplicite del NT per leggere da cristiani l'AT. In Gesù Cristo si compie tutto
l'AT : è alla luce dell'evento-Cristo, nella sua totalità concreta, che dev'essere ricompreso
l'AT".
B)
Della tradizione ebraica postbiblica possiamo ricordare il nome dello storico
giudaico, Giuseppe Flavio in "Antichità Giudaiche" II, 3-8.
Anche il filosofo-teologo giudeo Filone di Alessandria, vissuto nel I secolo dC scrisse
un'operetta di commento alle figura di Giuseppe, citata comunemente in latino "De Josepho".
Per lui è il ritratto dell'uomo politico, dell'uomo di governo : "Egli fu, nella miseria come
nell'abbondanza, eccellente amministratore e arbitro, e si mostrò nell'una e nell'altra
condizione perfettamente abile nel governare"
Una riproposizione della figura di Giuseppe con il sussidio del midrash è stata tentata da un
grande ebraista vivente, premio Nobel per la pace, Elie WIESEL in "Personaggi biblici
attraverso il midrash", Assisi 1978.
C)
Del mondo islamico è sufficiente ricordare la sura 12 del Corano. "Istorieremo per te
il racconto più bello" è detto in apertura. "Nel racconto coranico, ricamato sulla trama biblica
ma liberamente istoriato e arabescato con colori e motivi originali, Yusuf è un uomo sapiente
e protetto da Dio, pieno di fascino virile. Il Corano sviluppa la scena biblica della seduzione e
dello vittoriosa resistenza di Yusuf alle insidie e lusinghe femminili ...
Yusuf è un profeta ... è adoratore del Dio unico, un monoteista, un autentico credente. Egli è
un muslim modello, cioè, come significa il termine 'muslim' un uomo che 'si abbandona alla
divinità' ... La storia di Yusuf finisce con una bellissima preghiera : 'Signore ! Mi hai
insignito di dignità regale, hai svelato a me il modo di interpretare i sogni, o creatore dei cieli
e della terra ! Tu solo sei il mio protettore in questo misero mondo e nell'altro. Fa' che io
muoia da muslim, fra che io raggiunga le genti che fanno il bene' " (compendio di A.
Bonora ; mi fermo qui perché non voglio invadere orticelli altrui).
D)
La tradizione cristiana ha sviluppato il valore allegorico e tropologico della figura di
Giuseppe ; venne esaltato come modello di castità e come tipo di Cristo, tanto che Origene
chiama Cristo "il vero Giuseppe". Sant'Efrem Siro (secolo IV dC) gli ha dedicato Dodici
sermoni e Ambrogio un'operetta "De Joseph patriarcha" che conclude affermando : "Gesta
igitur patriarcharum futurorum mysteria (= simboli) sunt".
La Legge del Signore
111
Basti citare Procopio : "Di quanto è detto, poco si riferisce a Giuseppe e la massima parte
invece al Cristo ... tutto è tipo del Cristo. Egli oltre che dalla madre e dagli undici discepoli,
fu adorato da Giuseppe assegnato a lui quale padre secondo la carne ; dopo la risurrezione
infatti lo adorarono ambedue i genitori e i discepoli che egli chiama 'fratelli' quando dice
'Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli' ".
Altro fatto interessante : "Nel magnifico prefazio del Messale di Bobbio, manoscritto
gallicano trascritto verso la prima metà del secolo VIII, si celebra la storia di Giuseppe ; tale
prefazio veniva letto nella domenica di Quaresima in cui si faceva la lettura del testo
genesiaco : il mistero di Cristo prefigurato - secondo tale prefazio - nella vicenda di
Giuseppe" (Bonora).
L'attuale Lezionario Romano propone la lettura di Gn 37 (passim) nel venerdì della seconda
settimana di Quaresima, in chiave figurativa.
E)
Solo un accenno alla figura di Giuseppe nel mondo dell' arte. La tematica meriterebbe
più attenzione e competenza (mi rincresce di non averle dedicato sufficiente interesse in
questa esegesi del Gn). "Tra le arti figurative si possono ricordare i bellissimi mosaici del
secolo XIII nella Basilica di S. Marco a Venezia e il mosaico della stessa epoca nel "bel San
Giovanni" di Firenze.
^ Nell'ambito della musica Richard Strauss, autore del balletto "La leggenda di Giuseppe"
(I914) centrato sul contrasto amoroso tra la lussuriosa e bellissima Potifar e il casto Giuseppe.
^ In campo letterario l'opera più imponente è senz'altro la tetralogia, dello scrittore premio
Nobel, Thomas MANN intitolata "Giuseppe e i suoi fratelli" (1926-1942) - "Duemila pagine
narrative-esplorative-interpretative della religione biblica e delle religioni prebibliche e
parabibliche" (G. Sommavilla).
La Legge del Signore
112
TEOLOGIA DELL’ESODO
Impostazione del corso
L'esodo è il secondo libro della nostra Bibbia e per il mondo ebraico il secondo libro
di Mosè. "Exodos" significa in greco "uscita".
Nel linguaggio laico di oggi il termine designa lo spopolamento delle nostre città in occasione
delle ferie ; è un uso analogico della parola biblica, con la quale i traduttori greci hanno inteso
riassumere nel titolo il contenuto del libro stesso. L'opera racconta infatti l'uscito di Israele
dal paese d'Egitto, l'esperienza della liberazione dell'antico popolo di Dio.
Presso gli Ebrei invece il libro prende nome dalle sue prime parole (come continua ad
avvenire oggi per i documenti pontifici). Si chiama : "Questi sono i nomi ... "
L’Esodo può essere chiamato : "Il Vangelo dell'AT". Lo è infetti : narra lo "buona notizia", il
"lieto annunzio" di Dio che ha preso a cuore le "sorti di un gruppo umano oppresso, lo ha
"visitato", lo ha strappato dalla schiavitù, costituendolo suo popolo.
SIGNIFICATI DELLO STUDIO
La teologia dell'Esodo fa conoscere i lineamenti della salvezza secondo la Bibbia,
costituisce quindi una antropologia teologica, una soteriologia, come si usa dire con
espressione raffinata.
I valori della salvezza biblica, rivelati dall'esperienza globale di essa raccontata nell'Esodo,
possono essere così delineati :
^ La salvezza come dono : l'incontro di Dio con l'uomo è grazia. E' iniziativa divina, è
autocomunicazione di Dio. E' lui che pone in essere l'esperienza di liberazione, che vuole
libertà e dignità per il suo popolo.
Attraverso l'esodo Israele ha conosciuto l'autentico volto del Signore. Il Dio dell'Esodo è la
figura del Dio Liberatore, soccorso degli oppressi e flagello degli oppressori. Non è il Dio dei
faraoni, dei cesari e dei potenti, ma il Dio dei poveri, degli umili e degli sfruttati.
Nell'Es Dio si rivela, si dà a conoscere come il Dio vivo e vero.
Non basta credere genericamente in Dio, in Qualcuno che è sopra di noi. L'uomo
religioso è perennemente tentato di costruirsi un Dio "a propria immagine e somiglianza".
Nell'Es Israele ha raccontato l'esperienza di un Dio che "è con noi", ha avuto la grazia di
accedere alla conoscenza del Nome del Signore ;
^ La salvezza come compito: ("Gabe und Aufgabe") : il dono è affidato all'uomo, la ricchezza
di Dio è consegnata alla povertà delle nostre mani, la grazia suscita impegno, genera
responsabilità.
Israele, questo grande simbolo delle storia, deve accogliere il dono, lasciarsi salvare,
rispondere con fede, riconoscere all'opera il Dio liberatore. E' chiamato ad obbedire al divino
volere : uscire dall'Editto, attraversare il mare e il deserto, entrare nella terra ;
^ Salvezza infatti è USCIRE : bisogna partire, rompere dei legami, rinunciare a qualcosa.
Qualcosa deve morire perché qualcosa possa risorgere. L'esodo è una affascinante avventura
di libertà, ma la libertà umana è rischio, si coniuga spesso con la insicurezza, sempre con la
responsabilità ;
La Legge del Signore
113
^ Salvezza è anche ENTRARE : è una perdita per un acquisto, per un meglio. Israele esce
dall'Egitto per entrare nella terra. La terra è il punto di arrivo, il "terminus ad quem"
originario.
Questo introduce il dinamismo della speranza. Scrive Gianfranco Ravasi in un suo agile
commento : "L'Esodo vuole essere il canto del viaggio con una meta, della vita con uno
scopo, della polis, la città permanente e futura (cf Ebr 13,14) da raggiungere".
Salvezza è guardare in avanti, non indietro. Protesi verso il futuro, non ripiegati sul passato.
L'esodo è una grande scuola di speranza ;
^ Il deserto : non è tanto un luogo geografico, ma uno situazione dello spirito. Per la
debolezza umana si inserisce l'esperienza del tempo intermedio, un momento di sosta tra
l'uscire e l'entrare. La salvezza non è data una volte per sempre, ma si fa progressivamente, e
una volta ricevuta, può anche venire smarrita. Esperienza del pellegrinaggio ;
^ La resistenza : è un altro capitolo della salvezza. Si tratta della incomprensione e della
riluttanza umana ad accogliere il dono di Dio. Nel suo dispiegarsi la salvezza incontra
ostacoli. L'impedimento maggiore è l'uomo stesso, che fa fatica a capire il piano di Dio,
pretende di giudicarlo prima ancora di conoscerlo. E' la realtà del peccato come diniego,
rifiuto del dono, chiusura alla grazia ;
^ La categoria della mediazione : il Signore opera tramite persone che Lui stesso sceglie per
attuare il suo disegno. Sono degli incaricati : nel suo nome e con lo sua forza danno corpo al
piano di Dio. Con la loro ricchezza e lo loro povertà.
Nell'epoca patriarcale ha chiamato Abramo, Isacco e Giacobbe, ora come suoi collaboratori
sceglie Mosé e in funzione subordinate Aronne e Giosué. Mosé è intermediario per
eccellenza : rappresenta Dio presso il popolo e il popolo davanti a Dio.
^ La celebrazione : la salvezza donata ed accolta può essere rivissuta nel rito e nella festa. La
celebrazione implica memoria collettiva ("creber") e attualizzazione, ricordo del passato e
reviviscenza di esso. Il passato salvifico prolunga nel rito la sua efficacia sul presente. Nel
caso dell'Esodo le celebrazione è rappresentata dalla Pasqua : è la festa che sintetizza la
memoria, la presenza e la profezia delle liberazione. L'Es è anche il libro dello Pasqua, ne
contiene lo statuto ;
^ La comunione : l'uomo è chiamato alla comunione piena con il Signore. E' il senso della sua
vita. Anche nell'Es la liberazione è per la comunione. Questa finalità è espressa dal fatto
dell'alleanza. Al Sinai Dio offre intimità al suo popolo. L'alleanza è il segno o sacramento
della unione con Dio.
Le tappe del commino sono le seguenti : facendolo uscire dall'Egitto, Dio trasforma una
accozzaglia di schiavi in un popolo soggetto di libertà e al Sinai lo ammette alla comunione
con sé. Da schiavi a popolo e da popolo a popolo di Dio. Aspetto storico e metastorico della
salvezza. L'Es è anche il libro dell'alleanza (cc 19 e 24 ; 32-34) .
^ La legge : la comunione con Dio è esigente. La salvezza ricevuta deve manifestarsi in una
degna condotto di vita. L'offerta delle comunione diventa nel contempo parola impressiva,
normativa, giudicatrice ("kritikòs logos" Ebr 4,12).
Questo si ha nel decalogo : le "dieci parole" in Es 20 contengono le esigenze basiche
dell'alleanza, poi ampliate e commentate nelle "leggi e precetti", cioè nel "codice
dell'alleanza" in Es 21-23.
L'Es è anche il libro della Legge.
ATTUALITÀ DELL’ARGOMENTO
L'Es è stato in epoca recente un libro molto amato e studiato. La stagione
postconciliare gli ha accordato una netta preferenza, soprattutto da parte di quanti operano
La Legge del Signore
114
una lettura politico-militante-alternativa del testo biblico. Parecchie comunità si sono piegate
su di esso con un occhio al passato e l'altro al presente.
La presenza nel nostro mondo di situazioni di ingiustizia, oppressione e violenza da parte di
regimi politici totalitari o di sistemi economici di sfruttamento, in analogia con le condizioni
di Israele in Egitto, ha portato parecchi nostri fratelli di fede ad interrogarsi sul significato
della professione cristiana in situazioni simili.
L'esperienza dell’Es è stata rivisitata, cioè approfondita e riformulata. E’ nata lo famosa e
dibattuta "Teologia della Liberazione" (TdL). Il pioniere è stato Gustavo GUTIERREZ che
ha pubblicato un'opera omonima nel 1967. L'edizione italiana ad opera della Queriniana Brescia è dell'anno 1973. In epoca più recente il nome di spicco è stato quello di Leonardo
BOFF, Chiesa, carisma e potere, Borla - Roma 1983.
- Il cambiamento di nome indica chiaramente uno spostamento di accento nella impostazione
del problema. La salvezza come veniva presentata nella teologia tradizionale, manualistica,
veniva trattata all'interno del "De Gratia". Era presentata in termini quasi esclusivamente
individualistici, spirituali ed escatologici ; si pensi alle espressioni "salvarsi l'anima", "andare
in paradiso" ...
La TdL provocata dalla situazione storica, fedele alla terra e non solo al cielo, interpretando
l'esperienza dell'esodo biblico, ha sottolineato lo dimensione storica, incarnata e temporale
della salvezza.
^ Dio salva la persona nella sua totalità, come spirito e come corpo, non solo come anima
separata.
^ La fede non è un fatto puramente individuale ed intimistico. Dio salva l'uomo come
soggetto sociale, come popolo, è al fianco di ogni autentico cammino di liberazione.
^ E corrispettivamente anche il peccato ha una dimensione sociale, strutturale. Il "peccato
sociale" è il risultato di colpe personali accumulate, che creano uno "status", una situazione di
ingiustizia o di violenza ; il "mysterium iniquitatis" è presente anche in strutture ingiuste, in
sistemi di pensiero o di gestione della cosa pubblica che offendono la dignità dell'uomo.
La promozione umana appare sempre più chiaramente come parte integrante dell'annuncio
evangelico ed impegno ineludibile del cristiano.
- Ma la storia - lo abbiamo già detto in altro contesto - conosce spesso un movimento
pendolare, non procede in modo lineare ma piuttosto per estremi, spostandosi da un eccesso
all'altro.
La TdL ha offerto a taluni l'impressione di orizzontalismo, di una riduzione del fatto cristiano
a lotta contro le strutture ingiuste, ad impegno per lo sviluppo soltanto.
Non c'è identità tra "Regnum Dei" e "regnum hominis", non c'è più "buona novella", se si
abbandona il "laudate Dominum" per approdare soltanto al "laudate hominem".
Il Regno di Dio che Gesù introduce nel mondo è certamente legato ai gesti della promozione
umana, ma insieme li supera, è incarnato nella liberazione umana e contemporaneamente
trascende ogni realizzazione ed attesa umana. I cristiani non avranno esaurito il loro compito
quando avranno trasformato il Sud del mondo in una società dell'opulenza.
La Chiesa si condanna all'autodistruzione, se non annuncia anche la dimensione trascendente
della salvezza, cioè la chiamata dell'uomo alla comunione con il Padre e con i fratelli, se non
proclama l'Assoluto che è Dio, il nome, il mistero e la signoria di Gesù Cristo.
La teologia dell'esodo, rettamente intesa e compresa, può dare un contributo alla soluzione
del problema fede-storia, chiesa-mondo. Dice infatti che non basta portare il popolo al di là
La Legge del Signore
115
del Mar Rosso sulla sponda della libertà, occorre mettere in atto un cammino ulteriore, cioè
farlo arrivare al Sinai, introdurlo nella comunione, nella amicizia con il Signore, cioè renderlo
alleato di Dio.
E’ appena il caso di ricordare che una teologia della salvezza, come non può onestamente
prescindere dall'Esodo, altrettanto onestamente non può essere fondata in modo esclusivo su
di esso, come se fosse l'unico libro della Rivelazione. No ! Esso è un fascicolo di un libro più
vasto, la Bibbia appunto, che nella sua totalità rivela il piano di Dio per la salvezza del
mondo.
Anche l'Es deve venire letto alla luce del mistero di Cristo. Anche questo evento nel rapporto
con il mistero di Cristo conosce un processo di continuità, rottura, superamento.
"Le teologie della liberazione fanno largo uso del racconto dell'Esodo. Questo costituisce in
effetti l'evento fondamentale nella formazione del popolo eletto. Esso è la liberazione dalla
dominazione straniera e dalla schiavitù. Si dovrà sottolineare come il significato specifico
dell'evento gli deriva dalla sua finalità, poiché questa liberazione è ordinata alla fondazione
del popolo di Dio e al culto dell'alleanza celebrato sul monte Sinai.
Per questo la liberazione dell'Es non può esser ridotta ad una liberazione di natura
principalmente ed esclusivamente politica. D'altronde è significativo che il termine di
liberazione sia talvolta sostituito nella Scrittura con quello, molto vicino, di redenzione ...
La rivelazione del NT ci insegna che il peccato è il male più profondo che lede l'uomo
nell'intimo della sua personalità. La prima liberazione, alla quale tutte le altre devono
riferirsi, è quella del peccato" (cf "Istruzione sulla Teologia della Liberazione" IV. 3. 12).
Questo primo documento della Congregazione per la dottrina della fede è dell'agosto
1984 ; il secondo dal titolo : "Istruzione su libertà cristiana e liberazione" è del marzo 1986.
METODO
Non seguiremo quello della esegesi, applicato al libro della Gn con l'analisi di
pericopi scelte. Questo è un tentativo di "teologia biblica". Fare teologia significa scoprire le
strutture/il sistema che è presente nel testo. Teologia si accompagna al concetto di sintesi.
Partendo dal libro dell'Esodo, ma anche fuoriuscendone, cercheremo di cogliere le risonanze
del fatto della uscita dall'Egitto sul pensiero e sulla storia di Israele, le implicazioni con il NT,
così da riconoscere i pilastri dell'edificio salvifico secondo la Bibbia.
Si tratta di cogliere all'interno del testo la struttura della esperienza e poi di studiarne i singoli
elementi di articolazione. Questo studio è già stato effettuato da un insigne biblista, Luis
Alonso Schokel, Salvacion y Liberacion. Apuntes de Soteriologìa del Antiguo Testamento,
Valencia 1980.
Io ne riprenderò lo schema e i contenuti essenziali. Mio sarà il tentativo di divulgazione del
messaggio e l'introduzione di alcuni elementi e capitoli.
Lo sviluppo dei singoli temi ci metterà a contatto con molti brani della Bibbia anche al di
fuori dell'Esodo ; è richiesta allo studente una certa agilità mentale per non perdersi.
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
- D. BARSOTTI, Meditazione sull'Esodo, Queriniana, Brescia 1971
- L. ALONSO SCHOEKEL, Il triplice esodo, dispense PIB, Roma 1970
- G. AUZOU, Dalla servitù al servizio, Dehoniane, Bologna 1975
- M. NOTH, Esodo, Paideia, Brescia 1977
La Legge del Signore
116
- J . PLASTARAS , Il Dio dell'Esodo, Merietti, Torino 1977
- B. G. BOSCHI, Esodo, Paoline, Roma 1978
- P. STANCARI, Lettura spirituale dell'Esodo, Borla, Roma 1979
- Y. SAOUT, Il messaggio dell'Esodo, Borla, Torino 1980
- G. RAVASI, Esodo, Queriniana LoB 1. 4 Brescia 1980
- E. ZENGER, Il Dio dell'Esodo, Dehoniane, Bologna 1983
Studi particolari
- B. G. BOSCHI, L'Esodo e l'alleanza nell'esegesi moderna, in R. FABRIS, Problemi e
prospettive di scienze bibliche, Queriniana, Brescia 1981 pp 183-210
- F. FESTORAZZI e R. FABRIS, Modelli interpretativi della salvezza nella Bibbia, in
"Rivista Biblica" 1977/3 PP 245-296
- G. F. RAVASI, La teologia politica dell'Antico Testamento, in"Aggiornamenti sociali"
1981/6 pp 435-454
- A. RIZZI, Spiritualità della liberazione. Appunti per une riflessione sistematica, in
"Servitium" 47 (1986) pp 50-61
- Di particolare interesse è il numero 1/1987 di "Concilium" dal titolo : "Esodo, un
paradigma permanente" Contiene articoli di teologia biblica e di attualizzazione.
- A. SPREAFICO, Esodo : Memoria e Promessa. Interpretazioni profetiche, Dehoniane,
Bologna 1985
CREDO NELL'ESODO : l'Es come avvenimento fondamentale ed esemplare della
salvezza biblica
Dopo aver enunciato i connotati della salvezza a partire dall'Es ed aver evidenziato il
significato e l'attualità di qs studio, dobbiamo ora precisare meglio il senso globale di quel
fatto e le ripercussioni che esso ha avuto nell'antico e nel nuovo testamento.
ESODO AVVENIMENTO FONDAMENTALE
"Ogni generazione deve considerare se stessa come uscita dall'Egitto" : queste parole
della Mishna, Pesachim 10,5 quindi del Giudaismo postbiblico sintetizzano bene il significato
e l'importanza dell'Esodo per la storia e la fede di Israele.
"L'evento decisivo della liberazione dalla schiavitù faraonica è come la radice viva da cui
nasce l'albero ramificato della storia ebraica" (Ravasi). E’ il "fatto creatore di Israele" ;
"l'uscita dell'Egitto ha conferito ad Israele la sua identità" (TOB).
E’ l'avvenimento da cui parte e a cui ritorna incessantemente la coscienza di Isr come
popolo e come popolo di Dio. Prescindendo dall'Es non si capisce Isr, non si capisce la
Bibbia. E’ qualcosa di basilare e di permanente.
Occorre a questo punto documentare la tesi, mostrando come di fatto l'Es compare e diventa
estremamente significativo all'interno di situazioni molteplici vissute da Israele. A qs
momenti diversi corrispondono nel testo biblico generi letterari diversi. Ecco un inventario
dei più significativi :
La Legge del Signore
117
^ Simbolo di fede : l'Es è il contenuto centrale, il cuore della fede di Isr. E’ la sua "regula
fidei" ; credo nell'Esodo, dice il pio israelita o meglio "credo nel Dio dell'Esodo". L'aver
infatti liberato Isr dall'Egitto lo qualifica come il vero Dio, è il suo attributo principale :
YHWH è il "facente uscire Isr dall'Egitto" cf Es 6,7.
L'avvenimento è professato nel credo storico di Dt 26 e Giosuè 24 ; lo ritroviamo nel piccolo
credo Dt 6,21 dove diventa anche il contenuto essenziale della catechesi, cioè della
comunicazione parlata della fede : "Tu risponderai a tuo figlio : Eravamo schiavi del faraone
in Egitto e il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente".
^ Comandamenti : è la formula di autopresentazione divina che precede e fonda le Dieci
parole : "Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dall'Egitto, dalla schiavitù" Dt 5,6 .
Questo è il beneficio fontale che Dio ha fatto al suo popolo, a partire da esso può reclamare
ascolto ed obbedienza da parte di Isr.
^ Parenesi : l'esortazione al bene, i precetti dati a Israele sono inculcati a partire dal ricordo
della liberazione. L'Es entra come motivazione, ha una forza propulsiva, è una molla che
deve far scattare la fedeltà e l'obbedienza di Isr nel quotidiano della vita.
Dt 15,15 "Ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese di Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha
riscattato. PER QUESTO TI DO OGGI QUESTO COMANDO" (di liberare gli schiavi).
^ Datazioni : L'Es è un fatto nativo, originario da cui parte una storia, si colloca all'inizio
della esistenza del popolo. Il caso più chiaro è 1Re 6,1 : "Alla costruzione del tempio del
Signore fu dato inizio l'anno 430 dopo l'uscita degli Isr dal paese di Egitto". Qui interessa
meno la esattezza della data storica, vale di più la coscienza che si esprime, l'esodo cioè viene
avvertito come l’inizio di un'epoca, che si conclude idealmente con l'edificazione del
massimo santuario, quello di Salomone.
^ Requisitorie profetiche : anche i carismatici di Isr, cioè i profeti fanno riferimento all'Es
nella loro predicazione. Allorché denunciano i crimini del popolo, richiamano il beneficio
dell'Es come aggravante nei confronti di Isr che ha risposto con l'infedeltà al patto.
Am 2,10 : "Eppure io vi ho fatti uscire dal paese di Egitto e vi ho condotti per quarant'anni
nel deserto, per darvi in possesso il paese dell'Amorreo". Altri testi sono : Gdc 6,8-9 ; 1Sm
12,6-8 ; Ger 2,4-7
^ Culto spirituale di Israele : in qs ambito ripetutamente compare la memoria dell'esodo. Il
calendario liturgico contiene feste che ricordano e attualizzano il fatto : Es 23,15 (o 34,18) :
"Osserverai gli azzimi nella ricorrenza del mese di Abib perché in esso sei uscito dell'Egitto"
La preghiera di Isr che è uno specchio della vita del popolo non può non introdurre tra
i suoi argomenti quello dell'Es. Lo fanno i salmi di lode, cioè gli inni ; per aver attraversato il
Mare dei Giunchi Isr ha lodato e benedetto in eterno il suo Dio. L'es è uno dei "themata
laudis" cf s 114 "In exitu Isr de Aegypto" ; salmo 136 il grande alleluia di Pasqua : "Perché
ha diviso in due parti il Mar Rosso, eterna è la sua misericordia"
Lo fanno i salmi storici, meditazioni del popolo sul suo passato : cf 78 e 106. Ugualmente le
lamentazioni collettive ; la tristezza della condizione presente motiva l'appello al Dio"
Liberatore , salvatore : cf s 80,9 "Hai divelto una vite dall'Egitto, per trapiantarla hai espulso i
popoli"
Is 64,11 "Dov'è colui che fece uscire dall'acqua del Nilo il pastore del suo gregge ? Dov'è
colui che gli pose nell'intimo il suo santo spirito ?"
Anche nelle preghiere penitenziali allorché la comunità confessa e piange i suoi
peccati, si ricorda l'intervento decisivo di Dio contro l'Egitto e la ingratitudine con cui il
popolo ha corrisposto al dono del Signore.
La Legge del Signore
118
^ Letteratura sapienziale : anche la riflessione di Isr, di solito poco attratta dai temi storici,
non può evitare il confronto con l'Es ; si può ricordare il Siracide con l'elogio riservato a
Mosè in 45, 1-5 e soprattutto il libro della Sap con il suo midrash sull'Es ai cc 16-19.
I giudizi storici verificatisi all'epoca dell'es (cioè le pieghe) sono la prova del giudizio
escatologico.
L'esodo dunque è davvero un filo rosso, un filo conduttore di tutto l'AT ha impregnato di sé
la storia, la vita, la fede di Israele.
ESODO AVVENIMENTO ESEMPLARE
Se l'Es fosse soltanto un fatto storico e di fede valido per Isr, non ci sarebbe bisogno
di studiarlo con passione ; ma esso non aiuta a capire solo la storia e la fede di Israele quale
fatto culturale. Aiuta a capire e a vivere l'esperienza cristiana.
Per Isr l'esodo non è stato solo memoria ma anche profezia, non solo ricordo di un
passato glorioso, ma speranza in un futuro ancora più grande garantito dalla fedeltà di Dio.
L'esperienza della liberazione è stata così pregnante, che essa è diventata simbolo, partendo
dal fatto storico lo ha trasceso, ha acquisito un valore paradigmatico, esemplare. L'Es nelle
Bibbia funziona da modello, è un simbolo generativo, ha configurato e plasmato esperienze
analoghe.
E' diventato la forma di vita di Isr. Anche qui vediamo di documentare bene l’idea.
- L'AT conosce un triplice esodo, tre grosse esperienze storico-salvifiche vengono
configurate secondo gli schemi e i termini dell'Esodo.
a) Il primo, quello di partenza è l'uscita di Isr dall'Egitto e l'entrata del popolo nella terra.
b) Il secondo è il ritorno della comunità esule a Babilonia nella patria di origine, a
Gerusalemme-Sion. Gli Isr deportati a Babilonia hanno vissuto l'esilio come una rinnovata
schiavitù egiziana ed i profeti dell'esilio hanno promesso e preconizzato il rientro a
Gerusalemme come una riedizione più splendida dell'antico Esodo.
Qs concezione incomincia a far capolino nella profezia di Ger (cf il c 31) ; prende maggior
consistenza in Ez 20,41-42 ; 34,27b ; 36. 24-28 ; 37,11-14 ed esplode con il DtIs, "il profeta
del nuovo Esodo" (Wenier) ; il teme dell’es percorre in filigrana il messaggio di
consolazione, ma soprattutto merita di essere segnalato il grande testo sulla novità in Is 43,
16-21.
"L'episodio fondante dell'esodo non sarà mai cancellato dalla memoria di Israele. Ad
esso ci si rifà quando, dopo la rovina di Gerusalemme e l'esilio di Babilonia, si vive nella
speranza di una nuova liberazione e, al di là di essa, nell'attesa di una liberazione definitiva.
In questa esperienza Dio è riconosciuto come il liberatore. Egli stringerà con il suo popolo
una nuova alleanza, caratterizzata dal dono del suo Spirito e dalla conversione dei
cuori"(Istruzione sulla Teol della Lib IV,4).
c) Il terzo esodo riguarda la situazione del dopoesilio cf A. SPREAFICO, II terzo esodo :
schemi e immagini, in Riv Biblica 1980/2 pp 183-210.
Si può chiamare "esodo escatologico" : abbiamo una ripresa di schemi o di immagini in
rapporto ad un nuovo annuncio di salvezza per il popolo. Esso è rappresentato in modo più
semplice e frammentario : forse solo in Is 24-27 e 56-66 diventa uno degli elementi
strutturanti dell'insieme.
- E’ un esodo METAFORICO : "il cammino non è più la via di Babilonia-Gerusaleme, ma la
buona o cattiva condotta che conduce sia al possesso della terra sia alla perdizione. E' quello
La Legge del Signore
119
cha viene chiamato "exode en place" = esodo sul posto" (Lack). Il testo più espressivo e
centrale a qs riguardo è Is 65,9 "Io farò uscire una discendenza da Giacobbe, da Giuda un
erede dei miei monti. I miei eletti ne saranno i padroni e i miei servi vi abiteranno".
- Ma è anche un esodo GEOGRAFICO : è un cammino nello spazio per giungere a un luogo
preciso. Qs cammino riguarda sia Israele sia gli altri popoli. Uscire diventa allora per Israele
il RADUNO DALLA DISPERSIONE, il ritorno dalla diaspora in Gerusalemme, sul monte
santo.
I testi più indicativi sono : Zacc 8,7 ; Is 27,13 ; Mich 7,12 ; Baruc 4,37 ; 5,5.
Ma qs esodo riguarda anche i popoli ; si legge del raduno dei popoli solo in 60,4 del libro di
Is ; la tensione è tutta spostata verso il terminus ad quem che è Gerusalemme e il Tempio : si
tratta di un pellegrinaggio verso Gerusalemme che porta al riconoscimento di YHWH e
quindi alla partecipazione alla salvezza anche per i popoli.
La missione neotestamentaria che scaturisce dalla Pasqua segue invece il movimento
inverso : parte da Gerusalemme e percorre le contrade del mondo. cf At 1,8 "Mi sarete
testimoni in Gerusalemme, nella Giudea e nella Samaria fino agli estremi confini della terra".
+ Nel Nuovo Testamento : l'Es è diventato modello di una salvezza ancora da realizzarsi non
solo nell'AT. Il suo schema e il suo vocabolario sono penetrati anche nel NT. "L'esodo dalla
schiavitù e l'ansia della libertà costituiscono una componente fondamentale di tutta la Bibbia"
(Lenssen).
a) La figura e l'opera di Gesù è stata interpretata con l'ausilio degli schemi, dei simboli e dei
termini dell'Esodo e della Pasqua.
Lc 9,31 nell'episodio della trasfigurazione : "Mosè ed Elia apparsi nella loro gloria parlavano
del suo ESODO che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme". Si tratta del "passaggio
di Gesù da questo mondo al padre" come si esprime Gv 13,1 attraverso la morte e la
resurrezione. E’ il "paschale mysterium". "L'esperienza fondamentale di Israele sta nella
liberazione dalla schiavitù politica ; l'esperienza fondamentale del cristiano sta nella
liberazione dalla schiavitù della morte" (Moltmann).
b) Ma anche la vita cristiana viene talora presentata dagli agiografi nt alla luce dell'esodo.
Con Cristo, in Cristo e per Cristo anche il discepolo può fare il suo esodo e cioè uscire dal
regno del peccato e della morte per entrare nel regno della grazia, della amicizia e della
libertà dei figli di Dio. In 1Cor 10 Paolo legge l’esperienza cristiana alla luce del
comportamento di Israele nel passaggio del mare e nella attraversata del DESERTO. "Tutto
avvenne a loro come PROFEZIA, PREFIGURAZIONE, TYPOS ma è stato scritto per noi
che viviamo negli ultimi tempi" (vv 6. 11).
Un altro passo indicativo si incontra nella 1Pt 1,13ss.
Soprattutto sotto qs aspetto l'esodo ci interessa ; ci rivela e ci aiuta ad approfondire la
identità cristiana e la stessa missione cristiana.
SCHEMI - TERMINI - SIMBOLI
Prima di avviare lo studio è opportuno chiarire anche qs ulteriori elementi.
Schemi
L'esodo è presente nei testi biblici, è raccontato e descritto secondo un duplice
schema, binario o ternario, a due o a tre membri
La Legge del Signore
120
Lo schema BINARIO nelle sua formulazione-base si articola così :
Dio fa uscire Israele dall'Egitto
Dio fa entrare Israele nella Terra,
Comprende quindi due elementi essenziali : uscire ed entrare. Qs schema appare nei testi più
antichi ad es in Dt 26 o in Gn 15.
Nello schema TERNARIO si inserisce, come dice il nome, un terzo elemento : il DESERTO
che bisogna attraversare. Dio conduce Israele attraverso il deserto. Si incontra in testi più
recenti come Gs 24 ; Dt 11,2-5 ; Neemia 9
- Qs a livello letterario è lo schema-base. Si può chiamare anche struttura fondamentale,
pattern o con terminologia desunta dalla linguistica il sintagma dell'esodo. La parola proviene
dal verbo greco "syn-tatto", pongo insieme, coordino. Si tratta della coordinazione, dello
sviluppo della frase, la coerenza della frase nei suoi elementi costitutivi.
Termini o Paradigmi
I membri del sintagma sono formati da singoli termini. Qs sono sostituibili, possono
essere rimpiazzati da elementi analoghi. L'intelaiatura rimane insieme mentre i membri sono
scomponibili e possono ricevere pezzi di ricambio. Le variabili del sintagma, gli elemento
sostituibili sono i paradigmi.
E' come in uno SPARTITO MUSICALE : la melodia, il dativo musicale che
predomina si può paragonare al sintagma ; mentre la armonia, gli accordi di
accompagnamento costituiscono i paradigmi.
- Sembrano nozioni astratte e inutili. Non lo sono in realtà, hanno efficacia metodologica,
perché aiutano a capire testi letterari e la Bibbia appartiene alla letteratura. L'Es come oggetto
immediato di studio è un libro, un fatto linguistico e letterario.
Di più ; la individuazione degli schemi fondamentali aiuta a costruire una teologia
biblica fedele al testo e non impostagli dall'esterno. Gli elementi dello schema dell'esodo
sono altrettanti capitoli di teologia. Dividiamo le parole e troveremo come procedere.
Procedendo nella conoscenza di testi i termini dell'Es si arricchiscono ed è possibile costruire
delle vere colonne di paradigmi.
Simboli
L'esperienza religiosa dell'es è diventata per Isr un simbolo archetipo ha influenzato il
modo di pensare e di vivere di qs popolo. Il fatto storico ha fatto da supporto ad esperienze
religiose profonde. Ad es l'Egitto, il deserto, il mere, la terra hanno acquistato una
dimensione metaforica e metastorica, sono diventati rivelativi e comunicativi di qualcosa di
più profondo e permanente. Hanno anticipato l'esperienze cristiana. Israele è un grande
simbolo dell'umanità. La Bibbia non esibisce tanto concetti, verità di fede, ma piuttosto
simboli ; il linguaggio biblico è principalmente simbolico. Occorre rispettare qs
impostazione.
LO SFONDO STORICO DELL’ESODO
Prima di addentrarci nello studio dettagliato dello schema dell'esodo nei suoi vari
elementi costitutivi, conviene premettere - analogamente a quanto si è fatto per la Genesi a
proposito dell'epoca patriarcale, alcune considerazioni sullo spessore storico del fatto. Si
ricorderà che questo capitolo non fu affrontato nello studio delle Storia di Israele in epoca
biblica. Giunge a proposito la sintesi che di questo tema ha fatto Rita BURNS nel già citato
numero di "Concilium" 1/1987 pp 23-26 che qui riporto per intero :
La Legge del Signore
121
"Il libro dell'Esodo è letteratura teologica. Per sapere qualcosa riguardo ai fatti storici che
costituirono il materiale grezzo della testimonianza del libro occorre risalire all’indietro, al di
là dello schermo teologico che inquadra questi eventi. Ciò comporta il recupero del dato
storico. Bisogna chiedersi : 'Che cosa accadde veramente ?' Poiché nessuno degli eventichiave raccontati nel libro dell'Esodo è fermamente documentato in fonti extra-bibliche, gli
storici devono limitarsi a mettere insieme elementi da materiale biblico e non biblico, nel
tentativo di arrivare ad una ricostruzione plausibile dei fatti. Ciò che segue è una breve
panoramica dei risultati di tali investigazioni.
Primo, mentre materiali extra-biblici non documentano mai la presenza di Israele in
Egitto, essi mostrano che non era insolito per stranieri recarsi in Egitto, specialmente nel
confine orientale della regione del delta, per sfruttare le risorse create dall'annuale
straripamento del Nilo. Testi egiziani mostrano che l'impero offriva la possibilità di ingresso
e accesso alle aree fertili. Così, la situazione che portò la famiglia di Giacobbe in Egitto, così
com'è descritta nel libro della Genesi, è del tutto plausibile.
Secondo, gli studiosi hanno trovato documentazione di influssi semitici sulla lingua
egiziana. Alcune ricerche suggeriscono che l'influsso semitico fosse preminente in modo
particolare nella regione nord-orientale del delta, un'area identificata con la 'terra di Goshen',
deve si dice siano vissuti gli antenati d'Israele (Gn 45,10 ; 46,28). Allo stesso tempo, Mosè ed
altre figure del periodo dell'esodo (ad esempio, Hofni, Pincas) portavano nomi egiziani.
Quest'influenza linguistica reciproca è stata citata come documentazione della probabilità
storica che antenati semitici d'Israele si trovassero in Egitto al tempo dell'esodo.
Terzo, fonti egiziane mostrano che governanti della diciannovesima dinastia
cominciarono a organizzare attività di costruzione nella regione orientale del delta, alla
frontiera dell'impero. Le costruzioni iniziarono durante il regno di Sethos II (c. 1305-1290) e
furono completate da Ramses II (c. 1290-1224). Il progetto comportava probabilmente
dimensioni considerevoli e comprendeva magazzini e uffici amministrativi, nonché una
residenza regale. Fonti egiziane chiamano tale residenza "la casa di Ramses amato di Amun,
grande nel potere vittorioso". Fonti egiziane indicano anche che tra i gruppi di popolazione
costretti a lavorare a tale progetto c'erano hapiru (o 'babiru o 'apiru), popolazione che non
godeva di diritti civili di cui invece godevano i cittadini dell'impero. Tali gruppi si trovarono
in Egitto tra il XV e il XII secolo aC. Questa informazione da fonti egiziane è parallela alla
testimonianza biblica secondo la quale schiavi ebrei furono costretti a costruire le cittàdeposito di Pito e di Ramses (Es. 7,11 ; alcuni linguisti vedono somiglianze tra il termine
ebreo e 'habiru o 'apiru). Mentre materiali extra-biblici non dicono specificamente che gli
antenati d'Israele erano schiavi in Egitto, essi sostengono l'autenticità generale della
situazione descritta in Es 1,11.
Infine, se Es 1,11 è storicamente attendibile, esso fornisce un qualche orientamento
per datare l'evento dell'esodo. Gli antenati d'Israele devono essere stati in Egitto durante il
regno di Sethos e probabilmente anche durante il tempo di Ramses. Il più antico riferimento
extra-biblico ad un popolo detto Israele appare su una stele risalente al 1120 circa aC, che
celebra le vittorie in Palestina dei successore di Ramses a Menerptah. Molti studiosi uniscono
tra loro la documentazione secondo cui : a) 'Israele' si trovò nella terra della Palestina verso la
fine dei sec. XIII e b) ebrei (si legga 'habiru) lavorarono in progetti di Costruzione sotto
Ramses II, per arrivare a concludere che l'esodo ebbe luogo nel sec. XIII aC. , probabilmente
nei primi anni del regno di Ramses.
La Legge del Signore
122
L'argomento che più interessava gli scrittori biblici è l'esodo in sé. Che cosa si può
dire storicamente sul movimento del popolo oppresso verso la libertà ? Molto poco, o nulla. Il
racconto delle piaghe ha origine nella tradizione cultuale della pasqua. Benché siano state
proposte numerose località dove il popolo avrebbe attraversato il mare, nulla si può dire con
certezza sull'evento del Mare dei giunchi così come è narrato in Es 14-15. Con l'eccezione di
Kadesh, i luoghi della peregrinazione nel deserto menzionati dalla bibbia sono sconosciuti.
Materiali egiziani antecedenti l'esodo ricollegano il termine yhw' a gruppi nomadi in Arabia e
alcuni studiosi sostengono che è stato uno di questi gruppi a portare il culto di JHWH al Sinai
prima che il gruppo dell'esodo attraversasse il deserto. Di fatto, il racconto biblico
dell'esperienza d'Israele al Sinai-Horeb non può essere storicamente documentato. La
collocazione del monte è sconosciuta e non c'è alcuna documentazione probante al di fuori
della bibbia che sostenga la concezione biblica secondo cui il patto e la legge hanno avuto
origine colà.
In conclusione, mentre è impossibile documentare storicamente la testimonianza del
libro dell'Esodo, materiali extra-biblici mostrano che alcune delle situazioni descritte nel testo
biblico (specialmente la schiavitù in Egitto) non sono affatto improbabili. In assenza di prove
storiche, gli studiosi sono praticamente unanimi nel sostenere che c'è stato un evento effettivo
in cui alcuni elementi di un popolo, più tardi conosciuto come Israele, abbandonarono la
propria condizione di soggezione ad un governo imperiale oppressivo in Egitto, e, con la
guida di Mosè, raggiunsero la libertà. Questo gruppo (o i suoi figli) e forse altri
successivamente uniti ad esso, portò in Canaan memorie dell'esodo, dell'asprezza del deserto,
e di un profondo incontro con Dio, JHWH, al quale il gruppo stesso si legò con un'alleanza. "
Nb ! A questo punto, dopo l’impostazione generale, la premessa teologica circa il significato
e la portata dell'Esodo per la comprensione della storia di Israele e per la fede biblica, dopo la
messa a punto del fondale storico, entriamo nel vivo di questo trattatello di teologie biblica. I
capitoli corrispondono ai singoli elementi del sintagma individuato e ai loro valori sostitutivi.
Incominciamo con lo studio del verbo "uscire" nel vocabolario della Bibbia.
NOTA FILOLOGICA : L'USO DEL VERBO"USCIRE" IN RAPPORTO ALL'ESODO
Premessa
Il verbo uscire è il termine usuale adoperato dagli autori per indicare la liberazione. Nel solo
libro dell'Esodo è riportato 94 volte (62 nella forma attiva Qal, 32 volte nella forma causativa
Hifil). Di istinto ci appare un termine povero, assai generico.
In realtà non è così : uscire è una esperienza umana radicale, la fanno tutti. Dal punto di vista
fisico indica semplicemente un passaggio spaziale da un luogo chiuso a un altro. Questo fatto
quasi banale è il supporto, la base di partenza per altre esperienze umane che possono
diventare pregnanti.
Uscita come nascita
Troviamo agli inizi di ogni persona l'uscire dal grembo materno, il fatto della nascita.
Esperienza universale, fondamentale, anche se vissuta in modo inconsapevole. La psicologia
però ha messo in luce l'importanza del fatto nel futuro dell'individuo, i risvolti che esso
possiede nello sviluppo della persona.
Si parla del trauma della nascita ; c'è una bipolarità che connota il fatto del nascere e
che poi contrassegna l'esperienza di vita di ciascuno. Da una parte la nascita è autonomia,
La Legge del Signore
123
libertà, separazione dal corpo materno, viene reciso il cordone ombelicale, incomincia
l'avventura personale del vivere e d'altra parte è perdita della sicurezza, è abbandono del nido,
di un ambiente caldo, protettivo per assumere il rischio di una vita autonoma. Si nasce
piangendo come reazione ad un ambiente nuovo, sconosciuto.
Nel linguaggio dell'AT parecchie volte il termine uscire è usato per indicare il nascere,
evidentemente senza annotazioni psicologiche.
^ Gn 25,25-26 : si racconta la nascita di Esaù e Giacobbe : … uscì il primo rossiccio, uscì il
fratello ... Uscire per primo è un fatto importantissimo dal punto di vista giuridico, perché
determina la primogenitura con diritti particolari. Il figlio primogenito è la "primizia del
vigore del padre" (Gn 49,3).
In qs caso però Dio scavalca le leggi della cultura, perché sceglie il cadetto, la linea
della elezione passa attraverso Giacobbe, non Esaù. "Ha amato Giacobbe, e odiato Esaù"
(Mal 1,2) cf per un caso analogo Gn 38,28 29
^ Ger 1,5 : ... prima che tu uscissi dall'utero ti ho consacrato ... Il profeta avverte la chiamata
di Dio come qualcosa di innato, che appartiene alla radice della sua persona, alla struttura
profonda del suo essere, un qualcosa che soltanto le morte potrà annientare
cf Ger 20,18 la preghiera più audace dell'AT
^ Qoh 5,14 : qs maestro di sapienza considera la vanità della vita a partire dal fatto della
NUDITA' della creatura umana quando esce del grembo materno per entrare nel grembo della
terra. "Anche questo è un brutto malanno : che se ne vada proprio come era venuto" (5,15).
Altri testi sapienziali utili sono Gb 1,21 ; 10,18 ; Gir 40,1
Nb ! La Bibbia non descrive mai l'Esodo come una nascita del popolo ; neppure
esplicitamente adopera l'immagine del seno materno per qualificare l'Egitto, quantunque il
soggiorno assuma la funzione biologica di moltiplicare il popolo (cf Es 1 ,6).
cf J. CAZEAU, Naitre en Egypte : Exode 1-7,7. Etude littéraire in RHPhRel 1980/4 pp 401428.
Espressione bipolare
Si incontra frequentemente nei testi biblici la coppia verbale "uscire-entrare". Si tratta di una
locuzione bipolare = si indica la totalità segnalandone gli estremi.
Qs espressione connota la totalità della vita umana dall'uscita dal seno materna all'entrata nel
grembo della terra. Non bisogna materializzare le immagini ma decodificarle cioè percepirne
il valore.
Gli esempi che si possono riportare sono innumerevoli.
^ Dt 28,6. 19 : Sarai benedetto quando entri e sarai benedetto quando esci ... Sarai maledetto
quando entri e sarai maledetto quando esci.
^ 1 Re 3,7 : il contesto è quello del sogno di Gabaon con la preghiera di Sal a Dio per
conseguire la sapienza : " ... ebbene io sono un ragazzo, non so come REGOLARMI ... " Lett.
"non so come uscire ed entrare" = non ho esperienza della vita e tanto meno del governo.
^ s. 121,8 : "Il Signore veglierà su di te, quando entri e quando esci, da ora e per sempre". Cf
salmo 139,2-3 "Tu sai quando mi seggo e quando mi alzo ... mi scruti quando cammino e
quando riposo" = tutta la mia vita o Signore si sviluppa sotto il tuo sguardo.
Questo linguaggio passa anche nel NT ; la venuta di Gesù nel mondo è presentata
come un'uscita dal grembo del Padre.
Mc 1,38 : "Andiamocene altrove perché io predichi anche là, per questo infatti sono uscito".
La Legge del Signore
124
Gv16,28 : "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, ora lascio di nuovo il mondo e
vado al Padre". Altri testi giovannei : 8,42 ; 13,3 ; 17,8.
At 1,21 : "per tutto il tempo in cui il Signore Gesù è ENTRATO ed è USCITO in mezzo a
noi". La convivenza con il Gesù storico nella tappa del suo ministero pubblico è giudicata
condizione necessaria per integrare il numero dei Dodici e diventare testimoni del Risorto.
Uscire come emigrare
Il fenomeno umano delle emigrazioni è pure indicato con il termine uscire. Fatto usuale
nell'antichità, ma presente anche nel mondo d'oggi : spostamenti in massa della popolazione
alla ricerca di migliori condizioni di vita : Pilgrim Fathers, boat people... in Italia il fenomeno
migratorio verso le Americhe all'inizio del secolo, dal Sud al Nord nel dopoguerra ...
Qui l'esperienza è collettiva, è un fatto sociale, talvolta costitutivo della identità stessa di un
popolo ; l'uscire insieme può fondere le persone in un unico destino.
^ Gn 10,11. 14 : "Da quelle terra uscì ASSUR ... Caftor, da dove uscirono i Filistei".
Qs capitolo contiene la "Tavola dei popoli". La famiglia umana è distribuita in TRE blocchi
non in base al colore della pelle, delle razze, ma a partire dalle sfere di influenza, cioè del
potere esercitato all'epoca in cui il testo viene redatto. Notare anche il linguaggio della
SAGA.
^ Am 9,7 : qs è un testo assai rivelativo. Si parla di tre uscite migratorie ; all’esodo di Isr è
accostato quello dei Filistei ed Aramei. Il soggetto, il protagonista è dappertutto : DIO ; egli
non agisce solo nella storia di Israele, ma anche nella vicenda degli altri popoli.
Guai a considerare l'uscita dall'Egitto come un privilegio da cui il popolo possa trarre
motivo di vanto, al contrario ; il dono genera responsabilità : cf Am 3,2. Se poi Israele non
crede allora il suo esodo diventa fatto profano come quello vissuto da altri popoli.
Contesto militare
Si tratta dell'uscita in battaglia, lasciare l'ambiente protetto, pacifico della città o
dell'accampamento per affrontare il nemico in campo aperto.
Gn 14,8 "Allora il re di Sodoma, il re di Gomorra ... uscirono e si schierarono a battaglia nella
valle di Siddim"
1Sm 17,4 "dall'accampamento dei Filistei uscì un campione, Golia ... "
L’immagine della uscita in battaglia è ripetutamente applicata a Dio proprio a partire dalla
esperienza dell'Esodo.
s 81, 6 (TM) : "Lo ha dato come testimonianza a Giacobbe, quando uscì contro il paese di
Egitto" = lemisraim (cf la traduzione corretta di BJ e TOB).
Is 43,13 : "Il Signore esce come un prode, come un guerriero eccita il suo ardore".
Nel lamento del popolo : "più non esci Dio con i nostri eserciti" così nei salmi 44,10 e 60,12.
Per il NT cf Mt 26,55 "Siete usciti come contro un brigante".
"USCIRE" NEL LIBRO DELL’ESODO
Una triplice uscita viene raccontata nel libro dell'Esodo ; l'uscita del popolo è
preceduta da quella di Dio ed è prefigurata de quella di Mosè.
L’USCITA DI MOSÈ
Colui che sarà il mediatore della liberazione collettiva deve previvere e prefigurare in sé il
destino del popolo.
La Legge del Signore
125
Il dato della tradizione biblica ci indica che la vita di Mosè attraversò tre fasi di quarant'anni
ciascuna (cf At 7,17-44 ;Nm 14,34) : quarant'anni di permanenza in Egitto ; quarant'anni di
vita presso i Madianiti nel deserto e 40 per attraversare i deserti della penisola sinaitica e
giungere sugli altipiani di Moab di fronte a Gerico, dove Mosè mori (cf Dt 34,1-12).
Complessivamente visse 120 anni : una cifra simbolica, superiore ai 110 anni di vita ideale
dei nobili egiziani ; 120 è multiplo di 40 e sta ad indicare indubbiamente tre fasi molto
diverse tra loro nella vita di quest'uomo.
Se intendiamo il periodo di quarant'anni come lo spazio medio di durata di una generazione,
allora possiamo interpretare la cifre come la espressione di una esperienza completa, "una
vita" !
cf G. RIZZI, Mosè : la storia di una vocazione, dispense PIME Milano 1983
- H. CAZELLES, Alla ricerca di Mosè, LoB 3. 2 Queriniana, Brescia 1982
- C. M. MARTINI, Vita di Mosè, Pro manuscripto
Qui ci interessa il momento di passaggio tra il primo e il secondo periodo, l'uscita di Mosè
raccontata in Es 2,11-15.
Diventato adulto, Mosè lascia l'ambiente raffinato e borghese della corte, dove aveva ricevuto
l'educazione eccellente riservata ai funzionari del Palazzo, ed ha un primo impatto con la dura
realtà della sua gente. "La formazione egiziana non cancella il senso ancestrale della sua
appartenenza ad un altro popolo, né il senso della giustizia che in quest'uomo è molto vivo"
(Rizzi).
L'autore di Ebr 11,24-25 commenterà in termini lirici così : "Rifiutò di essere chiamato figlio
della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio, piuttosto che
godere per breve tempo del peccato".
Nonostante l'educazione ricevuta rimane un uomo istintivo e reagisce immediatamente alla
violenza perpetrata nei confronti dei suoi fratelli ed uccide l’egiziano aggressore
seppellendolo nella sabbia. Esce una seconda volta e cerca di dirimere una controversia
scoppiata tra due ebrei (triste scena dei poveri che lottano tra loro !). "Il giorno dopo si
presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si adoperò per metterli d'accordo,
dicendo : Siete fratelli ; perché vi insultate l'un l'altro ?" (At 7,26).
Ma è costretto ad esperimentare subito la incomprensione e la ostilità dei suoi ; un popolano
qualunque lo paralizza con due battute azzeccate : "Chi ti ha costituito capo e giudice su di
noi ? Pensi forse di uccidermi, come hai ucciso l'Egiziano ?" (Es 2,14).
"Egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo
suo, ma essi non compresero" (At 7,25).
Questa "uscita" di Mosè rientrava in un calcolo della corte. "Faceva parte della politica
faraonica scegliere alcuni tra gli immigrati e formarli in modo tale che rappresentassero gli
interessi della corte egizia in Asia anteriore o presso il sottoproletariato straniero in Egitto. Si
trattava di trovare soggetti capaci di seguire le scuole diplomatiche e regie della corte per
diventare scribi (Es 5,15. 19-22). In queste scuole si studiavano e si ricopiavano testi
importanti per la organizzazione sociale e politica del paese. Lo scriba imparava a tenere il
catasto, ad apprendere le lingue, riscuotere le tasse e i canoni di affitto, mantenere le relazioni
con l'estero attraverso la corrispondenza diplomatica del faraone, conoscere la legge interna e
il diritto internazionale, le culture straniere ; viveva la sua formazione a diretto contatto della
corte egiziana, affollata di ambasciatori, stimolata da una fortissima rete di relazioni
diplomatiche" (Rizzi) .
La Legge del Signore
126
"Così Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e
nelle opere" (At 7,22).
Questi funzionari, addomesticati dal potere, foraggiati da esso, dovevano poi fare da
intermediari presso la massa degli sfruttati, da cui originariamente provenivano. "Nel
racconto biblico si cela una realtà cruda, caratterizzata dal freddo calcolo umano" (Rizzi).
Il comportamento di Mosè mostra che egli non si è lasciato integrare dall'ambiente protettivo
della corte, ma ha conservato nel cuore una passione istintiva per la giustizia, che, come
abbiamo visto, ha subito modo di esplodere. "In ogni caso sorprende la brevità della sua
esperienza di intermediario tra la corte egiziana e il mondo ebraico : due giorni (cf Es 2,1115)" (Rizzi).
Probabilmente si è illuso ; pensava di avere i suoi immediatamente dalla la sua parte, "ma
forse non conosceva ancora la gente che grida per la sofferenza, senza però essere disposta a
fare nessun sacrificio per uscirne, perché è già ubriaca di dolore e trova una strana
convivenza con la sua miseria. Le paure di questa umanità sono più forti delle sue aspirazioni
e il rischio della libertà può far apparire invidiabile e migliore ciò che è miserabile" (Rizzi).
Il testo lascia anche intuire come la violenza risulti improduttiva, se non è accompagnata da
una adeguata sensibilizzazione delle coscienze. Conseguenza delle duplice "uscita" di Mosè è
che si ritrova solo. "Allora Mosè fuggì dal faraone". Qui c'è un termine sostitutivo. Mosè
ormai ha tagliato il cordone ombelicale con la corte, ne ha tradito le attese, è nei registri della
polizia, è braccato, deve riparare in terra straniera. Questo stato di persecuzione prefigura gli
Ebrei inseguiti dagli Egiziani.
E nel suo popolo non è riuscito ad "entrare", è stato subito rifiutato. ''La sua carriera, così
come gliela avevano presentata alla corte era finita ; ma era preclusa anche qualsiasi altra
possibilità di farsi capire e accettare dal suo popolo. Lui stesso forse probabilmente non era
ormai più disposto o capire e accettare il suo popolo" (Rizzi).
L’USCITA DI DIO
E’ raccontata in Es 11,4-8. E’ l'uscita per la decima piaga. L'intervento del Signore riceve qui
una connotazione militare. Dio esce nel cuore della notte a colpire i primogeniti egiziani, per
mostrare chiaramente che sa distinguere tra oppressi ed oppressori : "perché sappiate che il
Signore fa distinzione fra l'Egitto e Israele" (11,8).
L'uscita di Dio è inizio e garanzia di quella del popolo : "Esci tu con tutto il popolo che ti
segue".
La realizzazione della minaccia si ha in 12,29 ; "A mezzanotte il Signore percosse ogni
primogenito nel paese d'Egitto".
L’USCITA DEL POPOLO
Per ora è sufficiente segnalare il semplice uso del termine. L'episodio è narrato in 12,31-41.
Dietro la pressione dei fatti gli Egiziani lasciano partire Israele nel cuore della notte in un
clima di precipitazione.
12,41 : "al termine dei 40 anni proprio in QUESTO GIORNO tutte le schiere di Israele
uscirono del paese di Egitto"
12,51 : "Proprio in questo giorno il Signore fece uscire gli Israeliti dal paese di Egitto,
ordinati secondo le loro schiere".
13,18 : "Gli Israeliti ben armati uscivano dal paese di Egitto"
14,8b : "Gli Israeliti uscivano a mano alzata"
La Legge del Signore
127
L’aggettivo "questo" risale all’uso liturgico del brano. Il popolo che celebra la Pasqua si
considera contemporaneo dell’evento.
"A mano alzata" significa liberi, trionfanti, non ricurvi o piegati su sé stessi.
ESODO E RIVELAZIONE
PREMESSA
Qs rapporto è importante per una corretta impostazione della teologia della liberazione oggi.
In questo atto storico del passaggio di Israele dalla oppressione alla libertà che posto tiene
Dio ?
Nello schema dell'Es, Dio è il primo termine che incontra : è lui che fa uscire, il
protagonista, il primo attore, è il ritornello quasi antifonale :
Dio ci ha fatti uscire dal paese di Egitto !
Nel momento della liberazione Israele fa una esperienza particolare di Dio, conosce YHWH
il suo proprio Dio.
E' proprio la presenza del Signore che trasforma la vicenda in storia di salvezza. Proviamo a
porre alcune domande scomode !
a) Perché Dio si interessa di Israele ? Perché interviene ?
A motivo della elezione. Perché lo ha scelto come suo popolo, ha stretto un legame
particolare con i padri di questo popolo.
In 2,23-25 si accenna alla sofferenza, al carico intollerabile del popolo e al clamore che ne
consegue ; cf i verbi : Dio ascoltò, si ricordò delle sua alleanza ... guardò la condizione, se ne
prese cura (li visitò).
Ugualmente in 3,7 : "Ho veduto, ho veduto la miseria del mio popolo".
Questo rapporto Dio-popolo viene presentato nello schema delle paternità.
Cf 4,22-23 Israele è considerato da Dio come il bekor = figlio primogenito. Dio ragiona e si
comporta come un padre, che ritiene fatto a se stesso quanto si fa al suo bambino in bene in
male. Qui il disprezzo verso il popolo viene reputato da Dio un oltraggio alla sua stessa
persona ; interviene a proteggere e difendere la sua creatura.
Non sembra si possa affermare che Isr viene eletto perché popolo oppresso : la elezione
rimonta ai patriarchi, la promessa precede, riposa sulla libertà e sull'amore di Dio.
b) Allora la oppressione non aggiunge nulla ? Tutt' altro ! Nel momento della oppressione
Dio offre un diverso livello di rivelazione. Si manifesta come YHWH, confida il suo nome
proprio, il Tetragramma sacro ; si dà a conoscere come il Dio vicino, come il liberatore.
Occorre la conoscenza della liberazione e del suo artefice.
- Dio non solo libera Israele, ma dona a Israele la consapevolezza di essere liberato, suscita
nel popolo la fede nella liberazione. Qui troviamo la specificità dell'esodo di Israele, il
riconoscimento di Dio in quel fatto storico.
La rivelazione nella liberazione : cf il c 3 con il racconto delle vocazione e missione di Mosè.
L'iniziativa parte da Dio, il popolo da solo si limita a gridare, ha come arma il pianto
soltanto esattamente come un bambino ; non è appello rivolto in particolare a Dio, ma Dio lo
capta perché è il pianto dell'oppresso.
Questo intervento di Dio poi diventa come un fermento ; il discorso di liberazione non mette
in crisi solo Mosè, ma il popolo stesso. Israele incomincia a rendersi conto del progetto di
Dio ed è invitato a collaborarvi.
La conoscenza del vero Dio diventa fonte di impegno, le fede non è qui oppio, non
addormenta, diventa al contrario stimolo all'azione. E' il messaggio chiaro di 6,2-8 ; 13,3-10 ;
18,1-12.
La Legge del Signore
128
Questo ha ripercussioni anche dal punto di vista missionario : non basta essere salvati, ma fa
parte della dignità della persona la coscienza di essere salvati. La fede come riconoscimento
dell'azione di Dio è tutt'altro che inutile, è un di più che accresce la coscienza storica.
Come ad un bambino non basta essere amato, occorre che si accorga di questo, che
percepisca come tali i gesti di amore : "Vi manca il meglio ... che i giovani non solo siano
amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati, amati in quelle cose che loro piacciono,
con il partecipare alle loro inclinazioni giovanili" (Don Bosco, "Lettera da Roma" il 10
maggio 1884).
c) si può parlare di Dio ad un popolo oppresso ? Si può conoscere e lodare Dio in Terra di
oppressione ?
Sì, purché si presenti un Dio solidale e liberatore. Cioè una fede che non sia oppio,
rassegnazione davanti alla ingiustizia, ma stimolo al cambiamento.
La fede in YHWH ha la caratteristica della spinta al cambiamento ; il Dio degli Ebrei
esige libertà per il suo popolo. La rivelazione avvia il processo di liberazione ; le cose
incominciano a cambiare perché Dio interviene. Si dà a conoscere a Mosè e fa passare nel
suo cuore l’ansia della libertà per il suo popolo e Mosè dovrà a sua volta essere interprete dei
disegni di Dio nei riguardi di Israele .
"Il Signore Dio è apparso a noi" cf Es 3,16-18 ; 5,3
Da qs premessa scaturisce la domanda di libertà per Israele oppresso.
Il kerygma dell’esodo, il primo annuncio che viene portato è proprio questo : non dovete
rassegnarvi a questa situazione, il vostro Dio vuole libertà per voi, è deciso, supererà ogni
resistenza. Impresa difficile ; cf Es 6,9
TRE PAGINE PER APPROFONDIRE IL RAPPORTO LIBERAZIONE-RIVELAZIONE
a) Es 6,2-8 : appartiene alle Scuola Sacerdotale. In origine era il racconto della vocazione di
Mosè secondo P e quindi un testo parallelo di Es 3 di matrice J ed E. A livello redazionale,
cioè nella composizione finale del racconto, la pericope in questione, rappresenta una
riconferma - ratifica di Dio in ordine alla missione di Mosè. Il Signore rinnova la sua fiducia
al mediatore dopo il suo primo "fiasco" nella ambasciata presso il faraone.
- Stilisticamente il testo offre una struttura concentrica : il cuore è rappresentato da tre verbi
sostitutivi : liberare (nsl), riscattare (g’l), prendere (lqh). Tipica di P è anche la formula di
autopresentazione : "Io sono Il Signore" che appare all'inizio, alla fine e due volte al centro.
E’ come la firma che garantisce la bontà del prodotto, l'autenticità dell’asserto.
- Contenutisticamente possiamo segnalare questi elementi :
^ Anche per il Sacerdotale la rivelazione del Tetragramma divino appartiene al tempo
dell’esodo. Si incontra anche l’espressione "far sorgere il patto".
^ Cambia anche il senso dell’alleanza : mentre per D è un impegno mutuo, bilaterale, per il
Sacerdote invece essa è gratuita, non esige contropartite e si identifica con la promessa o il
dono della terra.
^ la terra promessa ai patriarchi riceve il titolo di "terra di peregrinazione". Solo al popolo
liberato verrà dota in possesso. Su quella terra si è impegnata solennemente la Parola di Dio,
"alzando la mano" = gesto rituale del giuramento
^ La memoria, di cui la pericope parla, è in Dio fattore di coerenza e di identità. Il ricordare
non è in Dio un puro atto mentale ; al richiamare alla mente fa sempre seguito un intervento
efficace (cf l'accumulazione dei verbi attivi). Il "riscattare" è un obbligo che gli deriva da un
La Legge del Signore
129
rapporto di solidarietà con gli antenati del popolo. E Dio non pagherà alcuna somma, perché
gli Egiziani non ne hanno diritto ; agirà, con forza (" braccio teso" ) e con un processo
solenne (vittoria in termini militari e di giudizio).
^ Finalità della azione divina è la adozione, l'alleanze nei termini di un riconoscimento
vicendevole : "diventerete mio popolo e io diventerò il vostro Dio".
Elemento fuori dallo schema in 3 e 7 è l’uso del verbo yd' = conoscere, riconoscere ;
"affinché sappiate…" Dio non vuole solo liberare, desidera che il popolo divenga
consapevole del suo riscatto, ci vuole 1a risposta della fede. Non basta l'azione di Dio nella
storia, occorre che l'uomo riconosca, accetti, aderisca, creda.
b) Es 23,3-10 : questa pericope è di carattere rituale. L'autore inforca gli occhiali della
memoria liturgica.
Il testo inizia infatti con un appello : "Ricordati di questo giorno".
L'evento storico della liberazione entra nel patrimonio imperituro di Israele, domanda di
essere commemorato e rivissuto nel rito. "Questo giorno" acquista una dimensione che lo
supera, lo trascende, condensa in sé una esperienze nella quale devono essere coinvolti tutti i
discendenti. Il fatto diventa normativo, fonda la legge della sua ripetizione.
^il rito che ricorda e attualizza è quello degli "azzimi", cioè la settimana dei "pani senza
lievito", il cui significato preciso verrà descritto più avanti nel capitolo riguardante la Pasqua.
Il termine "uscire" ricorre cinque volte e porta come soggetti sia il popolo che Dio :
nell'uscita storica di Israele, la fede riconosce la presenza attiva di Dio : "è il Signore che vi
ha fatti uscire di là" (v 3).
Quando in un avvenimento storico sono capace di captare l'opera di Dio, allora proclamo la
"historia salutis".
^ Non sfugga al v 5 l'elemento catechetico : l'istruzione del padre al figlio sul senso del rito
che si compie. Questo fa parte di ciò che in termini tecnici viene chiamato "haggada" di
Pasqua, cioè narrazione dei "mirabilia Dei" connessi alla istituzione del rito e della festa.
^ Il v 9 introduce altri sinonimi come "segno" e "memoriale" che connotano ulteriormente la
celebrazione pasquale e la caricano di valore. Menziona poi insieme "mani, occhi, bocca" : è
la corporeità umana coinvolta nel rito. "Si tratta originariamente di tatuaggi sulla mano e di
ciondoli che scendevano dalla fronte fino alla base del naso ... il giudaismo posteriore intese
nuovamente in senso letterale questo linguaggio metaforico ed ha basato l'usanza delle strisce
di cuoio intorno alla mano e alla fronte sui passi vt sopraccitati" (Noth).
c) Es18,1-12 : questa pagina racconta l'incontro di Mosè con Jetro al Sinai. Il significato
rivelativo dell'esodo viene colto anche da questo sacerdote madianita e quindi pagano.
^ L'episodio è strutturato da una frase che si ripete quattro volte : "tutto ciò che il Signore
aveva fatto". La conoscenza delle opere di Dio causa anche al di fuori del popolo eletto fede,
ammirazione, gioia, festa, culto ...
^ I vv 3-4 : ci interessano perché i nomi dei figli di Mosè riassumono i fatti come memoria
viva ; un figlio ricorda la vita in Egitto come stranieri, l'altro figlio ricorda la liberazione di
Mosè. Vediamo ora più da vicino la trama degli elementi.
^ Nello spazio domestico della tenda, dopo i segni della accoglienza e della ospitalità, ha
luogo il racconto delle esperienza di fede. Essa suscita in Jetro un'atmosfera di gaudio
spirituale (v 9). La narrazione è davvero "vangelo", cioè "buona novella".
La Legge del Signore
130
^ Il cuore in festa ha bisogno poi della bocca e della voce per esprimersi e cantare. Sulle
labbra di Jetro fiorisce la "berakah ascendente", la preghiera dell'avvenimento, l'acclamazione
di lode riconoscente a Dio per i suoi doni.
^ Il v11 è un condensato di fede jahvista posto sulla bocca del sacerdote madianita : "ora io so
che il Signore è più grande di tutti gli dei".
^ La fede poi si esprime nel culto : "olocausto e sacrifici a Dio". Mentre nell'olocausto la
vittima che viene bruciata passa totalmente nella sfera del divino, gli "shelamim" = sacrifici
di comunione terminano nel banchetto e i partecipanti diventano commensali di Dio (cf
l'espressione "davanti a Dio").
- Non è difficile Scoprire in questa sequenza di elementi i costitutivi della eucaristia. Il testo
si presta ad una trasposizione eucaristica : racconto-memoriale, lode-benedizione, banchetto
di Dio, valore di annuncio e di missione legato al sacramento eucaristico ...
SIGNIFICATO DELL’EGITTO :
"POPOLO MIO ESCI DALL’EGITTO"
Premessa
E’ raro che il termine usuale "uscire" compaia da solo nei testi dell'esodo, normalmente è
seguito dal "terminus a quo".
Israele esce (Dio fa uscire Israele) dall'Egitto. Il punto di partenza della esperienza della
liberazione è il paese di Egitto.
Vediamo allora di approfondire qs elemento dello schema dell'esodo. Nei testi biblici l'Egitto
compare ripetutamente nelle tradizioni storiche, profetiche e sapienziali. L'Egitto inoltre
assume diverse sfaccettature, la parola contiene una pluralità di significati : assistiamo ad una
trasformazione della realtà evocata dal termine, vale a dire si verifica un passaggio dal piano
reale - storico ad un livello SIMBOLICO.
Il materiale è abbondante.
1)
L’EGITTO COME TERRITORIO FERTILE : qui siamo al piano geografico. E' nota la
celebre definizione dello storico greco Erodoto : "L'Egitto è il dono del Nilo". Non ci sarebbe
paese abitato d'Egitto senza la presenza del fiume che lo attraversa da Sud e Nord e che con
le sue periodiche inondazioni deposita un limo assai fertile sulle sponde, che permette una
florida vegetazione. Questo era vero ieri e lo è anche oggi : il NILO è essenziale per la
sopravvivenza dell'Egitto : tutta la sua acqua è impiegata o per lo sviluppo della energia
elettrica (diga di Assuan) o per la irrigazione, al Mediterraneo non arriva quasi niente.
Problema politico dei rapporti col Sudan (cf Zanotelli conferenza del 10. 4. 1984 a PR).
- Nei testi biblici appare come terra del grano, paese dell'abbondanza, luogo di emigrazione
quando in Canaan incombe la carestia.
Abramo scende in Egitto sospinto dalla fame in Gn 12,10 ; nella storia di Giuseppe i fratelli si
recano due volte in Egitto per acquistare frumento e così vivere e non morire (Gn 42,1-2 ;
43,1-2).
Si parla delle città-deposito per contenere i cereali Pitom e Ramses (Es 1,11). Già secondo il
"credo storico" di Dt 26,5 Israele "diventò una nazione grande, forte e numerosa" cf Es 1,7 "I
figli di Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu
ripieno" Funzione biologica di moltiplicare il popolo.
La Legge del Signore
131
- Il Dt per esaltare poeticamente (cioè trasfigurando la obiettività delle cose) la terra di
Canaan, prende la fertilità dell'Egitto come criterio di paragone.
Cf Dt 11,10-11 "Il paese di cui stai per entrare in possesso non è come il paese di Egitto dal
quale siete usciti e dove gettavi il tuo seme e poi lo irrigavi con il piede ; come fosse un orto
di erbaggi ; ma il paese che andate a prendere in possesso è un paese di monti e di valli, beve
l’acqua della pioggia che viene dal cielo ; paese del quale il Signore tuo Dio ha cura, e sul
quale si posano sempre gli occhi del Signore tuo Dio dal principio dell'anno sino alla fine"
2)
L'EGITTO COME REALTÀ STORICA : cioè come POTENZA POLITICA. La storia di
Israele ha interferito ripetutamente con l'Egitto dei Faraoni, rappresentando questi la potenza
del Sud e Israele il vaso di creta costretto a viaggiare tra vasi di ferro.
Sinteticamente si possono ricordare :
a) i predecessori di Israele in Egitto sotto l'oppressione di Ramses II° ;
b) la stele del Faraone Mernephta "stele di Israele" ;
c) le lettere di Tell El Amarna, che testimoniano il predominio dell'Egitto sulla Palestina nella
seconda metà del II° millennio ;
d) contatto con il regno salomonico e luogo di rifugiati : (1Re 11,14-25 : Hadad principe di
Edom ; 11,40 : Geroboamo ; Ger 26,20 Uria)
e) invasione del Faraone Seshonk nel 926 in 1Re 14,25-26
f) Giosia muore a Megiddo travolto dal Faraone Necao nel 609 in 2Re 23,9
g) Dominio dei Lagidi = Tolomei dopo il 300 fino al 198 battaglia di Banyas.Diaspora di
Israele in Egitto (Alessandria ed Elefantina).
3)
L’EGITTO COME TENTAZIONE : l'esperienza dell'Egitto appare talvolta nei testi biblici
come un richiamo nostalgico o come un traguardo da perseguire. Israele guarda con
ammirazione all'Egitto, ne subisce l'incanto, vorrebbe copiarlo, imitarlo.
a) In quanto terra dell'opulenza : questo capita nelle marce attraverso la aridità del deserto. Il
popolo provato dalla fame e dalla sete rimpiange il periodo delle schiavitù, quando c'era sì
mancanza di libertà però almeno si stava bene, si mangiava e si beveva.
Es 16,3 : "Fossimo morti per mano del Signore nel paese d'Egitto, quando eravamo seduti
presso la pentola della carne, mangiando a sazietà. Invece ci avete fatti uscire in questo
deserto per far morire di fame tutta qs moltitudine"
Nm 11,5 : "Chi ci potrà dare carne da mangiare ? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in
Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle, dell'aglio ... "
Qui il linguaggio è variopinto ; i morsi della fame fanno sragionare, fanno idealizzare l'amara
realtà della oppressione. Appare qui chiaramente la tentazione dell'uomo che preferisce il
possesso alla speranza ; corre il pericolo di tradire ideali solenni, impegnativi come le libertà
e la giustizia al soddisfacimento dei bisogni fisici primari come il mangiare e il bere.
Conflitto di valori tre il visibile e l'immediato ed il futuro e trascendente.
b) In quanto superpotenza : l'Egitto ha fatto gola ad Israele, lo ha lusingato anche come
potenza politica imperialista. La sua grandezza e forza militare sono state talora un richiamo
seducente. Israele ha voluto fare alleanza con l'Egitto, appoggiarsi sulla sua forza, imitarne la
politica imperiale.
Storicamente questo si è verificato con il re Ezechia in funzione antiassira sul finire
dell'VIII secolo e con Sedecia in funzione antibabilonese dopo il 598 aC (dopo la prima
deportazione).
La Legge del Signore
132
- Contro questa politica delle false alleanze si è scagliato il profeta della "Teopolitica", della
"politica della fede" cioè il ProtoIsaia. Questo materiale è condensato particolarmente nei cc
30-31 ; in essi il grande profeta si scaglia, lancia la invettiva contro la ambasciata di Ezechia
30,1ss: "Guai a voi figli ribelli ... che fate progetti da me non suggeriti, vi legate ad alleanze
che io non ho ispirate… siete partiti per scendere in Egitto senza consultarmi… La protezione
del Faraone sarà la vostra vergogna e il riparo all'ombra dell'Egitto sarà la vostra confusione,
vano e inutile e l'aiuto dell'Egitto"
31,1ss: "Guai a quanti scendono in Egitto per cercare aiuto, e pongono la speranza nei cavalli,
confidano nei carri perché numerosi e nella cavalleria perché molto potente SENZA
GUARDARE AL SANTO DI ISRAELE E SENZA CERCARE IL SIGNORE… L'egiziano è
un uomo e non un dio, i suoi cavalli sono carne e non spirito…"
Isaia è quindi contro una politica di armamenti, di ricorso alla forze e promette la sicurezza a
chi è debole, propone la scelta della fede. L'Egitto non può essere la salvezza di Israele ;
facendo alleanza con esso Israele smarrisce la sua identità di popolo salvato e protetto da Dio.
Se invece rimane piccolo, allora Dio sarà con lui per proteggerlo.
- Altrove in Is 36,6-9 l'Egitto è paragonato ed une canna spezzata che trafigge la mano di chi
vi si appoggia sopra. E' illusoria quindi la fiducia che Israele ripone nell'Egitto.
Cf anche Dt 17,16
4)
L'EGITTO COME CASTIGO : le situazione di oppressione che il popolo ha provato in
terra di Egitto, è diventata emblema-simbolo del castigo del Signore. Come pena per le
defezioni del popolo, il Signore minaccia di riportarlo in Egitto. Qs equivale chiaramente a
disfare la storia ; vuol dire distruggere tutto un passato salvifico, riportare la storia al punto
zero. Se ritornare in Egitto è la massime colpa da parte del popolo, rispedire in Egitto è il
massimo delle pena da parte di Dio : egli distrugge il suo progetto.
Qs aspetto è documentabile in Dt 28 il capitolo delle benedizioni-maledizioni. Al v 27
leggiamo : "Il Signore ti colpirà con le ulcere = piaghe d'Egitto, con bubboni, scabbia e
prurigine, da cui non potrai guarire". E al v 68 ; "IL SIGNORE TI FARÀ TORNARE IN
EGITTO ... "
"J troverà piacere nell'annientare Israele … le minacce giungono alla loro estrema
spaventosità. Non sappiamo se nella minaccia di una definitiva deportazione in Egitto si sia
pensato ad una reale possibilità storica contemporanea oppure perfino ad una realtà di fatto.
Evidentemente il Dt vede in qs avvenimento qualcosa come una LIQUIDAZIONE DIVINA
di tutta la storia della salvezza" (Noth).
- Al v 68 troviamo anche l'ordine di "non più rivedere l'Egitto" : può richiamare la frase di Es
14,13 : "Gli Egiziani che oggi vedete, non li rivedrete mai più". Quest'ultima maledizione
della serie (è anche la più grave) presenta una situazione peggiore della schiavitù egiziana di
un tempo : "vi metterete in vendita ai vostri nemici come schiavi e schiave, ma nessuno vi
acquisterà".
Significa essere destinati alla morte, perché non c'è nemmeno la schiavitù per
sopravvivere.
- L'Egitto come castigo compare soprattutto nella predicazione di giudizio del profeta Osea :
"Il Signore si ricorderà della loro iniquità è punirà i loro peccati : dovranno TORNARE IN
EGITTO" (8,13) ; "Non potranno restare nella terra del Signore, ma Efraim ritornerà in
La Legge del Signore
133
Egitto" (9,3) ; "RITORNERÀ AL PAESE DI EGITTO, Assur sarà il suo re, perché "non"
hanno voluto convertirsi" (11,5).
- Storicamente un ritorno c'è stato dopo la caduta di Gerusalemme e la fine della monarchia
davidica, allorché sotto la pressione degli avvenimenti un gruppo è fuggito per terrore dei
Babilonesi ed ha trascinato a viva forza, contro il suo volere il profeta Geremia. Qs discesa in
Egitto è un anti-esodo, un itinerario di regresso e Geremia appare come un anti-Mosè. Il
gruppo che scende con il profeta smarrisce la sua identità nazionale e religiosa si dissolve :
tutto questo è raccontato ai cc 42-43-44 del libro di Geremia.
5)
LA CONVERSIONE DELL’EGITTO : questo è l'aspetto più bello ed un elemento della
massima importanza. La teologia di Israele si apre all'universalismo, allarga gli orizzonti ed
include nel disegno di Dio anche la potenza nemica, il simbolo dell'oppressione, l'Egitto.
Certamente il cammino storico ha aiutato questa evoluzione del pensiero, qs
maturazione della teologia. La diaspora giudaica in terra di Egitto ha fatto fortuna.
Ricordiamo ancora una volta le due comunità :
ELEFANTINA nell'Alto Egitto costituita di una colonia militare, che aveva costruito un
tempio in onore di YHWH, dove si praticava un culto probabilmente sincretista. Carteggio
con la comunità di Gerusalemme.
ALESSANDRIA alla foci del Nilo ; la comunità giudaica abitava il quartiere Delta della
città, luogo assai probabile della traduzione dei LXX, del Siracide e della composizione di
2Macc e Sap ; dialogo vivace con l'ellenismo.
- Nella sezione dei "massa’ot", cioè degli "oracula contra gentes" dei grandi profeti, l'Egitto
compare sempre come oggetto di condanna, di giudizio, per il male arrecato ad Israele. Ai
testi in origine "contro" = negativi si aggiungo in seguito dei complementi positivi, cioè
oracoli di restaurazione-salvezza.
Il fenomeno inizia timidamente in Ger, dove ai due oracoli negativi formulati dal profeta (vv
2. 13) troviamo al termine una promessa : "Ma dopo esso sarà abitato come in passato" (46.
26b).
- La cosa si accentua con Ezechiele : ben 4 capitoli del suo libro sono dedicati all'Egitto (da
29 a 32) e appartengono alle pagine migliori che il profeta abbia scritto dal punto di vista
letterario. Per le datazioni degli oracoli cf 29,1. 17 ; 31,1 ; 32,1. Per qs aspetto interessa il
testo di Ez 29,13-16.
cf W. VOGELS, Restauration de l'Egypte et universalisme en Ez 29,13-16 in "Biblica" 53
(1972) 473-494
- Inizialmente il profeta porta il giudizio di Dio sull'Egitto per il suo orgoglio e
autosufficienza : "Eccomi contro di te, faraone re di Egitto ; grande coccodrillo, sdraiato in
mezzo al fiume, hai detto : il fiume è mio, è mia creatura" (29,3). Poi è condannato per essere
stato la lusinga di Israele : "Tutti gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, poiché tu sei
stato un sostegno di canna per gli Israeliti" (29 ,6).
La condanna è : "L'Egitto diverrà un luogo desolato e deserto ... piede d'uomo o di
animale non vi transiterà e rimarrà deserta per 40 anni ... disperderò gli Egiziani tra le genti e
li disseminerò "puts" fra altre regioni" (8-12). Cioè gli tocca la stessa sorte capitata ad Israele.
Ma anche per l'Egitto il castigo non è l'ultima parola.
La Legge del Signore
134
- I versetti che seguono prospettano un rovesciamento di situazione cf "muterò la loro sorte".
Anche nella loro storia agisce il Signore il quale incomincia con il RADUNARE (qabats) :
raccolta-richiamo come per Israele.
Il Signore li riporta ella umiltà delle origini : Patros è l'Alto Egitto ; è chiamato anche "la
terra del Sud". Il TM parla letteralmente di "culla" - cuna. Ricondotti alla modestia degli
inizi, non potranno fare una politica imperialista e per Israele non rappresenteranno più una
SPERANZA, come quando Ezechia, Ioiakim o Sedecia nutrivano fiducia nella alleanza con
l'impero dei Faraoni. Il castigo dell'Egitto diventa così lezione per Israele : "ricorderanno loro
di quando si rivolgevano ad essi".
Al termine risuona la formula di rivelazione, familiare ad Es : "Sapranno allora chi sono io il
Signore". In qs caso però il riconoscimento di YHWH è forzato, cioè imposto dalle
circostanze, sotto la pressione degli avvenimenti dolorosi. Non è vera conversione e vera
fede ; per arrivare a qs traguardo dobbiamo attendere il testo di
+ Isaia 19,16 - 25 : cf W. VOGELS, L’Egypte mon people. L’universalisme d’Es 19,16-25 in
" Biblica " 57 (1976) pp 494-514
- Tutti i commentatori sono d'accordo nel riconoscere la straordinaria importanza di tutto qs
testo magnifico : "un vertice religioso dell’AT" (Feuillet)
"Qs oracolo o serie di sei oracoli è una delle profezie più importanti dell'AT. Il suo
universalismo continua la linea di Is 2,2-5 facendola culminare in formulazioni audaci e
paradossali nella tradizione profetica" (Alonso).
- Il testo pur appartenendo al libro di Is è senz’ altro posteriore ; è espressione del Giudaismo
aperto, universalista, lo stesso che ha prodotto il libro di Giona. Il proto Is aveva inveito
contro l’ Egitto (cc 30-31) ed anche 19,1-15 è un testo di condanna. E’ importante però
rilevare come l'atteggiamento di Israele nei confronti delle nazioni non è fatto solo di paura,
ma anche di SPERANZA. Qs è un grande testo di speranza ; tratteggia un ideale a venire.
La formula-cerniera è infatti "in quel giorno", espressione temporale spesso ricorrente
nel linguaggio profetico ad indicare un evento certo, rimandato ad un futuro come tensione.
- FORMA : l'oracolo è scritto in prosa elaborata, senza tuttavia impeto lirico. La formula "in
quel giorno", ripetuta SEI volte articola il testo, lo unifica e scandisce in un processo
ascendente. C'è un chiaro processo in crescendo all'interno di questa pagina. Il linguaggio
impiegato trasferisce, traspone le immagini della storia di Israele alle nazioni ; troviamo il
vocabolario dell’Esodo e dell’Alleanza,"Chiaro intento arcaizzante in forme e contesto".
Primo oracolo (16-17) : il primo oracolo è in tono di MINACCIA. Si annuncia al principio la
umiliazione dell'Egitto. Ci viene presentato l'Egitto dominato dal panico. "Come femmine" ;
cliché classico nelle maledizioni dell'alleanze : cf ad es Ger 50,37. Accento sulla
popolazione.
La "mano del Signore che "si alza" richiama il caso di Mosè che alza la mano sul
mare e che salva Israele cf Es 14,26-28 o più ampiamente l'intervento divino nella storia : cf
Is 11,11. 15-16 ; Is 51,9-10
"Il paese di Giuda sarà il terrore degli Egiziani" : qualcosa di simile in Es 15,14-16 e salmo
105-38.
A livello storico questo è ridicolo. In realtà all’opera c'è il Signore, è il suo piano storico, il
suo disegno-progetto. cf "proposito".
Siamo e livello di paura, ma il timore può essere inizio della salvezza.
La Legge del Signore
135
Secondo oracolo (18) "Il secondo oracolo incomincia a cambiare di segno : gruppi della
diaspora giudaica si stabiliscono in Egitto e introducono pacificamente la lingua ed il culto
del Signore" (Alonso). La diversità delle lingue talvolta è sinonimo di divisione ; parlare la
stessa lingua è indizio di unità (cf la scena di Pentecoste).
- Il numero 5 ha probabilmente valore simbolico più che storico ; il numero 5 compare
ripetutamente nei testi biblici (come il 7). In cinque si è capaci di compiere grandi cose
secondo Lv 26,7-8 ed Is 30,17. Le cinque dita della mano possono avere offerto l'idee della
completezza.
Divergenze nella trasmissione del testo : il TM tradotto ella lettera "ir haheres = città
della distruzione", confermato da Peshitto, Aquila e Teodozione. La LXX ha tradotto "città di
giustizia" trasferendo cosi all'Egitto il titolo di Gerusalemme secondo Is 1,26.
I moderni traducono "Città del sole" : equivale ad Eliopoli, nome greco di 'on (Ez
30,17) correggendo una lettera d'accordo con Gb 9,7" (Alonso).
Terzo oracolo (19-20) = l'elemento del culto anticipato dal termine "giureranno" qui esplode
tramite il richiamo all'ALTARE ed alla stele (massebah). "Tutto viene preparato affinché gli
Egiziani possano celebrare la alleanza con YHWH" (Vogels). Sono segni esterni e visibili
della presenza del Signore nel paese dovuti alla aziona missionaria del suo popolo.
Al momento dell'Esodo erano dovuti fuggire a motivo del culto : "per celebrare una
festa al Signore" e ora ritornano por celebrare il culto.
- il v 20b si capisce tenendo presente la forma letteraria particolare della "promessa della
alleanza", che - secondo Vogels - consta di tre elementi :
a) appello al soccorro di Israele oppure conversione nel caso della Nuova Alleanza
b) promessa del Signore di compiere azioni salvifiche
c) la sottomissione che sarà richiesta ad Israele
All'epoca dell'Es era Israele a gridare : cf 2,23 e 3,9 ; qui i ruoli sono invertiti : ora sono gli
egiziani a gridare, a fare appello a Dio. E come il Signore ha salvato Israele per mezzo di
Mose, così ora risponde all'appello degli Egiziani inviando loro un "moshìa" = Salvatore
(assonanza col termine Moshè).
La sottomissione si ha in 19,21 come in Es 6,7 ; il termine "yadah" esprime riconoscimento
ed impegno di tutta la vita. "Non è sufficiente che Dio guidi la storia dei popoli ; è necessario
anche che qs ne siano coscienti. Nei testi dell'Es che trattano della promessa d'alleanza con
Israele interviene la rivelazione del nome di Dio" (Vogels).
Quarto oracolo (21-22) : è legato strettamente al precedente tramite le formula consueta. Ha
la stessa forma letteraria del precedente, ma gli elementi sono presentati in ordine inverso.
Qui si può parlare di vera conversione dell'Egitto : abbiamo infatti il pieno riconoscimento
del Signore, accoglienza della rivelazione. La loro fede si esprimerà nel culto : il termine
‘ebad indica sottomissione totale e culto.
Allora se YHWH ha duramente colpito gli Egiziani, li curerà e li guarirà.
E qs è l'elemento promessa : intervento balsamico del Signore.
Il termine shub = ritornare indica la conversione (sostituisce l’appello al soccorso
nella nuova alleanza).
La Legge del Signore
136
Quinto oracolo (23) : appare chiaro l'approfondimento, la interiorizzazione. Si passa ed un
orizzonte internazionale, si nominano le potenze bipolari, c’è la grande riconciliazione dei
nemici, "Egitto ed Assiria rappresentano i grandi imperi storici di occidente e di oriente, in
lotta perenne per la egemonia con il coinvolgimento di regni minori. Sotto l'influsso del
Signore, i due antagonisti si riconciliano, la via militare si destina ad usi pacifici, e la pace
culmina e viene siglata quando i due imperi uniti rendono culto all'unico Signore" (Alonso).
Si parla delle "mesillah" = grande strada. In Is 8,23 troviamo la "derek hayam" la "via
maris" : percorsa degli eserciti, ora diventa il luogo della pace. I popoli si incontrano e si
riconciliano.
Per le due potenze bipolari cf Is 11,16 e Zacc 10,11 : i due paesi su un piede di
uguaglianza serviranno sottomessi il Signore. In molti testi universalisti i popoli vanno verso
il centro, cioè SION cf. Is 60 ; qui la strada passa per la Palestina, che diventa luogo di pace
ed Israele come trait d'union tra i popoli !
Sesto oracolo (24) : Israele appare il terzo, è su un piede di uguaglianza con gli altri popoli.
Fraternità fondamentale tra gli uomini. A qs punto Israele realizza la sua vocazione ! essere
nella linea del padre Abramo tramite di benedizione, strumento nelle mani di Dio.
"In qs pace universale, il piccolo regno della Palestina, il minuscolo popolo eletto, si converte
in mediatore di pace. La benedizione offerta ad Abramo con destinatarie tutte le nazioni ora
da Israele si diffonde. E’ una benedizione efficace perché la pronuncia il Signore in persona.
La sua formula deborda ogni limite : Dio chiama niente meno l'Egitto che 'popolo mio' ; e
l'Assiria il terribile nemico lo riconosce come creatura propria ; Israele continua ad essere
come sua eredità. Così si compie la elezione di Israele, che non è privilegio esclusivo, ma
servizio a favore di tutte le nazioni" (Alonso).
- "Mio popolo" = formula di alleanza cf Es 6,7 ; Ger 24,7 ; Ez 11,20
"opera delle mie meni" : cf Is 60,21 e 64,7
"mia eredità" : ad es in Dt 32, 9 ; 1Re 8,51 ; Is 47, 6
I tre termini sono usati in parallelo ad es in Dt 4,20 "il che mostra bene che non vi è
più alcuna differenza fra i tre popoli . Non c' è neppure una piccola preferenza accordata ad
Israele" (Vogels).
Israele avrà il suo ruolo da svolgere, ma quando le nazioni parteciperanno finalmente a qs
rivelazione, non vi sarà più alcuna differenza. Non vi sarà che una sola alleanza, nella quale il
Signore dirà alle nazioni come ha detto ad Israele : mio popolo.
- "Il movimento del testo incomincia con la maledizione dell’Egitto, a causa delle sue
infedeltà. E' Dio che infligge il castigo ma tramite uno strumento umano Israele. Quando la
Scrittura dice che le nazioni sono infedeli a Dio, si indica questo a motivo del loro orgoglio
(si credono Dio) e la loro mancanza di rispetto per il prossimo.
Ciò è contrario a quanto è di più fondamentale nella coscienza umana. Le Nazioni
hanno rotto l'alleanza eterna di Is 24,5 .
Per arrivare ad una restaurazione bisogna prima riconciliarsi con l'uomo per trovare la pace
con Dio. Quando l'uomo vivrà secondo la sua coscienza, gli sarà possibile ricevere la
rivelazione di Dio e vivere il rapporto di alleanza" (Vogels).
Cf 11,16 "si formerà una strada per il resto del suo popolo che sarà superstite dall’Assiria,
come ci fu una via per Israele, quando uscì dal paese d’Egitto".
L'ESODO
COME USCITA DALLA SCHIAVITÚ
La Legge del Signore
137
Premessa
L'Egitto non è un punto di partenza neutro, ma riceve varie connotazioni ; per lo più è
accompagnato dalla apposizione "beth ‘abadim" che letteralmente significa ; casa di schiavi,
cioè recinto dove vivono gli schiavi o dove si vive come schiavi. Noi la traduciamo come :
condizione servile o meglio ancore "situazione di schiavitù".
La schiavitù diventa uno dei termini più frequenti di sostituzione e di chiarificazione.
E’ stata necessaria la esperienza della schiavitù per cogliere la salvezza come liberazione ; la
liberazione è diventata così "il primo capitolo narrativo della salvezza" (Alonso). Il "credo
storico" di Dt 26,6 recita ; "Gli Egiziani ci maltrattarono ci umiliarono e ci imposero una
DURA SCHIAVITÙ"
Lavoro da schiavi è status sociale e giuridico :
lavoro PER un altro, frutti per altri
agli ordini di un altro, cioè come l'altro vuole
condizioni dure, proprietà = res del padrone
Il primo capitolo dell’Es
che descrive la oppressione di Israele in terra di Egitto", lo sfruttamento del popolo da parte
dei faraoni, sottolinea anche stilisticamente (tramite la ripetizione del termine (‘abad) le
condizioni dure cui il popolo è sottoposto :
"Vennero imposti loro dei sovrintendenti al lavori forzati per opprimerli con i loro gravami
(v11)… per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli di Israele trattandoli duramente. Resero
loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei
campi : e a tutti questi lavori li obbligarono con durezza (vv 13-14).
- Dio si è rivelato perciò fa passare Israele dalla servitù al servizio, mette fine a questo stato.
Tira fuori da questa condizione. Dio vuole al suo servizio uomini liberi. "Io sono YHWH, tuo
Dio, che ti ho fatto uscire dall'Egitto dalla schiavitù" (Es 20,2) : è il suo biglietto da visita,
formula di autopresentazione.
Lv 26,13 dilata la formula in qs termini ; "Io sono il Signore vostro Dio, che vi ho
fatto uscire dall'Egitto ; HO SPEZZATO IL VOSTRO GIOGO E VI HO FATTO
CAMMINARE A TESTA ALTA" cioè in posizione eretta, con dignità, da uomini liberi cf Ez
34,27b.
+ Nota filologica sul termine "servire" = ‘abad.
Polisemia del servire. Il termine ha pluralità di usi L’idea fondamentale è quella della
appartenenza dipendenza. Ha ben 4 significati :
a) in campo fisico significa LAVORARE : la fatica dei contadini, il lavoro dei campi.
Compito dell'uomo è lavorare la terra cf Gn 2,15
b) in campo sociale equivale ad essere schiavi, come detto sopra, senza godere dei frutti
del proprio lavoro, senza manovra, libertà d'azione
c) in campo politico vuol dire essere sudditi : talvolta in senso positivo come nel caso
del ministri del re. Situazione di onore e di privilegio ; appartenenza e titolo
onorifico. Come nell’arabo attuale : abdulla ... In senso collettivo indica una
condizione di vassallaggio, stato satellite.
d) in campo religioso, il termine indica la appartenenza a Dio, la dipendenza da lui, la
dedicazione-consacrazione dell'individuo o di un gruppo alla comune divinità. Ed
anche la attitudine e l'esercizio del culto. Servi del Signore…servizio divino…
"servire il Signore nella gioia" cosi il salmo 100
"Uno è schiavo così di ciò che l’ha vinto" (2Pt 2,19).
La Legge del Signore
138
Ebbene tutti questi ambiti : lavoro/ schiavitù/ potere/ culto sono stati profondamente segnati
ed influenzati dalla esperienza dell'Esodo.
+ La tesi di DAUBE, The Exodus pattern in the Bible. London 1963
- Secondo qs biblista e professore di diritto tra l'esperienze storica dell'Es ed il fenomeno
sociale e giuridico della schiavitù vi sono state delle interferenze : "cross references =
riferimenti incrociati".
Qs è di sequenza probabile, la connessione degli elementi :
a) prima esisteva la legislazione orientale sulla schiavitù. Conosciamo ad es il "codice di
Hammurabi". "In generale la legislazione antica limitava i diritti del padrone e
stabiliva, o ratificava i diritti dello schiavo ; era nell’insieme una legislazione
umanitaria, dentro la accettazione globale della schiavitù come dato sociale. In Egitto
non vi è l'equivalente di queste legislazione mesopotamica" (Alonso).
b) La legislazione relativa alla schiavitù venne poi impiegata come MODELLO per
descrivere la esperienza dell'Esodo
c) il fatto storico della liberazione ha poi influito sulla legislazione.
Esiste insomma una interazione - interdipendenza tra testi narrativi dell'Esodo e testi
legislativi (materiale giuridico) sugli schiavi.
Si può fare subito una verifica in qs senso tramite una antologia di testi. Metodologicamente
l'accostamento e qs pagine di diritto a prima vista aride e pedanti serve a capire il
funzionamento della società israelitica e le istanze umanitarie che pervadono la sua
legislazione. E’ evidente che nelle leggi si rispecchia il grado di civiltà, maturazione, umanità
di un gruppo.
La sapienza delle leggi è un indizio di civiltà.
+ Esodo 21,1-10 : Siamo nel contesto del "codice dell'alleanza" dove sono contenute le
norme che "capillarizzano" le "dieci parole".
- Da notare subito in qs testo il linguaggio giuridico, casuistico. La legge contempla dei casi e
ne orienta la soluzione. Termini tecnici sono : proprietà, libertà, riscatto, comperare,
dimettere
- qui si parla di "schiavi per debiti" ; esisteva infatti un'altra forma per entrare in possesso di
schiavi : il bottino di guerra. I nemici diventano schiavi del popolo vincitore.
In qs caso si parla addirittura di una forma di schiavitù all'interno del popolo : ebrei schiavi di
ebrei. Qui il termine ebrei sembra doversi intendere non in senso sociologico ma
nazionalistico-politico-etnologico.
- si tratta però di una schiavitù a termine. Limitazione di tempo. La legge introduce il ritmo
del sabatismo. Il settimo anno è il tempo della libertà. Lo schiavo esce liberto, senza riscatto
(che il padrone non può esigere) ma anche senza compenso, senza nulla ricevere per il lavoro
prestato.
- poi si introduce una distinzione tra chi è nato in schiavitù e chi invece è diventato schiavo da
libero. La condizione di chi nasce in schiavitù è molto più onerosa ; diventa proprietà perenne
del padrone, res ; la sua è una situazione definitiva.
La Legge del Signore
139
Questo spiega perché alcuni schiavi preferissero servire i loro padroni con moglie e
figli piuttosto che recuperare da soli la libertà e dover incominciare una vita nuova ma del
tutto precaria.
- per qs servitù volontaria il diritto prevede un rito : la foratura del lobo dell'orecchio con la
lesina al battente o allo stipite della porta.
"Davanti a Dio" significa probabilmente nel santuario della tribù ; con qs rito (per noi di
segno paternalista, per essi una indubbia umanizzazione del fatto sociale) si definisce una
appartenenza completa e irrevocabile alla casa e famiglia del padrone.
- a partire dal v 7 si prospetta un nuovo caso, quello delle ragazze che vengono fette schiave.
Oltre che a lavorare esse sono destinate anche a soddisfare le voglie del padrone, a diventarne
concubine. La legge si preoccupa di difendere alcuni diritti della donna. Se questa non piece
al padrone, non può essere venduta ma conserva il diritto di riscatto.
Se passa come concubina al figlio, deve essere trattata come figlia. In ogni caso deve
essere assicurato un triplice elementare diritto ; il nutrimento, il vestiario e la coabitazione o
meglio il "diritto coniugale" cioè la possibilità di sposarsi e di godere della intimità di un
uomo. Il non rispetto di queste tre esigenze elementari autorizza la ragazza ad andarsene.
+ Lv 25,35-55 : qui siamo all'interno della "Legge di santità" (cc 17-26).
Il capitolo nel suo insieme è estremamente significativo, perché regola il settore della
giustizia sociale in Israele.
Abbiamo anzitutto una PREMESSA (vv 35-38) riguardante la condotta sociale ispirata ad
umanità e comprensione. Il membro del popolo caduto in miseria, gravato di debiti, non deve
essere umiliato nella sua dignità di persona, ma aiutato.
Si noti la giustapposizione : "Temi Dio e fai vivere il tuo fratello presso di te".
Equivale a stabilire una connessione, quasi uguaglianza tra i due termini. Non sono due cose
diverse, ma il "timor Dei", il rispetto di Dio, il riconoscimento di lui coincidono con la
fraternità, solidarietà verso il prossimo.
L'altra cosa da notare al v 38 è la formula di autopresentazione divina, che rimanda alla
esperienza dell'Esodo : il Dio che induce la fraternità verso il povero è Colui che è stato il
Dio liberatore di un popolo oppresso.
- dopo di che vengono passati in rassegna TRE CASI distinti del "diritto degli schiavi" :
a) ebreo schiavo di un ebreo (39-43) : un membro del popolo costretto a vendersi come
schiavo per sanare debiti deve essere trattato umanamente, considerato piuttosto come un
dipendente /bracciante /salariato.
L'anno del giubileo metterà fine anche a questa fase di servizio ; comporta il recupero della
libertà sociale e il rientro nella primitiva proprietà familiare.
Il v 42 motiva la norma con un esplicito rimando all'Esodo : non possono essere resi schiavi
per sempre coloro che il Signore una volta ha manomesso ; gli appartengono, sono suoi, sua
proprietà ed appartenere a Dio è esperienza di libertà.
b) lo straniero schiavo di un ebreo (44-46) : è ammesso il mercato degli schiavi, il loro
acquisto (compravendita) purché provengano dai popoli stranieri. Essi diventano proprietà
del padrone, un bene di famiglia che può essere trasferito in eredità.
La Legge del Signore
140
Qs disparità di trattamento e quindi di giudizio è chiaramente indizio di una legislazione
imperfetta. E' la dignità dell'uomo in quanto persona il parametro unico che dovrebbe essere
tenuto presente, non l'appartenenza o meno al popolo. La schiavitù è un insulto e ripugna al
concetto di umanità.
c) l’ebreo schiavo di uno straniero (47-55) : può capitare anche questo. Allora deve
manifestarsi ed intervenire la solidarietà del clan, del gruppo di appartenenza.
"Dopo che si è venduto, ha il diritto di RISCATTO" (v48) E’ la ge’ullah.
Ora ogni diritto per essere tale, genera un dovere corrispondente ; suscita un obbligo analogo
nei parenti prossimi (fratelli, zii, nipoti), i quali sono tenuti a riscattare, cioè a pagare per
sottrarre alla schiavitù. Scatta il legame del sangue, la legge della parentela.
L'interessato stesso, se è in grado di farlo, può riscattarsi accumulando la somma necessaria.
Vengono indicati anche i criteri, bisogna tenere presente la somma iniziale di pagamento e
poi la distanza dell'anno giubilare.
- "Se non è riscattato in alcuno di quei modi, se ne andrà libero l'anno del giubileo" (v 54). E’
difficile per noi capire la validità di una normativa che ha come destinatari gli stranieri. Più
importante comunque è cogliere lo spirito che ci sta sotto : Dio stesso diventa GO'EL =
riscattatore, redentore senza pagare niente a nessuno, perché gli Israeliti sono suoi servi, gli
appartengono li ha già riscattati.
Nb ! Non sfugga la importanza del vocabolario di redenzione - riscatto - redentore che entra
nella Bibbia a partire appunto dall'ambito sociale della schiavitù. Utilizzazione religiosa di
questa esperienza.
+Dt 15,12-18 : qui ritroviamo come in Es 21 lo schema del sabatismo per la schiavitù.
L'elemento nuovo è costituito dal v 13 : "Quando lo lascerai andare via libero, non lo
rimanderei a mani vuote". Il testo prescrive una "buona uscita", una specie di "liquidazione"
se si può chiamare così. E’ chiaramente un passo avanti, perché permette al liberto di
ricominciare senza partire da zero, è un aiuto per reinserirsi da uomo libero in società.
Come oggi chi lascia il carcere o il tunnel della droga … ? ! ?
Lo schiavo che diventa liberto deve partecipare di quella benedizione di Dio, che il suo
lavoro ha contribuito ad accumulare.
Il riferimento all'Esodo è esplicito in 15,15 : liberare ed aiutare l'oppresso è un modo di
commemorare la liberazione cf "ti ricorderai che…".
E' un atto di fede e di omaggio al Dio liberatore ... "perciò oggi io ti comando" = l'evento
storico-salvifico fonda la legislazione e la parenesi.
+ I riferimenti incrociati = connessioni tra esodo come fatto storico e schiavitù come
fenomeno sociale regolato.
a)
la più importante : Siccome Israele ha provato nella sua pelle la umiliazione,
degradazione, pesantezza della schiavitù, deve trattare umanamente gli schiavi. "Non lo
tratterai CON ASPREZZA" più volte. cf anche Lv 18,3 "Non farete come si fa nella terra di
Egitto dove abitaste"
"L'esodo è una rottura radicale con l'Egitto, un evento rivoluzionario, che deve creare
una situazione nuova per il popolo di Israele e dunque un cambiamento di strutture, in cui
La Legge del Signore
141
non sia possibile un ritorno alla schiavitù umana, di cui gli eletti del Signore sono stati le
vittime"(E. Bianchi).
- Per la nostra sensibilità la abolizione totale delle schiavitù sarebbe la conseguenza e
valorizzazione più bella dell'esodo, ma la storia non fa salti, si cresce e si matura un pò alla
volta. In ogni caso "La Thorà mostra attenzione ai derelitti della società, in una inaudita
singolarità giuridica rispetto alle culture circostanti medio-orientali" (Bianchi).
b)
La non schiavitù perpetua per chi è nato in libertà (Es 21,2) : qs norma del diritto ha
influenzato la narrativa. Israele "figlio primogenito" di Dio, nato in libertà non può rimanere
schiavo del faraone per sempre.
Cf Ger 2,14 "Israele è forse uno schiavo o un servo nato in casa ? Perché allora è diventato
una preda ?"
c)
come nell'istituto della schiavitù esiste il dovere di riscatto da parte del parente
prossimo (Lv 25,48) così Dio si è comportato come Go'el, riscattatore nei confronti di Israele
in forza della elezione = alleanza cf Es 4,23 e 6,5
d)
il "diritto degli schiavi" contempla l'obbligo per il padrone di versare un contributo al
servo reso liberto (cf Dt 15,13) ; qs dettaglio giuridico è alla base della presentazione di
Israele schiavo in Egitto, che parte carico di donativi ; cf Es 3,22 ; 11,2. 35-36 Gn 15,14b
cf "O vere beata nox ... quae expoliavit Aegyptios, ditavit Haebreos !"
Uno sguardo fugace altrove nella Bibbia
Del fenomeno sociale della schiavitù si occupano altri testi della Bibbia ; si possono
citare Ger 34 dove il profeta a proposito del "deror" prende le difese degli schiavi affrancati,
contro i padroni che si erano pentiti di averli liberati in occasione dell'assedio dei Babilonesi.
- Della letteratura sapienziale possiamo citare un testo infelice, perché ferisce profondamente
il ns senso della dignità dell'uomo.
Si tratta di Sir 33,25-33 : in alcuni manoscritti greci c'è esplicitamente il sottotitolo ; "a
proposito degli schiavi". Troviamo espressioni come queste :
"Foraggio, bastone e pesi per l'asino ;
pane, castigo e lavoro per lo schiavo ;
giogo e redini piegano il collo ;
per lo schiavo cattive torture e castighi…(però anche).
... se hai uno schiavo, trattalo come un fratello,
perché ne avrai bisogno come di te stesso …"
- Ed ora una puntata nel NT : il problema della schiavitù si è nuovamente posto nelle
comunità cristiane del mondo greco-romano. Paolo lo ha incontrato, specialmente a Corinto"
(DTB, coll 1116).
Non si trova in nessuno dei 27 libretti del NT l'annuncio della abolizione della schiavitù come
fenomeno sociale. Dobbiamo rilevare il divario tra i valori e le concretizzazioni storiche, la
schiavitù continua ed essere accettata come struttura, fatto della società, però il messaggio
cristiano si pronuncia sulla trasformazione dei rapporti tra padroni e schiavi.
Testi principali ; Gal 3,28 ; 1Cor 7,20 ; Col 3, 22-24 e 4,1 ; Ef 6,5-9 ; Filemone ; 1Pt 2,18 ;
Tito 2,9-10 e 1Tm 6,1-2
La Legge del Signore
142
- I due profeti della libertà cristiana sono Paolo e Giovanni ; la libertà cristiana è più profonda
della libertà sociale - civile.
Per Paolo le novità cristiana rende secondarie e quasi irrilevanti la differenze di sesso, di
condizione sociale, di religione : "Non c'è più Giudeo né greco, non c'è più schiavo né libero,
non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete UNO in Cristo Gesù" (Gal 3,28).
cf anche 1Cor 7,20 : "Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu
chiamato. Sei stato chiamato da schiavo ? Non ti preoccupare ; ma anche se puoi diventare
libero, profitta piuttosto della tua condizione ! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel
Signore, è un liberto affrancato del Signore"
- Une menzione speciale merita il "biglietto a Filemone" , scritto provvidenziale sul problema
della schiavitù. Paolo indica a questo padrone di schiavi come comportarsi nei confronti dello
schiavo fuggitivo Onesimo.
Il contenuto si può sintetizzare in : "Lo schiavo diventi fratello"
E’ una piccola lettera carica di pathos : "Forse per questo è stato separato da te per un
momento, perché tu lo riavessi per sempre ; non più però come schiavo, ma molto di più che
schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto di più a te, sia come
uomo, sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come
me stesso" (vv 15-17).
- Certo il cambiamento del cuore è prioritario, esso però si deve manifestare e concretizzare
anche nella "conversione delle strutture ingiuste" ; ambedue gli aspetti interiore-morale,
esteriore-politico sono necessari nella esperienza umana, nel cammino faticoso della storia.
Cf Enzo Bianchi, La storia dei senza dignità nell’AT, in Concilium 1919/10 pp 1635-1646
J. PONS, L’oppression dans l’AT, Paris 1982. Letouzey et Anè
ESODO COME LIBERAZIONE DAL LAVORO FORZATO
Premessa
L'Esodo nei testi biblici si presenta come un uscire da molte situazioni : Egitto, schiavitù,
lavoro forzato, potere tirannico.
La liberazione, l'uscita dall'Egitto è stata vissuta da Israele e soprattutto interpretata come un
passaggio da un tipo di lavoro bestiale, disumano al riposo ed alla festa. Cf 2Sam 7,11.
La realtà umana del lavoro è stata illuminata da quel potente riflettore che è appunto
l'Esodo. Il "vangelo del lavoro" come direbbe Giovanni Paolo II attinge in modo privilegiato
a qs esperienza.
- C'è una espressione tecnica per connotare l'uscita come fine del lavoro forzato : "far uscire
dai gravami", di sotto ai posi, dalle ceste. L'espressione ritorna due volte in Es 6,6-7 .
Può essere indicativo anche il salmo 81,7 : "Un linguaggio mai inteso io sento : Ho
liberato dal peso lo sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta"
Esodo 5
E’ il testo più ricco, che descriva la situazione di lavoro in Egitto e i tentativi per uscirne. In
questo brano traspaiono infatti chiaramente due visioni del lavoro e dei suoi opposti riposo e
festa.
La Legge del Signore
143
Abbiamo da una parte una versione "ufficiale" del lavoro, propria di chi comanda, del
padrone - imprenditore.
Opposta ad essa la visione "dal basso", quello della base, dell'operaio, di chi si vede
trattato soltanto come "forza lavoro".
- il capitolo è narrativo : racconta il primo tentativo effettuato da Mosè e da Aronne per
indurre il Faraone a lasciar partire Israele ; esperienza fallimentare, perché invece di sortire
effetto produce un (giro di vite, cioè un peggioramento, inasprimento della situazione.
Stilisticamente il termine più significativo è l’ interrogazione PERCHE' che compare 4 volte :
in 4, 15, 22bis.
Dal punto di vista delle fonti combina insieme J ed E, ma il retrotesto qui non aggiunge molto
alla comprensione del brano.
- Mosè e Aronne si presentano come ambasciatori del Signore presso il faraone ; usano infatti
presentandosi il "Botenspruch" = formula dell'araldo : "Dice il Signore, il Dio di Israele ... "
Quale il contenuto della richiesta ? si presenta ragionevole : chiedono una interruzione
del lavoro, una pausa di riposo, tirare il fiato por celebrare il culto in onore della divinità del
popolo. Dal punto di vista storico questa "festa nel deserto" è una traccia delle origini remote
della Pasqua, le sue radici pastorizie.
Più sotto al v 3 si precisa ulteriormente la fisionomia di questa festa : "celebrare un
sacrificio al Signore nostro Dio, perché non ci colpisca di peste o di spada" : si tratta di un
rito propiziatorio o apotropaico = rimuovere le forze malefiche, allontanare, scongiurare le
forze del male.
- La prima risposta del Faraone è sprezzante, l'insulto è diretto al mandante, cioè al Signore :
Chi è YHWH perché io gli debba obbedire ? Cos'ha da accampare la divinità di qs gruppo di
schiavi ? Non riconosco Jahvè ?
Eppure il panteon egiziano è ricco di idoli, la religione è politeista ?
Un dio in più non può far male !
Ma YHWH è esigente e vuole libertà per il suo popolo, qs non è tollerabile.
- la seconda reazione-risposta del Faraone alla reiterata ed ampliata richiesta punta
direttamente a Mosè ed Aronne e fa risuonare il primo perché.
Il potere possa all'attacco e accusa i due di voler far scioperare o addirittura ammutinare il
popolo (vv 4-5) termine ebraico pr’.
Viene chiaramente sconosciuto il significato della missione e richiesta di Mosè : il
bisogno della festa è solo una copertura, un pretesto, il problema reale è che non vogliono
lavorare. Per il faraone celebrare una festa liturgica è non produrre. "Fannulloni siete,
fannulloni" ai vv 8 e 17.
Ed in più cialtroni ; la richiesta infatti è bollata come "parole false - menzogna" cf v 2 in fine.
- Il bel risultato è che non solo devono lavorare come prima, ma devono procacciarsi anche la
paglia per confezionare i mattoni.
Non sfugga nel testo le preoccupazione di salvare in ogni coso il cottimo : la quantità di
mattoni deve essere assicurata in ogni coso. Lo "stesso numero di mattoni" in 8, 11, 13, 14,
18, 19.
- Altro dettaglio raffinato : i grondi intendenti, chiamati ispettori o sorveglianti sono egiziani,
mentre i responsabili immediati, i quadri intermedi, i capi-squadra (male tradotti con scribi)
La Legge del Signore
144
sono israeliti, così contro di loro si concentrerà la odiosità immediata ed avremo fratelli
contro fratelli.
- Ad ogni modo dopo il giro di vite c'è un momento di coraggio ; una delegazione si reca dal
faraone per fare una protesta, per sporgere un reclamo legale.
Vuol dire che qualcosa si muove : Dio sta trionfando, perché incomincia a liberare dalla
paura.
L'accusa è : la colpa è tua e del tuo popolo ! Equivale a dire : lo sfruttamento è colpa secondo
il giudizio del nostro Dio. Con quale diritto tratti così i tuoi servi ? (vv 15-18).
Ma subito dopo, in seguito al diniego e all'accusa gratuita del faraone, si incrina il
coraggio e l'unità e danno la colpa a Mosè ed Aronne, che hanno scavalcato per inoltrare la
loro protesta. L'uomo che Dio vuol liberare ha paura ; la libertà o conquista è rischio.
Il linguaggio che usano è particolarmente espressivo : "Il Signore proceda contro di
voi e giudichi ; perché ci avete resi puzzolenti agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi
ministri, mettendo loro in mano una spada per ucciderci" v 21.
Adesso il colpevole è Mosè ; riappare il tema della incomprensione.
Una spada in mano = il Faraone potrà invocare la ribellione come pretesto per sterminare il
popolo.
La preghiera di Mosè
Allora Mosè da accusato passa ad accusatore non del popolo ma di Dio. E’ "honest to God" :
preghiere onesta e sincera di Mosè, che perde il senso del tempo.
Entra in crisi e domanda ragione a Dio della sua missione : perché mi hai mandato ? Vista la
piega presa dagli avvenimenti era meglio non avviare il discorso di liberazione, lasciare tutto
come prima.
Anzi accusa Dio di essere rimasto a guardare, di non aver fatto nulla per modificare la
situazione, (vv 22-23) .
E’ un primo saggio della preghiera di Mosè ; ne troveremo altri due pregevoli esemplari in Es
33 e Nm 14.
IL LAVORO NELLA CONCEZIONE BIBLICA
Premessa
Il lavoro umano nella Scrittura appare delineato non in modo rigorosamente concettuale, cioè
sotto forma di un trattato, ma piuttosto tramite un duplice sistema di opposizioni alternative.
Sulla esperienza dell'Esodo, che rimane basilare, è possibile innestare rapporti diversi del
lavoro con i suoi opposti, così da formare una "carta geografica del lavoro" cf Alonso
Schokel.
PRIMO SCHEMA : LAVORO e FRUTTO DEL LAVORO
a) più lavoro e più frutto (rapporto diretto).
b) niente lavoro e molto frutto (proporzionalità inversa).
c) molto lavoro e niente frutto (proporzionalità inversa).
SECONDO SCHEMA : LAVORO e NON LAVORO
a) non-lavoro come ozio
b) non lavoro come riposo - festa
Rapporto lavoro - frutti "vivrai del lavoro delle tue mani" ( s 28,2).
La Legge del Signore
145
Lo studio di questa relazione non interessa per elaborare una dottrina economica
secondo la Bibbia (il suo compito non è di fornire formule tecniche circa la organizzazione
del lavoro, ma di individuare il valore umano del lavoro, la verità sul lavoro umano) MA per
elaborare una visione del lavoro secondo il pensiero di Dio e per trasposizione una stessa
dottrina della SALVEZZA nella sua duplice valenza di DONO e COMPITO (uso simbolico
degli schemi).
a)
Lavoro e frutto : già in Gen 1 la creazione è stilizzata come una settimana di lavoro.
Frutto del lavoro è l'opera dell'artista, è il capolavoro, che provoca il godimento di Dio : la
contemplazione. "E Dio vide ciò che aveva fatto ed era molto buono" (Gen 1,31). Dio non
trae vantaggio, profitto materiale dalla sua creazione ; nell'universo egli irradia la sua gloria,
rivela se stesso e gode per la semplice esistenza delle cose. Gioia dell'artista per la bellezza
dell'opera che gli è riuscita e non tanto per il guadagno materiale che ne ricava.
Per l'uomo invece oltre al contemplare c'è il CONSUMARE : si tratta delle
benedizioni connesse alla industriosità umana. Questa da sola non basta : occorre la fedeltà
alla alleanza. Benedizioni e maledizioni in Lev 26 e Dt 28 : la fedeltà all'alleanza è
ricompensata con l'abbondanza dei prodotti della terra e con la possibilità di goderli ; al
contrario venir meno al patto equivale a rendere infruttuoso il proprio lavoro anche se
sfibrante. Si salda così con lo schema
c : molto lavoro e niente frutto.
Viene introdotta così la teologia del merito o in altri termini la nozione di premio o di castigo
in rapporto all'impegno etico.
Questo schema caratterizza il tempo intermedio o meglio "la permanenza nella terra",
allorché l'uomo è chiamato a collaborare all'opera di Dio
Trasposizione : questo rapporto illustra la salvezza come impegno (Aufgabe) ;
corrispondenza alla grazia, fare i comandamenti ! Nel linguaggio del NT diventerebbe
l'obbligo di "trafficare i talenti" ; "l'albero buono che da frutti buoni" ; "la fede che opera
mediante la carità" (Gal 5,6) ; "la fede senza le opere è morta" di Giacomo 2, 17 '"chi rimane
in me porta molto frutto"(Gv 15).
b)
Niente lavoro e molto frutto : in chiave negativa questa è la situazione di sfruttamento,
di alienazione dell'uomo che lavora alle dipendenze del padrone e a suo esclusivo vantaggio
= molto lavoro niente frutto.
Positivamente il rapporto "niente lavoro e nonostante qs il frutto" esalta il DONO di Dio. Al
momento iniziale "uscita dall'Egitto" e alla fine "entrata nella terra" c'è il DONO.
Il popolo è liberato dall'Egitto gratuitamente da Dio : Es 14,13-14 "Non abbiate paura ! Siate
forti e vedrete la salvezza che il Signore opera per voi : perché gli Egiziani che voi oggi
vedete, non li rivedrete mai più ! Il Signore combatterà per voi e voi starete tranquilli".
"Spettatore di prodigi stupendi" (Sap 19, ).
Riguardo al momento dell'entrata si veda il bellissimo testo di Dt 9,1-6 : il possesso della
terra non è dovuto alla "giustizia" di Israele, cioè ai suoi meriti, a un suo diritto nei confronti
del Signore, ma unicamente alla promessa del Signore.
Trasposizione : Nel vocabolario del NT il momento iniziale della salvezza si chiama
"giustificazione" = il termine è attivo, cioè suppone l'intervento gratuito di Dio che stabilisce
La Legge del Signore
146
l'uomo in un rapporto "giusto", corretto con lui, cancellando le colpe e rendendolo "partecipe
della natura divina" (2 Pt 1,4). E’ il centro gravitazionale della lettera ai Rom : "Dove sta
dunque il vanto ? Esso è stato escluso ! Noi riteniamo che l'uomo è giustificato per la fede
indipendentemente dalle opere della legge" (3,28) "Iustificatio impii ex fide et gratia".
+ nella escatologia : le opposizioni lavoro-frutti sono utili a capire anche gli "eschata" cioè le
realtà ultime. La situazione definitiva dell'uomo in rapporto a Dio è insieme GRAZIA = puro
dono, condizione offerta gratis e COMPITO = frutto, risultato della collaborazione umana.
Si veda ad esempio la conclusione del libro di Amos (9,15-14) : straordinaria abbondanza di
beni agricoli e poi lavoro dell'uomo ricompensato "ricostruiranno le città devastate e vi
abiteranno ; pianteranno le vigne e ne berranno il vino ; coltiveranno orti e ne mangeranno i
frutti"
Oppure Gioele 2,23-26 : " ... rallegratevi nel Signore vs Dio, perché vi dà la pioggia in giusta
misura, per voi fa scendere l'acqua… la pioggia d'autunno e di primavera, come in passato.
Le aie si riempiranno di grano e i tini traboccheranno di mosto e di olio… mangerete in
abbondanza, a sazietà, e loderete il nome del Signore vs Dio, che in mezzo a voi ha fatto
meraviglie".
Qui al godimento dei frutti gratis si aggiunge la LODE cioè il riconoscimento del
dono ; la lode rompe il cerchio consumistico. Oppure cf Is 65,21-23.
Nella letteratura sapienziale (didattica) di Isr c’è un libro intero che riflette sul rapporto
lavoro-profitto. Vale o non vale la pena ? "Quale vantaggio ricava l'uomo da tutta la sua
fatica per cui si affanna sotto il sole ?"(Qoh 1,3).
Trasposizione nt : l'approdo della vita umana cioè la comunione gaudiosa con Dio al di là
della frontiera della morte è DONO e COMPITO.
Is 64,3 citato da 1 Cor 2,9 : "Quelle cose che occhio non vide né orecchio udì, né mai
entrarono in cuore d'uomo : queste ha preparato Dio per coloro che lo amano", oppure Mt
25,34 "Venite benedetti del Padre mio ! Ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin
dalla fondazione del mondo".
Il NT può parlare di "mercede" (1 Cor 3,8) ; di "retribuzione" (Col 3,24) ; "remunerazione"
(Ebr 10,13) ; "corona" (2 Tm 4,8) ; "trofeo"(Fil 3,14).
"Beati d'ora in poi i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro
fatiche, perché le loro opere li seguono" (Ap 14,13).
C'è di più : anche ciò che è umanamente negativo, improduttivo, non solo non-lavoro
ma consumo del lavoro e profitto altrui, vale a dire la SOFFERENZA diventa nella economia
della grazia VALORE e GUADAGNO : si veda Rom 8,18 : "Io ritengo che le sofferenze del
momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi".
2Cor 4,l7 : "Il momentaneo, leggero peso della ns tribolazione, ci procura una quantità
smisurata ed eterna di gloria".
LAVORO E OZIO
Le tradizioni sapienziali di Israele oltre all'alternativa lavoro-frutti elaborata in particolar
modo da Qoh, sviluppano la tematica dell'ozio come vizio capitale, da cui l'uomo deve
correggersi.
Le testimonianze bibliche più indicate al riguardo sono :
La Legge del Signore
147
- Pr 26,13-16 : si tratta di 4 proverbi popolari, caustici nel presentarci le caricatura del pigro.
Sono indimenticabili "Le parole dei saggi sono come pungoli ; come chiodi piantati le
raccolte di autori" (Qoh 12,11).
- Pr 24,30-34 : Qui il maestro di sapienza propone una sua riflessione ricavata dalla
esperienza. Il campo incolto, trasandato di uno scansafatiche gli suggerisce la lezione che c'è
una povertà colpevole, voluta : è quella di chi non ha la voglia di lavorare. Notare in qs unità
letteraria la "provenienza dal basso" della sapienza israelitica
- Pr 6,6-11 : in qs che è la parte più recente del libro dei Pr (cc1-9) il sapiente impartisce la
sua lezione al pigro esortandolo a mettersi alla scuola della formica. Anche nel mondo
ebraico, la formica è sinonimo di laboriosità, industriosità, onestà e previdenza. Ecco la
formica fatta maestra di virtù. Anche Gb ha guardato stupito alla vita degli animali.
L'opposto della "sedula formica" è la "spensierata cicala" che sperpera allegramente
nel tempo dell'abbondanza senza preoccuparsi o provvedere al futuro. Qs ritratto "funzionale"
della cicala, assente nella BH, si trova invece nella LXX e 6,8abc : NO ! ! ! c'è l'elogio
dell'ape :
"Oppure va' dall'ape e vedi come essa è laboriosa.
Re e privati usano dei suoi prodotti per la loro salute.
E’ ricercata e stimata da tutti,
e per quanto debole sotto l'aspetto della forza,
si distingue per aver onorato la sapienza"
"Il procedimento di accoppiamento dei testi, particolarmente nella letteratura sulla Sapienza,
è classico. E’ significativo che Luca, il più ellenistico degli evangelisti per lingua e costumi,
lo pratichi facilmente"(A. PAUL).
+ La severa legge del lavoro è affermata vigorosamente da Paolo in 2Tess 3,10 : l'Apostolo
denunzia il comportamento di alcuni nella comunità cristiana, che," prendono come pretesto
la parusia = venuta imminente del Signore, vivevano da parassiti, bighellonando ; "Quando
eravamo tra voi vi demmo questa regola : 'chi non vuol lavorare neppure mangi' !"
Il passo in cui il principio è inserito, mostra come Paolo vede il lavoro umano nel
segno dell'amore di Dio e dei fratelli, a servizio della comunità ; propone se stesso come
modello di annuncio gratuito.
+ Due altri proverbi sulla figura del pigro si trovano in un altro autore fustigatore di vizi
come Gesù Ben Sira al c 22,1-2 della sua opera :
"Il pigro è simile a una pietra imbrattata ;
ognuno fischia in suo disprezzo.
Il pigro è simile a una palla di sterco :
chi la raccoglie scuote "la mano".
LAVORO E RIPOSO
Il significato del lavoro umano nella impostazione biblica non si coglie solo nella
relaziona con i frutti, ma anche a partire dal suo opposto che è il riposo (da non confondere
qui con l'ozio).
La situazione in cui Dio porta Israele con l'uscita dall'Egitto è rappresentate anche dal riposo :
La Legge del Signore
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Salmo 95,11 : "Ho giurato nel mio sdegno : Non entreranno nel mio riposo"
Gs 25,1 : "Molto tempo dopo che il Signore aveva dato riposo a Israele liberandolo da tutti i
nemici che lo circondavano... "
2Sm 7,1 : "Il re, quando si fu stabilito nella sua casa e il Signore gli ebbe dato tregua da tutti i
suoi nemici all'intorno ... "
Sal 132,8 : "Alzati, Signore, verso il luogo del tuo riposo, tu e l'arca della tua potenza ... "
- Nella Bibbia appare da una parte l'importanza del lavoro, come esperienza ed espressile di
umanità, e dall'altra il valore del riposo, inteso non come semplice non-lavoro ma come
tempo ed occasione per affermare significati etici profondi.
L'esigenza universale dei lavori appare in ambedue i racconti delle creazione che aprono la
Bibbia. "La chiesa trova già nelle prime pagine del libro della Genesi la fonte della sua
convinzione che il lavoro costituisce una fondamentale dimensione dell'esistenza umana sulla
terra. L'analisi di tali testi ci rende consapevoli del fatto che in essi - a volte con un modo
arcaico di manifestare il pensiero - sono state espresse le verità fondamentali intorno
all'uomo, già nel contesto del mistero della creazione" (Giovanni Paolo II, Laborem exercens
4).
Nella narrazione J l'uomo, ricavato dalla terra, è collocato da Dio nel "gan" = giardino delle
origini, per "coltivarlo e custodirlo" (Gn 2,15). Gli stessi atteggiamenti che valgono nei
confronti della Legge si applicano verso l'opera di Dio. L'uomo è protettore e custode
dell'ambiente, l'universo è la casa che deve conservare e difendere. Ma ne è anche lavoratore,
porta avanti con Dio il creato, sviluppa le potenzialità insite nel progetto di Dio.
Se "nessuno lavora il suolo e fa salire dalla terra l'acqua dei canali per irrigare il suolo" (Gn
2,5), la terra rimane deserto, landa desolata.
Il racconto sacerdotale invece definisce lo stesso compito affidato all'uomo nei termini di
"soggiogare la terra e dominare su ... " (cf Gn 1,26b. 28c).
L'Adamo che "impone nomi a tutto il bestiame" (Gn 2,20) è la traduzione narrativa del
comando del Signore. Riceve dalle sue mani la creazione, la conosce e la possiede,
catalogando e nominando.
Il lavoro dunque appartiene al primitivo disegno di Dio sull'uomo, è visto come
partecipazione e condivisione dell'attività creatrice di Dio. In questi capitoli introduttivi è
meno presente l'altra essenziale dimensione del lavoro e cioè la sua socialità, la costruzione
della città terrena affidata alle mani dell'uomo.
La colpa dei progenitori modifica ma non stravolge il disegno originario di Dio. Assistiamo
al passaggio dal "labor probus" al "labor improbus". Con la ribellione originaria la natura
umana esce ferita ; la rottura del rapporto verticale con Dio determina un modo diverso per
l'uomo di collocarsi davanti al lavoro. Dopo il peccato l'attività umana appare segnata
pesantemente dal travaglio, dalla fatica e tribolazione : "Maledetto sia il suolo per causa tua.
Con dolore ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spini e cardini produrrà per te e
mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3,17-18).
- In ogni caso la Bibbia è lontana da ogni mistica del lavoro, da ogni esaltazione fuorviante
del lavoro tipo "Arbait macht frei" del nazionalsocialismo, da ogni stakanovismo.
Il lavoro non è il tutto dell'uomo, non ne rappresenta il valore supremo. L'uomo non è fatto
soltanto per lavorare, produrre e consumare. Egli è il soggetto e la finalità del lavoro, non può
diventarono oggetto e semplice strumento (cf LE 6).
La Legge del Signore
149
Le "dieci parole" promulgale da Dio sul Sinai, non contengono anzitutto l'imperativo del
lavoro, affermano piuttosto la legge del riposo, che certo presuppone l'esercizio del lavoro.
Vediamo i due testi paralleli con le loro varianti :
Dt 5, 12-15 :
- Formulazione positiva e solenne del precetto
-"Santificare" = riconoscere come diverso, riservare al Signore
-Il riposo vale per tutti, uomini-schiavi-animali, cioè crea uguaglianza là dove il lavoro
introduceva disparità, differenza e conflitto
- E’ un ritorno alla origine primordiale e per gli schiavi è norma umanitaria
- Motivazione : commemorare l'esodo. Il saboto diventa memoriale, ricordo settimanale
del grande riposo accordato al popolo dopo le disumane fatiche dell'Egitto.
Es 20,8-11 :
- Unico comando ad essere introdotto con "Ricordati"
- Sei giorni per l'attività umana, mentre il settimo è in onore del Signore, a lui dedicato
- Rimando esplicito e Gn 2,1-3 " ... riposò da ogni lavoro che egli creando avevo fatto"
Traduce la TILC : "Dio benedisse il settimo giorno e disse : è mio".
Versione apprezzabile del termine "lo santificò" : come insegna ogni dizionario biblico, il
senso è quello di proclamare che qualcosa o qualcuno appartiene a Dio, deve essergli
riservato, Dio lo vuole interamente per sé.
Osservare il giorno del riposo equivale ad imitare il comportamento di Dio nel primo sabato
del mondo, il riposare diventa divina esperienze. Quello di Dio è stato un riposo
contemplativo, nel senso che non ha "usato" della sua creazione in termini di "consumo", lui
che è il Signore delle cose ma ha goduto dell'opera delle sue mani : "Gioisca il signore delle
sue opere" (s 104,31).
- Anche nel codice J di ES 34,21 è menzionato l'obbligo del riposo sabbatico : "Per sei giorni
lavorerai, ma nel settimo riposerai ; dovrai riposare anche nel tempo dell'aratura e della
mietitura".
Anche nei "momenti di emergenza" dovrà essere salvaguardato il giorno del riposo ; in
questo modo l'uomo afferma la sua fede nella Provvidenza, dice di non essere il "padreterno",
il mondo tira aventi anche senza di lui.
Sarebbe interessante seguire il commino del sabato nella storia culturale e religiosa
dell'Israele biblico e post. Non ci è possibile. Basterà ricordare che dall'esilio in poi ha
acquisito importanza crescente. Si possono citare testi come Ger 17,19-27 (pagina
postgeremiana che richiama Neemia 13,15-22) ed anche Is 58,13-14. Qui il sabato viene
chiamato "mia delizia, giorno venerando e consacrato al Signore"
Nel calendario liturgico di Lv 3 figura al primo posto : Durante sei giorni si attenderà al
lavoro ; ma il settimo giorno è sabato, giorno di assoluto riposo e di santa convocazione. Non
farete in esso nessun lavoro ; è un riposo in onore del Signore in tutti i luoghi dove abiterete".
Qui come dato nuovo è menzionato il raduno cultuale, che si è imposto con la istituzione
della sinagoga. Il sabato non è più sacro soltanto per la astensione dal lavoro, ma anche per
l'ascolto della Parola di Dio e per la preghiera (cf Lc 4,16 ; At 15,21).
In tutta la storia dell'ebraismo il sabato ha sempre goduto di venerazione ed osservanza, è
divenuto una istituzione portante. Lo è anche oggi. Per approfondire l'argomento puoi
consultare :
A. J. HESCHEL, II sabato. Il suo significato per l'uomo moderno, Rusconi, Milano 1972
La Legge del Signore
150
N. NEGRETTI, Il settimo Giorno, FIB, Soma 1973
E. FROMM, Sarete come dei, Roma 1970 pp 130-134
J. MALKI, Lo shobbat nella tradizione ebraica, in "Il Gallo" 1984/1 pp 4-6
LO SHABBAT NELLA TRADIZIONE EBRAICA
I valori profondi del sabato, i significati legati a qs istituzione sono rimasti immutati
nella storia dell'ebraismo ed ancora oggi la parte più attenta dell'elemento ebraico non manca
di evidenziarli e di proporli al mondo.
Vi sono nell'ebraismo attuale alcuni spiriti assai sensibili che lavorano per divulgare i valori
della tradizione, che affonda le radici nel patrimonio dello AT comune ad Ebrei e cristiani.
Nb ! Il loro lavoro è quanto mai prezioso e da valorizzare anche in una lettura cristiana dei
testi, perché possiedono il vantaggio di capire i testi dal di dentro ; corrispondono ai nomi di
HESCHEL, NEHER, BUBER, FROMM
- "Indubbiamente il SABATO è una o forse LA istituzione centrale della religione ebraica e
rabbinica ... è il fenomeno più rilevante della pratica religiosa ebraica. Non è una
esagerazione dire che la sopravvivenza spirituale e morale degli Ebrei durante due mila anni
di persecuzioni e di umiliazioni, sarebbe stata difficilmente possibile senza quell'unico giorno
della settimana in cui perfino l'ebreo più povero si trasformava in un uomo dignitoso e fiero,
da mendicante in re" (FROMM).
- "La ragione per cui ha un posto così fondamentale nella legge ebraica, sta nel fatto che è
l'espressione del concetto basilare del Giudaismo : il CONCETTO DI LIBERTÀ, della
completa armonia fra uomo e natura, fra uomo e uomo" (Fromm).
"Il settimo giorno è l'armistizio nella lotta crudele che l'uomo conduce per l'esistenza, tregua
in tutti i conflitti individuali e sociali ... in qs giorno, lasciate da parte le occupazioni,
torniamo alla nostra condizione autentica.
In qs giorno godiamo di una benedizione che ci fa essere ciò che siamo, indipendentemente
dalla nostra istruzione, dal nostro successo nella carriera.
E' un giorno di indipendenza dalle nostre condizioni sociali" (MALKI).
"Lavoro è qualsiasi intervento dell'uomo, sia esso costruttivo o distruttivo, nel mondo fisico.
Riposo è uno stato di pace fra l'uomo e la natura. L'uomo deve lasciar intatta la natura, non
cambiarla in nessun modo, costruendo o distruggendo. Anche il minimo cambiamento
provocato dall'uomo nel processo naturale, e una violazione del riposo" (Fromm).
-"Il Sabato, l'uomo cessa del tutto di essere un animale, la cui occupazione principale è la
lotta per la sopravvivenza e provvedere alla propria vita biologica. Il sabato, l'uomo è
pienamente uomo, senz'altro compito che quello di essere umano. Nella tradizione ebraica,
non è il lavoro che ha un valore supremo, ma il riposo, lo stato che non ha altro scopo che
quello di essere umano ... diventa il giorno della gioia e del piacere. Mangiare, bere, l'amore
sessuale, oltre lo studio delle Scritture o degli scritti religiosi hanno caratterizzato la
celebrazione ebraica del sabato negli ultimi 2000 anni" (Fromm).
"Altra caratteristica fondamentale del sabato : la gioia. Chi entra in una sinagoga o in
una casa ebraica, nota appunto una cosa : la gioia che aleggia in quell'ambiente ... i canti
sabbatici, sono qualcosa di delizioso e danno il tono alla giornata che fluisce ... al sabato ci si
può perdere nel piacere di stare insieme, di cantare insieme, di sentirsi fratelli" (MALKI).
La Legge del Signore
151
- "Ma l'elemento fondamentale del sabato è la lettura pubblica della Bibbia. Infatti il giorno
del sabato è quello in cui c'è il tempo disponibile per studiare. Nell'arco di un anno si legge
tutto il Pentateuco ... dicono i maestri che non ci può essere un pio che sia ignorante.
L'ignoranza deve essere bandita dal popolo : proprio perché non capitino più certi errori,
occorre eliminare la ignoranza ... . Di sabato siamo tutti uguali. Che cosa infatti ci divide e
determina le classi sociali ? Non è forse il lavoro che compiamo durante la settimana ? Nel
giorno di sabato ognuno deve considerare se stesso come un re, un principe, tutti sono liberi,
sono principi" (MALKI).
VALORE MESSIANICO : "Il sabato non è che un rodaggio verso i giorni messianici" così
Malki. "Il tempo dell'eterno sabato". Come dice il Talmud : "Se tutto Israele osservasse
completamente due sabati, il Messia sarebbe già qui" (Shabbat).
Sabato e messaggio cristiano
Dai testi evangelici ci è più nota la polemica nei confronti del sabato che non
l'apprezzamento di esso. Possiamo formulare nei confronti del settimo giorno le riserve
espresse riguardo alla circoncisione. Nella esperienza umana ogni istituzione corre il rischio
di formalizzarsi allorché pretende di identificarsi con il valore di cui è pure espressione.
C’è sempre uno scarto tra il valore, il "bonum" in sé e la norma - legge o pratica che si sforza
di applicare in gesti e in strutture quel determinato valore.
Il valore umanissimo del riposo ha generato l’istituzione del sabato, ma è superiore al sabato,
non può venire espresso in modo adeguato dal settimo giorno. Anzi può accadere che la
struttura in certi casi soffochi o svuoti il valore che pure è chiomata ad esprimere e a
promuovere.
La tradizione ebraica dell’ epoca intertestamentaria aveva notevolmente appesantito la pratica
del riposo sabbatico con una selva di norme minute che non lasciavano più trasparire la
originaria esperienza di libertà.
- Gesù allora viene, prende le distanze nei confronti della "tradizione degli uomini" e riporta
anche il sabato al "principio" cioè al suo significato originario.
Gesù afferma, anzitutto il primato dello uomo sulla struttura, l'uomo deve essere in quanto
persona "fine" non mezzo : "Il sabato è fatto per l'uomo e non l’uomo per il sabato".
La presa di posizione di Gesù diventa anche un momento ed elemento di rivelazione
cristologica : Il Figlio dell'uomo è padrone anche del saboto" (cf Mc 2,27-28).
Nel Vangelo di Gv poi la guarigione del paralitico in giorno di sabato diventa occasione per
affermare la ininterrotta attività del Padre e del Figlio : "Per questo i Giudei cominciarono a
perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato. Ma Gesù rispose loro : 'Il Padre mio
opera sempre e anch'io opero'. Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo,
perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio"
(Gv 5,16-18).
- Nella Chiesa Apostolica il "dies Domini" non sarà più il settimo delle settimana, ma il
primo, quello della Risurrezione di Gesù stesso "aveva come suggerito e consacrato il ritmo
settimanale del giorno da dedicare al suo ricordo, apparendo di nuovo otto giorni dopo, agli
Undici riuniti nello stesso luogo" (Gv 20,26). Da allora il cristiano non potrebbe più vivere
senza celebrare quel giorno e quel mistero, prima di essere una questione di precetto, è une
questione di identità. Il cristiano ha bisogno della domenica. Dal precetto si può anche
evadere dal bisogno no" (Nota CEI su "Il giorno del Signore", 8).
La Legge del Signore
152
Solo tardivamente, nel quarto secolo, la domenica diventerà anche giorno del riposo,
recuperando i valori positivi del sabato ebraico.
"Il riposo domenicale e festivo acquista una dimensione non solo reale, ma anche ed
essenzialmente simbolica e profetica. Il riposo cristiano afferma la superiorità dell'uomo
sull'ambiente che lo circonda egli riconosce come suo il mondo in cui è chiamato a vivere,
ma progetta ed anticipa il mondo nuovo e una liberazione definitiva e totale dalla servitù dei
bisogni. La nostalgia dell'Eden e l’impazienza per la libertà della gloria dei figli di Dio"
(Rom 8,21) sono ugualmente significati in quel riposo.
Questo giorno, così pieno di divino e d'umano, illuminerà poi di se tutti gli altri giorni"
(idem, 16-17).
- Ad ogni modo, indipendentemente dal "giorno del riposo", ciò che mette conto ricordare è il
"valore del riposo", il significato del "tempo libero" per lo sviluppo dell’ "uomo interiore". Il
mondo della Bibbia può aiutare a risignificare questa realtà umana.
Per la sua intrinseca validità il riposo è potuto diventare anche un grande simbolo
escatologico : si veda a questo riguardo l'ampio sviluppo di Ebr 4 ("è dunque riservato ancora
un riposo del settimo giorno per il popolo di Dio") e anche Ap 14,1 3.
ESODO E FESTA. PER UNA TEOLOGIA DEL GIORNO FESTIVO
Premessa
La festa è una realtà legata intimamente al riposo. Nella festa infatti c’è astensione dal lavoro,
ma non solo. La festa non è meno ma più ; non è semplice assenza di lavoro, ma gioia, è fare
qualcosa di diverso e di gratificante.
Accanto al consumare i frutti del proprio lavoro, accanto al godere fisico, c'è in più la lode
per le sue continue meraviglie, è esercitarsi al senso della meraviglia. "Meravigliose sono le
tue opere e l'anima mia lo sa molto bene" così il salmo 139,14 !
Anche l'Esodo può essere riguardato come un passaggio alla esperienza della festa,
dalla servitù al servizio del Signore nel culto. Non per nulla c'è un ritornello che marca i
diversi interventi presso il Faraone : "Lascia partire il mio popolo, perché si celebri una festa
nel deserto" (Es 5,1. 3 ecc).
Antropologia della festa
Un bisogno irrinunciabile del cuore umano" (Magrassi). Non solo il lavoro, ma anche il
riposo e la festa appartengono al concetto stesso di uomo.
L'uomo infatti vive a una duplice dimensione : c'è l'esistenza ordinaria, la ferialità
della vita, le cose che riempiono ogni giorno spesso ripetitive e banali, affaticanti. Si può
chiamare la prosa della vita.
La festa rompe questo continuum introducendo la sospensione del lavoro ed un ritmo diverso
del vivere. La festa è discontinuità, è vivere ad un livello qualitativamente diverso. La festa
rappresenta la poesia della vita. "L’ operaio ha bisogno di poesia come del pane che mangia"
(Simon Weil).
- Accento all’homo faber c'è l’homo ludens, come attesta quella piccola unità letteraria di Gn
4,20-22 che si può intitolare : "Le origini della cultura". "IABAL fu padre di quanti abitano
sotto le tende presso il bestiame.
Il fratello di questi si chiamava IUBAL : egli fu padre di tutti i suonatori di flauto e di cetra,
Zilla a sua volta partorì Tubalkain, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro"
La Legge del Signore
153
- La festa appartiene all’essenza stessa della vita ; per questo si trova presso ogni cultura, ad
ogni latitudine. Anzi le culture povere di mezzi economici hanno una esperienza più vera
della festa, perché questa appartiene all'Essere e non all'AVERE. Il povero più del ricco sa far
festa !
Ecco alcune riflessioni assai pertinenti di J. MATEOS tolte dalla sua opera : "Cristiani in
festa" EDB 1980
"La festa consiste essenzialmente nell'affermazione esuberante della vita … ogni festa
è un sì alla vita, un giudizio favorevole sulla nostra esistenza e su quella del mondo intero… è
approvazione della vita…sboccia dall'amore alla vita e ne afferma la forza ...
Il Vero lavoro porta con sé due elementi : lo sforzo e il godimento, il sudore e la
soddisfazione, il muscolo e l'entusiasmo…a differenza del divertimento la festa non ha nulla
di frivolo, il suo godimento non resta solo ella superficie dell'essere, tende a penetrarlo
interamente… l’uomo in festa si esprime com'è, toglie dal suo armadio i vestiti che non
prendano mai aria…dove manca la spontaneità, tra anime chiuse a chiave, la festa è
impossibile… dove però l’esuberanza degenera in eccesso, la festa si esaurisce ... L’uomo
scioglie i tendini rattrappiti nella camicia di forza del protocollo culturale… la festa è
un'aiuola di fiori in un orto di verdure… la festa interrompe il lavoro dell’ uomo per
un'attività più alta, il godimento e il gusto della vita… chi è in festa vive in un mondo nuovo
che è questo stesso mondo osservato con occhi di profeta, scopre il mondo buono che Dio ha
creato e non lo coglie nemico, ma fratello"
- "E’ festa ! Per il Signore e per noi ! " L’ebraismo ha capito la festa a partire dall'Esodo e
dalla Pasqua che annualmente lo commemorava. "Il Cristo Risorto fa della vita dell'uomo una
festa continua. Per il cristiano la festa è Cristo" così Atanasio, quasi eco di 1Cor 5,8
"Facciamo dunque festa !"
Fisionomia della festa
Partendo dalla fenomenologia della festa, cioè da come si fa festa, si possono individuare
alcune componenti o caratteristiche di essa, ovunque presenti. TRE sembrano essere gli
ingredienti della festa : l'avvenimento, la comunità, il clima della gioia.
a) L’avvenimento : cioè un fatto della vita, che suscita una rivincita sulla rutinarietà della
vita, una esplosione di essa nel segno della gratuità ... un fatto che la motiva e che forma
gioia, entusiasmo. "Non solo pausa ristoratrice ma attività autonoma. La festa aiuta a scoprire
ragioni per vivere. E' il tempo di festa che dà senso al tempo feriale" (Magrassi). Il fatto a sua
volta può essere unico o tipico cioè ripetitivo.
Presso tutti i popoli le nascite, i matrimoni, talvolta perfino i funerali sono occasioni di feste
... fine della naja, la inaugurazione di un edificio, presso alcune culture lo svezzamento ...
- Talvolta il fatto si ripete periodicamente come gli anniversari e allora la festa si carica di
memoria, assume e distilla il passato ... "è la sentinella che veglia sulle radici della storia"
(Rizzi Armido).
In questo modo il passato si ripropone e si rigenera, continua la vita come trasmissione di
ricordi e di esperienze ... attraverso la parola ed il rito il passato diventa un patrimonio vitale
di esperienze. Così le feste familiari (compleanni-onomastici) civili o religiose.
b) La comunità : Non si può far feste da soli come "il passero solitario".
La Legge del Signore
154
Il motivo può essere individuale, ma la festa si fa in tanti. Le festa è il trionfo del noi.
"Possiamo definire la festa come l'espressione espansione comunitaria, rituale e gioiosa di
esperienze ed aneliti comuni, centrati su un fatto storico passato o contemporaneo" (Mateos).
La stessa parola "celebrare la festa" suppone l'idea del "creber' del frequente, dei molti.
La festa a sua volta contribuisce notevolmente ad alimentare il segno di appartenenza ad un
gruppo, ed una comunità o cultura, cresce il senso di identità.
c) La gioia : la gioia è il clima, l'atmosfera delle feste. Essa è anzitutto un atteggiamento
interiore. Si allenta la tensione del quotidiano, si dimenticano le preoccupazioni della vita, i
problemi per godere.
Non per questo la festa vuole essere evasione dalla vita e la gioia non è stordimento, gazzarra
o droga, frivolezza o fuga dal presente .
C'è differenza tra festa e festival, tra atteggiamento festoso e festaiolo ; non bisogne
confondere le cose.
- La gioia delle festa poi ha segni concreti in cui manifestarsi, che coinvolgono la corporeità
dell'uomo. Essi sono abbastanza simili nelle diverse culture.
Il BANCHETTO ad esempio è segno di comunità e di festa : il mangiare di più e il mangiare
meglio è consentito ed esigito dalla ricorrenza festiva. "Il vestito della festa", non l'abito
andante, quello di tutti i giorni ; l'abito della prima comunione, l'abito da sposo.
MUSICA, CANTO, DANZA sono altri segni manifestativi della festa.
- In questo modo "la festa esprime anche l'anelito fiducioso verso il futuro : le festa,
godimento ed anelito, esprime nella sua gioia la tensione tra il già e il non-ancora" (Mateos).
Proprio perché la festa dice voglia di vivere, ottimismo e fiducia nella vita, apertura di credito
nei confronti del futuro.
Ricordare in ogni caso che nella festa il primato spetta all'ESSERE non all'avere, cioè alle
cose ; i segni della gioia festiva possono materialmente essere modesti, ciò che conta è che
siano valorizzati in modo intenso
Alcuni testi biblici sulla esperienza della festa.
Il materiale è ricco, abbondante e sottolinea sia il clima festivo, sia anche i segni, gesti
della festa. Ogni codice di Israele riporta un calendario delle feste, facile da ricordare : Es
23 ; Lv 23 ; Dt 16.
- La festa più popolare è chiassosa era in Israele, quella delle Capanne, che in origine era la
festa del raccolto autunnale e poi è passata a significare il soggiorno degli Ebrei nel deserto
sotto le tende.
L’aggancio storico appare netto in Lv 23,42-43 : "Dimorerete in capanne per sette giorni ;
tutti i cittadini di Israele dimoreranno in capanne, perché i vostri discendenti sappiano che io
ho fatto dimorare in capanne gli Israeliti, quando li ho fatti uscire del paese di Egitto. Io sono
il Signore vostro Dio".
Era una delle tre feste, accanto alla Pasqua, festa della primavera e alla festa delle
settimane, cioè del raccolto del grano. Tre feste di pellegrinaggio al santuario tribale,
storicizzate in Israele.
La Legge del Signore
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- Dt 16,13-15
Contiene la legislazione circe la festa delle Capanne. L'accento non è posto sul dovere, anche
se si tratta di un testo legislativo, ma sul piacere di fare festa ; la gioia non si può comandare,
si può solo proporre e suscitare.
La gioia del raccolto deve accomunare le diverse categorie del popolo : anche qui
troviamo le 4 categorie dei poveri : il levita, il forestiero, l'orfano e la vedova. Non è detto
esplicitamente, ma perché questo si avveri occorre che i beni agricoli vengano fatti circolare
Nb ! Una gioia tutta particolare merita la Pasqua come festa della Liberazione, memoriale
dell'Esodo.
cf B. CAZ. ELLES, Bible et temps liturgiques. Eschatologie et anamnèse, LMD 147(1981)
pp 11-28
Accanto a qs feste tipiche, che ricorrono periodicamente ogni anno, si incontrano nei testi,
alcune solennità, cioè feste celebrate "una tantum", "sole" in sé stesse. Possiamo adottare il
criterio cronologico per conoscerle.
- 2Sm6,12-23
cf J. M. TARRAGON, David et l'arche : II Sam VI in RB 1979/4 pp 514- - 523
E' un testo molto bello per capire la psicologia biblica della festa. Ritroviamo con chiarezza
in questa pagina le componenti della festa.
a) Il fatto : si tratta del trasferimento dell'arca da una dimora provvisoria, la casa di ObedEdom nella città di Davide, "nella tenda che Davide aveva piantato per essa" (17). Non si
deve escludere un calcolo politico nella manovra, però il testo come si presenta fa trasparire
un atteggiamento autenticamente religioso, gratuito di Davide, il quale vuole la festa, vi
partecipa e si lascia interamente coinvolgere.
- Davide qui rappresenta l’homo ludens, l'uomo in festa ; abbandona il sussiego, il rango, la
ufficialità, per scendere a livello del popolo, si abbassa volentieri e consapevolmente, si
mescola in mezzo alla gente, condivide il giubilo popolare, danza con tutte le forse davanti al
Signore, come un menestrello di YHWH, come un vassallo che fa festa al suo Signore.
E’ cinto di un semplice efod di lino, non porta le insegne regali, un solo indumento
sulla nuda pelle, forse richiama l'abito sacerdotale.
Che cosa ammirare di più : Davide che danza o Davide che combatte ?
Combattendo egli vinse il nemico, danzando davanti a Dio vinse se stesso.
b) La comunità : si tratta di una festa di popolo. Cf l'espressione "tutto Israele o tutto il
popolo" (15. 18. 19). Storicamente possiamo pensare che qs celebrazione dovesse favorire
l'avvicinamento, l'incontro se non la fusione tra il blocco delle tribù del Nord e la tribù di
Giuda. La festa doveva essere immagine delle fusione dei due gruppi nella persona del re.
c) I segni della festa : i segni della festa ; la DANZA con tutte le forze davanti al Signore (14)
"con tributi e a suon di tromba" (15)
E poi il banchetto : si tratta del "sacrifici di comunione" gli shelamim, dove le vittime offerte
alla divinità, vengono poi condivise, a creare comunione, pace. cf v 19 : "distribuì a tutto il
popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una
porzione di carne e una schiacciata di uva passa" perfino il dolce !
La Legge del Signore
156
E cosi il popolo viene congedato.
d) La figurai di Mikal ; nel racconto svolge il ruolo dell'antagonista, di colei che si oppone e
che per contrasto evidenzia maggiormente la validità del comportamento di Davide. Mikal sta
alla finestra, è spettatrice non entra nel gioco ; è distante fisicamente e moralmente, incapace
di capire. "Vedendo il re Davide che saltava e danzava davanti al Signore lo DISPREZZO' IN
CUOR SUO" (16).
Qs atteggiamento interiore prende corpo, si fa voce quando Davide ben intenzionato
ritorna a casa ; allora è investito dei risentimenti, mugugno dalla sposa. Le parole di Mikal
sono di una ironia tagliente e mostrano un totale fraintendimento del comportamento di
Davide.
Il testo biblico gioca sul duplice senso del verbo galah che significa spogliarsi, ma
anche rivelarsi. Mikal considera disonorevole il comportamento di Davide : "Bell'onore si è
fatto oggi il re di Israele a mostrarsi scoperto davanti agli occhi delle serve dei tuoi servi,
come si scoprirebbe un uomo del volgo"
- Ma anche Davide ha la battuta pronta ; giustifica la sua condotta come un atto di culto : "ho
fatto festa davanti al Signore" e richiama a Mikal la deposizione di Saul, al posto del quale
egli è subentrato.
Le parole del v 22 giocano sulla opposizione "onore e disonore" che in ebraico corrispondono
alla coppia "essere pesante - essere leggero (qll).
Abbassandosi Davide si è innalzato, diventando vile = leggero = poco degno di stima
in realtà si è ingrandito, onorato.
- La pericope si chiude al v 23 : "Mikal figlia di Saul non ebbe figli fino al giorno della sua
morte". Non è un semplice dato di cronaca, una informazione neutra. Qs sigillo del racconto
ha tutta l'aria di identificare la sterilità di Mikal come un castigo del Signore.
Davide era venuto a portare nella sua famiglia la benedizione di Dio (v 20) la quale è
sinonimo di vita e fecondità, ma Mikal con la sua condotta l'ha arrestata, l'ha fermata. Non
conoscerà l'onore e la gioia di essere madre !
cf G. RAVASI, Strutture teologiche della festa biblica, in "La Scuola Cattolica" 1982/2
dedicato interamente a "La festa cristiana" pp 143-181
1 Cr 29,10-20
Si tratta di un'altra solennità, stavolta in occasione della raccolta delle offerte per la
costruzione del Tempio. Anche secondo il Cronista, Davide è stato impedito del Signore di
costruire il Tempio ; il motivo però non è identico a 2Sm 7. Non è più il carattere
peregrinante del Signore a sconsigliare la costruzione di un santuario stabile in cui
incontrarlo, ma il troppo sangue che Davide ha sparso in quanto uomo di guerra. Questa è la
spiegazione fornita da 1Cr 28,3. Davide in ogni caso organizza una raccolta di fondi e il
materiale necessario alla costruzione ; "Secondo tutta la mia possibilità ho fatto preparativi
per il tempio del mio Dio" (29,2).
- Qs è il contesto in cui si situa la celebrazione della festa, caratterizzata dalla gioia : "Il
popolo gioì per la loro generosità, perché le offerte erano fatte al Signore con cuore sincero ;
anche il re Davide gioì grandemente"(29,9).
Non manca nemmeno il banchetto come segno di festa : "Mangiarono e bevvero alla presenza
del Signore "in quel giorno con manifestazioni di grande gioia" (22) Però il cuore della
La Legge del Signore
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narrazione non è questo ; è rappresentato dalla berakah di Davide ; "rimane ancor oggi una
delle più belle preghiere liturgiche" (BCC).
– La berakah di Davide : "Davide benedisse il Signore davanti a tutta la assemblea" (29,10).
Si tratta chiaramente di una benedizione ascendente, preghiera di lode e ringraziamento a
Dio.
Preghiera dell'avvenimento, cioè preghiera motivata dalla generosità del popolo come
indicato dal contesto storico.
Destinatario è il Signore, il popolo è spettatore-attore ; si può chiaramente rilevare in
questo passo il contesto comunitario caratteristico della lode secondo la Bibbia. A maggior
ragione quando è il re a svolgere una funzione liturgica.
- Del punto di vista della ''storia delle forme'' qui abbiamo un esemplare delle berakot del
Giudaismo ; nell'epoca postesilica qs forma letteraria ha conosciuto un notevole sviluppo, con
una evoluzione degli elementi strutturanti.
Titoli attribuiti alla Divinità, ampliamento dei "themata laudis", aggiunta della tephillah, cioè
della supplica-invocazioni.
Anche qui il movimento è laudativo : si parte con un appello al Signore mediante una
accumulazione di termini ed un sobrio richiamo alla storia salvifica. Al centro troviamo una
considerazione prolungata sul posto dell'uomo davanti al mistero di Dio.
I vv 18-19 che la concludono sono chiaramente in forma di supplica.
- Contenutisticamente : siamo davanti a una preghiera molto profonda, dinanzi ed un
esemplare pregevole della spiritualità giudaica postesilica, una delle pagine migliori
dell'opera cronistica.
La LODE è riconoscimento della grandezza di Dio, gode nel magnificare colui che è
sommamente amato. Stilisticamente questo appare dalla ripetizione del pronome personale "a
te", in ebraico effetto sonoro dato dalla ripetizione della lettera Kaf.
- Dio è visto come fonte e origine di tutto ciò che è buono. In fondo al v 11 è meglio tradurre
il participio riferendolo non a Dio (il concetto della sua sovranità personale "tu domini tutto"
appare poco dopo) ma al re : "e chi si innalza sovrano su ogni cosa" = anche il re appartiene,
è sottomesso a Dio. La TOB traduce : "e la sovranità su tutti gli esseri"
- In contrasto con la altezza e magnitudine di Dio si situa le miseria dell'uomo, fosse pure
"colui che sta in cima di tutto" cioè il re.
Il v 14 contiene una intuizione teologica luminosa che anticipa il NT : il bene che l'uomo
esprime è in realtà grazia, dono di Dio.
Noi non diamo nulla a Dio, ma da lui provengono il materiale da donare e la stessa
capacità di dono : "E chi sono io e chi è il mio popolo, per essere in grado di offrirti tutto
questo spontaneamente ? Ora tutto proviene da te ; ti facciamo doni della tua mano !" Siamo
molto vicini alla teologia di Ef 2, 8-10 : "Per grazia infatti siete salvi mediante le fede e ciò
non viene da voi ma è dono di Dio ; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.
Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha
predisposto perché in esse noi camminassimo" Lo stesso concetto è ripreso al v 16 -17.
Insistenza sulla gratuità = spontaneam !
La Legge del Signore
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- Il v 16 è una rapida pennellata che accentua il senso delle miseria umana a partire dalla
constatazione della morte invincibile quale limite massimo dello uomo : " ... come un'ombra,
sono i nostri giorni sulla terra e non c'è speranza".
L’antropologia del Cronista non è ancora rischiarata da una possibilità di sopravvivenza dopo
la morte, l'Oltretomba è soltanto lo scheol !
"La preghiera di ringraziamento e di lode pronunciata da Davide esprime le idee dell'epoca
del Cronista, più che quelle dell'epoca di Davide. Ma Davide è presentato come l'esempio
delle fede e della pietà che saranno quelle del giudaismo postesilico" (TOB, 1826).
- La supplica : contiene due cose ; la seconda meno importante è la preghiera per Salomone
affinché riesca a portare a termine il progetto ; la prima è supplica a Dio, affinché la
religiosità autentica che il popolo ha espresso si mantenga inalterata "custodisci questo
sentimento" (18).
- In finale troviamo al v 20 l'intervento della assemblea che si associa alla berakah e
accompagna la parola con la prostrazione.
+ Altri testi utili per una "teologia della festa" secondo la Bibbia potrebbero essere 1Re 8,6566 soprattutto secondo la LXX, la quale inserisce qs pezzo tra i due versetti : "Mangiarono,
bevvero, fecero festa cantando inni al Signore nostro Dio". Si noti accanto al mangiare e al
bere la lode che smaterializza la festa, introducendo la gratuità.
Neemia 8, 9 -12
La festa di popolo qui raccontata fa seguito alla solenne e celebre proclamazione della Legge.
Storicamente siamo nello anno 398 (con tutta la incertezza che accompagna la cronologia di
Esdra e di Neemia). Troviamo espressa tre volte la raccomandazione "non vi rattristate".
Il termine ebraico qui tradotto con "non vi rattristate" può anche essere reso con "non
digiunate".
Bisogna togliere l'eccesso di spiritualismo della causale "perché la gioia del Signore è la
vostra forza" traducendo con "perché il Signore è contento che voi siate forti, robusti",
idealismo biblico.
L'aspetto di festa si trova anche nelle parole di Neemia : "carni GRASSE, vini
DOLCI".
Non sfugga inoltre la preoccupazione per i poveri ; nessuno deve essere estraneo alla festa,
essa è un diritto di tutti, anche di chi è sprovvisto di mezzi.
cf v 10 "mandate porzioni a quelli che non hanno niente di preparato"
v 12 "a mandare porzioni ai poveri e a fare festa".
Purché dei poveri non ci si ricordi solo di festa ...
Il fare la festa viene visto come una intelligenza della Legge : "perché avevano compreso le
parole che erano state loro proclamate" (12).
Segue una celebrazione eccezionale della "festa delle capanne"
Cf anche 1 Macc 4,56-59 istituzione della Hanukka = festa delle luci/ Dedicazione. cf
Gv10,22
- Infine si possono notare Is 30,29 dove si parla di una festa notturna, quasi certamente la
Pasqua, con pellegrinaggio accompagnato da canti : "Voi intonerete un cantico nella notte
sacra della festa ; si rallegrerà il vostro cuore al ritmo dal flauto, mentre salirete al Monte del
Signore, alla Rocca di Israele"
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Il salmo 42-43 che è il pianto di un levita esiliato, lascia trasparire per contrasto l’idea
della festa, nelle parole piene di nostalgia e nella speranza che ritorna a tre ondate
successive : "Questo io ricordo e rivivo nell'anima mia ; procedevo in uno splendido corteo
verso la casa di Dio, tra voci di gioia e di lode di una moltitudine in festa".
- Per concludere : tutta la Bibbia afferma entrambe le cose : la vita è una lotta e la vita è un
gioco. Lavoro e riposo, efficienza e inutilità, lotta e contemplazione, logica e poesia,
organizzazione e carisma : due rami che si sviluppano da un'unica, identica radice : la radice
della vita creata da Dio e salvata in Gesù Cristo.
In un'opera che ha ormai fatto il suo tempo, Homo ludens, Huizinga mostra come la
cultura moderna del consumismo e dell'efficientismo stia uccidendo il secondo aspetto. "
Persino il piacere del riposo è subordinato al lucro : è un totale rovesciamento di prospettiva "
(Mesters, Il popolo interpreta la Bibbia pag 143).
Si pensi ad Harvey Cox e alle sue due opere : "Le città secolare" e "la festa dei folli"
Circa il carattere di rimando al futuro della festa Agostino dice in Enarr. in Ps. 41,9 PL 470
"Nella casa del Signore eterna è la festa. Non vi si celebra una festa che passa.
Il coro festoso degli angeli è eterno : il volto di Dio presente dona una letizia che non viene
mai meno.
Questo giorno di festa non ha inizio né fine. Festa perpetua ed eterna, da cui risuona alle
orecchie del cuore un non so che di canoro e di dolce"
L'ESODO COME LIBERAZIONE DEL POTERE
Premessa
L'uscita dell'Egitto è stata vissute e compresa da Israele anche come fine di un potere
dispotico, tirannico, quello dei Faraoni.
A sua volta il fatto storico della liberazione ha influito sulla concezione ebraica del potere,
sulla visione della autorità.
In Israele rispetto alle culture limitrofe si ha una concezione più democratica del potere
politico ; non tanto nei termini di una partecipazione del popolo, né di una possibilità di
CRITICA dei potenti e dei poteri. Il re non è una figura assoluta, la sua volontà è sottomessa
alla Legge di Dio. Il re di Israele non può trattare i suoi sudditi come schiavi.
+ Partiamo dall’Esodo ; qui troviamo le radici del problema.
Il testa biblico registra come è appunto il cambio di dinastie (forse le fine della dinastia
Hyksos semita) a determinare la fine di un periodo di tolleranza nei confronti dell'elemento
ebraico e l'inizio di una epoca di sfruttamento e di oppressione : "In quel tempo sorse
sull'Egitto un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe" (Es 1,7).
- I testi narrativi dell'Esodo concentrano la odiosità dell'Egitto nella figura del Faraone che è
l'autorità suprema. Il territorio di per sé è fertile, il paese è buono, dà possibilità di vivere ; qs
aspetto è già stato studiato.
Anche la popolazione è valutata positivamente, è migliore dei suoi capi : "Il Signore
fece sì che Israele trovasse favore agli occhi degli Egiziani ; inoltre Mosè era un uomo assai
stimato nel paese d'Egitto" (11,3).
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- E’ la figura del FARAONE che rende l'Egitto una terra odiosa, inospitale, inabitabile, è lui
il responsabile del progrom.
In questo modo il Faraone entra come ANTAGONISTA nella storia, come forza avversa al
piano di liberazione voluto da Dio.
Incarna la RESISTENZA POLITICA alla Salvezza di Israele.
I testi biblici a più riprese presentano i fatti come una lotta a due : il Signore da una parte che
vuole libertà per il suo popolo oppresso, il re di Egitto dall'altra che non vuole mollare a
nessun costo. Soltanto le terribili piaghe - prove cui l'Egitto è sottoposto e soprattutto la
decima, l'uccisione del primogeniti riusciranno a piegarlo.
- DUE TESTI istruttivi sono :
a) Es 1,22-23 : qui il rapporto tra Dio e il Faraone è presentato nei termini di giustizia
retributiva : do ut des. Tu mi hai fatto questo e io ti ripago con la stessa mancia. Il popolo
viene connotato come "bekor" cioè figlio primogenito. Il rifiuto di lasciar partire Israele come
primogenito di Dio comporta per il Faraone come castigo la perdita del figlio primogenito.
b) Es 9,13-17 : contiene la minaccia della settime piega, quella della GRANDINE. Anche qui
appare netto il duello, contrasto tra il Faraone e il Dio di Israele.
Il narratore afferma con chiarezza che il Faraone derive da Dio il suo potere, è un semplice
strumento nelle sue mani. E' il Signore che lo mantiene in carica. Invece di "ti ho lasciato
vivere" è meglio tradurre" ti mantengo in carica (hiphil di ‘amad). Ed anche questo è
paradossale : che rimangano in carica poteri oppressivi e ingiusti, che sfruttano il popolo
invece di servirlo.
Lo scopo è la RIVELAZIONE, certo una manifestazione di YHWH in modo forzato
costretti dalle circostante, sotto la pressione degli avvenimenti : "perché tu sappia che
nessuno è come me su tutta la terra" - "per dimostrarti la mia potenza e per manifestare il mio
nome su tutta la terra".
- Tutto questo è un invito a ricercare la visione biblica del potere, che sbocca nella
affermazione nt della autorità come SERVIZIO ed in particolare a cogliere gli influssi della
liberazione-esodo sul modo di vederlo e gestirlo.
Ecco ora alcune pagine, dalle quali ricavare in modo rigoroso un'immagine del potere,
della sua natura e del suo esercizio secondo la mentalità ebraica.
+ Dt 17,14-20 : qs pericope fa parte di una sezione più ampia, un complesso legislativo che
delinea la divisione dei poteri ed elenca le qualità che devono possedere i detentori delle varie
ferme di autorità :
17,8-13 il compito della magistratura sacra (sacerdoti).
18,1-8 sui sacerdoti leviti
18,9-22 lo statuto del profeta (magna cartha del profetismo biblico).
- il pezzo in questione può essere intitolato "il direttorio del re" : elenca infatti le norme cui il
re di Israele deve soggiacere per gestire legittimamente il potere. Si tratta di un testo
retrospettivo, vale a dire suppone già avvenuta una esperienze della monarchia e dei guasti
che esso ha prodotto.
Già sappiamo dalla storia che Israele non è rimesto entusiasta dei suoi re, se ha salvato
solo Davide, Ezechia e Giosia ...
La Legge del Signore
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Questa pagina dunque prospetta una utopia, propone un ideale, quello che il re "dovrebbe"
essere secondo il cuore di Dio ; il suo ritratto è ricalcato sulla esperienza negativa effettuata
della monarchia.
a) Prima esigenza è quella di una designazione carismatica : "dovrai costituire sopra di te
come re colui che il Signore tuo Dio avrà scelto".
Qs disposizione si comprende bene nell'Israele del Nord, dove il principio della successione
dinastica era meno avvertito ed il profeta aveva un ruolo non indifferente nel proporre o nel
deporre sovrani : si pensi ed Eliseo ed anche alla testimonianza (lamento di Osea) : "hanno
fatto dei re senza consultarmi"(8,4).
b) La seconda raccomandazione è che sia un membro del popolo - "uno dei tuoi fratelli". La
norma si capisce a partire dall'influsso negativo esercitato sul popolo ad esempio da una
Gezabele ; introduzione in Israele di culti stranieri.
c) Ora il discorso riguarda più direttamente il re e consta di una triplice messa in guardia
contro il potere, godere = piacere ed avere.
I cavalli di cui parla il v 16 sono l'emblema della potenza militare, mentre il "tornare in
Egitto" indica il fare alleanza con questa potenza imperialista. Qs è visto come un peccato e
come un disfare l'opera di Dio.
17a invece è un richiamare il pericolo delle donne, "perché il suo cuore non si
smarrisca". Lo storia di Salomone insegna cf 1Re 11,1-8
Un re donnaiolo difficilmente bada agli interessi del popolo ; la Bibbia che non è contro il
piacere, mette però in guardia dai suoi eccessi.
Per qs aspetto cf A. AMMASSARI, Lo statuto matrimoniale del re di Israele, in "Euntes
docete" 1981/1 pp 123 - 128
Ci sarà poi un aggiornamento a Qumran
17b contiene l’avvertimento contro la accumulazione della ricchezza : "neppure abbia
grande quantità di argento e d'oro". Questo è l'ideale di ogni monarca di questo mondo ; il
testo di Dt biasima qs prassi. Qoh registra il fascino del denaro : "il denaro risponde ad ogni
esigenza" (10,19. ) come amara constatazione.
d) Al v 18 leggiamo : "Quando si insedierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro
una copia di questa legge secondo l'esemplare dei sacerdoti leviti" Dal punto di vista storico
abbiamo qui un accenno alla presenza di più copie del codice deuteronomista.
Da un punto di vista letterario è a partire dalla inesatta traduzione della LXX
"deùteron nomon" che l'opera intera ha preso nome.
Da un punto di vista contenutistico qui appare chiara la subordinazione del re di Israele alla
Torah ; egli non è un monarca assoluto, è sottomesso alla Legge del Signore, che
quotidianamente deve mediare. Solo così potrà gestire il potere in termini di servizio e non di
prestigio : "non si insuperbisca verso i suoi fratelli" (20) ed avere successo.
1 Sam 8,10-20
Il potere è una tentazione troppo grave per non abusarne. Il testo in questione può essere letto
in parallelo e contrasto rispetto a Dt 17. Riproduce il vero ritratto del sovrano, la fotografia
storica dei re, come si comportano in Israele e altrove.
- il momento storico è quello della introduzione della monarchia in Israele. Samuele,
sollecitato a farlo, prima di cedere alle richieste, vuole illuminare il popolo informandolo
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delle conseguenze di una tale modifica, mettendo sul piatto della bilancia gli svantaggi che
comporterà la monarchia.
Enuncia infatti il "diritto del re" tradotto giustamente con "le pretese dei re".
- Stilisticamente si può osservare in questa unità letteraria la ripetizione - insistenza sul
termine "laqach = cioè prendere - pretendere.
I re faranno una politica di sfruttamento e di rapina, cercheranno il loro tornaconto, non il
benessere del popolo.
Una seconda cosa da rilevare (ma va nella medesima direzione) è il contrasto tra il "vostro"
riferito al popolo ed il "suo" applicato al re ; passaggio indebito di proprietà.
- Che cosa PRENDE il re ? Pretenderà i figli maschi come combattenti in tempo di guerra e
come servi della gleba in momento di pace.
LE FIGLIE come "profumiere, cuoche e fornaie" : chissà che le profumiera non fornissero
anche prestazioni sessuali al sovrano.
Poi i CAMPI come regalo por i ministri di corte.
Gli SCHIAVI per destinarli ai suoi lavori.
Le DECIME sul raccolto e sul bestiame.
- Risultato : "voi stessi diventerete suoi schiavi". Si incatenano con le loro mani, saranno
responsabili della loro scelta fatta con stoltezza.
"Allora griderete a causa del re che avete che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi
esaudirà" (18).
Situazione peggiorata rispetto all'Esodo : Dio non li ascolta né li visita più, si tappa le
orecchie.
- Testo assai realista, verità umana profonda di questa pagina.
Contro, la arroganza del potere. Si costruiscono con le loro mani un faraone domestico,
diventano e sono dileggiati come " schiavi di Saul " da Golia il Filisteo in l Sm 17,8-9.
1 Sm 12,3-5
Samuele che ha enunciato con lucidità e coraggio la politica di saccheggio del re lo
ritroviamo al termine della sua vita interrogare la comunità circa il senso della sua gestione :
"pronunciatevi a mio riguardo alla presenza del Signore e del suo unto" (3).
- "A chi ho preso ? A chi ho preso ?" ritorna anche qui il termine prendere. Samuele ha
concentrato in sé parecchi poteri secondo il racconto biblico, ma non ne ha abusato a suo
vantaggio. Ha esercitato l'autorità in modo disinteressato, senza sfruttare il popolo e senza
ledere la libertà e dignità delle persone.
Il "regalo per chiudere gli occhi" o il dono fatto con l'intenzione di corrompere, di
comperare l'autorità. Leggiamo in Es 23,8 : "Non accetterai doni, perché il dono acceca chi
ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti"
- Ascoltiamo poi il pronunciamento della comunità : è un giudizio altamente elogiativo nei
confronti di Samuele e della sua gestione. Riconoscono di essere stati serviti non
tiranneggiati. Samuele se ne parte con le mani pulite, perché sono mani povere, vuote che non
hanno sottratto beni con ingiustizia.
La Legge del Signore
163
- Qs dichiarazione collettiva poi viene ratificata da una formula di giuramento richiesta
espressamente da Samuele in presenza del Signore e di Saul (due testimoni come richiede la
legislazione). Risposta : "Si sono testimoni !" (12,5).
Sono i supertesti che" devono "garantire la solennità e verità del momento.
Il salmo 101 testo parallelo quale manifesto dell’uomo politico.
"Lo sfruttamento del popolo è incominciato già con Davide, che si è preso le donne (Betsabea
la donna di Uria in 2Sm 11) e soprattutto con Salomone, vero faraone domestico. Il fasto, il
boom salomonico infatti ha come contropartita lo sfruttamento della gente, le prestazioni
obbligatorie di lavoro gratuito.
Sappiamo dalla storia di Israele che il malcontento popolare ha avuto modo di
coagularsi e di esprimersi ella morte di Salomone stesso, allorché si trattò di riconoscere il
passaggio di poteri nella figura di ROBOAMO.
1Re 12
Gia conosciamo dalla "Storia di Israele" l'andamento dei fatti, come si è sviluppata la
assemblea di Sichem, il comportamento stolto di Roboamo e lo scoppio della guerra civile.
- Ora interessa piuttosto rilevare le analogie tra questo capitolo e l'esperienza dell'Esodo ed
anche il vocabolario impiegato. Significativo a qs proposito è il discorso che tengono gli
Anziani, copivillaggio di Israele : "pesante giogo e dura schiavitù" richiamano appunto
l'oppressione di Egitto e dipingono indirettamente Salomone come un Faraone domestico.
- Di particolare interesse anche le parole con cui gli Anziani consigliano il giovane re di
accedere-accondiscendere alle richieste delle tribù del Nord.
Il testo dice letteralmente così al v 7 : "oggi ti farai servo verso qs popolo e li servirai, se dirai
loro parole gentili, essi saranno tuoi servi per sempre"
Qui appare chiaramente espresso il gioco delle funzioni : è il re in funzione del popolo
o il popolo a servizio del re ? Fuori di Israele vale la regola che il re è tutto, per Israele vale
invece il contrario ; l'autorità esiste ed ha senso non solo in quanto esistono sudditi sui quali
esercitarla (un'autorità senza sudditi è vuota), ma in quanto esistono sudditi da servire.
- Il comportamento di Roboamo "stoltezza del popolo e privo di senno" (Sir 47,23) imita e
ripete la condotta del re di Egitto. "Il re rispose duramente al popolo, respingendo il consiglio
degli Anziani" (12,13) esattamente come il Faraone verso Mosè ed Aronne.
Ed anche qui come in Es 5 abbiamo un giro di vite : "giogo ancora più grave" = "flagelli
invece di fruste"
- Conseguenza è la secessione del Nord dalla "casa di Davide". Con qs comportamento il re si
squalifica. Viene infatti chiamato "figlio di Isai". Non è un semplice richiamo al padre di
Davide, radice della dinastia ; è invece un titolo polemico. Lo usava infatti Saul per umiliare
Davide, richiamandogli le umili origini pastorizie. Equivale e dire : "figlio di nessuno !" Sei
une nullità !
- "Alle tue tende Israele" : qui si richiama l'epoca del deserto, l'immagine sopravvive come
emblema di libertà, autonomia. "Israele andò alle sue tende". "Ciò accadde per disposizione
del Signore" (15).
"Qs situazione è stata voluta da me" (24).
La Legge del Signore
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Il narratore mostra di approvare a nome di Dio il comportamento dell'Israele del Nord,
ha fatto bene a rifiutare sottomissione a Davide-Roboamo, anche se si è frantumata l'unità e
la compattezza del popolo.
La libertà è un valore più alto.
- Abbiamo qui nel popolo un atteggiamento opposto rispetto a quello espresso da Gn 47,25
"Ci hai salvato la vita ! Ci sia solo concesso di trovar grazia agli occhi del mio signore e
saremo schiavi del faraone".
Vi è la rinuncia completa alla libertà per motivi di stomaco : "Il potere ti piglia per fame" (De
Andrè). Hanno perso completamente il senso della loro dignità, non si accorgono d'essersi
venduti oltre che alienare i campi…
+ Neemia 5 : è un'altra pagina contenutistica circa i rapporti autorità-popolo. La situazione
storica è quella di Gerusalemme gravata dalla miseria e dalla ingiustizia sociale.
Il testo figura materialmente tra il racconto della costruzione delle mura in 52 giorni (cf c 4,
6. 15) e ripopolamento di Gerusalemme (c 7) e dedicazione della cinta muraria in 12.
Dal punto di vista della storicità dei fatti è più probabile che l'episodio narrato in 5 abbia
avuto luogo dopo la conclusione delle traversie politiche esterne. In ogni caso la collocazione
dice una cosa importante : Che senso ha difendere la città dai nemici esterni se poi la
ingiustizia la intacca e la rode dall'interno ? I nemici di dentro sono ancore più pericolosi.
- E' Neemia stesso che racconta nel suo "memoriale" : narra del "grande lamento del popolo".
Si tratta dalla se'aqah cioè del "grido degli oppressi" che rievoca il lamento di Israele in
Egitto.
Destinatari della protesta sono : "i fratelli Giudei", quindi membri ricchi del popolo.
Si è formata una società classista, percorsa da notevoli tensioni sociali per la iniqua
distribuzione della ricchezza.
- L’autore ci fa ascoltare alcune voci di protesta, sono le donne stesse a scendere in piazza
(immaginiamo le Madri di Plaza de mayo) a reclamare i loro diritti. Chiedono da mangiare
per vivere, sono veri proletari, hanno troppi figli a carico.
Di più : a causa della fame sono costretti ad ipotecare campi e case per riuscire a tirare
avanti.
Ancora di più : c'è la tassa all'erario persiano da pagare, un balzello pesante e per
saldarlo sono costretti a vendere la piccola proprietà familiare.
E a questo punto risuona (prima volta nella storia umana) il grido di uguaglianza e fraternità :
"La nostra carne è come la carne dei nostri fratelli, i nostri figli sono come i loro figli". In più
si trova l'accenno alle figlie "perfino violentate"(v5) . Il termine kbs in Niphal = essere
violentata cf Est 7,8
- La reazione di Neemia è di solidarietà e appoggio alla causa degli oppressi e di intervento
generico per rimediare alla ingiustizia.
Vengono sfidati apertamente i responsabili delle situazione : "convocai contro di loro une
grande assemblea" e passa alla accusa diretta :
"Vi state comportando con i vostri fratelli come usurai" (v 7).
La Legge del Signore
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Porta l’esempio suo personale e della famiglia, che hanno riscattato Giudei caduti in schiavitù
e poi rimprovera che la schiavitù abbia luogo all'interno della comunità stessa : "ma voi, voi
vendete i vostri fratelli ed è a noi stessi poi che essi vengono venduti" (8).
Qs comportamento ingiusto viene visto come una controtestimonianza, come un
impedimento alla comunicazione della fede : "Solo rispettando il nostro Dio, eviterete il
disprezzo dei nostri nemici i pagani" (9)
cf Pr 14,31 ; "Chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora"
- La proposta è quella di uno straordinario "deror" = remissione dei peccati o meglio condono
dei debiti, restituzione delle proprietà confiscate. Neemia deve essere stato particolarmente
convincente se la iniziativa è state accolta ed ha avuto successo : "restituiremo e non
esigeremo più nulla da loro ; faremo come tu dici"
Per rendere l'impegno più solenne e vincolante, Neemia compie un gesto pubblico alla
presenza dei sacerdoti, dopo aver fatto giurare quanti avevano assunto l’impegno prende il
mantello, lo scuote e spiega con una formula imprecatoria: "Cosi Dio spogli dei suoi beni ... "
L'assemblea presente esprime il suo assenso con la acclamazione : Amen e nello spirito della
berakah biblica, preghiera dell'avvenimento, "lodarono il Signore" = wayellalu
+ la testimonianza di Neemia : la secondo parte del capitolo è di natura apologetica. L'autore
giustifica davanti alla posterità la sua gestione amministrativa. Neemia non si fa mantenere,
rinuncia ai suoi diritti ("la provvista assegnata al governatore" in 5,14. 18) anzi "dà del suo".
In linea con la figura dell'uomo giusto : "Nella sua cosa abbondanza e ricchezza, la sua
giustizia = generosità = elemosina dura per sempre… Felice l'uomo che fa favori e impresta e
amministra i suoi beni con onestà… il suo ricordo sarà perpetuo alzerà la fronte con dignità"
Per concludere si può osservare : "La voce dei deboli e degli sfruttati di tutti i tempi trova
accenti calorosi e di spregiudicato realismo in questa scena che è di una storicità simbolica e
quindi più profonda e più vera di quanto lo possa essere un racconto dettagliato e
cronachistico della situazione" (Gatti).
- Sulla concezione della politica, materiale di eccellente valore viene offerto dalla letteratura
profetica. Il contrasto carisma-potere è classico nella esperienza profetica di Israele.
Le relazioni degli ispirati di Israele con i poteri dell'epoca (politico-religioso-culturale) hanno
generato pagine di notevole tensione morale. Basterebbe pensare, per citare un solo esempio,
ad Ez 34 !
Questi testi saranno oggetto di studio nel corso di Esegesi dei Libri Profetici.
Parimenti la lirica religiosa di Israele non è sorda ai richiami della politica. Proprio perché la
preghiera non è evasione dalla vita, ma contemplazione di essa da un osservatorio più alto e
preparazione all'impegno, i problemi sociali trovano eco nei salmi.
La poesia e la preghiera del salterio agitano ripetutamente il tema della giustizia nell'esercizio
del potere. A titolo di esempio si possono ricordare i "salmi della giustizia", specie il salmo
82 "La caduta degli dei" e il 101 che è il manifesto dell'uomo politico.
- Anche l'ambito sapienziale non è estraneo a queste tematiche soprattutto quando si pensi
che la corte è una sede classica nell'Antico Medio Oriente per la elaborazione del pensiero e
della cultura.
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Basterà una incursione nell'ultimo libro dell'AT in ordine cronologico, il libro della Sapienza,
che può essere visto anche come un'opera di "teologia politica".
Si raccomanda in particolare la pericope 6, 1-11 :
^ C'è una ripresa del prologo e un appello diretto ai destinatari. Sono persone costituite in
autorità, "re della terra". Sono interpellate tre volte (vv 1. 9-11. 21).
^ L' invito pressante loro rivolto è ed acquisire saggezza per poter governare rottamente (cf
Sap 1,1ss). Per il nostro autore la sapienza è indispensabile per il buon esercizio della
giustizia.
^ Dio viene visto come fonte della autorità, origine del potere. Questa affermazione non
equivale però a sacralizzare il ruolo, ad assolutizzare la "sacra maiestas", o rendere intoccabili
le persone costituite in autorità ; serve piuttosto a mostrare la sottomissione dei poteri umani
ad una istanza superiore, quella di Dio stesso.
^ Il testo rimarca la necessità di rendere conto a colui che non si lascia impressionare dai titoli
e dagli apparati di questo mondo : "Il Signore di tutti non si ritira davanti a nessuno, non ha
soggezione della grandezza, perché egli ha creato il piccolo e il grande è ha cura ugualmente
di tutti. Ma sui potenti sovrasta un'indagine rigorosa" (7-8).
^ Nel testo compare la definizione delle autorità come servizio : "ministri del suo regno" (v
4).
- Portando infine lo sguardo nel NT, si può dire che esiste continuità nell'idee del potere come
servizio. Soprattutto l'autorità della e nella Chiesa deve essere esercitata in questo stile :
"Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la sua vita in riscatto
per molti" (Mc 10,4-5).
"Il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve ... Io
sono in mezzo a voi come Colui che serve" (Lc 22,24-27).
Nelle parenesi nt troviamo l'invito a riconoscere l'autorità politica e a sottomettersi ed essa (cf
Rom 13,1-7 ; 1Pt 2,13-17) ma anche l'affermazione del principio della libertà e della
"disobbedienza creatrice" nei confronti dei poteri : "Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi
più che a lui, giudicatelo voi stessi ; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e
udito" (At 4,19-20).
IL DESERTO
Abbiamo concluso l'esame del primo membro del sintagma dell'esodo : "Dio fa uscire
Israele dall'Egitto" con i termini sostitutivi (schiavitù, lavoro forzato, potere) ; passiamo ora
ed analizzare il secondo elemento dello schema : "Dio conduce Israele attraverso il deserto".
Ci concentriamo sui significati del deserto, cresciuti progressivamente a partire
dall'esperienza salvifica vissuta.
Sopra questo tema si incontra una esposizione ricca nel Dizionario di Teologia Biblica (DTB)
diretto da X. Leon DUFOUR, colonne 260-265 Editrice Marietti - Torino 1971
L’esperienza storica
La memoria di Israele conservava di certo il ricordo di una lunga sosta nel deserto
della penisola sinaitica da parte dei gruppi ebrei usciti dall'Egitto prima del loro ingresso e
sistemazione nella terra di Canaan ; era viva anche la memoria di altre tribù vissute a lungo
nella steppa come seminomadi prima di trovare le terre in cui installarsi e da coltivare in
modo permanente.
La Legge del Signore
167
Su questi frammenti di memoria storica si è esercitata la fede e la riflessione teologica di
Israele. Ci si è chiesti il significato di questa tappa intermedia, il perché di questa sosta
prolungata di cui parlano abbondantemente i racconti a partire da Es 16 e nel libro dal
Numeri. Il passeggio dalla "terra di Goshen" al Canaan non richiedeva certo un periodo di
quarant'anni, il percorso poteva essere coperto in poche settimane. E allora perché tanto
tempo ?
Già Es 13,17 è un tentativo di spiegare teologicamente la cosa :
"Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per le strada dei Filistei,
benché fosse la più corta, perché Dio pensava : Altrimenti il popolo, vedendo imminente la
guerra, potrebbe pentirsi e tornare in Egitto. Dio guidò il popolo per la strada del deserto
verso il Mar Rosso".
C'è quindi una intenzionalità divina nel come sono andate le cose : Israele era troppo debole e
insicuro di sé per affrontare prove troppo grandi.
Poi il discorso si approfondisce e vengono ripensate le "lezioni del deserto".
Descrizioni del deserto
Diversi passi biblici delineano rapidamente che cosa sia il deserto dal punto di vista
fisico. E’ siccità e aridità, mancanza di vita perché manca l’acqua. E’ come un residuo di non
creazione.
Non si dimentichi che il primitivo autore Jahvista di Gn 2 vede il caos delle origini come una
landa desolata e l'opera di Dio inizia con il trasformare il deserto in un giardino
lussureggiante.
Nm 20,5 : "Luogo inospitale. Non è luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi, non
vigne, non melograni e non c'è acqua da bere"
Dt 8,15 : "deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra
assetata, senz'acqua"
Ger 2,6b : "terra di steppe e di frane (lett. "di immersione"), terra arida e tenebrosa, terra che
nessuno attraversa e dove nessuno dimora"
Le tradizioni del deserto però all'interno della Bibbia sono meno interessate alla fisicità di
esso ; si soffermano piuttosto sui significati di esso. Il deserto acquisisce come l'Egitto e la
Terra dimensione di simbolo, concentra in se una pluralità di significati, rappresenta altre
cose, rimanda a valori umani profondi.
Il deserto come cammino
"E’ uno dei simboli più fertili e versatili. Camminare è una esperienza primordiale e simbolo
archetipo dell'uomo. Camminando l'uomo si libera tutt'intorno e domina lo spazio.
Camminando coniuga insieme le sua infinità con la sua finitezza : capacità radicale di
presenza in qualsiasi spazio, incapacità di simultaneità ed immediatezza.
Camminando supera la costrizione biologica e inventa l'avventura, si lancia alla conquista…
l'esperienza è anche sociale, come mostrano le frange migratorie di tanti popoli, le scoperte
ed in scala più modesta ed estesa i viaggi, il turismo, il trasporto di massa" (Alonso).
"Chi ha viaggiato conosce molte cose, chi ha molta esperienza parlerà con intelligenza. Chi
non ha avuto delle prove, poco conosce ; chi ha viaggiato ha accresciuto l'accortezza" (Sir
34,9).
Uno dei generi della letteratura universale sono i "resoconti di viaggio" , i "diari di bordo" : si
pensi per citare un solo esempio al "Milione" di Marco Polo, contenente le memorie dettate a
Rustichello da Pisa del viaggio in Cina effettuato verso il 1280.
La Legge del Signore
168
Da questa esperienza del camminare da soli o insieme nasce poi tutto un linguaggio
metaforico, che si riferisce all'ambito umano : buona o cattiva strada, sbandato, disorientato,
corso, carriera, orientamento, disorientamento, progresso, regresso, condotta ...
Deserto è andare sperduti, essere smarriti in cerca di una città : passaggio dalla vita nomade a
quella stabile. Lo dice bene il salmo 107,4-7 : "Vagavano nel deserto, nella steppa, non
trovavano il cammino per una città dove abitare. Erano affamati, assetati, veniva meno la loro
vita. Nell'angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie. Li condusse sulla
retta via, perché camminassero verso una città dove abitare".
Nell'AT il tema del cammino particolarmente in due ambiti : nelle tradizioni dell'esodo con
carattere storico, in territorio sapienziale con carattere etico ed esistenziale.
Come linguaggio religioso passa anche nel NT. Si veda il tema delle due vie in Mt 7,13-14.
La condotta cristiana è connotata come un "camminare" anzi un "correre" (ad es Ebr 12,1-2).
Questo è interessante : l'esistenza credente non è qualcosa di statico, me ha carattere
dinamico, progressivo.
Il termine "strada" può indicare la stessa condizione cristiana. In Atti i cristiani vengono
chiamati "quelli delle strada" (9,2 ; 16,17 ; 18,25). Il culmine del simbolo si ha in Cristo : "Io
sono la via" (Gv 14,6).
Il deserto come tempo intermedio
Nella tradizione biblica il deserto non è principalmente un luogo ; è soprattutto un
tempo, non tanto uno spazio fisico da attraversare ma un tempo speciale da vivere. "Il
significato religioso del deserto ha un diverso orientamento a seconda che si pensi ad un
luogo geografico oppure ad un'epoca privilegiata della storia della salvezza" (Dufour).
Mentre le tradizioni arcaiche non conoscono la tappa del deserto, (cf Dt 26), essa appare in
una fase più recente della teologie a rendere ternario il sintagma dell'Esodo.
- Partiamo anche qui da una premessa antropologica, cioè dalla esperienza che l'uomo fa del
tempo. E' pacifico che il tempo è una dimensione dell'uomo, nel senso che l'uomo entra nel
tempo, è plasmato e condizionato da esso, cresce in esso, esce dal tempo.
L'uomo può avere coscienza del tempo e misurarne il movimento.
La forma più semplice di vivere il tempo è di esperimentare la successione = cogliere il prima
e il poi delle cose, il succedersi degli accadimenti. Però ciò che è tipicamente umano è la
capacità di trascendere il tempo = trasformare il "chrònos" in "Kairòs", cioè vivere in maniera
diversa il fluire del tempo, ricordando e anticipando ...
La coscienza si proietta in un avvenimento futuro, trasforma la successione in avanzamento.
Si fanno progetti, si fissano scadenze ...
La tensione verso il futuro introduce nella vita umana l'esperienza del "tempo intermedio" : è
l'intervallo tra la coscienza presente e il momento futuro, il tempo che sta in mezzo tra un
piano intravisto e la sua compiuta realizzatone, la tensione feconda tra il "già" e il "non
ancora". E' il tempo proiettato dinamicamente verso un traguardo, l'attesa impegnata e
dinamica di un evento che si contribuisce a far maturare.
Non è l'aspettativa inerte e rassegnata del carcerato che si appiattisce sull'ordinario della vita
e lascia passere inutilmente il tempo finché non sia scontata la pena ; all'opposto è un'attesa
fervida, laboriosa, consapevole della meta da raggiungere.
La Legge del Signore
169
Esperienze classiche di tempo intermedio sono nella nostra cultura la fase dell'educazione,
dell’età scolare in attesa di un diploma e dell'ingresso nel mondo della produzione ; il
fidanzamento come periodo di conoscenza progressiva e di preparazione al matrimonio ...
- Degna di nota è anche l'esperienze collettiva del tempo intermedio. Il soggetto in questo
caso è un gruppo sociale che ha intuito un traguardo comunitario ambizioso, magari stimolato
da qualche personalità ispiratrice, ed è proteso con tutte le forze alla sua conquista.
La storia può elencare gruppi od epoche che hanno vissuto con particolare intensità simili
stagioni. Sono le primavere della storia.
Momenti segnati da una carica notevole di utopia, da fremito, fervore della voglia di vincere
e di lottare contro le avversità, dal desiderio di progettare un futuro diverso. Quando si sogna
insieme un traguardo, qualcosa incomincia ad accadere.
Si pensi cosa ha rappresentato nel nostro paese esperienze storiche come il Risorgimento o la
Liberazione, cosa è stata nella vita della chiesa l'epoca conciliare ...
Quali sono le virtù esigite dal tempo intermedio ? Anzitutto la speranza. E' la capacità di
pensare e volere un futuro diverso rispetto alla modestia del presente. Cambiare è possibile, si
ha fiducia nella vita.
"Ugualmente necessarie sono la pazienza e la tenacia ; bisogna accettare il tempo che sta
appunto in mezzo, accontentarsi di avanzare un po' alla volta, mettere in conto anche perdita
di battaglie pur di vincere la guerra, non arrendersi agli insuccessi, volere con fermezza,
mentalità vincente…
Gravi limiti è ovvio sono la imperizia = bruciare le tappe, il volere tutto e subito, non saper
attendere.
Ugualmente la rassegnazione e l'incostanza = stanchezza di aspettare, delusione per
particolari sconfitte, disperazione ...
Cosa trovo nella Bibbia
Sulla verità umana del tempo intermedio si innesta l'esperienza biblica. La Bibbia
infatti si radica in esperienze umane profonde, le assume, le illumina, le potenzia, le
trascende.
Viene qui proposta una antologia di testi sul deserto :
A)
Incominciamo da Numeri 14.
Per capirne il contenuto è necessario riassumere il capitolo che precede : è il racconto della
esplorazione del Canaan da porte dei dodici esploratori per una durata di 40 giorni. Il
resoconto del viaggio evidenzia due impressioni antitetiche :
^ Eccezionale floridezza del suolo : "è davvero un paese dove scorre latte e miele. Ecco i suoi
frutti"
^ Superiorità fisica e numerica degli abitanti : "ma il popolo che abita il paese è potente, le
città sono fortificate e immense e vi abbiamo anche visto i figli di Anach" .
Di qui uno scoramento generale, sfiducia, totale : "Noi non saremo capaci", "ci sembrava di
essere come cavallette".
Emerge il "complesso dell'uva acerba" : "screditarono presso gli Israeliti il paese che avevano
esplorato" (cf Nm 13 ,25-33).
- Il c 14 si apre con uno dei testi di lamento e mormorazione che caratterizzano la tappa del
deserto e che verranno meglio studiati nel capitolo sulla "resistenza alla salvezza".
La Legge del Signore
170
Qui si ha una protesta generale ("tutta la comunità") che sfocia in un proposito di
ammutinamento ("non sarebbe meglio per noi tornare in Egitto ? ... diamoci un capo e
torniamo in Egitto").
Il deserto è dunque anche il luogo delle mormorazioni
^ Per placare la situazione si fanno allora avanti le guide delle comunità : Mosè e Aronne,
oggetto diretto della protesta popolare "si prostrarono a terra dinanzi a tutta la comunità
riunita".
Giosuè e Caleb del numero degli esploratori cercano di rettificare l'impressione lasciata in
precedenza e spingono alla fiducia in Dio per superare il nemico schiacciante : "Il Signore è
con noi ; non abbiate paura" (vv 5-9).
Ma la collera popolare non smonta ed allora è il Signore stesso che si vede costretto a
intervenire.
^ Il discorso di Dio contiene rimproveri contro il popolo che disprezza il Signore, minaccia
distruzione e castigo e lusinga Mosè nel suo orgoglio : "ma farò di te una nazione più grande
e potente di esso".
^Mosè però non cede alla tentazione, al contrario si para come intercessore di perdono tra il
popolo colpevole e il Signore.
I vv 13-19 contengono uno dei testi più belli della preghiera di Mosè.
Usa diversi argomenti per spingere Dio alla misericordia.
Fa leva sul 'senso dell'onore', della fierezze personale che non può mancare in Dio ; lo
sterminio di Israele nel deserto mostrerebbe agli occhi degli Egiziani che YHWH è un "dio
incapace", non sa portare a termine le sue imprese ; il suo buon nome sarebbe gravemente
compromesso.
La seconda motivazione attinge al pozzo inesauribile della misericordia di Dio, alla sua
infinita capacità di perdono, ed è quella più bella ; "Deus, qui omnipotentiam tuam parcendo
maxime et miserando manifestas…". "Perdona l'iniquità di questo popolo, secondo la
grandezza della tua bontà, così come hai perdonato a questo popolo dall'Egitto fin qui" (v 19).
^ La risposta di Dio. E' di perdono, nel senso che il popolo non viene annientato per
costituirne un altro a partire da Mosè. Però si impone un castigo, una "pena differenziata in
rapporto ai due gruppi.
a) La generazione dei padri ribelli : Dio li prende in parola, periranno progressivamente nel
deserto secondo il loro stesso desiderio, cf "fossimo morti in questo deserto" (v2).
Per il momento vengono ricacciati indietro. Sono alle frontiere della terra promessa, ma non
vi entrano. Una forza li respinge all'indietro "Domani tornate indietro, incamminatevi verso il
deserto, per la via del Mar Rosso"
Per quella gente non c'è più tempo intermedio, viene meno la meta e con ciò la speranza. Il
loro girovagare nel deserto sarà un commino senza traguardo, in uno spazio chiuso con
prospettiva la morte.
b) La generazione dei figli : per loro il deserto diventa "tempus dilationis" = la salvezza viene
dilazionata, differita, non sono pronti ad entrare, devono purificarsi e maturare.
40 anni di vagabondaggio in rapporto ai 40 giorni dell’esplorazione (rapporto artificioso, 40
sono gli anni di una generazione) vv 20-38.
^ Il racconto si chiude ai vv 39-45 con la disfatta di Corma.
Turbato dal discorso di Dio, il popolo decide di dare immediatamente battaglia. Emerge il
difetto della impazienza, il volere forzare i tempi. Ora obbedienza a Dio è aspettare, non
sferrare l’attacco. L’arca rimane nell’accampamento. Il Signore non è con i suoi sul campo di
battaglia. Il risultato non può che essere una strage.
La Legge del Signore
171
B)
Passiamo ora ad un testo meditativo. Riflette sull’esperienza e ne evince lezioni di
vita. Si tratta di Dt 8,2-6 :
^ Si apre con un rinnovato appello alla memoria. Anche la tappa intermedia cade sotto la
legge del ricordare. I fatti dispiegano così la loro carica rivelatrice, liberano il loro senso più
profondo, la loro interiorità salvifica.
^ I1 deserto appare come "cammino". Nella lettura della fede è "Dio che ti ha fatto
camminare". A quale scopo ? Verificare la fedeltà di Israele, misurare la resistenza del
popolo nelle difficoltà. Nel momento della prova si dimostra la maturità personale, ciò che
una persona veramente è, la sua robustezza o meno : "per sapere quello che avevi nel cuore".
^ La prova è la lunghezza del viaggio e la fame, l'uomo verificato nelle sue esigenze primarie.
Il Dt, meditazione sull'Esodo, ripensa al significato della manna ("tamarix mannifera"). Fatto
naturale trasfigurato dalla fede. Il protagonista è sempre Dio.
Pane razionato : ogni giorno la sua porzione. Non in eccedenza per apprendere la importante
lezione : "Non di solo pane ... "
All'uomo non bastano mezzi di vita, gli occorrono ragioni di vita. Le dispensa la Parola del
Signore, pane sostanzioso. Riserva di valori e di ideali per vivere e lottare.
"Lavorate non per il cibo che perisce, ma per quello che dura per la vita eterna e che il Figlio
dell'uomo vi darà". (Gv 6,27).
^ Al v 4 parla la pietà del predicatore. Nel deserto Dio è stato protettore e custode : "il tuo
vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato in questi quarant’anni".
^ v 5 Passaggio all'imperativo : "riconosci dunque ... "
Pedagogia paterna quella di Dio nel deserto. Modello della educazione e schema della
figliolanza.
^All'atteggiamento interiore della fede deve corrispondere un cammino di fedeltà nella
pratica dei comandamenti. La marcia nel deserto si prolunga nel cammino morale.
c) Presso i profeti del Nord il tempo del deserto è idealizzato.
E’ l'epoca del fidanzamento di Israele con YHWH, l'epoca del primo amore. Prendono
l'episodio dell'alleanza come onnicomprensivo della esperienza. Trasposizione della
esperienza del fidanzamento, anche se nell'Oriente Antico le cose funzionavano diversamente
rispetto a noi, nel senso che fidanzamento è già impegno irrevocabile, definitivo. Il contratto
c'è già ; ciò che viene differita è la convivenza matrimoniale.
cf Osea 2,16 :"la attirerò a me" = seduzione, attrazione fisica, "la condurrò nel deserto" =
memoria del patto, "parlerò al suo cuore" = corteggiamento.
Ger 2,2 : "Mi ricordo di te, della fedeltà della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo
fidanzamento, della tua sequela nel deserto, in una terra non seminata"
d) Nei profeti dell’esilio, il deserto appare da una parte "luogo di giudizio", dove il popolo è
posto nella condizione di dover scegliere "Vi condurrò nel deserto dei popoli e lì faccia a
faccia vi giudicherò" (cf Ez 20, 34-38).
E’ soprattutto "tempo primario", già incontro della salvezza, rivelazione di Dio, nel poema
deuteroisaiano :
Is 40,3-5 : "nel deserto preparate la via del Signore ... allora si rivelerà le gloria del Signore e
ogni uomo insieme la vedrà"
Is 35,1ss : "Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa ... essi vedranno
la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio"
La Legge del Signore
172
- Tutto questo discorso relativo al "midbar" vt è utile a cogliere le risonanze del tema e dei
simboli in sede neotestamentaria.
Sia in rapporto a Gesù : basterebbe pensare alle tentazioni nel deserto. Cristo riporta vittoria
là dove Israele era miseramente caduto.
Sia in termini ecclesiali : il deserto come paradigma del cammino della chiesa nel mondo,
situazione di pellegrinaggio tra il già e il non ancora (cf Ap 12 : la donna vestita di sole che si
rifugia nel deserto.
Una "spiritualità del deserto" deve rispettare tutta la polivalenza del simbolo biblico : il
deserto non è solo simbolo di ritiro, raccoglimento, intimità con Dio…
L'ENTRATA NELLA TERRA
Premessa
Uscire senza entrare non ha senso. L'uscita e la traversata del deserto sono in funzione
dell'ingresso nella terra.
Senza qs traguardo abbiamo il vagare nel deserto, castigo imposto appunto ai ribelli secondo
Nm 14.
Il credo di Israele in Dt 26 esordisce dicendo ; "Mio padre era un arameo errante" : gli
antenati di Israele vagavano nella terra, ne erano stranieri, non la possedevano come terra
loro.
Anche per Caino il castigo consiste in un movimento perpetuo, senza pace, emblema
del rimorso che accompagna la sua vita : "profugus et exul" in Gn 4,14 ; è pure la situazione
di AGAR, la moglie schiava di Abramo secondo Gn 21,14 : "Essa se ne andò e si smarrì per
il deserto di Giuda"
Il piano di Dio prevede l'entrare subito dopo l'uscire : la tappa intermedia è dovuta alla
infedeltà dell'uomo. In termini attualizzanti potremmo dire : Non basta una libertà "DA",
occorre una libertà "PER"
Nota filologica sul termine ENTRARE
Il verbo bw’ è quello maggiormente in uso per indicare l'ingresso nella terra. Ha una
risonanza meno ricca del verbo "uscire" e tuttavia non bisogna appiattirlo, perché è esso pure
polivalente.
Accanto al senso fisico, di ingresso in un luogo (articolazione "ad") si trovano altri
usi. In senso cultuale dice l'ingresso nel santuario o dal sacerdote. In senso sociologico dice
l'ingresso , l'aggregazione ad un gruppo, ad una comunità. Si può entrare da una persona per
un colloquio ; talvolta il termine ha significato sessuale = avere un rapporto.
Entrare nella terra indica il morire. Dt 26 fornisce una polivalenza del termine entrare,
che diventa leitwort della pericope.
Termini sostitutivi
Non mancano gli elementi paradigmatici. Essi vengono a formare una costellazione
riguardante la terra, un vocabolario variopinto degli atteggiamenti, comportamenti di Israele
verso la terra.
1.Vedere = che in ebraico significa anche godere, gustare
2.Possedere, occupare = significa in Hifil togliere il possesso
3.Abitare = in opposizione ad "errare, essere ospite"
4.Riposarsi
5. Cavalcare = Allusione al carattere montagnoso della Palestina cf Dt 32,15
La Legge del Signore
173
Altri verbi sottolineano invece l'azione di Dio come il :
6.Dare
7.Piantare
8.Ereditare = Indica la gratuità del dono
Giosuè 4-5
C’è tutto un libro biblico che racconta nel linguaggio della fede e della liturgia l'evento
dell'entrata. E’ una dilatazione dell'articolo del credo storico : "YEWH ci introdusse in qs
luogo".
Di particolare interesse sono i cc 4-5 . In essi i redattori hanno usato una tecnica compositiva
assai conosciuta nella antichità (ma presente anche oggi nel linguaggio dell'arte ad es
filmica) : il procedimento della inclusione.
Consiste in una corrispondenza di elementi tra l'inizio e la fine di un prodotto letterario, per
dare al discorso un senso di compiutezza, di conclusione.
La costruzione è intenzionale ed impressionante, c'è la soluzione del dramma.
a) La traversata del Giordano : è il primo elemento della inclusione. All'inizio e al termine
delle esperienza troviamo le acque da attraversare : le acque del Mare dei Giunchi e il fiume
Giordano.
Anche il salmo pasquale 114 combina insieme i due momenti quando dice : ''il mare vide e
fuggì, il Giordano tornò indietro ... Che hai tu mare che fuggi e tu Giordano perché tomi
indietro !"
- Il passaggio del Giordano è descritto in termini liturgici come una processione del popolo
con alla testa l'arca della alleanza (cf 3,11).
Le acque si dividono : "si fermarono le acque che fluivano dall'alto e stettero come un
solo argine a grande distanza" (3,16) ... "I sacerdoti che portavano l'arca dell'alleanza del
Signore si fermarono immobili all'asciutto in mezzo al Giordano, mentre tutto Israele passava
all'asciutto, finché tutta la gente non ebbe finito di attraversare il Giordano" (3,17).
Del fatto rimangono "ad perpetuam rei memoriam" 12 pietre, quale segno-oggetto
ricordo.
Ritroviamo anche l'elemento catechesi nella domanda del bambino agli educatori nella fede :
"Quando DOMANI i vostri figli interrogheranno i loro padri : Che cosa sono queste pietre ?
farete sapere ai vostri figli : All'asciutto Israele ha attraversato qs Giordano, poiché il Signore
Dio vostro prosciugò le acque del Giordano dinanzi a voi, finché foste passati, come fece il
Signore Dio vostro al mar Rosso, che prosciugò le acque finché non fummo passati ; perché
tutti i popoli della terra sappiano quanto è forte le mano del Signore e temiate il Signore Dio
vostro, per sempre" (4, 6. 21-24).
Non sfugga il tema della rivelazione.
In 5,1 c'è nuovamente il compendio. "Finché FURONO passati" = la prima persona plurale
indica il coinvolgimento nel fatto delle generazioni che leggono il racconto dell'evento. E’
l'oggi liturgico. "Non ebbero più fiato" Gs 5,1. "Ma che toglie il respiro ai potenti" Gn 76,13.
b) La circoncisione : Di essa si fa riferimento in due passi dei prima capitoli dell'Esodo. In 4,
24-26 la moglie di Mosè circoncide il figlio o con il prepuzio 'tocca i piedi' cioè il sesso di
Mosè, dichiarandolo "sposo di sangue" e sottraendolo così all'assalto divino.
La Legge del Signore
174
La seconda volta in 12,43-49 in un testo legislativo : essa è indispensabile per
celebrare la Pasqua.
- Qui la circoncisione si presenta come un rito arcaico : viene effettuata con dei coltelli di
pietra a degli adulti seduti e l'operazione risulta quindi particolarmente dolorosa.
L'autore si preoccupa di chiarire che si tratta della "nuova generazione, quella del popolo nato
nel deserto" (5) "non erano infatti circoncisi, perché non era stata fatta la circoncisione
durante il viaggio" (7).
Il v 9 che conclude la breve unità offre la eziologia del nome di Galgala come sempre nel
linguaggio popolare. Più importante è identificare la "infamia di Egitto" : si tratta (sembra) la
vergogna, il disonore della schiavitù. Ora il popolo che si consacra al Signore è un popolo
libero.
Diversamente le TOB : "E’ difficile capire ciò che il testo intende per obbrobrio d'Egitto. Si
tratta verosimilmente della incirconcisione della generazione del deserto".
c) La pasqua : Ha segnato l'inizio della esperienza salvifica in quella notte dell'uscita, ora la
chiude (cf Es 12-13).
E’ la prima Pasqua nella nuova terra, celebrata il 14 del mese alla sera (10). L'autore suppone
già riunite la festa pastorizia dell'agnello e quella agraria dei pani senza lievito.
Non si dilunga ma parla di frutti senza lavoro "mangiarono i prodotti della regione",
"mangiarono i frutti della terra di Canaan".
Cessa la manna, il cibo del deserto, del pellegrinaggio, dato giorno per giorno in
misura sufficiente, ora incomincia l'epoca della abbondanza.
d) La TEOFANIA : questo ultimo elemento è anche il più suggestivo. Il Signore appare a
Giosuè. E' chiaro il rimando di termini e temi ad Es 3 allorché la rivelazione a Mosè metteva
in moto il processo di liberazione.
Dio si presenta "con la spada sguainata" e si presenta come "il capo dell'esercito del Signore".
Non sono due personaggi distinti, ma uno solo, il Signore presentato in termini militari.
Qui il parallelismo è con Es12,23 l'uscita dello Sterminatore per la decima piaga
- E che cosa dice ? Non un banale "giungo proprio ora" MA "adesso sono arrivato".
Qui troviamo il Signore stesso che usa il termine dell'entrata. E' una affermazione
fondamentale, che contribuisce a personalizzare la salvezza.
Dio che era uscito in battaglia per aprire la strada del popolo, ora entra, arriva a dire : "ora
finisce la mia uscita iniziata in Egitto".
Se YHWH entra vuol dire che il ciclo salvifico si chiude, la promessa si compie,
termina l’impresa incominciata.
Arriva il generale dell'esercito del Signore e dietro di lui le schiere di Israele, la salvezza si
compie.
- Come Mose, così anche il suo successore Giosuè, fa la prostrazione ed è invitato a togliersi i
sandali, perché la terra è uno spazio sacro, è un santuario, dove l'uomo deve avvertire la sua
creaturalità.
L'ingresso è più liturgico che militare : nella persona di Giosuè tutto il popolo fa il suo
ingresso nello terra promessa come in un santuario. Non incontra i Cananei, ma Dio.
Personalizzazione della salvezza.
La Legge del Signore
175
Nb ! Qs stessa idea del compimento, detta in termini diversi, si trova anche al termine del
libro di Giosuè.
21,45 = "Di tutte le belle promesse che il Signore aveva fatte ad Israele, non una andò a
vuoto : tutto giunse a compimento".
Il testo ebraico per andare a vuoto usa il termine "naphal" = cadere. La parola cade e NON si
compie. L'opposto per indicare il realizzarsi della parola è il verbo "qum" = alzarsi cf Es 40,8
23,14 : "Ecco io oggi me ne vado per la via di ogni abitante della terra ; riconoscete con tutto
il cuore e con tutta l'anima che neppure una di tutte le buone promesse che il Signore vostro
Dio aveva fatto per voi, è caduta a vuoto".
TERRA ... TERRA ... TERRA ... (GER 22,29).
La terra è il "terminus ad quem" dell'esperienza dell'Esodo, è la meta, diventa il
traguardo, lo sbocco dell'azione di Dio. Il ciclo si chiude, allorché per grazia di Dio il popolo
entra nella terra.
La terra si presenta come una realtà profondamente concreta ed insieme carica di aspetti
ideali e simbolici. Essa già l'abbiamo incontrata nella teologia della Gn come contenuto della
"benedizione" accanto al valore della "discendenza".
La terra cantata in particolare dalla fonte Jahvista.
Anche qui il nostro discorso parte dai significati umani della terra, per poi aprirsi ai contributi
biblici relativi al tema. Essa infatti è cantata con interesse e passione dagli autori della bibbia.
La terra può venire intesa in un duplice senso :
a) come suolo coltivato, sede del lavoro umano
b) b) come territorio abitato, realtà geografica e politica.
A)
La Terra suolo coltivato
"La terra è la realtà stabile e permanente sotto i piedi, annualmente feconda, più
durevole delle generazioni" (Alonso). Dice infatti Qohelet : "Una generazione va, l’altra
viene, ma la terra rimane sempre la stessa" (1,4).
La terra è questa "bella d'erbe famiglia e di animali" (Foscolo).
La vita dell'uomo dipende dalla terra, dalla fertilità del suolo, che produce "il vino che allieta
il cuore dell'uomo, l'olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore" (s
104,15).
La terra è la cornice provvidenziale della vicenda umana che ci stupisce con il variare delle
sue stagioni .
Biblicamente parlando, il legame stretto dell'uomo con la terra, la sua appartenenza ad essa e
parentela con essa, si trova scritto nel suo stesso nome : l'uomo è ADAM, cioè il Terroso, il
Terrestre, perché proviene dalla 'adamah (cf Gn 3,19b).
E' il tema della "terra mater", della terra grembo della vita.
Francesco d'Assisi direbbe : "Laudato si mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne
sostenta e governa, e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba".
- La antropologia culturale e la fenomenologia delle religioni avrebbero testimonianze
magnifiche da addurre circa la ritualità umana verso la terra, vista come manifestazione del
divino. Le religioni misteriche ad es sono legate strettamente al ciclo agricolo.
Nello sviluppo umano la sedentarizzazione con la coltivazione dei campi rappresenta un salto
qualitativo rispetto alla vita nomade e alla semplice sopravvivenza tramite la caccia e la
pesca.
La Legge del Signore
176
La cultura è in origine "agricultura".
In questo modo l'uomo deve conoscere le leggi del terreno e i ritmi delle stagioni, il suo
lavoro condiziona, anche se non interamente, il prodotto del suolo.
Nella società contadina è essenziale alla dignità di ogni famiglia possedere un piccolo lotto di
terra, un campo da lavorare per cavarne il necessario per vivere.
L'Occidente è entrato già da tempo nella società industriale. I paesi europei hanno conosciuto
un massiccio esodo dalle campagna per privilegiare il lavoro in fabbrica e la permanenza in
città. La civiltà contadina da "Albero degli zoccoli" è ormai solo un ricordo.
Non è più il campo ad essere sinonimo di autonomia familiare, ma l’appartamento, la casa in
proprio, spesso risultato di una vita di sacrificio.
Ma il mondo non è soltanto l'Occidente. Sappiamo della piaga del latifondismo in America
Latina e la lotta dei poveri per lo difesa della terra.
Più recentemente il movimento ecologico, le idee e le iniziative a protezione
dell'ambiente natura, aventi il "verde" come sigla, hanno inteso riaffermare i limiti dello
"homo faber" e l'importanza della protezione - custodia della terra contro uno sfruttamento
dissennato delle risorse, che altera l'equilibrio biologico.
Non è difficile trovare nei "verdi" attacchi contro la tradizione cristiana, colpevole secondo
loro di aver affermato una signoria indiscriminata dell'uomo sulla natura a partire da Gn 1,2628.
Una lettura più serena della tradizione biblica mette in luce una visione armonica delle cose,
perché esalta sia la figura dell'uomo che lavora e trasforma la creazione (contro un
atteggiamento sacrale di paura nei confronti della natura), sia la immagine dell' "homo
contemplator", chiamato a porsi in atteggiamento di gratuità e di lode nei confronti dell'opera
di Dio.
Il discorso può essere meglio articolato nei termini che seguono.
Testimonianze bibliche
Passando dal deserto alle regione di Canaan, Israele ha conosciuto mutazioni
importanti : da popolo dedito prevalentemente alla pastorizia è passato ad essere popolo di
contadini, ricurvo sulla terra per conoscere le leggi del terreno, ma anche proteso verso il
cielo, perché dal sole e dalle piogge dipende quasi interamente il ciclo agricolo. Parecchie
pagine della letteratura di Israele testimoniano di una autentica passione verso il suolo
coltivato.
a) Il primo elemento dal punto di vista letterario che balza all'occhio è le serie dei testi che
descrivono la terra. L'aggettivo consueto che accompagna la terra di Canaan è "tobah" =
buona, oppure la formula mitica "terra dove scorre latte e miele" (Dt 26,9).
Come pagina esemplare si potrebbe prendere Dt 8,6-10 :
^ L'espressione "terra buona" fa da inclusione all'inizio e al termine del paragrafo.
^ La terra di Canaan è magnificata per l’abbondanza delle acque (in realtà è piuttosto povera
di acqua) ; per la fertilità del suolo (anche qui compaiono i prodotti mediterranei) ; per la
straordinaria ricchezza del sottosuolo (ferro e rame).
^ Di qui la possibilità per l'uomo di "mangiare a sazietà".
Questa espressione compare più volte nei testi dell'AT : era un problema allora ed è un
problema drammatico oggi nel Sud del mondo il "mangiare e sazietà". La fame è un disonore
per il popolo, il "mangiare a sazietà" viene visto come un traguardo sociale. Noi parleremmo
oggi di "qualità del cibo", problema delle calorie ...
La Legge del Signore
177
^ In questa abbondanza straordinaria del suolo e del sottosuolo occorre ravvisare un segno
della benedizione discendente di Dio e lodarlo con la berakah di ringraziamento e di lode :
"benedirai il Signore tuo Dio a causa del paese buono che ti avrà dato".
b) Riflettendo in profondità sulla terra, il popolo della Bibbia ha scoperto che essa è di Dio.
Dio è il proprietario perché è uscita dalle sue mani creatrici, ne è il custode e su di essa posa
incessantemente lo sguardo :
Gn 1,1 :"In principio Dio creò il cielo e la terra"
Es 19,5 : "Tutta la terra è mia"
S 24,1-2 :"Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti. E’ lui che l'ha
fondata sui mari e sui fiumi l'ha stabilita" ;
S 11,4b :"I suoi occhi sono aperti sul mondo, le sue pupille scrutano ogni uomo"
S 65,10ss :"Tu visiti la terra e la disseti ... " E' il salmo dei contadini, in modo lirico descrive
la cura che Dio si prende del ciclo agricolo in tutte le sue fasi.
- Questa terra che il Signore ha "fondato" e riempito di esseri viventi, è poi stata consegnata
alle mani dell'uomo, come luogo della sua dimora e officina del suo lavoro. L'uomo ne è il
destinatario e l'usufruttuario : "I cieli sono i cieli del Signore, ma ha dato la terra ai figli
dell'uomo" (s 115,16).
"Il cielo è la parte della creazione incomprensibile all'uomo, la terra è quella che egli può
comprendere. L'uomo stesso è la creatura collocata al limite del cielo e della terra" (K.
Barth).
Nei confronti della terra l'uomo ha dunque delle RESPONSABILITA'. Di lavorazione e di
protezione. Già vi abbiamo fatto cenno parlando del lavoro umano nelle prime pagine del Gn.
Lo stesso messaggio in termini lirici è richiamato dal notissimo salmo ottavo : "Eppure l'hai
fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato, gli hai dato potere sulle
opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi ; tutti le greggi e gli armenti, tutte le
bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare
... "
"Egli assegnò agli uomini giorni contati e un tempo fissato, diede loro il dominio di quanto è
sulla terra. Secondo la sua natura li rivestì di forza, e a sua immagine li formò. Egli infuse in
ogni essere vivente il timore dell'uomo, perché l'uomo dominasse sulle bestie e sugli uccelli"
(Sir 17,2-4),
- Concretamente la responsabilità dell'uomo verso la terra si esprime nella cura con cui deve
conservare e coltivare il campo di casa.
La seconda parte del libro di Giosuè (cc 13-20) mostra la distribuzione del territorio tra le
singole tribù e famiglie. Ad ogni tribù la sua regione, ad ogni famiglia il suo campo. C’è una
uguaglianza di fondo. Così vengono assicurate ad ogni nucleo familiare indipendenza
economica e con ciò libertà e dignità.
Il lotto di famiglia è possesso sacro, è proprietà da conservare gelosamente e da far lavorare :
"Il Signore mi guardi dal cederti l'eredità dei miei padri" risponde sdegnato Nabot di Izreel al
re Acab, che gli ha fatto la proposta per lui blasfema di vendere la vigna ! (cf 1Re 21,3).
E’ vietato infatti in via ordinaria alienare il possedimento familiare : "Le terre non si potranno
vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e fittavoli"
(Lv 25,23).
La Legge del Signore
178
In epoca monarchica però l'antico sistema della proprietà familiare è entrato in crisi, gli
antichi vincoli tribali sono venuti meno e l'ingordigia dei ricchi ha preso il sopravvento. Un
poco alla volta si è formata in Israele una società classista con il latifondo e il potere del
denaro concentrato in pochissime mani e una grande massa di poveri costretti a vendersi
come schiavi per saldare i debiti. E’ la situazione sociale deteriorata, che provoca interventi
di fuoco da parte dei grandi profeti (Elia, Amos, Isaia, Michea, Abacuc, Geremia ecc ... ). La
giustizia sociale diventa uno dei temi maggiori della predicazione profetica.
Qui basti accennare al primo dei sette guai, scaraventato da Is in faccia ai latifondisti e agli
speculatori dell'epoca : "Guai a voi che aggiungete casa a casa e campo a campo, finché non
vi sia più spazio e così restate soli ad abitare nel paese" (Is 5,8).
- Nella legislazione ebraica sono fiorite due istituzioni allo scopo di rendere equilibrato il
rapporto dell'uomo con l'ambiente - suolo coltivato e al fine di preservare l'integrità dei
terreni delle singole famiglie. "La terra appartiene a Dio che la dà a tutti gli Israeliti senza
distinzioni : questo è il dogma essenziale della legge giudaica ... per ritrovare l'ideale di
uguaglianza sociale, Israele inventò due istituzioni : l'anno sabbatico e l'anno giubilare"
(Saulnier).
Anno sabbatico : come dice il nome è un anno che torna ogni sette anni. E’ lo schema della
settimana proiettato a scala annuale. Come c'è un giorno di totale riposo che fa seguito a sei
giornate lavorative, così a sei anni di coltivazione del suolo tiene dietro un anno di riposo per
le terre.
La norma appare già nel Codice dell'Alleanza di Es 23,10-11 : "Per sei anni seminerai la tua
terra e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta :
ne mangeranno gli indigeni del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà divorato dalle bestie
della campagna. Così farai per la tua vigna e il tuo uliveto"
Il dispositivo più chiaro però è quello che appare in Lv 25,1-7.
Ogni sette anni le terra deve riposare : è un modo di ricordare che essa appartiene al Signore.
Diventato coltivatore dei campi, l'Israelita o tentato di pensare che egli è sufficiente se stesso.
La legge intende restaurare l'ideale dell'esodo : il popolo eletto, nel deserto, viveva la vita
povera e semplice dei nomadi e faceva assegnamento su Dio solo per la proprie sussistenza. Il
Deuteronomio inoltre comanderà di condonare i debiti in quell'anno (15,1-11). E' il desiderio
di una nuova partenza.
Circa la incongruenza riscontrabile in Lv 25,4-7 la TOB nota :
"Il testo è composito. Non si sa bene se tutta la terra deve rimanere incolta il settimo anno
(essendo cereali e vigne citati solo a titolo di esempio) o se soltanto mietitura e vendemmia
siano interdette, mentre le altre culture sono autorizzate. Di più non si vede con chiarezza se
la proibizione di mietere o di vendemmiare o assoluta (ciò che sembra dire il v 5) oppure se
l'interdetto riguarda solo il modo di farla : nessuna raccolta organizzata dal proprietario, ma
ciascuno, compreso il proprietario, può servirsi di quello che il suolo avrà prodotto"
Ad ogni modo lo spirito della normative è chiaro : è l’affermazione che bisogna contare sulla
Provvidenza (cf Lv 25,18-22)... la terra produrrà frutti, voi ne mangerete a sazietà e vi
abiterete tranquilli.
E chissà che in questo riposo della terra non ci sia l'intuizione di una necessità fisica del
suolo, che l'uomo deve rispettare…
- Abbiamo una documentazione storica sufficiente per affermare che la legge fu
effettivamente applicata. Un caso chiaro lo offre 1Macc 6, 49-53 : " ... fece pace con quelli di
bet-Zur, i quali uscirono dalla città, non avendo più vettovaglie per sostenere l'assedio ; la
terra era infatti nel riposo dell'anno sabbatico ... non c'erano più viveri nei depositi, perché era
La Legge del Signore
179
in corso l'anno sabbatico e coloro che erano arrivati in Giudea per sfuggire ai pagani avevano
consumato il resto delle provviste".
Giuseppe Flavio segnala più anni sabbatici osservati nel 164-163 ; 38-37 e 68-69 dC. " ...
protrattosi in lungo per queste ragioni l'assedio, sopravvenne l'anno di riposo (= to argon
etos), che viene osservato dai Giudei ogni sette anni, al pari del settimo giorno della
settimana" (Bellum Judaicum I 2,4).
I Romani conoscevano questa pratica e si permettevano della ironia su di essa : "siccome la
pigrizia aveva per loro del fascino, i Giudei consacrarono il settimo anno al non far niente"
(Tacito, storie 5,4).
Viceversa il non rispetto dell'anno sabbatico viene visto dal Cronista come una delle ragioni
che determinarono l’ esilio babilonese : "Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati, esso
riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settant'anni" (2Cr 36,21).
Anno giubilare : "Conterai sette settimane di anni, sette volte sette anni ... allora farai
risuonare ovunque lo strepito dello shofar, nel settimo mese, il dieci del mese ; nel giorno di
Kippur farete risuonare lo shofar in tutto il vostro paese. Dichiarerete santo l'anno
cinquantesimo e proclamerete liberazione nel paese e tutti i suoi abitanti. Sarà per voi
giubileo" (Lv 25,8-10).
Lo shofar, corno di ariete (jovel = ariete) da il nome e segna l'inizio di questo grande sabato
che è l'anno giubilare. Ogni volta che è convocato da Dio, Israele è chiamato dallo shofar (cf
Es 19,17-19).
Anche il giubileo è un appello divino, in quei santuari del tempo - per dirla con Heschel - che
per Israele sono molto più pieni di Dio che i santuari dello spazio.
La chiamate giubilare non è una chiamata al culto, a speciali celebrazioni e preghiere. E' uno
speciale atto di culto solo nella accezione che è un anno consacrato a Dio : come nel sabato
l'uomo deve sospendere il proprio dominio sul mondo, la propria vocazione a trasformarlo, e
deve restituirlo a Dio, riconoscendosi ospite di Dio nella terra di Dio.
Il giubileo è soprattutto una chiamate alla fraternità, socialità. Se in esso l'uomo cessa di
considerarsi creatore e padrone, cessano i debiti e la servitù, i crediti e i diritti acquisiti. Gli
schiavi ebrei tornano liberi come nell'anno sabbatico, i debiti decadono, i campi e le case in
campagna vendute tornano ai primitivi proprietari, perché non si formino accumuli di
ricchezza e perciò di potare, l'intero Israele vive quest'anno di libertà : i poderi non arati e non
seminati restano, come gli abitanti, esposti alla grazia di Dio, ognuno è, come il primo uomo
nell'Eden ma anche come il bambino "uno che riceve" .
Il sabato, l'anno sabbatico e il giubileo proclamano la liberazione da una conseguenza del
lavoro e dei beni, cioè, della dipendenza di un uomo da un altro uomo. La libertà ebraica vede
nell'unica dipendenza da Dio una totale indipendenza da idoli, re, signori.
- A differenza dell'anno sabbatico, che veniva celebrato ancora al tempo di Erode e lo è
tuttora in Israele, quello giubilare probabilmente non fu mai attuato. Non abbiamo testi
narrativi che ne documentino la messa in opera. Che cos'è allora ? Un falso del Levitico ? Un
libro dei sogni rimasto nel cassetto ?
"Il messaggio del giubileo non sta tento nella sua precisa e storica esecuzione, quanto nella
tensione che esprime : la tensione ad allargare, da un tempo a un tempo più grande, la
sovranità di Dio, la fraternità tra gli uomini, la giustizia e la libertà da tutto ciò che asservisce
noi e il mondo. In tal senso il giubileo è una tappa messianica, e proprio come il tempo
messianico, può essere vissuto attendendolo e anche raccontandolo. Un uomo d'oggi lo
definirebbe un ideale : ma è dell'ideale rimanere utopico, di 'nessun posto'.
La Legge del Signore
180
L'uomo biblico e l'ebreo crede - non spera - che ciò che ritarda avverrà. Di questa fede, il
giubileo è un segno, anzi una parabola" (Paolo De Benedetti).
In sintesi, con Gianfranco Ravasi : "Il 50° anno segnava in Israele, come ha scritto uno
studioso, un battesimo di giustizia, l'uomo si riconciliava con la terra attraverso il riposo e la
ridistribuzione dei possedimenti terrieri così da permettere a famiglie e tribù di riequilibrarsi
economicamente. L'uomo si riconciliava coi poveri attraverso la remissione dei debiti più
gravi. L'uomo si riconciliava col suo simile umiliato liberando gli schiavi. Uguaglianza,
carità, libertà erano le parole del giubileo".
I poveri e la terra : nonostante l'ideale di una terra distribuita in modo uguale per tutti, vi
sono e rimangono i poveri nella 'Eretz Israel : "I bisognosi non mancheranno mai nel paese ;
perciò io ti do questo comando e ti dico : Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e
bisognoso nel tuo paese" (Dt 15, 11).
Del comportamento verso i poveri si occupa la legislazione in Dt 24,19-22 in un passo che
può essere chiamato "legge della spigolatura''. La raccomandazione è di non essere troppo
diligenti nella mietitura del grano : non riprendere i mannelli rimasti indietro ; nella
bacchiatura delle olive : non ispezionare troppo tra i rami ; nella raccolta dell'uva : non
tornare indietro a racimolare (cf anche Lv15,9-10).
Appaiono anche le categorie dei poveri ;
^ il forestiero (il "ger") : è in terra straniera, senza l'appoggio del proprio gruppo sociale.
^ Orfani e vedove : una donna senza marito è come una vigna senza il palo che la sostiene.
Manca lo stato sociale, una assistenza pubblica.
^ Il levita, perché non ha una terra in proprio. Nella distribuzione della terra Levi non riceve
una porzione : i sacerdoti sono uomini senza terra, non per evitare il lavoro dei campi in
quanto disdicevole o farsi mantenere dal popolo. Compito dei sacerdoti è di mettersi al
servizio della comunità ; spetta a loro far ricordare al popolo che la terra è di Dio. Il sacerdote
è la memoria viva di chi è Dio e da che lato sta, per questo deve essere povero. Nella sua
pelle è chiamato a sentire la condizione di povero. Entra nella lista dei "necessitati" ; si
vincola la vita del levita a quella del povero, perché solo così può testimoniare il progetto di
Dio. Il sacerdote inoltre dovrà portare il popolo a lodare Dio (Dt 18, 1-8 ;Nm 18,8-32).
Le tentazioni della terra : la terra che pure è dono di Dio e un segno della salvezza, può
diventare una insidia per la vita morale di Israele. Si ha quando essa diventa l'unico orizzonte
dell'esistenza storica di Israele, quando cessa di essere segno e diviene valore assoluto.
E’ il pericolo dell'immanentismo, cioè del mangiare e saziarsi senza ricordarsi di Dio e
lodarlo, è l'ateismo conviviale, dello stare perennemente e tavola senza preghiera.
E' il rischio del secolarismo, cioè di chiudersi alla trascendenza, del pensare che Dio sia
inutile, superfluo, visto che riusciamo a risolvere i nostri problemi da soli senza scomodare
Dio.
E' la tentazione della autosufficienza, del bastare a se stessi o del ritenere proprio merito ciò
che invece è puro dono.
E’ il pericolo che corre la religione nella società del benessere.
Questo tipo di società può avere una valenza purificatrice nei confronti della fede, quando
essa abbia come punto di partenza il bisogno (= sana secolarizzazione) e Dio appaia come il
"celeste Tappabuchi". Cristo non parla di Dio a partire dal "bisogno", ma fonda il rapporto
suo e dei discepoli con il Padre sulla "gratuità".
La Legge del Signore
181
La secolarizzazione diventa "secolarismo - laicismo", quando pretende di eliminare il
richiamo alla trascendenza, a partire dalle risorse acquisite nella modernità, dallo "stato
adulto" conseguito dall’uomo di oggi.
- L'Israele biblico ha subito nella sua storia l'incanto della terra ; ha attraversato la tentazione
di "sistemarsi nel mondo", invece di salire dalla terra al cielo. Il Deuteronomio, che batte
ripetutamente questo tasto, ci offre pagine illuminanti a questo riguardo.
In 6,10ss l'accento dell'omileta è posto sul "lusso", "il di più" : "città grandi e belle - case
piene di ogni bene - cisterne scavate non da te - vigne e olivati che tu non hai piantati".
Lo schema impiegato è chiaramente quello del "niente lavoro e molti frutti", che qui esalta il
dono di Dio.
In questa situazione il pericolo è quello del "dimenticare Dio".
"Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guardati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto
uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile" (vv 11-12).
Conseguenza del peccato della dimenticanza è la perdita della terra.
Altro passo espressivo è Dt 8,11-20. In esso c'è da rilevare :
^ Accento messo sull’abbondanza (superfluo al di là del necessario).
^ Messa in guardia contro l’atteggiamento dell’orgoglio, che misconosce il dono e tutto
considera come dovuto : "il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare. . ," (v14).
Più incisivo ancora il v 17 : "Guardati dunque dal pensare : La mia forza e la potenza della
mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze"
^ Invito a ricordarsi di Dio nell'uso delle cose, a salire dalle creature al Creatore, a
riconoscere in lui la fonte di ogni bene ("è Lui che ti dà forza" )
^ Minaccia di castigo per il peccato della dimenticanza : perdita della terra e deperimento del
popolo.
Identico messaggio poco dopo in 9,4-6.
Israele non entra nella terra per la suo "giustizia", cioè per i suoi meriti culturali o morali ; è il
peccato dei popoli del Canaan a rendere libero il territorio e possibile l'ingresso.
E' la fedeltà del Signore all'impegno gratuito da lui preso con i padri a permettere l'entrata del
popolo nella terra.
Israele non ha quindi meriti da far valere davanti a Dio, può esibire solo i suoi peccati (cf
"anzi tu sei un popolo di dura cervice").
L'opposto della dimenticanza è il riconoscimento di YHWH nella terra e la lode che lo
esplicita : "Servire il Signore con gioia e di buon animo in mezzo alla abbondanza di ogni
cosa" (Dt 28,47).
- Per chiudere la trattazione di questo primo aspetto della terra, adopero una riflessione di
Norbert Lohfink : "Si noti il profondo realismo della religiosità biblica : un senso vivo,
concreto della terra, quasi una fedeltà alla terra, opposta a religiosità di evasione,
esclusivamente escatologiche ... non è immanentismo, un 'al di qua' che escluda un 'al di la' ;
non è immanentismo, perché vi è una trascendenza nella terra stessa, in cui Dio è presente
con la suo dimora, con le sue benedizioni, concepite anch'esse in modo assai realistico, con i
suoi comandamenti che vanno mio praticati nella terra".
La Legge del Signore
182
Il Vaticano II direbbe : "I cristiani non si sognano nemmeno di contrapporre i prodotti
dell’ingegno e della potenza dell'uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura razionale sia
rivale del creatore. Al contrario, piuttosto, essi sono persuasi che le vittorie dell'umanità sono
segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. Quanto più cresce la potenza
degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità sia individuale che
collettiva. Da ciò si vede come il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal
compito di edificare il mondo, lungi dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li
impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente" (GS 34c).
B)
La terra come Patria
La terra non è solo il campo da coltivare per vivere, ma anche la dimora di un gruppo
umano, realtà politica. Uno dei tratti costitutivi della identità di un popolo è offerto dal
territorio abitato. Un popolo difficilmente si realizza e si organizza come tale in mancanza di
una unità territoriale.
L’ambiente geografico influisce sulle struttura somatica di un popolo ne plasma il carattere,
influisce sulle attitudini e il linguaggio.
La terra nella esperienza umana è anche "patria", con tutto ciò che evoca questo termine :
terra dei padri, là dove si è nati e le cose sono divenute familiari, la propria culla, le proprie
radici…terra come riserva di affetto, luogo da amare, conservare e difendere. Anche da
allargare ? ... Quante guerre nella storia umana per "Rettificare i confini", per estendere il
dominio !
Oggi forse, in un clima di educazione alla mondialità, siamo meno sensibili alla voce
"patria", anche perché pesa sulle nostre spalle tanta retorica bolsa su questo valore. I
nazionalismi sono un fatto deleterio nella esperienza umana ; nessun popolo deve sentirsi
superiore o inferiore agli altri, perché tutti fanno parte della grande famiglia umana, con
ricchezze e limiti, diversi perché le voci arricchiscano il coro.
Anche su questa dimensione "politica" della terra Israele ha riflettuto, senza pervenire ad una
visione compiuta delle cose, tuttavia con spunti degni di interesse.
- Partiamo anzitutto dalla importante affermazione che ogni popolo ha diritto ad avere un
territorio in cui possa abitare e crescere.
Questo diritto va riconosciuto e rispettato da tutti ; non si può violare la integrità territoriale
di un popolo.
Dice Dt 32,8 : "Quando l'Altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell'uomo,
egli stabilì i confini delle genti secondo il numero dei figli di Dio".
Questa doveva essere la lezione originaria come si può vedere dal Greco e da Qumran, dove
"i figli di Dio" rappresentano le divinità preposte a guardia delle singole nazioni. Il TM ha
modificato in senso nazionalista (cf "secondo il numero dei figli di Israele") Dice Jefte agli
Ammoniti in Gdc 11,24 : "Non avete tutto ciò che Camos vostro dio vi ho dato ? Bene,
questa terra fu YHWH, il nostro Dio, che ce la dette e voi non potete prendercela"
Più ampiamente questo messaggio si incontra in Dt 2.
La meditazione dell'autore ripensa alla marcia di Israele nel deserto in cammino verso la
Terra. Ha dovuto attraversare il territorio di altri popoli che avevano preceduto Israele nella
conquista di una terra e nella sedentarizzazione : si parla di Edom ("i confini dei figli di Esaù
che abitano in Sheir"), Moab e Ammon, che sono figli di Lot secondo la saga di Gn 19,37-38.
Ebbene Israele deve chiedere l’autorizzazione per passare, non può sfruttarne il
territorio. Deve comprare l'acqua da bere e le vettovaglie de mangiare. Per il fatto che è
La Legge del Signore
183
popolo eletto, non può accampare alcun Diritto di sfruttamento. Dio non gli darà nemmeno
un fazzoletto di terra : "neppure quanta ne può calcare la pianta di un piede".
- Di fatto però è entrato in un paese già abitato. La terra di Canaan è divenuta 'eretz Israel'.
Non è atto di usurpazione, di sopraffazione, di imperialismo ? Più in generale : come spiegare
e giustificare il succedersi di più popolazioni su un territorio identico ?
A un certo punto del suo cammino di fede Israele ha affrontato anche questo problema e ha
cercato di offrirne una risposta.
La soluzione è stata intravista nel rapporto popolo-ambiente. Nella visione biblica esiste una
connessione tra comportamento umano e territorio, c'è una responsabilità umana verso
l'ambiente.
Potremmo forse parlare di "ecologia biblica".
Vi sono delle colpe, dei crimini che rendono un popolo indegno di abitare la terra, creano una
incompatibilità con l’ambiente, provocano nella terra una crisi di rigetto. La terra finisce con
il vomitare i suoi abitanti, li espelle e così il territorio rimane disponibile ed accogliere un
nuovo gruppo umano.
I crimini contro la terra sono :
^ L'abuso della sessualità umana. Lo stravolgimento delle leggi di natura nell'esercizio della
sessualità viene visto non solo come crimine contro Dio e la dignità umana, ma anche delitto
contro l'ambiente. Che dire di questa intuizione ? Non è certo verificabile storicamente.
Quello che si può dire è che i crimini sessuali generano un processo di corruzione negli
individui e anche un fenomeno si sgretolamento nelle famiglie e nei gruppi umani, ne vanno
di mezzo altri valori, tra cui anche la difesa del territorio, il senso di appartenenza a un
popolo, ad una comunità.
Per questo aspetto si veda lo sviluppo di Lv 18, 24-30
^ Anche gli omicidi, lo spargimento di sangue innocente contamina la terra del Signore (cf
l'invettiva contro la "città sanguinaria" in Ez 24,6-7). Si veda anche Nm 35, 33.
^ Soprattutto la pratica dei sacrifici umani : "Versarono sangue innocente, il sangue dei figli e
delle figlie sacrificati agli idoli di Canaan ; le terra fu profanata dal sangue" (sal 106,38).
Vedi anche Ez 20,30-31.
Ebbene Israele ha potuto entrare in Canaan per la immoralità degli abitanti che lo hanno
preceduto : "Non pensare : a causa della mia giustizia il Signore mi ha fatto entrare in questo
paese ; mentre per la malvagità di queste nazioni il Signore le scaccia davanti a te" (Dt 9,4) .
"Alla quarta generazione tornerai qui, perché l'iniquità degli Amorrei non ha ancora raggiunto
il colmo" (Gn 15,16).
- Alla terra come patria è legato anche l'aspetto della terra come luogo di riposo (cf Dt 12,810) e sepolcro. L'uomo imparentato con la terra nel suo nascere ritorna ad essa nel suo
morire : "tutti sono diretti verso la medesima dimora ; tutto è venuto dalla polvere e tutto
ritorna nella polvere" (Qoh 3,20).
E' documentabile anche nella Bibbia il desiderio di morire o almeno essere sepolti nel proprio
paese, nelle tombe di famiglia, accanto alle ossa dei padri.
Il tema è particolarmente rimarcato nella Gn. Ricordare le abili trattative condotte da Abramo
per acquistare in piena regola la grotte di Macpela, ove seppellire Sara.
La Legge del Signore
184
"Quando fu vicino il tempo della sua morte, Israele chiamò il figlio Giuseppe e gli disse : Se
ho trovato grazia ai tuoi occhi, metti la mano sotto la mia coscia e usa con me bontà e
fedeltà : non seppellirmi in Egitto" (Gn 47,29).
Stessa aspirazione in Gn 49,29-32 ed Esodo 13,19.
LA RESISTENZA ALLA SALVEZZA
Premessa
Lo schema ternario dell'Esodo non è comprensivo totalmente della teologia della esperienza.
Alcuni elementi fuoriescono dallo schema, ma sono ugualmente importanti. Uno di questi è il
tema della RESISTENZA alla salvezza : il piano di Dio incontra ostacoli, opposizione.
Proprio per questo il racconto diventa DRAMMA, lotta per superare e vincere.
La parola "resistenza" non si incontra formalmente nei testi, ma c'è chiara la nozione.
L'opposizione a Dio è di due tipi : esterna ed interna (si intende rispetto al popolo).
Resistenza esterna di tipo COSMICO :
è rappresentata dalle forze della natura. Sono le acque da attraversare, quelle del mare dei
giunchi e quelle del Giordano. Dio apre le acque e il popolo cammina a piedi asciutti (Es 14,
22). Diversi testi biblici accostano qs intervento storico di Dio alla lotta primordiale di Dio
contro le acque delle origini simboleggianti il caos : cf salmi 74, 13-14 ; 89,10-11 ; Is 27,1 e
51,9-11.
"Ha tagliato in due parti il Mar Rosso" cf salmo 136,13
Anche il deserto "grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra
assetata, senz'acqua" (Dt 8,15) è un ostacolo al cammino del popolo. Ma anche qui si rivela la
Provvidenza di Dio, che accompagna la marcia di Israele con "il pane del cielo", con l'acqua
della roccia, proteggendo dalla vampa del sole di giorno e dal gelo della notte. Israele riceve
solo.
Resistenza di tipo POLITICO :
essa è rappresentata dalla figura del faraone, che incarna la ragion di stato. Già si è visto che
gioca il ruolo dell'antagonista nel piano di Dio. Il faraone non molla, non accetta ragioni di
sorta, cede soltanto alla decima piaga. Assistiamo ad un progressivo "indurimento" del suo
cuore : "ma il cuore del faraone rimase ostinato e non lasciò partire il popolo" (Es 9, 7).
Altri testi però parlano di un intervento di Dio stesso che "indurì" il faraone, è il
Signore responsabile della ostinazione - "indurimento". "ma io indurirò il suo cuore ed egli
non lascerà partire il mio popolo" (4,21) "ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone, il
quale non diede ascolto, come il Signore aveva predetto a Mosè" (Es 9,12).
Si tratta di un problema teologico delicato : un modo di risolverlo è di vedere in qs
espressioni un linguaggio arcaico di parlare di Dio, dove non si distingue chiaramente tra il
"volere" ed il "permettere". Dio viene visto come causa prima dei fenomeni umani, anche di
quelli negativi.
Oppure la ostinazione è un momento della azione salvifica di Dio ?
- La ostinazione del faraone è piegata con la forza (vittoria in termini militari e di giudizio) ;
il faraone stesso del resto riconosce la ingiustizia della sua posizione. "Allora il faraone
mandò a chiamare Mosè ed Aronne e disse loro : "Questa volta ho peccato : il Signore ha
ragione ; io e il mio popolo siamo colpevoli" Es 9,27
La Legge del Signore
185
- Parimenti alla entrata nella terra, altri popoli ostacolano l’ingresso. Due figure capitali nel
ricordo di Israele , Sheon re degli Amorrei e Og re di Basan, (cf Nm 21,21-35) risuonano con
frequenza nei testi.
La vittoria su di loro è assicurata grazie all'aiuto del Signore.
Resistenza di tipo magico :
qs è un elemento di novità. E' il mondo ambiguo delle forze preternaturali, le energie
OCCULTE.
E’ il mondo ambiguo del SACRO nel suo aspetto deteriore.
Si incontrano anzitutto in Egitto con la presenza dei SAPIENTI e dei MAGHI. Da principio
riescono a ripetere davanti al faraone gli stessi prodigi di Mosè e di Aronne, cioè la
trasformazione del bastone in serpente (Es 7,10) ed in qs modo ne vanificano l'azione. Però
non parlano ; l'autore P toglie loro la parola.
Tre volte agiscono e riescono (7,11 ; 7,22 ; 8,3). Ma la quarta volta (8,14-15) non riescono
più. Allora P li fa parlare per riconoscere la superiorità del Signore : "E’ il DITO di Dio !"
- Al momento dell'ingresso è l’incantesimo di Balaam che sbarra la strada.
L'episodio ha uno sviluppo eccezionale perché abbraccia la sezione Nm 22,24. Balaam è un
"baru" mesopotamico, assoldato dal re di Moab per maledire Israele.
E’ un professionista delle arti magiche : gira la montagna, ascolta il vento, erige i suoi
altari. Contro qs minaccia Israele non dispone in sé di nessuna difesa ; dovrà intervenire il
Signore stesso a trasformare qs profeta mesopotamico in cantore di benedizione per Israele :
cf gli oracoli da Balaam.
LA RESISTENZA INTERNA :
è il fenomeno più sconcertante ed anche il più interessante, l'aspetto più drammatico e
l'ostacolo maggiore che Dio deve vincere. E' quella che risiede nel popolo, cioè nel cuore
dell'uomo ; l'uomo che fa fatica a capire il piano di Dio, che ha paura di rischiare, che
preferisce la sicurezza alla libertà ed ha sfiducia negli inviati di Dio. E’ l’ostinazione del
cuore di Israele, la sua ribellione a Dio, Si pensi al salmo 95 ; "Non indurite il cuore come a
Meriba ... 40 anni mi disgustai di quella gente e dissi : Sono "un popolo dal cuore traviato…".
"Quante volte si ribellarono a lui nel deserto, lo contristarono in quelle solitudini ! Sempre di
nuovo tentavano Dio, esasperavano il Santo di Israele" salmo 78,40-41.
- Per rimanere all'interno del Pentateuco, di particolare interesse si rivela lo studio di SETTE
TESTI di lamento e mormorazione. Vedi lo Specchietto a parte, che seguirà.
Di essi si può fare una lettura proficua con diverse osservazioni e implicazioni. La lezione
risulta attuale.
a) E’ un motivo letterario-teologico conosciuto e sviluppato in tutte e tre le fonti - storie
sacre. Il Dt lo riprenderà nella sua meditazione sull'esodo ad es in 1,32ss ; 9,6. E' quindi una
costante della teologia di Israele, che riconosce onestamente la sua incorrispondenza ai doni
di Dio.
b) E’ un motivo (tema) che accompagna l'intera esperienza : si lamentano in Egitto, durante
la marcia nel deserto, allorché sono alle soglie della tèrra. L'uomo è fatto così, perennemente
scontento, insoddisfatto.
La Legge del Signore
186
c) La protesta scoppia nei momenti di difficoltà e di pericolo : mare da attraversare o Cananei
da affrontare, questioni di fame e di sete, gelosia nei confronti di Mosè e contestazione del
suo ruolo di guida.
- All'interno dei sette passaggi si nota un linguaggio comune ed anche il ripetersi degli stessi
motivi. La protesta si articola in tre punti :
a) L’interrogatorio a Dio. Il lamento come sfida. Il popolo istruisce una specie di processo al
Signore. Risuona l’interrogativo : PERCHE’ ? che può indicare "con quale diritto" o "con
quale scopo" cosa ti riprometti…
E' l'atteggiamento dell'uomo che pretende di giudicare l'operato di Dio e vuole "violarne il
diritto" "offuscarne il piano" cf Gb 38,2 ; 40,8.
Vuole mettersi al posto di Dio ; richiama il peccato delle origini . Come in Es 10,15 e in 45,910.
b) Interpretazione del fatto come ANTISALVEZZA : Il popolo giudica a suo modo la uscita
dall'Egitto, deforma la intenzione di Dio, stravolge il senso dei fatti. Non è liberazione, ma
tranello, condanna a morire nel deserto. Non è un Dio che vuole la vita, ma gode per la morte.
Qs travisamento dell'avvenimento si ha con la congiunzione finale LAMED = "per far morire
... "
c) Un giudizio di valore : ki tob lanu = "non sarebbe meglio per noi ... ". Si fa un confronto
con l'Egitto e lo si ritiene preferibile. Nel quinto testo di Nm 16,15 troviamo qualcosa di
blasfemo. La bestemmia consiste nel chiamare l'Egitto con i termini che la fede adopera per
connotare la terra : "paese dove scorre latte e miele". Anche qui Israele rappresenta l'uomo, il
quale come in Eden arroga a sé il diritto di decidere ciò che è bene e ciò che è male, vuole
farsi come Dio "conoscitore-giudice del bene e del male".
Tutto questo è estremamente significativo per capire l'uomo di ogni tempo !
TEOLOGIA DELL’ESODO : LA RESISTENZA DEL POPOLA ALLA SALVEZZA
I sette tasti
1) Esodo 14,11-12 di tradizione Javista al Mar Rosso.
" Gli Israeliti dissero a Mosè : Forse perché non c’erano sepolcri in Egitto ci hai portati a
morire nel deserto ? Che hai fatto portandoci fuori dall'Egitto ? Noi ti dicevamo : Lasciaci
stare e serviremo gli Egiziani ! Perché è meglio per noi servire l'Egitto che morire nel
deserto".
2) Esodo l6,2-3 di tradizione Sacerdotale : episodio della manna
" Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli
Israeliti dissero loro : Fossimo morti nel paese d'Egitto, quando eravamo seduti presso la
pentola della carne, mangiando pane a sazietà ! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto
per far morire di fame tutta questa moltitudine".
3) Esodo 17,2-3 di tradizione Elohista : l’episodio dell'acqua.
" In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua il popolo mormorò contro
Mosè e disse : Perché ci hai fatti uscire dall'Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli, e il
nostro bestiame ?"
4) Numeri 14,2-4 (il v 2 è P ; 3-4 sono J) episodio degli esploratori.
La Legge del Signore
187
"Tutti gli Israeliti mormoravano contro Mosè e contro Armane e tutta la comunità disse loro :
Oh ! Fossimo morti nel paese d'Egitto o fossimo morti in questo deserto ! E perché il Signore
ci conduce in quel paese per cadere di spada ? Le nostre mogli e i nostri bambini saranno
preda di guerra. Non sarebbe meglio per noi tornare in Egitto ? "
5) Numeri 16, 12-14 ( J + E ) : Ribellione di Core – Datan - Abiram
" Mosè mandò a chiamare Datan e Abiram, figli di Eliab, ma essi dissero : Noi non verremo.
E’ poco forse per te l'averci fatti partire da un paese dove scorre latte e miele per farci morire
nel deserto, perché tu voglia fare il nostro capo e dominare su di noi ? Non ci hai davvero
condotti in un paese dove scorre latte e miele, né ci hai dato il possesso di campi e di vigne !
Credi tu di poter privare degli occhi questa gente ? Noi non verremo ! "
6) Numeri 20,3-4 (P) + 5 (E) : episodio dell’acqua
"Il popolo ebbe una lite con Mosè : Magari fossimo morti quando morirono i nostri fratelli
davanti al Signore ! Perché avete condotto la comunità del Signore in questo deserto per far
morire noi e il nostro bestiame ? E perché ci avete fatti uscire dall'Egitto per condurci in
questo luogo inospitale ? Non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi, non
vigne, non melograni e non c'è acqua da bere"
7) Numeri 21,4-5 di tradizione Sacerdotale : episodio del pane
"Il popolo disse contro Dio e contro Mosè : Perché ci avete fatti uscire dall'Egitto per farci
morire in questo deserto ? Perché qui non c'è né pane né acqua e siamo nauseati di questo
cibo cosi leggero ".
IL PASSAGGIO DEL MARE DEI GIUNCHI
Premessa
"Vittoria sopra la resistenza" !
"Contro la aggressione, contro una situazione ingiusta, di oppressione, si possono invocare
due istanze per ristabilire l'ordine giusto : il giudizio e la guerra.
IL GIUDIZIO è una istituzione pacifica, una struttura della giustizia : il giudizio criminale vuole
restaurare l'ordine giusto castigando debitamente il colpevole (l'ideale sarebbe che il reo confessasse
esternamente la sua colpa e si emendasse radicalmente ... non solo pentiti "politici" ... ).
Il giudizio civile vuole restituire il diritto violato, pienamente o tramite una forma di
compensazione. Il giudizio o processo è una istituzione, struttura civile, con forza coattiva, ordinata
alla difesa della giustizia ...
LA GUERRA invece non è una istituzione pubblica ordinaria, ma un ricorso straordinario. La
aggressione ingiusta non restaura mai il diritto, ma impone la ingiustizia con la forza. La guerra si
legittima come difesa contro una aggressione attuale o contro una situazione di oppressione o
negazione di diritti.
La guerra pretende ristabilire la giustizia o respingendo la aggressione o distruggendo l'ordine
ingiusto per ristabilirne uno giusto.
La guerra è per definizione una istanza violenta : si considera violenza giusta contro una
violenza ingiusta. Non è facile che nella guerra il nemico riconosca la sua ingiustizia ; ciò che
riconosce è la forza superiore dell'avversario. Il vincitore vince, non convince" (Alonso).
(la storia però insegna che nessuna guerra è stata riconosciuta formalmente ingiusta ; è
sempre stata inventate una buona e santa causa…).
La Legge del Signore
188
- Nell'AT abbondano racconti, poemi, immagini, riferimenti ed allusioni al giudizio e alla
guerra ... per quanto hanno di valido e di legittimo, giudizio e guerra si usano come categorie
teologiche di primo ordine, cioè come schemi di pensiero validi per interpretare alcuni fatti.
La vittoria di Dio sopra i suoi nemici, le forze avverse, la resistenza è descritta in
termini militari e di giudizio.
Abbiamo QUATTRO TESTI che illustrano la vittoria di Dio nello schema del processo :
1) Es 6,6 : "Vi libererò con braccio testo e con un solenne processo".
2) Es 7,4 : "Farò uscire dall'Egitto le mie schiere, il mio popolo, gli Israeliti, con
l'intervento di grandi castighi (bimshpatim gedolim = con un solenne processo).
3) Es12,12 " ... così farò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto".
4) Nm 33,4 : "Il giorno dopo Pasqua gli Israeliti uscirono a mano alzata alla vista di tutti gli
egiziani, mentre gli Egiziani seppellivano quelli che il Signore aveva colpito fra di
loro cioè tutti i primogeniti, quando il Signore aveva fatto giustizia anche ai loro
dei".
VITTORIA IN TERMINI MILITARI
Ciò che emerge maggiormente nella tradizione dell’Esodo è la vittoria del Signore sull'Egitto
al "mare dei giunchi/delle canne" = yam suf (il termine "Mar Rosso" deriva dalla LXX) : allorché Dio
ha posto al suo servizio le forze cosmiche per piegare la resistenza dal potere tirannico dei faraoni.
Concentriamoci quindi sul "passaggio del mare", il fatto che è rimasto particolarmente
impresso nella fantasia popolare antica e recente.
Conviene NON SOPRAVVALUTARE questo elemento descrittivo : il termine chiave è
USCIRE non "passare". Il mar delle Canne rappresenta l'ultima frontiera, l'ultimo scoglio da
superare, come un Rubicone decisivo ; concentra tutte le tensioni precedenti in una giornata
definitiva, divide la storia e la geografia, si converte in linea divisoria della esistenza per gli
Israeliti ; per noi diventa paradigma : passare è salvarsi !
- Il fatto nella tradizione : tramite l'analisi storica accurata dei testi è possibile seguire l'evoluzione
che il tema "passaggio del mare" assunse nella tradizione. Il "Credo storico" di Dt 26 non vi accenna
direttamente : "Il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso,
spargendo terrore ed operando segni e prodigi". Non dice quali !
Forse la formula e l'immagine più arcaica è quella che troviamo nel "grande Hallel",
nel salmo pasquale della redenzione il 136,13-15 : "Ha squartato in due parti il Mar Rosso ...
in mezzo fece passare Israele… ha travolto il faraone e la sua armata".
Suona parecchio strano per noi il termine "gzr"= squartare. Lo si dice di un animale : difatti
qs è l'immagine impiegata. La divisione delle acque è accostata alla lotta cosmica di Dio
contro il mostro mitologico delle origini, chiamato RAAB (simbolo dell'Egitto) o Leviatan.
Forse pensavano al coccodrillo o alla balena.
- in Gs 24,5-7 (prologo storico dell'alleanza) già assistiamo ad un ampliamento : "Feci
dunque uscire dall'Egitto i vostri padri e voi arrivaste fino al mare. Gli Egiziani inseguirono i
vostri padri con carri e cavalieri fino al Mar Rosso. Quelli gridarono al Signore ed egli pose
fitte tenebre fra voi e gli Egiziani ; e spinse sopra loro il mare che li sommerse. I vostri occhi
videro ciò che io avevo fatto agli Egiziani".
Il passaggio del mare nel libro dell’Esodo
Abbiamo 4 narrazioni diverse e complementari del fatto.
La Legge del Signore
189
Notiamo anzitutto la presenza del c 15 che si presenta a livello redazionale come il "cantico
del mare" o "cantico di Mosè", cioè l'inno di vittoria per il passaggio del Mar Rosso. E’ un
epinicio ; una versione poetica cioè epica dei fatti a partire dal nucleo primordiale cfr 15,1. 21
"Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato : cavallo e cavaliere ha gettato in mare".
Era un pezzo probabilmente autonomo in origine, incorporato felicemente a qs punto dai
redattori del Pentateuco, come pausa lirica dopo l'avvenimento, come pezzo di "teologia
laudativa", cfr il fenomeno analogo in Gdc 4-5 : la vittoria di Deborah contro i Cananei.
- Accanto al testo in poesia abbiamo una triplice versione in prosa da parte delle storie sacre J
E P. Il redattore ha seguito qui la tecnica, il metodo dello "sbriciolamento delle fonti" per
costruire la sequenza narrativa del passaggio del mare ai cc 13 e 14. Isolando i versetti di
ciascuna fonte (con un margine di ipoteticità) è possibile così caratterizzare il racconto :
- Fonte J ; la descrizione è realistica e psicologica e lo schema adottato è quello della guerra
santa.
- Il faraone prende la iniziativa di inseguire Israele appena dopo averlo lasciato partire
(14,5b).
- Il popolo si lamenta con Mosè, resiste al dono di Dio e Mosè invita tutti alla calma,
perché sarà YHWH a combattere (14,13-14).
- Gli elementi cosmici che entrano in gioco sono la colonna di nube e la colonna di
fuoco ; il "vento orientale" che agita il mare tutta la notte, lo prosciuga aprendo un
varco agli Ebrei e travolgendo poi gli Egiziani (14,21b).
- La visione dell'intervento di Dio suscita la ammirazione e la fede (14,30-31).
- Fonte E : del poco materiale che possediamo si può dedurre :
- l'uscita degli Israeliti è presentata come una fuga all'insaputa del Faraone (14,5a) ;
- la figura dell'Angelo di Dio rimpiazza il posto della nube (14,19a) ;
- il particolare delle ruote dei carri che vengono frenate dal Signore (14,25).
- Fonte P : quella del Sacerdotale è una costruzione più dottrinale ed astratta. Abbonda il
miracoloso.
- Dio ha la iniziativa e l'azione si sviluppa tramite tre comandi con relativa
esecuzione : 14,1-4. 13-18. 26-29
- Dio ha in mano i fili della storia : è lui che indurisce il cuore del Faraone in modo
che insegua Israele.
- Lo scopo dell'azione di Dio è la rivelazione. Il Signore manifesta la sua gloria e
suscita il riconoscimento anche se forzato degli Egiziani (nella vergogna e nella
sconfitta 14,4. 17).
- Mosè è semplice esecutore della volontà di Dio ; qui assume un ruolo decisivo il
bastone di Mosè per aprire e chiudere le acque.
- Le acque formano una muraglia a destra e sinistra ; al centro appare l'asciutto e il
popolo vi passa sopra.
(qs particolare meraviglioso verrà ancora più dilatato dalla tradizione successiva. Il
midrash sull'Esodo contenuto nel libro della Sapienza 19,6-9 : "Si vide la nube coprire
d'ombra l'accampamento, terra asciutta apparire dove prima c'era acqua, una strada
libera aprirsi nel mar Rosso o una verdeggiante pianura in luogo dei flutti violenti ;
La Legge del Signore
190
per essa passò tutto il tuo popolo, i protetti dalla tua mano, spettatori di prodigi
stupendi'').
Messaggio del racconto
- La temperie narrativa del brano è epica. Non è il genere letterario della storiografia o della
cronaca (Bericht). Il racconto è un prodotto della fede di Israele : il popolo in esso canta la
sua liberazione.
- Non è agevole individuare lo spessore storico esatto dell'avvenimento. La stessa
denominazione "mare dei giunchi" fa pensare piuttosto a un acquitrino come luogo del
passaggio. Certamente però quel gruppo di fuggiaschi dovette sperimentare una presenza
particolare del suo Dio nella situazione di estremo pericolo in cui è venuto a trovarsi. Da solo
non si sarebbe potuto salvare.
- L'accenno alla fede per scoprire il valore rivelativo della storia e per passare dalla
contemplazione alla gratitudine e alla lode è espressamente detto nel racconto alla sua
conclusione : cf 14,30-31 "In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani e
Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare. Israele vide la mano potente con la quale il
Signore aveva agito contro l'Egitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo
servo Mosè"
Registrare l'importanza dei binomio VEDERE - CREDERE anche nei racconti pasquali del
NT.
- Appare chiaramente in qs brano (come anche nel racconto del diluvio in Gn 6-9)
l'ambivalenza delle acque, cioè la loro duplice funzione di morte e di vita. Madre e sepolcro =
meter kai taphos ! le stesse acque sono salvezza per gli Ebrei allorché si aprono per volere del
Signore e sepolcro per gli oppressori allorché si rinchiudono ed essi precipitano come "pietre
- piombo"
- Da rilevare anche la presenza del Mediatore, chiamato nel racconto "servo" del Signore.
Passerà con qs titolo nella tradizione biblica. E' lui la guida che agisce ed opera nel nome del
Signore. L'azione di Dio libera e gratuita si serve della mediazione umana.
- Il racconto del passaggio del mare non è utile soltanto come paradigma di una "lettura in
fede" della storia ; acquisisce nuovo senso se proiettato in luce nt. Nella "unità totale della B"
appare il suo valore prefigurativo, profetico, "tipologico". Scrive Paolo : "Tutti attraversarono
il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare". (1Cor 10,1ss).
Le acque del Mar Rosso sono un anticipo simbolico del fonte battesimale : anche qui l'acqua
appare morte alla colpa e vita divina donata all'uomo. Israele che passa il mare verso la
libertà è immagine del popolo dei battezzati. Ap 15 pone "il cantico di Mosè servo di Dio"
sulla bocca di coloro che hanno vinto la bestia, cioè superato gli ostacoli del male.
- La Veglia pasquale ogni anno, la "mater omnium vigiliarum" commemora e rievoca
liricamente qs passaggio degli Ebrei attraverso il Mar Rosso. Questo è l'antico Esodo, l'antico
FATTO PASQUALE : "Haec nox est, in qua primula patres nostros, filios Israel eductos de
Aegypto, mare Rubrum sicco vestigio transire fecisti" cfr il "preconio pasquale" .
"E’ LA PASQUA DEL SIGNORE !" (ES 12,11).
La Legge del Signore
191
ESODO E PASQUA
"Qui bene distinguit, bene docet" : è una massima delle didattica, una norma per
insegnare bene. La distinzione delle cose infatti è un principio della loro conoscenza.
Allora conviene distinguere tra Esodo e Pasqua : i due elementi di questo binomio sono
identici o diversi ? Quale relazione tra i due ?
Nel linguaggio infatti sono talora adoperati in modo interscanbiabile ; si parla ad es. di "fatto
pasquale dell'AT" per indicare l'uscita dall'Egitto, di "mistero pasquale" per designare la
morte-risurrezione di Cristo.
ESODO = avvenimento storico-salvifico. L'uscita dall’Egitto come fatto rivelativo della
presenza efficace di Dio al suo popolo. E' l'evento fondamentale ed esemplare della salvezza
biblica nell'AT
PASQUA = è la festa annuale che commemora l'esodo, è la celebrazione anniversario nel
tempo di Israele. E’ il sacramento dell'avvenimento, la ritualizzazione delle uscita dall'Egitto,
la festa della liberazione. E’ il rito più denso e più carico che Israele si è dato per ricordare e
rivivere l'esperienza indimenticabile della liberazione.
Per approfondire l'argomento le indicazioni sono molteplici :
- R. DE VAUX, Istituzioni dell'AT, pp 466-473
- P. E. BONNARD, voce "Pasqua" nel DTB di Dufour, colonne 855-862
- G. AUZOU, Dalla servitù al servizio, pp 155-171
- B. N. WAMBACQ, Le origini della "pesah' israelita, "Bib" 1976 pp 206-224
- A. SHEER, La veglia pasquale, rito di passaggio ? Ricerca sul significato della
celebrazione liturgica della Pasqua, in "Conc" 1978/2 pp 84-100
- L. CAMPOS e R. DI SEGNI, Hoggada di Pesach, Carucci - Roma 1979
- O. CARENA, Cena pasquale ebraica per comunità cristiane, Marietti - Torino 1981
- B. N. WAMBACQ Pesach-Massot, in "Bibl" 1981/4 pp 499-515
- A. MARCHADOUR, La Pasqua : evoluzione della festa fino al tempo di Gesù, in
"L'eucaristia nella Bibbia" - Gribaudi pp 13-17
- FESTORAZZI, La celebrazione della Pasqua ebraica, in "TSV" 7 (1983) pp 9-22
Il panorama dei dati
Conviene avere davanti lo specchietto completo dei dati prima di passare alla loro
interpretazione. Le pagine bibliche che parlano della Pasqua sono numerose. Limitandoci
all'AT abbiamo une triplice categoria di testi che parlano della pasqua ebraica.
a) testi "pasquali" a carattere esclusivamente narrativo
Gs 5,10-12 : la primo Pasqua in terra di Canaan
2 Re 23,21-23 : la pasqua dell'epoca di Giosia
2 Cronache 30 : pasqua del re Ezechia nel Tempio
2 Cronache 35, 1-19 : pasqua di Giosia nel Tempio di Gerusalemme
Esdra 6, 19-22 : la pasqua dopo il ritorno dall'esilio
b) testi a carattere liturgico (normativa cultuale).
Es 23,15 (E) Es 34,18 e 25b (J) Lv 23,5-8 (P).
Nm 20,16-25 (P) Dt 16,1-8 (D) Ez 45,21-24
La Legge del Signore
192
c) testi a genere misto (narrativo-legale).
Es 12,1-51 (giustapposizione P ed J) e Es 13,3-10 (Rd).
Nm 9,1-14 Fonte P. Pasqua nel deserto con aggiornamento della normativa
- In questa marea di passi, la pagina senz'altro più importante è il racconto normativo di Es
12-13. E' il testo fondamentale sulla pasqua ebraica. Per interpretarlo correttamente, bisogna
dire qualcosa sulla temperie letteraria di questi due capitoli.
Una duplice tecnica ha presieduto alla redazione di questo testo.
a) la frammentazione delle fonti : ha utilizzato antico materiale Jahvista, roba della fonte
Sacerdotale, ci ha aggiunto qualcosa di suo e ha combinato insieme i diversi pezzi
b) più importante il secondo principio compositivo e cioè la "sovrapposizione delle
prospettive". Che significa ?
Il redattore non si limita a narrare i fatti come si sono succeduti nella notte dell'uscita
dall'Egitto, ma fonde insieme diverse prospettive : storica, liturgica, catechetica. Miscela
frammenti di storia (genere narrativo) con pratiche liturgiche (genere legale) ed elementi di
istruzione religiosa (genere catechetico).
Descrive i fatti alla luce della loro successiva ritualizzazione.
Nb ! Qualcosa di simile capita nel NT, dove non solo la Cena del Signore anticipa
sacramentalmente l'evento della morte e risurrezione di Cristo, ma la descrizione della
istituzione eucaristica rivela nella sua stilizzazione un influsso del rito cristiano già operativo
all'epoca della stesura delle memorie evangeliche.
Con quale risultato ? Problematico dal punto di vista storico, efficace dal punto di vista
teologico. Prodotto gradevole : la storia fonda e giustifica il rito, mentre la liturgia
commemora e attualizza (rappresenta e ripresenta) l'evento passato.
Detto diversamente con le parole di GF Ravasi : "Il testo base resta Es 12-13. Esso rivela un
ventaglio di colori letterari differenti : si passa dalla narrazione storica al testo liturgico, dalla
catechesi alla esortazione. Alla sequenza storica (primogeniti, agnello, azzimi, fuga) si
sovrappone in filigrana quella liturgica (consacrazione dei primogeniti, rito pasquale e
cerimonia, degli azzimi) per cui la liturgia attualizza drammaticamente l'evocazione storica
del passato.
Sulla narrazione storica si proietta, la versione liturgica posteriore e nella azione liturgica si
rappresenta efficacemente la matrice storica. La sezione è anche fortemente stratificata e
livello di critica letteraria".
Il nome "Pasqua"
Donde proviene questa familiarissima parola ? L'etimologia ci può illuminare ?
"L'etimologia non è soltanto conoscenza storica, può anche essere une forma di evasione, un
affascinante ritorno alle origini" (Dardano).
Il significato primigenio del termine "pèsach" (così si chiama in ebraico) è ancora oggi
oscuro. Gli studiosi non sono ancora riusciti a identificare sicuramente la radice di esso.
Secondo uno di loro, COUROYER, le parola proviene dalla lingua egiziana e vuoi dire
"colpo".
La Legge del Signore
193
Il testo ebraico di Es 12,13. 27 mette la parola in relazione con il verbo ebraico "psh" che
significa due cose :
1. Protexit, salvavit
2. Claudicavit
cf Zorell, pg 659 il quale aggiunge : "Vetus Judaeorum traditio tribuit verbo ideam
transeundi, transiliendi , Hier in Ex 12,13 et Is 31,5 et substontivus Ex 12,11 Aq : yperbasis,
H : transitus"
Il redattore di Es 12 spiega la parola "pasqua " con l'idea del "passare oltre" : "In
quella notte io passerò per il paese di Egitto e colpirò (v 12) ... io vedrò il sangue e passerò
oltre ... (v 13) ... è la Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in
Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case ... (v 27).
Da qui l'idea che pasqua = passaggio. Già Girolamo traduceva così : "Est enim phase, id est
transitus Domini".
E Agostino, contemporaneo di Girolamo, prendendo spunto dal titolo del salmo 68, parla
della pasqua e del suo significato così : "Pascha latine transitus irterpretatur. Non est enim
Pascha graecum nomen sed hebraeum. Resonat quidem in graeca lingua passionem, quia
paschein poti dicitur ; sed consultum hebraeum eloquium aliud indicat".
Si noti in ogni caso che la Pasqua come nome è messa in rapporto NON con il "passaggio del
mare" da parte di Israele, MA con il Passaggio del Signore (o dello sterminatore) attraverso la
terra di Egitto.
"Pasqua = sacrificio di protezione ; YHWH è passato oltre senza esigere nulla" (Wambacq).
Il rito dell'agnello
La fisionomia della pasqua ebraica in Es 12-13 si caratterizza per la giustapposizione
di due elementi : il rito dell'agnello e la settimana degli azzimi.
In origine erano due riti paralleli ma autonomi. Per questa distinzione originaria si può
osservare Es 34,18. 25
Entrambi erano in origine riti naturisti, cioè legati ai ritmi e ai tempi della natura e
successivamente storicizzati, cioè immessi nel flusso della fede storica di Israele. Due feste
che all'inizio non ebbero alcuna relaziona tra loro, in seguito vennero fuse e divennero
memoriale dell'Esodo.
- Il rito dell'agnello si situa alle origini in un ambiente di pastori : all'inizio della primavera,
allorché i greggi lasciano i campi invernali per cercare nuovi pascoli, i pastori immolano
(sgozzano) un agnello o un capretto e col sangue della vittima aspergono i paletti o
l’imboccatura della tenda. Le carni invece servono a consumare un pasto familiare.
Qual è il significato di un simile rito ? E’ un sacrificio di propiziazione, ha lo scopo di
rendere "propizia - benevola" la divinità.
E' un rito "apotropaico", avente cioè come finalità la rimozione, l'allontanamento delle forze
del male, delle potenze ostili. Celebrato alla vigilia della transumanza, il sacrificio pasquale
serviva ad allontanare dal gregge le potenze malefiche, che potevano insidiare il cammino.
A questo significato primario si deve senz'altro aggiungere anche quello di FECONDITA' :
nell'ambiente nomadico dei pastori, il tempo privilegiato della fecondità è le primavera.
Anche il parto degli animali deve essere protetto.
- Le radici primitive della Pasqua si incontrano già dicevamo, in Es 5,1-3 : "… lascia partire
il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto ... il Dio degli Ebrei è apparso a noi. Ci
sia dunque concesso di partire per un viaggio di tre giorni nel deserto e celebrare un sacrificio
al Signore nostro Dio, perché non ci colpisca di peste o di spada".
La Legge del Signore
194
Ma anche l'ampio rituale di Es 12 porta chiaramente le trecce della nascita della pasqua in un
ambiente pastorizio. Eccone le caratteristiche :
^ Il tempo : è il primo mese dell'anno e l'anno incomincia in primavera la stagione che segna
il risveglio della vita. Questo mese riceve anticamente il nome di ABIB, cioè della spiga,
mentre in epoca postesilica verrà chiamato Nisan. La spiga che matura è quella dell’orzo e il
tempo va da metà marzo a metà aprile. Più esattamente la legislazione prevede che la vittima
sia messa in disparte il dieci del mese e venga immolata al tramonto del giorno quattordici.
Nel mese lunare il 14 corrisponde al plenilunio. La pasqua è una festa notturna, l'unica festa
notturna del calendario liturgico ebraico, il chiarore diffuso della luna la rende possibile, la
temperature è abbastanza temperata.
E’ una notte di festa e quindi una notte di veglia (cf Es 14,42). Volentieri si sacrifica il sonno
per festeggiare il rilancio della vita a primavera, l'avvio di una tappa nuova.
^ Il luogo : è la famiglia, secondo Es 12 la pasqua è un rito domestico ; è una cerimonia
intima, familiare, ma per il fatto di venire celebrata da tutti i nuclei familiari, diventa un fatto
corale, comunitario, di popolo, Israele diventa simultaneamente una "stirpe sacerdotale" ; cf
"tutta la comunità" (12,3) ;"tutta l'assemblea della comunità di Israele" (12,6). Sono
espressioni di P.
La Pasqua è un rito che unisce e distingue gli Ebrei ; soltanto essi vi possono partecipare.
Anche gli stranieri e gli schiavi vi possono intervenire, ad una condizione : la pratica della
circoncisione (cf 12,43-50).
Più esattamente circa il luogo : "La Pasqua preisraelitica aveva un carattere di famiglia e di
clan che la tradizione J mantiene. La tradizione D ne fa una festa nazionale di pellegrinaggio
al santuario. La tradizione sacerdotale (P) riprende il carattere familiare, tuttavia vi aggiunge
un significato comunitario : tutta l'assemblea della comunità Es 12,3. 6. 47" (Festorazzi) .
^ La vittima : è un capo scelto del gregge (agnello o capretto). Deve rispettare alcuni
requisiti : "maschio, senza difetti, nato nell'anno". Viene sgozzato : è una pratica quasi
indolore, si taglia la carotide. La vittima porta il nome di Pasqua esattamente come la festa, di
qui la frese "immolare la Pasqua".
In questo sacrificio (atto sacro) ha un ruolo essai importante il sangue. Con esso vengono
aspersi e segnati l'architrave e gli stipiti delle porte, con un segno distintivo, di preservazione
dalla disgrazia.
La figura dello "sterminatore" (ebr. "maschit") che compare in Es 12,13.23 è un indizio
ulteriore del carattere arcaico del testo e risente delle origini preisraelitiche e nomadiche della
Pasqua. Rappresenta le forze malefiche, la divinità nemica da propiziare.
Il sacrificio sbocca poi in un banchetto, la mensa pasquale. E' quindi un "sacrificio pacifico",
un "sacrificio di comunione".
Le norme al riguardo sono abbastanza rigide. La vittima viene arrostita (i nomadi non hanno
recipienti per cuocerlo, ma lo pongono sulla brace). "Non gli romperete alcun osso" (12,46) :
l'integrità della vittima sembra simboleggiare l'unità e l'integrità del popolo.
"Non ne dovete avanzare fino al mattino ; quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel
fuoco" (12,10). Dispositivo antico come documenta Es 34,25b : "La vittima sacrificale della
La Legge del Signore
195
festa di Pasqua non dovrà rimanere fino alla mattina". Vuole evidenziare l’unicità e la
peculiarità del rito.
"Le erbe amare" (12,8) sono pure un residuo della pasqua dei pastori. In origine servono a
dare un po’ di aroma alle carni.
^ L'abbigliamento : "Ecco in qual modo lo mangerete : con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il
bastone in mano ; lo mangerete in fretta" (12,11). Questa è la tipica tenuta da viaggio, di chi è
in procinto di partire e non ha tempo da perdere.
Storicizzazione del rito
La pasqua, nata come celebrazione della natura in un ambiente di pastori, viene
assunta da Israele e immessa nel movimento storico della sua fede. Viene sottratta alla
ciclicità della natura e inserita nella sorpresa della storia ; viene agganciata alla esperienza
fondamentale di Israele, l'esodo, ne diventa la festa commemorativa maggiore.
Ecco la originalità di questa festa centrale in Israele.
Es 12 enfatizza la solennità di questa celebrazione (v14).
^ "Questo giorno sarà per voi un memoriale" : "zikkaron" è più che memoria, ricordo del
passato, è oggetto-pratica-istituzione che obbliga la memoria, è atto sacramentale che
condensa il passito, il presente e il futuro.
^ "Lo celebrerete come festa del Signore" : è un giorno che si distingue dalla trama originaria
dei giorni, giorno di gioia per il Signore. E' la annuale festa dell'esodo, come lo è il sabato nel
ritmo della settimana.
^ "Di generazione in generazione lo celebrerete come rito perenne" : è una celebrazione che
penetra le generazioni di Israele e le unisce nel variare delle epoche storiche, perché non si
potrà mai dimenticare il giorno in cui il popolo è uscito dall'Egitto. Ancora oggi è cosi.
- Qual è il collegamento tra il rito dell'agnello e l'uscita liberatrice dall'Egitto ? L'elemento
decisivo è il sangue, che segna le case degli Ebrei e ricorda il colpo della decima piaga, la
uccisione dei primogeniti.
12,12-13 : "In quella notte io passerò per il paese di Egitto e colpirò ogni primogenito nel
paese di Egitto, uomo o bestia ; così forò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto. Il sangue sulle
vostre case sarà il segno che voi siete dentro : io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà
per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese di Egitto" cf anche 12,23
La Pasqua è quindi salvezza, vita, protezione !
- Accanto al sangue, anche il VEGLIARE diventa segno commemorativo :
"Notte di veglia fu questa per il Signore, per farli uscire dal paese di Editto. Questa sarà una
notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in Generazione" (12,
42).
L'espressione ebraica è "Lel shimmurim". Significa insieme : "notte di protezione" e
"notte di veglia".
Per una notte intera il Signore ha vegliato, come une sentinella è stato all’erta per coprire
l'uscita del suo popolo, per difendere Israele che lasciava l'Egitto : "Mentre un profondo
silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente,
dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di
sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile" (Sap 18,14-15).
La Legge del Signore
196
Anche questa veglia dovrà attraversare le generazioni di Israele ; non dovranno né potranno
dormire nella notte di Pasqua, la veglia ricorderà loro la "notte delle meraviglie" il corpo
stesso sarà segnato dalla esperienza della liberazione.
- Un'ultima osservazione circa il banchetto pasquale. Si tratta dell'elemento "catechesi" che
compare in 12,26 : "Allora i vostri figli vi chiederanno : che significa questo atto di culto ?
Voi direte loro : E' il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case
degli Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case".
Anche Questo è interessante : non basta celebrare, bisogno rendersi conto perché si fanno
certe cose. Il rito, l’azione-segno ha bisogno della parola che ne espliciti il valore, ne
chiarisca il significato. Nella evoluzione del rito, questo darà origine alla "haggadah" di
Pasqua.
"Lodato sia il Signore, lodato egli sia.
Ecco i quattro figli di cui parla la Torah :
uno è il saggio, l'altro empio,
il terzo ingenuo e il quarto
non conosce nemmeno la domanda,
aggadah di Pasqua"
La settimana degli azimi
Nella normativa di Es 12-13 la settimana degli azzimi appare saldamente ancorata alla
notte pasquale ; sono già insieme le due feste in origine indipendenti.
Gli azzimi vengono presentati due volte : 12,15-20 e 13,3-10.
La parola proviene dalla lingua Greca "a-zyme" e significa letteralmente "senza lievito".
Sono pani non fermentati. In ebraico portano invece il nomo di "massot" vocabolo che
equivale a "essere senza gusto, insipido" ; cf Dt 16,3 "pane di afflizione, di miseria" .
- Quel è l’origine degli azzimi e il loro significato ?
Qui l'ambiente di partenza e diverso, non siamo più tra i pastori ma tra i contadini.
Suppongono un ambiente agricolo, sedentario. Anch'esso è un rito primaverile : la pratica
consiste nel mangiare pane non lievitato per un'intera settimana. Il senso è questo : si vuole
festeggiare la nuova messe mediante la "rottura, simbolica con la vecchia riserva".
Per capire il simbolismo bisogna ricordare che anticamente il lievito veniva ricavato dalla
pasta inacidita, per cui passava a significare continuità con il passato o addirittura vecchiezza,
corruzione.
Mangiare pane senza lievito vorrà dire invece stacco rispetto al passato, ricominciamento,
inizio e novità.
Questo capita alla prima mietitura, quella dell’orzo : il pane vecchio e lievitato viene fatto
sparire (nel rito attuale della pasqua ebraica c'è come premessa la caccia ad ogni residuo di
pane fermentato), come qualcosa di negativo, che non deve pregiudicare il nuovo raccolto
simboleggiato dagli azzimi.
Ecco come i contadini di un tempo festeggiavano l’inizio del nuovo anno con il risveglio
della vita a primavera.
- E vediamo il collegamento storico con l’Esodo. Anche la settimana degli azzimi, una volta
entrata in Israele, ha subito una trasformazione, ha assunto quella caratterizzazione storica
che è tipica delle Rivelazione biblica. E’ passata da rito dei campi a memoriale.
In alcuni passi il rapporto è semplicemente affermato ma non spiegato :
La Legge del Signore
197
Es 23,15 : "Osserverai la festa degli azzimi ; mangerai azzimi sette giorni, come ti ho
ordinato, nella ricorrenza del mese di Abib, perché in esso sei uscito dall'Egitto"
Es 34,18 : "Osserverai lo festa degli azzimi nel tempo stabilito del mese di Abib ; perché nel
mese di Abib sei uscito dall'Egitto" Idem in Es 13, 3-4 (testo già esaminato).
Come si vede, è indicato il Mese, non il giorno perché, non si può programmare la
maturazione dell’ orzo.
In un secondo momento il collegamento si fa più esplicito, il dettaglio della fretta stabilisce
un raccordo. I pani non lievitati devono richiamare la fretta, la precipitazione di quella notte.
Tutto si è svolto in un ritmo così incalzante che è mancato il tempo materiale di far lievitare
la pasta. L'urgenza della uscita dall'Egitto ha costretto gli Israeliti a portarsi la pasta non
ancora fermentata nelle madie.
Es 12,34 : "Il popolo portò con sé la pasta prima che fosse lievitata, recando sulle spalle
le madie avvolte nei mantelli"
Es 12,39 : "Fecero cuocere la pasta che avevano portata dall'Egitto in forma di focacce
azzime, perché non era lievitata : erano infatti stati scacciati dall'Egitto e non
avevano potuto indugiare ; neppure si erano procurati provviste per il viaggio"
Dt 16,3 : "Non mangerai con essa pane lievitato ; per sette giorni mangerai con essa gli
azzimi, pane di afflizione perché sei uscito in frette dal paese di Egitto ; e così per
tutto il tempo della tua vita ti ricorderai il giorno in cui sei uscito dal paese di
Egitto"
- Quando si è prodotta la saldatura tra il rito degli agnelli e la settimana degli azzimi ? Non si
è d'accordo tra gli studiosi sulla data di fusione dei due riti.
Si ha una sola menzione di una festa degli azzimi senza la Pasqua in 2 Cronache 8,15.
"Solo dopo la riforma di Giosia" (BJ).
"La testimonianza più artica in favore di una Pasah-Massot celebrata come una stessa
solennità è la legge di Lv 23,5-6a.
Si noterà che hag hammassot non dura che un giorno solo. Questa legge è probabilmente
anteriore al periodo pasquale di Elefantina" (Wambacq).
Nb ! E' appena il caso di ricordare che il lievito viene usato come metafora anche nel NT.
In senso positivo a indicare lo forza intrinseca del Regno di Dio che fermenta la storia (Mt
13,33) ; in senso negativo a indicare immoralità, condotta perversa :
Mc 8,15 : "Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei Farisei e del lievito di Erode".
1Cor 5,8 : "Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e
di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità"
Nb ! Il lezionario Romano ci fa ascoltare Es 12 come prima lettura della "Messa in Coena
Domini". Il testo viene usato in senso prefigurativo. Agnello e azzimi vengono visti come un
anticipo di Cristo e della stessa eucaristia. Gesù infatti trasforma i pani senza lievito nel segno
del suo corpo. cf : A. HAQUIN, La Bible, mémoire vivente de la communautè qui célèbre, in
"Comm et Lit" 1986/2 pp 101-110.
L'offerta dei primogeniti
Non possiamo congedarci da Es 12-13 senza accennare ad un terzo rito, quello della
"offerta dei primogeniti" : cf Es 13,1-2. 11-16.
La Legge del Signore
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Israele è obbligato a consacrare (riservare e presentare) al Signore ogni primogenito di sesso
maschile e ogni primo nato degli animali.
"Fare dono a Dio di tutto ciò che è primo è una pratica conosciuta tra gli uomini d’epoca
remota" (Auzou) .
E’ un modo di riconoscere la signoria di Dio sulla vita umana, il valore della procreazione
come partecipazione alla creazione.
Soltanto che Dio non vuole vittime umane da sacrificare per sé ed allora esiste un rito
sostitutivo, una specie di surrogato, il riscatto. Con che cosa ? Non è detto. Altre precisazioni
verranno dal diritto liturgico successivo (cf Lv 5,7 ; 12,8).
E' a questa normativa che si rifà l'evangelista Luca quando descrive la presentazione di Gesù
al tempio a quaranta giorni dalla nascita ed insiste sulla obbedienza di Giuseppe e Maria alla
"legge del Signore " (2,22ss).
- Anche questo rito è stato storicizzato in Israele : richiama ulteriormente l'esodo, nel senso
che ricorda i primogeniti ebrei uccisi e i primi nati ebrei risparmiati. Essi ormai appartengono
al Signore, sono suoi, ma tramite il riscatto passano in proprietà ai genitori.
Però non è un rito pasquale ; non è legato alla celebrazione annuale, ma ha luogo durante
tutto il corso dell'anno.
E' un'altra istituzione di cui Israele dispone per respirare in continuazione l’esperienza
dell'esodo, come lo è il sabato, come lo sono soprattutto i precetti morali, che, motivati
dall'Esodo, hanno lo scopo di immettere nella esistenza quotidiana credente i valori connessi
alla uscita dall’Egitto : libertà, fraternità, comunione ...
LA PASQUA NELLA SUA EVOLUZIONE STORICA IN ISRAELE
- Nella necessità di essenzializzare il discorso si può dire che la Pasqua, nata inizialmente
come rito familiare (cf tradizione J in Es 12) ha conosciuto una trasformazione all'epoca della
Riforma Deuteronomista con Giosia (o forse anche prima con Ezechia) diventando festa
nazionale e festa di pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme.
- La pg di Dt 16,1-8 testimonia di questo fenomeno. Appare la giustapposizione dei due riti
dell'agnello e degli azzimi, con la motivazione storica.
Si sottolinea il carattere notturno della celebrazione, che deve ricordare la notte della uscita :
cf "durante la notte" in 1 : "la immolerai alla sera, al tramonto del sole, nell'ora in cui sei
uscito dall'Egitto" in 6
La novità è il LUOGO : "nel luogo che il Signore avrà scelto per stabilirvi il suo nome" ai vv
2 e 6.
Si tratta nel linguaggio nel Dt chiaramente del Tempio di Gerusalemme, dove gli animali
vengono immolati ; è probabile che il pasto pasquale avesse poi luogo a Gerusalemme,
essendo la città santa considerata un ampliamento del tempio.
- Una traduzione narrativa della norma figura in 2 Cr 30 : "Ezechia mandò messaggeri per
tutto Israele e Giuda e scrisse anche lettere a Efraim e Manasse per convocare tutti nel tempio
di Gerusalemme a celebrare la Pasqua per il Signore Dio di Israele" (v 1).
La Legge del Signore
199
In 2 Cor 35,11 : "Immolarono gli agnelli pasquali ; i sacerdoti spargevano il sangue mentre i
leviti scuoiavano".
Il sangue è l'elemento più prezioso, appartiene a Dio, in quanto il sangue espia perché sede
della vita (cf Lv 17,11 ) ; lo maneggiano i preti, i quali lo versano sull'altare.
Nel dopoesilio la Pasqua sembra tornata ad essere un rito domestico, come legifera la
Tradizione sacerdotale. Essa diventa sempre più importante e si carica di contenuti e
significati nuovi.
LA DIMENSIONE ESCATOLOGICA DELLA PASQUA
Ossia la "Pasqua degli ultimi tempi". Come l'Esodo non è stato solo un evento del
passato, ma anche un modello per il futuro della salvezza, COSI' la Pasqua non è stata solo
"memoriale" della liberazione dall'Egitto, ma anche annunzio della liberazione futura.
Tridimensionalità della festa :
- ricorda il passato,
- impegna il presente,
- anticipa il futuro.
La celebrazione della Pasqua così non è solo FEDE nel passato della storia della salvezza, ma
anche SPERANZA nella liberazione definitiva.
- cf Is 30,29 : si tratta di un intervento del ProtoIsaia formulato durante la invasione di
Sennacherib nel regno di Giuda nell'anno 701 .
"Per il profeta, Dio manifesta la sua potenza come al tempo dell'Esodo, nella notte di Pasqua,
in cui il popolo ebraico fu liberato, e al momento della grande manifestazione del Signore sul
monte Sinai" (BCC).
Is saluta la liberazione futura con i tratti di una notte pasquale : "Voi innalzerete il
vostro canto COME nella notte in cui si celebra la festa"
- cf Ger 31 ,8-9 : il testo appartiene al "libro della consolazione di Efraim". Il profeta parla
all'Israele del Nord ed annuncia il ritorno dei discendenti dei deportati in Assiria : "Ecco li
riconduco dal paese del settentrione e li raduno dall'estremità della terra".
Nella LXX troviamo una aggiunta significativa a qs testo di Geremia, cioè una
indicazione temporale : "nella festa di Pasqua" (38,8 della LXX).
La fine della Diaspora è attesa in coincidenza della celebrazione della Pasqua.
- Il testo di Ez 45,21-23 "certamente parallelo a P presenta una visione escatologica e
l'inserisce in un rinnovamento universale (dimensione cosmica). La Pasqua di Ezechiele
avviene in un mondo nuovo, di cui Gerusalemme è il centro ideale. Tale luogo rappresenta il
cosmo per l'orientamento singolare del santuario terreno al santuario celeste" (Festorazzi).
IL "POEMA DELLE QUATTRO NOTTI"
E’ certamente il testo più espressivo del Giudaismo per cogliere la componente escatologica
della Pasqua ebraica.
Si tratta di un TARGUM quindi di una traduzione-commento in aramaico del testo
ebraico di Es 12,42. Più precisamente di un Targum Palestinese.
E' stato scoperto nel 1949 da uno studioso spagnolo DIEZ MACHO nella Biblioteca Vaticana
in una collezione-raccolta di manoscritti che va sotto il nome di Neofiti, perché testi riservati
ai battezzati di fresco.
La Legge del Signore
200
Lo studio scientifico di qs importantissimo documento è stato effettuato da uno scienziato
francese Roger Le Déaut, insigne targumista. Ne ha elaborato una tesi di laurea dal titolo
significativo : "La nuit pascale", Roma PIB 1963
(pubblicato nel 1956 - trascritto a Roma nel 1504 - contenuto anteriore all'era cristiana).
- Il documento sviluppa la frase "notte di veglia" costruendo un quadro sintetico della storia
della salvezza nello schema di 4 notti pasquali. I momenti, le tappe più importanti della
salvezza gravitano attorno alla celebrazione della Pasqua.
Queste 4 notti sono "notti di luce" nel senso che in esse si produce l'evento della
rivelazione : Dio si dà a conoscere al suo popolo per salvarlo.
1. La notte della creazione o "pasqua cosmica". L'autore sottolinea il ruolo del MEMRA’
(termine aramaico che corrisponde all'ebraico DABAR), cioè la funzione della Parola di Dio
nell'opera della creazione.
2. La notte della promessa ad Abramo o "pasqua apocalittica" : è l'evento della rivelazione ad
Abramo con l'annuncio della nascita del Figlio. Il Targumista aggiunge anche un accenno al
sacrificio di Isacco, che qui non appare come un bambino, ma è ormai avanti negli anni (37).
Nell'ora del sacrificio anche Isacco è stato fatto oggetto, destinatario di una particolare
manifestazione da parte di Dio.
3. La terza notte è la "pasqua storica", quella della uscita dall'Egitto, il centro della storia
della salvezza ebraica. Anche qui si parla di rivelazione di Dio agli Egiziani e della adozionepreservazione di Israele da parte del Signore.
4. La quarta e ultima notte è la Pasqua escatologica ; è la notte del compimento-realizzazione
piena del mondo e del tempo ; è la fine delle forze del male e dell'oppressione = gioghi di
ferro spezzati, generazioni dell'empietà annientate. Dopo di che il Targum fa intervenire due
personaggi : Mosé il primo liberatore e poi il Messia che viene "m imroma" = dall'alto (o da
Roma ?) (e il re Messia verrà dall'alto). E’ il qes messia : il tempo, la fine segnata dalla
venuta del Messia. Come nella prima notte così in quest'ultima compare la Parola come
accompagnatrice dei due …
cf anche R. LE DEAUT, Targum du Pentateuque II Exode et Levitique, Sources Chrétiennes,
Du Cerf 1979 pp 96-98
J. L. VESCO, La paqué d'Abraham, in "La vie spirituelle" 632 (1979) 338-350
cf anche il Midrash MEKHILTA su Es 12,42 : "E’ in nisan che essi furono liberati ed in Nisan
lo saranno ancora".
"IL POEMA DELLE QUATTRO NOTTI" : significato della Pasqua giudaica a partire dal
Targum Neofiti I° ad Es 12,42
"E’ la notte predestinata e preparata per la liberazione nel nome di Jahvè al momento della
uscita degli Israeliti, liberati dalla terra di Egitto. In verità quattro notti sono state descritte nel
libro dei Memoriali :
La Legge del Signore
201
LA PRIMA NOTTE fu quella quando Jahvé si manifestò sul mondo per crearlo : il
mondo era deserto e vuoto e 1e tenebre erano sparse sopra la superficie dell'abisso. La Parola
di Dio (memra) era la luce e illuminava. Dio la chiamò prima notte.
LA SECONDA NOTTE fu quando Jahvè si manifestò ad Abram alla età di cento anni
e Sara sua soglia all'età di novant'anni, perché si compisse ciò che dice la Scrittura: "Forse
che Abramo a cento anni può generare e Sara sua moglie all'età di novanta può partorire ? "
Ed Isacco aveva 57 anni allorché fu offerto sull'altare ; i cieli sono discesi e si sono abbassati
ed Isacco vide la perfezioni e i suoi occhi si oscurarono a motivo delle loro perfezioni. E la
chiamò seconda notte.
LA TERZA NOTTE fu quando Jahvè si manifestò contro gli Egiziani nel mezzo della
notte ; la sua mano uccideva i primogeniti degli Egiziani e la sua destra proteggeva i
primogeniti di Israele perché si compisse la parola della Scrittura : "Israele è il mio figlio
primogenito". E la chiamò terza notte.
LA QUARTA NOTTE sarà quando il mondo compirà la sua fine per essere dissolto. I
gioghi di ferro saranno spezzati e le generazioni della empietà saranno annientate. E Mosè
uscirà dal deserto… uno marcerà sulla sommità di una nube o l'altro marcerà sulla sommità di
una nube e la sua Parola marcerà tra loro due ed essi marceranno insieme.
"E’ la notte di Pasqua per il nome di Jahvè :
notte fissata riservata per la salvezza
di tutte le generazioni di Israele".
cfr R. LE DÉAUT, La nuit pascale, Roma PIB 1963 pp 64-65
Il palpito escatologico della celebrazione pasquale giudaica è passato anche nella veglia
pasquale cristiana. Due testimonianze dell'Antichità cristiana.
Canoni di Ippolito : "Nox resurrectionis Domini nostri Jesu Christi summo studio observanda
est ; est enim summus, nemo igitur illa nocte dormiat usque ad auroram... illa enim nocte
Salvator osmis creaturae libertatem comparavit, sedetque ad dexteram Patris, unde venturus
est in gloria Patris sui et angelorum quorum".
Girolamo, Commentaria in Evangelium Matthei : "Traditio Judaeorum est Christum MEDIA
NOCTE VENTRUM in similitudinem Aegyptii temporis, quando pascha celebratum est ;
unde reor et traditionem apostolicam permississe, ut in die vigiliarum Paschae ANTE
NOCTE DIMIDIUM populos dimittere non liceat expectantes adventum Christi" in PL 26,
184.
LO SVOLGIMENTO DELLA CENA PASQUALE NEL GIUDAISMO : MISHNA, PESAHIM 10,1-7
Nella vigilia di Pasqua, da quando si avvicina il tempo di offrire il sacrificio vespertino, non è
più permesso di mangiare finché non si fa notte ; ed anche il più povero in Israele non deve
mangiare finché non si è messo a sedere appoggiato ; e non deve avere meno di quattro
bicchieri di vino, anche se fosse di quelli che si alimentano della scodella dei poveri.
Mesciuto il primo bicchiere, secondo la scuola di Shammai, vi si deve pronunziare
prima la benedizione relativa alla santificazione della festa, poi quelle sul vino ; la scuola di
Hillel invece insegna : prima la benedizione sul vino e poi quella relativa alla santificazione
della festa.
La Legge del Signore
202
Si portano quindi (delle verdure) ; si intinge (e si mangia) fino al momento in cui
vengono portati i pani azzimi.
Si portano quindi gli azzimi, la lattuga, la composta di frutta e due pietanze cucinate, benché
la composta non sia d'obbligo ...
Al tempo in cui esisteva il sacro tempio si portava il sacrificio pasquale stesso (pesah).
Si mesce quindi il secondo bicchiere e allora il figlio domanda al padre, e se il figlio
non è ancora abbastanza intelligente il padre lo istruisce : Perché si distingue questa sera da
tutte le altre sere ?
In tutte le altre sere noi possiamo mangiare pane fermentato ed azzimi, ma questa sera solo
azzimi ; in tutte le altre sere possiamo mangiare ogni sorta di erbe, ma questa sera soltanto
erbe amare ; in tutte le altre sere possiamo mangiare carne arrostita, bollita o lessa, ma questa
sera soltanto arrostita ; in tutte le altre sere intingiamo una sola volta, ma questa sera due
volte. E a seconda della intelligenza del figlio il padre lo istruisce. Comincia con ciò che ci fa
vergogna ( = gli inizi idolatrici della storia del popolo di Israele cf Gs 24,2) e termina con ciò
che torna a nostra gloria, e gli spiega il brano che incomincia : Aramei erranti erano i miei
proavi (cf Dt 26,5) fino al termine del brano.
Rabban Gamaliele diceva : Chi non ha spiegato queste tre cose di pasqua non ha corrisposto
al suo dovere ; e sono : il sacrificio pasquale (pesah), gli azzimi (massah) e le erbe amare
(maror). Il sacrificio pasquale, perché Dio passò oltre alle abitazioni dei nostri padri in
Egitto ; gli azzimi in memoria, che i nostri padri furono liberati ; l'erba amara, in memoria
che gli egiziani amareggiarono la vita dei nostri padri in Egitto.
In ogni generazione, qualsiasi israelita deve considerare se stesso come se egli fosse uscito
dall'Egitto ...
Perciò noi siamo in dovere di ringraziare, di lodare, di glorificare, di encomiare, di
venerare, di esaltare, di benedire, di innalzare e di magnificare colui che operò per i nostri
padri e per noi questi prodigi : ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dall'affanno alla gioia, dal
lutto alla festa, dalle tenebre alla splendida luce, dalla soggezione alla redenzione. Intoniamo
quindi davanti a lui il cantico : Alleluia ...
Rabbi Akiba dice : "Voglia il Signore Dio nostro e Dio dei nostri padri, farci arrivare in pace
ad altre feste e ad altre solennità che ci vengono incontro, contenti per la costruzione della
sua città e lieti per la restaurazione del suo culto, e là mangeremo la carne delle vittime e dei
sacrifici pasquali …"
Mesciuto il terzo bicchiere si recita la benedizione dopo il pasto, e col quarto finisce la
recita dell'Hallel, al termine del quale si recita anche la benedizione di chiusura dopo il canto.
PASQUA EBRAICA E PASQUA CRISTIANA
Premessa
Lo studio della Pasqua ebraica non vuole essere archeologismo biblico, omaggio a un passato
glorioso ; al contrario esso è la premessa per la comprensione della Pasqua cristiana, come
festa e celebrazione delle morte e resurrezione di Cristo, l'Esodo del Messia.
La Legge del Signore
203
- Non solo l’esperienza dell'Esodo dall'Egitto ha fornito linguaggio agli autori del NT per
interpretare la persona e l'opera di Cristo soprattutto nel momento vertice della morte resurrezione, ma anche la ritualizzazione dell'Esodo, cioè la Pasqua giudaica aiuta a capire lo
stesso evento ed è stata tenuta presente dagli agiografi nella interpretazione del fatto.
- Anche a proposito di qs istituzione si può prendere la nozione di COMPIMENTO come la
più adatta per scoprire i rapporti tre AT e NT.
Essa a sua volte consta di tre elementi, suppone il verificarsi di tre condizioni che rendono
possibile il compimento stesso.
Un rapporto di continuità, senza il quale cessa ogni tipo di relazione ;
un rapporto di discontinuità, senza il quale non c’è cambiamento ;
un rapporto di superamento, cioè le differenze devono essere per il meglio, devono far
segnare un passo in avanti, un progresso, una crescita.
+ DEI SINOTTICI segnaliamo soltanto l'inserimento della cena di addio di Gesù nel contesto
della pasqua ebraica. Ai tempi di Cristo la Pasqua era celebrata oltre che all'interno delle
singole famiglie, anche in gruppi di amici, chiamati " 'aburoth".
In qs situazione Gesù fa da capofamiglia ed anima la convivialità della mensa.
cf Mc 14,12 "Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua ... "
Mc 14,16 "I discepoli andarono ed entrati in città, trovarono come aveva loro detto e
prepararono la Pasqua"
- La istituzione eucaristica si colloca nella trama rituale del Seder = rito pasquale e Cristo
appare come il nuovo Agnello e il vero pane azzimo.
+ IL IV VANGELO, percorso in filigrana dal simbolismo dell'Esodo, concentra l'attività di
Gesù attorno ed alcune "Pasque dei Giudei" che culminano nella "Pasqua dell'ora".
Gv 2,13: "Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme"
Gv 6,4: "Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei"
Gv 12,1: "Sei giorni prima della Pasqua Gesù andò a Betania"
Gv 13,1: "Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di
PASSARE da questo mondo al Padre ... "
- In 19,36 "Questo avvenne perché si adempisse la Scrittura : Non gli sarà spezzato alcun
osso" : Gv introduce solennemente qs testo di Es 12,46 mostrando di vedere nel Crocifisso il
"compimento" della figura dell'Agnello.
Anzi, sconvolgendo forse la cronologia dei fatti, situa le morte di Gesù in coincidenza
con la immolazione degli agnelli per la cena pasquale ebraica : cf 19,31 "Era il giorno della
Preparazione ... "
+ Della TEOLOGIA DI PAOLO citiamo solo 1Cor 5,7-8. L'Apostolo scrive a questa
comunità disunita ed effervescente in occasiono della Pasqua giudaica degli anni 56 o 57 dC
ed utilizza qs circostanza per descrivere in termini pasquali l'opera di Cristo e la condotta dei
cristiani.
Gesù riceve il titolo di "nostra Pasqua" : rimpiazza l'antico Agnello e diventa la
vittima pasquale dei cristiani.
Questo avvenimento suscita la festa : "Per il cristiano la festa è Cristo" (S. Atanasio)
"Il Cristo Risorto è il grande conduttore della danza, e la Chiesa ne è la sposa" (Ippolito).
Conseguenza esistenziale-etica. (cf "dunque") : vita cristiana autentica.
La Legge del Signore
204
Il lievito è qui chiaramente immagine di perversione morale = "malizia e perversità" ; gli
azzimi simboleggiano "sincerità e verità".
ESODO E ALLEANZA
Premessa
Dell'alleanza abbiamo avuto modo di parlare in più occasioni. Affrontando lo studio della
genesi e formazione del Pentateuco a proposito della struttura del Dt ; 1a articolazione
dell'opera e quella delle sue sezioni ricalca il "Bundesformular", lo schema del patto.
Anche nella esegesi del Gn ci siamo imbattuti con qs tema analizzando il c 15 (J+E) e
17 a proposito della alleanza di Dio con Abramo.
Ora bisogna approfondire la nozione di alleanza in rapporto con l'esodo, l'evento
fondamentale ed esemplare della storia della salvezza di Israele.
+ Bibliografia :
- P. BUIS, La notion d'alliance dans l'Ancien Testament, Paris 1976
- E. G. BOSCHI, L'Esodo e l'Alleanza nell'esegesi moderna, in R. FABEIS, Problemi e
prospettive di scienze bibliche, Queriniana BS 1981, pp 129-156
- D. J. Mc CARTHY, Treaty and covenant, AnBib 21A, PIB Roma 1978
- W. BOUWMEESTER, L'alleanza nella Bibbia, EP 1972
- J. LAMBRECHT, "Je serai leur dieu et ils serant mon people" NRT 108/4 (1986) pp 481498
+ La NOZIONE : il concetto di alleanza è basilare per la comprensione della esperienza
storica di Israele, della sua letteratura e teologia.
Un semplice sguardo statistico documenta l’affermazione : il termine alleanza, in ebraico
BERITH si incontra ben 282 volte nella BH.
Del resto noi dividiamo la storia della salvezza e la letteratura corrispondente in due grandi
fasi : Antica e Nuova Alleanza, AT e NT.
Per il passaggio da alleanza a testamento si confronti Ebr 9,15-16.
In ebraico può sembrare una cosa strana, ma manca il vocabolo RELIGIONE.
Non andiamo lontani dal vero se avviciniamo il temine berith alla nozione di religione nel
nostro linguaggio : indica il rapporto storico ed insieme trascendente che "religat", vincola ed
unisce Dio ad Israele.
- All'ORIGINE della nozione vi è una esperienze umana e cioè il FATTO DELLA
SOCIALITA', il tessuto di relazioni tra le persone. Il termine berith, quantunque controverso
nella sua etimologia scientifica, dal contesto in cui si trova nei diversi testi della Bibbia, dice
sempre relazione con un altro, anche se varia il tipo di rapporto e può essere reso di
conseguenza da parole come : Promessa, vincolo, obbligazione - impegno, patto bilaterale.
Più in particolare l'ambito della alleanza è giuridico, tocca la sfera del diritto. Quando
sorgono problemi di rapporto tra persone o gruppi, allora nasce la esigenza di accordi,
contratti, convenzioni. La natura sociale dell'uomo esige qs tipo di intervento.
La Legge del Signore
205
- Per l'uso profano del termine berith si può ad esempio consultare Gn 21,22 a 32 : si parla
della alleanza tra Abramo e Abimelech per risolvere la controversia circa l'uso dei pozzi ;
oppure Gn 31, 43-48 dove si parla di un patto vicendevole di rispetto e non aggressione tra
Giacobbe e lo zio Labano con la invocazione delle rispettive divinità ed una stele o mucchio
di pietre come "testimonianza" del contratto appena siglato.
Non sfugga neppure l'accenno al banchetto, come segno di amicizia-alleanza.
- Stando così le cose non sorprende che l'ambito politico-militare sia quello dove più si
avverte la necessità di regolare rapporti in tempo di pace e di guerra. Ieri come oggi
(Alleanza Atlantica, Patto di Varsavia). Anche Israele si è trovato implicato in politiche di
alleanza con altri popoli : cf 2Sm 3,12-21 ; 1Re 5,26 ; 15, 19.
In questi casi il rapporto è bilaterale in termini di giustizia commutativa : do ut des. Io mi
impegno a farti questo ed esigo in contraccambio che ...
Ricordare i trattati Hittiti.
- Però il termine berith supera talora l'ambito strettamente giuridico, che bada solo alla
esteriorità ed alla reciprocità dell'impegno ; va al di là della soglia del contratto, dell'interesse
per raggiungere il livello delle relazioni profonde, come l'amicizia o l'amore gratuito.
1Sm 18,3 o 23,18 : "L'anima di Gionata si legò talmente all'anima di Davide, che Gionata lo
amò come se stesso. Gionata strinse con Davide UN PATTO (berith), perché lo amava come
se stesso"
Mal 2,24 : "YHWH è testimonio fra te e la donna della tua gioventù, con la quale ti sei
comportato perfidamente ; eppure essa era la tua compagna e la DONNA DEL TUO
PATTO"
"L'alleanza era una forma di rapporti e di intesa assai usata nell'Antico Oriente. Aveva lo
scopo di regolare giuridicamente le relazioni tra individui o gruppi, dando ad esse una
fisionomia chiara e stabile. Una situazione precaria o minacciosa poteva così essere
trasformata in un rapporto di mutua e fattiva collaborazione. Quando una parte era più
potente, si impegnava anche a dare all’altra il proprio appoggio e la propria protezione, finché
essa era fedele" (Dacquino).
+ DIMENSIONE RELIGIOSA DEL PATTO : La cultura antica, ebraica e non, si è
appropriata di qs istituzione umana e l'ha usata per esprimere la religione, il rapporto del
gruppo con la divinità, nei termini di una relaziono sovrano-vassallo. Dio e il popolo sono
vincolati insieme : è un patto bilaterale con clausole da rispettare, ma anche di amore e
amicizia.
L'impostazione del rapporto è giudiziaria : i contraenti sono due, vincolati da impegni
reciproci. La virtù esigita da entrambi è la LEALTÀ - hèsed.
Se uno viene meno alla giustizia - lealtà, la parte offesa può impugnare il patto, denunciare il
contratto, senza ricorrere ad un giudice super partes.
Si ha allora una discussione, lite che prende il nome di RIB e che si risolve così : tu
hai ragione (sei giusto) - io ho torto (ho peccato - sono malvagio).
- Israele però ha intuito come lo schema bilaterale è radicalmente insufficiente a coprire il
campo delle relazioni Dio-uomo. La giustizia retributiva che vige tra gli uomini è troppo
riduttiva per definire il vincolo del Dio biblico con il suo popolo. Dio è sovrano, va al di là
della miseria e delle stesse possibilità dell'uomo. Ecco perché il BERITH è talora unilaterale,
vede impegnarsi Dio soltanto, mentre l'uomo si limita a ricevere ; così risulta indistruttibile
perché garantito dalla fedeltà di Dio alle sue promesse.
La Legge del Signore
206
"La berit è un atto libero e sovrano di condiscendenza divina verso l'eletto, contiene
da parte di Dio una promessa vincolante e comprende la ratifica documentaria attraverso
l'istituzione di un segno" (Merendino).
+ CINQUE ALLEANZE : L'AT conosce cinque forme di questa alleanza, una molteplicità di
alleanze in momenti nevralgici della storia della salvezza.
a) con Noè (Gn 9,9-17) : si tratta di un'alleanza cosmica. E' la riconciliazione offerta da Dio
all'uomo e alla creazione dopo il "giudizio universale" del diluvio. Alleanza che equivale a
promessa. L'arcobaleno come segno manifestativo.
b) con Abramo (Gn 15e17) : unilaterale. Terra e Discendenza come contenuti della promessa.
Dio ricorda costantemente il patto siglato con i patriarchi.
c) al SINAI (Es 24) : bilaterale
d) con DAVIDE ( 2Sm 7 ; salmo 89,29-38 ; Ger 33,21 ; Is 55,3b) Anch'essa è concepita come
promessa sotto giuramento. In essa il Signore ha la iniziativa e si estende al di là dei
contraenti, cioè alla discendenza.
e) con il SACERDOZIO : Nm 25,10-13 ; Mal 2,4-5 ; Ne 13,29.
Sembra sia apparsa dopo l’esilio ; essa segna un altro elemento importante della struttura del
popolo. "alleanza di Levi '' Mal 2,8b
- Il NT dichiarerà abrogata la vecchia alleanza (Lc 22,20 ; Ebr 8,15) però "l'economia della
salvezza è una sola dalla vocazione di Abramo sino al ritorno di Cristo ; ma essa si realizza in
varie tappe, in particolare nella alleanza con Abramo, Mosè e Davide, che sono il cuore della
fede del giudaismo" (Gilbert).
L'ALLEANZA SINAITICA
Premessa
L'alleanza "supercategoria" dell'AT (così Eichrodt che costruisce la sua teologia dell'AT
elaborando qs nozione) ha nella sezione di Es 19-24 e 32-34 i testi magnifici di fondazione e
di commento. Sono pagine teologicamente molto dense, nelle quali Israele traccia i
lineamenti della sua identità di popolo alleato con il Signore.
- La rivelazione ed alleanza al Sinai presenta difficoltà dal punto di vista storico e letterario.
L'evento non è facilmente riconducibile a coordinate storielle precise : la stessa
localizzazione attuale del Sinai è tutt' altro che sicura dal punto di vista dell'accadimento.
Si sa che l'antico credo storico di Dt 26 non menziona l'alleanza sinaitica ; certo il
silenzio del testo non è sufficiente per argomentare la ignoranza del fatto per l'antico Israele,
però è significativo.
- Dal punto di vista letterario il blocco di tradizioni sinaitiche è isolato, sembra circoscrivere
un evento autonomo rispetto all'uscita dall'Egitto. Il collegamento dell'esperienza
dell'alleanza con l'esodo è teologico più che storico. E' interessante anche il fatto che soltanto
alcuni profeti parlano della alleanza sinaitica, quelli legati elle tradizioni del Nord. (Elia,
Osea, Geremia, altri non traggono ispirazione da essa (ad es. Isaia).
- Noth ha formulato la convinzione che Esodo ed Alleanza sinaitica fossero in origine eventi
autonomi, vissuti da gruppi diversi, poi confluiti nello stesso Israele. Anzi, la rivelazionealleanza al Sinai potrebbe essere anteriore all'Esodo stesso. Il rapporto tra le due esperienze
come appare dai testi attuali sarebbe un collegamento voluto dalla teologia, allorché le
La Legge del Signore
207
tradizioni religiose dei diversi gruppi si sono fuse insieme a formare un unico patrimonio di
fede.
Il risultato però è notevole. Mostra come l'uscita dall'Egitto come fatto politico e
insufficiente. La liberazione è per la comunione con Dio. E' il Signore al Sinai, più della
terra, il vero approdo della peregrinazione del popolo cf Es 19,4. Non basta condurre il
popolo al di là del Mar Rosso, occorre anche portarlo al Sinai, all'incontro personale con il
Signore.
Comunque il Sinai come il passaggio del Mare è uno di quegli avvenimenti decisivi, che
hanno segnato in profondità la storia di Israele e la fede di Israele.
Struttura della sezione di Es 19-24
La composizione non è del tutto lineare, ma presenta qualche tensione ed anomalia dovuta
alla pluralità delle fonti.
In ogni caso il materiale può essere così ripartito :
c 19 + 20,18-21 : Proposta del patto, preparazione del popolo, teofania
c 20 : Il Decalogo
cc 21-23 : Codice dell'Alleanza (21,20-33 : promesse-benedizioni).
c 24 : rito di alleanza
LA CELEBRAZIONE DELL’ALLEANZA
NELLA SEZIONE DI ESODO 19 – 24
Premessa
Teologicamente abbiamo qui uno dei "tetti" dell'AT, cioè uno dei momenti-vertice dell'antica
rivelazione di Dio ad Israele. Non solo Israele ha sentito il bisogno di lodare Dio per sempre
per il prodigio operato al Mar delle Canne, ma anche l'esperienza del Sinai è stata così
determinante da fissare per sempre il destino, il futuro di questo popolo.
LETTERARIAMENTE ci troviamo davanti ad una "leggenda cultuale" : il termine non deve
essere inteso nel senso di racconto fantastico, immaginario inventato, ma piuttosto nel senso
etimologico : "racconto da leggersi" allorché si rinnova l'alleanza con il Signore.
Nel racconto attuale confluiscono non solo tradizioni diverse (J E P) ma anche forme
letterarie diverse e cioè ricordi storici, elementi rituali, cioè tipici della attualizzazione
liturgica : SECONDO Dt 31,9-13 ogni sette anni, nell'anno del condono, alla festa delle
capanne si rinnova l'alleanza proclamando nuovamente la legge, Cfr anche il salmo 81 che è
un testo per la rinnovazione del patto.
Si trovano poi elementi giuridici, cioè il materiale del Codice.
Analisi del c 19
Il testo esordisce in modo narrativo, presentando l'arrivo del popolo alle falde del Sinai, dopo
tre mesi dalla uscita dall'Egitto. Ricordare come l'attuale ubicazione del Sinai non è per nulla
un fatto acquisito, riconosciuto unanimemente dagli studiosi ; infatti è stata effettuata in
epoca cristiana.
- "Proprio in QUESTO GIORNO" : dice letteralmente il testo in 19,1.
Qs è un indizio dell'uso liturgico della pericope, che comporta la ripresentazione del fatto. Lo
rileva un commento rabbinico : "'si dice proprio in questo giorno, perché le parole della
La Legge del Signore
208
Torah siano nuove per te, come se fosse il giorno in cui esse furono date ad Israele" (R.
RASHI).
- L'azione vera e propria parte per iniziativa divina, per primo parla il Signore a Mosè o
tramite lui meditatore al popolo intero. Sono parole celebri : brevi e dense. Il Signore è il
sovrano che offre l'alleanza al popolo, suo vassallo. E’ lui che determina il patto, lo fonda e lo
costituisce.
Le parole di Dio sono in forma ritmica, con alcuni parallelismi marcati : nella loro
brevità condensano il senso dell'alleanza : salvezza, esigenza ed offerta.
- Il discorso divino corrisponde al "prologo storico nei trattati di vassallità". Dio richiama il
beneficio fondamentale fatto ad Israele, cioè la liberazione ; nuovo però è il linguaggio per
evocare l'evento : "ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire a me !"
Per qs accenno è chiamato "discorso delle aquile" : l'immagine è bella e vigorosa.
Israele è stato portato da Dio come un’ aquila porta i suoi nati.
Spiega R. RASHI : "L'aquila porta i suoi nati sulle ali, mentre gli altri volatili li portano sotto
le zampe ; perché l'aquila teme di essere colpita dalla freccia dell'uomo e pensa sia meglio
che la freccia colpisca lei piuttosto che i suoi figli. Così ha fatto Dio, che prima precedeva il
popolo, ma poi si è spostato dietro a lui ricevendo i colpi degli Egiziani invece di Israele".
L'immagine è ripresa in modo delicato dal "cantico di Mosé" in Dt 32,11-12 : "Come
un'aquila che vaglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo
sollevò con le sue ali. Il Signore lo guidò da solo, non c'era con lui alcun Dio straniero"
- "E vi ho fatti venire a me" ! Qui troviamo il termine consueto "bw" alla forma
fattiva/causativa. Attenzione al "terminus ad quem" cioè ME !
"Sostituendo il termine terra con FINO A ME, il testo dice in modo meraviglioso e
brevissimo il senso personale dell'alleanza, il vero termine della peregrinazione israelitica, e
di ogni cammino umano…" (Alonso).
"Substantia affirmationis est quod eus adducit ad se. Quia populum librat ad vitam cum Deo
et illa vita habebit formam externam, symbolum reale, ergo sacramentum. Foedus ergo est
sacramentum vitae cum Deo" (Alonso).
L'alleanza diventa così "incontro fondante, sacramento fondamentale" : esistere ed
appartenere a YHWH sarà per Israele la stessa cosa.
- Il v 5 elenca le condizioni del patto proposto : "ascoltare la voce del Signore e custodireosservare (in ebraico il termine shamar indica entrambe le cose) il patto". L'alleanza è
proposta non imposta, la libertà umana è coinvolta.
E’ quindi di scena il "voi" della risposta del popolo.
- "Voi sarete per me come la proprietà tra tutti i popoli" : il Dio di tutta lo terra, il Dio della
storia umana ha messo in particolare gli occhi su Israele, ha un rapporto speciale con qs
popolo : tema della ELEZIONE.
"il termine ebraico SEGULLAH ( Dt 7,6 ; 14,2 ; 26,18) è un vocabolo del mondo economico,
derivante dall'accadico sugullu che indicava l'armento, il gregge di proprietà personale del
pastore, DIVERSO da quello affidatogli in semplice custodia. La versione latina della Vg ha
reso bene qs senso col termine PECULIUM che allude alla nozione di gregge = pecus, ma
La Legge del Signore
209
che marca anche il carattere di possesso peculiare. (RAVASI). "Celebrazione del popolo
eletto".
- Il v 6 definisce ulteriormente la vocazione, il destino, la dignità di Israele. "REGNO DI
SACERDOTI" = il popolo come organismo sacerdotale.
Si danno due interpretazioni di qs qualifica :
a) Israele come nazione teocratica, governata da sacerdoti : situazione che si è verificata dopo
l'esilio, importanza crescente dell'elemento sacerdotale (cfr TOB 165).
b) per altri invece l'espressione "mumlèket koanim" definisce Israele come sacerdote
dell’intera umanità, sacerdoti per il mondo. "Dio mentre si proclama il Signore di tutte le
nazioni, vuole ricevere un culto particolare da Israele, il quale rispetto agli altri popoli viene a
trovarsi nella stessa posizione dei sacerdoti : come il sacerdote o intermediario tra Dio ed il
suo popolo, così Israele sarà intermediario tra Dio e gli altri popoli" ( M. GALBIATI).
Certo questa seconda è una interpretazione molto più suggestiva, solo un'altra volta
troveremo nell'AT qs definizione del "sacerdozio comune" di Israele, precisamente in Is 61,6
"Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti" cf anche 2
Macc 2,17
Il NT partirà da qs testi per definire la qualifica sacerdotale del nuovo popolo di Dio : 1Pt 2,5.
9 e Ap 1,5-6 ; 5, 9-10 ; 20,6.
- "Nazione santa" : viene usata la categoria biblica della sacralità più metafisica che etica.
Sottolinea l'idea della consacrazione, separazione, appartenenza, più che la moralità,
irreprensibilità, del popolo. E’un popolo messo a porte da Dio per un disegno di salvezza per
tutti.
Come afferma anche il salmo 114,2 : con l'esodo e l'alleanza "Giuda divenne il suo santuario,
Israele il suo dominio" (qodesh e mamshelet).
La preparazione del popolo
Mosè trasmette al popolo la proposta del patto formulata dal Signore. "Tutto il popolo rispose
insieme e disse : Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo" ! 19,8
E' una prima risposta , un primo atto di consapevolezza, corale, comunitario.
- Ma all'incontro con Dio non ci si improvvisa, e occorre prepararsi. Esso rompe la ferialità
della vita ed introduce la componente della fasta.
Diversi elementi concorrono a comporre il quadro della attesa :
a) c'è la componente TEMPO : l’appuntamento è fissato per il "terzo giorno". Troviamo
anche qui come in Gn 22,4 la indicazione cronologico-teologica. "Terzo giorno" per indicare
una svolta ''decisiva nei fatti
b) purificazione delle vesti : "purificalo oggi e domani" (10) "egli fece purificare il popolo ed
essi lavarono le loro vesti" (14). Ci si deve presentare a Dio vestiti a festa : dentro e fuori.
c) astensione dai rapporto sessuali : "siate pronti in questi tre giorni ; non unitevi a donna"
(19,15).
Traspare qui una concezione della vita sessuale incompatibile con l'esercizio del culto : è la
mentalità sacrale, tipica del Levitico. Il contatto con il sesso DEPOTENZIA ed impedisce di
apportare la sacralità del divino. Si tratta in ogni caso di tre giorni diversi !
La Legge del Signore
210
La teofania
Lo stile descrittivo adottato dai narratori è quello della accumulazione degli elementi, per
sottolineare la grandiosità del fatto, il carattere impressionante dell'avvenimento, la
ambivalenza del sacro, visto come "mystsrium fascinans ac tremendum" (R. OTTO).
a) la montagna : simbolo della trascendenza, perché richiamo all'altezza, alla verticalità.
L'uomo sale fisicamente e si eleva interiormente. Il Signore vi scende dalla sua dimora che è
il cielo e l'uomo Mosè vi sale a nome, come rappresentante di tutti.
b) la tormenta : altro elemento teofanico e cosmico. "Ed ecco al terzo giorno sul far del
mattino vi furono tuoni, lampi, una nube densa sul monte" (19,16). Nella religiosità primitiva
il temporale, l'uragano è percepito come una ierofania : evento incontrollabile da parte
dell'uomo, lo può solo subire.
c) "Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco" 19,18.
nel fuoco; anche se qs sono elementi che diverranno tradizionali nella teofania. Potrebbe far
pensare ad un vulcano, altro spettacolo di natura scatenata, di fronte alla quale l'uomo si sente
impotente.
d) il terremoto : "tutto il monte tremava molto" (18) Il quadro non vuole essere storico ma
teologico
e) il duplice squillo di TROMBA in 16 e 19 il suono della tromba diventava sempre più
intenso" è invece un dettaglio mutuato chiaramente dal culto : è la tromba liturgica che
annuncia la presenza di Dio e convoca il popolo.
- In qs contesto il Signore parla "con voce di tuono". In ebraico la stessa parola "qol" indica
simultaneamente "tuono e voce" ; cfr il "salmo dei 7 tuoni"cioè il salmo 29 !
E IL POPOLO COSA FA ? Sta anzitutto a rispettosa distanza. E' un altro elemento che
proviene dal mondo del culto ; il fonte inaccessibile corrisponde allo spazio sacro del tempio.
Non invadere lo spazio sacro è un obbligo grave : è il Signore che scende, non il popolo che
sale. E' come un" terreno minato, carico della energia sacra di Dio cf 19, 16-25
L'inserto sacerdotale di 19,20-25 fa divieto perfino ai sacerdoti di accadere alla
"montagna sacra"
- "Il popolo fu preso dal timore e si tenne lontano" (20,18) prima in 19,17 sotto la guida di
Mosè era avanzato in processione incontro a Dio. La reazione è quella del "timore sacro" qui
connotato di paura :
"Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio ; altrimenti moriremo !" leggiamo in
20,19. Giustissimo : vedere Dio equivale a morire !
- Il testo elohista di 20,20 sottolineo sulle labbra di Mosè l’importanza del "timor Domini"
non come paura della tormenta, ma come rispetto, riverenza verso Dio. Appare come in Gn
22 il tema della "prova"
IL RITO DELL’ALLEANZA IN ESODO 24,1-11
Premessa
Siamo davanti ad un magnifico testo, ad una pagina superlativa della Bibbia. La difficoltà di
identificare le fonti precise che compongono qs racconto non è un ostacolo alla sua
comprensione.
La Legge del Signore
211
Viene raccontato un duplice rito di alleanza : la sostanza è la stessa, ambedue le
narrazioni sottolineano la comunione che si instaura tra il popolo ed il Signore in grazia della
siglatura del patto.
Ciò che cambia è il segno-strumento di qs comunione.
Primo racconto : 24, 1-2. 9-11
Troviamo menzionati alcuni personaggi : Mosè ed Aronne, Nadab e Abiu che ne sono i figli e
poi i settanta anziani che rappresentano la totalità del popolo. All'inizio è formulato il divieto
di accedere al monte ; solo il mediatore può accostarsi al cospetto di Dio.
- Qs situazione è invece superata in 9-11. Qui tutto il gruppo dei privilegiati si accosta alla
Montagna Sacra. "Essi videro il Dio di Israele" : esperienza impareggiabile. MA come si fa a
descrivere Dio : alla lingua umana mancano le parole per dire fatti del genere. "Ogni lingua
divien tremando muta" (Dante). "Facilius de Deo dicimus quid non sit, quam quid sit !"
(Tommaso d'Aquino).
Anche qui abbiamo una teologia apofatica, negativa : non viene descritto il volto di
Dio, non la sua figura, nemmeno i suoi piedi. MA solo ciò che sta sotto i piedi, quello
soltanto : un basamento di azzurro intenso come il cielo ...
L'espressione "non stese la mano" si capisce alla luce della convinzione religiosa comune che
"vedere Dio" equivale a morire : cf Gdc 13,22 "moriemur quia vidimus Deum" oppure Is 6,5.
Al contrario invece di essere annientati dalla visione di Dio, in sua presenza
consumano il pasto di alleanza "mangiarono e bevvero". Qui incontriamo il simbolo della
convivialità per indicare l'intimità cordiale e totale che il Signore accorda al suo popolo in
forza del patto. Il banchetto infatti presso tutte le culture è segno di fraternità e di comunione.
Secondo racconto 24,3-8
Qui cambia la scenografia. Vengono in primo piano altri elementi. Anzitutto ha grande
importanza della Parola di Dio, che diventa norma, statuto per la vita del popolo.
Prima abbiamo la proposta orale delle clausole (3a) ; poi segue la stesura scritta, cioè viene
compilato il protocollo di alleanza (4).
Poi il testo viene letto perché il popolo si renda conto quali impegni si assume. Qs al v 7.
- Il popolo per due volte esprime il suo assenso e consenso. Risposta corale e cordiale :
"TUTTO il popolo rispose INSIEME e disse : Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li
eseguiremo" (3b).
Di particolare interesse è il v 7b la cui traduzione letterale suona così : "Quanto il
Signore ha ordinato noi lo faremo e ascolteremo (= per ascoltarlo)".
E’ naturale che la logica occidentale fugga un simile modo di parlare e sia tentata fortemente
di modificare il testo. In realtà qui tocchiamo con mano qualcosa di specifico in Israele : il
primato della ortoprassi sulla ortodossia, della azione sul pensiero. La comprensione della
parola di Dio non è assimilazione concettuale ma piuttosto pratica, vita vissuta.
Quanto più si vive, tanto più si capisce le Parola di Dio. Vi sono cose nella vita che
non si capiscono tanto con la testa ma con l'esperienza.
- Accanto alla PAROLA DI DIO un secondo elemento decisivo è qui il SANGUE.
Vengono uccisi degli animali (la menzione dei giovani in essenza di un sacerdozio regolare al
v 5 potrebbe essere un dettaglio della arcaicità del testo).
La Legge del Signore
212
Il sangue viene versato metà sull'altare (v 6) e il rimanente serve ad aspergere il popolo (8).
Le parole esplicitano il gesto : qs sangue raffigura il patto con il Signore ; il sangue è simbolo
di vita. Fatto di sangue, unica vita. Quale commozione nel leggere la comunione che Dio
offre all'uomo, qui nel sangue di animali e un domani nel sangue del Figlio suo, alleanza
indistruttibile !
Utilizzo nt in Mt 26,28 e Gv 3,18-23.
GIOSUÈ 24 : RINNOVAZIONE DELL’ALLEANZA IN SICHEM
Premessa
L'ultima pagina del Pentateuco presenta notevole interesse e per lo storico di Israele e per il
teologo della Bibbia. Il racconto descrive il rinnovo del patto in Sichem dopo l'entrata del
popolo nella terra.
Prima il redattore in Gs 21,43-45 ha constatato l'adempiersi puntuale delle promesse di Dio :
"di tutte le belle promesse che il Signore aveva fatte alla casa di Israele, non una andò a
vuoto ; tutto giunse a compimento" (v 45). Poi il dtr pone sulla bocca di Giosuè al momento
del suo testamento la stessa idea : "Ecco io oggi me ne vado per la via di ogni abitante della
terra : riconoscete con tutto il cuore e con tutta l'anima che neppure una di tutte le buone
parole che il Signore aveva fatto per voi è caduta a vuoto ; tutte sono giunte a compimento
per voi : neppure una è andato a vuoto" in 2,23,14
Ora la storia arriva al termine : si chiude un'epoca e se ne apre un'altra. All'inizio della
nuova fase di padronanza della terra, il popolo è invitato a ratificare il patto con Dio.
Il racconto è unico o tipico ? Descrive, riporta il ricordo di un avvenimento oppure
offre un testo modello, la descrizione di una celebrazione periodica del patto ? E Sichem è
santuario anfizionico ?
Struttura del racconto
Il testo si può così suddividere :
comparizione degli attori (24,1).
prologo storico (2-13).
dialogo tra Giosuè ed il popolo (14-24).
frangenti di un rito di alleanza (25-27).
congedo del popolo (28).
Composizione degli attori
I due contraenti sono da una parte il popolo nei suoi membri più rappresentativi : "anziani,
capi, giudici, scribi" e dall'altra il Signore nella figura del mediatore, GIOSUE' : è lui che
"convoca", è lui che dirige il rito con un'ottima presidenza a nome del Signore.
Prologo storico
Qs è il racconto di un'alleanza dove il prologo appare nella sua formulazione più ampia. Ci
introduce alla comprensione del "credo di Israele". In qs rilettura della storia delle salvezza
viene successivamente passata in rassegna l'epoca patriarcale e la grande stagione dell'Esodo,
qui richiamato nel suo schema ternario.
I verbi dominanti sono "donare = ntn" da porte di Dio ; "abitare = yshb" da parte del
popolo. Quest'ultimo indica la divisione del testo in 24,2. 7. 13
La tappa patriarcale è contrassegnata dal dono della discendenza, quella dell’ Esodo dal dono
della terra. Ovunque appare il protagonismo di Dio : è lui che porta avanti tutta questa
vicenda, è lui il grande benefattore. Il popolo fa ben poco, si limita a ricevere : "ciò non
La Legge del Signore
213
avvenne per la vostra spada, né per il vostro arco" (12). Nel v che segue appare lo schema
"niente lavoro e molti frutti" ! Tutto è grazia !
- A partire dal v 14 si passa dall'indicativo all'imperativo, dal passato al presente, dal racconto
alla interpellazione, dalle premesse alle conseguenze.
"Temete dunque il Signore !". In qs parte il verbo decisivo è "SERVIRE" che viene ripetuto
14 volte esattamente come il nome del Signore. Il termine indica il rapporto di vassallità nei
confronti del Signore ; implica il riconoscimento di Dio, la adorazione di lui, la scelta e la
sequela di Dio.
- Giosuè si mostra all'altezza della situazione ; conduce abilmente la trattativa con il popolo.
Prospetta la radicalità della scelta : scegliere il Signore comporta l'abbandono totale degli
idoli. Sottolinea la difficoltà dell'essere fedeli a Dio, sembra quasi compiacersi nel porre
difficoltà alla adesione del popolo, in modo che questi si renda conto della serietà
dell'impegno :
"Voi non potrete servire il Signore, perché è un DIO SANTO, un DIO GELOSO.
Egli non perdonerà le vostre trasgressioni e i vostri peccati" (19).
Lascia intravedere il carattere terribile della maledizione di Dio ; infine insiste nel
chiedere un giuramento solenne.
L'alternativa comunque è netta : aut - aut. YHWH o gli idoli ; contro il compromesso, contro
il sincretismo. Giosuè e il suo clan da parte loro hanno già operato la scelta. Si pronunciano
per Dio ! (v 15).
La risposta del popolo
Arriva in tre ondate successive.
In un primo momento il popolo dichiara la sua fedeltà a Dio "lungi da noi l'abbandonare il
Signore" e la motiva appropriandosi del prologo storico, recitandolo a sua volta, ricordando
così i doni di Dio (vv 16-18).
Una seconda volta riaffermano lo loro volontà di servire Dio, accettando di essere
testimoni contro se stessi (vv 21-22).
La terza volta, dopo che Giosuè ha prospettato l'abbandono completo degli idoli
(fascino delle divinità di Canaan) il popolo coralmente esclama : "Noi serviremo il Signore
nostro Dio e obbediremo alla sua voce" (24)
Hanno fatto la grande scelta ! è un grande testo religioso !
Siglatura del patto
Contiene i seguenti clementi :
a) la legge di Dio che viene scritta : documento del patto
b) erezione della pietra sacra "od perpetuam rei memoriam", come "testimonio" : oggetto
testimone-ricordo. Essa condannerà la infedeltà del popolo.
c) il "terebinto che è nel santuario del Signore" richiama l'albero sacro conosciuto nella
religione cananaica
- tutta la narrazione è esplicitamente dichiarata un avvenimento di alleanza ; "Giosuè in quel
giorno concluse un'alleanza per il popolo e gli diede uno statuto e una legge a Sichem"
(24,25).
La Legge del Signore
214
TEOLOGIA DELL’ESODO : LE “DIECI PAROLE”
+ Indicazioni bibligarafiche :
- A. VON. RAD, Teologia dell'AT, I° pp 222 - 254
- E. TESTA ; La morale dell'AT, Morcelliana Brescia 1981
- E. JUCCI, Il decalogo e la polemica anticananaica, in "Riv Bibl" 1980/1 pp 97-110
Premessa
L'alleanza mosaica dal nome del mediatore o sinaitica dal nome del luogo di celebrazione, è
un impegno bilaterale. A differenza delle altre Dio e l’uomo si impegnano vicendevolmente,
è un patto mutuo di rispetto, amore ed amicizia. Viene espresso dalla formula : "Voi sarete il
mio popolo e io Sarò il vostro Dio". C'è dunque un duplice versante : divino ed umano.
Dio si impegna con delle magnifiche promesse, come appare in Es 19,3-6 ; il popolo
da parte sua, come mostra la triplice presa di consapevolezza espressa in 19,8 e 24,3.7
promette solennemente di FARE, di eseguire tutti i comandi del Signore, si impegna a
rispettare le clausole del patto.
Il riconoscimento di Dio dunque incide sulla vita, non è un fatto puramente teorico ; la
rivelazione comporta orientamenti per la vita pratica dell'uomo, l'alleanza diventa
obbligazione. MONOTEISMO ETICO !
- Ecco perché a livello redazionale la manifestazione della volontà di Dio su Israele (come
avviene nei trattati di vassallaggio) precede la stipulazione del patto = duplice rito di alleanza
in 24,1-11 .
Il volere di Dio per la vita di Israele è contenuto nel decalogo del capitolo 20 dell'Esodo e nel
"codice di alleanza" dei cc 21-23 !
Il decalogo : situazione letteraria
Già ad una lettura superficiale del testo attuale, appare il carattere di inserto del decalogo :
infatti Es 19,19 (il pezzo 20-25 di matrice sacerdotale appare pure un'aggiunta) prosegue
logicamente in 20,18-21.
L'enunciazione del decalogo rompe quindi la coerenza narrativa. Se è stato inserito, significa
che ad esso veniva attribuito un grande valore.
- Decalogo significa : "dieci parole". Così Israele chiama (cfr Es 34,28 ; Dt 4,13 ; 10,4) le
esigenze basiche dell'alleanza, le dieci grandi risposte al Dio alleato e vicino, la "carta
costituzionale", "la pagina fondamentale della proposta etica e teologica di Israele"
(RAVASI). Sintesi mirabile di teologia, antropologia e sociologia.
Sono "parole del Signore" ; qui appare il valore impressivo-iussivo-imperativo della Parola di
Dio. Il Signore comanda le cose che sono per il nostro bene, non ordini arbitrari, irrazionali,
volti semplicemente a comprimere gli spazi della libertà umana. "Sempre Israele celebrò la
manifestazione della volontà giuridica di YHWH come un grande bene salvifico, come una
garanzia della elezione, perché in essa aveva indicato al suo popolo una via ed un ordine ...
una delle lodi più alte che Israele attribuiva a quei comandamenti era definirli GIUSTI ; ossia
rivelandoli Jahvè aveva dato prova della sua fedeltà nei confronti di Israele. Non vi è
spavento, non il sospiro di chi è gravato di un peso, ma solo gratitudine e canto di lode" (Von
Rad, I° pg 229)
cfr s 147,20 "Così non ha fatto con nessun altro popolo, non ha manifestato ad altri i suoi
precetti"
La Legge del Signore
215
e soprattutto il commento orante del monumentale salmo 119 ; "La legge del Signore è
perfetta, rinfranca l'anima ; la norma del Signore e verace, rende saggio il semplice ; gli
ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore ; i comandi del Signore sono limpidi,
danno luce agli occhi" (s 19,8-9).
- "Le parole del patto, le dieci parole" (Es 34,28) sono giunte a noi in duplice redazione
(come nel NT le Beatitudini e il Pater) : Es 20 e Dt 5 .
Il confronto sinottico dei due testi pone in evidenza una sostanziale identità, accanto a leggere
varianti ; la differenza più vistosa tra le due forme si coglie nelle motivazioni in appoggio ad
alcuni comandamenti.
- Il decalogo in origine non comportava probabilmente che formule brevissime, facilmente
apprendibili ; comandi o proibizioni in un tono categorico, personale che non ammette
replica. Le dilatazioni ai singoli precetti sono successive e diverse da ambiente ad ambiente.
La forma dei comandamenti è apodittica, imperativa ; al contrario il materiale
successivo del codice dell'Alleanza ha una forma condizionale, "casuistica" : infatti raccoglie
i "mishpatim", le sentenze, il materiale legislativo consuetudinario o prodotto dai tribunali di
Israele, come applicazione alla vita concreta degli orientamenti fondamentali. Siccome la vita
è varia, molteplice, viene prospettata e nerbata una pluralità di casi.
- "Se il loro aspetto è più negativo che positivo, bisogna notare che la formulazione non è
quella di norme giuridiche sanzionate da una pena, ma quella di una specie di constatazione
negativa, senza sanzione ... il popolo non riceve una serie di in interdizioni collegate a delle
sanzioni se non vengono rispettate. Dal momento che il popolo è entrato nella alleanza con
Dio, egli non può conciliare questa appartenenza all'alleanza con un atteggiamento di
disobbedienza alla volontà di Dio" (Michaeli).
- La tradizione giudaica ha sempre visto nel decalogo il compendio di tutta la legge, la sintesi
dei 630 precetti della Torah ; ancora ai nostri giorni, quasi tutte le sinagoghe portano sulla
loro facciata le due tavole di pietra, sulle quali sono impresse le prime parole di ciascuno dei
10 comandamenti.
Sotto il profilo della antichità dei manoscritti abbiano una testimonianza di valore nel
papiro NASH (dal nome dello scopritore) ritrovato all'inizio del secolo attuale residuo di una
filatteria ; conteneva proprio il decalogo.
- Anche per il cristiano il Decalogo conserva validità e attualità ; Gesù non lo ha abolito : "Se
vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti" (Mt 19,17).
Lo ha perfezionato, interiorizzato, arrivando alla proposta delle Beatitudini.
Scriveva Martin Luther nel 1528 concludendo una delle sue lezioni di catechismo : "Non c'è
specchio migliore in cui tu possa vedere quello di cui hai bisogno, se non appunto i 10
comandamenti, nei quali tu trovi ciò che ti manca e ciò che devi cercare"
Si deve anche osservare che c'è divergenza nel modo di individuare all'interno del testo le 10
parole nell'ambiente ebraico rispetto al mondo protestante, ortodosso o cattolico. Ad es il
"divieto delle immagini" …
- Dal punto di vista storico sarebbe interessante studiare i problemi che si riferiscono alla
antichità del testo, all'ambiente in cui è sorto, agli influssi che eventualmente ha subito, alle
La Legge del Signore
216
somiglianze o addirittura dipendenze rispetto ad analoghe legislazioni nelle culture attigue ad
Israele.
Noi non affrontiamo questo studio, ci concentriamo sul testo attuale, alla ricerca del
senso originario dei termini e del valore del messaggio morale per noi !
Analisi del testo
Il decalogo incomincia con la formula di "autopresentazione divina" ; essa "precede e motiva
i comandamenti" così scrive M. Noth. E’ un sintetico prologo di alleanza ; Dio offre le sue
credenziali, richiama il beneficio fontale fatto ad Israele : la liberazione.
Nei comandamenti Israele dovrà cogliere la voce di un Dio che si è rivelato nella
storia ed ha operato nella storia, non tanto una "legge naturale" cioè un richiamo della ragion
pratica, della coscienza morale.
- "Non avrai altri dei di fronte a me". Qs per l'ebreo è il primo comandamento, il più radicale.
Non si tratta nella formulazione originaria di un enunciato generale, cioè di una affermazione
di monoteismo assoluto, ma di un comando : "non avrai". Il Signore proclama il suo diritto ad
essere riconosciuto come unico all'interno del suo popolo, non vuole concorrenti, rivali.
E' il comandamento della "gelosia di Dio" cfr 20, 5b
- "Il primo comandamento non nega l'esistenza di altri dei, al contrario la suppone, ma
proibisce di rendere loro qualsiasi culto. Non è un insegnamento sulla unicità di Dio, è una
regola pratica : YHWH reclama esclusivamente per sé l'omaggio del suo popolo ... qs
esclusivismo e qs intolleranza distinguono la religione di Israele da tutte le altre dell'antico
oriente" (R. DE VAUX).
In Israele abbiamo una "monolatria dinamica, annunciatrice del monoteismo" così
STAMM. Il miglior commento al primo comandamento è rappresentato dal celebre "shema"'
di Dt 6,4-9 : la professione di fede del Giudaismo nell'unico Dio e le sue conseguenze nella
vita dell'uomo.
- "Non ti farai idolo né immagine alcuna" ; si tratta del celebre "divieto delle immagini" =
culto aniconico di Israele. E’ una traduzione pratica del comando precedente. "La proibizione
delle immagini difficilmente ha di mira gli dei stranieri (poiché la proibizione rigorosa di altri
dei è stata espressa prima) ... fa riferimento a qualsiasi immagine di YHWH. Motivo : la
concezione diffusa nel mondo antico, secondo cui l'immagine è in rapporto stretto con
l'essere riprodotto" (M. Noth). La spiegazione si trova in Dt 4,12-19 : Dio ha PARLATO
dalla montagna ed il popolo non ha visto alcuna figura (appassionata omelia).
Negativamente qs formulazione pastorale circa il divieto delle immagini ha causato
una quasi completa assenza di arti figurative in Israele.
Non deve però sfuggire il significato profondo del comandamento : è un richiamo alla
Trascendenza di Dio. L'immagine (specie secondo l'antica mentalità, permette all'uomo di
manipolare Dio, di possederlo, controllarlo ; ma Dio è al di là di qualunque raffigurazione noi
possiamo fare di lui, al di là del linguaggio umano concettuale e simbolico, quantunque
questo sia necessario.
"Non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti
l'impronta dell'arte o della immaginazione umana" (At 17,29).
Secondo la teologia di P solo l'uomo è creato "ad immagine e somiglianza di Elohim" (Gn
1,26).
Questo comandamento è ampiamente motivato ; dopo la formulazione liturgica "Non
ti prostrerai, non presterai loro culto", si accenna a "YHWH QANNA", al DIO GELOSO.
Introduce la nozione di esclusività tramite il linguaggio dell'amore sponsale : il Signore
La Legge del Signore
217
instaura con il suo popolo un amore personale intenso, simile a quello che lega insieme
l'uomo alla donna. Il testo che segue sottolinea l'idea della morale collettiva responsabilità del
gruppo (emergenza del gruppo sull'individuo) vigente nell'antico Israele : il castigo o il favore
di Dio penetrano le generazioni umane, però con una differenza : "l'uomo è irrazionale
nell'odio, Dio lo è nell'amore : una punizione che si espande per 4 generazioni, un favore che
si estende fino alla millesima" (Ravasi).
- "Non pronunciare invano il nome del Signore" : "invano" significa anche "a torto" "per il
falso". Questa terza parola proibisce un'altra forma di appropriazione di Dio, quella di
impadronirsene attraverso il nome". Già sappiamo come nella cultura di Israele il "nome" è
più che un appellativo accidentale di una cosa ; rivela una persona per ciò che essa è.
Israele possiede il "nome" per pura degnazione del Signore, allo scopo di benedirlo e
lodarlo, non per abusarne. Non si ha solo il divieto della profanazione o della bestemmia, ma
molto più in profondità si inculca il rispetto verso la Trascendenza di Dio ; è un invito alla
sobrietà e alla purezza del linguaggio teologico. Il miglior commento è la petizione del Pater :
"Sia santificato il tuo nome" = Che tutti ti riconoscano come Dio (tr in lingua corrente) !
- "Ricordati del giorno di sabato" : comandamento già commentato
- "Onora tuo padre e tua madre" : anche qs precetto come il precedente è formulato
positivamente. Passiamo al secondo versante della vita morale : i rapporti con il prossimo.
Entriamo nell'ambito della vita sociale, in quel nucleo essenziale che è la famiglia. Notare
che padre e madre sono sullo stesso piano.
Il "kabbed = onora" non è solo un comando di rispettare i genitori, di riconoscerne
l'autorità, ma anche un invito a sostentarli economicamente e moralmente. Sir 3,1-16
compone un intenso paragrafo come commento a qs comandamento cardine della vita
sociale. Notare anche la finalità : "Questo è il primo comandamento associato ad una
promessa : perché tu sia felice e goda di vita lunga sopra la terra" (Ef 6,1-3).
- "Non uccidere" : e una proibizione di attentare alle vita del prossimo in maniera illegale,
perché questo sarebbe un attentato alla vita del popolo. Il verbo qui usato "rasach" appare
nella Bibbia per indicare la uccisione di un nemico personale, la vendetta arbitraria di chi
vuoi farsi giustizia da sé. Suggerisce un'azione violenta su un soggetto privo di difesa.
Originariamente non rientrano nel suo ambito lo pena di morte che la società
israelitica pratica ; la legge del taglione : "vita per vita, occhio per occhio, dente per dente,
mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido"
(cfr Es 21,23-25) ; le stragi per sterminio nella "guerra santa" (lo herem).
Commento a qs precetto può essere la affermazione della teologia sacerdotale : "Chi
sparge il sangue dell'uomo, dall'uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine di Dio
egli ha fatto l'uomo" (Gn 9,6).
Per estensione qs comandamento fa riferimento a tutto il settore "morale della vita fisica =
bioetica".
- "Non commettere adulterio" ; qs precetto ci introduce nell'ambito del diritto matrimoniale.
Il verbo "na'af" non colpisce genericamente l'area sessuale, ma quella specifica dell'etica
matrimoniale.
Nel senso primitivo condanna solo le relazioni con una donna maritata ; non legifera circa le
relazioni con una donna libera o con la prostituta. L'impostazione è maschilista, cf Lv 20,10 :
"Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo ... " oppure Dt 22,22 : "Quando
un uomo verrà colto in fallo con una donna maritata".
La Legge del Signore
218
L'adulterio è condannato più come offesa al diritto e all'onore del marito cui la sposa
appartiene, che non come insulto all'amore e alla dignità della donna che viene tradita. Per la
legislazione di Israele sul divorzio si confronti Dt 24,1-4 .
- "Non rubare" : nella sua formulazione primitiva qs comandamento non riguarda il diritto di
proprietà, ma piuttosto il diritto alla libertà.
Il verbo usato proibisce e condanna il sequestro di persona a scopo di schiavizzazione. Cfr Es
21,16 : "Chi rapisce un uomo e lo vende, se lo si trova ancora in mano a lui, sarà messo a
morte"
- "Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo" ; questo comandamento
intende salvaguardare il "diritto all'onore". La traduzione letterale sarebbe : "Tu non
risponderai contro il tuo prossimo quale teste di menzogna".
Si interessa quindi della verità nella prassi processuale, come il primo precetto nel codice di
Hammurabi. Per capirlo occorre tenere presente la grande importanza della testimonianza
orale in una struttura sociale della oralità.
Il dibattimento sociale pubblico avveniva alla "porta" del villaggio. Protagonista è dunque il
testimone nella deposizione giudiziaria (Lv 5,1) : colui che in caso di sentenza capitale,
doveva essere il primo a scagliare la prima pietra contro il reo : "La mano dei testimoni sarà
la prima contro di lui per farlo morire ; poi la mano di tutto il popolo ; così estirperai il male
in mezzo a te" (Dt 17,7).
- "Non desiderare la casa del tuo prossimo ... non desiderare la sposa ... "
Per l’ebreo si tratta di un unico comandamento, non due come nella formulazione
catechistica, notare come in Es 20,11 la casa è anticipata alla moglie, mentre in Dt 5,21 è il
contrario, mentre i comandi precedenti si riferiscono ad atti esterni, qui si proibisce un
atteggiamento interiore : occorre però rilevare che il testo non pensa ad intenzioni inefficaci,
inconcludenti. Il verbo qui adoperato "hamad" non indica un vago desiderio o un'attrattiva
istintiva, ma le manovre che tendono alla realizzazione di un progetto di male. Cf Gs 7,21
"Avevo visto nel bottino un bel mantello di Sennaar, duecento sicli di argento e un lingotto
d'oro dal peso di cinquanta sicli : NE SENTII BRAMOSIA, li presi ed eccoli nascosti in terra
in mezzo alla mia tenda e l'argento è sotto". In definitiva quindi si vuol difendere il diritto alla
proprietà.
Dovrà venire il Signore a perfezionare il precetto e ad indicarci che è "dal cuore dell'uomo
che escono i cattivi pensieri" (Mc 7,21).
- Ecco i dieci comandamenti, la "carta della libertà" ; "Sono dieci le tue leggi o Signore, dieci
piccole frasi che ci mettono in crisi" (Piombini).
Alla miseria e stoltezza umana la possibilità di stravolgerne il senso.
Cf "Il testamento di Tito" di Fabrizio De André.
La Legge del Signore
219
LA LEGGE DEL SIGNORE STUDIO ESEGETICO DEL PENTATEUCO .................. 1
PRESENTAZIONE ............................................................................................................................................... 1
Premessa .............................................................................................................................................................. 1
Il piano di lavoro ............................................................................................................ 2
Datevi da fare ................................................................................................................. 3
PRIMA PARTE : LA FORMAZIONE DEL PENTATEUCO ......................................................................... 5
LA "QUESTIONE MOSAICA" .......................................................................................................................... 5
Premessa .............................................................................................................................................................. 5
Il dato della tradizione......................................................................................................................................... 5
Gli argomenti di critica interna ........................................................................................................................... 6
Storia della "questione Mosaica" ........................................................................................................................ 8
Richard SIMON ............................................................................................................. 8
Julius WELLHAUSEN .................................................................................................. 8
Il pronunciamento della Pontificia Commissione Biblica ........................................... 10
LA CRITICA STORICO - LETTERARIA DEL PENTATEUCO OGGI .................................................... 11
Situazione odierna ............................................................................................................................................. 12
I dati aquisiti...................................................................................................................................................... 12
Tre ipotesi ......................................................................................................................................................... 13
Riflessioni e conclusive .................................................................................................................................... 14
STUDIO DELLE QUATTRO FONTI ............................................................................................................... 15
La fonte Jahvista ............................................................................................................................................... 15
Lo strato Eloista ................................................................................................................................................ 18
La fonte Deuteronomista del Pentateuco .......................................................................................................... 21
Argomenti prodotti : .................................................................................................... 21
Fisionomia del Dt......................................................................................................... 21
Storia della formazione dell'opera ............................................................................... 22
Forma letteraria e struttura del Dt ................................................................................ 23
Il linguaggio del Dt ...................................................................................................... 25
Il messaggio del Dt ...................................................................................................... 26
La storiografia Deuteronomista ........................................................................................................................ 28
La matrice sacerdotale del Pentateuco .............................................................................................................. 31
La "historia sacerdotalis" .................................................................................................................................. 32
La "Legge di santità" ......................................................................................................................................... 35
L'ordinamento sacerdotale del culto ................................................................................................................. 36
La redazione della Thorà ................................................................................................................................... 39
Composizione / Struttura dell’Esateuco ............................................................................................................ 42
IL "CREDO STORICO" DI ISRAELE ............................................................................................................ 42
L’ipotesi di Von Rad ......................................................................................................................................... 43
Analisi di Dt 26,1-11 ..................................................................................................................................... 43
SECONDA PARTE : IL LIBRO DELLA GENESI ......................................................................................... 47
INTRODUZIONE ................................................................................................................................................ 47
La passione per le radici .................................................................................................................................... 47
Centri di interesse .............................................................................................................................................. 48
La Genesi nella tradizione ................................................................................................................................. 49
IL LIBRO BELLA GENESI COME ................................................................................................................. 52
FATTO LETTERARIO ...................................................................................................................................... 52
Una raccolta di saghe ........................................................................................................................................ 52
La Legge del Signore
220
Struttura della Genesi ........................................................................................................................................ 54
LA STORICITA' DEL GENESI ........................................................................................................................ 55
Problema complesso ......................................................................................................................................... 55
Elementi e fermenti di storicità ..................................................................................................................... 56
La religione dei patriarchi ................................................................................................................................. 57
IL CICLO DI ABRAMO .................................................................................................................................... 59
"Guardate ad Abramo vostro padre" (Is 51 ,2). ................................................................................................ 59
Il tema della discendenza .................................................................................................................................. 60
La terra come filo conduttore del ciclo di Abramo ........................................................................................... 62
"Il Signore disse ad Abram ... " : vocazione di Abramo (Gn 12,1-9). .............................................................. 63
Abramo e Melchisedech (Gn 14,18-20). ........................................................................................................... 69
Gn 15 : Fede, alleanza, profezia ........................................................................................................................ 72
Alleanza e circoncisione in Gn 17 .................................................................................................................... 74
Dio ospite di Abramo (Gn 18,1-13). ................................................................................................................. 77
L’intercessione di Abramo (Gn 18,16-33). ....................................................................................................... 80
Il sacrificio di Isacco in Gn 22,1-19 .................................................................................................................. 81
La figura di Abramo nelle Bibbia ..................................................................................................................... 86
IL CICLO DI GIACOBBE ................................................................................................................................. 87
Presentazione globale ........................................................................................................................................ 87
La visione di Betel (Gn 28,10 - 22 ). ................................................................................................................ 90
La lotta di Giacobbe con Dio (Gn 32,23-33). ................................................................................................... 93
LA STORIA DI GIUSEPPE ............................................................................................................................... 96
Premessa letteraria ............................................................................................................................................ 96
L' uomo come autorealizzazione ....................................................................................................................... 99
Il tema della famiglia nella novella di Giuseppe............................................................................................. 101
Premessa .................................................................................................................... 101
Il sistema dei rapporti verbali .................................................................................... 101
Il plot del tema familiare ............................................................................................ 102
Il cammino della riconciliazione ................................................................................ 103
Conclusioni ................................................................................................................ 106
La tesi della Provvidenza ................................................................................................................................ 107
Il mondo onirico......................................................................................................... 107
Gli avvenimenti naturali ............................................................................................ 108
I comportamenti personali ......................................................................................... 108
La storia delle risonanze ............................................................................................ 110
TEOLOGIA DELL’ESODO ..................................................................................... 113
Impostazione del corso ...................................................................................................................................... 113
Significati dello studio .................................................................................................................................... 113
Attualità dell’argomento ................................................................................................................................. 114
Metodo ............................................................................................................................................................ 116
Bibliografia ragionata ..................................................................................................................................... 116
Esodo avvenimento fondamentale .................................................................................................................. 117
Esodo avvenimento Esemplare ....................................................................................................................... 119
Schemi - Termini - Simboli ............................................................................................................................ 120
Lo sfondo storico dell’Esodo .......................................................................................................................... 121
Nota filologica : l'uso del verbo"USCIRE" in rapporto all'Esodo .................................................................. 123
Uscita come nascita.................................................................................................... 123
Espressione bipolare .................................................................................................. 124
Uscire come emigrare ................................................................................................ 125
Contesto militare ........................................................................................................ 125
"USCIRE" nel libro dell’Esodo ...................................................................................................................... 125
La Legge del Signore
221
L’uscita di Mosè .............................................................................................................................................. 125
L’uscita di Dio ................................................................................................................................................ 127
L’uscita del popolo .......................................................................................................................................... 127
Esodo e Rivelazione ........................................................................................................................................ 128
Premessa .......................................................................................................................................................... 128
TRE PAGINE per approfondire il rapporto liberazione-rivelazione .............................................................. 129
Significato dell’Egitto : .................................................................................................................................. 131
"Popolo mio esci dall’Egitto".......................................................................................................................... 131
L'Esodo come uscita dalla schiavitú ........................................................................................................... 137
Esodo come liberazione dal lavoro forzato ..................................................................................................... 143
Il lavoro nella concezione biblica ................................................................................................................... 145
Lavoro e ozio .................................................................................................................................................. 147
Lavoro e riposo ............................................................................................................................................... 148
Lo Shabbat nella tradizione ebraica ................................................................................................................ 151
Esodo e festa. Per una teologia del giorno festivo .......................................................................................... 153
L'Esodo come liberazione del potere .............................................................................................................. 160
Il deserto .......................................................................................................................................................... 167
L'ENTRATA nella terra .................................................................................................................................. 173
TERRA ... TERRA ... TERRA ... (Ger 22,29). ............................................................................................... 176
La resistenza alla Salvezza .............................................................................................................................. 185
Teologia dell’Esodo : la resistenza del popola alla salvezza .......................................................................... 187
Il passaggio del Mare dei Giunchi .................................................................................................................. 188
Vittoria in termini militari ............................................................................................................................... 189
"E’ la Pasqua del Signore !" (Es 12,11). ......................................................................................................... 191
Esodo e Pasqua ................................................................................................................................................ 192
Il panorama dei dati ................................................................................................... 192
Il nome "Pasqua"........................................................................................................ 193
Il rito dell'agnello ....................................................................................................... 194
La settimana degli azimi ............................................................................................ 197
L'offerta dei primogeniti ............................................................................................ 198
La Pasqua nella sua evoluzione storica in Israele ........................................................................................... 199
La dimensione escatologica della Pasqua ....................................................................................................... 200
Il "Poema delle quattro notti" .......................................................................................................................... 200
Lo svolgimento della cena pasquale nel Giudaismo : Mishna, Pesahim 10,1-7 ............................................. 202
Pasqua ebraica e Pasqua cristiana ................................................................................................................... 203
Esodo e Alleanza ............................................................................................................................................. 205
L'Alleanza sinaitica ......................................................................................................................................... 207
La celebrazione dell’Alleanza ......................................................................................................................... 208
nella sezione di Esodo 19 – 24 ........................................................................................................................ 208
Il rito dell’Alleanza in Esodo 24,1-11 ............................................................................................................. 211
Giosuè 24 : rinnovazione dell’Alleanza in Sichem ......................................................................................... 213
Teologia dell’Esodo : le “Dieci Parole” .......................................................................................................... 215
La Legge del Signore
222
La Legge del Signore
223