Il ritmo dei processi mentali e la presenza

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Il ritmo dei processi mentali e la presenza
Il ritmo dei processi mentali e la presenza psicocorporea del terapeuta
Maria Elena García
(traduzione a cura di Stefania Cornara)
Questo lavoro é una riflessione sul concetto di presenza terapeutica y sulla relazione
dinamica fra stato mentale e stato del corpo che esso implica. La presenza terapeutica é
quello che sta oltre ciò che il terapeuta fa, un aspetto non immediatamente evidente che,
in termini molto generali possiamo definire come un modo specifico di essere presente
nella sessione, caratterizzato da un atteggiamento corporale e mentale determinato.
Ho scelto questo tema perché é l’idea centrale che guida il mio lavoro, come terapeuta e
come formatrice di danzaterapeuti, presso la scuola dell’Associazione di Art Therapy
Italiana, e di musicoterapeuti, presso Associazione Anni Verdi di Roma che segue il
modello di Benenzon.
Gli obiettivi di questo lavoro sono:
- spiegare il significato dell’idea della presenza terapeutica dal punto di vista
dell’esperienza corporale e mentale che la caratterizzano, prestando
un’attenzione particolare agli aspetti ritmici di queste.
- analizzare il suo ruolo nella costruzione della relazione terapeutica e la sua
funzione come componente dinamico del setting o cornice...
- segnalare la sua relazione con alcuni dei temi centrali del modello benenzoniano.
Inoltre cercheremo, benché in forma sintetica, di descrivere in che modo la
danza/movimento terapia può contribuire ad ampliare il tipo di coscienza psico-corporea
che é richiesto per lo sviluppo della presenza psicoterapeutica, e il modo in cui essa può
arricchire anche l’esperienza musicale ed il processo creativo in generale.
Infine, si cercherà di descrivere nei dettagli il modo in cui questi elementi vengono
utilizzati nella formazione del musicoterapeuta.
La presenza terapeutica
Il concetto di presenza terapeutica fu coniato da Arthur Robbins, psicoanalista e
arteterapeuta dell’Istituto Pratt di New York, per indicare un atteggiamento mentale che
combina due tipi di disposizione: la disponibilità ad essere cambiati nell’incontro con il
paziente, evitando contemporaneamente, il rischio di fusione o di simbiosi con lui,
grazie al mantenimento di una constante relazione con la capacità di pesare.
In definitiva la presenza terapeutica é un risultato del ritmo e la qualità dell’interazione
tra la disposizione recettiva verso il fluire dinamico della nostra propria esperienza
interiore, sensoriale, emotiva, e immaginaria da un lato, e la capacità strutturante e
discorsiva dal processo secondario dall’altro.
Alcuni aspetti del caso di Alessia possono, a mio giudizio, contribuire a chiarire questa
questione:
“Alessia, una ragazza di 21 anni che ho seguito per due anni presso la Comunità
Reverie per pazienti psichiatrici, di Roma, veniva regolarmente alle sessioni di
danza/movimento terapia e partecipava attivamente, per molto tempo ho percepito
che le interazioni significative tra noi avvenivano però fuori dal setting, negli spazi
comuni e nell’intervallo di tempo in cui percorrevo la distanza tra l’entrata
dell’istituto e la mia sala di lavoro. Esisteva fra noi una danza di avvicinamento e
allontanamento, fatta di movimenti corti di intimità sempre interrotti bruscamente.
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Questo pattern provocava in me una sensazione di frammentazione e discontinuità,
ed il timore di non poter mantenere né l’attenzione né la presenza di Alessia.
Generalmente si avvicinava molto, invadendo velocemente e con durezza il mio
spazio personale; esigendo “massaggini” però poco dopo si allontanava
repentinamente.
Il suo bisogno risvegliava in me un forte impulso a soddisfarla che quando la
paziente si allontanava si trasformava in una reazione corporale intensa, mi
sentivo squilibrata e proiettata verso fuori, percepivo una sensazione di vuoto al
centro del petto e la respirazione sospesa. In più mi sentivo frustrata a causa
dell’interruzione della relazione e vivevo una certa negazione della mia persona.
Questa coreografia si ripeteva e rifletteva anche la relazione di Alessia con
l’istituto dal quale scappava con frequenza, telefonando poco dopo per chiedere
che qualcuno andasse a prenderla”
Questo resoconto mostra chiaramente il modo in cui la presenza ed il comportamento
della paziente trasformavano la mia esperienza interiore sensorialmente ed
emotivamente: però ciò che rese questa esperienza un caso di “presenza terapeutica” fu
il mantenere un lucido osservatore interno delle mie esperienze, il che mi permise, a
posteriori, di pensare ed elaborare ipotesi sul senso dell’interazione e dell’uso che la
paziente faceva dello spazio. Di fatto, il suo comportamento cominciò poco a poco ad
acquisire un senso per me, un significato non solo interpretativo bensì anche ricco di
esperienza emotiva e di potenzialità empatica... Le mie conoscenze di psicologia e di
analisi del movimento e le mie impressioni intuitive confluivano in una prima ipotesi.
La possibilità di percepire il suo corpo, con i suoi limiti, con la sua parte interiore e la
sua parte esteriore, come nucleo del suo Self immaginario sembrava non esistere per
Alessia. Era facile immaginare che con la discontinuità nella relazione la giovane faceva
rivivere in me la discontinuità e l’incongruenza delle prime esperienze affettive con sua
madre, il che d’altra parte era confermato dalla sua storia clinica. Il bisogno di massaggi
e l’eccessiva vicinanza fisica parlavano di una ricerca spasmodica di un “oggetto
trasformativo” che potesse trasformare lo stato generale della sua persona.
Questo esempio mostra, a mio parere, l’ integrazione dei due modi di funzionamento
mentale che interagiscono nella presenza terapeutica, peró mostra anche che essi sono
direttamente collegati all’ esperienza corporale. La presenza terapeutica é in sintesi una
gestalt corpo-mente molto simile a quella che alimenta il talento creativo. Come in tutte
le esperienze estetiche, il terapeuta, in presenza del suo paziente, deve sottoporre se
stesso ad un esperimento e, dando forma al proprio materiale incosciente e precosciente,
trovare risposte empatiche adeguate. Come danza/movimento terapeuta questo modo di
pormi in relazione con la paziente mi permise, da una parte, di non sentirmi tanto
estranea al suo modo di sentire e, d’ altra parte, di modulare le mie risposte corporali; il
mio tono muscolare, la velocitá ed il modo di avvicinarmi e la mia posizione nello
spazio, ovvero la musica del mio movimento.
Il ritmo e l’atteggiamento corporale nella presenza terapeutica
L’ oscillazione fra uno stato predominante olistico, interattivo, necessario per aprirsi all’
influenza del paziente ed uno stato più cognitivo e separato, che permette la
strutturazione e l’ elaborazione, si definisce progressivamente come un ritmo. Secondo i
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problemi evolutivi e gli aspetti di controtrasferimento, che si presentano, un
atteggiamento dei due occupa il primo piano della nostra coscienza, mentre l’ altro si
muove sul fondo.
Osservare la fluidità e le difficoltà di questo ritmo permette di riconoscere le necessità
del paziente e trovare risposte adequate, inoltre permette anche di valutare se la
relazione corre rischi di trasformarsi in fusionale o se, viceversa, esiste una distanza
eccessiva e predomina una visione cognitiva.
Nella musicoterapia o nella danzaterapia questo ritmo interiore può trovare espressione
nella produzione musicale reale della sessione però in molte occasioni è solo una
musica virtuale che può essere registrata solo dal terapeuta stesso attraverso l’
introspezione. Il mantenimento di uno stato di coscienza capace di osservare questo
ritmo ha una correlazione con due aspetti fondamentali dell’ atteggiamento corporale: la
relazione con la terra o grounding e la connessione con il centro. La connessione o
allontanamento dagli stessi sono espressione e perciò indicatori delle oscillazioni della
nostra coscienza. E’ difficile mantenere la capacità di discriminare quando si ha uno
scarso contatto con la terra, così come è difficile registrare la propria esperienza quando
non si è collegati al proprio centro. Nel caso di cui ci siamo occupati, la mia reazione,
che influenzava fortemente il centro del mio corpo, e il mio impulso ad agire
mostravano chiaramente uno squilibrio verso una relazione fusionale, però questo stesso
squilibrio mi permise di capire i bisogni della paziente.
La presenza terapeutica e le artiterapie
La musicoterapia come la danzaterapia e le arti-terapie hanno una particolarità per
quanto riguarda la presenza terapeutica ed è che l’ integrazione dell’ atteggiamento
recettivo ed attivo della mente deve essere realizzata nel momento stesso dell’ azione,
quando il corpo è direttamente coinvolto nella relazione con il paziente. Osservare il
modo in cui il paziente modifica l’ esperienza che abbiamo di noi stessi ed utilizzare la
capacità discorsiva, strutturante della mente per scegliere la risposta e darle forma
attraverso la musica, il movimento ed il colore sono cose che devono succedere quasi
simultaneamente. Questa particolarità fa sì che sia facile perdere l’ equilibrio in un
senso o nell’ altro, con il rischio del acting out da una parte, o dell’ azione poco
risonante, poco empatica dall’ altra.
Nel caso degli artiterapeuti la gestione profonda del proprio linguaggio espressivo è l’
aspetto portante della sua presenza terapeutica perchè è attraverso questo che realizzano
una sinstesi personale fra esperienza di se stessi ed attribuzione del significato. A ciò è
necessario aggiungere un particolare allenamento che permetta loro di essere coscienti
delle vibrazioni interiori, i movimenti sottili, gli impulsi emergenti che stanno alla base
dei loro gesti musicali intenzionali.
Il tremore delle dita, un’ oppressione nel petto o la contrazione impercettibile delle
spalle costituiscono la materia dei nostri affetti vitali, del nostro clima emotivo, la
musicalità primaria del nostro corpo. Questo flusso costante della mobilità dei nostri
tessuti, fondamento della nostra esperienza d’ identità, organizza il substrato della
percezione e del conoscere. Attraverso questo flusso accediamo alla nozione di ritmo, di
intensità, di vuoto e di pieno, di dolce e di aspro, e la conoscenza di questo flusso ci
permette di ottenere l’ autenticità e capire lamoptivazione profonda dei nostri gesti
espressivi. In sintesi, alla base c’ è il corpo.
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Esiste un certo consenso nell’ ambito musicoterapeutico sull’ importanza del corpo e sul
movimento. In Argentina e in Italia l’ espressione e la danza/movimento terapia sono
state incluse nei programmi di formazione; però risulta ancora difficile pensare all’
esperienza cinestesica come fonte dello sviluppo della cocienza in senso amplio. Questo
è residuo della storica scissione corpo-mente che caratterizò il pensiero occidentale e
che è ancor potente, nonostante nell’ ambito dell’ avanguardia delle neuroscienze
attualmente si riconosce che la coscienza comincia quando il cervello acquisisce la
capacità di raccontare una “storia senz parole che si sviluppa dentro i confini del corpo”.
È la storia di un organismo i cui “stati sono continuamente allertati dall’incontro con
oggetti o fenomeni dell’ambiente, così come da pensieri o accomodamenti interni del
processo vitale1”
La possibilità di lasciarsi modificare nell’incontro con l’altro
Si può obiettare che esistono molti ostacoli a questo tipo di presenza per se stessi che
per l’altro, così come ci sono per la creatività. Questo tipo di sensibilità richiedeche si
sia mantenuta viva o che in qualche modo si sia riattivata la percezione globale o
amodale tipica dei primi stadi dello sviluppo. Tanto le teorie della percezione come gli
studi psicologici come Stern, e gli studi della musicoterapia e della
danza/movimentoterapia riconoscono l’esistenza di un sistema percettivo globale che va
più in là dei canali sensoriali specifici e che dai primi mesi di vita ci permette di
percepire le qualità generali dell’esperienza, ritmo, numero, forma e intensità dei
fenomeni, sia che si tratti del movimento, dell’immagine immagine o dell’atteggiamento
corporale di una persona.
La cosa più importante in relazione al tema che ci interessa è che questo tipo di
percezione modifica lo stato generale di chi percepisce ed è pertanto, quello che ci
permette di entrare in risonanza con un’altra persona e di essere modificati da lei. È ciò
che rende possibile l’empatia ed anche le esperienze di controtransfert.
Come sostiene Benenzon all’orige di questo tipo di percepire c’è la capacità del corpo
prenatale di vibrare in risposta agli stimoli. Tuttavia posteriormente nella vita la
disponibilità a vibrare può essere molto variabile. Gli stati di tensione generale o i
blocchi in certe parti del corpo cospirano contro questa disponibilità. Inoltre, la
possibilità di distinguere il flusso costante della nostra esperienza dipende da un certo
tipo di attenzione e, sappiamo, che in età adulta le risonanze corporali legate alla
percezione si tovano, in buona parte lontano dalla coscienza.
Per Stern l’acquisizione del linguaggio può privilegiare l’uso dei canali sensoriali
specifici, però anche i meccanismi di difesa della nostra struttura dell’Io implicano in
molti casi un allontanamento dalle esperienze corporali profonde; conflitti o emozioni
represse influiscono a loro volta sullo stesso flusso delle variazioni toniche.
Conseguentemente una formazione che si rivolga a sviluppare e consolidare la capacità
di autosservazione necessaria per la presenza terapeutica, dovrà preoccuparsi di
approfondire la coscienza del corpo, e cioò significa:
- recuperare uno stato tonico flessibile, aperto alle fluttuazioni dovute alla
percezione o alle energie interne;
1
Damasio, A.: “Emozione e coscienza”, Adelphi Edizioni, Roma, 1999, pag 46.
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-
consolidare uno stato di coscienza capace di tollerare l’osservazione di dette
fluttuazioni.
L’apporto della danza/movimento terapia
L’obiezione che molte volte si fa, generalmente da parte del campo psicoterapeutico, è
che la rigidezza delle nostre difese, certe caratteristiche della personalità e perfino il
nostro ordinario di coscienza possono creare una difficoltà quasi insuperabile ad entrare
in risonanza con certi aspetti dei nostri pazienti. Sebbene sia vero che questa difficoltà
esiste, ed è legata a una sordità verso parti di noi stessi, la mia esperienza didattica mi
permette di sostenere che esiste sempre un margine per lo sviluppo dell’osservatore
interiore, capace di “contemplare” le proprie esperienze; escludenfo ovviamente quei
casi nei quali problemi specifici richiedono una psicoterapia.
La danza/movimento terapia può dare un importante contributo allo sviluppo della
presenza terapeutica dato che il suo obiettivo è proprio recuperare un’attenzione
profonda verso il corpo e, allo stesso tempo, risvegliare la sua potenzialità espressiva e
creativa. L’introduzione di elementi della danza/movimento terapia ha, pertanto, non
solo la funzione di facilitare la fluidezza del movimento del musicoterapista, ma anche
quella di favorire le associazioni corporeo-sonoro musicali e la coscienza delle stesse.
La visione della danza/movimento terapia che considera il corpo como l’asse centrale
del processo creativo, qualunque sia il linguaggio espressivo utilizzato, concorda con
l’importanza assegnata da R. Benenzon al corpo del musicoterapeuta.
L’introduzione di elementi della danza/movimento terapia richiede una
programmazione specifica dato che si tratta di offrire occasioni di autoesperienza ed
anche elementi concettuali di analisi e osservazione del movimento. Il modello della
scuola Art Therapy Italiana contiene alcuni strumenti metodologici che considero di
grande utilità nella formazione musicoterapeuica. Uno di questi è il sistema Laban di
analisi del movimento, un codice complesso e molto articolato, elaborato da Rudolf
Laban, un ballerino esponente dell’espressionismo tedesco che aveva anche realizzato
studi di architettura.
Le categorie dell’analisi Laban prendono in considerazione gli aspetti qualitativi,
ovvero la musica, il colore, del movimento da una parte, e la sua prganizzazione
dall’altra. I parametri della qualità, energia, tempo, spazio e flusso hanno una relazione
diretta, anche se non esattamente equivalente, con i parametri musicali. L’uso metodico
degli stessi per stimolare attività di esplorazione, improvvisazione e composizione è, a
mio parere, molto utile se accompagnato da momenti di autosservazione delle
modificazioni che ogni sfumatura qualitativa produce nell’esperienza corporale,
psichica e mentale di noi stessi. È molto diversa l’esperienza di chi si muove in maniera
indiretta e fluida, senza focalizzare lo sguardo, da quella di chi agisce in maniera diretta,
focalizzat, con forza e velocemente, per esempio. In questo modo, non solo si amplia il
registro espressivo, bensì si consolida in modo graduale e contenuto la capacità di
osservare l’esperienza interiore, superando resistenze e difficoltà emotive. Infine,
bisogna ricordare che le categorie qualitative di Laban corrispondono alle qualità
generali dell’esperienza, ritmo, numero, forma, intensità, di cui abbiamo parlato
precedentemente poichè costituiscono la base della nostra percezione primaria.
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La metodologia personale che utilizzo nella formazione con musicoterapeuti attribuisce
inoltre un ruolo molto importante alla circolarità fra linguaggi espressivi. A volte è la
musica a stimolare il movimento e altre volte succede il contrario, però si usa anche il
colore, il disegno e perfino la parola. Si dà spazio alla parola, però alla parola poetica,
che nasce dall’esperienza, e che gioca un ruolo importante nell’integrazione dei diversi
piani, corporale, psichici e mentale. Lo sforzo di attenzione che richiede il far circolare
l’esressività da un linguaggio all’altro amplifica gradualmente la coscienza degli
impulsi e delle motivazioni interiori.
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