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REGATT 08-2009 cop 1.qxd 09/04/2009 16.26 Pagina 4 UGO VANNI APOCALISSE LIBRO DELLA RIVELAZIONE quindicinale di attualità e documenti 2009 Esegesi biblico-teologica e implicazioni pastorali L’ Apocalisse appare a prima vista come un libro misterioso, che evoca mondi fantastici; tramanda invece un messaggio legato a fatti storici. L’autore ne accosta il testo con approccio accademico, mantenendo uno stile semplice e accessibile anche ai non specialisti. La sua indagine riguarda la struttura letteraria, l’uso del simbolismo, gli schemi interpretativi indispensabili per carpirne il messaggio; segue poi puntualmente e sistematicamente lo svolgimento del testo. 8 Attualità 217 219 235 284 268 «Testi e commenti» pp. 240 - € 21,80 PDL: l’esito della transizione Caritas, interventi di crisi Benedetto l’africano La silente voce dei fiori Studio del Mese Una Scrittura da vivere La nuova revisione della Bibbia CEI Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051/4290011 - Fax 051/4290099 C M t Gi ll N EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA http://www.dehoniane.it e-mail: [email protected] Anno LIV - N. 1055 - 15 aprile 2009 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - CP 568 - 40100 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” REGATT 08-2009 cop 1.qxd 09/04/2009 16.26 quindicinale di attualità e documenti Pagina 2 210x280-Regno.ai secondaria di primo grado A ttualità 217 (G. Brunelli) «non vi è alcun elemento né particella del mondo che, quasi consapevole della sua presente miseria, non speri nella risurrezione» (Calvino), per cui «coloro in cui abitano le primizie dello Spirito (cf. Rm 8,23) hanno la responsabilità di saper udire i gemiti del creato riconsegnandoli a una speranza contraddistinta dai tempi brevi dell’attesa umana e non da quelli dilatati ed esistenzialmente insignificanti dell’evoluzione naturale». Di fronte al grave terremoto che ha colpito l’Abruzzo in questo inizio d’aprile riproponiamo alla riflessione queste parole del nostro Piero Stefani (Regno-att. 2,2005,2ss), mentre ci uniamo alla preghiera e alla solidarietà già espresse da tutti i pastori, dall’arcivescovo dell’Aquila, mons. Molinari (egli stesso sfollato fra gli sfollati) allo stesso Benedetto XVI. Si può concretizzare la propria solidarietà anche aderendo alla colletta nazionale indetta dalla Presidenza della CEI per domenica 19 aprile 2009, e sostenendo gli interventi in corso da parte della Caritas italiana col versamento di un proprio contributo (causale «Terremoto Abruzzo») sul c/c postale n. 347013 (*BIC: BPPIITRRXXX) o sul c/c bancario Unicredit Banca di Roma spa IBAN IT38 K03002 05206 000401120727 (*BIC: BROMITR1707). R Politica in Italia { PDL: l’esito della transizione } 242 (D. S.) Brasile - Aborto Il peccato e la scomunica 219 (V. Nozza) Caritas italiana - Prossimi alla vita concreta { Geografia e tipologia degli interventi sulla crisi economica } Libri del mese 243 (P. Scoppola) Le proposte (V. N.) Dar credito alla solidarietà (V. N.) Laicità e uso politico della religione { Pio XI e la condanna religiosa dell’Action française} 225 (G. B.) Achille Silvestrini - La fedeltà all’oggetto CEI - ABI Il magistero della solidarietà Schede Italia - Il barometro dell’odio { Chiese romene: la criminalità dei connazionali e la xenofobia } Segnalazioni 259 (V. Rosito) 227 (M.C. Rioli) 261 (Y. Ledure) 228 (G. Zatti) Italia - Agenda minima di convivenza { Luoghi e occasioni d’incontro tra comunità cristiane e islamiche } 231 (L. Paganelli) Parigi - Metamorfosi dell’annuncio { Colloquio internazionale a trent’anni dalla Catechesi tradendae } 233 (R. B.) Benedetto XVI - Ebrei e cristiani Prima di Gerusalemme 234 (L. Pr.) Lussemburgo - Eutanasia La legge e i dubbi M. SCHIANCHI, La terza nazione del mondo 263 (F. Strazzari) Iraq - Il dramma dei cristiani { A colloquio con mons. Louis Sako } 266 (R. Burigana) Diario ecumenico 267 (L. Accattoli) Agenda vaticana Studio del mese { Bibbia CEI, la nuova revisione } 274 (G. Benzi) 235 (A.M. Valli) Orizzonti per la catechesi Benedetto XVI - La necessità del Vangelo { Il viaggio in Camerun e Angola } 277 (G. Cavagnoli) 238 (M.E. G.) Le xilografie della Bibbia di Gerusalemme 241 (L. Pr.) Santa Sede - Legionari di Cristo Visita apostolica V Volume 1 pp. 192 + book + CD-ROM p della nuova Bibbia d di Gerusalemme - € 8,40 d Volume 2 V pp. 192 + book - € 8,40 p Volume 3 V pp. 176 + book - € 8,40 p Volume unico V pp. 320 + book + CD-ROM p della nuova Bibbia d di Gerusalemme - € 17,90 d Guida del prof. - pp. 144 G 262 (S. Caredda) Polonia - Collaborazionisti Il caso è chiuso USA - Coalizioni fragili { I vescovi e Obama: le tensioni a partire dai temi bioetici } Le domande dei ragazzi Moduli per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di primo grado Y. LEDURE (A CURA DI), Antisemitismo cristiano? 268 (L. Mazzinghi) 239 (M. Faggioli) Nuovo Religione perchè? P. BOURDIEU, Ragioni pratiche 234 (L. Pr.) Sudan - Tribunale penale internazionale Se la giustizia non porta la pace Sergio Bocchini | Paola Buttignol Pierluigi Cabri | Daniela Panero 248 226 (D. Sala) Lampedusa - Immigrazione Porta del Mediterraneo 10:57:15 NOVITÀ scuola 15.4.2009 - n. 8 (1055) Caro lettore, 26-03-2009 Pietro Antonio Ferrisi | Paolo Ferrisi Il dialogo della vita Una Scrittura da vivere Testo per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di primo grado Volume 1 - pp. 208 - € 8,90 Volume 2 - pp. 160 - € 8,90 Volume 3 - pp. 208 - € 8,90 Guida per l’insegnante pp. previste 80 + CD audio Perché la Parola corra 283 (T. Verdon) 284 (P. Stefani) Parole delle religioni La silente voce dei fiori 286 I lettori ci scrivono 287 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo Chi è oggi Maria di Màgdala? Colophon a p. 286 Via Nosadella 6 – 40123 Bologna www.dehoniane.it Tel. 051 4290011 – Fax 051 4290099 e-mail [email protected] Politica I TA L I A p dl: l’esito della transizione Nella for ma del bipartitismo imperfetto e sotto il segno del «berlusconismo» N on sappiamo ancora come sarà il campo politico del centrosinistra dopo il terremoto elettorale del 2008, né che cosa. Sappiamo che cosa è il centrodestra. Con la nascita del Popolo della libertà (PDL), il 27-29 marzo scorsi, Berlusconi ha oggettivato se stesso. Ha avviato la stabilizzazione del sistema cercando di fissare in modo permanente i rapporti di forza attuali. La lunga transizione politica italiana s’avvia alla conclusione nella forma sistemica del bipartitismo imperfetto e sotto il segno del «berlusconismo» come linguaggio e spazio politico del centrodestra. Il nuovo Pentapar tito Sorta dal superamento di Forza Italia, dall’integrazione di Alleanza nazionale e dalla confluenza di altre formazioni minori (repubblicani, socialisti, liberali, scissionisti dell’Unione dei democratici di centro – UDC), la nuova formazione di Berlusconi va a occupare stabilmente e nella forma di un partito integrato quello che fu lo spazio politico ed elettorale del Pentapartito. Il PDL non è una destra tradizionale, non è la nuova DC: è un partito popolare, di carattere moderato, diffuso a livello nazionale che va a ricoprire l’area che fu appunto del Pentapartito. Il PDL non è una formazione di destra in senso tradizionale. Questo esito è stato escluso da Fini nell’atto dello scioglimento di Alleanza nazionale (22 marzo) anche sotto forma della sopravvivenza di una corrente di destra all’interno del nuovo partito. Vi è certo il radicamento e la struttura tradizionale del vecchio Movimento sociale italiano (MSI) a dare corpo a un partito, che se fosse rimasto nella forma di Forza Italia sarebbe stato insufficiente a stabilizzare a livello nazionale l’intero processo. Forza Italia è stato lo strumento attraverso il quale Berlusconi ha gestito sin dal 1994 il cambiamento della struttura della comunicazione applicando alla politica le regole del marketing commerciale e alla ricerca del consenso la politica dei sondaggi. Forza Italia è stata la struttura antipartito di fronte alla crisi del partito di massa novecentesco, lo strumento per trasformare i congressi e le assemblee di partito in platea televisiva. Il popolo è la gente e la gente è diventata pubblico. Forza Italia si è identificata con la funzione e il ruolo del leader: non ha elaborato programmi, dato voce a potenziali leader diversi: gli ha fatto eco. Forza Italia è stato lo strumento privilegiato e personale con il quale Berlusconi ha creato la propria leadership: al corpo del partito egli ha sostituito il corpo del leader, la sua immagine è diventata l’immagine degli italiani, anzi, dell’italiano vero. Tutto questo ha segnato profondamente i comportamenti e la cultura del paese, accelerandone la secolarizzazione. Ma non si tratta di una destra tradizionale. Se si dovessero indicare formazioni di destra, a parte il gruppo nostalgico di Storace, si dovrebbe individuare proprio nella Lega, per cul- tura e comportamenti, una formazione di destra, così come in alcuni atteggiamenti dello stesso Di Pietro. Berlusconi porta nel nuovo partito tutto quello che Forza Italia ha rappresentato, ma con una capacità di radicamento maggiore, in un soggetto dalle dimensioni tendenzialmente maggioritarie, con un passaggio di scala che sia in grado di creare quadri politici diversi. Permane il legame diretto, immediato tra il leader e il suo popolo. Anzi lo schema populista della legittimazione popolare diretta è volto a definire il partito come collettore elettorale di quella legittimazione e il governo come strumento nelle mani del leader. Ha ragione Baget Bozzo quando osserva che «popolare vuol dire il nesso tra elezioni e governo». E questo è divenuto oramai un problema costituzionale. Il Popolo della libertà non è neppure la nuova Democrazia cristiana. Il suo essere all’interno del Partito popolare europeo ne qualifica il moderatismo, le venature liberal-conservatrici, ne segnala anzi, nella distanza tra la stessa formazione europea e i partiti democristiani che in massima parte le diedero forma, la distanza attuale. La DC è stata, anche nella sua fase finale, molto più interna ed espressiva del «mondo cattolico» di quanto lo possa essere il PDL. Esso è a un tempo più laicista (ma meglio dovremmo dire: più indifferente) e più clericale (ma meglio dovremmo dire: più strumentale). Non è, non può essere, espressione del IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 217 mondo cattolico, dal momento che esso in buona parte non esiste più; non è, e non può essere, espressione di una laicità credente, anche nelle forme secolarizzate, perché la situazione critica del cattolicesimo italiano e le scelte delle gerarchie ecclesiastiche non sembrano in grado di riproporre, a breve, una storia che è stata la migliore storia a un tempo di fedeltà e di laicità che l’Italia cattolica e quella laica abbiano conosciuto. I teocon sono un’opzione politica, non religiosa, che punta tutto sull’influenza pubblica della Chiesa come surrogato ideologico alla crisi della cultura occidentale: una scelta politicamente legittima, ma un pessimo affare per la Chiesa, qualora immaginasse una forma di intesa con loro, oltre a qualche occasionale strumentalizzazione reciproca. Conclusa la linea Ruini del «Progetto culturale», che nel dialogo tra istituzione ecclesiastica e una parte della cultura laica, liberale e conservatrice, aveva immaginato la ripresa di un’egemonia culturale cattolica in questo paese, dunque un utilizzo stru- Jacek Oniszczuk La Prima Lettera di Giovanni La giustizia dei figli L’ analisi retorica considera l’organizzazione di un testo biblico co- me un dato oggettivo, portatore del senso più profondo. Lo studio pone un forte accento sulla composizione della Prima Lettera di Giovanni e, attraverso gli elementi interni ad essa, giunge a decodificare il messaggio del testo. «Retorica biblica» pp. 296 - € 26,20 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 218 mentale forte, favorevole alla Chiesa, di questo rapporto, oggi, più modestamente, si rischia di confondere cattolicesimo con moderatismo e di dirigere, pressoché gratuitamente, il proprio residuale consenso verso un partito garantista. Del resto basta la presenza di Fini a dimostrare come il PDL sia molto articolato al proprio interno e proprio la linea teocon non possa divenire la linea dell’intero PDL. I l « b e r l u sco n i s m o » co m e p re s i d e n z ial i s m o Dopo il crollo delle sinistre nel 2008, il successo elettorale del cartello PDL, il non sfondamento della Lega e il galleggiamento dell’UDC, Berlusconi aveva bisogno di compiere l’ultimo passo. Col Popolo della libertà egli rafforza il suo governo, aprendo un confronto con la Lega all’interno della coalizione e con l’UDC nel Partito popolare europeo. Da questo punto di vista le prossime elezioni sono un campo decisivo di questo duplice confronto. Del resto la maggioranza uscita dalle urne del 2008 non ha alternative. Il Partito democratico, dopo il disastro veltroniano, non ha né i numeri né una linea politica che gli consentano di rappresentare un’alternativa politica a questo governo. Il crollo della sinistra storica di matrice comunista crea un vuoto di vaste proporzioni sul piano della cultura politica e conferisce a questo governo le sembianze di una vera e propria nuova classe dirigente. Non basta tuttavia dire Veltroni. Qui il disastro è stato preparato per tempo. L’incapacità dell’intera classe dirigente postcomunista (D’Alema in primis) di uscire definitivamente dalla propria storia (il tentativo più avanzato fu quello di Veltroni che negò di essere stato comunista), giudicando senza equivoci gli errori culturali e politici; l’opportunismo dei popolari, che si acconciarono a ogni passaggio della transizione a una subalternità valorizzata al più alto prezzo possibile; e ancora l’opportunismo di ulivisti e prodiani che non osarono riprendere il degasperiano anticomunismo democratico per poter affrontare adeguatamente il rapporto tra cattolici democratici e sinistra in questo paese: tutto questo ha posto IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 solide premesse perché l’Ulivo rimanesse solo una storia plausibile e non divenisse una realtà e il Partito democratico fosse un modesto compromesso in casa postcomunista. Dopo la sconfitta veltroniana, Franceschini ha cambiato i toni del linguaggio, per ritrovare uno spazio di manovra politica, ma i toni non sono il linguaggio. Egli «muta d’accento», non «di pensier». Il PD difetta nel sostantivo e nell’aggettivo e la sua linea politica è di rimessa rispetto all’azione berlusconiana. Il discorso che Berlusconi ha fatto al congresso di fondazione del PDL centra proprio la crisi del PD. Il suo ostentato anticomunismo è certamente un retaggio del passato, della sua stessa vicenda personale, ma risponde a una precisa intenzione politica. L’attacco al PD è rivelatore della volontà del premier di rimuovere e cambiare parti significative della Costituzione. Egli rovescia l’operazione politico-culturale che la «Repubblica dei partiti» aveva fatto nel dopoguerra: allora in nome della Costituzione fu l’antifascismo il collante e la legittimazione che consentiva alle forze politiche di definirsi democratiche (in particolare il PCI) e di contrapporsi (DC/PCI). Più fu forte quell’assetto di legittimazione, a cui concorsero laici e cattolici, più oggi si rafforza, una volta conclusa la vicenda del fascismo, il collante di legittimazione dell’anticomunismo. Più fu forte l’idea del patto costituzionale, più oggi diviene forte la spinta a rivedere la Costituzione, che Berlusconi già definisce il frutto di un compromesso catto-comunista. L’obiettivo berlusconiano è quello di arrivare a varare formalmente una repubblica presidenziale, per questo egli definisce il PDL il partito della riforma dello stato. Già oggi, del resto, si assiste a una prevalenza dell’esecutivo sul Parlamento e del premier sull’esecutivo. Senza un cambio della forma statuale, l’equilibrio di forze che egli ha realizzato rischia di subire contraccolpi imprevedibili nel dopoBerlusconi. Egli vuole trasformare il «berlusconismo» in una visione istituzionale. Il problema, a quel livello, è di democrazia reale. Gianfranco Brunelli CA R I TA S Crisi economica I TA L I A N A p rossimi alla vita concreta Geog rafia e tipologia degli interventi ecclesiali L a crisi dei subprime, iniziata nell’agosto 2008 negli USA e diffusasi velocemente in tutto il mondo, è l’ottava crisi finanziaria globale nell’ultimo ventennio. La sua gravità, però, fa dire che si è esaurito il modello liberista che ha governato la globalizzazione dall’ultimo quarto del secolo scorso fino ai primi anni del nuovo. Dopo i crolli di Wall Street nel 1987, di Tokyo nel 1989, del sistema monetario europeo nel 1992; dopo le crisi del Messico nel 1994, del Sud-est asiatico nel 1996-1997, del Brasile e della Russia nel 1998-1999 e infine quelle del 2000-2002 della cosiddetta new economy, il mercato si è sempre ripreso – più o meno velocemente –, ritornando sui livelli precedenti per poi superarli nuovamente, in una sorta di crescita senza limite. Investire sui poveri conviene La crisi attuale, però, segna una svolta, impone ripensamenti e cambiamenti drastici delle regole di fondo che normano i meccanismi del mercato e non solo. Guardando infatti gli avvenimenti dal punto di vista dei poveri, sorgono spontanei interrogativi e riflessioni. In primo luogo, ci si domanda se non vi sia il rischio che l’intervento pubblico a salvataggio degli istituti di credito, certamente non immotivato, finisca per gravare solo sulle spalle del contribuente. In secondo luogo, la logica dell’intervento dello stato nel mercato del credito non dovrebbe tendere a ripristinare una presenza diretta, che sarebbe le- tale; ma dovrebbe innnanzitutto stabilire le regole e soprattutto monitorarle, per non creare sperequazioni e non dare un privilegio al settore bancario, già concesso negli anni antecedenti, nei quali ha massimizzato il profitto e acquisito una predominanza in alcuni settori strategici dell’economia. Occorre, cioè, ristabilire un equilibrio che chieda alle banche non una generica responsabilità sociale, ma che diventino anche strumento di accesso al credito per le famiglie e le imprese, così da promuovere un’economia responsabile e sostenibile. In terzo luogo incombe una sorte ancor più pesante sui poveri del Sud e dell’Est del mondo, perché molto probabilmente vedranno chiudersi le porte non solo degli aiuti internazionali allo sviluppo, ma anche delle altre misure che dovrebbero – più credibilmente di quanto fatto fino a ora – realizzare gli «obiettivi di sviluppo del millennio»: cancellare il debito estero dei paesi in via di sviluppo, stabilire regole commerciali più eque che non penalizzino i più poveri e tutte le altre azioni previste per la cooperazione e lo sviluppo che rischiano di essere accantonate. Il vero problema non è tanto economico, ma in primo luogo politico: il rischio concreto è che i poveri del mondo finiscano ancora più in basso nell’agenda delle priorità dei governi e della comunità internazionale. I 100 milioni di nuovi poveri, per i quali la Banca mondiale ha già suonato il campanello d’allarme, vivono in maggioranza nel Sud e nell’Est del mondo, e rischiano di non ricevere più né cure né assistenza, sia a causa dell’innalzamento dei prez- zi del cibo, sia della prossima recessione globale, sia – come si è detto – del ribaltamento dell’agenda politica. La stima è per difetto, essendo già stata fatta qualche mese fa in occasione delle cosiddette «rivolte per la fame», che hanno scosso il mondo da Haiti all’Indonesia, passando di fatto anche attraverso le città più dimenticate. Infine, si può ravvisare un altro tipo di legame tra la situazione attuale e lo sviluppo dei poveri. I circuiti di raccolta di risparmio alternativi, sia in Occidente sia nei paesi più poveri, da anni finanziano azioni di sviluppo per i cosiddetti non bancabili, coloro cioè che non hanno garanzie patrimoniali da offrire. Il microcredito o il commercio equo e solidale sono esperienze che da anni danno fiducia ai più poveri, garantendo ad alcuni di loro (non certo a tutti, dal momento che le risorse sono assai limitate) quel diritto al credito che altro non è che un modo per dar loro la possibilità di riscattarsi e svilupparsi economicamente e socialmente.1 Tali esperienze, certamente di nicchia, si dimostrano oggi valide e affidabili, dal momento che i tassi di non restituzione e d’insolvenza sono bassissimi. Inoltre bisogna considerare che la pesantissima crisi finanziaria internazionale pare non abbia avuto un impatto diretto sulla capacità dei poveri di ripagare i debiti. Tanto che in questo momento, paradossalmente, investire sullo sviluppo operato dai poveri conviene. I tassi d’interesse riconosciuti dalle realtà che investono e «scommettono» con «capitali coraggiosi» sul pro- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 219 CA R I TA S Le proposte I ntegrazione al reddito delle famiglie: per chi è in cassa integrazione, per chi lavora a settimane alterne, per chi è precario e alterna a tempi di lavoro tempi di disoccupazione. Credito gratuito alle famiglie, che possono contare sulla possibilità di un rimborso: credito diretto o indiretto tramite banca con rimborso di interessi. Aiuto all’affitto, per chi perde lavoro o è in cassa integrazione, di concerto con gli aiuti che già le regioni elargiscono. Forme di sostegno alle spese scolastiche per chi ha il padre o la madre che perde il lavoro. Sostegno alle cooperative di tipo B (di lavoro) degli enti della Consulta ecclesiale e di Federsolidarietà, che danno lavoro soprattutto ai soggetti più deboli. Sostegno al mondo artigianale e del commercio, in riferimento soprattutto a mancati pagamenti che possono mettere in crisi il lavoro e l’attività. Sostegno alle forme di sostentamento finanziario eticamente valide, sia per il loro valore ai fini dello sviluppo di un’economia diversa, sia per la loro minore esposizione rispetto alla crisi in atto. Difesa della famiglia e della casa, soprattutto per le famiglie numerose o con portatori di handicap o anziani, data la difficoltà legata ai mutui casa con tasso variabile, che nei mesi scorsi erano già in sofferenza per l’aumento dei tassi di interesse. Possibilità per le famiglie in sovra-indebitamento di rinegoziare o rimodulare i debiti anche con sottoscrizione di un concordato con l’ampliamento delle garanzie familiari o di quelle dei numerosi fondi di garanzia collettivi messi in essere da associazioni, fondazioni, Caritas, diocesi ecc. V. N. tagonismo dei poveri in Italia e all’estero, rendono ben più dell’inflazione. Non è quindi solo una scelta etica e di solidarietà. La situazione in Europa Ma quale è stata la risposta alla crisi dal punto di vista delle Caritas europee? Da un sondaggio svolto è possibile affermare che, allo stato attuale, le Caritas hanno reagito in maniera più o meno speculare alle risposte istituzio- 220 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 nali e culturali dei rispettivi paesi. La Spagna si è accorta degli effetti della crisi con largo anticipo sugli altri paesi e ha attivato strategie specifiche con buona tempestività, sebbene le proporzioni della crisi in quel contesto si stiano rivelando più gravi che altrove, e quindi difficili da affrontare. Complesssivamente le risposte censite sembrano aggregabili intorno a tre categorie: l’attesa passiva, l’investimento prevalente nell’advocacy e nel lobbying e l’investimento equivalente in servizi nuovi e in advocacy e lobbying. A questa tipologia si può aggiungere la risposta fortemente pastorale di Caritas Portogallo, la quale – senza escludere la raccolta fondi e l’advocacy – sta investendo molto, su mandato esplicito dei vescovi portoghesi, sull’animazione pastorale integrata delle parrocchie e dei territori, cogliendo l’occasione della crisi come opportunità favorevole di testimonianza e annuncio cristiano. Inoltre ogni Caritas nazionale sta tentando di affrontare il problema rafforzando ulteriormente le proprie competenze specifiche. Chi ha profili di maggior esperienza e competenza nel campo dell’analisi sociale e dell’advocacy investe qui (è il caso, ad esempio, della Svizzera e della Germania); chi è più orientato alla dimensione dei servizi-segno e della comunicazione pubblica per fare opinione e lobbying, segue quest’altra strada (come in Spagna e Francia). Grande attenzione è prestata alle sinergie e alla conservazione dei servizi esistenti attraverso il loro potenziamento e la loro parziale ed eventuale riconfigurazione per fare fronte alle esigenze specifiche portate dalla crisi (ad esempio, nel settore dei servizi di avviamento al lavoro). Chi ha già assunto il 2010 – anno europeo di lotta alla povertà – come orizzonte strategico importante per la propria Caritas nazionale, in questa situazione di crisi sta generalmente investendovi ulteriormente, considerando tale data anche come occasione significativa per mettere al centro il tema dell’impatto della crisi sui poveri e sui servizi. Chi non ha ancora considerato una strategia specifica sul 2010 non sembra, tuttavia, particolarmente motivato a ciò dalla situazione di crisi, salvo che per alcuni casi specifici, come la Slovacchia, ove la crisi pare una buona occasione per avviare anche un piano relativo al 2010. Territori e servizi appaiono però ovunque sollecitati a partecipare all’analisi come «detentori di informazioni», a partire dalla diretta esperienza di prossimità alla vita dei poveri e della gente, e in molti casi (ad esempio in Spagna, Francia, Slovenia, Portogallo) si sta cogliendo l’opportunità della crisi per potenziare tali capacità di lettura e raccolta dati. Nella maggior parte delle Caritas nazionali si riscontra un’attenzione per l’impatto della crisi sulla dimensione internazionale della povertà, che è frutto del forte impegno dei relativi dipartimenti per l’azione internazionale nel campo della lotta alla povertà nei paesi in via di sviluppo. Andrebbe poi maggiormente approfondita una riflessione specifica su cosa è la povertà e sui profili di povertà, nuovi e vecchi, che la crisi rivela. In generale, ove definizioni di povertà sono adottate (ad esempio, in Portogallo e Lussemburgo), esse sono multidimensionali, ma l’analisi relativa è condotta entro un quadro di povertà materiali. Italia: famiglie a rischio Per quanto riguarda invece il caso italiano, centrale resta la lotta alla povertà, che in Italia riguarda milioni di persone che sempre più si trovano in situazione di precarietà, o rischiano di cadervi. Gli ultimi dati ISTAT (relativi al 2007) confermano un incremento della popolazione sulla linea della quasi povertà e un divario crescente tra ricchi e poveri. Sale per l’ISTAT dal 14,6 al 15,4% il numero delle famiglie che ha dichiarato di arrivare con molta difficoltà alla fine del mese. L’Istituto nazionale di statistica rileva «segnali di disagio particolarmente marcati» al Sud e nelle isole, e in particolare in Sicilia dove sale al 10,1% il numero di famiglie con problemi di risorse per il cibo. Dati sicuramente peggiorati per l’aggravarsi della crisi nel corso del 2008. I numeri forniti dalla Banca d’Italia a gennaio parlano chiaro: il 2009 sarà caratterizzato da un pesante clima recessivo, con una contrazione del prodotto interno lordo del 2% su base annua. Appena sopra la soglia di povertà vanno dunque aumentando le persone e le famiglie «impoverite» e a rischio di caduta nella povertà, qualora insorgessero emergenze (malattia, incidenti d’auto, il sopraggiungere della «non autosufficienza» di un anziano ecc.), dovendo eventualmente ricorrere a prestiti. Le famiglie indebitate sono passate, negli ultimi due anni, dal 24,6% al 26%. Il rischio di povertà incombe in modo particolare su alcune tipologie di famiglia: quelle numerose, con cinque o più componenti; quelle con figli minori; quelle con anziani soprattutto se «non autosufficienti»; quelle separate o divorziate. Il lavoro flessibile e precario, diffuso oggi in Italia, incoraggia la prolungata permanenza dei giovani nelle famiglie di origine fino a 30-35 anni. Anche questo ritardo della nuzialità incide sulle decisioni relative alla natalità. Povertà e rischio di impoverimento costituiscono, comunque, una remora alla costituzione di nuove famiglie. La crisi poi mostrerà con forza un paradosso del nostro paese: i rischi di povertà saranno maggiori per le famiglie del Centro-nord, soprattutto nei distretti produttivi colpiti dalla crisi; il Sud dovrebbe avere minori ripercussioni, nel breve periodo, dato che non ha aree ad alta intensità di insediamenti industriali e che può contare ancora su economie informali e familiari tali da sostenere temporaneamente il peso di una crisi congiunturale che si aggiunge a quella endemica. In questo senso dovrebbero essere tendenzialmente distinti gli interventi specifici. Una mappa degli aiuti È quasi impossibile raccontare la molteplicità degli interventi da parte di tutte le diocesi e di tutte le parrocchie. Essi stanno dentro l’ordinarietà e si realizzano in termini di servizi strutturaticontinuativi e servizi-risposte meno organizzati, ma comunque importanti, che si fanno carico dei bisogni ordinari o delle molteplici emergenze che richiedono azioni immediate, in risposta ai bisogni dei singoli, delle famiglie e dei vari gruppi di persone in situazione di povertà. Esse sono arricchite molto dalla conoscenza, dalla relazione e dai tentativi di far stare dentro il tessuto sociale ed ecclesiale le persone che sperimentano povertà ed emarginazione. Di seguito presentiamo alcuni dati (cf. anche il riquadro qui a p. 222). Dal 2000 al 2008, anche grazie ai fondi derivanti dall’otto per mille, le Caritas diocesane hanno realizzato oltre 1.200 progetti a livello di Chiese locali, di cui 164 tuttora in corso di realizzazione, nell’ambito dell’emarginazione giovanile, del disturbo mentale, dell’accoglienza ai rifugiati, contro la tratta degli esseri umani, a sostegno delle persone senza dimora che si trovano in difficoltà e di quanti in genere vivono situazioni di bisogno. Questi progetti prevedono una quota del 60% del costo sostenuto da somme provenienti dall’otto per mille e non meno del 40% proveniente da somme messe a disposizione dalle Chiese locali per non parlare di tutte le strutture (mense, centri di accoglienza ecc.) messe a disposizione dalle Chiese locali per l’attivazione di tali servizi. Complessivamente questi progetti hanno impiegato risorse per oltre 130 milioni di euro, di cui 80 provenienti dall’otto per mille e oltre 50 da parte delle diocesi. All’interno di quest’ampia azione che risponde a una popolazione povera e variegata vi sono anche molteplici progettualità – finanziate sia dall’otto per mille sia da risorse delle diocesi – che hanno come destinatario privilegiato le famiglie. In particolare va segnalato che dal 2003 al 2008 la Caritas italiana ha contribuito, tramite l’otto per mille, alla realizzazione di progetti pensati prevalentemente per le famiglie: 90 progetti a livello diocesano hanno dato vita a iniziative di accoglienza e ad attività che puntano a favorire l’integrazione sociale, l’accompagnamento, il reinserimento lavorativo di persone che vivono in situazioni di disagio sociale. Un aiuto concreto è stato dato a minori, anziani e disabili, così come alle persone che hanno subito maltrattamenti. Poi vi sono il sostegno al reddito, il microcredito, il consumo responsabile, ma anche la sensibilizzazione su temi come il diritto alla vita, l’affido e l’adozione. 350 progetti riguardano attività a sostegno di quanti in famiglia hanno detenuti oppure ex detenuti, sono migranti, hanno subito violenze tra le mura di casa o sostengono donne vittime di violenze sessuali. Oltre 230 progetti prevedono azioni di accoglienza e orientamento attraverso l’attività dei centri d’ascolto parrocchiali e diocesani, dei consultori e dei servizi di orientamento, in cui è in crescita la presenza di famiglie non solo straniere. Infine 5 progetti sono stati promossi da realtà ecclesiali operanti a livello nazionale sul tema della solidarietà familiare. A i u t a re se n z a a ss i s te re Ciascuna delle 220 Caritas diocesane ha sviluppato nel corso degli anni un proprio modello di animazione pastorale e intervento caritativo, le cui caratteristiche sono spesso legate alle tradizioni di carità e solidarietà che si rintracciano nella storia delle diocesi. Per quanto riguarda gli interventi di aiuto alimentare, non tutte le Caritas diocesane promuovono tale tipo di attività, anche se in qualche modo una gran parte di esse ne è coinvolta, in forme e modalità differenti. La pratica dell’aiuto alimentare è forse quella più immediatamente percepibile, ma – come qualsiasi altra forma di erogazione diretta di beni materiali – può rischiare di determinare cronicità nell’assistenza, riducendo la possibilità che la famiglia-persona si renda protagonista di processi di recupero ed emancipazione sociale. In questo senso, le Caritas diocesane, pur non sottraendosi alla pratica della promozione dell’aiuto alimentare – che non può essere esclusa di fronte a situazioni conclamate di indigenza – tenta d’associare a tale forma di «riduzione del danno» un percorso di accompagnamento personalizzato di chi è in difficoltà, con lo scopo d’avviare progetti di uscita dalla povertà, come l’aiuto nella ricerca del lavoro o percorsi di rimotivazione psicologica. Possiamo stimare in circa 221.000 le persone che nel corso del 2007 si sono rivolte almeno una volta alle mense promosse dalle Caritas diocesane o collegate a esse, di cui approssimativamente il 30% italiani e il 70% stranieri. Da un monitoraggio su 80.000 persone povere che nel 2007 si sono rivolte a 372 (dei circa 6.000) centri d’ascolto Caritas a livello diocesano, zonale e parrocchiale, i due terzi sono risultati cittadini stranieri, in gran parte provenienti dall’Europa orientale, in particolare dalla Romania, o dal continente africano, soprattutto dall’Africa setten- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 221 CA R I TA S - C R I S I ECONOMICA Dar credito alla solidarietà D a Nord a Sud le iniziative si stanno moltiplicando. Microcredito, fondi straordinari per le famiglie in difficoltà, empori e forme di spese solidali, carte acquisti, sostegno e consulenze per il lavoro, per la casa, ma anche coordinamento delle strutture di distribuzione e d’accoglienza, potenziamento dei centri d’ascolto e degli osservatori delle povertà, incremento dei laboratori per la promozione delle Caritas parrocchiali per intensificare il lavoro d’animazione, accompagnamento e formazione delle comunità locali, il coinvolgimento delle Caritas in un’ottica educativa, in fedeltà alla loro specifica funzione pedagogica. Così, accanto al potenziamento delle risposte tradizionali alla povertà endemica ormai strutturale, si sperimentano forme di carità creativa per far fronte alle nuove fragilità e si riflette anche su stili di vita e di consumo. Tutto questo in un’ottica di sinergia con gli altri attori sociali e istituzionali, sempre nel rispetto delle competenze di ciascuno, ma anche con le realtà ecclesiali, suddividendosi i compiti e rendendo complementari e ancora più efficaci e integrate le iniziative a livello nazionale, regionale e diocesano. Va in questa direzione l’avvio di un Osservatorio nazionale e regionale sull’accesso al credito, voluto dalla Caritas italiana insieme alla Fondazione responsabilità etica e al centro culturale «L.F. Ferrari» di Modena per monitorare l’impatto del costo del credito e le difficoltà d’accesso per le famiglie in stato o a rischio di povertà. Uno strumento informativo, di orientamento e di sperimentazione che potrà avere significativi sviluppi anche nei contesti territoriali. trionale; quasi i due terzi dei cittadini stranieri sono risultati in possesso di permesso di soggiorno o in attesa di riceverlo. Ai centri di ascolto del Nord e del Centro si sono presentati soprattutto stranieri, mentre in quelli del Mezzogiorno si è verificata una crescita della presenza di italiani. Tale dato è da mettere in relazione soprattutto alla forte presenza di immigrati nelle regioni centro-settentrionali, ma anche alle maggiori difficoltà economiche della popolazione italiana nelle regioni meridionali. Fra gli italiani si riscontra una maggiore incidenza di problemi familiari dovuti a separazioni e divorzi. Il livello d’istruzione degli utenti italiani è inferiore a quello degli stranieri: tale dato conferma, da un lato, la relazione tra povertà e scarso livello d’istruzione, e, dall’altro, che gli immigrati sono generalmente in possesso di un bagaglio culturale di un certo livello. Tra i problemi riscontrati, i più gravi riguardano la condizione generica di povertà e la mancanza di lavoro. La maggioranza delle persone si è rivolta ai centri d’ascolto per chiedere beni e servizi materiali per far fronte alle necessità quotidiane, ma molte hanno 222 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 Poi vi son le iniziative di microcredito, collegate a Banca etica, all’interno della convenzione nazionale dalla Caritas italiana con numerose diocesi.1 Si segnalano, inoltre, iniziative realizzate tra Caritas diocesane e Banche di credito cooperativo (BCC),2 nonché l’istituzione di fondi speciali per le famiglie in una ventina di diocesi.3 Sono stati aperti empori dove acquistare a prezzi contenuti a Roma, Prato, Firenze, Terni, Asti, Milano, Livorno.4 È interessante non solo monitorare le varie iniziative, ma anche far riferimento ai documenti pastorali che le hanno generate, (lettere dei vescovi, come ad esempio i vescovi del Triveneto, e il documento della delegazione Caritas del Triveneto) ai regolamenti che ne sono una conseguenza (già pubblicati ad esempio per il fondo «Famiglia-lavoro» di Milano). Altre iniziative sono annunciate, ma non sono ancora chiare le finalità e i contesti in cui si vuole operare (ad esempio, se si tratti di fondi di garanzia o a fondo perduto, a favore delle famiglie o sul versante del lavoro). L u n go la Pe n i so la Un focus su alcune iniziative regionali e diocesane aiuta a capire meglio come si concretizzano queste idee. Il fondo «Famiglia-lavoro» promosso dall’arcidiocesi di Milano ha superato la soglia dei 3 milioni di euro. Esso è stato istituito nel Natale 2008 dal card. Dionigi Tettamanzi per combattere la crisi economica e si rivolge alle famiglie che si trovano in difficoltà a causa della perdita del lavoro. Oltre che un progetto di aiuto, il fondo vuole formulato richieste di sussidi economici e di lavoro. Gli interventi effettuati dai centri d’ascolto hanno inoltre riguardato problemi familiari e di salute. I dati rilevati manifestano la persistenza della povertà «classica», legata alla mancanza di lavoro, all’insufficienza (o alla mancanza) del reddito, alle difficoltà abitative, ai problemi relazionali e di salute. E le rilevazioni a campione di alcune Caritas diocesane indicano una situazione ancora più grave nel 2008. Ad esempio la Caritas di Pisa ha rilevato un incremento del 30% dei poveri frequentanti il centro d’ascolto diocesano e nuove tipologie. Sono per lo più famiglie giovani che hanno acceso un mutuo o che devono far fronte a rateizzazioni, famiglie monoparentali costituite da donne sole con figli a carico, uomini e donne tra i 45 e i 50 anni espulsi dal processo produttivo, anziani con problemi di salute. Secondo la Caritas diocesana di Torino da settembre a dicembre 2008 sono stati circa 50.000 i passaggi nei 91 centri di ascolto, in crescita del 2025% rispetto ai due anni precedenti. Di questi il 15-20% appartiene ai cosiddetti poveri grigi, persone, cioè, che non ricadono nella categoria classica della povertà. Più in generale possiamo rilevare che crescono il precariato, il lavoro nero, la povertà femminile a causa dell’abbandono, gli immigrati che, con regolare permesso di soggiorno e con un qualche lavoro, rischiano di venir schiacciati da questa crisi. I dati dell’Osservatorio della Caritas diocesana di Rimini mostrano una situazione in costante peggioramento riguardo alla richiesta di alloggi e in relazione ai pagamenti delle utenze connesse alle abitazioni. L’associazione di volontariato Famiglie insieme, promossa dalla Caritas diocesana e che dal 1996 eroga prestiti o ne favorisce l’erogazione a favore delle famiglie in difficoltà, rileva, nel 2008, una significativa richiesta da parte delle famiglie italiane (98 al 31.10.2008, corrispondenti al 63,6% delle famiglie assistite, rispetto al 57,1% del 2007) che a essa si sono rivolte, in particolare, per far fronte alle spese di utenze e affitto. In diminuzione di dieci unità le erogazioni agli stranieri che hanno chiesto aiuto (56 al 31.10.2008, pari al 36,4%, contro il 42,9% nello stesso periodo del 2007). soprattutto essere, per usare le parole del card. Tettamanzi, uno strumento educativo, «un segno con cui la Chiesa ambrosiana manifesta il suo impegno di sobrietà e di solidarietà». Alla fine del mese di marzo sono stati distribuiti i primi contributi alle famiglie bisognose, individuate dai decanati in collaborazione con le Caritas locali e le ACLI. Oltre al fondo «emergenza famiglie 2009» gestito dalla Caritas, che è stato istituito a Bologna dal card. Carlo Caffarra nel gennaio scorso, ricordiamo anche le iniziative delle diocesi umbre e, per il Sud, della diocesi di Andria. «Di fronte alle difficoltà economiche che stanno colpendo molte famiglie – si legge in una nota della Conferenza episcopale umbra –, le Chiese dell’Umbria intendono rammentare a tutti il dovere di praticare la gratuità e la necessità di cambiare gli stili di vita per una società più sobria, equa e solidale». Il fondo interverrà con una logica di sussidiarietà e collaborazione rispetto agli interventi deliberati da stato, regione, comuni e dalla stessa Conferenza episcopale italiana. Particolare attenzione verrà riservata alle famiglie monoreddito con figli o in attesa di figli, che abbiano perso il lavoro o non siano sufficientemente coperte dagli ammortizzatori sociali e da altre provvidenze pubbliche, specialmente se il nucleo ha componenti affetti da gravi malattie o disabilità. Per dare concreta attuazione al progetto, quando il fondo sarà attivato, la Chiesa si avvarrà delle Caritas umbre e delle associazioni impegnate nel mondo del lavoro e della solidarietà. La consolidata esperienza nell’ambito del microcredito che data sin dall’aprile 2008 ha spinto la Caritas diocesana di Andria, in collaborazione con l’Ufficio diocesano di pastorale familiare, a interveni- Sul lungo periodo L’attuale crisi economica è stata causata – oltre ad altri fattori congiunturali – dalla centralità della finanza rispetto alla centralità del lavoro e dall’allargamento indistinto del credito in vari paesi, in misura minore in Italia, forte di una tradizione di risparmio. Essa si presenta ora con caratteristiche di non brevità: oltre al 2009 segnerà il 2010, come afferma il documento dei 70 economisti docenti delle università romane. La crisi sta intaccando ed erodendo il mondo del lavoro con perdita di posti di lavoro e dislocazione delle imprese; sta provocando ricorso, con molta facilità, alla cassa integrazione nelle industrie; sta mettendo in atto un’ulteriore crescita della precarizzazione del lavoro; sta interessando anche il mondo dell’artigianato; sta rischiando d’influire fortemente sui futuri pensionati (in particolare coloro che oggi sono giovani), dato l’impatto ancora non determinato e non determinabile sui fondi pensione (destinati a sostenere in misura sempre maggiore i redditi da pensione); riguarda in modo massiccio le famiglie. A partire dal quadro, seppur in- re a favore delle famiglie e del reddito. Dopo diversi incontri per leggere la situazione, analizzare i dati e individuare le soluzioni, si è optato per la creazione di un fondo «Fiducia e solidarietà». Il target dei beneficiari è individuato in tutte quelle famiglie che, pur possedendo un reddito, si trovano immediatamente sopra la soglia di povertà. Un evento imprevisto potrebbe trascinarle nella povertà e per questo il fondo si prefigge di finanziare i seguenti ambiti: salute, istruzione, casa, lavoro. La restituzione del prestito favorirà la possibilità che altri soggetti possano usufruire nel tempo di aiuti economici. Un intervento simile ha un significato promozionale ed educativo: non si tratta di una risposta emergenziale o tampone (per questo operano già attivamente i centri d’ascolto e di accoglienza), ma ha l’obiettivo di promuovere la persona (e la famiglia) e di creare nuove forme di solidarietà. V. N. 1 Campobasso, Termoli-Larino, Crotone, Catanzaro, Rossano, Lamezia Terme, Reggio Calabria (socio assistenziale e imprenditoriale tramite la Fondazione «Calabria etica»), Lucera, Andria, Assisi, Mazara del Vallo, Biella, Città di Castello, Treviso, Imola, Vercelli, La Spezia, Frosinone, Monreale. 2 Ravenna, Imola, Cremona, San Marco Argentano – Scalea, Vicenza, Fano, Piacenza, Teggiano – Policastro. 3 Milano, Prato, Mantova, Bologna, Bergamo, Torino, Savona, Trieste, Senigallia, Genova, Pordenone, Lucca, Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Pitigliano, Siena, San Miniato, Pistoia, Firenze, Padova, Lodi, Gorizia e diocesi dell’Umbria. 4 Altre esperienze sono state avviate nelle diocesi di Siena, Rimini, Ancona – Osimo, Vicenza, Torino, Gorizia, Cuneo, Gubbio, Palermo, L’Aquila, Roma, Bolzano – Bressanone, Messina, Locri – Gerace, Teramo – Atri. completo, sopra descritto, è possibile individuare percorribili impegni e interventi da porre in capo a responsabilità diverse. Le istituzioni. È importante che ogni realtà diocesana abbia innanzitutto conoscenza chiara degli interventi operati dalle istituzioni pubbliche: dallo stato, dalle istituzioni europee, dalle regioni e dai comuni, con un’attenzione a un federalismo solidale che non isoli le zone più in difficoltà del paese. Occorre fare attenzione a che tali interventi e risposte non siano diseguali e discriminanti e che prendano in considerazione i bisogni dei lavoratori e delle famiglie immigrate. Le imprese. Vanno sollecitate le imprese a mettere in atto con coraggio interventi diversificati quali: nuovi investimenti, formazione al lavoro, settimana breve, riconversione dell’impresa, formazione permanente, patto sociale con i sindacati. Le Chiese. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché dell’intervento delle Chiese locali. Occorre dire che è insita nelle Chiese locali la prossimità e la vicinanza alle famiglie e l’impegno ordinario di gesti di solidarietà concreta e diretta, ma anche la possibilità d’intraprendere vie nuove capaci d’esprimere la prossimità, ma anche la possibilità di combattere le cause strutturali dell’esclusione e della povertà, nonché l’invito a tutte le componenti della società a fare la propria parte nel combattere la crisi attuale. Per quanto riguarda le Chiese locali è necessario individuare alcune linee generali. Innanzitutto rafforzare le funzioni di coordinamento locale (da parte delle diocesi e, in particolare, da affidare alle Caritas per evitare sovrapposizioni, duplicazioni di interventi, sprechi ecc.), cogliendo l’occasione per rafforzare la dimensione comunionale della comunità cristiana; rendere visibile uno stile ecclesiale sobrio, essenziale, credibile ed efficace di intervento; evidenziare la popolarità delle Chiese locali, vale a dire il loro impasto nei vissuti quotidiani del proprio territorio. In secondo luogo occorre potenziare e valorizzare l’attività di ascolto e di osservazione, per poter fornire dati aggiornati non solo alle nostre comunità, ma anche agli operatori della comunicazione e ai decisori politici, dal momento che i dati ufficiali (in particolare IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 223 c .Regno f Di fronte alla crisi economica che ha preso il via nell’agosto 2008 e dinanzi alle azioni politiche, sociali ed ecclesiali per contrastarla, Il Regno ha pubblicato nel corso di questi mesi numerosi interventi e analisi per offrire un contributo alla riflessione. G. BRUNELLI, «Unione Europea – Crisi finanziaria: la responsabilità dell’Europa. Intervista a T. Padoa Schioppa», in Regno-att. 18,2008,585; G. MOCELLIN, «Crisi finanziaria – Chiese: se mancano le regole per ciò che passa», in Regno-att. 18,2008,586; M. SPEEKS, «Un prete nella crisi: per non ritirarsi dal mondo», in Regno-att. 18,2008,588; F. MARZANO, «Considerazioni sulla crisi finanziaria mondiale. Dopo il monetarismo», in Regno-att. 22,2008,781; B. EMUNDS, «Goodbye Wall Street, hello Wall Street. Sulla crisi finanziaria internazionale», in Regno-doc. 1,2009,53; L. PREZZI, «Crisi economica: tentazioni di una vita a rate. Vescovi di Torino, Napoli, Ancona, Ivrea», in Regnoatt. 2,2009,4; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, «Finanza, crisi, sviluppo», in Regno-doc. 3,2009,81; E. COPPOLA, «Europa – Economia e solidarietà: crisi, banche e imprenditori», in Regnoatt. 6,2009,159; M.C. RIOLI, «Africa – Caritas internationalis: la crisi letta da Sud», in Regno-att. 6,2009,192; S.M. TOMASI, L.A. KNIGHT, «Dentro la tormenta, un’opzione preferenziale», in Regno-doc. 7,2009,000; 17 ORGANIZZAZIONI PER LO SVILUPPO, «La crisi e i nostri destini legati», in Regno-doc. 7,2009,000. ISTAT) vengono divulgati con un anno di ritardo, per cui si avrà il paradosso per il 2009 di disporre degli andamenti della povertà del 2008, che nulla diranno della crisi in atto. Occorre, inoltre, incentivare strumenti di sostegno economico mirato alle famiglie, non solo a fondo perduto, sviluppando forme decisionali trasparenti ed efficaci, tali non solo da evitare sprechi, ma soprattutto orientate all’accompagnamento duraturo alle famiglie, per evitare forme di esclusione e isolamento sociale, tali da provocare ricadute di tipo psicologico-relazionale. In particolare, per le regioni del Sud, occorre creare infrastrutture sociali che abbiano una dimensione duratura. Potrebbe essere utile contribuire alla sperimentazione del modello delle fondazioni di comunità – affiancando eventualmente il percorso avviato dalla 224 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 Fondazione per il Sud – al fine di realizzare forme di sviluppo locale eticamente garantite; offrire sostegno ai soggetti sociali sani, che provengono per lo più da esperienze delle comunità cristiane; dare segni visibili e duraturi dell’impegno delle Chiese in Italia per il Meridione del paese. Infine occorre promuovere con i consigli pastorali, i consigli per gli affari economici e gli altri organismi competenti delle parrocchie, una seria riflessione con conseguenti scelte culturali, educative e di solidarietà concreta. Infatti, come ha affermato papa Benedetto XVI nell’omelia del 1o gennaio scorso, «per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà quali valori evangelici e al tempo stesso universali». In concreto, è necessario provocare e accompagnare la crescita di stili di vita più sobri e sostenibili in termini di giustizia e solidarietà, frutto anche di consapevolezza critica sulle cause dell’attuale situazione. Crisi come occasione Tutto ciò richiede innanzitutto un impegno comune e collegiale da parte di tutti i soggetti sociali: istituzioni, mondo produttivo ed economico, Chiesa, terzo settore, singoli cittadini. Perciò le nostre diocesi hanno avviato e stanno sviluppando il confronto e le sinergie con diversi attori sociali. Ciò può favorire una molteplicità di interventi che hanno bisogno di una buona organizzazione che richiede: un Osservatorio della crisi per aiutare a orientare e modificare le risposte; centri d’ascolto Caritas e patronati ACLI, CISL, MCL ecc., come strumenti e servizi di accompagnamento per usufruire delle risorse messe a disposizione dalle istituzioni, per conoscere le opportunità del mondo ecclesiale e del terzo settore (fondazioni, cooperative, associazioni), che rinegozino i mutui e rivedano le spese, costruendo un percorso di attenzione personalizzato; équipe delle Caritas diocesane (o zonali nelle grandi diocesi) e della pastorale sociale con figure competenti del mondo economico, finanziario e sociale – che settimanalmente esaminino le richieste. Ma tutto questo richiede anche una consapevolezza: le crisi sono occasioni di verifica, di riflessione e possono generare nuove opportunità. Una prima riflessione sarà quella di comprendere meglio gli ambiti propri del mercato (non tutto può essere comprato e venduto) e quella di ripensare la sua regolamentazione per impedire che il profitto diventi sinonimo d’inganno e sfruttamento dei propri simili. La seconda riflessione deve riguardare il tema dell’aziendalizzazione sia nel campo dei servizi, sia nel campo dei beni essenziali: occorre ricordare che questo processo non può essere un feticcio, perché rischia, senza le dovute protezioni, di mettere le famiglie in condizione di non poter sostenere le spese per i beni essenziali, senza qualche tipo di ammortizzatore. La prosperità economica sarà poi oggetto del terzo ambito di riflessione in quanto bene parziale che non coincide con il benessere fisico, psicologico, sociale e spirituale. Non corrisponde alla salute globale, che assomiglia molto alla felicità. La politica, perciò, non può accontentarsi dell’aumento del PIL, ma deve tendere a un bene più globale, coadiuvata anche da scuole e servizi sanitari e sociali di qualità. Tutti dobbiamo imparare a vivere in modo più sobrio, essenziale e solidale. Consumare e investire più criticamente, perché ci è stato ormai dimostrato come dalle scelte quotidiane di consumo e dall’impiego dei nostri eventuali risparmi dipende la vita di tutti. È per questo che assumiamo pienamente quanto ha detto mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della Caritas italiana, durante i lavori dell’ultimo Consiglio nazionale: «Forse è vero che in questo momento di crisi l’unica cosa certa è l’incertezza, ma dobbiamo avere fiducia. Non una fiducia semplicistica in una magica soluzione dei problemi, ma una fiducia nell’impegno di solidarietà e nel nostro essere presenti, come sempre, accanto a chi è in difficoltà». Vittorio Nozza 1 Caritas italiana collabora da vent’anni col consorzio finanziario ETIMOS e da dieci con Banca etica, oltre che con altre realtà mutualistiche e di cooperazione, cercando di dimostrare che unire credito e attento accompagnamento delle persone permette ai poveri percorsi reali di solidarietà e di promozione umana. CEI - ABI Crisi economica Il magistero della solidarietà L a Conferenza episcopale italiana (CEI), d’intesa con l’Associazione bancaria italiana (ABI), darà vita a un fondo di garanzia e di solidarietà basato su una grande colletta che si terrà in tutte le Chiese italiane, domenica 31 maggio. Al fondo inoltre si potrà contribuire anche per altre vie, per esempio attraverso conti correnti bancari da istituire ad hoc. Non si tratta di opere caritative ma dell’istituzione di un fondo di garanzia da circa 30 milioni di euro in grado di generare prestiti bancari per 300 milioni. L’iniziativa era stata preannunciata fin dallo scorso gennaio, ma ora sta per diventare operativa. L’ABI dovrà farsi carico di diventare interfaccia con i singoli istituti di credito garantendo un effetto di «decuplicazione» delle erogazioni rispetto all’ammontare del fondo di garanzia messo a disposizione dai vescovi. La Chiesa vicina L’iniziativa è stata ufficializzata il 31 marzo scorso dal nuovo segretario della CEI, mons. Mariano Crociata, a margine dei lavori del Consiglio permanente. L’iniziativa si affianca alle molteplici azioni già intraprese dalle singole diocesi e dalla Caritas italiana (cf. in questo numero a p. 219). Per questa operazione di solidarietà non verrà intaccato nessun fondo attualmente attivo: «Il fondo per la Caritas nazionale – ha spiegato mons. Crociata – viene interamente erogato e non si tocca. I capitoli che sono stati utilizzati finora non verranno utilizzati. Noi speriamo di raggiungere il tetto dei 30 milioni. Confidiamo nella generosità degli italiani». Al momento non vi è alcuna risposta sulla possibilità di utilizzare i fondi dell’8 per mille. Le Caritas parrocchiali, come in altri casi, si troveranno a svolgere un ruolo di collante operativo fondamentale. Al fondo potranno accedere le famiglie regolari, anche straniere e non cattoliche. L’importante è che siano famiglie. Va da sé che le erogazioni ricevute non saranno cu- mulabili con altre azioni di solidarietà dello stesso genere attivate a livello locale. «Le famiglie non ricevono un’elemosina – ha affermato il segretario della CEI – ma un aiuto di cui si servono per tornare sul mercato del lavoro. Quello che è importante è che si tratti di famiglie fondate sul matrimonio anche civile, quindi anche stranieri». Potranno fare richiesta di accesso le famiglie regolari con tre figli o malati e disabili a carico, che abbiano perso ogni fonte di reddito. Il calcolo è che possano accedere al fondo dalle 20 a 30 mila famiglie. L’aiuto sarà di 500 euro al mese, per un anno. Esteso anche un secondo se le condizioni di necessità rimarranno tali. Il documento di intesa tra CEI e ABI verrà stilato nei prossimi giorni. Mancano ancora alcuni dettagli operativi, come il tasso con cui dovrà essere restituito il prestito dai fruitori. «La richiesta di restituzione vale dal momento in cui la famiglia che ha ricevuto il contributo ritorna a lavorare e ad avere un reddito da lavoro – ha spiegato Crociata – A partire da quella data il prestito viene previsto in restituzione lungo un tempo di 5 anni. Il tasso viene fissato sotto un termine massimo concordato e che ogni banca deciderà autonomamente (...). Le caratteristiche principali di questo fondo – ha detto ancora mons. Crociata – sono date dal suo carattere e dalla sua finalità ecclesiali (...), dal suo essere frutto di un congiungimento delle Chiese, dei fedeli e delle comunità ecclesiali di tutta Italia. Un fondo che fa da garanzia all’erogazione di un contributo destinato alle famiglie, per aiutarle a superare la fase di crisi e consentire di tornare sul mercato del lavoro senza essere cadute al di sotto della soglia di povertà». Il prisma etico della crisi L’insieme di queste iniziative di presenza della Chiesa verso coloro che sono travolti, o rischiano di esserlo, da una crisi finanziaria che è già crisi economica e sta per diventa- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 225 re crisi sociale, mantengono vivo uno stile ecclesiale che contraddistingue la Chiesa italiana lungo la propria storia. Appare sempre più indispensabile, accanto a questa presenza solidale che guarda necessariamente e utilmente agli effetti della crisi, riprendere a livello generale e locale i temi di fondo della riflessione del magistero sociale, perché questa crisi internazionale si rivela sempre più essere un prisma etico-politico decisivo. Tra le questioni di fondo che essa porta con sé vi sono i temi delle regole economiche e degli istituti internazionali necessari; del rapporto tra oligarchie economico-finanziarie e potere politico e del ruolo dello stato nell’economia di mercato; delle relazioni multilaterali; del recupero dei temi dell’uguaglianza e della giustizia sociale, che la caduta del comunismo aveva trascinato rovinosamente con sé; della trasparenza e della «verità» delle democrazie e dei processi di semplificazione delle decisioni come sostitutivi di un dibattito realmente democratico; della partecipazione reale nella vita civile come antidoto al riesplodere della violenza sotto forma di ribellismo antimanageriale e di protesta sociale. G. B. Don S. Browning Etica cristiana e psicologie morali he cosa possono imparare l’etica filosofica e la morale cristiana dai processi psicologici? L’autore propone una risposta approfondita, nella convinzione che la psicologia morale contemporanea possa offrire un contributo specifico all’etica cristiana. Il volume discute anche la questione della formazione morale di ragazzi e giovani ed esamina la natura della maturità morale dell’adulto. C «Psicologia e formazione» pp. 344 - € 32,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 I TA L I A i I n seguito a una serie di gravi atti di criminalità compiuti da cittadini romeni ed enfatizzati dai mezzi di comunicazione, la comunità romena in Italia negli ultimi mesi ha avvertito un aumento dell’insofferenza e della discriminazione xenofoba nei suoi confronti in modo generalizzato. Questa percezione ha provocato reazioni anche da parte delle Chiese, sia in Romania sia nel nostro paese. Il 23 febbraio mons. Ioan Robu, arcivescovo cattolico di Bucarest e presidente della Conferenza episcopale romena, ha indirizzato una lettera al card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana. «Tutto il male fatto [da cittadini romeni] ci mortifica e ci riempie di sdegno. E sono convinto che questi sono i sentimenti di tutti i romeni, anche di quelli che lavorano in Italia rispettando sé stessi e i loro fratelli italiani». Ringraziando la Chiesa cattolica in Italia per la «buona e fraterna accoglienza» che ha sempre dimostrato alle comunità romene e per tutte le volte in cui «ha preso posizione a favore degli immigrati nello spirito di solidarietà e carità fraterna, a tutti noto», si dice convinto che «l’amicizia tradizionale tra italiani e romeni come pure la comune solidarietà contro tutte le forme del male potranno prevalere e vincere qualsiasi tentazione di vedere solo il male». Il card. Bagnasco ha risposto il 26 marzo: «Nel ringraziarla per il gesto di attenzione, posso assicurarle la sti- 226 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 Chiese romene l barometro dell’odio La reazione ai delitti compiuti da romeni e alla discriminazione xenofoba ma e la vicinanza delle Chiese italiane nei confronti delle Chiese di Romania, nella consapevolezza del comune impegno a contrastare ogni forma di violenza e illegalità. Tanti italiani, in un passato anche recente, sono stati migranti in terra straniera alla ricerca di un lavoro, per garantire un futuro dignitoso alle proprie famiglie». Per questo «apprezziamo coloro che giungono in Italia per portare il contributo delle proprie energie ed essere parte nell’edificazione di una società più giusta», confermando che «non verrà meno il nostro impegno nella cura pastorale dei fedeli cattolici provenienti dalla Romania». Cara Ital ia Mons. Siluan Span, a capo della diocesi ortodossa romena in Italia, ha inviato il 22 febbraio una lettera a tutte le 92 parrocchie presenti nel paese per proporre un «atteggiamento positivo» con cui affrontare la situazione che si è venuta a creare. Tale lettera, firmata presso le singole comunità, è stata successivamente inviata ai rispettivi vescovi diocesani cattolici, alcuni dei quali ora stanno rispondendo. Ha risposto, per esempio, mons. Luciano Monari, vescovo di Brescia: «Provo a immaginare che cosa significhi per tutte queste persone sentirsi addosso un sospetto: romeno, dunque... andare per la strada e temere di far capire agli altri di essere romeni: dover tentare di camuffare la propria identità; è una forma di povertà sociale insopportabile in una società civile come la nostra. (...) Per quanto ri- guarda le comunità cristiane, non ci sono dubbi o esitazioni. La regola è quella che san Paolo ha scritto ai Colossesi: non vi è greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, scita, schiavo, libero, ma Cristo è nato in tutti noi» (La voce del popolo 3.4.2009). Nella missiva di mons. Span è contenuta anche una «lettera aperta» alle autorità civili, che dopo essere stata ugualmente sottoscritta dai fedeli nelle parrocchie è stata indirizzata ai comuni. In essa, che è firmata «un romeno», si dà voce ai sentimenti che gli immigrati romeni provano nei confronti della «cara Italia»: riconoscenza, orgoglio, ma oggi anche paura, tristezza. «Da qualche tempo, per alcuni, la cittadinanza romena è diventata un problema, l’appartenenza alla grande famiglia europea non conta più e il principio generoso di “umanità”, al quale la cultura italiana ha contribuito nei secoli scorsi in maniera fondamentale, è dimenticato a favore di alcuni criteri pericolosi quali “razza” e “straniero”. Queste categorie creano spaccature nel corpo sociale e generano inimicizie discriminatorie, calpestando perfino lo spirito e la lettera della Costituzione italiana. Nel 1990 nella penisola si trovavano quasi 6.000 romeni. Perciò il milione circa di persone che sono arrivate qua dalla Romania alla ricerca di una vita migliore l’ha fatto dopo essersi salvate dalla reclusione di un duro regime totalitario. La certezza della libertà e della sicurezza che uno stato di diritto offre al- l’individuo è quella che ci ha attratti verso di te». L’appello è al rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione e dalle carte internazionali che l’Italia ha firmato. «Cara Italia, la mia storia è quella di una persona qualsiasi, che non uccide e non ruba. È la storia di un milione di romeni che vive qui, nella tua casa, rispettando le tue regole, ma che si sente stigmatizzato e trasformato in capro espiatorio per la colpa e le illegalità di qualche nostro cittadino. Quelli che infrangono le leggi devono pagare. Ma, come in tutti gli stati di diritto, le pene devono essere individuali e in diretta proporzione con la gravità dei fatti. Le pene collettive non risolvono nulla. Al contrario, coltivano il clima dell’odio e dell’intolleranza. Cioè fanno sì che noi, persone con storie semplici ma buone e belle, non ci intendiamo più tra noi, non comunichiamo più, non abbiamo più fiducia uni negli altri». Chi è violento e chi è sfrut tato Si è invece rivolto a tutti i fedeli ortodossi romeni presenti in Italia il patriarca ortodosso di Romania, Daniel, per manifestare una piena solidarietà per «le accuse generalizzate nei loro confronti». Nella lettera inviata il 22 marzo egli ricorda che alla luce della passione di Cristo, che ricordiamo liturgicamente in questi giorni, «possiamo capire meglio la sofferenza causata dalle diffamazioni e dalle accuse rivolte a tutti i romeni in Italia per il male commesso da una minoranza dei nostri connazionali. Guardiamo con tristezza agli errori commessi quando non si discerne nella totalità i colpevoli dagli innocenti». Rivolgendosi ai colpevoli degli atti violenti chiede «paternamente (...) di pentirsi e di abbandonare la strada del male». Esprime «gratitudine a tutte le donne, figlie della nostra Chiesa, che talvolta, a costo anche di abbandonare le loro famiglie in Romania, si prendono umilmente cura dei bambini e degli anziani nelle famiglie italiane, patendo talvolta grandi difficoltà e umiliazioni». «Pensiamo anche a tutti coloro che, con il prezzo del loro sudore, si sottopongono ai più duri lavori e che spesso vengono sfruttati da una bassa retribuzione, e a volte addirittura lasciati senza salario. Chiediamo a Dio che renda loro giustizia, salute e il sostegno necessari perché possano superare tutti questi disagi». Infine rivolge il pensiero «alle famiglie che, a causa della povertà materiale o per altre ragioni, si sono separate per la partenza in Italia di uno dei genitori o di entrambi lasciando i bambini ai nonni e ai parenti in Romania». E annuncia che da quest’anno la Chiesa ortodossa romena celebrerà nella domenica successiva al 15 agosto la festa «dei migranti romeni». Daniela Sala Di fronte a questo monumento un gruppo di delegati di Caritas italiana si è incontrato per una preghiera la sera del 26 marzo, momento tra i più emozionanti all’interno delle tre giornate d’incontro (25-27 marzo) a cui hanno partecipato circa cento rappresentanti di Caritas italiana e delle Caritas diocesane riunite nel Coordinamento immigrazione, insieme a membri della Fondazione Migrantes e delle Chiese siciliane. Nel corso della preghiera mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha richiamato il passo evangelico della fuga in Egitto, affermando che «oggi Maria si chiama Fatima, Giuseppe è Omar e Gesù si chiama Mustafa». Mons. Montenegro, mons. Romeo, vescovo di Palermo, Giuseppe Merisi e don Vittorio Nozza, rispettivamente presidente e direttore di Caritas italiana, hanno visitato il Centro d’identificazione ed espulsione (CIE), poche settimane dopo la rivolta degli immigrati contro le drammatiche condizioni interne. Il vicedirettore della Caritas Francesco Marsico ha parlato di «una legislazione vigente chiaramente inefficiente». Franco Pittau, coordinatore del dossier sull’immi- grazione realizzato dalla Caritas e dalla Fondazione Migrantes, ha richiamato la necessità di un «pacchetto integrazione», piuttosto che «un’enfasi eccessiva alla questione della sicurezza». In Italia, continua Pittau, «il fondo per le politiche per l’integrazione è di appena 5 milioni di euro per tutte le regioni», mentre nazioni come Spagna e Germania toccano i 300 e i 750 milioni di euro. Vittorio Nozza ha spiegato il senso di un incontro nell’isola cerniera tra Africa ed Europa e ha ricordato il ruolo e l’impegno dei suoi abitanti, delle istituzioni e degli operatori di ONG e organismi internazionali. Lampedusa come simbolo di un ponte tra i popoli: Aldo Morrone, direttore dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà, domanda: «Vi ricordate le foto dei migranti di Ellis Island nella baia di New York? Avevano tutti più di una valigia, piena di oggetti e di sogni; chi arriva a Lampedusa non ha nulla, resta in balia delle onde aggrappato solo ai suoi sogni, ma è spesso ricco di valori che forse l’Occidente sta dimenticando». Maria Chiara Rioli Lampedusa Immigrazione Porta del Mediterraneo S carpe, conchiglie, cappelli, stralci di vestiti, brandelli d’umanità. Impigliati in uno scoglio, portati a riva dalla corrente, scolpiti su una porta. Residui d’umanità, ossi di seppia delle migliaia di persone che attraversano il Mediterraneo in nome di angosce e speranze che Lampedusa, insieme ai corpi, trova sulle sue spiagge. Lo scultore Mimmo Paladino realizzò nel 2008 la scultura, ribattezzata «Porta d’Europa», che è il simbolo del sogno di un Mediterraneo crocevia e non più Via crucis. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 227 Musulmani I TA L I A a genda minima di convivenza I luoghi e le occasioni dell’incontro tra comunità cristiane e islamiche L e circostanze che vedono assieme cristiani e musulmani sono degli spaccati di quotidiano affidati all’intelligenza e all’operosità dei singoli, ma quello che più suona strano è il fatto inedito che la comunità ecclesiale si veda oggi chiamata a una non prevista «cura pastorale» nei confronti dei credenti musulmani. C’è, a questo proposito, una sensibilità da promuovere e una concretezza da mettere in atto, minimali magari e spesso acerbe, ma non per questo meno urgenti. Alcuni ambiti di convivenza sono già noti e visibili, mentre altri nascondono comunque precisi tentativi di approccio.1 Va ricordato, inoltre, che riguardo ad alcuni dei «luoghi di convivenza» sui quali ci soffermeremo dovrà inevitabilmente pronunciarsi lo stato (legge sulla libertà religiosa o intesa) in ottemperanza agli articoli 3, 8 e 20 della Costituzione (pur sapendo quanto sia ormai diventata disagevole la questione), al fine di evitare una serie di comportamenti non sempre omogenei, oppure scelte pragmatiche discordanti e discrepanze giuridiche, quali puntualmente si ripropongono nei confronti di cittadini musulmani. A scuola e in parrocchia La scuola. Il dibattito pubblico ha spesso visto la scuola protagonista di scelte pratiche discutibili e affrettate, in nome di un generico e confuso rispetto del pluralismo. Andrebbe an- 228 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 che aggiunto che il più delle volte la responsabilità dell’accaduto non era da addebitarsi ai musulmani. La richiesta dell’insegnamento della religione islamica all’interno dell’orario scolastico non è univoca da parte delle associazioni musulmane in Italia: ciò è dovuto alle diverse tradizioni islamiche presenti nel paese, al numero minimo di alunni richiesto, ai criteri di scelta e assunzione degli insegnanti e all’impostazione del corso. Da parte sua, la normativa scolastica già consente alle famiglie degli alunni musulmani di chiedere al Consiglio di circolo o d’istituto, tra le attività complementari, lo studio del fatto religioso (anche in base al decreto legislativo n. 286/1998, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 38, che tutela la lingua e la cultura d’origine). Tuttavia, l’insegnamento eventuale nella scuola pubblica dovrà essere emendato da alcuni princìpi islamici in conflitto con la Costituzione e la legislazione italiana (si pensi alle questioni relative alla famiglia, al ruolo subordinato della donna e alla libertà personale). Se poi capita che nelle scuole d’infanzia parrocchiali e nelle scuole cattoliche siano accolti bambini e alunni musulmani, siamo davanti a un fatto che si carica di significato ulteriore. Le famiglie musulmane non disdegnano l’iscrizione dei loro figli a scuole cattoliche che ritengono adeguate alla formazione: spetta agli insegnanti e alle direzioni, coinvolgendo le famiglie, fare in modo che l’ispirazione di fondo, la chiarezza degli obiettivi e il rispetto della diversità procedano serenamente. Il problema della scuola e dell’educazione della seconda generazione è importante soprattutto per quelle famiglie e organizzazioni islamiche che temono lo sradicamento a causa della secolarizzazione. L’eventuale creazione di scuole private è consentito dalla Costituzione (art. 33) e dal decreto legge n. 297/1994 (art. 366) con precise modalità: i musulmani potrebbero con una relativa facilità aprire delle scuole private, ma forse a causa dell’inadeguatezza dei propri mezzi, soprattutto culturali, hanno preferito risolvere il problema educativo attraverso le scuole coraniche e l’animazione del tempo libero. Attività parrocchiali. Vi è la possibilità, sempre più reale, che ragazzi e giovani musulmani s’inseriscano nelle attività parrocchiali, attraverso le iniziative estive, la presenza nei centri parrocchiali (oratori) o addirittura l’adesione a movimenti e gruppi ben caratterizzati, come l’AGESCI. Ne derivano, ovviamente, delle attenzioni particolari che non dovrebbero mancare da parte degli operatori cristiani: se anche un musulmano non fosse del tutto consapevole del significato che riveste la propria partecipazione a una proposta parrocchiale, l’intelligenza educativa non potrà comunque fare a meno della discrezione, del rispetto e della chiarezza, senza imporre quanto non dovuto. Riguardo ai centri parrocchiali, questi non devono stravolgere la loro natura di luoghi di formazione alla fede cristiana: si tratta di trovare un equilibrio tra il percorso cristiano specifico (catechesi, preghiera, sacramenti) e la proposta educativa rivolta a tutti i ragazzi, di etnie e religioni diverse. In Italia le esperienze, a questo proposito, sono molteplici e le considerazioni più diffuse portano a vedere positivamente lo scambio tra ragazzi e giovani, che hanno così l’opportunità di conoscersi, di fare esperienza reale di consuetudini e fedi diverse (motivando, magari, la propria). In alcuni contesti numericamente più rilevanti, però, rimane difficile la gestione di una serie di variabili non indifferenti, quali possono essere il flusso delle presenze, il livello d’integrazione e maturazione umana, i modelli familiari ed educativi soggiacenti, l’età dei partecipanti. Luoghi di preghiera e d’incontro La costruzione di moschee. In ambito specialistico si usa la dicitura «luoghi di preghiera» per indicare quei luoghi, logisticamente molto diversificati, dove i musulmani in Italia si ritrovano per pregare, ma anche per socializzare, per iniziative culturali, per l’apprendimento della lingua araba e via dicendo. La sala di preghiera ha svolto e svolge un importante ruolo in vista dell’aggregazione, dei legami con la cultura di appartenenza e del reale inserimento nel contesto territoriale. Di fronte alla richiesta musulmana di usufruire di un ambiente per la preghiera, la discussione può fare tutto, ma non limitare un diritto costituzionalmente riconosciuto. Il diritto alla libertà religiosa e alla libertà di culto, e la garanzia dei diritti delle minoranze, sono a fondamento dell’Occidente e della sua cultura giuridica, perché la libertà religiosa è un diritto civile fondato sulla natura stessa della persona e non sul- la concessione di qualche autorità: per questo non può essere negata né disattesa. Detto questo, se è vero che progetto e costruzione di una «moschea» rientrano nel capitolo delle opere di urbanizzazione secondaria di un comune, è altrettanto vero che i percorsi che la società civile mette in atto per ottemperare a questo diritto devono essere guidati da prudenza e lungimiranza, sulla base di procedure amministrative democratiche e trasparenti, per favorire la maturazione di una coscienza civile adeguatamente attrezzata ad accogliere i grandi cambiamenti sociali in atto. In questa materia, i dibattiti sono stati spesso esasperati e fuorvianti, al limite della legalità e del buon senso e la stessa Chiesa italiana sembra esitare a trovare un equilibrio, muovendosi tra le abitudini consolidate e la novità della presenza islamica, tra l’ispirazione evangelica e le reazioni viscerali, tra le «buone idee» e le «buone pratiche», con esiti talora contrastanti. Locali parrocchiali. Può capitare che i musulmani domandino alla comunità cristiana dei locali per attività di vario genere: siamo davanti a una richiesta legittima alla quale rispondere secondo le abitudini locali. Nel caso invece venisse chiesto uno spazio per il culto, il consiglio ricorrente nel mondo ecclesiale è quello di non concedere stabilmente luoghi di culto cristiani e nemmeno locali parrocchiali, tenendo in considerazione gli itinerari educativi e ricreativi dei luoghi stessi e il significato che questi rivestono per la comunità cristiana. La CEI era già intervenuta sull’argomento: nella Lettera di collegamento 28/1994, ribadendo il riconoscimento alla libertà del culto, che prevede anche spazi idonei al culto e alla formazione, invitava a supplire con attenzione evangelica all’eventuale ritardo dell’amministrazione pubblica proponendo la concessione provvisoria e concordata di locali a uso profano, non necessari alle opere cattoliche, ed escludendo in ogni caso luoghi di culto cristiano, per motivi di prudenza e di opportunità pastorale. Su questa linea sono state anche le indicazioni del documento Ero forestiero e mi avete ospitato. Orientamenti pastorali per l’immigrazione (4.10. 1993), al n. 34 (ECEI 5/2021ss). L’episcopato triveneto, in tempi più recenti, precisava: «Possono invece essere concessi, qualche volta all’anno senza vincoli di continuità, ambienti polifunzionali ampi per la celebrazione delle feste islamiche, quali la fine del ramadan o la festa del sacrificio, purché si rispettino l’ambiente, eventuali simboli religiosi in esso presenti e non si compiano atti contrari alle leggi dello stato (per esempio il sacrificio del montone)».2 È interessante ribadire ancora una volta che devono essere gli enti locali, organi competenti nel territorio, a rispondere alla richiesta di luoghi e spazi per il culto e l’associazionismo, come risposta al dettato costituzionale, senza nulla togliere all’atteggiamento collaborativo che deve caratterizzare il mondo ecclesiale. Matrimoni misti Matrimonio. Sull’argomento dei matrimoni «misti» si è soffermata lungamente la nota della Presidenza CEI, dell’aprile 2005.3 Aggiungiamo solo questa considerazione: al margine di complessità che porta con sé ogni unione matrimoniale, la coppia cristiano-islamica aggiunge dei tratti specifici che ne accentuano la problematicità rispetto ad alcune questioni. Una simile coppia, comunque, è una domanda che va ascoltata: può esprimere un momento di scelta frettolosa, oppure un momento di fragilità, ma può anche esprimere un momento di profezia, se teniamo conto che al momento attuale le relazioni con l’altro, in tutte le sue dimensioni, non sono proprio di moda. Proprio per questo l’accompagnamento competente, intelligente e spiritualmente lucido di coppie simili è un’esigenza fondamentale sul piano pastorale. I problemi che vi sono andranno guardati in profondità, con calore umano e carità pastorale, evitando un’impostazione di tipo prevalentemente giuridico e burocratico e sapendo che si è di fronte a un vero e proprio laboratorio di vita, dagli esiti non scontati. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 229 Pregare insieme? La preghiera si caratterizza come momento fortemente confessionale, portando con sé il bagaglio di un’appartenenza precisa. La modalità della preghiera di Assisi 1986 («insieme per pregare», nella distinzione delle parole e dei gesti e nella partecipazione silenziosa alla preghiera dell’altro) rimane al momento il riferimento per una preghiera comune. Certamente un’eventuale iniziativa non deve essere proposta in modo semplicistico e improvvisato, quanto piuttosto motivato e contestualizzato. Forse non è nemmeno il caso che un momento di preghiera anticipi troppo un percorso che è ancora da compiere. Non devono mancare, inoltre, il rispetto e il chiaro, reciproco riconoscimento delle differenze, senza dare spazio a parole, atteggiamenti e gestualità che siano motivo di equivoci. La preghiera è uno di quei «posti di confine» che non vanno delegati a nessuno: deve, quindi, essere assunta da tutti con grande responsabilità, senza pretesa di espropriazione della fede altrui e senza estensione indebita del proprio sguardo di fede. Compiti nuovi per le comunità cristiane Gli incontri. I musulmani e il mondo dell’islam vengono conosciuti quando si partecipa a opportuni dibattiti, tavole rotonde e iniziative di vario genere, auspicando che non siano proposte estemporanee e senza continuità; ma è soprattutto utile ascoltare i modi di porsi dei musulmani concreti e prevedere con loro forme di collaborazione efficace, anche nell’ambito del volontariato e della carità, sostituendo il semplice parlare «dei» musulmani con il più efficace parlare «con» i musulmani. Le relazioni calde ed esigenti fanno la differenza, quando si ha a che fare con persone: basti pensare alle reciproche occasioni di festa, alla visita nelle famiglie e allo sport come momenti gratuiti e sereni. Vi sono anche dei luoghi privilegiati per l’incontro con persone provate dalla solitudine, dal disagio dell’immigrazione o dalla fragilità della condizione fisica: sono le carceri e gli ospedali, luoghi nei quali le disposizioni di 230 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 legge prevedono l’assistenza spirituale, ma dove anche le situazioni reali e le difficoltà dovute all’individuazione delle guide religiose sembrano di fatto lasciare i musulmani in balìa delle circostanze. Anche qui la comunità cristiana ha la possibilità di umanizzare le vicende personali di molti, instaurando relazioni significative. L’ambito del lavoro è forse il luogo dove cristiani e musulmani, attualmente, vivono fianco a fianco più che altrove, condividendo la fatica, la precarietà del tempo attuale e del futuro, come anche il senso della giustizia, della laboriosità e dell’onestà. La fabbrica e i luoghi di lavoro in genere sono alcuni degli ambiti in cui più si è stati chiamati a gestire in modo improvvisato, ma generoso, situazioni nuove, quali le trattative private per l’astensione dal lavoro nelle principali feste musulmane, spazi adibiti a preghiera in particolari circostanze e i disagi legati al digiuno del ramadan. Il discernimento. Relativamente alla relazione con i musulmani, gli ultimi quindici anni hanno visto la comunità ecclesiale italiana porre dei passi e delle parole significative, non senza contrasti interni e accentuazio- * Don Giuliano Zatti è responsabile del del servizio diocesano per le relazioni cristiano-islamiche di Padova. 1 Per una presentazione più ampia e precisa degli argomenti di questo articolo, rimando al sussidio Le comunità cristiane e i musulmani, preparato a Padova nel febbraio 2009 dal Servizio diocesano per la relazioni cristiano-islamiche (cf. www.padovaislam.it) e dall’Istituto San Luca per la formazione permanente del clero. Inoltre si vedano: S. FERRARI (a cura di), Musulmani in Italia. La condizione giuridica delle comunità islamiche, Il Mulino, Bologna 2000; G. ZATTI, «La convivenza religiosa: quando la moschea non è lontana dalla parrocchia», in Credere oggi 4(2006) 154, 55-68; A. PACINI (a cura di), Chiesa e islam in Italia. Esperienze e prospettive di dialogo, Paoline, Milano 2008. Al tema è stata recentemente dedicata una due giorni di formazione dei vescovi del Triveneto (7-8.1.2009). 2 CONFERENZA EPISCOPALE DEL TRIVENE- ni unilaterali. Per un verso ha preso le distanze dalla logica della polarizzazione, dalla semplificazione della questione migratoria, dalla riduzione del fenomeno dell’islam a una caricatura di se stesso; dall’altro non sono mancati atteggiamenti rinunciatari, cadute di tono e linguaggio non adeguato. Siamo in una fase nella quale si sta tutti imparando a prendere le misure di un confronto e di una convivenza dai quali dipenderà la qualità della società futura. Sono state sostenute iniziative significative, soprattutto partendo dalla ferialità della gente e hanno fatto scuola, ormai, alcune importanti affermazioni sull’integrazione, sul dialogo, sulla reciprocità come esigenza inderogabile di giustizia, sulla rigorosa conoscenza reciproca. Ma un auspicio va fatto: nel confronto con l’islam il cattolicesimo non può essere ridotto a un «marcatore di identità», perché la fede non definisce la contrapposizione a qualcun altro. La testimonianza della fede è altra cosa e siamo tutti tenuti a recuperare il meglio delle rispettive tradizioni. Giuliano Zatti* TO, Le vie dell’incontro. Quale dialogo con i musulmani?, EDB, Bologna 2006, 4c, 16ss. Una tradizione musulmana, risalente al secondo califfo ’Umar (634-644 d.C.), considera i locali sacralizzati dalla preghiera islamica acquisiti dai musulmani una volta per sempre: tuttavia non si ha notizia di questo risvolto pratico nei contesti d’immigrazione. 3 I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia, in Notiziario CEI 5/2005, 139-165; Regno-doc. 17,2005,461. Sull’argomento è molto utile la consultazione del libro di B. GHIRINGHELLI e A. NEGRI, I matrimoni cristiano-islamici in Italia: gli interrogativi, il diritto, la pastorale, EDB, Bologna 2008. Sui pronunciamenti di altre Chiese, non solo europee, in merito ai matrimoni di cui parliamo, si veda Il matrimonio tra cattolici ed islamici, Studi giuridici LVIII, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2002. Cf. anche I. ZILIO-GRANDI (a cura di), Sposare l’altro. Matrimoni e matrimoni misti nell’ordinamento italiano e nel diritto islamico, Marsilio, Venezia 2006. Catechesi - Colloquio internazionale PA R I G I m etamorfosi dell’annuncio La responsabilità catechistica della Chiesa I n questo tempo la presa di coscienza da parte della Chiesa, con i suoi pastori e vescovi sta portando a riflettere non solo sul vocabolario in trasformazione (primo annuncio, annuncio catecumenale ecc.), ma soprattutto su ciò che permette di organizzare gli elementi di un linguaggio, la struttura grammaticale del comunicare il Vangelo che chiede una diversa responsabilità. È ciò che alla fine dei giorni di confronto e colloquio è emerso a Parigi. Dal 18 al 21 febbraio l’Institut supérieur de pastorale catéchétique ha infatti organizzato un colloquio internazionale su «La responsabilità catechistica della Chiesa». Lo spunto per avviare questa riflessione è stato l’anniversario dei trent’anni della pubblicazione di Catechesi tradendae (16.10.1979; EV 6/1764ss). Da quell’apparizione sono cambiate molte cose. Trent’anni fa il muro di Berlino non era ancora caduto. Il mondo politicamente era diviso in due e il conflitto tra i due grandi poteri strutturava l’esistenza degli individui e delle nazioni. La vita di milioni di persone dipendeva da questa bipolarità. Le frontiere erano nette. Il ruolo del potere e delle autorità si manifestava come fattore di identità e sicurezza. «Terrorismo» era una parola sconosciuta. C’era l’illusione che l’immigrazione potesse essere un fenomeno transitorio. E il termine «globalizzazione» non faceva parte del vocabolario quotidiano. Erano anni di prosperità dove regnava la convinzione che la miseria si sarebbe ridotta nella misura in cui fosse cresciuta la ricchezza. Allo stesso tempo non esiste- va Internet. Non esistevano personal computer sul tavolo di ognuno, né ipod, né cellulari. La diffusione del sapere richiedeva tempo ed era laboriosa. Le comunicazioni non avevano l’immediatezza e la quantità alla quale siamo abituati. Culturalmente anche lo spazio era differente. Si passava molto tempo a cercare informazioni, lo spazio fisico e lo spazio culturale risultavano stretti, ma anche meno confusi. Il Concilio era terminato dieci anni prima. L’istituzione cattolica appariva solida e un nuovo papa stava arrivando, un uomo della comunicazione e dei media. Catechesi tradendae è uno dei primi testi di Giovanni Paolo II. Una buona chiave per leggerlo consiste nel vedere come in esso si articola la stabilità e la novità, l’ordine e il movimento. Catechesi tradendae propone una visione che si riferisce alla catechesi classica e tenta d’integrare la novità che la conferma. Con questa felice intuizione Jacques Audinet ha dato un criterio per leggere le giornate di studio, e quello che succede ancora oggi in tante iniziative di annuncio. U n te s to s fald ato Accostando il documento si prova una strana impressione. È la sensazione di essere di fronte a un testo che si sdoppia; un testo fratturato e sfaldato. Sembra voler tessere insieme due fili, vale a dire, riferirsi a due visioni distinte e opposte, per farne una sola. Da una parte, le affermazioni principali e normative, espresse dai termini «bisogna», «si deve» che ritornano più di cinquanta volte, quasi a ogni paragrafo. Seguite da infinite sfumature: «tuttavia» e «ma». Il testo, mentre afferma fortemente un certo numero di imperativi o di evidenze, non può ignorare che le cose nella vita di tutti i giorni non sono così semplici. Insomma, principi da una parte, realtà dall’altra. Per rendersi conto di questo basta confrontare alcuni numeri (19; 21 ecc.). È possibile formulare l’ipotesi che Catechesi tradendae compia il ciclo della catechesi classica e vi si riferisca. Allo stesso tempo è obbligata a rendersi conto che questa non corrisponde più alle situazioni reali. Il modello ha perso la sua egemonia e il suo carattere inglobante. Alla fine del Medioevo scompare il termine catechesi sostituito da catechismo, inteso sia come l’istituzione di insegnare ai fanciulli e agli adulti, sia come il piccolo libro che accompagna questo insegnamento. Dal XVI secolo (concilio di Trento) al XX il catechismo è impresa allo stesso tempo pedagogica, sociale e religiosa. È un insegnamento indirizzato a tutti, formulato con autorità, contenente la totalità del messaggio, con una pedagogia di domande e risposte. L’intento è di comprendere e sapere. Catechesi tradendae si riferisce a questo modello e cerca di carpirne le capacità. Ne riprende gli elementi e le stesse parole. La catechesi è detta «insegnamento»: è il sapere di una dottrina, sapere prescritto da un’autorità e diretto a tutti. Il documento si sforza di declinare la continuità e l’apertura al futuro. Ricorda e avalla il rinnovamento catechistico: «La catechesi ha bisogno di un IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 231 rinnovamento continuo in un certo allargamento del suo stesso concetto, e nei suoi metodi, nella ricerca di un linguaggio adatto, nell’utilizzazione di nuovi mezzi di trasmissione del messaggio» (n. 17; EV 6/1795). Immediatamente dopo, il testo prosegue: «Questo rinnovamento non ha sempre un uguale valore, e i padri sinodali hanno voluto realisticamente riconoscere, accanto a un innegabile progresso nella vitalità dell’attività catechistica e di iniziative promettenti, i limiti e anche le “deficienze” di ciò che è stato realizzato finora. Questi limiti sono particolarmente gravi quando rischiano di intaccare l’integrità del contenuto». Difficoltà che continuano a ripetersi nell’azione catechistica di oggi. Ma il lavoro compiuto dal rinnovamento della catechesi mette in discussione il contenuto e le formulazioni tradizionali. Piuttosto che le nozioni teologiche, sono i testi della Scrittura o i testi della liturgia che prendono posto nella catechesi. Il rinnovamento catechistico del XX secolo si è posto in rottura con la catechizzazione classica sul triplice punto di vista del contenuto, del sogget- Etica teologica cattolica nella Chiesa universale Atti del primo Congresso interculturale di teologia morale A cura di James F. Keenan i è tenuto a Padova dall’8 all’11 luglio 2006 il primo Congresso interculturale di etica teologica cattolica. Quattrocento studiosi di teologia morale, provenienti da 63 paesi, si sono interrogati sui temi più urgenti della loro disciplina e hanno delineato il quadro culturale sul quale l’etica è chiamata a esprimersi a livello mondiale. S «Oggi e domani» pp. 376 - € 34,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 232 to e del metodo. Le vecchie categorizzazioni si rivelano troppo corte per spiegare ciò che capita. Nelle nostre situazioni, quello che arriva dai secoli passati non è impertinente. Ma riprodurlo sarebbe tradirlo. Si tratta piuttosto di fare nel periodo della globalizzazione e di Internet, quello che i nostri predecessori hanno fatto, al tempo della scoperta della stampa. Si tratta di pensare la novità delle situazioni attuali e di far «accadere» oggi la Parola. La svolta missionaria La realtà si è complicata. La riflessione catechistica e il pensiero magisteriale sono arrivati alla percezione dello spaesamento e sembrano aver trovato un accordo su un denominatore comune che possiamo definire come una sfida della conversione missionaria della catechesi e della comunità ecclesiale tutta intera. In un contesto di rottura della tradizione e di ex culturazione, l’annuncio del Vangelo è chiamato a coniugarsi su due registri fondamentali. Innanzitutto, la connessione con l’esperienza, senza la quale la proposta della fede si isola nella teoria e rimane estranea alla vita. In secondo luogo l’esposizione della fede, o meglio il suo racconto, in una maniera che li renda plausibili, culturalmente abitabili e desiderabili. La sfida è di far provare come la fede sia umanizzante e santificante. Nei contesti di tradizione cristiana, il compito missionario della catechesi consiste nel promuovere la trasmissione di una fede, vissuta per tradizione, a una assunta liberamente ed esistenzialmente. Questa transizione richiede una modificazione profonda delle rappresentazioni religiose, una riscoperta del nudo Vangelo. Il nuovo stile di evangelizzazione domanda l’impegno teorico e pratico di tre cambiamenti di prospettiva: una proposta fatta alla libertà dell’interlocutore, nella libertà e in forma graduale. Il cambiamento in rapporto all’accoglienza del Vangelo sarà sempre più connotato dall’elemento della libertà. Il cambiamento è il marchio di un’epoca. Noi siamo passati dal «Non si nasce cristiani, lo si diventa» dei primi secoli (Tertulliano) al «si nasce cristiani e non si può non esserlo» della lunga stagione della cristianità. Siamo oggi al terzo tornante, che possiamo così formulare: IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 «non si nasce cristiani, lo si può diventare, ma questo non è percepito come necessario per vivere umanamente bene la propria vita». La fede cristiana ritorna al suo stato originale di proposta e di adesione libera. Paradossalmente, in una società di cristianità, non c’era bisogno di evangelizzare, perché questo si produceva in una spazio di bagno sociologico. Si nasceva cristiani. Dopo tanti secoli si torna a dire che Gesù è il Signore e a proporre il cuore del suo Vangelo. In un contesto di indifferenza si è chiamati a proporre la differenza del Vangelo. Una proposta fatta nella libertà a una libertà, è una proposta all’insegna della gratuità. L’evangelizzazione rimane l’appello di una libertà di fronte a un’altra, che decide come vuole e come può. Questa dimensione assolutamente gratuita dell’atto della proposta della fede è oggi culturalmente la condizione comune. Per chi esce da secoli di fede tradizionale e obbligata, la sola possibilità per ritornare a credere nasce dal fatto che i testimoni della fede siano percepiti essi stessi come uomini e donne liberi, capaci di un annuncio gratuito. È apparentemente una condizione debole, ma essa fa perno sulla stessa forza del Vangelo, come per san Paolo: «“Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2Cor 12,9). I cristiani riconoscono che Gesù Cristo è il Salvatore di tutti, e che fuori di lui non c’è salvezza. Riconoscono che la sua grazia agisce in ogni uomo e in ogni cultura, anche fuori dalla forma canonica ecclesiale. Tutti i processi d’introduzione alla fede diventano graduali. La proposta non può raggiungere solo l’intelligenza delle persone, ma la totalità delle dimensioni della persona. Oggi i documenti ecclesiali dicono che il catecumenato è il paradigma di tutta l’evangelizzazione. La globalità dell’annuncio pone di nuovo al centro i processi di iniziazione alla fede e la comunità cristiana, nel suo insieme come matrice iniziatrice. La catechesi attuale, al di là delle sue buone intenzioni, è ancora prigioniera del linguaggio principalmente cognitivo della fede, della preoccupazione di esporre la dottrina alla maniera di una Benedetto XVI Ebrei e cristiani scienza. Una modalità simile è pertinente in un contesto nel quale l’affermazione dell’esistenza di Dio è un dato culturalmente evidente. In un contesto culturale nel quale Dio non è né evidente né necessario, bisogna ritrovare il linguaggio tipico del kerigma. E occorre incrociare il vissuto delle persone, il loro bisogno di vita, ritrovando così il linguaggio narrativo e autobiografico della fede. È importante fare spazio al linguaggio simbolico, in particolare nella liturgia, che è il linguaggio più adatto non solo per dire, ma anche per fare esperienza della fede cristiana. In questo senso il criterio di appartenenza alla Chiesa non è la fede, che rimane interiore, conosciuta solo da Dio, quanto piuttosto la professione di fede. Il valore della comunità La fede cristiana è propriamente ecclesiale, perché fede ricevuta attraverso e nella Chiesa che mantiene la memoria di Gesù. Se si può accettare Cristo e il suo messaggio anche individualmente, non è possibile divenire cristiani se non nella Chiesa, nella vita sacramentale, sulla base della professione di fede ecclesiale. Tutto ciò sollecita a porre una forma di Chiesa che parta sempre e in ogni caso dall’autodefinizione di ciascuno dei soggetti coinvolti nell’espressione della fede. Proprio queste attenzioni chiedono di riconfigurare il volto della Chiesa. Si tratta di una riforma nel senso etimologico della parola, di una reinterpretazione delle istituzioni esistenti e della creazione di nuove. L’azione catechistica ha bisogno per potersi esercitare di un bagno di vita ecclesiale. Senza una comunità di fede, non ci potrà essere una comunicazione della fede. In questo momento c’è la necessità di uno sblocco pastorale che avviene attraverso un coinvolgimento intergenerazionale, e conduce a lavorare a cascata su diversi settori della vita pastorale. Innanzitutto quello del rapporto tra famiglia e parrocchia. Questa partenza diventa il primo luogo di sollecitudine e di coinvolgimento tra risveglio in famiglia e socializzazione religiosa in comunità. In secondo luogo, il rapporto tra vita cristiana ed eucaristia. Gli incontri intergenerazionali restituiscono una possibilità all’eucaristia perché diventi il luogo che fa la Chiesa, nutrendo tutte le generazioni alla stessa parola di Dio proclamata e commentata, e alla stessa comunione al corpo di Cristo. Infine la creazione del rapporto tra tempo profano e tempo sacro e la qualità degli evangelizzatori e la loro competenza. La nostra Chiesa è chiamata a mostrarsi ed essere madre dei liberi. Su questa scommessa si gioca molto del futuro delle nostre Chiese. L’altro che incontro è libero di accogliere la proposta, di rifiutarla, di assumerla parzialmente, di obiettare, di accettare e poi di andarsene ecc. Tutto questo risulta destrutturante per molti legati alle tradizionali sicurezze, ma il futuro si gioca sulla capacità della Chiesa di divenire un’«istituzione di libertà» e uno «spazio di libertà corresponsabile». La dicotomia «catechismo»/«catechesi» ce la porteremo dietro ancora per molto tempo. Ma la rivalorizzazione del linguaggio kerigmatico, narrativo e simbolico è il solo modo per onorare la sfida attuale della catechesi nel nostro contesto. È anche il modo più efficace per accogliere nella loro intenzione positiva tutti i catechismi della Chiesa universale o particolare. Essi chiedono di essere utilizzati non come manuali della fede, ma per quello che sono realmente, un aiuto per servire a mediare ai diversi livelli l’unico ed eterno deposito della fede. Facendo in modo che si riesca a coniugare l’unità del mistero cristiano con la molteplicità delle esigenze e delle situazioni dei destinatari. La speranza cristiana deve dare ragione di sé sul banco di prova della vita. L’esercizio fatto dai partecipanti al colloquio di Parigi è stato proprio quello di provare a stare in questo tempo, ad accordare i soggetti con il Verbo della vita, a ripensare i tempi e i modi, a saper costruire nuovamente le preposizioni. In una parola, a ritrovare tutti insieme la grammatica della catechesi, entro una Chiesa che si ascolta in modo nuovo e inedito il Vangelo di sempre. «Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,14): è il deserto dell’Europa non più cristiana. Il declino della cristianità non è prima di tutto un problema. Apre alla fede cristiana una nuova stagione, un nuovo volto del cristianesimo di cui solo lo Spirito conosce i lineamenti. Rinaldo Paganelli Prima di Gerusalemme I l 12 marzo, a Roma, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza una delegazione del Gran rabbinato d’Israele e la Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Nel suo discorso, il papa ha ricordato che l’inizio del dialogo tra queste due istituzioni è stato «il frutto della storica visita del mio amato predecessore papa Giovanni Paolo II in Terra santa nel marzo del 2000». «Durante questi sette anni non solo si è rafforzata l’amicizia tra la Commissione e il Gran rabbinato, ma siete stati capaci di riflettere su temi importanti che sono rilevanti sia per la tradizione ebraica sia per quella cristiana. E poiché riconosciamo un comune patrimonio spirituale, un dialogo basato sulla comprensione e sul rispetto reciproci è – come raccomanda Nostra aetate (cf. n. 4) – necessario e possibile». Negli incontri tenutisi tra Roma e Gerusalemme, si sono approfonditi temi come «la santità della vita, i valori della famiglia, la giustizia sociale, l’etica, l’importanza della parola di Dio espressa nella sacre Scritture per la società e per l’educazione, la relazione tra potere civile e religioso e la libertà religiosa e di coscienza»; nelle dichiarazioni che ne sono scaturite sono emersi sia gli elementi comuni sia le differenze. Per il papa «la Chiesa riconosce che gli inizi della propria fede sono fondati nell’intervento divino nella storia della vita del popolo ebraico e che qui l’unicità della nostra relazione ha il suo fondamento». Gli ebrei hanno così comunicato al mondo questo rapporto particolare con Dio e i cristiani sanno che la loro fede «ha le radici nella medesima auto-rivelazione di Dio nella quale si è nutrita l’esperienza religiosa ebraica». Benedetto XVI ha poi concluso il suo discorso facendo riferimento all’imminente visita in Terra santa, esprimendo la speranza che il suo viaggio possa essere un’occasione per ottenere «il prezioso dono dell’unità e della pace sia per la regione sia per tutta la famiglia umana». R. B. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 233 Lussemburgo Eutanasia La legge e i dubbi L a «risposta positiva del medico a una domanda di eutanasia o di assistenza al suicidio non è sanzionabile penalmente e non può dare luogo a un’azione civile per il risarcimento dei danni e degli interessi»: così recita la legge sull’eutanasia all’art. 2, approvata dal Parlamento lussemburghese il 18 dicembre scorso (cf. Regnoatt. 22,2008,753; 2,2009,70) e formalmente pubblicata il 17 marzo. Il Lussemburgo diventa il terzo paese europeo, accanto all’Olanda e al Belgio, che legalizza l’eutanasia. Il percorso di approvazione della legge è stato particolarmente tormentato. Approvata in prima lettura il 19 febbraio 2008 contestualmente a una legge sulle cure Polonia Collaborazionisti Il caso è chiuso I n una lettera del card. Tarcisio Bertone, segretario di stato, alla Conferenza dei vescovi polacchi, si constata l’inesistenza di elementi significativi per l’accusa ad alcuni vescovi polacchi di colpevole e libera collaborazione con i servizi di sicurezza del tramontato regime comunista. L’indicazione della Santa Sede ha convinto l’assemblea dei vescovi, riunita all’inizio di marzo, di chiudere definitivamente il capi- 234 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 palliative, è stata ampiamente discussa nei mesi successivi. Il granduca Henri ha fatto sapere di non poterla «sanzionare» e ha accettato di limitare i suoi poteri alla semplice «promulgazione» dopo una modifica costituzionale. Infine il dispositivo di legge è stato definitivamente approvato il 18 dicembre 2008. La Chiesa cattolica è intervenuta più volte, attraverso il vescovo mons. Fernand Franck, per denunciare la profonda ferita all’ethos collettivo che la legge produceva. Nell’ultimo intervento, il 7 dicembre 2008, scriveva: «La protezione della vita è essenziale per ogni società. È il limite estremo. Il quinto comandamento del Decalogo ci ricorda: “Non uccidere”. Siamo pienamente coscienti di tale imperativo e niente al mondo ci persuaderà del contrario». A metà gennaio ha avviato la celebrazione della prima «Settimana per la vita» come segno pastorale forte per sottolineare la cura ecclesiale per la dignità della vita e del morire. Il 5 febbraio l’iniziativa civile «Eutanasia no! Cure palliative sì!» che aveva raccolto insperatamente in poche settimane 7.444 firme (l’1,5% dell’intera popolazione del Granducato, 470.000 abitanti) dopo aver pubblicato otto prese di posizione, organizzato quattro appuntamenti pubblici sul tema e una dozzina di luoghi di discussio- ne nelle strade della città, con una numerosa serie di incontri con i politici locali di tutti gli orientamenti, ha formalmente chiuso il suo impegno il 5 febbraio. Nelle migliaia di incontri personali avuti, la convinzione dei promotori è che quasi tutti i sostenitori della depenalizzazione dell’eutanasia abbiano alle spalle la sofferenza di una morte traumatica e che ben pochi conoscano la differenza fra eutanasia e accanimento terapeutico. Sono convinti che il tratto ideologico sia stato prevalente fra i sostenitori della legge, che non ha trovato promotori nell’ambito degli ordini medici o delle istituzioni ospedaliere. Lamentano tuttavia che le uniche agenzie pubbliche cha hanno preso posizione sulla questione siano state la Chiesa cattolica e il Collegio medico del Granducato. La scelta di chiudere l’esperienza dell’iniziativa civile segna anche il rifiuto del «muro contro muro», il non perseguimento di un referendum, a favore di un’azione culturale e civile sul versante delle cure palliative. La deriva belga di un’eutanasia che interessa anche i minori e, viceversa, il calo delle domande eutanasiche in Olanda per la crescita della pratica delle cure palliative lascia spazio a un confronto che la legge ha avviato, ma non concluso. L. Pr. tolo del collaborazionismo sul versante episcopale: «I vescovi considerano la questione chiusa. Desiderando concentrarsi sulla sua missione pastorale, la Conferenza non intende per il futuro prendere alcuna posizione su tali materiali». Ne dà notizia un comunicato ufficiale dell’11 marzo. Dopo il drammatico caso di Stanislaw Wielgus, il vescovo eletto di Varsavia che nel giorno del suo insediamento ha dovuto dare le dimissioni per le sue precedenti collaborazioni con i servizi segreti (cf. Regno-att. 2,2007,1s; Regno-doc. 3,2007,93ss), i vescovi avevano creato due commissioni d’indagine per verificare attentamente le voci sulla collaborazione dei vescovi. Il materiale è stato presentato in Vaticano nell’ottobre del 2008, motivando la conclusione del card. Bertone. Erano una decina i nomi dei vescovi ancora viventi trovati negli archivi dei servizi segreti. In nessun caso vi sarebbe stata consapevole e libera collaborazione. La decisione ha suscitato molti dibattiti. In un’inchiesta pubblica il 39% degli in- tervistati non condivide la scelta episcopale. Il comunicato ufficiale difende con energia l’operato dell’attuale nunzio in Polonia, mons. Józef Kowalczyk, accusato di collaborazionismo per i colloqui con alti funzionari dello stato, autorizzati e gestiti d’intesa con la Santa Sede. Esempio di quella utilizzazione impropria dei materiali archivistici che i vescovi denunciano da tempo e che hanno lambito anche figure come il presidente della Conferenza episcopale, mons. Józef Michalik, il vescovo di Lublino, mons. Józef Zycinski e l’arcivescovo metropolita di Gniezno, mons. Henryk Muszynski. Va ricordato che la Chiesa cattolica polacca è stata la Chiesa più esposta nell’opposizione al regime di tutte le Chiese cristiane operanti nell’Est Europa e quella che con maggior chiarezza ha accettato di fare i conti con le ambiguità e i collaborazionismi di alcuni dei preti e dei vescovi (cf. il Memorandum in Regno-doc. 17,2006, 576ss). L. Pr. BENEDETTO XVI l Viaggio in Camerun e Angola a necessità del Vangelo Cronaca di un viaggio diverso dalle inter pretazioni europee I l «bene che si fa è spesso più discreto ma più profondo del male bruciante e tragico riportato dai media». In questa breve frase, contenuta nell’Instrumentum laboris della prossima Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi (che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre 2009 e sarà la seconda dopo quella del 1994), è forse contenuto il significato del viaggio di Benedetto XVI in Camerun e Angola, una visita che ha voluto essere soprattutto un gesto di grande incoraggiamento e di fiducia (cf. Regno-doc. 7,2009,197ss). Il papa nei sette giorni di permanenza in Africa (dal 17 al 23 marzo) non ha mai nascosto i problemi. Anzi, nella denuncia dei mali non avrebbe potuto essere più chiaro. Ma come un vero padre, che ha a cuore il futuro dei figli e la loro capacità di crescere, ha sapientemente miscelato denuncia ed esortazione, in modo da valorizzare ogni segnale di speranza iniettando vitamine spirituali in un corpo sofferente e oggi sottoposto a nuove tensioni. Mai in silenzio di fronte al l’ingiustizia La tappa camerunese è stata caratterizzata dalla consegna dell’Instrumentum laboris ai vescovi, documento che mette in evidenza con grande efficacia luci e ombre dell’Africa. Tra gli aspetti positivi si segnala il processo di emancipazione dalle dittature, la progressiva diffusione, anche se spesso timida e non sempre omogenea, di una cultura democratica, la crescita della cooperazione tra paesi africani, la vita- Benedetto XVI durante la messa nello stadio Amadou Ahidjo di Yaoundé, Camerun, 19.3.2009. lità della Chiesa, l’aumento costante del numero dei battezzati e delle vocazioni sacerdotali e religiose, la diffusione dei mass media d’ispirazione cristiana e delle università cattoliche. Tra gli aspetti problematici che attendono risposta si segnala invece lo spadroneggiare di forze internazionali che sfruttano l’Africa e fomentano nuovi conflitti per assicurarsi vantaggi economici, lo strapotere delle multinazionali che invadono il continente per appropriarsi delle sue risorse naturali, la corruzione diffusa tra politici e amministratori, la mancata applicazione delle promesse relative agli aiuti allo sviluppo, l’imposizione di modelli di produzione agricola (si veda la propaganda a favore degli OGM), che anziché garantire la sicurezza alimentare rovinano i piccoli coltivatori, aprendo la strada alle grandi società. E poi gli effetti perversi della globalizzazione, che emargina l’Africa e ne distrugge l’identità, la continua opera di erosione della coesione sociale e della famiglia, l’importazione di un modello culturale unico contrario alla vita e indifferente al grido dei poveri. Nel complesso, un documento importantissimo, che riesce a calare le peculiarità dello spirito cristiano nel contesto concreto dell’Africa di oggi, assegnando alla Chiesa una responsabilità di primo piano. Ed è proprio da questo documento che occorre partire per capire i contenuti e la portata della visita di Benedetto XVI. «Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo: è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo». Citando san Paolo (1Cor 9,16), davanti ai vescovi del Camerun nella chiesa di Christ-Roi in Tsinga a Yaoundé, il papa ha sottolineato la dimensione missionaria dell’impegno ecclesiale. Si tratta davvero d’intercedere nel senso letterale del termine: di camminare in mezzo, affrontando in una prospettiva evangelica tutti i nodi e tutte le contraddizioni di una realtà tanto complessa. La visita del pontefice è diventata così espressione fisica dell’impegno missionario e l’immagine del papa in mezzo a folle tanto grandi, sia in Camerun sia in Angola, resterà a lungo come sintesi della promessa cristiana. Nei due paesi i richiami del papa sono stati simili perché tali sono i mali nelle due realtà incontrate. «Mai rimanere in silenzio davanti al dolore o alla IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 235 violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso del potere», ha esclamato Benedetto XVI davanti al presidente del Camerun, Paul Biya, che è al potere da 27 anni e ha cambiato la Costituzione per restarvi a vita. Da queste parti proclamare il Vangelo può costare la vita. Negli ultimi due decenni sono stati uccisi due vescovi, otto sacerdoti, quattro suore e il direttore del giornale cattolico di Yaoundé, L’Effort camerounais, che stava pubblicando una scottante inchiesta sul traffico d’armi. Nei tre giorni in Camerun il presidente Biya, accompagnato dall’eccentrica moglie Chantal, ha cercato di sfruttare al massimo il ritorno d’immagine dovuto alla presenza del papa, tanto che in giro si sono viste perfino magliette e camicie appositamente confezionate con l’immagine di Biya accanto a quella di Benedetto, ma i vescovi non si lasciano certamente condizionare. Il card. Christian Tumi, 79 anni, a capo della diocesi di Douala, ha chiesto pubblicamente al capo di stato di non ripresentarsi alle elezioni dell’anno prossimo. Parole chiare, al pari di quelle del papa, che ha denunciato uno per uno i mali del paese, dall’indifferenza del potere per la sorte dei più poveri al traffico degli esseri umani, dal disordine finanziario alla rapina sistematica operata da chi utilizza il territorio per prelevarne le ricchezze lasciando in cambio solo corruzione e violenza. Benedetto XVI ha indicato una strada praticabile per tutti quelli che vogliono amare l’Africa senza cadere in un terzomondismo di maniera. Sia in Camerun sia in Angola (seconda tappa del viaggio, dal 20 al 23 marzo), ha riconosciuto i torti subiti da questi popoli e ha messo in luce i soprusi di cui ancora oggi sono vittime, ma soprattutto li ha richiamati a un’assunzione di responsabilità. Sebbene l’aiuto dei paesi più ricchi resti insostituibile (e infatti il papa li ha esortati a rispettare la promessa di devolvere lo 0,7% del proprio PIL alla cooperazione internazionale), l’Africa deve trovare da sé la via verso l’emancipazione e la promozione umana. A Luanda, capitale dell’Angola, rivolto a politici e ambasciatori, Benedetto XVI è stato esplicito: bisogna 236 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 puntare sui diritti civili fondamentali e inalienabili, garantire amministrazioni trasparenti, estirpare la corruzione, permettere a tutti di accedere all’istruzione e alle cure sanitarie, assicurare nei fatti, specie con il diritto alla casa, quella dignità umana che oggi è ancora troppo spesso calpestata e misconosciuta. Dopo 27 anni di sangue In un paese come l’Angola, sfibrato da 27 anni di guerra civile e ora lanciato verso una ripresa economica tumultuosa, le parole del pontefice sono risuonate come un ammonimento senza sconti verso la classe dirigente, ma TV e stampa locali, così come era già successo in Camerun, hanno preferito glissare, puntando sugli aspetti più superficiali ed emotivi della visita. Con una crescita economica che sfiora il 25% annuo e una produzione di greggio che le ha consentito di superare la Nigeria e di entrare nell’Organization of the Petroleum Exporting Countries (OPEC) come primo produttore africano, l’Angola sulla carta è un paese al quale non manca nulla per diventare florido. Ma finora i proventi sono finiti nelle tasche di pochi, mentre la maggior parte della popolazione continua a vivere senza disporre del necessario. Per rendersene conto basta girare un po’ per le strade della capitale, perennemente soffocata da un traffico incredibile. Auto spesso lussuose, SUV imponenti, fuoristrada dai vetri oscurati stanno in fila e accrescono l’inquinamento dell’aria. Appartengono a circa 200.000 privilegiati, gli stessi che frequentano i ristoranti da 200 dollari a pasto e vivono nelle case in muratura e nei nuovi palazzi, mentre il resto della popolazione cittadina, circa tre milioni di abitanti, tira avanti come può. Il profilo urbano cambia in continuazione, edifici di molti piani vengono tirati su a ritmi sbalorditivi contando anche sulla manodopera a basso costo. Sportelli bancari si trovano in ogni strada del centro. Eppure, percorsi pochi chilometri verso la periferia, ecco le baraccopoli su colline di rifiuti, dove bambini nudi giocano nell’acqua melmosa dei canali di scolo tra miasmi che lasciano senza fiato. Oltre al petrolio, i diamanti sono l’altra ricchezza di questo paese abitato da 15 milioni di persone e grande quattro volte l’Italia, ma anche in questo caso è una ricchezza che va a ingrassare i conti in Svizzera di una piccola oligarchia di privilegiati, senza portare benefici tangibili alla gente del posto. Una situazione di fronte alla quale si capiscono meglio i ripetuti appelli del papa contro le nuove forme di colonialismo predatorio che soffocano sul nascere le possibilità di riscatto dell’Africa. In Angola il grande investitore straniero è la Cina. Il presidente Eduardo Dos Santos, al potere da trent’anni, burocrate di scuola sovietica (laurea in ingegneria a Baku, città del petrolio), dopo il successo nella guerra civile ha agito con grande spregiudicatezza, prima rinnegando la via angolana al socialismo e aprendo agli Stati Uniti, poi allacciando rapporti privilegiati con Pechino, ma tanta disinvoltura ideologica non ha coinciso con un’azione altrettanto rapida e decisa nel sostenere un popolo uscito da un conflitto tanto lungo e sanguinoso. L’Angola inoltre deve fare i conti con la minaccia subdola e devastante delle mine antiuomo, che a milioni (secondo alcune stime potrebbero essere tante quante gli abitanti della nazione) sono rimaste nascoste nel terreno e continuano a mietere vittime. Ovunque si vedono mutilati, e se in città qualche forma di assistenza esiste, nelle campagne queste persone sono destinate all’abbandono. L’opera di sminamento è molto costosa, richiede l’impiego di apparecchiature sofisticate e tempi lunghi. L’Europa ha dato un contributo e in Angola operano alcune organizzazioni internazionali che si occupano del problema, ma senza l’appoggio dei governanti locali tutto diventa più difficile. Te s t i m o n ia re co m u n q u e Con i suoi interventi il papa ha saputo entrare in profondità anche nella mentalità e nella spiritualità degli africani. Ha chiesto all’intero continente di non lasciarsi intrappolare nei tribalismi e nelle lotte etniche, ha raccomandato di rifiutare quelle forme di spiritismo e stregoneria che condannano il popolo alla paura e sfociano spesso nell’abbandono di bambini in stra- da e anziani, se non addirittura in sacrifici umani. Ha chiesto il rispetto della donna e il riconoscimento della sua pari dignità rispetto al maschio, raccomandando a padri e mariti di assumersi le proprie responsabilità, senza tuttavia che la necessità di assicurare alla donna una presenza nella vita pubblica vada a discapito del suo insostituibile ruolo nella famiglia. Attento a non urtare la sensibilità delle genti a cui si è rivolto, Benedetto XVI ha voluto essere però concreto, tanto che le sue parole si configurano come una vera e propria agenda di lavoro per la classe dirigente locale oltre che come documento di grande forza spirituale. Ai giovani, incontrati nello stadio «dos Coqueiros» di Luanda, ha chiesto di rifiutare i richiami suadenti della cultura dominante (libertinismo, sfruttamento sessuale, droga, relativismo morale) per scegliere senza esitazioni la via indicata da Gesù, la sola che può assicurare riscatto, giustizia e autentica fratellanza. In un tale contesto la Chiesa ha il dovere di dare una testimonianza coerente rispetto al Vangelo, scegliendo senza compromessi di stare dalla parte di chi soffre e non ha neppure la possibilità di esprimere il proprio dolore. Benedetto ha ringraziato tutti coloro che nella Chiesa donano le proprie vite per questo obiettivo, ma non ha mancato di stigmatizzare comportamenti e stili di vita che, in quanto a coerenza evangelica, lasciano a desiderare. Nel discorso ai vescovi del Camerun ha sottolineato che per assumere la missione dell’evangelizzazione e rispondere alle sfide del mondo d’oggi i pastori devono agire in «profonda comunione», con viva coscienza della «dimensione collegiale» del ministero e attraverso espressioni di «fraternità sacramentale». Bisogna mettere in atto, ha detto, un’effettiva collaborazione tra comunità e diocesi, specie per quanto riguarda la ripartizione dei sacerdoti e la solidarietà verso quei settori della Chiesa che versano nell’indigenza. Rivolto ai vescovi il papa è stato particolarmente analitico. Il pastore presti attenzione alla qualità del rapporto con i sacerdoti, non li lasci soli, si faccia interprete delle loro richieste. L’esempio e la parola del vescovo sono un aiuto prezioso, ma si tratta anche di mettere in atto un’opera di costante ed effettiva vigilanza circa la fedeltà dei sacerdoti e delle persone consacrate agli impegni assunti con l’ordinazione e l’ingresso nella vita religiosa. Sotto questo profilo acquista particolare importanza la selezione e la formazione dei giovani candidati al sacerdozio. Si tratta, dice il papa, di procedere a un «serio discernimento», specie attraverso l’opera di formatori e direttori spirituali, che vanno a loro volta formati con particolare attenzione. La vitalità della Chiesa africana La Chiesa in Africa ha grande vitalità ed è caratterizzata spesso da generosità e coraggio, ma accanto a queste qualità ci sono anche la mancanza di disciplina, la propensione ad agire in modo individualistico, la tendenza a non rispettare sempre la coerenza fra ciò che si insegna e il modo in cui si vive. Consapevole che la Chiesa africana possiede carismi suoi propri, Benedetto XVI non ha chiesto di rinnegarli o di soffocarli, ma di metterli a disposizione di una vera testimonianza evangelica. Il papa ha manifestato una particolare preoccupazione nei confronti della famiglia, che nell’impatto con la modernità e la secolarizzazione è indebolita e spesso devastata. L’impegno per la pastorale familiare, ha detto, è tutt’uno con l’impegno per la salvaguardia dell’uomo africano. Nell’analisi di Benedetto XVI non poteva mancare un riferimento alla liturgia, e anche in questo caso il papa ha voluto salvaguardare le peculiarità della cultura africana, mettendola però al servizio di un’effettiva crescita spirituale. Le celebrazioni ecclesiali festose e gioiose tipiche dello spirito africano siano un mezzo per entrare in dialogo con Dio e mai un ostacolo, e sempre sia garantita «la dignità delle celebrazioni». Sul piano religioso «lo sviluppo di sette e movimenti esoterici, come pure la crescente influenza di una religiosità superstiziosa» (Discorso ai vescovi del Camerun, 18.3.2009; Regno-doc. 7, 2009,200) costituiscono un «invito pressante» a un’adeguata formazione tanto dei giovani quanto degli adulti, specie in ambito accademico. Fondamentale è la presenza nelle strutture e nella vita della Chiesa di fedeli laici al servizio della persona e della società. Di fronte a una tale ricchezza di contenuti, è un peccato che in Italia e in altri paesi europei il primo viaggio in terra africana di Benedetto XVI sia apparso soprattutto come spunto di polemiche innescate da alcune affermazioni fatte dal papa durante la conferenza stampa a bordo dell’aereo, nel corso del viaggio di andata. A proposito dell’uso del preservativo, che a giudizio del pontefice non è e mai potrà essere un modo efficace per combattere la diffusione dell’AIDS, è scattata ancora una volta una condanna netta che ha offuscato ogni possibilità di confronto sereno. Su questo modo di accogliere gli inviti e le valutazioni dell’attuale pontefice bisognerà interrogarsi perché sta prendendo l’aspetto di un meccanismo ideologico a comando. L’impressione è che, di fronte ai contributi di un papa che con grande chiarezza interroga la ragione umana, una larga parte della cultura contemporanea risponda in modo aggressivo utilizzando l’armamentario di veri e propri dogmi laicisti. Come è stato osservato, è difficile non vedere dietro le accuse al papa in materia di contraccezione gli interessi delle multinazionali del condom e un fuoco di sbarramento in grado di nascondere le sollecitazioni rivolte da Benedetto XVI alla coscienza delle società opulente. Le esperienze messe in atto (si pensi al progetto Dream della Comunità di Sant’Egidio) dimostrano che il virus dell’HIV si contrasta molto più efficacemente con un’alimentazione adeguata, acqua pulita e assistenza sanitaria che non con la distribuzione di profilattici. Senza contare che il cosiddetto diritto al preservativo mantiene la popolazione in una condizione di «infanzia» culturale e spirituale, evitando ogni seria riflessione sui modelli morali. È poi paradossale che le critiche, anche feroci, al papa arrivino da quegli stessi ambienti politici che hanno dimezzato gli aiuti allo sviluppo. Per tutti questi motivi è importante che l’eco del viaggio in Africa non si spenga subito. Aldo Maria Valli IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 237 S UDAN - Tr i b u n a le p e n a le i n te r n a z i o n a le S e la giustizia non porta la pace L a plateale reazione del presidente sudanese Omar al Bashir (nella foto) al mandato di cattura spiccato nei suoi confronti dal Tribunale penale internazionale dell’Aja il 4 marzo è indice di un nervo scoperto che indubbiamente è stato toccato.1 Nel giro di pochi giorni egli ha espulso 13 organizzazioni umanitarie operanti in Darfur, con l’accusa di essere «spie» dell’Occidente; accompagnato da una delegazione di alto profilo, si è recato in Eritrea, Egitto e Libia; ha partecipato il 30 marzo all’annuale summit della Lega araba a Doha (Qatar), in cui era presente anche il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon (il quale però non ha voluto incontrarlo); e infine il 1o aprile si è recato in pellegrinaggio alla Mecca. In questo modo egli ha incassato una nutrita serie di risultati: un’ampia eco sui media; il rinnovato e deciso sostegno della Lega araba; la minaccia di alcuni stati africani di non aderire più al Tribunale internazionale; l’aver convinto l’opinione pubblica di lingua araba che il mandato d’arresto è un frutto del «doppio standard» che le istituzioni delle Nazioni Unite applicherebbero al loro lavoro. D’altra parte, è un fatto che gli ultimi quattro procedimenti aperti all’Aja sono a carico di quattro «casi» africani: Uganda, Centrafrica, Repubblica democratica del Congo e Sudan. Il tour quindi ha rafforzato sul fronte esterno le alleanze di quegli stati legati al Sudan anche da interessi economici: per il petrolio (Cina in particolare), per l’approvvigionamento idrico (Egitto) e per la ricostruzione (Arabia Saudita).2 Tuttavia, le maggiori preoccupazioni per Bashir vengono almeno in pari misura dal fronte interno: da un lato, il proprio partito, il National Congress Party, che potrebbe cogliere l’occasione per modificare i propri equilibri e sfiduciare la linea politico-militare del capo del governo, ovvero ricattarlo al fine di poter avere la certezza che i propri interessi economici non rischino di volatilizzarsi se la situazione politica andasse fuori controllo; dall’altro, il Sudan People’s Liberation Movement, l’alleato del Sud entrato nel governo in base agli accordi di pace, ma pronto a ridiscuterli se il Sudan dichiarasse lo stato d’emergenza. Per evitare un inasprimento del conflitto in Darfur che non gioverebbe a molti, c’è chi propone una dilazione del mandato d’arresto – possibilità prevista dallo Statuto di Roma fino a un massimo di un anno –. Tra i favorevoli a questa ipotesi vi è anche un noto intellettuale d’origine ugandese, Mahmood Mamdani, che in un articolo apparso sul Mail&Guardian del Sudafrica (20.3.2009), provocatoriamente intitolato Beware Human Rights Fundamentalism! (Attenzione al fondamentalismo dei diritti umani), oltre a negare che in Darfur vi sia in atto un «genocidio» (termine che nel linguaggio ONU rimanda a specifici crimini) quanto piuttosto omicidi di massa; oltre a ridimensionare le cifre dei morti (da 300.000 a 1.520), propone due interessanti chiavi interpretative. 238 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 Da un lato, tutta la documentazione presentata dal Tribunale propone una lettura monodimensionale delle atrocità commesse nel conflitto in Darfur, che avrebbero in Bashir l’unico mandante. Al contrario, analizzando meglio la storia del paese, emerge che quel conflitto ha almeno quattro cause concomitanti: un’iniqua distribuzione della terra che risale ai tempi del colonialismo britannico; un degrado ambientale dovuto all’avanzare del deserto che in 40 anni ha divorato 100 chilometri; lo straripamento in territorio sudanese della lunga guerra civile del Ciad e, infine, la brutale risposta militare alla ribellione da parte del governo guidato da Bashir tra il 2003 e il 2004. Dall’altro – afferma Mamdani – applicare una giustizia «che prescinde dal contesto politico o dalle conseguenze» che essa stessa potrebbe provocare, che prescinde cioè dal rischio concreto di «una rinnovata guerra civile» in Sudan, non rischia di diventare fondamentalista? Non potevano i casi mozambicano e sudafricano insegnare come «dare la priorità a una giustizia di tipo politico piuttosto che a una giustizia di tipo penale»? Va nella medesima direzione la dichiarazione di mons. Rudolf Deng, vescovo di Wao e presidente della Conferenza episcopale sudanese. Egli ha dichiarato che il mandato d’arresto non porterà la pace al paese perché è necessaria una genuina riconciliazione tra le persone: «Ciò di cui abbiamo bisogno è una maggiore sincerità da parte dei leader e dei ribelli e un più serio impegno da parte della comunità internazionale per salvare il Sudan», ha concluso. M.E. G. 1 Il mandato d’arresto è frutto di un processo iniziato nel 2005, quando il Consiglio di sicurezza dell’ONU aveva chiesto al procuratore generale del Tribunale, Luis Moreno Ocampo, d’effettuare indagini sui crimini compiuti in Darfur; Regno-att. 8,2005,223. Il 27.2.2007, dopo 20 mesi di lavoro, Moreno Ocampo ha presentato alla stampa 100 pagine d’accusa contro Ahmad Muhammad Harun, ministro per le Questioni umanitarie e già ministro degli Interni con delega al Darfur, e Ali Kushayb, comandante delle milizie janjaweed; Regno-att. 4,2007,117. Nel 2008, infine, il Tribunale ha reso noto che il numero uno della lista di colpevoli stilata in base alle indagini effettuate è proprio Omar el Bashir; Regno-att. 14,2008,440. 2 Gli USA non aderiscono al Tribunale penale internazionale e tuttavia storia, alleanze e posizione geografica fanno del Sudan una nazione cui gli essi seguono con attenzione, tanto è vero che Obama ha nominato un proprio inviato speciale, il generale J. Scott Gration che a metà marzo è partito per il Sudan con la delicata missione di tentare una mediazione per il rientro delle ONG espulse. L’interesse non è naturalmente solo umanitario, dal momento che in particolare nella zona meridionale del paese, la mancanza di frontiere controllate tra Sudan, Nord Uganda e Congo orientale ne fa una «terra di nessuno» dove circolano in maniera massiccia armi. Fonti statunitensi hanno rivelato solo a marzo che un convoglio d’armi di provenienza dall’Iran con destinazione Striscia di Gaza che transitava per il Sudan è stato bombardato dall’aviazione israeliana nel gennaio scorso. USA c I I vescovi e Obama oalizioni fragili Le tensioni a partire dai temi bioetici Boston, 2 aprile 2009. l cristianesimo americano esprime la sua vitalità principalmente al di fuori delle istituzioni ecclesiastiche che invece sono così centrali per la religione del vecchio continente. Questo vale anche per la Chiesa cattolica statunitense, che numericamente costituisce ormai la prima denominazione nel panorama confessionale americano, ma che ha anche il singolare primato di essere la prima «ex Chiesa» (secondo una recente ricerca del Pew Forum, circa 25 milioni di americani si definiscono ex cattolici). Nella primavera 2009 sono le università cattoliche degli Stati Uniti a essere al centro, ancora una volta, del dibattito interno alle diverse anime della Chiesa. Il card. Francis George, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti. L’invito a Notre Dame Dopo le ricorrenti polemiche sulla decisione di alcune università di mettere in scena rappresentazioni dei noti Vagina Monologues e sullo spazio da concedere nei campus cattolici ai gruppi di studenti gay, lesbiche e transgender (LGBT), nelle ultime settimane il dibattito si è ampliato in seguito alla decisione della University of Notre Dame – la più prestigiosa tra le università cattoliche statunitensi – di conferire un dottorato in legge honoris causa al presidente neo-eletto Barack Obama e sull’invito rivolto dal presidente di Notre Dame, John Jenkins csc, al 44° presidente degli Stati Uniti di tenere, il 17 maggio, il discorso alla cerimonia di laurea. Al campus di Notre Dame Barack Obama – il sesto presidente in carica a essere invitato a tenere un discorso a Notre Dame e il nono a ricevere un titolo da quella università –1 si troverà in compagnia di Mary Ann Glendon, docente ad Harvard, già ambasciatrice di G.W. Bush in Vaticano, che riceverà l’onorificenza Laetare medal 2009 per la sua attività in difesa della vita umana. A pochi mesi dalla campagna elettorale e dalla relativa spaccatura all’interno del mondo cattolico, e sullo sfondo dei primi passi dell’amministrazione Obama sulle questioni bioetiche e di difesa della vita, le reazioni non si sono fatte attendere. Il vescovo della diocesi di Fort Wayne-South Bend (nel cui territorio si trova Notre Dame) ha fatto sapere, in una presa di posizione «in difesa della verità circa la vita umana», che non parteciperà alla cerimonia. Nei giorni seguenti, sulla scia di una raccolta di firme contro la decisione di Notre Dame (organizzata in particolare dalla Società card. Newman),2 il fronte della Conferenza episcopale più attivo nel denunciare le politiche pro-choice del Partito democratico ha aspramente criticato la decisione del presidente di Notre Dame, che è stato pubblicamente disapprovato per la sua decisione anche dal superiore generale della Holy Cross (la congregazione religiosa che nel 1842 fondò Notre Dame e i cui membri fanno parte del Consiglio direttivo dell’università). I periodici cattolici America, Commonweal e National Catholic Reporter hanno difeso le ragioni dell’invito al presidente come un utile passo verso l’apertura di un dialogo tra visioni diverse circa la difesa della vita,3 e il tono del dibattito ha mosso i giornali nazionali a prendere posizione.4 L’episcopato si è spaccato – come IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 239 durante la campagna elettorale – tra una maggioranza silenziosa e un’attiva, non trascurabile minoranza critica verso la decisione di Notre Dame, situazione che ha spinto l’arcivescovo emerito di San Francisco, già presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, John Quinn, a fare appello ai confratelli vescovi: «È nell’interesse sia della Chiesa sia della nazione che entrambe lavorino assieme per il bene comune, in un clima di civiltà, sincerità e amicizia, nonostante ci siano gravi divisioni, come sull’aborto. Un approccio diverso da quello della mano tesa non migliorerà la possibilità di fare progressi su questa e su altre questioni di interesse comune».5 Le questioni bioetiche La tempesta scoppiata attorno all’invito a Notre Dame non è inaspettata, e la tensione tra amministrazione Obama e mondo cattolico non riguarda solo una frangia di vescovi. Mentre lo spettro del disegno di legge abortista «Freedom of choice act» (FOCA) sembra essere uscito di scena per il momento, e la nomina del governatore del Kansas, la cattolica pro-choice Kathleen Sebelius, a ministro della Sanità non ha incrinato il fronte dei cattolici vicini all’amministrazione Obama, altre due decisioni potrebbero incrinare il rapporto con quel mondo cattolico che pure ha contribuito a portare Obama alla presidenza: l’ordine esecutivo con cui il presidente ha riaperto il finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali, e la proposta della Casa bianca di rescindere le protezioni per gli operatori sanitari obiettori di coscienza. Da qualche settimana i commentatori, anche quelli più simpatetici con l’amministrazione Obama, hanno iniziato a notare il rischio per il presidente neo-eletto di cadere in una nuova guerra culturale attorno alle questioni della difesa della vita: specialmente in seguito alla decisione sulle staminali, che è stata giudicata figlia di una visione scientista che rappresenta l’estremo opposto rispetto al fideismo politicante dell’amministrazione Bush.6 I vescovi – tra cui il presidente della conferenza episcopale, il card. Francis George di Chicago – hanno definito la proposta sull’obiezione di coscienza «una minaccia ai diritti umani»; ma le critiche alle recenti deci- 240 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 sioni della Casa bianca non sono venute solo dalla Conferenza episcopale. Sia il mondo pro-life, sia gli ambienti a favore della ricerca sulle staminali hanno sottolineato la provvisorietà della decisione del presidente, che ha rimesso all’Istituto nazionale di sanità (NIH) l’elaborazione di linee guida sulla ricerca in questo campo, e hanno evidenziato, da un lato, l’inevitabilità di un dibattito parlamentare sulla questione, e, dall’altro, il rischio che sia la ricerca scientifica a darsi regole al di sopra di un approfondito dibattito culturale e politico sui limiti etici della ricerca sulla vita umana, proprio in un momento in cui l’America paga il prezzo di un trentennio d’irresponsabile deregulation in economia. Le sorti dell’economia formeranno il giudizio degli americani (anche dei cattolici) sulla presidenza Obama, ma lo scenario dei rapporti tra la Chiesa e la Casa bianca sembra soffrire di tensioni maggiori di quelle che, dopo l’elezione del 4 novembre 2008, sembravano circoscritte a visioni diverse della questione dell’aborto: tensioni che sono in gran parte una lotta interna ai cattolici, tra uno schieramento pro-life molto attivo e fermo nella difesa dei principi non negoziabili (una pattuglia di vescovi, con una rete attiva di associazioni, riviste e siti web) e una maggioranza di cattolici pragmatici convinti che l’attenzione dei cattolici non possa esaurirsi sulla questione dell’aborto e che una «guerra culturale» non giovi né alla difesa dei principi né alla capacità della Chiesa cattolica di difenderli nello spazio pubblico. Queste tensioni però riflettono anche un obiettivo inasprirsi delle posizioni della Casa bianca, che in vista della riforma della sanità – vero nodo politico-economico per la sopravvivenza sociale ed economica degli USA sul lungo periodo – dovrà rimettere al dibattito parlamentare questioni politicamente molto delicate: per esempio, se l’aborto sia da considerare una pratica che rientra nei «servizi per la salute riproduttiva». Un cat tolicesimo senza te t to I primi tre mesi della presidenza Obama parlano della dinamica dei rapporti tra la Chiesa e la nuova amministrazione: ma dicono molto di più sulla dialettica interna al cattolicesimo americano. Il caso di Notre Dame è una prova di forza, l’indizio di una tensione evidente tra una parte dell’episcopato nostalgica dell’era Bush da una parte, e dall’altra il mondo degli intellettuali, della teologia cattolica e delle università cattoliche americane, che nelle ultime elezioni si sono schierati (gli studenti in maggioranza, e i docenti in grande maggioranza) con Obama e per la fine del discorso politico-religioso di scuola neo-conservatrice. È una tensione che vede questi due protagonisti in prima fila, ma che rispecchia una spaccatura all’interno dell’episcopato e tra vescovi e fedeli, e che prelude a un’archiviazione del documento della Conferenza episcopale Una cittadinanza fedele (14.11.2007) e dello spirito che lo animava, che da alcuni vescovi è stato accusato di essere all’origine del «disorientamento morale» dei cattolici nel segreto dell’urna elettorale, cioè all’origine della vittoria di Obama.7 Questa prova di forza va al di là della resa dei conti per le elezioni del 2008 ed è il frutto di una questione politica e culturale interna al cristianesimo americano. Sorto nei tardi anni Sessanta con un programma che univa la condanna dell’aborto e la protesta contro la guerra in Vietnam, nel corso degli ultimi due decenni il movimentismo pro-life (cattolico e non) si era progressivamente identificato con la piattaforma ideologica del Partito repubblicano di Reagan e di G.W. Bush. È finito il periodo in cui la Casa bianca in mano ai repubblicani si era fatta paladina della «cultura della vita», con il fine non secondario di squalificare agli occhi dell’elettorato religioso (e cattolico in particolare) i democratici pro-choice: per i rappresentanti dello schieramento pro-life e per molti vescovi questo costituisce un cambiamento politicamente e culturalmente difficile da elaborare. La tensione interna alla Chiesa cattolica ha una rilevanza, oltre che ecclesiale e culturale, anche politica, perché insiste su uno scenario che dal punto di vista politico-religioso è formato da due fragili coalizioni. La coalizione costruita dai repubblicani negli anni Novanta – sotto le cui ali si ritrovano i social conservatives, i fiscal conservatives e i neo-conservatori – ospita tra le sue élite dirigenti un nutrito gruppo di cattolici anti-Va- ticano II e di convertiti al cattolicesimo romano, difensori di un’ortodossia di recente acquisizione.8 Lo schieramento che ha portato Obama alla vittoria ha colto l’occasione offerta dalla spaventosa crisi economica, ma anche il passaggio verso le bandiere del Partito democratico di una larga fetta di cattolici socialmente conservatori ma stanchi dell’era Bush e fiduciosi nei confronti del moderatismo del candidato democratico. Alcuni segnali dicono che le prime decisioni del presidente in materia di bioetica hanno eroso una parte di questo consenso dei cattolici bianchi più sensibili alle questioni della difesa della vita. È una tendenza che potrebbe significare la precarietà di quelle posizioni «pro-life, pro-Obama» che hanno spostato molti voti cattolici, e che potrebbe in breve tempo far tornare politicamente homeless il cattolicesimo americano. Massimo Faggioli 1 Nel 2001 il discorso augurale ai neolaureati a Notre Dame venne tenuto dal presidente George W. Bush, ed era imperniato sull’importanza delle organizzazioni d’ispirazione religiosa. 2 Nel 2005 la Società card. Newman si era opposta all’invito rivolto dalla Notre Dame de Namur University (California) a suor Helen Prejean, in quanto attivista contro la pena di morte. 3 Cf. J. FEUERHERD, «Catholic academic ayatollah shows true colors», National Catholic Reporter 23.3.2009; «Obama & Notre Dame», Commonweal 27.3.2009; J.F. KAVANAUGH, «Outrages», America 13.4.2009. L’editoriale di Commonweal – sottotitolato «An inquisition in South Bend» – concludeva: «La Chiesa non può identificarsi semplicemente con il movimento pro-life; nella misura in cui ogni interazione tra la Chiesa e il nostro sistema politico è presa in ostaggio dalle richieste degli elementi più aggressivi del movimento pro-life, il messaggio sociale della Chiesa, compreso il suo messaggio sull’aborto, verrà marginalizzato e neutralizzato». 4 Cf. D.W. KMIEC, «Notre Dame’s Common Ground», The Chicago Tribune 29.3.2009; K.L. WOODWARD, «Why Notre Dame Should Welcome Obama», The Washington Post 30.3.2009;z «Notre Dame’s Obama Flap», Los Angeles Times 1.4.2009. Sul fronte opposto G. WEIGEL, «The University’s Egregious Error», The Chicago Tribune 29.3.2009. 5 J.R. QUINN, «A Critical Moment», America, 30.3.2009. 6 Cf. E.J. DIONNE jr., «Obama’s Cultural Diplomacy», The Washington Post 5.3.2009; «Life & Science», Commonweal 27.3.2009; «Science and Ideology», America 30.3-6.4.2009. 7 Cf. Regno-doc. 5,2008,176; Regno-att. 16,2008,505; 20,2008,662. 8 Tra questi l’ex presidente della Camera dei rappresentanti, Newt Gingrich, leader della Republican revolution degli anni Novanta, che è passato al cattolicesimo all’inizio del 2009. Santa Sede Legionari di Cristo sinceramente perdono a Dio e a coloro che possono essere stati feriti per questo motivo». «Ci disponiamo ad accogliere i visitatori apostolici che (…) verranno a conoscere da vicino la vita e l’apostolato della Legione di Cristo». «Confermiamo la nostra donazione ed eleviamo la nostra preghiera affinché Dio ci conceda di continuare a cercare la santità alla quale lui ci chiama e affinché possiamo portare a pienezza il carisma che ci ha affidato». Una nuova legit timazione Visita apostolica P rima la censura da parte della Congregazione per la dottrina della fede per comportamenti immorali (cf. Regno-att. 12,2006,368ss), poi la scoperta di una relazione stabile con una donna da cui vent’anni fa è nata una figlia (cf. Regno-att. 4,2009,92s), ora la decisione di Benedetto XVI di compiere una visita apostolica alla congregazione dei Legionari di Cristo. L’opera di p. Marcial Maciel Degollado (1920-2008) conosce il periodo più difficile dalla sua fondazione. Salvare il salvabile Il 10 marzo scorso il card. Tarcisio Bertone ha inviato all’attuale superiore dei Legionari, p. Alvaro Corcuera, una lettera in cui si ricorda la riconoscenza di «coloro che si vedono beneficiati dalle opere educative e apostoliche» della congregazione e si conferma «che sua santità Benedetto XVI rinnova ai Legionari di Cristo, ai membri del movimento Regnum Christi e a tutti coloro che vi sono spiritualmente vicini, la sua solidarietà e la sua preghiera in questi momenti delicati». Il cardinale li rassicura: «Potrete contare sempre sull’aiuto della Santa Sede affinché, attraverso la verità e la trasparenza, in un clima di dialogo fraterno e costruttivo, superiate le difficoltà esistenti». «In questo senso il papa ha deciso di realizzare, per mezzo di una équipe di prelati, una visita apostolica alle istituzioni dei Legionari di Cristo». Il superiore generale risponde con pronta obbedienza e ne dà nota alla congregazione (29 marzo): «Ho ringraziato cordialmente il santo padre in questo ulteriore aiuto che ci offre per affrontare le attuali vicende in relazione ai gravi fatti nella vita del nostro fondatore». «Siamo profondamente dispiaciuti e chiediamo Accuse e discussioni sui fondatori non sono mai mancate, ma è la prima volta di una censura così grave verso un fondatore allora ancora vivente e verso una memoria che veniva coltivata all’interno come modello di santità non discutibile. Tanto da mettere in sofferenza la linea di difesa approntata dalla stessa Santa Sede: discutere il fondatore per salvare la congregazione, oscurare il suo carisma per salvare il carisma della fondazione. Il portavoce Jim Fair non è in grado per ora di dare informazioni più precise sui visitatori e sulla modalità della visita. Voci giornalistiche fanno i seguenti nomi: mons. Giuseppe Versaldi (Alessandria), mons. Watty Urquidi (Tepic, Messico), mons. Chaput (Denver, Stati Uniti). Le domande più dure vengono da p. Thomas Williams: «Penso che vi sia assoluto bisogno di una riconferma da parte della Chiesa sul fatto che (la congregazione) sia qualcosa di buono, che sia opera di Dio e che per questo debba andare avanti». «Parlando onestamente per me e i miei confratelli, se non è opera di Dio, nessuno è interessato a farne parte. Io certamente no. E se lo è, vogliamo sapere ciò che si suppone noi cogliamo dal carisma originale e che cosa no» (Catholic News Service 31.3.2009). Il portavoce della sede romana, p. Paolo Scarafoni, parla di un «processo di purificazione», confermando i legami di riconoscenza e di affetto verso il fondatore: «La nostra gratitudine rimane molto forte, perché da lui abbiamo ricevuto molto di buono». L’azione dei visitatori sarà tanto più efficace quanto maggiore sarà la collaborazione interna e il loro prevedibile intento sarà quello di accertare l’intera verità dei fatti riguardante il fondatore e il sistema di relazioni da lui instaurato nella congregazione religiosa, se in essa vi siano state connivenze in ordine al silenzio sui suoi comportamenti e se i suoi insegnamenti possano ancora ispirare la sua fondazione. L. Pr. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 241 Brasile - Aborto Il peccato e la scomunica I l caso estremo dell’aborto di una bambina brasiliana di 9 anni (33 kg, 1,36 m di altezza), che, violentata dal convivente della madre, aveva concepito due gemelli, ha dato luogo a prese di posizione diverse nell’ambito delle istituzioni ecclesiali. L’aborto, che in Brasile è possibile solo in caso di violenza o di pericolo di vita per la donna, è stato praticato a Recife il 4 marzo. Il 5, in un’intervista concessa alla rete Globo, l’arcivescovo di Olinda e Recife mons. José Cardoso Sobrinho ha affermato che «la legge di Dio è più alta di qualsiasi legge umana». «Quando una norma promulgata da legislatori umani va contro la legge di Dio perde qualsiasi valore. Gli adulti che hanno approvato e che hanno praticato questo aborto sono incorsi nella scomunica». E al giornale Folha de Sâo Paulo: «Il fine non giustifica i mezzi. Il fine buono di salvare la vita della bambina non può giustificare la soppressione di altre due vite». Nei giorni successivi, in un’intervista al giornale Veja del 18 marzo, alla domanda sul perché in questi casi gli stupratori non siano automaticamente scomunicati, ha spiegato che «la nostra santa Chiesa condanna tutti i peccati gravi. Lo stupro è un peccato gravissimo per la Chiesa, così come l’omicidio. Ora, la Chiesa dice che l’aborto, ossia l’atto che toglie la vita a un innocente indifeso, è molto più grave dello stupro o dell’omicidio di un adulto. Qualsiasi persona intelligente è in grado di comprendere questo. Non sto dicendo che lo stupro e la pedofilia sono cose buone. Ma l’aborto è molto più grave e, per questo motivo, la Chiesa ha decretato la pena automatica della scomunica».1 Di fronte alle critiche manifestate verso questa presa di posizione (il presidente brasiliano Luiz Inácio «Lula» da Silva tra gli altri), il card. Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, ne ha preso le difese in un’intervista al quotidia- 242 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 no La Stampa: «È un caso pietoso, ma il vero problema è che i due gemelli concepiti erano persone innocenti, avevano il diritto di vivere e non potevano essere soppressi (...). La Chiesa ha sempre difeso la vita e deve continuare a farlo senza adattarsi agli umori dell’epoca o all’opportunità politica». La decisione della coscienza Diverso avviso ha manifestato qualche tempo dopo mons. Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia per la vita, non tanto sul fatto, indiscutibile, che «l’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni», quanto sull’opportunità di enfatizzare i toni sulla questione della scomunica. Il 15 marzo, intervenendo su L’Osservatore romano, ha fatto notare che il caso «ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza». «Prima di pensare alla scomunica», invece, la fanciulla «doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata» con quella «umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri». Ma «così non è stato». «A causa della giovanissima età e delle condizioni di salute precarie, la vita [della fanciulla] era in serio pericolo per la gravidanza in atto. Come agire in questi casi? Decisione ardua per il medico e per la stessa legge morale. Scelte come questa [...] si ripetono quotidianamente [...] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere decidere cosa sia meglio fare». Concludendo: «Ciò di cui si sente maggiormente il bisogno in questo momento è il segno di una testimonianza di vicinanza con chi soffre, un atto di misericordia che, pur mantenen- do fermo il principio, è capace di guardare oltre la sfera giuridica per raggiungere ciò che il diritto stesso prevede come scopo della sua esistenza: il bene e la salvezza di quanti credono nell’amore del Padre e di quanti accolgono il Vangelo di Cristo come i bambini, che Gesù chiamava accanto a sé e stringeva tra le sue braccia dicendo che il regno dei cieli appartiene a chi è come loro. Carmen (nome fittizio; ndr), stiamo dalla tua parte. Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più bisogno. Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia. Nonostante la presenza del male e la cattiveria di molti». Ha avallato la posizione di mons. Fisichella p. Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, nel distinguo sull’«aborto indiretto», il 21 marzo. La precisazione reagiva all’interpretazione data da alcune agenzie di stampa al discorso di Benedetto XVI al corpo diplomatico in Angola, il giorno precedente (cf. Regno-doc. 7,2009,206), secondo la quale il papa avrebbe condannato l’aborto terapeutico. P. Lombardi ha ricordato che «nella morale della Chiesa, da sempre, si parla di aborto indiretto quando la vita della madre è in pericolo, affetta da una malattia grave, per cui la nascita potrebbe avere come conseguenza di impedire le cure. Ciò che si cerca, in questo caso, è di preservare la salute della madre». E ha aggiunto: «La Chiesa ha sempre accettato il caso in cui la morte del feto non è voluta ma è la conseguenza delle cure prodigate alla madre». Più in generale, ha ricordato che vi sono «tipologie diverse», nelle quali la valutazione morale può essere differente, «quando vi siano situazioni di grande gravità per la salute della madre, che devono essere valutate pastoralmente», e tra esse si può includere il caso del Brasile. D. S. 1 Questo argomento è stato successivamente sviluppato anche da mons. Geraldo Lyrio Rocha, arcivescovo di Mariana e presidente della Conferenza dei vescovi del Brasile, in una conferenza stampa il 12 marzo: «Lo stupro è un atto così ripugnante che la Chiesa non ha bisogno di porvi attenzione. L’aborto invece non è ritenuto tale da alcuni, e questo è il motivo della scomunica: non solo punire, ma mostrare a quanti lo praticano la gravità delle loro azioni». L L ibri del mese Laicità e uso politico della religione Pio XI e la condanna religiosa dell’Action française mane vivo e attuale, ma appare in una luce per qualche aspetto nuova. Anzitutto per i documenti nel frattempo acquisiti: si pensi solo all’imponente documentazione relativa al pontificato di Pio XI conservata negli archivi vaticani e messa ora a disposizione degli studiosi. Ma anche e soprattutto perché posizioni analoghe a quelle dell’Action française sembrano riproporsi, anche se in forme e condizioni profondamente mutate. Il massiccio ritorno sulla scena culturale e politica del fattore religioso, legato al fenomeno delle migrazioni a livello planetario; le forme aggressive che questo ritorno della religione ha assunto nei gruppi fondamentalisti; il dibattito che si è aperto su un confronto e, secondo alcuni, su un inevitabile «scontro di civiltà», hanno riproposto il tema dominante nell’esperienza dell’Action française della religione come elemento d’identità collettiva, culturale e politica, e quindi dell’uso politico della religione a prescindere dall’adesione alla fede cattolica come fatto di coscienza personale. La formula, affermatasi a livello giornalistico, degli «atei devoti» esprime una realtà che riecheggia le posizioni di Maurras. Q uando si svolse a Roma, nel marzo 1989, un bel colloquio su «Achille Ratti pape Pie XI», promosso dall’École française, fu subito evidente la diversa sensibilità degli studiosi italiani e francesi di fronte alla figura di Pio XI.1 Per gli italiani era il papa che, anche se negli ultimi anni del pontificato aveva accentuato le sue critiche nei con- LXI fronti del fascismo, ne aveva però, in qualche modo, favorito il consolidamento al potere e aveva contribuito alla liquidazione del Partito popolare di Sturzo; per i francesi al contrario era il papa della severa condanna dell’Action française e del riavvicinamento della Chiesa alla Francia democratica. Alla distanza di quasi vent’anni il tema di fondo posto da quel colloquio del rapporto fra Chiesa e politica non solo ri- Una visione d e l cat to l i ce s i m o Certo, il movimento di Maurras è fenomeno tipicamente francese e perciò difficilmente comparabile ad altre situazioni: solo in Francia l’intransigenza cattolica, nel confronto-scontro con il liberalismo e la democrazia, poteva così intimamente legarsi alla rivendicazione monarchica, royaliste; in Italia l’intransigenza cattolica antiliberale fu papale, temporalista, ma non fu mai legata a rivendicazioni legittimiste; l’uso strumentale a fini di consenso che il fascismo ha fatto del cat- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 243 L ibri del mese tolicesimo e della Chiesa non aveva radici nell’intransigenza cattolica ottocentesca; d’altra parte solo in Francia un’opposizione così radicale e violenta al regime liberale e democratico poteva esser contenuta e assorbita negli spazi di un sistema parlamentare. In Spagna una protesta diversa, ma per certi aspetti analoga, si è espressa in una guerra civile e non ha avuto quella connotazione monarchica che caratterizza il movimento francese. Fenomeno dunque francese; ma per altro verso di valenza europea e universale perché discriminante nel modo stesso d’intendere non solo il rapporto del cattolicesimo con il mondo moderno, ma l’essenza stessa del cattolicesimo e il legame d’identità fra cattolicesimo e cristianesimo. Lo stesso itinerario spirituale e culturale di Charles Maurras è radicato in un contesto culturale europeo. Lo ha ben ricostruito Jacques Prévotat in quella che, nell’immensa letteratura dedicata all’Action française, appare l’opera più aggiornata e in particolare più attenta alle dimensioni religiose e culturali della vicenda.2 Charles Maurras ha una formazione cattolica, ma la malattia che provoca la sordità lo porta al rifiuto del significato cristiano della sofferenza; il viaggio in Grecia a 17 anni, la scoperta dell’armonia nella concezione pagana dell’esistenza, il rifiuto del monoteismo che pone l’uomo solo di fronte a Dio sono i passi successivi del suo itinerario culturale e spirituale. L’incontro con il pensiero di Auguste Comte gli consente di dare ordine sistematico alle sue intuizioni. Dal pensiero di Comte desume il rifiuto di ogni forma d’individualismo e il primato della collettività; ma Charles Maurras non si limita a ripetere Comte, lo ripensa secondo la sua sensibilità: all’umanità, «nozione astratta e troppo larga», sostituisce la patria: «Solo la patria – scrive – lega gli uomini gli uni agli altri, dona loro un denominatore comune reale, mette l’accento su ciò che c’è di più vero nell’idea di umanità»; così alla comtiana religione dell’umanità sostituisce la religione della patria, della sua patria, la Francia, e della monarchia cattolica. Il cattolicesimo è elemento di unità e d’identità collettiva, in quanto ha saputo distaccare il cristianesimo dalle sue radici ebraiche, monoteistiche: «Il merito e l’onore del cattolicesimo – scrive Maurras in Trois idées politiques – furono di 244 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 organizzare l’idea di Dio e di togliergli questo (del monoteismo ebraico) veleno. Sul cammino che porta a Dio il cattolico trova delle legioni d’intermediari: ce ne sono di terrestri e di soprannaturali, ma la catena dagli uni agli altri è continua. Il cielo e la terra ne sono tutti popolati, come era una volta dagli dei». Insomma, il cattolicesimo di Maurras è antisemita e anticristiano e ha ricuperato l’armonia della concezione pagana; è contrario a ogni universalismo, è un cattolicesimo paganizzato, una religione secolare. Prévotat ha ricostruito in maniera assai approfondita la complessità del pensiero maurrassiano nella fase della sua formazione, per riproporlo, nelle pagine finali della sua opera, in maniera più sistematica, cogliendone la sostanza, ma anche le aporie e i margini di nostalgia per il cristianesimo. Ebbene, è questo pensiero, sostanzialmente ripreso dal gruppo dirigente dell’Action française, il nerbo più profondo del movimento: il problema è come esso abbia potuto affascinare tanti cattolici francesi, ivi compresi vescovi e sacerdoti. Fra le carte della Segreteria di stato vaticana vi è notizia di un’inchiesta promossa da Les cahiers, una rivista giovanile cattolica belga, che poneva ai giovani questa domanda: «Fra gli scrittori degli ultimi 25 anni, quali sono quelli che voi considerate come vostri maestri?». Il 5 maggio 1925 fu pubblicato il risultato: Maurras era in testa con 174 voti su un totale di 460 risposte.3 La spiegazione è nel fatto che il pensiero di Maurras resta in ombra; emerge piuttosto l’opera letteraria di Maurras scrittore e in forme varie quella di alcuni dei suoi più stretti collaboratori, come Léon Daudet. Non è parte esplicita del programma politico quello che affascina i cattolici o almeno una parte consistente dei cattolici: il rifiuto dei principi dell’89, il richiamo alle enunciazioni del Sillabo come punto di riferimento ideale, la lotta contro la repubblica laica che ha spogliato la Chiesa dei suoi diritti, il ritorno alla monarchia cattolica come premessa di una ricostruzione morale e religiosa della Francia. Maurras giunge perfino a opporsi alla difesa dei diritti della Chiesa in nome dei principi di libertà, perché invocare quei principi è già un riconoscerli, ed esalta una Chiesa illiberale e autoritaria, plaude alla Pascendi, stringe rapporti con l’organizzazione segreta antimodernista Sapinière di Umberto Benigni. Il live l lo politico e quello dot trinale Per comprendere il successo di queste idee occorre tener presente lo stato di malessere e di frustrazione in cui il cattolicesimo francese si muove fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo. L’Action française appare come una forza di cui la Chiesa si può valere. Il suo patriottismo esasperato negli anni di guerra ne aumenta e ne estende il prestigio. Ma vi sono nel cattolicesimo francese degli anticorpi: vi sono tradizioni legate al cattolicesimo liberale e sociale che dal rifiuto del programma politico sanno risalire alle sue premesse culturali. Anche qualche teologo intransigente, come un ex professore di Teologia dogmatica alla Gregoriana, il canonico Bernard Gaudeau, si associa alla critica ai «neopositivisti non cristiani dell’Action française» con argomenti analoghi a quelli usati contro i modernisti. Ma in testa alla polemica antimaurrassiana sono gli abbés démocrates, come Léon Dehon e primo fra tutti l’abbé Jules Pierre, che pubblica un libro dal titolo ben significativo: Avec Nietzsche à l’assaut du christianisme (Limoges, 1910). La polemica che si apre intorno all’Action française è lacerante e senza esclusione di colpi, coinvolge preti, vescovi e cardinali, raggiunge Roma e coinvolge il papa. È evidente una simpatia di Pio X per il movimento, ma quando gli avversari dell’Action française riescono a portare la polemica sul terreno dottrinale Pio X ne è colpito; l’abbé Pierre è ricevuto dal papa, che legge alcuni brani del suo libro e commenta: «Avete fatto opera santa, avete messo il dito nella piaga. Vi benedico»; e aggiunge: «E dire che è su questo che si sogna di fondare una restaurazione».4 Il papa procede nella maniera più cauta e formale: si apre la lunga vicenda che porterà alla prima condanna, con il decreto del 26 gennaio 1914 che mette all’Indice cinque opere di Maurras e la rivista L’Action française. Ma il papa si riserva il potere di decidere il momento della pubblicazione, un momento che non viene mai durante il suo pontificato; lo scoppio della prima guerra mondiale, dati i toni fortemente patriottici e antitedeschi della campagna di stampa dell’Action française, sconsiglia a Benedetto XV, peraltro nettamente contrario ai gruppi integristi, la pubblicazione della condanna. Poi l’incartamento stesso della con- LXII Charles Maurras; a p. 243: Achille Ratti, papa Pio XI. danna scompare per un lungo tratto. Lo si riesumerà dagli archivi per ordine di Pio XI, per rispondere all’accusa di una contraddizione fra la sua linea e quella del predecessore. Prévotat ha minutamente ricostruito le vicende che portarono alla condanna del 1926: dalla lettera dell’arcivescovo di Bordeaux, Andrieu, del 25 agosto 1926, alla lettera dell’8 settembre di Pio XI al vescovo stesso, di approvazione del suo intervento, nella quale le preoccupazioni espresse dal prelato sono confermate e aggravate con il rimprovero di un «naturalismo pagano» a carico dell’opera di Maurras. L’Osservatore romano, l’8 settembre, commenta la lettera del card. Andrieu e la risposta del papa e pone in luce il nesso fra un nuovo sistema religioso che investe le verità fondamentali della fede cristiana e una concezione della po- LXIII litica sottratta a ogni subordinazione alla morale. All’allocuzione del papa in concistoro del 20 dicembre segue il decreto di condanna del Sant’Uffizio del 29 dicembre 1926, che si richiama esplicitamente al decreto di Pio X, finalmente ricuperato dagli archivi. Frattanto il famoso articolo del 24 dicembre, Non possumus, che ha annunciato la ribellione dei dirigenti dell’Action française. Tutta la vicenda si svolge nel clima di un’incandescente polemica. La condanna dell’Action française è rimasta a lungo sospesa fra due interpretazioni opposte, nate a ridosso degli eventi, ma poi trasferite e consolidate nella storiografia. Da un lato la lettura proposta dagli esponenti del movimento: la condanna come scelta politica voluta dalla Santa Sede ai fini di un riavvicinamen- to alla Francia di Aristide Briand, dopo la fase anticlericale di Herriot, per un secondo ralliement. Dall’altro invece la lettura religiosa della condanna voluta con fermezza da Pio XI in difesa di una purezza dottrinale che le idee di Maurras andavano progressivamente scalzando, specie nella gioventù francese. A me sembra che un, sia pure rapido, primo sondaggio sulle carte vaticane ora disponibili confermi la lettura di tipo religioso: proprio l’asprezza e la profondità della lacerazione che si è aperta nella Chiesa francese a seguito della condanna pone in risalto, per contrasto, l’intento religioso di Pio XI e la sua ferrea volontà di stroncare un modo d’intendere il cattolicesimo e la Chiesa alternativo alla dottrina e alla disciplina di Roma. Ma al tempo stesso appare confermato il giudizio già formulato da Prévotat su una certa debolezza dottrinale della condanna e soprattutto delle modalità con cui fu pronunciata. L’intervento di Roma fu ispirato a un’attenta e tenace vigilanza e fu durissimo nei suoi contenuti. Accenniamo appena a qualche episodio e a qualche aspetto di quella che fu una lunga lotta. Fra le carte del nunzio Maglione si trova un invito del 27 giugno 1926 della Segretaria di stato a sollecitare i vescovi francesi perché negli esercizi spirituali sia sottolineata la docilità alla posizione del papa verso l’Action française.5 Il nunzio a sua volta interpella i singoli vescovi sull’osservanza delle direttive impartite. L’11 ottobre la sacra Penitenzieria apostolica invia agli ordinari di Francia una nota nella quale si denuncia che molti giornali francesi danno notizia che «un grand nombre des membres et adhérents du parti condamné appelé l’Action française malgré résistance notoire et opiniâtre aux déclarations et prescriptions de cet saint tribunal en date de 8 mars de l’année courante sont admis et s’en vantent en public, à l’absolution sacramentelle et à la sainte table eucharistique par des prêtres attachés au même parti». Segue un durissimo richiamo alla disciplina.6 Una lettera del card. Charost, arcivescovo di Rennes, richiama i suoi sacerdoti all’obbligo di un rigoroso rispetto della dichiarazione della Penitenzieria e invita i confessori ad avvertire i fedeli che vogliono andare da un altro sacerdote che non li conosce, per ottenere 1’assoluzione che è stata loro negata, che «est Jesus Christ qui absout par les lèvres de son ministre».7 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 245 L ibri del mese L’interpretazione politica della condanna Quello che colpisce nella documentazione vaticana sono i segni di una resistenza tenace e molecolare alla condanna romana, prova sicura della penetrazione che il messaggio maurrassiano ha avuto nel profondo della cattolicità francese. Non si contestano tanto gli aspetti dottrinali della condanna, ma la sua valenza politica. Fra le carte della Segreteria di stato vi è una lettera del giornalista Robert Havard de la Montagne al p. Rosa de La Civiltà cattolica del 14 ottobre 1927, nella quale si afferma che «ce n’est pas l’autorité du pape que l’on conteste, mais l’exatitude de certaines informations».8 La condanna è letta come l’effetto di una manovra dei nemici della Francia. Non mancano casi di nobili che si dimettono da incarichi e rinunciano a titoli vaticani in segno di protesta, come il conte Giovanni du Pontevice. In effetti il duro intervento repressivo dell’autorità sposta l’accento dagli aspetti dottrinali della condanna, che finiscono con il restare in ombra, al principio di obbedienza al papa in un campo che è sostanzialmente politico. La disobbedienza dell’Action française è addirittura ricondotta entro le categorie del modernismo e del laicismo: il 16 settembre 1926 L’Action française dà notizia di una sottoscrizione di solidarietà in favore del movimento e L’Osservatore romano commenta il 19 successivo: «L’accennata sottoscrizione e la sua pubblicazione forniscono la prova di un modernismo pratico e di un laicismo contro il quale il venerato arcivescovo di Bordeaux aveva ben ragione di mettere in guardia». Jacques Maritain si distacca dall’Action française con una lunga lettera a Maurras dell’11 febbraio 1926, conservata fra le carte vaticane e «concordata» con la curia ben prima di essere spedita, pubblicata poi nelle opere del filosofo:9 la lettera si apre con una calorosa e perfino eccessiva manifestazione di ammirazione e di devozione a Maurras per poi annunciare il distacco dovuto alla necessaria obbedienza a un intervento del papa nell’esercizio della sua potestas indirecta in temporalibus. Il tema e la motivazione ritornano come è noto nel volume Primauté du spirituel che compare nell’agosto del 1927, e di cui la vicenda del ralliement di Maritain alla visione romana è stata certamente l’origine. Ma proprio questa argomentazione tutta interna alle categorie neotomistiche e legata alla tesi bellarmi- 246 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 ACHILLE SILVESTRINI La fedeltà all’oggetto I l saggio di Pietro Scoppola, che qui riprendiamo dal volume La storia, il dialogo, il rispetto della persona, delle edizioni Studium, esce postumo. Pietro Scoppola ci ha lasciati nel 2007, così come ci ha lasciati un altro dei protagonisti di questo volume: Leopoldo Elia. Sul tema specifico della strumentalizzazione politica della fede cristiana, Scoppola era intervenuto diverse volte negli ultimi tempi. Ma che questo saggio sia stato affidato a questo volume, che raccoglie gli scritti in onore del card. Achille Silvestrini, è di particolare rilevanza. Il vol. è certamente il frutto e il riconoscimento di quella fitta rete di amicizie umane, di rapporti intellettuali e relazioni spirituali che il card. Silvestrini ha saputo intessere lungo una vita straordinaria al servizio della Chiesa. «Chi ha risposto all’appello – recita la prefazione – ha sperimentato come don Achille non abbia mancato di far sentire ai suoi amici in ogni occasione, lieta o triste, un’affettuosa e partecipe vicinanza, affidando i suoi sentimenti a quel sereno sorriso che contraddistingue il suo modo di porgere all’altro riflessioni, esortazioni, insegnamenti, richiami. Dietro quel sorriso c’è, però, un insegnamento, che chiunque abbia avuto modo di avere con lui un incontro non fugace ha potuto percepire: quello per cui, quale che sia la situazione in cui ci si trovi, niana della potestas indirecta in temporalibus porta acqua alla tesi maurrassiana della motivazione puramente politica della condanna. La le t tura di Sturzo: u n a re l i g i o n e se co lare Diverso e di più ampio respiro fu l’atteggiamento di Luigi Sturzo dal suo esilio di Londra. In un articolo apparso sulla Review of reviews del maggio-giugno 1927, dal titolo «Il caso dell’Action française»,10 Sturzo pone chiaramente e distintamente in luce i due aspetti, religioso e politico, della condanna e, andando oltre l’aspetto disciplinare, osserva: «Il fenomeno dell’Action française non può essere circoscritto all’attuale vertenza ecclesiastica, che è un lato interessante, ma non lo definisce né lo caratterizza completamente: esso si estende al di là di un’eresia o di un’indisciplina religioso-cattolica, e prende il carattere di un movimento qualunque problema si debba affrontare, qualsiasi difficoltà occorra superare, bisogna procedere a un’attenta analisi del contesto, comprenderne i vari aspetti, e individuare un preciso criterio cui attenersi nei propri comportamenti. Vero erede di Domenico Tardini, usa ripetere l’ammonimento: “Ricordatevi che le carte hanno un’anima”». Vi è cioè in don Achille una «fedeltà all’oggetto», come dice Giuseppe De Rita, che traduce a un tempo non solo la sua professionalità di diplomatico raffinato, ma la sua umiltà spirituale, il suo senso della storia, il suo sentimento del limite umano che è insieme spazio del trascendente e condivisione cristologica. Di tutto questo vi sono abbondanti tracce in tutto il percorso diplomatico e spirituale di don Achille, nelle sue intuizioni e azioni sistematiche a servizio della Chiesa. Tutto questo ha molto a che fare con la politica come dimensione del vivere civile e come luogo di incontro tra i testimoni della fede e i testimoni di altri valori e culture. Tutto questo ha molto a che fare con l’insuperabile distinzione tra fede e politica, tra Chiesa e poteri pubblici: per una fedele testimonianza cristiana, per una libera edificazione della città democratica. G. B. politico mistico di più larga estensione».11 In sostanza Sturzo intuisce che nel fenomeno dell’Action française vi sono già gli elementi di una religione secolare che non nasce in antitesi al cattolicesimo ma da una sua distorsione in senso mondano e che segna perciò necessariamente il suo distacco dal ceppo della fede cristiana. È evidente che in questa visione il richiamo al modernismo o al liberalismo non ha alcun fondamento e alcun senso. Ma Sturzo torna sul tema con un successivo scritto nel quale esplicitamente critica l’impostazione di Maritain, nel suo Primauté du spirituel frattanto comparso.12 È proprio il richiamo alla potestas indirecta in temporalibus che rende possibile la contestazione della condanna da parte dei seguaci di Maurras sulla base di una sua lettura puramente politica. Ritorna, nell’analisi di Sturzo, l’intuizione sul carattere di fondo dell’Action française come religione secolare dal punto di vista LXIV questa volta della sua struttura interna imperniata sulla figura del capo: «Si tratta – nota Sturzo – dell’abdicazione della volontà e dell’intelletto degli associati, come corpo morale, nelle mani di un capo. Cosa tremenda che ripugna a ogni essere umano e a ogni buon cristiano, e ciò indipendentemente dalla circostanza che il capo sia un incredulo, il che aggrava ma non muta la specie dei fatti. Gran fortuna dunque, che sia venuto il papa a deporre questo capo e a sciogliere i seguaci da una specie di giuramento di fedeltà». La mia impressione è che la concezione neotomista sul rapporto fra fede e politica cui il magistero stesso della Chiesa s’ispirava non avesse in sé le categorie culturali sufficienti per capire a fondo il fenomeno e per far fronte alla minaccia della proposta maurrassiana. È significativo a questo proposito che il papa stesso solleciti studiosi laici a fornire giustificazioni e motivazioni culturali della condanna: primo fra tutti a essere coinvolto fu appunto Maritain. Ma il suo apporto rimane, come si è visto, sostanzialmente interno alle categorie concettuali del magistero. Ben più incisiva appare l’impostazione che al problema darà Maurice Blondel sulla base di un pensiero filosofico che si è distaccato dal neotomismo dominante.13 Per quanto possa apparire paradossale, l’Action française, che di un cattolicesimo svincolato dalle sue radici cristiane ha apprezzato ed esaltato il principio di autorità e di disciplina, è colpita e condannata proprio sul terreno della disciplina ecclesiastica. Le motivazioni che ispirano la tenace lotta, si potrebbe dire la persecu- zione, dei seguaci di Maurras rimangono largamente interne alla concezione condannata. In realtà, come Prévotat ha ben messo in evidenza nei capitoli finali del suo lavoro, la discussione sulla condanna dell’Action française finisce con il coinvolgere problemi di grande respiro, come quello del rapporto fra natura e grazia, e vede la partecipazione di teologi come Journet e De Lubac. In definitiva si fa strada l’intuizione che una visione cattolica della laicità della politica e dello stato non può fondarsi soltanto sulla classica distinzione dei piani fra lo spirituale e il temporale, ma coinvolge la concezione stessa della Chiesa e, in essa, del ruolo del laicato. Ma possiamo tornare al punto da cui siamo partiti, alla diversa sensibilità cioè degli italiani e dei francesi di fronte alla figura di Pio XI. Più esattamente possiamo riproporre la domanda che in tanti si posero a ridosso di quegli eventi ormai lontani: perché Pio XI, così duramente intransigente di fronte all’Action française, in quegli stessi anni favorisce il consolidamento del fascismo in Italia e la liquidazione del Partito popolare e del suo fondatore e leader Luigi Sturzo? È evidente che la mancata risposta a questa domanda non fa che riproporre e rafforzare la lettura politica della condanna dell’Action française. Ma è proprio Luigi Sturzo che nel primo dei suoi articoli appena citati fornisce un’acuta spiegazione del diverso trattamento riservato al fascismo rispetto all’Action française: «Mentre l’Action française si presentava come intimamente connessa col cattolicesimo e formata da cattolici, il fascismo ha avuto cura di non confondersi né con la Chiesa, né con le organizzazioni cattoliche; si è solo atteggiato a protettore della Chiesa, tentando di far servire la Chiesa alla sua politica, come fecero al loro tempo uomini più seri e più importanti di Mussolini, da Luigi XIV a Napoleone». In altri termini, l’Action française si poneva come fenomeno interno al cattolicesimo, capace di minarlo nella sua intima essenza, addirittura recidendone le radici cristiane, mentre il fascismo, come fenomeno esterno alla Chiesa, poteva essere più liberamente e, diciamo pure, più spregiudicatamente utilizzato nella speranza, dimostratasi presto illusoria, di servirsene per una restaurazione cristiana della società italiana. Dunque l’atteggiamento del papa Pio XI rimane intimamente ispirato da forti motivazioni religiose in entrambi i casi, anche se condizionato da una visione culturale che ha un’unica radice, ma che agisce in maniera diversa, anzi opposta, nei due casi. Papa Pio XI ha il mito, il culto dell’autorità: è convinto che in Francia un forte e duro esercizio dell’autorità ecclesiastica possa far rientrare la dissidenza dei maurrassiani; pensa che in Italia un governo autoritario e forte possa essere strumento di restaurazione cattolica. I costi di questa concezione e mentalità autoritaria sono stati in entrambi i paesi pesanti per la Chiesa e drammatici per molti cattolici. La figura di Pio XI ne esce grande nella sua durezza e nella sua coerenza, ma al tempo stesso segnata da una sostanziale incomprensione della realtà. Pietro Scoppola* * Il presente contributo è stato pubblicato sul volume L. MONFERRANTE, D. NOCILLA (a cura di), La storia, il dialogo, il rispetto della persona. Scritti in onore del cardinale Achille Silvestrini, Studium, Roma 2009, 259-269. Ringraziamo l’editrice Studium per il permesso di ripubblicare, con nostri sottotitoli redazionali, lo scritto postumo del prof. Scoppola. 1 Pietro Scoppola, scomparso il 25.10.2007, ha lavorato a questo testo negli ultimi mesi della sua vita, appena prima di dedicarsi alla stesura del suo libro spirituale Un cattolico a modo suo (Morcelliana, Brescia 2008). È l’ultimo suo contributo storiografico. Non ha avuto il tempo di perfezionarlo, ma me lo ha consegnato affinché potessi presentarlo per il volume in onore del card. Achille Silvestrini. Insieme avevamo passato alcune indimenticabili giornate di lavoro, le ultime della sua feconda carriera di studioso, nell’Archivio segreto vaticano, a consultare gli innumerevoli fascicoli relativi alla condanna dell’Action française nel quadro del pontificato di Pio XI. Il testo merita di essere pubblicato così come lo ha lasciato, anche se si conclude in modo brusco. Manca la meditata conclusione che l’autore avrebbe voluto scrivere per chiarire meglio il rischio dell’uso politico della religione, che egli giudicava riemergente e di grande attualità, ma tutti i temi a lui cari sono comunque presenti, insieme ad alcune considerazioni illuminanti e nuove su una delle vicende più complesse e drammatiche della storia civile e religiosa del secolo scorso. Il testo è stato scritto tenendo conto anche di altri interventi sulla vicenda dell’Action française: la relazione che lesse presso il Centre culturel Saint Louis de France a Roma il 15.4.1986 e la presentazione della grande thèse di Jacques Prévotat, da lui tenuta in grande considerazione, che tenne all’Istituto Sturzo il 2.5.2002. Anche questi testi potranno essere editi, una volta che si sarà proceduto alla sistemazione del suo archivio e alle opportune verifiche in merito ai numerosi manoscritti ivi contenuti (Giuseppe Tognon). 2 J. PRÉVOTAT, Les catholiques et l’Action française. Histoire d’une condamnation 1899-1939, Fayard, Paris 2001. 3 SEGRETERIA DI STATO VATICANA, 1927, rubrica 338 G, fasc. 1, doc. 18. 4 PRÉVOTAT, Les catholiques et l’Action française, 120. 5 NUNZIATURA MAGLIONE, busta 475, n. 975. 6 «Un gran numero di membri e aderenti del partito condannato chiamato Action française, malgrado una nota e ostinata resistenza alle dichiarazioni e alle prescrizioni di questo santo tribunale, in data 8 marzo del corrente anno è ammesso, e se ne vanta pubblicamente, all’assoluzione sacramentale e alla santa mensa eucaristica da sacerdoti legati allo stesso partito» (SEGRETERIA DI STATO VATICANA, 1927, rubrica 338 F, fasc. 1, doc. 27). 7 «È Gesù Cristo che assolve per bocca del suo ministro» (ivi, doc. 29). 8 «Non è l’autorità del papa a essere contestata, ma l’esattezza di certe informazioni»; (ivi, doc. 25). 9 Œuvres complètes, Saint Paul, Paris, VII, vol. 1985, 1308-1313. 10 L’articolo si può ora leggere nel volume dell’opera omnia di Sturzo Miscellanea londinese, vol. I, 1925-1930, Zanichelli, Bologna 1995, 140-148. 11 Ivi, 143. 12 «Chiarimenti su Maritain», in Le Mouvement des faits et des idées, n. 53, Paris, dicembre 1927. 13 Cf. PRÉVOTAT, Les catholiques et l’Action française. LXV IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 247 L L ibri del mese / schede I Libri del mese si possono ordinare indicando il numero ISBN a 12 cifre: per telefono, chiamando lo 049.8805313; per fax, scrivendo allo 049.686168; per e-mail, all'indirizzo [email protected] per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano, via Nosadella 6, 40123 Bologna. Sacra Scrittura, Teologia BUSATO BARBAGLIO C. (a cura di), I mille volti di Gesù, EDB, Bologna 2009, pp. 145, € 11,90. 978881022141 un anno dalla morte di Giuseppe Barbaglio (Regno-att. 8,2007,279), la sua figura è stata ricordata in un convegno di studio (Regno-att. 8,2008,225), che ne ha messo a fuoco l’eredità: la Bibbia e in particolare l’ultimo tema cui aveva messo mano, cioè i tanti modi possibili d’esprimere Gesù. Il vol. raccoglie contributi di studiosi, colleghi e amici, imperniati su tre riferimenti: i mille volti di Gesù e la ricerca biblica; i molti volti nella varietà dell’esperienza cristiana e oltre le Chiese; il paradosso dell’incarnazione di fronte al pluralismo religioso. A CANOBBIO G., D ALLA VECCHIA F., T ONONI R. (a cura di), Interpretare la Scrittura. Quaderni teologici del Seminario di Brescia/18, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 333, € 24,00. 978883722275 scito pochi mesi prima del Sinodo sulla Parola, il vol. è dedicato alla Scrittura e alla sua interpretazione. L’emergere delle in- U sufficienze del metodo storico-critico, l’estendersi di un approccio fondamentalista (fuori e dentro la Chiesa cattolica), il moltiplicarsi dei metodi di lettura (narrativo, semeiotico, retorico ecc.) suggeriscono di usare il vol. come un servizio critico per cogliere come ci si possa porre di fronte alla Scrittura, sia come singoli credenti sia come cultori delle discipline teologiche. I dieci saggi che compongono il vol. trattano di vari aspetti: dalla lectio divina al canone, dal rapporto Scrittura-discipline teologiche ai testi scritturistici «scomodi», dal legame fra Bibbia e morale a quello fra il testo sacro e la filosofia, dal suo uso nella liturgia come nella catechesi. GIORGIO G., M ELONE M. (a cura di), Credo nello Spirito Santo, EDB, Bologna 2009, pp. 238, € 21,60. 978881040163 saggi raccolti nel vol. sono i contributi offerti all’XI Simposio della Società italiana per la ricerca teologica, in collaborazione con il Servizio nazionale per il progetto culturale della CEI: essi vertono attorno all’ottavo articolo del simbolo apostolico «Credo nello Spirito Santo» e si dedicano a una ricognizione, complessa ma stimolante, delle questioni connesse alla figura e al ruolo della terza persona della Trinità. Lo sforzo degli studiosi è di «ridire» Dio nel contesto spazio-temporale in cui oggi ci troviamo a vivere, affinché la professione di fede possa ancora essere reale strumento di trasmissione della medesima fede nel mutato contesto culturale. I GRILLI M., L’impotenza che salva. Il mistero della croce in Mc 8,2710,52, EDB, Bologna 2009, pp. 168, € 15,60. 978881041009 ome ha sviluppato Marco l’intreccio tra il cammino di Gesù verso Gerusalemme e il cammino del discepolo? In che senso la strada del discepolato è segnata dalla croce? Le domande da cui l’a. muove sollevano una questione di teologia biblica di ampia portata che, da una sezione unitaria e centrale del Vangelo, si riverbera su tutto il racconto marciano. L’approccio utilizzato nel suo studio parte dal presupposto che la lettura del testo biblico costituisce un evento comunicativo. Quindi propone tre momenti d’analisi: un reticolo testuale, che fa emergere l’unità complessiva della trama; la configurazione semantica; lo snodo pragmatico, affinché chi legge sia condotto a identificarsi con le domande e le provocazioni del testo. C KEENAN J.F., Etica teologica cattolica nella Chiesa universale, EDB, Bologna 2009, pp. 376, € 34,00. 978881040496 all’8 all’11.7.2006 si è tenuto a Padova il I Congresso interculturale di etica teologica cattolica (Regno-att. 18,2006,613). 400 moralisti, provenienti da 63 paesi, si sono interrogati sui temi più urgenti della disciplina e hanno delineato il quadro culturale sul quale l’etica è chiamata a esprimersi. Quali sono dunque i temi etici più urgenti nel mondo d’oggi? I diritti umani, l’economia in un mondo globale, una Dichiarazione universale sulla bioetica e sui diritti umani (I parte). È seguita poi una ricognizione della teologia morale nei cinque continenti (II). In conclusione sono stati individuati i temi che risultano oggi determinanti nell’elaborazione di una teologia morale: ermeneutica e fonti dell’etica teologica, sensus fidelium e discernimento morale, sfida del pluralismo e futuro della teologia morale, globalizzazione e giustizia (III). D MERUZZI M., Lo sposo, le nozze e gli invitati. Aspetti nuziali nella teologia di Matteo, Cittadella, Assisi 2008, pp. 525, € 21,00. 978883080896 L’ immagine delle nozze entra nel Vangelo di Matteo soprattutto in tre momenti: nella discussione sul digiuno (9,14-17), nella parabola del banchetto nuziale (22,1-14), nella parabola della dieci vergini (25,1-13). Il vol. è costruito attorno al simbolo nuziale. Esso compare marginalmente, ma è elemento fondamentale per la cristologia, l’ecclesiologia e la concezione storico-salvifica di Mt. Alla funzione comunicativa del simbolo è dedicata la I parte, all’analisi dei tre passi la II, alla concezione cristologico-ecclesiale di Mt la III. L’immagine nuziale è un ponte solido fra AT e NT. Il «compimento» del secondo non sarebbe possibile senza la «permanenza» del primo. 248 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 LXVI MONACA M. (a cura di), Oracoli sibillini, Città nuova, Roma 2008, pp. 254, € 18,00. 978883118199 li oracoli sibillini rispondono a un modello comunicativo ancorato alla tradizione greco-romana, il cui protagonista è appunto la sibilla, figura femminile invasata dal dio. Essa è ripresa dalla tradizione ebraico-cristiana in quanto «tramite occasionale» della parola di Dio e latrice di una testimonianza spontanea e sconvolgente. Il contenuto teologico dell’intera raccolta è la difesa del monoteismo di fronte a popoli politeisti. Un intento che permette di trovare nei quattordici libri radici sia ebraiche sia cristiane e lo sviluppo di temi profetici, dottrinali e teologici, concezioni escatologiche e apocalittiche. Sono 4.230 esametri con l’aggiunta di 8 frammenti, composti tra il I sec. a.C. e il VII sec. d.C. Il vol. è a cura di Mariangela Monaca. G ONISZCZUK J., La Prima lettera di Giovanni. La giustizia dei figli, EDB, Bologna 2009, pp. 289, € 26,20. 978881025108 uale messaggio emerge dalla Lettera? Per rispondere l’a. fa ricorso alla retorica biblica e afferma che la sequenza centrale è incentrata sull’unico comandamento «di credere nel nome del figlio di Dio, Gesù Cristo, e di amarci gli uni gli altri». Al suo interno, il «comandamento» corrisponde alla «giustizia» dei «figli di Dio», modellata sull’esempio di Cristo. Così al centro del quadro sta la figura di Gesù Cristo – il giusto figlio di Dio, che conferma la sua figliolanza donando la propria vita per i fratelli – messa a confronto con Caino – l’ingiusto figlio di Adamo, che nega la sua figliolanza provocando la morte del proprio fratello. Sullo sfondo si collocano tutti gli altri fratelli (inclusi i lettori), lasciati alla propria libertà di decidere quale «giustizia» scegliere. Q PELLEGRINI S., L’ultimo segno. Il messaggio della vita nel racconto della risurrezione di Lazzaro, EDB, Bologna 2009, pp. 273, € 18,60. ricchisce la conoscenza di una parte della tradizione biblica. La dottrina gnostica allo stato nascente influisce infatti nel linguaggio e nell’immaginario paolino e giovanneo. VIGIL J.M., Teologia del pluralismo religioso. Verso una rilettura pluralista del cristianesimo, Borla, Roma 2008, pp. 502, € 40,00. 978882631684 C on una chiara scelta a favore della teologia del pluralismo religioso, l’a. affronta la pluralità delle fedi con il passo di una teologia popolare e con l’intento di un corso sistematico. Non vi sono «elezioni» o privilegi arbitrari per una religione particolare, cristianesimo compreso. Tutto questo comporta una radicale ripresa di elementi centrali come la missione, il concetto di rivelazione e di verità teologica. Il cristianesimo è confessato con gioia, ma senza appellarsi a proclami di unicità e a pretese di esclusività. La posizione dell’a. costituisce una delle frontiere più esposte e discusse nell’ambito della teologia delle religioni, ma anche il segnale che il dialogo e il confronto con le altre fedi si sta imponendo come elemento centrale dell’attuale esperienza di Chiesa. Il Nuovo Testamento. Nuova versione ufficiale della CEI, Paoline, Milano 2009, pp. 1146, € 22,00. 978883153633 Il Vangelo secondo Giovanni e le Lettere. Nuova edizione, EDB, Bologna 2009, pp. 69, € 1,40. 978881082043 Il Vangelo secondo Giovanni e le Lettere. Nuova edizione a caratteri grandi, EDB, Bologna 2009, pp. 69, € 2,50. 978881082048 Vangeli e Atti degli apostoli. Testo e guida di lettura a caratteri grandi. Nuova edizione, EDB, Bologna 2008, pp. 371, € 6,90. 978881082054 978881041509 L o studio è un esempio di lettura semiotica, esegeticamente fondata e insieme ricca dal punto di vista ermeneutico, modello esegetico integrativo, capace di superare la tradizionale classificazione metodologica. «Scopo del racconto è risvegliare la fede del lettore in Gesù. Ma il contenuto della fede non è la risurrezione, bensì Gesù come (principio di) risurrezione e vita. Il vero soggetto narrativo non è Lazzaro né la risurrezione dai morti, bensì il Figlio e il suo rapporto col Padre come porta della vita per i credenti» (dalla Conclusione). Il lettore viene quindi introdotto al testo svolgendo il percorso di lettura nei suoi ritmi reali, sciogliendo i nodi interpretativi e trovando risposta alle domande esistenziali che il brano affronta. PERRIN N., Tommaso, l’altro Vangelo, Queriniana, Brescia 2008, pp. 226, € 19,50. 978883992865 ecuperato fortunosamente a Nag Hammadi alcuni decenni fa, il Vangelo di Tommaso è considerato fra i più antichi e autorevoli apocrifi. L’a. affronta in forma piana l’insieme dei complessi problemi d’attribuzione del testo collocandolo storicamente nell’ultima parte del II sec. in un contesto siriano e con una teologia di tipo encratico proveniente da Taziano. Espressione di una comunità cristiana attiva fin dall’origine che si riferiva a Cristo non come a un salvatore, ma come a colui che può mostrare come essere salvati. Senza per questo escludere che nel testo siano sopravvissuti detti autentici di Gesù, direttamente riferibili alle tradizioni orali della primitiva comunità. Testo divulgativo e rigoroso che si raccomanda in un clima di abbacinamenti filo-aprocrifi. R SCHMITHALS W., Nuovo testamento e gnosi, Queriniana, Brescia 2008, pp. 312, € 24,00. 978883990835 opo le scoperte di Nag Hammadi si è riaperta la questione delle influenze gnostiche negli scritti ebraici e cristiani. Il lettore viene invitato a percorrere il NT scoprendo le strategie messe in atto dai suoi aa. per illustrare il mistero di Cristo, prendendo le distanze dall’orientamento gnostico. Atteggiamento che tuttavia non esclude in alcuni libri, come il corpus paolino e il Vangelo di Giovanni, una qualche influenza della tradizione gnostica. Il vol. è un’attenta indagine di questa doppia stratificazione, di distanza e vicinanza, che ar- D LXVII IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 249 Maria Veronese Introduzione a Cipriano pp. 128, € 12,00 Giacomo Canobbio Il destino dell’anima Elementi per una teologia pp. 152, € 12,00 Lucia Mor Marie Luise Kaschnitz e Gustave Courbet «La verità, non il sogno» pp. 296, € 18,00 Joseph de Maistre Cinque paradossi pp. 104, € 10,00 I Libri di Biblia Genesi e Natura pp. 240, € 16,50 Via G. Rosa 71 - 25121 Brescia - Tel. 03046451 - Fax 0302400605 www.morcelliana.com L ibri del mese / schede Pastorale, Catechesi, Liturgia CUCCI G., Il fascino del male. I vizi capitali, ADP – Apostolato della preghiera, Roma 2008, pp. 367, € 19,00. 978887357457 uperbia, ira, invidia, avarizia, gola, lussuria, accidia non rappresentano solo un elenco di vizi archiviabili in una nostalgia passatista. Sono strutture di coscienza la cui suggestione e capacità di spiegazione dell’umano mantengono ancora intatte le loro potenzialità di spiegazione. Rispetto a essi volontà di resistenza e attrazione trasgressiva si combinano inesorabilmente, lasciando talora l’impressione, o meglio la tentazione, di rassegnarsi con passiva indifferenza. Lo studio intende esplorare la saggezza che la tradizione colloca entro l’elenco dei vizi capitali in un percorso che coinvolge la teologia, la filosofia, la psicologia e l’arte letteraria. S CUNEO E., DI SORCO D., MAMELI R., Introibo ad altare Dei. Il servizio all’altare nella liturgia romana tradizionale, Fede & Cultura, Verona 2008, pp. 275, € 25,00. 978888991392 l vol. è un piccolo vademecum per quanti vogliono conoscere la liturgia in latino nel rito di s. Pio V. Note storiche e liturgiche, indicazioni pratiche e spiegazioni minute, tipologie di celebrazioni e mansioni sono spiegate in forma essenziale e rapida. Un piccolo esempio: nel c. dedicato agli abiti e paramenti sacri, accanto all’abito talare in tutte le sue varie forme si ricorda l’amitto, il camice, il cingolo, la cotta, il rocchetto, il manipolo, la stola, la pianeta, la dalmatica, la funicella, il piviale, il velo omerale, il pallio, la bugia, le calze, i guanti, il gremiale, la cappamagna, la falda papale, il camauro, la mozzetta, la pellegrina e la mantelletta. In coerenza allo scarso peso dato alla Parola, si considera superfluo l’ambone e inesistente il Lezionario... Prefazione del card. Castrillòn Hoyos. I in collaborazione con Convegno LA CATECHESI A UN NUOVO BIVIO? A 40 anni dal Documento Base Il rinnovamento della catechesi Padova, 8 - 9 maggio 2009 FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO Sede dei lavori Facoltà Teologica del Triveneto via del Seminario, 29 35122 Padova Informazioni Segreteria FTTR: tel. 049 664116 e-mail: [email protected] web: www.fttr.it Quota di partecipazione: € 15,00 Gratuito per gli studenti FTTR e degli Istituti Teologici collegati DOROFATTI F., I luoghi della fede nella società secolare, Àncora, Milano 2008, pp. 287, € 15,00. 978885140612 l vol. si colloca nel vivace dibattito sul rapporto fra cristianesimo e nazione italiana. Tra scelta nostalgica e accettazione delle sfide della secolarizzazione il testo preferisce il secondo fronte. Fine della cristianità non significa, infatti, fine del cristianesimo, ma opportunità per rivedere e rimodellare i luoghi della trasmissione della fede: parrocchia, famiglia, scuola, associazioni e movimenti. La prospettiva descrittiva si sovrappone a quella propositiva per affrontare dapprima i temi posti dal luogo della comunità cristiana, cioè la parrocchia, poi da quello della famiglia e, infine, da quello della scuola e della cultura. Con la chiara affermazione della centralità di Cristo nella proposta di fede. I FONTANI S., Voglio dirti «sì» per sempre. La sessualità nella coppia, Gribaudi, Milano 2009, pp. 96, € 6,50. 978887152967 L’ a., psicoterapeuta, è da anni impegnata anche nel campo della pastorale, arricchita dalla propria esperienza matrimoniale e da quattro figli. Propone un percorso di valorizzazione della sessualità alla luce della pedagogia cristiana che tenga conto del corpo come mezzo espressivo principale a disposizione della relazione coniugale; della relazione affettivo-sessuale che la coppia deve coltivare lungo tutto il matrimonio; del valore del tempo come dimensione costruttiva della relazione e non come mero scenario. E convince proprio perché l’argomentazione non è né vaga né dogmatica. LONGHI A., Luoghi di culto. Architetture 1997-2007, Motta Architettura, Milano 2008, pp. 278, € 69,50. 978886116062 l vol. si pone l’ambiziosa meta, considerando 23 luoghi di culto realizzati negli ultimi 10 anni, di mettere a confronto diversità e similitudini della committenza cattolica, ebraica e musulmana. Minimo comune denominatore è il ruolo giocato dalla comunità riunita in preghiera che dialoga con la città in cui vive e lavora. Ecco che allora diventa in qualche misura confrontabile lo studio dell’architettura della chiesa di s. Pio di San Giovanni Rotondo con la moschea di Lione o con la cappella ecumenica di Sant’Enrico in Finlandia. L’a., il cui contributo mette in luce quanto abbia apportato all’architettura sacra il Vaticano II, è docente a contratto di discipline storiche presso il Politecnico di Torino. I MARTINI C.M., Liberi di credere. I giovani verso una fede consapevole, Cooperativa In Dialogo, Milano 2009, pp. 189, € 17,00. 978888123546 l fatto che alcuni dei testi qui raccolti abbiano molti anni non toglie nulla alla loro attualità e freschezza. Si tratta degli interventi che il card. Martini ha indirizzato ai giovani nel corso del suo magistero come arcivescovo di Milano, in particolare in due occasioni: l’«Assemblea di Sichem» (1988-1989), la grande convocazione dei giovani della diocesi sul tema della scelta di fede e «Sentinelle del mattino», il sinodo dei giovani che si svolse tra il 2000 e il 2002. Ma soprattutto la lettera Ai giovani che non incontro, del 1990, riportata in apertura, per la sua capacità di mettersi nei panni degli interlocutori e di prendere sul serio le loro domande e dubbi rimane ancora un riferimento e un valido strumento nella pastorale delle nuove generazioni. I MORAL J.L., Giovani, fede e comunicazione. Raccontare ai giovani l’incredibile fede di Dio nell’uomo, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 245, € 17,00. 978880103927 ulla scia del precedente vol. Giovani senza fede? Manuale di pronto soccorso per ricostruire con i giovani la fede e la religione (cf. Regno-att. 6,2008,181), questo continua il progetto di «Prassi cristiana con i giovani» in un percorso di pastorale giovanile, che si concluderà con un 3o vol. Diviso in tre parti, il libro cerca di raccontare ai giovani la storia di Dio con l’uomo, tenta di «scoprire in Dio le parole sull’uomo e per l’uomo». Contiene numerose conversazioni con studenti della Pontificia università salesiana e alcuni dialoghi con studenti spagnoli pubblicati nel vol. Creado creador. Apuntes de la historia de Dios con el hombre (CCS, Madrid 1999). S 250 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 LXVIII SCHNEIDER T., PATENGE M., Sette sante celebrazioni. Breve teologia dei sacramenti, Queriniana, Brescia 2008, pp. 229, € 20,50. 978883990833 i potrebbe parlare di una teologia semplificata dei sacramenti, senza voler dare un senso spregiativo all’aggettivo. Il libro infatti è pensato per quei genitori che, portando i propri figli ai sacramenti, avvertono l’esigenza di capire per sé e per i loro figli i gesti che la Chiesa offre loro di compiere. I riti infatti accompagnano le relazioni e costruiscono i rapporti fra noi e quanti erano prima di noi e verranno dopo di noi. Sono gesti che aiutano a comprendere i momenti di passaggio e di maturazione, luoghi privilegiati della vicinanza di Dio. I sette cc. sono indirizzati a spiegare i sacramenti, dove il richiamo alla teologia è fatto seguire dalla spiegazione dei segni e dalle considerazioni pratiche. S VILLATA G., L’agire della Chiesa. Indicazioni di teologia pastorale, EDB, Bologna 2009, pp. 287, € 24,30. 978881020349 a domanda fondamentale per la teologia pastorale e per la pastorale potrebbe essere così espressa: come dire il messaggio di Gesù Cristo in una realtà sociale e culturale di seconda secolarizzazione e all’interno di una società liquida? Il vol. tratta dell’agire pastorale della Chiesa nell’oggi, all’interno di una visione profondamente radicata nella Tradizione e nel magistero, e insieme attenta a intercettare i segni dello Spirito. L’a. è docente di Teologia pastorale, responsabile del Centro studi e documentazione della diocesi di Torino e direttore dell’Osservatorio giuridico-legislativo regionale piemontese della CEI. L ANDREOLI S. (a cura di), Via crucis. In Cammino con Angela da Foligno, Città nuova, Roma 2009, pp. 62, € 3,50. 978883113854 CORMIO P. (a cura di), Dio parla nel silenzio del cuore. Vivere la Quaresima con sant’Agostino, Città nuova, Roma 2009, pp. 222, € 14,00. presenta cicli monografici realizzati dall’omonima trasmissione di cultura religiosa di Radio Tre. BOFF L., Spiritualità per un altro mondo possibile. Ospitalità – convivenza – convivialità, Queriniana, Brescia 2009, pp. 395, € 27,00. 978883991676 L a globalizzazione è un tempo opportuno per liberare energie positive sia per la salvaguardia del creato, sia per la custodia dell’umano comune. Un’impresa che ha il nome della spiritualità e che il teologo brasiliano declina sul versante delle virtù. Rispetto all’enfasi del recente passato su economia e politica è necessario ridare spazio all’etica e alla spiritualità. Le tre parti del vol. sviluppano rispettivamente la virtù dell’ospitalità nell’attuale drammatico flusso delle popolazioni, la convivenza e la tolleranza davanti ai fondamentalismi, la convivialità davanti alla fame e alla manipolazione genetica. Una riflessione che declina elementi riflessivi con l’attenzione alle sperimentazioni in atto in molti movimenti popolari. BRUNI G., Perché... Signore? La preghiera: dono, dialogo, illuminazione, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2008, pp. 79, € 10,00. 978886124053 a piccolezza del vol. non deve trarre in inganno. Esso ha la qualità delle cose a lungo pensate e vissute. L’a., servo di Maria e monaco di Bose, ripercorre il tema della preghiera cristiana in molte delle sue regioni note: da quella di domanda a quella d’invocazione, dal ringraziamento alla lode. Ma progressivamente il testo accompagna una maturazione decisiva per il credente: quella dal «dire preghiere» a «diventare preghiera». Il fascio di desideri che costituisce la creatura si converte nella disponibilità al grazie, nel luogo in cui Cristo continua a intercedere, gemere e consolare. Luogo personale che diventa anche misura ecclesiale. Non le strutture, non le leggi, non le teorizzazioni fanno la Chiesa del Signore, ma il popolo che prega e che fa ciò che è giusto. L 978883113859 MAZZOLARI P., SEDINI V., Via crucis, Monti, Saronno (VA) 2009, pp. 39, € 3,00. 978888477170 MACHETTA D., Nazareth. Verbum caro factum est. Canti mariani, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 20, € 7,00. 978880104158 Aimone Gelardi PANE R., Manuale del ministrante, EDB, Bologna 2009, pp. 70, € 6,50. Lo hai fatto a me 978881071050 PAPPALARDO M., Via crucis. Con i santi della famiglia salesiana, LDC, Leumann (TO) 2009, pp. 32, € 2,70. 978880104209 RICCI N., Il Padre nostro. Parolaperparola, EDB, Bologna 2009, pp. 48, € 2,20. 978881076806 RICCI N., L’Ave Maria. Parolaperparola, EDB, Bologna 2009, pp. 48, € 2,20. 978881076807 RIZZI M., Mani. Stendi la tua mano e mettila nel mio costato. Via crucis per ragazzi, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 38, € 3,50. 978880104155 SEMERARO D., Messa quotidiana/maggio 2009. Riflessioni di fratel MichaelDavide, EDB, Bologna 2009, pp. 315, € 3,50. Spiritualità BIANCHI E., Immagini del Dio vivente, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 83, € 10,00. 978883722194 na conversazione sulle icone, le immagini del Dio vivente, fra G. Caramore ed E. Bianchi. «Un modo di riflettere sul nostro rapporto con la dimensione dell’invisibile, sulla sua rappresentabilità, sulla nostra modalità di metterci in relazione con ciò che alcuni chiamano Dio e per altri è l’insondabile segreto della vita umana». I temi affrontati sono la Trinità, la natività, la trasfigurazione, la croce e la risurrezione. Il libro fa parte della collana «Uomini e profeti» che U Le opere di misericordia a misura di bambino on è facile comunicare ai bambini il significato delle opere di misericordia corporali e spirituali. Il linguaggio utilizzato dall’autore e la veste grafica del prodotto lo rendono particolarmente comprensibile e gradevole ai fanciulli. Pur in tenera età, essi possono essere aiutati a percepire che cosa vuol dire volere bene al prossimo come ha fatto Gesù. N «Primi passi» pp. 48 a colori - € 2,00 Dello stesso autore: Le regole del gioco 10 no? noo!! 10 sì! - I dieci Comandamenti pp. 56 a colori - € 2,00 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 LXIX IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 251 www.dehoniane.it (⁄ junior) L ibri del mese / schede COCCO F., Il sorriso di Dio. Studio esegetico della «benedizione di san Francesco», EDB, Bologna 2009, pp. 74, € 7,30. 978881022139 o studio affronta il passo che tradizionalmente va sotto il nome di «benedizione sacerdotale» in Nm 6,24-26. Esso fu regalato da san Francesco a frate Leone quale pegno della presenza e della protezione divina, e da allora in poi è divenuto noto come «benedizione di san Francesco». L’a. fa luce su alcuni aspetti fondamentali di un passo tanto citato quanto trascurato dai commentatori, forse a causa delle difficoltà oggettive che la sua interpretazione presenta. L’approccio utilizzato è di natura prevalentemente induttiva: parte dal testo così com’è per risalire gradualmente al contesto che lo ha prodotto e ricostruire il percorso che ha compiuto prima di sedimentarsi definitivamente in Nm 6. L DE SOUZENELLE A., Il bacio di Dio. O l’alleanza ritrovata, Servitium, Sotto il Monte (BG) 2008, pp. 104, € 13,00. 978888166297 a fonte ispirativa delle riflessioni spirituali dell’a. – psicoterapeuta, convertita al cristianesimo ortodosso e conosciuta a. di testi di spiritualità – è come sempre il testo biblico ebraico, e anzi è proprio la Torah il «bacio di Dio» al quale si riferisce il titolo. I temi della meditazione sono: l’esilio da Dio, la libertà, la conoscenza, la genesi del desiderio, il male, la sofferenza e la morte, le tre «matrici», cioè spazi di evoluzione del corpo umano. L Sandro Carotta Le feste della Madre di Dio FIGHERA G., Che cos’è dunque la felicità, mio caro amico?, Ares, Milano 2008, pp. 248, € 14,00. 978888155434 n percorso di letteratura che si mescola a un percorso esistenziale. Il vol., frutto di molteplici letture e anni d’insegnamento, vuole «porsi come provocazione perché ci riappropriamo del nostro cuore (e del suo desiderio inestirpabile di felicità, di verità, di bontà, di giustizia…)» e possiamo così mantenere viva, con tutta la verità e la dignità di cui siamo capaci, la domanda che Leopardi rivolge all’amico belga Jacopssen: «Che cos’è dunque la felicità, mio caro amico? E se la felicità non c’è, cos’è dunque la vita?», come esigenza di felicità infinita. Prefazione di mons. L. Negri, vescovo di San Marino – Montefeltro. U Meditazioni per le ricorrenze mariane pag. 80 – € 5,00 Riflessioni e meditazioni, ispirate a brani del Vangelo o di autori vari, concernenti le 10 festività mariane più importanti che la Chiesa propone lungo l’arco dell’anno liturgico. MELLO A., Leggere e pregare i salmi, Qiqajon, Magnano (BI) 2008, pp. 612, € 32,00. 978888227261 150 salmi sono tradotti e commentati. Le caratteristiche del lavoro dell’a., monaco di Bose che vive a Gerusalemme, è di aver privilegiato il testo ebraico con una traduzione aspra e il più possibile letterale. In secondo luogo, il commento è scritto con un duplice riferimento: ai midrash Tehillim e a Rashi di Troyes, forse il più grande dei commentatori ebraici dei Salmi. Per queste caratteristiche l’opera si raccomanda a quanti apprezzano la libertà teologica del midrash e la sorvegliata misura del commento di tradizione medievale. I MESSORI V., TORNIELLI A., Perché credo. Una vita per rendere ragione della fede, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2008, pp. 429, € 20,00. 978883848831 Angelo Lameri La liturgia delle ore ppag. ag. 200 - €12,00 Un libro che, con i testi della Laudis canticum e della Liturgia delle Ore, offre un’ampia introduzione, schede esplicative e indici analitici che aiutano a leggere i sopra citati documenti per coglierne in profondità la ricchezza e l’attualità. I l cronista della «buona notizia» si racconta: lui che ha intervistato ben due papi (sebbene l’intervista a papa Ratzinger sia stata fatta quando quest’ultimo era ancora cardinale); questa volta è nel ruolo d’intervistato da un altro giornalista cattolico, Andrea Tornielli. Ne esce il ritratto di un uomo che, al di là delle critiche da parte laica, degli scontri su cosa sia la fede cattolica, delle inevitabili incomprensioni, si rivela un credente nella Chiesa di Cristo. Un’ortodossia, dunque, che, nell’adesione alla verità dalla Chiesa stessa custodita e garantita, permette di far trovare al noto giornalista la ragione più intima per poter confessare la propria fede. Un libro, una confessione, una nuova apologetica. OSCULATI R., Apocalisse, IPL - Istituto propaganda libraria, Milano 2008, pp. 193, € 16,00. 978887836455 resentazione semplice e diretta di uno dei libri biblici più complessi. Con una serie di immagini drammatiche e promettenti, la sapienza profetica scova, attraverso i sette sigilli, il tessuto profondo e P w www.edizionimessaggero.it 252 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 LXX vero della storia e dell’umanità. Un approccio che chiede pazienza e il superamento di molte chiusure. Gli eventi si presentano nella loro superficie negativa e distruttiva, mentre i giusti ne avvertono gli esiti ultimi e felici. Chiave del mutamento possibile è Gesù, uomo-Dio. PROIETTI L., Elogio della vita solitaria. Vita di sant’Egidio, Effatà, Cantalupa (TO) 2008, pp. 174, € 12,00. 978887402427 razie alla figura di sant’Egidio, eremita e abate vissuto probabilmente nel VI sec. nel Sud dell’attuale Francia, l’a. rivela la sua passione per la vita contemplativa, «quell’avventura di amore che ti rende fortemente “presente a Dio e presente ai fratelli” (E. Pontico)». Ogni c. inizia con un breve testo in corsivo che descrive la vita del santo, seguito da un commento dell’a., per finire con un breve «Notturno», ovvero una preghiera o meditazione presentata come un colloquio notturno con il Signore, frutto della lectio divina: «Attraverso questi Notturni ho voluto recuperare il non detto della vita spirituale del monaco Egidio, quasi una biografia interiore della sua anima». G SCRUTON R., La cultura conta. Fede e sentimento in un mondo sotto assedio, Vita e pensiero, Milano 2008, pp. 116, € 12,00. 978883431662 utore del Manifesto dei conservatori contro il nichilismo e la decadenza del gusto estetico, Scruton, che insegna negli USA, difende la tradizione classica e le sue espressioni artistiche, letterarie e musicali. Con l’abbandono dell’orizzonte religioso l’estetica è uscita dalla valutazione dei valori per perdersi nella rincorsa dei desideri. Ma una società senza cultura perde la sua memoria e la voglia di creare per il futuro, facile preda della barbarie e degli istinti distruttivi. La cultura della tradizione occidentale è al contempo conoscenza morale, bagaglio di giudizi etici, insostituibili nella guida del futuro. A FORTE B., Poesie. Il libro del viandante e dell’amore divino, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2008, pp. 229, € 14,00. 978882156296 F rutto del III incontro sull’Oriente cristiano di tradizione siriana (Milano 2004), il vol. segue due piste d’indagine. La prima riguarda la storia della Chiesa siro-orientale, mentre la seconda segue alcune figure di esegeti e monaci. Le relazioni di tipo linguistico o su alcune grandi scuole esegetiche appartengono alla prima attenzione, mentre la seconda si alimenta dei saggi relativi alle figure di Mar Aba e Abramo di Kanshkar. Fra gli aa.: C. Pasini, R. Contini, E. Carr, P.Y. Patros, M. Nin, P. Bettiolo. ZAMBON F. (a cura di), Trattati d’amore cristiani del XII secolo. Volume I, Mondadori, Milano 2008, pp. CIV+317, s.i.p. 978880456237 ZAMBON F. (a cura di), Trattati d’amore cristiani del XII secolo. Volume II, Mondadori, Milano 2008, pp. XX+683, s.i.p. 978880457384 el XII sec., quando i trovatori celebravano l’amor cortese, i romanzi narravano le vicende sentimentali di Tristano e Isotta ed Eloisa e Abelardo vivevano una relazione appassionata, venivano anche elaborate affascinanti teorie sull’amore mistico (che influenzano anche i trovatori). Il 1o dei due voll. della Fondazione Valla, entrambi a cura del filologo romanzo F. Zambon che correda le opere di una bella introduzione e di un ricco apparato di commento, contiene in lingua originale latina e in traduzione italiana le opere di Guglielmo di Saint-Thierry e Bernardo di Chiaravalle; il 2o quelle di Aelredo di Rievaulx, Ivo e Riccardo di San Vittore. N GALBIATI G., Fede e religione. Studio critico sulla religione e i suoi limiti, Firenze Atheneum, Firenze 2005, pp. 241, € 19,00. 978887255256 SICARI A.M., Una santa famiglia. Teresa di Lisieux e i suoi genitori Zelia Guérin e Luigi Martin, Jaca Book, Milano 2008, pp. 76, € 7,00. 978881660464 Storia della Chiesa GIOVANNUCCI P., Canonizzazioni e infallibilità pontificia in età moderna, Morcelliana, Brescia 2008, pp. XXX+247, € 16,50. 978883722264 na ricerca storica condotta sulla teoria e la prassi della santità nella Chiesa cattolica dell’età moderna dimostra che il criterio della virtù in grado eroico rappresentò per Roma il principale strumento di selezione delle nuove proposte agiografiche emergenti nel vasto corpo del cattolicesimo, e coincise con la centralizzazione delle funzioni di controllo e d’inappellabile selezione direttamente in capo al pontefice e agli uffici curiali preposti. Tutto questo s’inserì in un più complessivo movimento di rafforzamento della funzione magisteriale pontificia e del criterio dell’infallibilità. La I parte ricostruisce la genesi e il significato storico-teologico del criterio fondamentale di canonizzazione moderno, cioè la virtù in grado eroico, mentre la II è dedicata al problema teologico-giuridico dell’infallibilità pontificia nelle canonizzazioni. U LABOA J.M., Atlante dei concili e dei sinodi nella storia della Chiesa, Jaca Book – Città nuova, Milano – Roma 2008, pp. 238, € 80,00. 978881660363 U n atlante su tutti i sinodi e i concili celebrati in 2.000 anni di cristianesimo. È la ricostruzione di quegli incontri che hanno costituito una pagina importante del cammino della Chiesa, mostrando aspetti fondamentali dell’evoluzione dottrinale, dei cambiamenti organizzativi e strutturali della Chiesa, della conformazione della vita cristiana nei suoi aspetti liturgici e morali. L’a. ne ripercorre la storia, offrendo una galleria di personaggi che presero parte al loro svolgimento e che rivelano aspetti appassionanti dei cristiani e del cristianesimo. VERGANI E., CHIALÀ S. (a cura di), Storia, cristologia e tradizioni della Chiesa siro-orientale. Atti del III Incontro sull’Oriente cristiano di tradizione siriaca. Milano, Biblioteca ambrosiana, 14 maggio 2004, ITL, Milano 2006, pp. 159, € 14,00. 978888025536 LXXI IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 253 Istituto Francescano di Spiritualità La grazia delle origini Studi in occasione dell’VIII centenario dell’approvazione della prima regola di san Francesco d’Assisi (1209-2009) A cura di Paolo Martinelli ttocento anni sono trascorsi dall’approvazione della forma di vita di san Francesco d’Assisi da parte di papa Innocenzo III. La giornata di studio annualmente promossa dall’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum ha inteso offrire un contributo accademico alla celebrazione giubilare. O «Teologia spirituale» pp. 648 - € 49,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it Regno_90x255.ai 11-03-2009 11:40:30 Il Padre Nostro L’Av e Maria e Le preghiere più noot li... no da onpoicsenzca troppo si impatrra occa e si ripet a mo' di filas ARE A RECITARLE pensare... PER AIUT NSAPEVOLEZZA, CO CON CRESCENTE 'traduce' ai suoi bambini e le e gg le le a una mamm ta gni volume presen nel loro linguaggio. O ne SPIEGATA FRASE vie una preghiera, che magini iuto di esempi e im l'a n co E, PER FRAS sste ggrafica. e una divertente ve NADIA RICCI Il Padre Nostro Parola per parola L'Ave Maria Parola per parola pp. 48 a colori € 2,00 cad. L ibri del mese / schede Attualità ecclesiale MARTINELLI P. (a cura di), La grazia delle origini. Studi in occasione dell’VIII centenario dell’approvazione della prima regola di san Francesco d’Assisi (1209-2009), EDB, Bologna 2009, pp. 648, € 49,00. 978881054134 L a giornata di studio annualmente promossa dall’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia università Antonianum ha inteso offrire un contributo accademico alla celebrazione giubilare degli 800 anni dall’approvazione della forma di vita di san Francesco d’Assisi da parte di papa Innocenzo III. In tale prospettiva le ricerche hanno spaziato dalle origini dell’ordine francescano alle attuali problematiche presenti nella vita religiosa dei seguaci del Poverello, dal tema della vita spirituale francescana in relazione all’istanza formativa alle nuove realtà di consacrazione, in cui in un certo senso si rispecchia la grazia delle origini del carisma francescano. PALINI A., Primo Mazzolari. Un uomo libero, Ave, Roma 2009, pp. 302, € 16,00. 978888284496 l lavoro offre «un contributo affinché sia maggiormente conosciuto non lo scrittore o il predicatore o il conferenziere, bensì il Mazzolari alle prese con i problemi del suo tempo: le guerre mondiali, il fascismo, il Concordato, l’avventura coloniale italiana, le leggi razziali, la Resistenza, le rese dei conti del secondo dopoguerra, il comunismo, le dittature dell’Est europeo, la corsa agli armamenti, la guerra fredda, l’annuncio del Concilio». Una carrellata di eventi in cui il giudizio del prete di Bozzolo ha illuminato le coscienze e ha permesso alla Chiesa italiana di non affogare in giudizi lontani dal Vangelo. I PEREGO G. (a cura di), La Chiesa della carità. Miscellanea in onore di mons. Giovanni Nervo, EDB, Bologna 2009, pp. 349, € 18,80. 978881020350 I l vol. non vuole essere una mera «celebrazione di una figura eminente di Caritas italiana... Vuole nascere da una ricorrenza significativa, il novantesimo genetliaco del primo presidente per aiutare l’incontro tra storia e carità, teologia e carità, azione pastorale e carità» (dalla Presentazione). I vari contributi delineano infatti un percorso per ritornare anche oggi a disegnare una Chiesa della carità fortemente radicata nella Parola e nell’eucaristia, dentro la storia, educando a una scelta preferenziale dei poveri nelle parole e nei fatti. Strumento di riflessione storica, teologica e culturale per tutta la Chiesa italiana. SANDRI L., Cronache dal futuro. Zeffirino II e il dramma della sua Chiesa, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2008, pp. 221, € 14,00. 978886099072 L’ a., giornalista e vaticanista, costruisce una storia romanzata collocabile nel 2100. Si tratta del caso serio di un papa (Zeffirino II) che a seguito di un incidente rimane in coma per 13 anni, con tutto quello che ne consegue per la direzione di una Chiesa che fa del papa il suo principio essenziale di funzionamento burocratico. La decisione del segretario di stato di «staccare la spina» suggerisce di tenere in conto le contraddizioni riscontrate nel lungo periodo di vacatio dell’effettivo potere papale per una Chiesa più evangelica e più democratica. Come ammette lo stesso a., si tratta di un ironico e divertito esercizio di fanta-teologia. STRAZZI G., Abitare da laici cristiani il mondo. Illuminazioni ed elevazioni, Monti, Saronno (VA) 2008, pp. 114, € 10,00. 978888477152 «C www.dehoniane.it Via Nosadella 6 – 40123 Bologna Tel. 051 4290011 – Fax 051 4290099 om’è possibile da cristiano condurre un’esistenza senza il sigillo di un particolare stato riconosciuto dall’autorità di un ordine costituito?». Le riflessioni di natura spirituale svolte qui sul tema del laico come cristiano che vive nel mondo senza essere del mondo hanno come denominatore comune una convinzione profonda: «Da laici cristiani siamo dentro il mondo con un pensiero invisibile che tuttavia lo rende più umano». In appendice un ricordo personale di Giuseppe Lazzati, con un carteggio privato inedito. 254 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 LXXII Filosofia Storia, Saggistica FIORENTINO F., Verità, bellezza e scienza. Temi di filosofia aristotelico-tomistica/1, EDI – Editrice domenicana italiana, Napoli 2008, pp. 379, € 27,00. 978888909451 ono una dozzina di saggi che l’a., docente all’Università del Salento, ripropone nella convinzione che dopo «le secche del nichilismo, dell’ideologismo e della supponenza scientista in cui si è incagliata la ragione moderna» ci sia il «bisogno di tornare al pensiero di san Tommaso». Non tanto come riproposta scolastica e ripetitiva, quanto per recuperare la sua dottrina nei suoi principi più autentici e verificabili sulla base empirica ed esistenziale, ma la cui origine definitiva è Dio. SIBONY D., LAMBERT P., BOUBAKEUR D., Ebrei, cristiani, musulmani. La coesistenza possibile, EMI, Bologna 2008, pp. 186, € 10,00. S PASQUALE G., Il principio di non-contraddizione in Aristotele, BollatiBoringhieri, Torino 2008, pp. 88, € 13,00. 978883391839 l principio di non contraddizione («l’essere è e non può non essere») è una struttura di fondo che sostiene il nostro esistere come il nostro operare e pensare. Le modalità con cui è stato contestato non ne hanno intaccato la risorgente normatività. Il saggio che si riferisce alla dottrina della Metafisica di Aristotele si sviluppa in due cc. Il 1o tratta del principio in base alla trattazione aristotelica di alcuni passi specifici della Metafisica, il 2o interpreta alcuni altri testi del filosofo greco che precisano e illuminano la dottrina dello stesso principio di non contraddizione. I SONCINI U., Il senso del fondamento in Hegel e Severino, Marietti, Milano 2008, pp. 383, € 24,00. 978882118575 l saggio mette a confronto i fondamenti filosofici di Hegel e di Severino, nell’insieme della loro elaborazione. Hegel è qui inteso come la forma di riflessione più coerente e rigorosa dell’idealismo tedesco e conseguentemente come il compimento del pensiero filosofico dell’Occidente. Pensiero che si sbriciola davanti a contraddizioni insolute, in particolare la non conciliabilità fra dimensione ontologica fondativa e quella storicistica del divenire, fra essere e tempo. A essa si contrappone la posizione, considerata più coerente e meno segnata da contraddizioni di E. Severino, che firma anche la Prefazione. I TRENTI Z., Il linguaggio nell’educazione religiosa. La parola alla fede, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 241, € 18,00. 978880104095 i tratta di uno studio filosofico. Dopo una panoramica sul significato del linguaggio nella cultura odierna, si analizza più specificamente il linguaggio religioso, le connotazioni che lo qualificano, le condizioni che rendono possibile l’accesso al mondo della trascendenza e quindi legittimano il linguaggio su Dio. Il richiamo esplicito alla valenza educativa è richiamato spesso nei vari contributi ed è esplicitato nella parte conclusiva. 978883071703 Q uesto vol. nasce da un’idea di Francois Celier, pastore protestante francese, d’organizzare una «controversia religiosa del III millennio» con l’obiettivo di «fare il punto della situazione sulle tre religioni monoteistiche, per chiarire gli antichi malintesi che sopravvivono ancora oggi». Ciascuno dei tre aa., rispettivamente uno psicanalista d’origine ebraica, un domenicano e il presidente del Consiglio francese del culto islamico, fornisce la sua visione delle altre religioni, della loro storia e dei problemi nati dall’errata interpretazione o dalla strumentalizzazione reciproca. Quello che emerge, in forza soprattutto della disposizione personale di ciascuno dei tre alla conoscenza e al rispetto dell’altro, è che il dialogo è possibile, anche a fronte di un’analisi che non sottovaluta le difficoltà esistenti. SOLLA G., Marrani. Il debito segreto, Marietti, Milano 2008, pp. 102, € 14,00. 978882119427 n viaggio che si conficca nel XV sec., nelle conversioni forzate degli ebrei al cristianesimo e che, nella storia dei «marrani», offre suggestioni anche al nostro presente. Ecco che i marrani sono coloro che «abitano la terra di nessuno tra le due fedi», «irrecuperabili a una qualsiasi delle identità che il triste scontro delle culture ha sempre opposto». Sono «la separazione stessa tra ebraismo e cristianesimo, … il patimento di una separazione che ci siamo altrimenti ben allenati a non sentire più». Il dialogo impossibile con lo «straniero» che dal passato lascia le sue tracce avvicina questo vol. agli studi di Michel de Certeau. U a cura di Carla Busato Barbaglio I mille volti di Gesù un anno di distanza dalla morte di Giuseppe Barbaglio, la sua figura è stata ricordata attraverso un convegno di studio, che ha dato modo di ritrovarsi attorno a quanto egli ha lasciato – la ricerca biblica – e in particolare attorno all’ultimo tema cui egli aveva messo mano: i tanti modi possibili di esprimere Gesù. Il volume raccoglie i vari contributi di studiosi, colleghi biblisti e amici. S A WELTE B., Sul male. Una ricerca tomista, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 92, € 10,00. 978883722234 nche san Tommaso si è posto il problema del male: perché esso esiste se il volere è volere il bene? E, ancora, perché se il bene, proprio perché bonum, comporta il movimento di una volontà come può quest’ultima, in quanto inclinatio boni, volere il male? L’a. scrisse queste dense pagine sul problema del male nel dottor angelico in occasione del 5° anniversario della morte di J. Maréchal (11.12.1944). Esse sono il punto di partenza in grado di rinnovare un interrogativo che di fatto si propone a ogni generazione di filosofi o teologi. W., infatti, opera un’attenta disamina ravvedendo la radice del male morale in quella tensione che si viene a instaurare tra l’essenza e il modo d’essere della volontà umana. «Biblica» A MOREAU P.-F., Spinoza e lo spinozismo, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 150, € 14,00. 978883722113 LXXIII IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 255 pp. 152 - € 11,90 Nella stessa collana: Giuseppe Barbaglio Emozioni e sentimenti di Gesù pp. 272 - EDB Edizioni Dehoniane Bologna € 23,90 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it L ibri del mese / schede Caritas Italiana La Chiesa della carità Miscellanea in onore di mons. Giovanni Nervo Presentazione di mons. Giuseppe Merisi Introduzione di mons. Vittorio Nozza A cura di Giancarlo Perego SPRANZI A. , L’altro Manzoni. Indagine su un «delitto perfetto» che attendeva con impazienza di essere scoperto, Ares, Milano 2008, pp. 342, € 18,00. 978888155413 se don Abbondio fosse un perfetto ateo amorale e Lucia una giovane donna guidata solo dalla superstizione? Al centro di questi interrogativi, la vera domanda che il vol. pone è: lo scrittore dei Promessi sposi era davvero cattolico? Con il piglio dell’investigatore, l’a., docente ordinario di Economia dell’arte presso l’Università di Milano, scava nel romanzo italiano più importante dell’Ottocento alla ricerca di conferme alla sua – e a quanto pare solo sua – interpretazione: sotto le spoglie della fiaba morale si nasconde una durissima offensiva anticattolica a opera di un Manzoni che per l’a. ha i tratti del «superuomo» mosso da una «religione dell’odio». Per questo egli avrebbe «subdolamente nascosto» nel suo «cattolicissimo romanzo» un «micidiale veleno anticristiano». E TREIBER D. , Frank Lloyd Wright, Jaca Book, Milano 2008, pp. 191, € 45,00. 978881660400 onsiderando l’autobiografia di Frank Lloyd Wright, longevo e prolifico architetto che copre con i suoi 500 edifici quasi 70 anni di storia, come «parte integrante della dottrina», questo testo vi si poggia come a un imprescindibile compagno di viaggio. Componendo il vol. in saggi tematici relativamente indipendenti fra loro, l’a. s’incarica del dovere di decifrare «i paradossi, le rotture, i grovigli, piuttosto che stabilire dei principi semplici e decisamente riduttivi» dell’architetto segnalato da molti come l’inventore della modernità e che a uno spettatore contemporaneo si avvicina per la sensibilità ecologica e per l’armonico dialogo fra costruzione e paesaggio. C FRANCIOSI M.L. , ...Per un sacco di carbone ...Pour un sac de charbon ...Voor een zak kolen, ACLI-Belgio, Brussel 21997, pp. 386, s.i.p. Politica, Economia, Società l testo nasce dalla ricorrenza significativa dei novant’anni di mons. Giovanni Nervo, primo presidente e responsabile di Caritas Italiana. I vari contributi delineano un percorso per ritornare anche oggi a disegnare una Chiesa della carità fortemente radicata nella Parola e nell’Eucaristia, dentro la storia, educando a una scelta preferenziale dei poveri, ogni giorno, nelle parole e nei fatti. Uno strumento di riflessione storica, teologica e culturale per tutta la Chiesa italiana. I «Fede e annuncio» pp. 352 - € 18,80 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it DONATI P., T RONCA L. , Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismo, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 200, € 18,00. 978884648946 li aa,. sociologi, da anni lavorano a una teoria denominata «teoria relazionale della società» che, a differenza delle teorie idealistiche o materialistiche, individua il capitale sociale di una società nella rete e nella qualità delle relazioni esistenti, valutandone il grado di fiducia, reciprocità e capacità di generare azioni cooperative volte alla creazione di beni comuni. Il vol. presenta i risultati dell’ultima ricerca in questo campo, condotta su tutto il territorio nazionale, volta a verificare quanto l’associazionismo italiano sia capace di generare capitale sociale e come si rapporti con le istituzioni pubbliche ed economiche. G FONDAZIONE NUOVA ITALIA , C OMMISSIONE GIUSTIZIA, Una giustizia per la comunità nazionale. Progetto e proposte, Il Cerchio iniziative editoriali, Rimini 2008, pp. 132, € 18,00. 978888474166 a Fondazione «Nuova Italia», presieduta da Gianni Alemanno, ha l’obiettivo di «valorizzare e promuovere la cultura popolare, comunitaria, tradizionale e nazionale, i valori della civiltà italiana, mediterranea ed europea e le forme espressive di ogni genere d’identità comunitaria, affermando i principi della solidarietà, della partecipazione e della sussidiarietà che derivano dalla dottrina sociale della Chiesa. Questa cultura, questi valori e questi principi si devono tradurre non in un atteggiamento conservatore, ma in un progetto di cambiamento e in un’agenda di riforme in grado di modernizzare le istituzioni politiche, sociali ed economiche della nostra patria italiana ed europea». Quella qui presentata dalla Commissione giustizia della Fondazione stessa, coordinata da Sergio Gallo, è una proposta di riforma del sistema giudiziario italiano. L 256 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 LXXIV KEPEL G., Oltre il terrore e il martirio, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 222, € 17,00. 978880717166 e due grandi narrazioni che in modo contrapposto hanno tentato un’interpretazione del momento attuale, la «guerra al terrorismo» americana e l’esaltazione del martirio di matrice fondamentalista islamica, hanno entrambe fallito i loro obiettivi. Chi oggi deve raccogliere la sfida di civiltà che deriva da questo scacco delle ideologie è – secondo l’a., tra i più noti studiosi occidentali del mondo arabo – l’Europa, che vive le turbolenze del Medio Oriente sulla propria pelle come altrettante sfide di politica interna. È al vecchio continente che spetta il ruolo di costruire un’integrazione economica intorno al Mediterraneo, sfruttandone il potenziale e costruendo la pace attraverso un rinascimento mediterraneo. L MARINI D., OLIVA S. (a cura di), Nord Est 2008. Rapporto sulla società e l’economia, Marsilio Editrice, Venezia 2008, pp. 279, € 20,00. 978883179523 U na tra le regioni italiane più propulsive, il Nord-est, sta vivendo in questi anni un profondo mutamento strutturale, una vera e propria «morfogenesi», attraverso un processo di progressiva rivisitazione dei propri elementi tradizionali in chiave innovativa. Il rapporto 2008 tuttavia evidenzia, accanto ad alcuni segnali positivi come la tenuta del manifatturiero e l’internazionalizzazione, anche alcuni elementi di debolezza: crescita rallentata, frenata dei consumi interni, dinamica insoddisfacente della produttività. Oltre a un disagio crescente verso le risposte inadeguate che la politica nazionale e lo stato offrono alle esigenze di sviluppo e crescita del territorio. PEZZIMENTI R., La società aperta e i suoi amici. Con lettere di I. Berlin e K.R. Popper, Città nuova, Roma 2008, pp. 304, € 20,00. 978883112442 lla sua seconda edizione (la prima è del 1995), arricchita di tre cc. e nell’apparato bibliografico, il vol. ripercorre la storia del diritto, interpretata alla luce di alcuni aa. e momenti fondatori: l’esperienza giuridica romana, l’apogeo e la crisi del principato, il rapporto tra religione e politica da Eusebio di Cesarea ai teorici medievali della supremazia papale, cavalcando fino alla contemporaneità. In appendice la trascrizione dei carteggi tra l’a., docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università del Molise e alla LUISS di Roma, e Karl Popper e Isaiah Berlin. A WHITTY M.T., CARR A.N., Incontri@moci. Le relazioni ai tempi di Internet, Erickson, Gardolo (TN) 2008, pp. 256, € 16,00. 978886137332 on humour e competenza, i due aa., docenti di discipline psicologiche nel Regno Unito e in Australia, tracciano la storia della comunicazione alla luce della rivoluzione del web. Coppie nate tra le righe di una chat, ciberflirt, tradimenti online: la diffusione delle relazioni che fioriscono e si consumano in rete è descritta con ampio ricorso a ricerche e studi, ma forse sottovalutandone i rischi di deviazioni e perversioni. La tesi degli aa. è che «il ciberspazio è un luogo speciale per giocare all’amore e sperimentare la sessualità, e come lo facciamo dipenderà dallo spazio in cui giochiamo». CASTEGNARO A. (a cura di), Apprendere la religione. L’alfabetizzazione religiosa degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, EDB, Bologna 2009, pp. 257, € 21,60. 978881060610 he cosa sanno i ragazzi di oggi della religione cattolica? È proprio vero che la nostra società si caratterizza per una crescente ignoranza religiosa? Questi interrogativi sono alla base dell’indagine qui presentata sui livelli di alfabetizzazione religiosa di 5.000 studenti che hanno terminato la secondaria superiore di I e II grado e che si sono avvalsi dell’ora di religione. I risultati sembrano smentire il luogo comune secondo il quale i giovani non sanno niente di religione. Essi paiono aver acquisito in maggioranza una significativa formazione di base, forse più ampia di quella posseduta dalle generazioni precedenti. I risultati migliori non si ottengono dove l’offerta formativa enfatizza i contenuti d’istruzione religiosa, ma quando i docenti propongono una sintesi tra la riflessione sui problemi della vita e le conoscenze relative alla religione. Una conclusione che probabilmente va al di là dell’ora di religione stessa. C DI MELE L., ROSA A., CAPPELLO G., Video education. Guida teorico-pratica per la produzione di video in ambito educativo, Erickson, Gardolo (TN) 2008, pp. 228+1 DVD, € 20,50. 978886137276 l libro scaturisce dalle esperienze di formazione nel campo della produzione video degli aa. Dopo un’Introduzione che espone i principali obiettivi della media education sostenendo l’irrinunciabile connubio fra analisi critica e produzione mediale, i cc. successivi si occupano del modello e delle tappe da seguire nel processo di produzione in un contesto educativo, delle caratteristiche degli strumenti digitali, della scrittura del video, della scelta del genere, dei fondamenti della ripresa e del montaggio e del processo di diffusione del prodotto finito, ponendo in appendice un glossario e una bibliografia d’approfondimento. Un DVD allegato contiene contributi video e schede in ausilio. I Riccardo Pane Manuale del ministrante C Pedagogia, Psicologia BROWNING D.S., Etica cristiana e psicologie morali, EDB, Bologna 2009, pp. 342, € 32,50. 978881050841 he cosa possono imparare l’etica filosofica e la morale cristiana dai processi psicologici? Come combinare l’atteggiamento precettistico e lo sviluppo del senso morale nella persona? L’a. è convinto che la psicologia morale contemporanea sia in grado di offrire un contributo specifico all’etica cristiana solo se conduce la propria ricerca sulla base di una comprensione pre-scientifica e pre-empirica competente della morale. Pur trattando soprattutto della relazione tra la psicologia morale e l’etica cristiana, il vol. discute anche il tema della formazione morale dei ragazzi e dei giovani ed esamina inoltre la natura della maturità morale dell’adulto. C LXXV IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 257 rutto dell’esperienza dell’autore nell’istruire i ministranti, il manuale si propone quale indispensabile avviamento alle liturgie solenni. Oltre a quelle per la messa, vengono offerte indicazioni per le celebrazioni dei sacramenti e dei sacramentali, nonché per i riti della settimana santa. Il volume è arricchito da tre appendici e da immagini che aiutano a comprendere meglio il gesto liturgico da compiere. F «Sussidi per i tempi liturgici» pp. 72 - € 6,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it L ibri del mese / schede a cura di Yves Ledure Antisemitismo cristiano? Il caso di Leone Dehon DISANTO A.M. (a cura di), Paradossi della mente giovanile. Oscillazioni tra noi, angoscia e creatività, Borla, Roma 2008, pp. 231, € 25,00. 978882631701 L e ricerche qui raccolte, presentate nel corso di una giornata di studio svoltasi sul tema nel 2007, sono accomunate dalla percezione di un elemento presente in modo diffuso nel mondo giovanile: la mancanza di desiderio, o meglio il suo raffreddamento in presenza di un «immaginario frenato», che impedisce una trasformazione mentale ed emotiva. Le valenze desideranti dei giovani sono massicciamente condizionate da sentimenti d’incertezza, che abili strategie di marketing veicolano regressivamente verso forme di soddisfacimento immediato e automatico. L’incapacità di confrontarsi con limiti e frustrazioni conduce al rifugiarsi in uno stato di noia, più rassicurante. L’alternativa è nella possibilità di confronto con un mondo adulto che attraverso un continuo scambio empatico aiuti gli adolescenti a sostenere e gestire il proprio mondo emotivo, valorizzandolo. FIORE C., Spunti di etica 2000. Per giovani, educatori, gruppi giovanili, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 270, € 12,50. 978880103839 n libro, quello del sacerdote salesiano fondatore della rivista Dimensioni nuove, rivolto a genitori ed educatori, ma anche a ragazzi delle scuole medie e superiori. I temi affrontati sono cruciali e diversi: dal crollo delle Torri gemelle, immagine della centralità delle religioni nel mondo post-secolare, fino al significato di parole come Dio, valori, scienza, relazioni, sessualità. Pensando al pubblico a cui si rivolge, appare più convincente l’ultima parte del vol., dedicata ai giovani, rispetto alla prima sezione che denuncia un’Europa che, nella prospettiva dell’a., ha cancellato le sue radici cristiane. U ella società francese del XIX secolo, cattolicesimo sociale e questione ebraica si intersecano. Con l’avvento del capitalismo, il rapido sviluppo dell’industria trova ingenti risorse presso i grandi esponenti della finanza, in larga parte ebrei. Ciò genera una situazione sociale catastrofica per il mondo del lavoro e una forte ventata antigiudaica, che investirà anche la maggior parte degli attori sociali cattolici del tempo, fra cui p. Dehon. In due giornate di studio svoltesi a Parigi, storici e teologi hanno approfondito tale questione, proponendone un’attenta analisi critica. N «Oggi e domani» pp. 216 - € 16,60 Dello stesso autore: Un prete con la penna in mano Leone Dehon pp. 256 - € 13,40 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it JUUL J., Eccomi! Tu chi sei? Limiti, vicinanza, rispetto tra adulti e bambini, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 92, € 7,00. 978880772092 ssere genitori ed educatori significa imparare il difficile dosaggio di autorità e parità, di rispetto e responsabilità. Ma la fatica a comporre i tempi del lavoro con quelli della famiglia fanno crescere nei genitori forti sensi di colpa per placare i quali si concede ai figli tutto. E il rischio di trasformare il figlio in «principino che fa ballare tutta la famiglia al suono del suo piffero» è reale e provoca altra frustrazione. L’a., quindi, propone una rivisitazione della categoria del «limite» come criterio che il genitore deve responsabilmente gestire per far conoscere ai membri della famiglia che la libertà è quella facoltà che consente di «articolare la propria individualità in modo tale che ciascun componente della famiglia possa valutare insieme agli altri qual è il rapporto di questa individualità con la collettività e come può svilupparsi ed espandersi in modo che ci sia spazio per tutti». E PIATTI L., TERZI A., Emozioni in gioco. Carte per educare alle competenze emotive, Edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2008, pp. 124+carte delle emozioni, € 28,00. 978886153062 n libro-guida che propone l’uso delle «carte delle emozioni» come strumento per facilitare «l’alfabetizzazione a partire dalla quotidianità» e che «si fonda sulla convinzione che conoscere meglio e vivere con maggiore consapevolezza le proprie emozioni contribuisca ad arricchire la propria vita, a migliorare le relazioni e a combattere l’indifferenza sociale». Frutto anche di una sperimentazione sul campo iniziata negli anni Novanta, le carte «non sono tarocchi per costruire storie o per prevedere il futuro, ma uno strumento per stimolare la dimensione progettuale che si sprigiona quando impariamo ad accogliere le emozioni della vita». U PORCELLUZZI S., Educare con cura. Famiglia, scuola e società nella crescita della persona, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 109, € 8,00. 978880104068 a., psicologo e pedagogista, affronta alcune tematiche educative per bambini e adolescenti, con particolare attenzione a quelle d’ambito scolastico, quali: la continuità educativa nel passaggio fra scuole di diverso ordine e grado, la dispersione scolastica, le difficoltà d’apprendimento, l’orientamento scolastico, il bullismo, la scarsa autostima. L’esposizione si snoda nel racconto di casi concreti affrontati dall’a., suddivisi in brevi paragrafi e riflessioni. Il metodo di lavoro spesso prevede un’alleanza educativa fra scuola, famiglia e pedagogista. L’ 258 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 LXXVI L L ibri del mese / segnalazioni P. BOURDIEU, RAGIONI PRATICHE. Il Mulino, Bologna 22008, pp. 218. € 12,00. 9788815051821 L ottare per la verità vuol dire lottare perché si verifichino condizioni sociali favorevoli all’instaurarsi di universi sociali sottoposti a regole».1 Così Pierre Bourdieu sintetizzò, in un libro-intervista, il fine del proprio impegno intellettuale in quanto sociologo e teorico dei fenomeni culturali. Uno dei contributi più rilevanti dell’opera di Bourdieu risiede nello studio attento e profondo di quegli ambiti della vita sociale degli individui in cui si danno le condizioni per instaurare e articolare relazioni interpersonali sottratte alla logica economicistica dello scambio e del commercio. Spazi in cui non viene mai presentata la possibilità di una irenica reciprocità tra i soggetti, ma dove ci si apre all’altro nella consapevolezza delle contraddizioni reali che pur connotano le relazioni gratuite e disinteressate. La nuova edizione di Ragioni pratiche rappresenta uno strumento essenziale per la ricostruzione del vasto e articolato pensiero di uno dei maggiori sociologi europei del Novecento. Il merito di questa raccolta di saggi sta principalmente nel fornire una mappa della costellazione-Bourdieu: avendo sullo sfondo la sua idea di filosofia relazionale, in quanto metodologia di ricerca finalizzata all’emersione delle potenzialità inscritte nelle relazioni umane, il volume snoda e riannoda concetti come spazio sociale, capitale simbolico e habitus. Ne emerge un sistema sociologico capace di fornire strumenti interpretativi di straordinaria stringenza ed efficacia per la lettura delle società complesse contemporanee; è infatti evidente come le forme più sottili e pervasive di dominio non passino attraverso violenze e abusi da parte di precisi individui su altri, bensì attraverso quei processi di formazione dei significati e delle classificazioni sociali con cui definiamo e ci definiamo. In altre parole, le forme più incisive e occulte di dominio hanno a che fare con le concrezioni del potere simbolico.2 Il presupposto imprescindibile da cui muovono tutte le ricerche di Bourdieu risie- LXXVII de nel dato di fatto che il reale è relazionale, ovvero che la realtà sociale coincide con il tessuto dei rapporti pratici e simbolici che gli individui instaurano tra di loro. La società, quindi, è configurabile come un insieme di spazi sociali o campi di potere. Alla luce di tale presupposto, le discipline della ricerca sociale non possono prendere le mosse da concezioni sostanzialiste degli interagenti; un individuo non è mai pienamente oggettivabile e riducibile alla determinazione conclusa di quelle specifiche qualità definitivamente esaurite nel nome proprio che gli viene attribuito.3 Alla verità del soggetto si giunge attraverso la realtà delle sue relazioni, o meglio, attraverso la raffigurazione dello spazio delle sue relazioni. Infatti «la nozione di spazio contiene, di per sé, il principio di una concezione relazionale del mondo sociale: afferma infatti che tutta la realtà da essa designata consiste nella mutua esteriorità degli elementi che la compongono» (45). L’idea di spazio sociale, in quanto ambito delle relazioni e dei significati mediante i quali i soggetti si costituiscono, rivela la sua importanza soprattutto alla luce del concetto su cui vorrei maggiormente soffermarmi: quello di capitale simbolico. Esso consiste con «ogni specie di capitale (economico, culturale, scolastico o sociale) quando è percepita secondo categorie di percezione, principi di visione e di divisione, sistemi di classificazione, schemi tassonomici, schemi cognitivi che siano, almeno in parte, il risultato dell’incorporazione delle strutture oggettive del campo considerato, ossia della struttura della distribuzione del capitale nel campo considerato» (144). In altre parole, il capitale simbolico è l’insieme di quegli oggetti sociali contrassegnati da un valore cognitivo specifico sui quali ricade la conoscenza e il riconoscimento dei molti; esso è inoltre sintetizzabile anche attraverso il concetto di habitus. Il capitale simbolico, infatti, è quel deposito cognitivo di credenze e conoscenze di cui gli agenti sociali si costituiscono; l’habitus, a sua volta, rappresenta l’insieme interiorizzato di tali credenze, esso è sia l’interiorità dell’esteriorità che l’esteriorità dell’interiorità. L’habitus coincide con «una storia incorporata, una storia fatta corpo, inscritta nel cervello, ma anche nelle pieghe del corpo, nei gesti, nella maniera del parlare, nell’accento, nella pronuncia, nei tic, in tutto ciò che siamo».4 Il concetto di capitale simbolico assurge a luogo eminente nella riflessione di Bourdieu proprio perché, mediante esso, il sociologo francese riesce a costruire un’ampia fenomenologia di tutti quegli spazi sociali che si sottraggono, almeno in parte e per loro stessa definizione, alla legge dell’interesse e dell’ottimizzazione del profitto, propria del- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 259 le economie capitalistiche. Vi sono spazi e dimensioni dell’agire umano, come il campo della produzione artistico-letteraria, delle strutture familiari e delle organizzazioni ecclesiali, nei quali l’interesse non viene semplicemente sospeso ed eliminato, ma in cui ci si interessa al disinteresse.5 Gli ambiti appena citati rappresentano, dunque, universi pratici e simbolici in cui vigono specifiche leggi economiche, non esclusivamente orientate al perseguimento, razionalmente calcolato, del profitto monetario. In questi mondi il disinteresse è sociologicamente possibile perché il medium dell’interazione non ha la forma del denaro ma possiede una natura simbolica; esiste infatti un’economia dei beni simbolici, ovvero una logica di scambio e di commercium, propria della gestione sociale dei significati e dei concetti che usiamo per definire la nostra realtà. Le leggi che governano gli scambi simbolici sono di natura cognitiva: ciò che viene scambiato, accumulato o sottratto è descrivibile in termini di conoscenza.6 Nel campo della produzione artistica, ad esempio, gli atti o i gesti simbolici sono possibili e comprensibili in quanto sono atti e gesti di conoscenza e di riconoscimento: riesco a comprendere, gestire e giudicare un prodotto letterario in Silvia Pellegrini L’ultimo segno Il messaggio della vita nel racconto della risurrezione di Lazzaro l racconto della risurrezione di Lazzaro affascina e sconcerta i lettori di tutte le epoche. Lo studio offre un esempio di lettura semiotica, esegeticamente fondata e insieme ricca dal punto di vista ermeneutico. Il lettore viene introdotto al brano svolgendo il percorso di lettura nei suoi ritmi reali, sciogliendo i nodi interpretativi e trovando risposta alle domande esistenziali che il testo affronta. I «Scienze religiose - Nuova serie» pp. 278 - € 18,60 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 L ibri del mese / segnalazioni quanto posseggo le stesse categorie di percezione e di valutazione di chi lo ha prodotto e di tutti gli altri che come me lo leggono. Ciò che dunque, negli spazi simbolici, viene capitalizzato, scambiato e gestito è proprio l’insieme di tali categorie di percezione e di valutazione. L’economia dei beni simbolici, però, è del tutto particolare in quanto si fonda sulla rimozione collettiva dell’interesse economico. Gli spazi sociali della produzione artistica, della famiglia e delle comunità ecclesiali sono ambiti in cui si scambiano e si commerciano beni specifici il cui valore risiede proprio nella capacità di produrre un interesse al disinteresse. Per spiegare questo concetto apparentemente paradossale Bourdieu ricorre a un’attenta analisi delle relazioni inerenti la logica dello scambio di doni. Il dono instaura, per definizione, atteggiamenti antitetici al do ut des. La novità apportata dal sociologo francese al lungo dibattito filosofico sulla fenomenologia del dono risiede, a mio avviso, proprio nell’evitare di fornirne una visione irenica, adialettica e perfettamente conciliata. Il dono non è infatti immaginabile come compatta autodefinizione di una gratuità assoluta, anzi, riesce a dischiudere il portato dirompente del- Osservatorio Socio-Religioso Triveneto Apprendere la religione L’alfabetizzazione religiosa degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica A cura di Alessandro Castegnaro indagine presentata nel volume ha avuto come scopo primario la verifica delle conoscenze religiose degli studenti che frequentano l’«ora di religione». Pur apparendo nel complesso soddisfacente, il quadro emerso sembra suggerire che molto lavoro resta ancora da fare per giungere a livelli auspicabili. L’ «Religione e didattica» pp. 264 - € 21,60 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 260 la gratuità e del disinteresse proprio perché porta in sé la negazione o la tabuizzazione sociale del gesto interessato. Lo spazio sociale, governato dalla logica del dono generoso e gratuito, si rivela efficace solo se vissuto come tentativo, mai pienamente assolutizzabile, di sospensione dell’interesse economico. Lo scambio di doni è un paradigma dell’economia dei beni simbolici proprio perché, nel momento in cui qualcuno fa un dono gratuito, sospende la logica economica dell’interesse al guadagno ed entra in un ordine logico in cui l’interazione viene governata non strettamente dall’intenzione, ma da quelle silenti disposizioni simboliche che costituiscono l’habitus sociale. Il meccanismo del dono viene analizzato da Bourdieu proprio per spiegare come vi sono numerosissimi ambiti dell’esistenza umana in cui le nostre azioni non vengono puntualmente governate da un’intenzionalità cosciente e presente, bensì da una sospensione di questa in favore di quel silenzioso, ma onnipervasivo mondo dei significati simbolici che strutturano la nostra realtà sociale. «Il miglior esempio di disposizione è senza dubbio il senso del gioco: il giocatore che ha profondamente interiorizzato le regolarità del gioco fa quello che va fatto nel momento in cui va fatto e non ha bisogno di porsi esplicitamente come fine quello che c’è da fare. Non gli occorre sapere consapevolmente quello che fa per farlo, e tanto meno porsi esplicitamente il problema di sapere esplicitamente che cosa gli altri possono fare in risposta» (163). Vorrei brevemente ribadire la dimensione sfumata e indeterminata dell’economia dei beni simbolici: i significati sociali fanno in modo che, soprattutto nelle differenziate relazioni affettive, si possa crescere nell’interesse verso azioni disinteressate proprio perché la loro natura non è mai pienamente compiuta ed espressa. Il concetto di famiglia, ad esempio, dovrebbe sempre più essere adoperato e gestito alla luce della ricerca comune e condivisa di quelle condizioni di possibilità di relazioni disinteressate, ciò diventa però possibile solo se lo si comprende nella sua costante incompiutezza. Vale a dire, solo se lo si guarda in quanto bene simbolico, tendente intrinsecamente a farsi misura e spazio inclusivo di nuove e nascenti relazioni d’affetto e d’amore. I beni simbolici sono dunque beni relazionali, ma soprattutto disposizioni di significato sottoposte al legittimo e partecipato scambio tra chi ne dispone; essi non sono enti ma spazi relazionali, ecco perché, per Bourdieu, ha senso parlare di economia dei beni simbolici. Con un linguaggio affine, anche nella teologia del Novecento, è maturata una sensibilità verso i significati sociali in quanto spazi di uno IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 scambio (commercium), ovvero in quanto presupposti per la ridefinizione degli spazi delle relazioni umane, partendo dalla perenne attesa di compiutezza delle nostre stesse categorie di giudizio: «Il punto centrale della teologia della rivelazione non è infatti un “essere”, ma il “commercium”. Questa teologia non si realizza quindi in categorie statiche, ma in rapporti (dinamici) che scorrono avanti e indietro, ma non rapporti in “concetti”, bensì soltanto in “parabole” e “immagini”, e quindi “simboli”, così come il Signore in Mt 13,11ss li innalza, con totale inesorabilità, come principio fondamentale del regno di Dio».7 Vincenzo Rosito 1 P. BOURDIEU, Il mondo sociale mi riesce sopportabile perché posso arrabbiarmi, Nottetempo, Roma 2004, 33. 2 Cf. M. CROCE, Sfere di dominio. Democrazia e potere nell’era globale, Meltemi, Roma 2008, 85-95. 3 Nel saggio intitolato L’illusione biografica, Bourdieu conduce un’appassionata critica proprio verso quelle concezioni sociologiche della soggettività che tendono a ricondurre l’individuo a unità coerente e pienamente descrivibile. L’identità personale è sempre discontinua ed eccedente rispetto a ogni classificazione. Il nome proprio infatti, in quanto designatore rigido «può attestare l’identità della personalità, nel senso di individualità socialmente costituita, solo a prezzo di una formidabile astrazione» (76). 4 BOURDIEU, Il mondo sociale, 20. 5 È proprio questo il criterio che accomuna gli spazi sociali su cui Bourdieu ha maggiormente concentrato le sue analisi specifiche. Egli stesso ammette: «I mondi che mi accingo a descrivere sono accomunati dal fatto di creare le condizioni oggettive perché gli agenti sociali si interessino al disinteresse, cosa che sembra paradossale» (158). 6 Il capitale simbolico è anche un capitale culturale, vale a dire, consiste nell’insieme di quei beni rappresentabili in termini educativi e conoscitivi, la cui gestione e amministrazione rappresenta uno dei massimi indicatori dell’equità o dell’ingiustizia sociale. Per questo motivo Bourdieu ha condotto studi dettagliati sulla sociologia dei sistemi educativi, in particolar modo relativi al mondo accademico; «il capitale culturale diviene una delle strade determinanti della riproduzione. È questo il motivo per cui studiare il sistema educativo non è una specialità tra le molte altre, vuol dire, credo, studiare quel che vi è di più specifico nella riproduzione del capitale simbolico» (Il mondo sociale, 25). 7 E. PRZYWARA, «Commercium», in ID., Logos, Patmos, Düsseldorf 1964, 133. LXXVIII Y. LEDURE (A CURA DI), ANTISEMITISMO CRISTIANO? Il caso di Leone Dehon, EDB, Bologna 2009, pp. 214, € 16,60. 978881014046 L a storia del cristianesimo affonda le radici nella tradizione ebraica così come è stata trasmessa dalla Bibbia e ricevuta dalla Chiesa. Il passaggio dal giudaismo biblico al cristianesimo è stato caratterizzato da continuità e rottura al tempo stesso. Nel corso dei secoli la storia delle relazioni fra cristiani ed ebrei sarà piuttosto tormentata. Nel XIX secolo, con l’avvento del capitalismo e il rapido sviluppo dell’industria, nascerà la questione sociale. Poiché alcuni grandi esponenti della finanza del tempo sono ebrei, il cattolicesimo sociale unirà strettamente, a torto o a ragione, critica antiebraica e impegno per una società più giusta. Così nella società francese del XIX secolo cattolicesimo sociale e questione ebraica s’incontrano e incrociano. La Chiesa cattolica, che cerca di mantenere il suo monopolio religioso sulla società del tempo, dovrà affrontare direttamente e senza riguardi la questione. L’opera di p. Leone Dehon (18431925), figura di spicco del cattolicesimo sociale e fondatore dei Sacerdoti del Sacro Cuore, riflette questo clima: egli è coinvolto in quelle intricate discussioni e controversie che gli storici non sono ancora riusciti a sbrogliare. Il 21 e 22 settembre 2007, storici, filosofi e teologi si sono ritrovati in due giornate di studio a Parigi per approfondire queste questioni delicate e complesse, le loro reciproche implicazioni e le loro conseguenze fin nella realtà odierna. In seguito al rifiuto dell’Institut catholique di Parigi di ospitare queste giornate di studio per oscure ragioni che, in ogni caso, non hanno nulla a che vedere con il dibattito strettamente universitario, i partecipanti alle giornate di studio sono stati accolti dal convento San Giacomo dei domenicani. Si sono riuniti nella sala Lacordaire, il cui nome evoca, in qualche modo, la pagina della storia della Chiesa di Francia che precede immediatamente il periodo da noi LXXIX considerato e simboleggia un primo tentativo, se non di conciliazione, perlomeno di avvicinamento fra una Chiesa che vive ancora in regime di cristianità e le realtà politiche e culturali scaturite dalla Rivoluzione francese. Due avvenimenti della Rivoluzione francese – la costituzione civile del clero, votata il 12 luglio 1790, e il riconoscimento della piena cittadinanza agli ebrei di Francia nel settembre del 1791 – avranno notevoli ripercussioni nel XIX secolo. Nella logica del Concordato del 1801, la Chiesa cattolica cerca di ricostruire la sua rete religiosa e culturale, ristabilendo i legami secolari con la monarchia in base al principio tradizionale «una nazione una religione». Di conseguenza, la Chiesa cattolica sarà ampiamente indifferente alle aspirazioni repubblicane e democratiche della società. Ed è proprio questa lacuna che cercherà di colmare la seconda democrazia cristiana cui appartiene Leone Dehon. D’altra parte, l’emancipazione politica e giuridica degli ebrei faciliterà la loro integrazione sociale e una partecipazione più o meno attiva allo sviluppo industriale della Francia del tempo. Poiché l’industrializzazione richiede la capitalizzazione di ingenti risorse finanziarie, fiorirà un sistema bancario nel quale ebrei come Rotschild o i Pereire, per citare solo qualche nome, saranno particolarmente attivi. Questa configurazione genererà una situazione sociale catastrofica per il mondo del lavoro e una ventata giudeofoba molto marcata nella seconda metà del XIX secolo, che investirà anche la maggior parte degli attori sociali cattolici dell’epoca, fra cui Leone Dehon. Così si delinea, all’intersezione di queste due realtà, la tematica della nostra ricerca e riflessione. Una tematica ampiamente aperta, perché non può ignorare le tensioni con il giudaismo, inerenti alla stessa nascita del cristianesimo, con il suo retaggio di pregiudizi, conflitti, persino persecuzioni, contrari, dal nostro attuale punto di vista, ai diritti fondamentali dell’uomo. Del resto, questa tematica è inevitabilmente tributaria delle nostre attuali sensibilità, risvegliate dalle tragedie del XX secolo, specialmente dalla sorte riservata agli ebrei europei. La ricerca e la riflessione in questa materia richiede competenza e presa di distanza, esige senso critico e preoccupazione per i giusti equilibri. Il legame che stabilirà il cattolicesimo sociale del XIX secolo fra capitalismo finanziario, nel quale sono implicati ebrei emblematici, e la condizione sociale profondamente degradante riservata al mondo del lavoro, legame che il p. Dehon svilupperà nella sua opera sociale, produrrà un’analisi critica specifica della questione ebraica che mi sembra difficile poter assimilare a un antisemitismo quasi viscerale e razziale del tutto irrazionale. Qui le sfumature sono essenziali e condizionano una giusta comprensione delle situazioni e una migliore valutazione dei comportamenti. Il fatto di affrontare con assoluta indipendenza intellettuale queste questioni, con i necessari strumenti ermeneutici, dovrebbe aiutare a rispondere, perlomeno in parte, alla domanda che non si può non porsi: a quali condizioni si può effettuare un’analisi critica del giudaismo del XIX secolo senza parlare necessariamente di antisemitismo, nel senso in cui lo si definisce oggi? Tanto più che il termine, coniato dal giornalista tedesco Wilhelm Marr, fa la sua comparsa in Francia solo attorno agli anni 1890. Al di là di quest’analisi economica e sociale resta una questione più antica e più fondamentale, che riguarda i legami teologici fra ebraismo e cristianesimo e i loro rapporti specifici, definiti da George Steiner un’«eresia» che si potrebbe considerare reciproca. Questa questione, che non è stata ignorata dal concilio Vaticano II e ha ispirato molte iniziative di Giovanni Paolo II, percorre come un filo rosso tutta la storia del cattolicesimo. Essa spiega molte decisioni, prese di posizione e silenzi in materia. E non oso credere che il rifiuto dell’Institut catholique di Parigi di ospitare queste giornate di studio dipenda proprio da questa problematica. Mi sembra necessaria una riflessione teologica, tanto più che viene troppo spesso, se non ampiamente, ignorata o perlomeno trascurata a vantaggio di posizioni poco ragionate, se non addirittura dettate dalla compassione e dal pensare corretto. Il dibattito sorto attorno all’eventuale beatificazione di p. Dehon ne è un’illustrazione. In esso non si è mai considerata, e neppure evocata, la posizione teologica di p. Dehon in questo campo. La teologia deve affrontare queste questioni fondamentali della relazione fra giudaismo e cristianesimo nella storia della salvezza per non abbandonarsi al gioco illusorio del bilanciere, che non risolve nulla, perché obbedisce alla strategia dell’eterno ritorno dell’identico di cui conosciamo le tragiche conseguenze nella storia. Comunque queste giornate di studio hanno dimostrato che, approfondendo seriamente certe questioni, delicate in quanto esistenziali, la ricerca storica e la discussione teologica contribuiscono a una giusta e rispettosa comprensione delle diverse posizioni attuali. Yves Ledure* * Proponiamo qui l’Introduzione al volume, a firma del curatore, per gentile concessione delle Edizioni dehoniane Bologna. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 261 L ibri del mese / segnalazioni M. SCHIANCHI, LA TERZA NAZIONE DEL MONDO. I disabili tra pregiudizio e realtà, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 171, € 14. 978880717167 D i loro non si parla quasi mai. Ma sono così tanti che se abitassero tutti insieme sarebbero la terza nazione più popolosa al mondo, dopo Cina e India. Sono 650 milioni di persone in tutto in mondo, sei milioni in Italia, la seconda regione per numero di abitanti dopo la Lombardia. Massimo Grilli L’impotenza che salva Il mistero della croce in Mc 8,27–10,52 Lettura in chiave comunicativa n che modo Marco sviluppa l’intreccio tra il destino di morte-risurrezione di Gesù e il discepolato? In che senso il cammino del discepolo è segnato dalla croce? Le domande da cui l’autore muove sollevano una questione teologica di rilievo, affrontata a partire dal presupposto che la lettura di un testo biblico costituisca un evento comunicativo. I «Studi biblici» pp. 168 - € 15,60 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 262 A riportare in prima pagina le persone disabili e la disabilità ci ha pensato Oscar Pistorius, l’atleta sudafricano che con la sua corsa resa possibile da due protesi alle gambe ha sfidato la Federazione internazionale di atletica leggera, che lo aveva inizialmente escluso dalla possibilità di correre alle Olimpiadi. La sua vicenda ha significato un’esposizione mediatica certamente inusuale, ma ugualmente incapace di andare oltre la storia del campione paralimpico per dare coordinate di comprensione e chiavi di lettura sull’intero universo della disabilità. A coprire questo spazio, con le pagine di questo saggio, ci pensa un altro sportivo, Matteo Schianchi, negli anni scorsi capace di vincere ben diciotto titoli di campione italiano di nuoto, partecipando con la nazionale azzurra anche ai campionati europei e mondiali riservati alle persone con disabilità. Laureato in storia contemporanea, Schianchi svolge attività di ricerca storica fra l’Italia e la Francia, dove è di casa all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi. A pubblicare la sua opera, che unisce la perizia dell’esperto alla capacità dello scrittore intenzionato alla divulgazione, è Feltrinelli, che sceglie così nella sua «Serie bianca» di dare spazio a una tematica più volte trascurata anche da molta parte del giornalismo sociale, normalmente più interessato a trattare di immigrazione, povertà ed emarginazione in senso stretto. Quello di Schianchi è il racconto della realtà dell’essere e del pensarsi disabile, mai autobiografico ma capace ugualmente di passare in rassegna tutti gli aspetti – anche quelli più nascosti – della disabilità. L’handicap, nella vita di ciascuno, è solo un’eventualità, ma scombina totalmente il nostro universo mentale e, rimandando il pensiero alla nostra vulnerabilità, ci rammenta la precarietà del corpo e dell’immagine. Per questo, ancora oggi, o forse soprattutto oggi, esso scatena timore, paura, repulsione. E si concretizza, generalmente, in un pregiudizio e in un rifiuto che si esprimono nella forma velata di un pietismo che manifesta scarsa conoscenza e induce nel disabile stesso una profonda autocommiserazione. Ne viene fuori un’analisi impietosa ma veritiera sulle difficoltà di relazione umana e d’inclusione sociale, una riflessione a tutto tondo sul linguaggio, sui percorsi storici di accettazione e integrazione, sulle prospettive della moderna tecnologia e sulle sue profonde conseguenze sociali. Il tutto a partire da un fondamentale assunto: quello per cui la condizione del disabile, così come del resto quella del normale, non nasce da specifiche proprietà delle persone, ma è il IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 prodotto di un punto di vista, l’esito di concrete relazioni sociali. Il dato di partenza è però un altro: l’avvento della disabilità e la presa di consapevolezza della sua presenza (sia nei casi in cui essa è presente fin dalla nascita, sia nel caso si manifesti più avanti, magari in modo improvviso come conseguenza di un incidente invalidante) è sempre per la persona un trauma colossale, uno sconvolgimento totale della vita, un vero e proprio lutto che ha bisogno di un’elaborazione. È lontano anni luce dalla realtà viva delle dinamiche personali il pensiero che in modo sereno ed equilibrato si possa facilmente convivere con un così forte cambiamento di prospettiva sulla propria esistenza: l’operazione della presa di coscienza è nient’affatto semplice e produce una fortissima lotta interiore, dalla quale non sempre – e in ogni caso non subito – si esce vincitori. Ciò detto, sottolinea Schianchi, non c’è nessuna linea diretta di causa-effetto fra disabilità e depressione, per quanto nel corso dei secoli (e ancora oggi) le persone disabili non siano affatto state aiutate da un contesto sociale colmo di pregiudizi e zeppo di stereotipi, abituato ad approcciarsi alla disabilità con fare stigmatizzante. Dinamiche sociali capaci di conseguenze rovinose sulla vita delle persone. L’autore, in questo senso, passa in rassegna i passi compiuti negli ultimi due millenni, dal mondo romano e greco al Medioevo, dalla «mostra delle atrocità» che caratterizzava l’Ottocento (i disabili visti con ribrezzo e semmai esibiti solo come fenomeni da baraccone nelle feste di piazza come al circo) fino allo stato sociale, al loro ingresso nel cinema e nei media, al dibattito sempre vivo fra assistenzialismo, integrazione sociale e protagonismo. Risorse insufficienti, leggi ottime ma parzialmente o per nulla applicate, mancanza di strategie e di politiche efficaci sono le costanti nelle quali la disabilità si muove oggi nel nostro paese, ancora in larga misura incapace di esprimere una cultura dell’handicap che sappia mutare gli sguardi e anestetizzare i pregiudizi, le paure e i luoghi comuni. E sarà già una grande vittoria – sottolinea Schianchi – riuscire a fare in modo che la rivoluzione tecnologica che promette di cambiare il futuro con protesi ogni giorno più sofisticate e capaci d’infrangere le comuni barriere possa recare vantaggi non solo a pochi Pistorius, ma anche a quella vasta, enorme platea alla quale abbiamo imparato a pensare come «la terza nazione del mondo». Stefano Caredda LXXX IRAQ i R Dopo Saddam l dramma dei cristiani A colloquio con mons. Louis Sako Karkuk, marzo 2009. itorno in Iraq attraverso il Kurdistan. Le volte precedenti, nel 1998 e nel 2001, oltrepassato il confine giordano con un visto rilasciato ad Amman, avevo percorso nel deserto circa un migliaio di chilometri, con uno dei tanti taxi che facevano la spola tra la Giordania e l’Iraq. L’Austrian Airlines si occupa ora del collegamento Vienna-Irbil, la capitale del Kurdistan. Gli aerei sono pieni di iracheni provenienti da mezza Europa, che ritornano a visitare familiari e parenti. Per lo più sono cristiani caldei. Il visto viene rilasciato all’areoporto dalle autorità curde e dà inizio a un viaggio che richiede la massima cautela. Certo, in Kurdistan la situazione è sotto controllo ed è il motivo per cui molti cristiani, soprattutto da Mosul, abbandonano case e campi e trovano rifugio tra i curdi. Si corre verso Karkuk, la città del petrolio, dove l’arcivescovo, Louis Sako, si definisce umoristicamente «il vescovo più ricco del mondo». Irbil è una bella città di 850.000 abitanti. Nuove costruzioni, strade ben tenute, segnaletica perfetta: c’è quasi tutto per essere la capitale del nuovo Kurdistan iracheno con tante ambizioni e mire (cf. Regno-att. 2,2007,24). Ma Karkuk, un milione di abitanti, è una città caotica sia per il traffico sia per il commercio. Casupole, vicoli, negozietti a non finire. Solo in periferia si stanno costruendo villaggi interessanti. Polizia di stato e municipale e anche esercito vigilano dovunque. Ci sono stati attentati, ma per fortuna ora la situazione è calma. Un vecchio prete non si fida che attraversi da solo la strada e m’accompagna. «Non si sa mai» – dice – anche se una guardia, bene armata, si sforza di farmi capire di non avere paura. Sei anni dopo Saddam; uno dopo mons. Rahho Il mio arrivo in Iraq coincide con il primo anniversario della morte dell’arcivescovo di Mosul, mons. Faraj Rahho, mentre sono trascorsi sei anni dalla caduta di Saddam Hussein. Oggi, l’Iraq è a tutti gli effetti uno stato parlamentare federale. Le diciotto province godono di notevole autonomia. I curdi si vedono riconosciuti ampi poteri, ma non si accontentano. Sono in posizione di potere nelle regioni miste: nella piana di Ninive, nel governatorato di Diyala e a Karkuk e possono contare sull’appoggio del primo ministro Nouri al-Maliki, in carica dal maggio 2006, per non dire del presidente Jalal Talabani dell’Alleanza patriottica democratica del Kurdistan, in carica dall’aprile 2005. Definito un uomo capace e sensibile, deve quotidianamente fare i conti con i vari gruppi etnici: gli arabi (che rappresentano il 65% della popolazione), i curdi (23%), i turkmeni (5,6%); con un islam per il 62,5% sciita e per il 34,5% sunnita; e con una sfilza di partiti e partitini. I problemi aperti sono tanti e di non facile soluzione in una situazione di estrema insicurezza e fragilità. Come, ad esempio, la ripartizione dei proventi del petrolio; come trovare il giusto equilibrio nelle città miste arabo-curde; come gestire e dare solide garanzie alle minoranze, quella cristiana soprattutto. E, specialmente, come risolvere il problema dei profughi (l’esodo è tuttora massiccio) e dei rifugiati. La complessa situazione irachena è avvolta nella nebbia e ci si chiede che cosa farà l’amministrazione americana di Barack Obama. Soprattutto dopo che è stato annunciato il ritiro del grosso delle truppe: da 150.000 effettivi si passerebbe nel 2010 a 30-50.000. Ma l’America non lascerà l’Iraq. A Baghdad nella sua ambasciata lavora un migliaio di persone. E a Irbil, davanti al seminario cattolico, bello e moderno, dono dell’ex ministro delle Finanze curdo-cristiano, si sta costruendo un consolato americano di vaste dimensioni. Degli errori dell’occupazione parlano tutti. È stato un grave errore sciogliere le istituzioni, l’esercito e la polizia, ad esempio. Si sono aperte frettolosamente le frontiere; non si sono controllati i depositi di armi. Non si è tenuto conto dei paesi vicini, che hanno una notevole influenza sugli iracheni. Non si sono tenute sotto controllo le forze politiche nazionali corrotte e non si è fatta una rigorosa politica «religiosa» sia nei confronti dei musulmani sia dei cristiani. I primi sempre tesi all’istituzione di un regime teocratico, i secondi sottoposti a ogni tipo di vessazioni e senza alcuna protezione. Non va fatto passare sotto silenzio il fatto che sono stati uccisi 750 cristiani, tra cui tre IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 263 Komané (Iraq del Nord), esercizi spirituali. Tra i partecipanti, mons. Louis Sako, arcivescovo di Karkuk (terzo da destra, in basso). sacerdoti e un arcivescovo. È comprensibile che il 50% dei cristiani abbia trovato rifugio in Kurdistan o sia fuggito all’estero (cf. Regno-att. 8,2007,240; 12,2007,374; 6,2008,193). Secondo mons. Sako il ritiro delle forze americane può creare un vuoto e riaprire la strada alla guerra civile e anche alla divisione del paese per diverse ragioni: la sicurezza è molto fragile; non si è realizzata la riconciliazione tra i gruppi etnici e religiosi; l’esercito e la polizia non sono in grado di mantenere l’ordine e di controllare il vasto paese; le milizie etniche e religiose sono attive e non facilmente controllabili; permane la spinta dei paesi confinanti a influenzare la politica irachena per calcoli egemonici; alcune città, come Karkuk, non hanno uno statuto ben definito; la Costituzione in alcune sue parti non dà sufficienti garanzie; non c’è una linea di governo lungimirante; la frammentazione e il numero dei partiti portano alla litigiosità e alla formazione di alleanze instabili. U n e so d o d i m e n t i cato Gli attentati, sia pure in misura minore, continuano. Nei giorni della 264 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 mia permanenza, una serie di attacchi dinamitardi ha provocato la morte di una persona e altri sette feriti; a Nord-ovest di Baghdad un attentato suicida ha causato almeno 60 fra morti e feriti. A Mosul, ad esempio, non si può andare. I cristiani ricevono di nascosto la visita di un paio di sacerdoti coraggiosi che rischiano la vita. Si parla comunque di una certa rinascita; emerge addirittura l’ottimismo, secondo un sondaggio elaborato a febbraio da BBC, ABC News e NHK, anche se la crisi economica è molto seria e le maggiori preoccupazioni provengono dai problemi quotidiani e dalla mancanza di lavoro. I più colpiti sono i cristiani, per i quali le condizioni di vita sono pressoché impossibili. Costituiscono circa il 3% della popolazione su circa 28 milioni di abitanti. Trent’anni fa erano il 5%. L’islam è la religione di stato, ma l’art. 2 della Costituzione garantisce la libertà religiosa delle minoranze. I cristiani un tempo costituivano una sorta d’élite per la loro educazione e formazione scientifica, soprattutto a opera di domenicani, carmelita- ni, gesuiti. Ora continuano a essere oggetto di attacchi, soprattutto da parte dei fondamentalisti, che l’imam di Karkuk, Ali Khalid Sarmad, personalità di spicco nel mondo islamico iracheno, bolla come persone che non hanno nulla della fede islamica, e che anzi distruggono l’autentico messaggio coranico. L’esodo dei cristiani pare non finire mai ed è motivo di forti preoccupazioni. Dice mons. Sako: «Partire vuol dire far sparire tutta una storia, una cultura, una lingua e la presenza cristiana di duemila anni». 100.000 cristiani si trovano oggi in Siria, 30.000 in Giordania, parecchie migliaia in Libano, in Egitto, in Turchia e nel Kurdistan, da dove in passato molti erano stati costretti a fuggire. Benvenuti ora i cristiani nel Kurdistan, per i quali si stanno costruendo case nei villaggi. Nella piana di Ninive vivono 7.000 famiglie cristiane venute da Mosul, Baghdad, Bassora e altrove. L’affitto è caro, i prezzi sono alle stelle e molti non possono frequentare la scuola e l’università. Tutti i miei interlocutori mettono in risalto il fatto che i cristiani irache- ni si sentono soli e dimenticati. Non hanno fiducia in un futuro stabile. Ancora mons. Sako: «La sofferenza, la pazienza, l’inquietudine sono il loro pane quotidiano davanti al grande silenzio della comunità internazionale. Molti all’estero non sanno niente dei cristiani d’Oriente, non solo dell’Iraq. Dimenticano che sono l’origine della cristianità occidentale e che la loro eredità è di grande importanza per la Chiesa universale. I cristiani dell’Occidente devono prendere coscienza della gravità della tragedia dei cristiani iracheni. Questi sono spesso vittime di violenze perché sono cristiani». La gerarchia ecclesiastica da anni va dicendo che i cristiani non se ne devono andare dal paese, che anzi devono farsi promotori della sua rinascita, creando istituzioni scolastiche e sociali e soprattutto contribuendo alla riconciliazione nazionale. «I cristiani che partono indeboliscono coloro che restano e offrono un argomento supplementare agli islamisti, che mettono in campo ogni mezzo per farli uscire in massa dal paese. Incoraggiare l’emigrazione dei cristiani è svuotare l’Iraq sotto tutti gli aspetti» (mons. Sako). C’è chi chiede la creazione di un ministero ad hoc per proteggere e far rispettare i diritti delle minoranze nel paese e intervenire sui grandi capi musulmani perché i mullah cambino il tono dei loro discorsi, aprendosi al pluralismo di etnie e religioni e alla diversità. Sinodo per il Medio Oriente? In questa situazione di fragilità e d’insicurezza, di aspri conflitti e di corruzione, anche la situazione interna alla comunità cristiana non è priva di elementi negativi. Se ne è fatto portavoce p. Albert Abouna, un vecchio prete di Baghdad, un intellettuale, ora residente a Karkuk, che ha dato alle stampe una lettera aperta ai cristiani iracheni, soprattutto caldei, dove dice chiaramente che la Chiesa «ha bisogno di una riforma radicale». Non risparmia critiche al patriarca Emmanuel III Delly, che ritiene inadatto al suo ruolo; ai vescovi, che non si prendono cura del popolo a loro affidato; ai preti, che vivono isolati e non coltivano la dimensione spiri- tuale. Ne fanno le spese i fedeli, «gregge senza pastori». La lettera ha fatto scalpore e in alcuni luoghi se n’è impedita la diffusione. In questo contesto s’inserisce la proposta di mons. Sako di un sinodo speciale per l’intero Medio Oriente, che pare papa Benedetto abbia preso in considerazione. «In questo momento – sostiene l’arcivescovo di Karkuk – vi sono varie sfide per i cristiani del Medio Oriente, che chiedono una risposta da parte dei responsabili della Chiesa». Mons. Sako ne presenta alcune: il continuo esodo dei cristiani dal Medio Oriente, soprattutto dalla Terra santa, dall’Iraq, dall’Iran e dal Libano; la situazione di chi è emigrato e l’esigenza di una pastorale che ne curi l’integrazione; la mancanza di un programma pastorale ben pianificato ed efficace, che aiuti i cristiani a vivere e testimoniare la propria fede; la presenza dei cristiani in campo sociale, culturale, religioso e politico; la formazione dei cristiani perché possano difendere i loro diritti a livello politico, sociale e culturale; il rafforzamento e il coordinamento degli avvocati per difendere e proteggere le minoranze cristiane in Medio Oriente con la collaborazione degli organismi internazionali. Mons. Sako insiste particolarmente sulla necessità di una riforma radicale e urgente, sotto l’aspetto amministrativo, delle Chiese orientali; sulla necessità di una riforma liturgica e sulla promozione e il discernimento delle vocazioni sacerdotali e religiose. L’attuale situazione economica e sociale richiede inoltre l’elaborazione di progetti per la creazione di posti di lavoro per aiutare i cristiani a restare nei propri paesi; la denuncia della cristianofobia, delle discriminazioni, della persecuzione e «pulizia religiosa»; la relazione con l’islam e la ricerca di strade da percorrere per un dialogo che rafforzi la coesistenza. I problemi sono indubbiamente tanti e gravi. Ne sono consapevoli anche gli studenti di teologia del seminario di Irbil, che si preparano a entrare nell’attività pastorale. Il Babil College, 50 studenti in formazione e quasi 400 studenti laici, trasferitosi da Baghdad a Irbil sei anni fa in una IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 265 splendida costruzione, ha un piano di studi di tutto rispetto e un corpo docente preparato. «La Chiesa non può certo fare miracoli – osserva mons. Sako – ma ha bisogno urgente di una leadership, di pastori capaci di pensare e di agire. Manca un discorso ufficiale, chiaro e coraggioso. La Chiesa è divisa, così come lo sono i partiti politici». Segnali di rinnovamento ce ne sono. La lingua caldea viene insegnata nelle scuole, a Karkuk avviene già in quattro istituti; a Mosul c’è un ufficio governativo che si prende cura del restauro di chiese e monasteri cristiani, come avviene per sciiti e sunniti. Si possono stampare liberamente libri cristiani, mentre con Saddam era in vigore una rigidissima censura. La recente riapertura del Museo nazionale di antichità di Baghdad è un segno di speranza. Forte la pressione, che viene soprattutto da ambienti ebraici, per riaprire le porte al turismo, soprattutto a Ur, Babil e Mosul. Francesco Strazzari a cura di Giovanni Giorgio - Mary Melone Credo nello Spirito Santo a anni la Società italiana per la ricerca teologica (SIRT) concentra i propri interessi di studio attorno al Credo. I saggi raccolti nel volume rappresentano i contributi offerti all’XI Simposio della SIRT in collaborazione con il Servizio nazionale per il progetto culturale della CEI: essi vertono attorno all’ottavo articolo del Simbolo Apostolico e si dedicano a una ricognizione, complessa ma stimolante, in merito alla terza persona della Santissima Trinità. D «Biblioteca di ricerche teologiche» pp. 240 - € 21,60 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 d d iario ecumenico MARZO Restituzione della chiesa di San Nicola alla Russia. Il 1° marzo, a Bari, lo stato italiano restituisce ufficialmente la chiesa di San Nicola, con la consegna delle chiavi della chiesa da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al presidente russo Dmitri Medvedev. Per gli ortodossi la restituzione della chiesa, fatta costruire negli anni 1913-1917 dalla famiglia Romanov per accogliere i pellegrini russi a Bari, non simboleggia solo l’amicizia tra Italia e Russia, ma testimonia concretamente lo stato del dialogo tra cattolici e ortodossi. Alla cerimonia ufficiale, in cui viene letto un messaggio di Benedetto XVI, prendono parte, tra gli altri, mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, e mons. Vincenzo Paglia, presidente della Commissione della CEI per l’ecumenismo e il dialogo. Libertà religiosa in Italia. Il 6, a Roma, la Commissione affari costituzionali del Senato approva il riconoscimento delle lauree rilasciate dall’Istituto avventista di cultura biblica di Firenze. Si deve ora attendere l’approvazione da parte della Commissione affari costituzionali della Camera per trasformare questo provvedimento in legge dello stato. Il voto al Senato segue di due giorni la delibera del Consiglio dei ministri con cui, su proposta del ministro dell’Interno Roberto Maroni, viene riconosciuta la personalità giuridica all’Esercito della salvezza e alla Prima Chiesa di Cristo scientista di Aosta; vengono anche approvati gli statuti della comunità evangelica di confessione elvetica e dell’Istituto buddhista Soka Gakkai. Visita ufficiale del CEC in Terra santa. Dal 7 al 14, una delegazione del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) compie una visita ufficiale in Terra santa, che fa parte del programma «Living Letters» del decennio della lotta contro la violenza nel mondo. In vista della convocazione dell’Assemblea su questo tema nel 2011 in Giamaica, il CEC vuole confermare l’impegno dei cristiani per la pace, come dimostra anche l’opera di Accompagnamento ecumenico in Palestina e Israele (EAPPI) del Consiglio ecumenico delle Chiese, che mira a favorire la cooperazione di israeliani e palestinesi per mettere fine alla guerra e all’occupazione militare della Palestina. I cristiani dell’Irlanda del Nord uniti per la pace. L’11, a Belfast, viene pubblicata una dichiarazione congiunta per la pace da parte delle principali comunità cristiane irlandesi. La dichiarazione viene sottoscritta da cattolici, anglicani, presbiteriani, metodisti e battisti, che esprimono una comune condanna contro ogni tipo di violenza che può far ripiombare l’Irlanda del Nord in uno stato di guerra civile, che ha causato migliaia di morti. La dichiarazione era stata preceduta, il 9 marzo, da una presa di posizione dei vescovi irlandesi che, riuniti in sessione plenaria, avevano condannato gli attacchi ai soldati inglesi; numerosi esponenti delle diverse confessioni cristiane avevano espresso singolarmente la loro condanna e la loro preoccupazione per i recenti episodi di violenza. I rapporti fra gli ortodossi bulgari e l’Europa. L’11 e il 12, a Sofia, si tiene un incontro tra i rappresentanti delle Chiese autocefale ortodosse per affrontare il tema dei rapporti tra la Chiesa ortodossa bulgara e le istituzioni europee. L’incontro è stato voluto dal patriarca Maxime, dopo una serie di interventi del Consiglio d’Europa e della Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno contestato la legalità di alcune azioni del Patriarcato di Bulgaria nella soluzione di un contenzioso tra comunità, con l’appoggio dello stato bulgaro che avrebbe operato contro il principio della libertà religiosa. L’incontro si conclude con una dichiarazione in cui si afferma che l’unità 266 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 della Chiesa ortodossa bulgara e la canonicità del santo Sinodo e del patriarca sono un dato irrinunciabile da un punto di vista canonico e panortodosso, così com’è stato affermato nel cosiddetto scisma del 1992. Appare quindi priva di fondamento l’accusa di un intervento dello stato bulgaro nella vita della Chiesa ortodossa. Benedetto XVI e il dialogo ebraico-cristiano. Il 12, a Roma, Benedetto XVI riceve in udienza una delegazione del Gran Rabbinato d’Israele e la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Cf. in questo numero a p. 233. Il nuovo segretario generale del CLAI. Dal 19 al 22, a Lima, si riunisce il Consiglio direttivo del Consiglio latinoamericano delle Chiese (CLAI) che elegge il nuovo segretario generale: il pastore luterano brasiliano Nilton Giese. Il pastore Giese, che ricopre già la carica di direttore del Dipartimento delle comunicazioni del CLAI e di segretario generale ad interim dal 2008, rimarrà in carica nel quadriennio 2009-2013 per completare l’opera della creazione di strutture per il dialogo ecumenico a livello locale in grado d’interagire con le iniziative del CLAI. Un impegno ecumenico per i dalit. Dal 20 al 24, a Bangkok (Thailandia), si tiene la «Conferenza ecumenica internazionale sulla giustizia per i dalit», organizzata dal Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) e dalla Federazione luterana mondiale (FLM), e ospitata dalla Conferenza cristiana dell’Asia per la lotta contro la discriminazione della quale sono vittima i circa 250 milioni di dalit (fuori casta), che vivono in Asia meridionale. L’incontro si è svolto con un mese di anticipo sulla Conferenza dell’ONU sul razzismo di Ginevra per «attirare l’attenzione su una questione che la comunità internazionale non ha fino a oggi considerato con la dovuta serietà e il dovuto impegno». Incontro sulla teologia nella vita delle Chiese luterane. Dal 25 al 31, ad Augusta, si svolge un incontro internazionale su «Teologia nella vita delle Chiese luterane. Prospettive di trasformazione e pratiche quotidiane». Promosso dal Dipartimento per la teologia della Federazione luterana mondiale (FLM) e in collaborazione con l’Istituto di teologia protestante della locale università, vede la partecipazione di oltre 120 pastori e studiosi da tutto il mondo luterano. Durante i lavori si afferma la necessità di affrontare il tema in un’ottica ecumenica, soprattutto alla luce del dialogo con la Chiesa cattolica romana, con la quale si hanno molti punti in comune, al di là delle divergenze locali e attuali. Un centro per il dialogo a Cagliari. Il 26, a Cagliari, s’inaugura il Centro culturale Martin Luther King, che nasce dalla collaborazione delle comunità avventista, battista e luterana di Cagliari per rafforzare il dialogo ecumenico a livello locale e per promuovere un confronto tra le tradizioni cristiane e la società. Studi sulla Bibbia e i testi sacri delle religioni. Il 26, a Venezia, si tiene una giornata di studi su «La Bibbia e i testi sacri delle religioni», organizzata dall’Istituto di studi ecumenici San Bernardino. Aprono la giornata due relazioni: una sul rapporto tra i testi sacri (in particolare la Bibbia e il Corano) e il dialogo interreligioso e l’altra sulle dinamiche missionarie dei testi sacri, alla luce del recente Sinodo dei vescovi; segue una tavola rotonda in cui vengono presentati i contributi dei testi sacri dell’ebraismo, dell’islam e dell’induismo in relazione al dialogo interreligioso. Riccardo Burigana a agenda vaticana MARZO Benedetto in Campidoglio. Il 9 marzo Benedetto XVI fa visita al Consiglio comunale di Roma in Campidoglio, come già Giovanni Paolo II nel 1998 e Paolo VI nel 1966. «Vivendo a Roma da tantissimi anni, ormai sono diventato un po’ romano», dice il papa, che richiama alle «radici civili e cristiane di Roma» e ammonisce a non perseguire un umanesimo «svincolato da Dio». Lettera del papa sui lefebvriani. Il 12 marzo il papa scrive ai vescovi in merito alla revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani: spiega che cosa intendeva fare, prende atto degli sconquassi che ne sono seguiti, riconosce che ci sono stati «sbagli» nella gestione dell’iniziativa, enuncia una decisione di rilievo sulla conduzione del rapporto con la Fraternità (il ruolo guida della Congregazione per la dottrina della fede, che comporta il coinvolgimento della curia romana e degli episcopati). Si sfoga per l’intolleranza di chi l’ha attaccato, ringrazia gli ebrei per averlo capito meglio di una parte dei cattolici, rimprovera la «saccenteria» dei lefebvriani e quella di alcuni che si pongono a «grandi» difensori del Concilio. Cf. Regno-att. 6,2009,145 e Regno-doc. 7,2009,193. Aborto su bimba brasiliana. «Dalla parte della bambina brasiliana» è intitolato un articolo dell’arcivescovo Rino Fisichella, presidente dell’Accademia per la vita, pubblicato da L’Osservatore romano il 15 marzo: «Carmen doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti con lei; tutti, senza distinzione alcuna. Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri. Così non è stato e, purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo di misericordia». La diocesi di Olinda e Recife, che aveva notificato la scomunica a carico della bambina, dei familiari e dei medici rivendica il 16 marzo la giustezza del proprio operato richiamandosi al Codice di diritto canonico. Cf. in questo numero a p. 242. Anno sacerdotale. Il 16 marzo viene annunciata l’indizione – in occasione del 150° della morte del Curato d’Ars – di un «anno sacerdotale» che avrà come tema «Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote» e si svolgerà dal 19 giugno 2009 (solennità del Sacratissimo cuore di Gesù e Giornata di santificazione sacerdotale) al 19 giugno 2010. L’anno terminerà con un incontro mondiale sacerdotale in piazza San Pietro e vedrà la proclamazione di san Giovanni M. Vianney a patrono di tutti i sacerdoti del mondo. Africa. Dal 17 al 23 marzo il papa è in Camerun e Angola, primo suo viaggio in Africa motivato dalla consegna – il 19 a Yaoundé – all’episcopato continentale dell’Instrumentum laboris per la II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, che si farà a Roma il prossimo ottobre. Cf. voci seguenti, in questo numero a p. 235; cf. Regno-doc. 7,2009,197ss. Solitudine del papa. «Devo dire che mi viene un po’ da ridere su questo mito della mia solitudine: in nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo nelle visite di tabella i collaboratori più stretti (…); vedo poi tutti i capi dicastero regolarmente, ogni giorno ricevo vescovi in visita ad limina. Abbiamo avuto due plenarie in questi giorni, una della Congregazione per il culto divino e l’altra della Congre- gazione per il clero, e poi colloqui amichevoli; una rete di amicizia (…). Allora, dunque, la solitudine non è un problema, sono realmente circondato da amici in una splendida collaborazione con vescovi, con collaboratori, con laici e sono grato per questo»: così il papa parla ai giornalisti sull’aereo che lo porta in Camerun il 17 marzo. Profilattico in Africa. Una frase del papa sul «profilattico» durante la conversazione del 17 marzo in aereo con i giornalisti (vedi voce precedente), provoca grandi polemiche mediatiche e politiche. Benedetto risponde così a una domanda del giornalista Philippe Visseyrias di France 2 («La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro l’AIDS viene spesso considerata non realistica e non efficace»): «Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’AIDS sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’AIDS, ai camilliani, a tutte le suore che sono a disposizione dei malati. Direi che non si può superare questo problema dell’AIDS solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, un’umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; e il secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, a stare con i sofferenti (...). Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo e importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno» (Regno-doc. 7,2009,199). Lombardi su profilattico. In risposta alle polemiche seguite alla frase del papa sui «profilattici» (vedi voce precedente), alle quali partecipavano anche i governi di Germania e Francia e l’Unione Europea, rivendicando l’utilità e la necessità del preservativo, il portavoce vaticano il 18 marzo dichiarava: «Il santo padre ha ribadito le posizioni della Chiesa cattolica e le linee essenziali del suo impegno nel combattere il terribile flagello dell’AIDS: primo, con l’educazione alla responsabilità delle persone nell’uso della sessualità e con il riaffermare il ruolo essenziale del matrimonio e della famiglia; due: con la ricerca e l’applicazione delle cure efficaci dell’AIDS e nel metterle a disposizione del più ampio numero di malati attraverso molte iniziative e istituzioni sanitarie; tre: con l’assistenza umana e spirituale dei malati di AIDS come di tutti i sofferenti, che da sempre sono nel cuore della Chiesa. Queste sono le direzioni in cui la Chiesa concentra il suo impegno, non ritenendo che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore, più lungimirante ed efficace per contrastare il flagello dell’AIDS e tutelare la vita umana». Legionari di Cristo. «Il papa ha deciso di realizzare, per mezzo di un’équipe di prelati, una visita apostolica alle istituzioni dei Legionari di Cristo»: così il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone in una lettera a p. Alvaro Corcuera, direttore generale della Legione, datata 10 marzo e pubblicata il 31 marzo. La decisione segue l’accertamento – con un’indagine interna alla Legione – del fatto che il fondatore Marcial Maciel Degollado, già accusato in vita di abusi sessuali da parte di suoi giovanissimi alunni, ebbe una figlia che oggi sarebbe «tra i venti e i trent’anni». Cf. Regno-att. 4,2009,92 e in questo numero a p. 241. Luigi Accattoli IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 267 S studio del mese Bibbia CEI, la nuova revisione Una Scrittura da vivere L’ingente sforzo che la Chiesa italiana ha dedicato al rinnovamento della traduzione della Bibbia nella nostra lingua a partire dal 1988 è stato affrontato per dotare la comunità ecclesiale e più in generale la cultura italiana di un testo affidabile e bello da proclamare, pregare, studiare e meditare. Da oggi questa è la forma della parola di Dio per la nostra Chiesa, con tutte le implicazioni teologiche, storiche, liturgiche e pastorali che ciò comporta. Il composito dossier che dedichiamo alla nuova Bibbia CEI richiama i criteri cui la revisione si è ispirata (L. Mazzinghi), le prospettive che schiude in ambito liturgico (G. Cavagnoli), il compito che affida all’inesauribile mandato dell’evangelizzazione (G. Benzi). Il rimando iconografico alla Bibbia di Gerusalemme, spiegato nei suoi fondamenti estetici da T. Verdon, richiama l’importanza della relazione tra arte e Bibbia nella pastorale. 268 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 L a nuova revisione della traduzione CEI delle Scritture, che da poco è stata pubblicata, è un tema che può essere da me trattato per esperienza diretta, dal momento che vi ho lavorato per cinque anni, facendo parte della commissione per l’Antico Testamento. Non si può e non si deve parlare di una nuova traduzione della Bibbia ma, appunto, di una revisione della Bibbia CEI del 1974, anche se si è trattato di una revisione davvero molto ampia. Non entrerò in argomenti di carattere divulgativo o di facile richiamo pubblicitario, quelli di cui si è discusso con maggiore frequenza sui giornali, come ad esempio la traduzione del Padre nostro, né mi fermerò a cercare qualche testo biblico che avrebbe subito revisioni radicali e persino distorsioni. È facile consultare su Internet come le reazioni a questa nuova revisione siano state le più disparate; c’è chi ha accusato i traduttori di poco coraggio e di scelte non innovative; altri siti, invece – che fanno spesso capo a istituzioni non cattoliche – colgono l’occasione per violenti attacchi alla Bibbia CEI; esistono anche siti cattolici nei quali la nuova revisione è difesa con forza. Ma non entriamo all’interno di polemiche che non ci condurrebbero da alcuna parte; rimaniamo legati a osservazioni che siano il più obiettive possibili. Un’osservazione preliminare: nella Chiesa cattolica italiana si è in realtà parlato molto poco di questa revisione della Bibbia; tanti preti impegnati nelle parrocchie italiane sembrano ancora non saperne molto. Non c’è stata una sufficiente campagna di promozione; e alcuni errori contenuti nei lezionari festivi hanno peggiorato la situazione. Molti fedeli non si sono neppure accorti che dall’Avvento del 2007 stiamo utilizzando questa nuova versione. Per entrare in argomento, occorre ricordare prima di tutto che ogni traduzione è di per sé limitata: la traduzione perfetta non esiste e non esisterà mai. E, d’altra parte, bisogna pur tradurre. Inoltre, come ho già osservato, questa non è una nuova traduzione, bensì la revisione di una già esistente: ciò significa che essa si porta dietro i pregi e i difetti della traduzione precedente, i quali non possono essere del tutto eliminati. Nasce a questo punto una domanda quasi ovvia: perché i vescovi italiani non hanno deciso di fare una nuova traduzione? La questione è legittima; la CEI non ha voluto impegnarsi in un lavoro troppo grande; già nel 1988 ci si è resi tuttavia conto che la traduzione CEI del 1974 (la prima edizione era in realtà del 1971) presentava diverse inadeguatezze. E, in effetti, in molti casi la Bibbia CEI si presentava come frutto di un lavoro un po’ affrettato, con veri e propri errori, con uno stile non sempre scorrevole e comprensibile. Ma i vescovi hanno ritenuto che la vecchia CEI potesse ancora offrire una base solida su cui lavorare; e da qui siamo dunque partiti. L’iter della revisione è stato piuttosto lungo: per il Nuovo Testamento, il lavoro era già in stato avanzato nel 1997; per l’Antico Testamento si è iniziato un po’ più tardi, concludendo il lavoro di revisione soltanto nel 2001. Dal 2001 sino al 2007 la traduzione è rimasta ferma in Vaticano, presso la Congregazione per il culto divino; va ricordato al riguardo che proprio nel 2001 fu pubblicato il documento Liturgiam authenticam, contenente norme precise nel campo delle traduzioni bibliche e sul quale ritorneremo; sulla scia del documento, la Santa Sede ha richiesto una recognitio che è durata molto tempo. L’iter ufficiale della nuova revisione è ben descritto nell’introduzione scritta da mons. G. Betori nell’editio maior della nuova revisione.1 In tale introduzione è possibile anche trovare l’elenco dettagliato dei revisori, i tempi e i modi del nostro lavoro e della revisione successiva all’approvazione del lavoro stesso. A mio parere, si è trattato di un lavoro molto serio e assolutamente libero, tanto libero da consentire sempre un vivace confronto di opinioni, con discussioni franche e aperte, un modo di procedere tale da stroncare ogni illazione e ogni polemica su un’improbabile «traduzione pilotata». U n a t rad u z i o n e fe d e le e un linguaggio comunicativo Quali sono i criteri che sono stati seguiti in questa revisione, e che la CEI ci aveva richiesto sin dall’inizio del nostro lavoro? Il primo criterio è stato quello della fedeltà ai testi originali, utilizzando le migliori edizioni critiche oggi disponibili, secondo i principi classici dell’esegesi e della critica testuale. Su questa base è stata richiesta la correzione degli eventuali errori della vecchia traduzione. Rientra in questo campo anche il tema della ricerca di una certa omogeneità del lessico; ovvero, si è cercato di tradurre possibilmente nello stesso modo la stessa parola ebraica o greca presente negli stessi contesti, mentre la precedente versione non faceva sempre così. Un esempio interessante è quello della traduzione del termine ebraico hòesed, un vocabolo davvero difficile da tradurre, a meno che non ci si serva di un’espressione composta come «amore benevolente», oppure «amore fedele». La vecchia CEI traduceva hòesed con: «amore», «misericordia», «grazia», «fedeltà», «benevolenza»… senza un criterio riconoscibile. Si è quindi cercato di uniformare il più possibile la traduzione, scegliendo come campo semantico quello più appropriato e limitato di «amore» e «fedeltà», a seconda dei contesti. Questo è avvenuto riservando il senso di «misericordia» piuttosto al termine ebraico rahòamim: ad esempio, l’inizio del Salmo 51 è diventato, nella nuova revisione, «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore, nella tua misericordia cancella la mia iniquità», dove con «amore» si traduce hòesed, mentre con «misericordia» si traduce rahòamim. Sono tuttavia rimaste alcune incongruenze, come la presenza di «misericordia» per hòesed in alcuni testi (cf. Sal 130,7). Il secondo criterio è stato, dove possibile, di curare l’estetica della traduzione, un particolare che in precedenza era stato un po’ trascurato, così da creare a vol- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 269 tudio del mese S te vere e proprie cacofonie, testi poeticamente non belli o con parole desuete in italiano. Si tratta di un problema difficile da risolvere, perché se si vuole ricercare a tutti i costi l’eufonia del testo si finisce spesso per sacrificare la fedeltà all’originale; all’opposto, se si cerca la «traduzione perfetta», quasi una sorta di calco dell’originale, si finisce per sacrificare l’agilità e la comprensibilità del testo. Non dimentichiamo che ci troviamo di fronte a una traduzione «liturgica», ovvero nata per essere proclamata ad alta voce. Proprio questo aspetto ci conduce al terzo criterio: il testo dev’essere fruibile per la proclamazione liturgica. Inoltre, tale traduzione dev’essere cantabile almeno nelle sue parti poetiche utilizzate nella liturgia (i Salmi, in primo luogo); non si può pensare infatti di offrire al popolo di Dio un salterio che poi non possa essere cantato. Per la Chiesa è ben chiaro che il luogo privilegiato della lettura biblica è la liturgia. Proprio molti anni di uso liturgico hanno messo in luce i problemi della precedente traduzione CEI; molte volte il lettore stesso che la proclamava la trovava ostica. Notiamo ancora al riguardo che ciò che manca in Italia è in realtà l’abitudine e l’educazione a comprendere il linguaggio biblico; è pur vero che alcune espressioni sono ormai entrate nell’uso, per cui i vescovi non hanno ritenuto opportuno – a torto o ragione – di modificarle. Un esempio classico di questo genere di problemi è la celebre espressione «il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14): «verbo» è un evidente latinismo che certamente stona nell’italiano di oggi; i vescovi hanno ritenuto tuttavia che il termine, usato in senso teologico, fosse ormai entrato nella comprensione comune dei fedeli e hanno scartato la proposta di tradurre logos con «Parola» (cf. invece la traduzione interconfessionale in lingua corrente, nota come TILC). La stessa cosa si può dire del permanere dell’espressione «Paraclito» a proposito dello Spirito (Gv 14,16) e dell’espressione «Signore / Dio degli eserciti», rimasta anch’essa inalterata, là dove l’ebraico sòevaot indica le «schiere» celesti, gli angeli, gli astri o le forze cosmiche, non certo gli eserciti terreni; qualcuno aveva suggerito di tradurre con «Signore / Dio delle schiere»; altri avevano invece pensato, come avviene nel Sanctus della liturgia, di usare l’espressione «Signore / Dio dell’universo», oppure a quella già usata dai Settanta, theos pantokrator, «Dio onnipotente». Un esempio un po’ diverso è stato l’uso della parola italiana «genti» per tradurre l’ebraico goyyim, oppure il greco ethne; benché molti di noi avessero proposto termini più «italiani» e forse anche più fedeli al senso del vocabolo originale, come «nazioni» o, in alcuni contesti, «pagani», i vescovi hanno ritenuto opportuno di non togliere il termine «genti». La N ova Vulga t a e alc u n e sce l te i n n ovat i ve Il quarto criterio è risultato il più difficile da applicare e ha talora messo in crisi le commissioni dei revisori. Nel 1986 è stata pubblicata per volontà di Giovanni Paolo II la Nova Vulgata (anche se in realtà il lavoro era già iniziato ben prima con Paolo VI), ovvero l’edizione tipica della Bibbia latina per l’uso liturgico, edi- 270 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 zione che si presenta come una profonda revisione della classica Vulgata di san Girolamo. Questa Bibbia è diventata tipica per l’uso liturgico, dove «tipica» va inteso nel senso che è il testo di riferimento per la liturgia di rito latino. L’istruzione vaticana del 2001, Liturgiam authenticam, a lavoro di revisione ormai quasi finito, ci ha chiesto di usare il criterio della conformità alla Nova Vulgata anche per le traduzioni in lingua volgare. Mi permetto di osservare che il documento vaticano è al riguardo contraddittorio, perché se da una parte chiede di tenere la Nova Vulgata come punto di riferimento per i traduttori, specialmente per quanto riguarda le scelte testuali, dall’altra chiede altresì una traduzione dai testi originali che sia fedele ai canoni usuali della critica testuale e dell’esegesi; le due cose non sempre vanno insieme. I revisori si sono così spesso trovati tra Scilla e Cariddi; siamo tuttavia riusciti quasi sempre a trovare una via media che ci permettesse di utilizzare iuxta modum la Nova Vulgata. Proprio quest’ultimo criterio ci ha condotto a un paio di scelte molto importanti: nel primo caso si è trattato di una scelta molto innovativa, nell’altro non lo è stata del tutto. Si tratta dei casi di Ben Sira e di Ester. Il libro di Ben Sira (Siracide), com’è noto, è conosciuto in varie forme testuali; pressoché tutte le traduzioni moderne partono dal testo greco, giunto a noi in due forme testuali (breve e lunga), dal momento che l’ebraico è frammentario e non permette una ricostruzione dell’intero libro; e in ogni caso anche l’ebraico esiste in due diverse forme testuali; esistono anche la versione latina e siriaca. La Nova Vulgata segue un criterio eclettico, scegliendo non di rado lezioni non pienamente suffragate da una seria critica testuale. La revisione della Bibbia CEI del 1974 ha seguito un criterio diverso; l’edizione del 1974 traduceva sostanzialmente il testo greco corto, ritenuto il più autorevole; la nuova revisione aggiunge in corsivo, nel corpo del testo, le aggiunte presenti nel testo greco lungo, secondo l’edizione di J. Ziegler, ovvero il testo utilizzato nella liturgia. Nelle note vengono segnalate le differenze con l’ebraico, là dove presente, e i passi in cui ci si distacca dalle scelte della Nova Vulgata. Si tratta di una scelta tutto sommato innovativa, che si allinea tuttavia all’uso liturgico antico di questo libro (che, ricordiamo, appartiene ai cosiddetti «deuterocanonici»). A questo proposito, va menzionata la nota editoriale che la revisione CEI prepone alla traduzione di Ben Sira. La scelta di Ester è forse meno nuova, ma altrettanto radicale. Girolamo, nella Vulgata, traduce il testo ebraico, in nome della hebraica veritas; ma aggiunge alla sua traduzione sei ampie sezioni del testo assenti dall’ebraico, presenti però nel testo greco (che la Chiesa cattolica considera canoniche, contrariamente all’ebraismo e alle Chiese della Riforma). Il libro di Ester fu accolto in questa forma fino al Vaticano II. La vecchia CEI traduceva l’ebraico, aggiungendo dove necessario le sei sezioni già tradotte da Girolamo, ma perdendo così l’omogeneità del testo e facendo nascere molte incoerenze. Siccome è convinzione della Chiesa che entrambe le forme testuali, ebraica e greca, siano da con- Giobbe. siderarsi canoniche, la revisione ha scelto di tradurle entrambe integralmente. Così nella pagina di destra viene tradotto il testo greco, più lungo, in versione integrale e in posizione principale a causa della sua preminenza nella liturgia; nella pagina di sinistra viene tradotto il testo ebraico, più breve. In nota vengono segnalate le differenze con la Nova Vulgata (cf. per tutto questo la nota editoriale preposta alla traduzione di Ester nella nuova Bibbia CEI). Osservo infine che queste scelte sono state spesso sofferte e discusse; ricordo, per quanto riguarda Ben Sira, un sapientissimo intervento del card. C.M. Martini (com’è noto, già rettore del Pontificio istituto biblico, dove insegnava proprio la critica testuale); si tratta di scelte che tuttavia costringeranno la Chiesa a una seria riflessione intorno al canone (cf. la presenza, in questa revisione, di due diverse forme del libro di Ester, uno secondo il testo masoretico e l’altro secondo i Settanta, da considerarsi evidentemente entrambe canoniche). Una comprensione mai definitiva Possiamo passare adesso a qualche rapido esempio di correzioni di scelte testuali della vecchia CEI, esempi che prendo dai Salmi, dei quali in particolare mi sono occupato. Il salmo 65,2 nella versione del 1974 aveva: «A te si deve lode o Dio, in Sion», che però traduce in realtà il testo greco e latino; il testo ebraico, invece, contiene il termine dumiyya che indica piuttosto il «silenzio». La traduzione forse migliore è dunque quella della nuova Bibbia CEI: «per te (lekhâ) il silenzio è lode, o Dio in Sion», che è poi la traduzione di Girolamo nella sua Iuxta hebraicam versionem: tibi silens laus Deus in Sion. Questo significa che Girolamo aveva colto in dumiyya il valore di «silenzio», e non quello di un verbo che significa «si addice» (domiyya), letto probabilmente così dai Settanta per una piccola differenza di vocalizzazione. Un altro esempio di scelta testuale migliore è il testo di Sal 74,19, che nella vecchia CEI era tradotto: «Non abbandonare alle fiere la vita di chi ti loda». Questo è piuttosto il testo greco che presuppone l’ebraico todekha, ovvero «chi ti loda», mentre il testo masoretico ha piuttosto torekha, ovvero la «tua tortora». La nuova CEI ha così offerto una frase senz’altro più bella e fedele al testo masoretico: «non abbandonare ai rapaci la vita della tua tortora», dove la tortora è qui lo stesso fedele che si sta rivolgendo a Dio per chiedergli la salvezza da ogni pericolo. Un terzo esempio è il Salmo 8, che nel suo complesso è stato molto discusso. Nella vecchia CEI si leggeva all’inizio del Salmo: «O Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra», mentre il testo ebraico recita Adonai Adonenû, mah addîr… Prima di tutto, l’espressione Adonai Adonenu non va tradotta con «Signore nostro Dio», ma, in modo senz’altro più fedele, con «Signore, Signore nostro»; poi, addîr è un vocabolo che significa piuttosto «terribile», oppure «mirabile». La traduzione della nuova CEI è adesso: «O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra», che rappresenta senz’altro un miglioramento e una maggior fedeltà al testo ebraico. Al v. 5 di questo stesso salmo la vecchia CEI aveva: «l’hai fatto poco meno degli angeli», che è tuttavia il testo dei Settanta; il testo ebraico ha invece «di elohim». Qui, come si vede, il problema è notevole, perché bisogna capire se con questo termine, elohim, si intenda Dio («l’hai fatto poco meno di Dio»), oppure gli esseri divini, ovvero quei membri della corte celeste di cui IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 271 tudio del mese S 272 parla ad esempio l’inizio del libro di Giobbe. La traduzione, in questo caso, diventa anche un problema di esegesi: il termine «angeli» rappresenta così un’interpretazione del testo alla luce di una teologia forse posteriore; Girolamo, ancora nella sua Iuxta hebraicam versionem, aveva paulo minus a deo, «poco meno di un dio (o “di Dio”)»; la Nova Vulgata sceglie invece di tradurre ancora con «angeli». Inizialmente si era proposto di correggere la vecchia CEI in «l’hai fatto poco meno di Dio», ma nella nuova versione è stato poi scelto «l’hai fatto poco meno di un dio». In realtà, in questo modo non si comprende bene a che cosa il testo si riferisca, se si prescinde da un contesto politeista nel quale noi ci troviamo; se si pensa al racconto di Gen 1,26, forse «poco meno di Dio» era una scelta migliore; altrimenti, si poteva tradurre con «poco meno di un essere divino», pensando così a quei membri della corte celeste nella quale credeva l’antico Israele (quegli esseri che in seguito diventeranno appunto gli angeli). Questo è dunque uno dei casi in cui la nuova revisione non ha risolto del tutto il problema, pur avendolo affrontato e avendo compiuto comunque una scelta con un certo coraggio. Il Nuovo Testamento ha creato problemi spesso diversi rispetto all’Antico: una minor quantità di problemi testuali, senza dubbio. Nella nuova CEI sono state affrontate, anche nel caso del Nuovo Testamento, le inesattezze della precedente traduzione, le incongruenze e le mancate conformità con i passi paralleli dei Vangeli sinottici. Non tutte le difficoltà sono ancora pienamente risolte. Per esempio, nel Nuovo Testamento compare per cinque volte il termine greco episkopos: una volta a proposito di Gesù, quattro volte a proposito di un ministero ecclesiale tipico della Chiesa delle origini: in Atti 20,28; Filippesi 1,1; 1Timoteo 3,1-2. In realtà, la parola greca episkopos, se vogliamo tradurla in maniera letterale, indica di per sé un «sorvegliante», un «ispettore», un «sovrintendente»; tuttavia, nel Nuovo Testamento, essa indica senza alcun dubbio un ministero ecclesiale di grande responsabilità nei confronti della comunità, comunque si concepisca poi la funzione di episkopos nelle diverse confessioni cristiane oggi. La tradizione cristiana antica, la Chiesa cattolica, le Chiese ortodosse e anche la Chiesa anglicana continuano a usare tale termine in senso tecnico, riferendo così il neotestamentario episkopos a un ministero ordinato, quello episcopale appunto, che per queste Chiese riveste, anche se in modi diversi, un carattere sacramentale. D’altra parte, è pur vero che, nelle comunità paoline, gli episkopoi non erano ancora i vescovi così come li concepiamo oggi nella Chiesa cattolica. E tuttavia una traduzione di episkopos con «ispettore» o «sorvegliante», se pur potrebbe far credere di rispettare il senso del termine greco, non aiuta certo a capire il ruolo ecclesiale che queste figure comunque ricoprivano. Non a caso la traduzione con «sorvegliante» è stata scelta dalla versione della Bibbia usata dai Testimoni di Geova, in aperta polemica con le altre Chiese cristiane. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 La traduzione biblica della Nuova riveduta, che pure è espressione di un contesto riformato italiano nel quale non è accolta la figura del vescovo (almeno come lo intendono la tradizione cattolica e ortodossa), rende anch’essa il termine episkopos con «vescovo»; così facevano già le grandi traduzioni della Riforma, la King James e la traduzione tedesca di Lutero. Questo significa che il traduttore deve comunque tenere in considerazione la storia di un vocabolo; se tradurre episkopos con «vescovo» è forse discutibile sulla base del senso letterale del vocabolo greco, ci troviamo di fronte a una traduzione certamente ben comprensibile per il lettore cristiano attuale: si tratta di un ministero ecclesiale che sta all’origine, comunque si voglia tracciare tale origine, dei vescovi noti a molte Chiese cristiane. E tuttavia, la nuova CEI, in Atti 20,28, nel contesto del discorso di Paolo agli anziani di Efeso, traduce episkopoi con «custodi», mentre usa il termine «vescovo» negli altri tre casi. Anche in 1Pt 2,25 Gesù, che il testo greco chiama episkopos, diviene nella nuova CEI il «custode». Segno che il problema non è del tutto risolto. Un interessante esempio di un problema invece a mio parere ben risolto è rappresentato da Giovanni 1,38, dove leggiamo che Gesù si volta e vede i discepoli che lo seguono e gli chiedono «pou meneis?», espressione che la vecchia CEI traduceva in modo banale: «dove abiti?». Ora Giovanni è sempre molto attento alla scelta dei verbi: meno è in Giovanni un verbo usato in senso teologico, che indica il «dimorare» di Gesù nel Padre, il «dimorare» dello Spirito nei discepoli. Per questa ragione, nella nuova CEI si è scelto di tradurlo con «dove dimori?», utilizzando un vocabolo tipico di un linguaggio più elevato, ma che fa subito pensare che qui non si tratti del banale «dove abiti?». Infatti Giovanni intende alludere alla vera dimora di Gesù, che è poi uno dei temi di fondo di tutto il suo Vangelo, la domanda posta a Gesù da Pilato: «Di dove sei?» (Gv 19,9). In italiano il «dimorare» è senz’altro meno ovvio dell’«abitare», ma proprio per questa ragione tale verbo è stato scelto. I discepoli non se ne rendono ancora conto, ma stanno ponendo la domanda fondamentale; essi ancora non sanno la risposta, ma la conosce invece l’evangelista Giovanni e la comincia a intuire il lettore. In questa prospettiva, va collocato anche il recupero del termine hodos dal testo degli Atti degli apostoli (cf. 9,2; 16,17; 18,25-26 ecc.), che va tradotto nel suo senso proprio di «via», mentre nella vecchia CEI era tradotto come «dottrina». Sappiamo che, negli Atti, la fede cristiana è chiamata «la via», e i suoi adepti venivano chiamati «i seguaci della via» In tal senso il tradurre hodos come «dottrina» implica uno slittamento del testo verso una visione concettualistica e appunto dottrinale del cristianesimo. In Atti 22,4, quando Paolo si difende davanti al popolo di Gerusalemme che lo vuole uccidere, dice: «Io perseguitai a morte questa Via», termine scritto nella nuova CEI con la V maiuscola per aiutare il lettore a capire che non si tratta di una via qualsiasi, ma del percorso della fede cristiana. Gesù e la Samaritana. Un testo da poter leggere e proclamare Per concludere, un ultimo criterio che è stato tenuto presente nella traduzione del Nuovo Testamento è quello della «leggibilità» del testo, problema che ha messo a dura prova anche i traduttori dell’Antico Testamento; si è sempre costretti a sacrificare qualcosa, o la fedeltà al testo o la chiarezza dello stile della traduzione. Un esempio di un problema di traduzione che non si è riusciti a risolvere in modo soddisfacente è quello del Salmo 23,4: «il tuo bastone e il tuo vincastro». Il termine «vincastro» è di per sé corretto, perché sta ad indicare il bastone terminante con una sorta di ricciolo con il quale il pastore acchiappa le sue pecore (il «pastorale» dei vescovi!). Con «bastone» si intende invece un bastone appuntito che serviva a difendere il gregge dalle bestie feroci; bastone e vincastro sono perciò due immagini complementari; resta il fatto che «vincastro» è termine realmente desueto nella lingua italiana corrente e non certo d’immediata comprensione; qualcuno aveva proposto «il tuo bastone e la tua guida», però il primo è un termine concreto («bastone»), mentre il secondo («guida») è un termine astratto; la scelta di «verga» ci è sembrata addirittura peggiore di «vincastro». Alla fine è così rimasto il vincastro e non si è riusciti a trovare una parola italiana migliore. Altro esempio di problema non risolto è il testo del Salmo 56,9: «il tuo otre raccoglie le mie lacrime»; oltre alla cacofonia rappresentata da «tuo otre», è certamente difficile comprendere a pieno la metafora dell’otre, oggetto tipico del beduino. La sostituzione di «otre» con «vaso», «recipiente», non ha convinto e l’otre è rimasto. Caso contrario è quello del «bisso» presente nella parabola del ricco epulone (Lc 16,19). Si è pensato che oggi non si riuscisse più a comprendere che cosa fosse il bisso e, siccome si tratta di una tela di lino finissima, usata dai nobili, si è scelto di tradurre con «lino finissimo». E ancora nella stessa parabola: «il povero fu portato nel seno di Abramo» (v. 22); questa espressione presente nella vecchia CEI era tecnicamente corretta, ma ha dato luogo a un’accanita discussione, perché qualcuno voleva lasciare intatto il semitismo «seno» (kolpos) usato da Luca; alla fine è stato scelto di tradurre con «accanto ad Abramo», per favorire la comprensione del sintagma di chiara impronta semitica. Al v. 26 c’è ancora un caso interessante: «né di costì possono attraversare fino a noi»; la vecchia CEI era senz’altro brutta e un po’ cacofonica; la nuova CEI legge invece: «né di lì possono giungere fino a noi», che è senz’altro un testo un po’ più sciolto e lineare. Ho fatto soltanto alcuni esempi tra i tanti che si potevano fare; per concludere, per la nuova revisione della Bibbia CEI la vera prova dei fatti sarà in definitiva il suo costante uso liturgico, affiancato dall’uso del testo negli studi biblici, nella lettura e nella preghiera personale. Bisogna tener presente, poi, che questa non è certo una traduzione nata per l’uso degli esperti, dei filologi o dei cultori delle lingue semitiche; si tratta di una traduzione pensata in primo luogo per l’uso liturgico e pastorale; su questo terreno essa potrà rivelare i suoi limiti e insieme mostrare tutta la sua validità. Luca Mazzinghi* * Docente di sacra Scrittura alla Facoltà teologica dell’Italia centrale (Firenze) e al Pontificio istituto biblico (Roma). Le riflessioni qui proposte sono la trascrizione della conferenza (rivista dall’autore) tenuta durante il corso di ebraico biblico organizzato dall’associazione Biblia (30.12.2008-5.1.2009). 1 Cf. anche Regno-att. 16,1996,468; 20,2007,657. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 273 tudio del mese S Bibbia CEI Orizzonti per la catechesi C ominciamo, senza che ci si spaventi, con una citazione dotta. «Diletto figlio… in mezzo a sì grande e sordido ammasso di libri che fieramente combattono la cattolica religione e con sì grande danno e rovina dell’anime girano attorno per le mani ancora delle persone non punto intendenti di tali materie, tu molto bene la pensi, se giudichi essere necessaria cosa che i cristiani siano grandemente animati alla lettura de’ Libri divini (si Christi fideles ad lectionem divinarum Literarum magnopere excitandos existimas); imperrocché quelli sono i copiosissimi fonti a’ quali debbe a ciascuno essere facile ed aperto l’accesso…». Queste parole, espresse con un linguaggio solenne e arcaico, appartengono al breve pontificio del 16 aprile 1778 a firma di papa Pio VI,1 con il quale veniva approvata la traduzione della Bibbia da parte di mons. Antonio Martini, la prima traduzione cattolica «moderna» in Italia (il Nuovo Testamento uscì nel 1771 e l’Antico Testamento nel 1781). Largo acce sso al la Scrit tura Tale Bibbia si distingueva per essere una traduzione fedele della Vulgata con una particolare attenzione alla lingua italiana, tale da farla annoverare tra i classici dell’Accademia della crusca. Certo dal breve di Pio VI fino alla recente revisione della Bibbia CEI è stata fatta tanta strada: se da un lato risulta un po’ curiosa la finalità «apologetica» che il breve attribuisce alla lettura della Bibbia in italiano, colpisce tuttavia la nitida affermazione che tali testi debbano essere accessibili a tutti (cuique, a ciascuno), nonché l’esortazione che i fedeli siano grandemente animati (magnopere excitandos) a tale lettura. La strada perché fosse riconosciuta la necessità che «i fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura» (Dei verbum, n. 22; EV 1/905) era comunque già segnata. Non è dunque per erudizione che abbiamo aperto il nostro contributo con la citazione di un documento così lontano e dal linguaggio certamente obsoleto: esso ci aiuta a capire come la Chiesa abbia sempre sentito, con sollecitudine materna, il dovere d’introdurre i fedeli a una conoscenza non solo generica della Scrittura. Tale conoscenza si è avvalsa di infinite mediazioni creative, cultura- 274 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 li, artistiche, e tuttavia rimane decisivo, di fronte a ogni restituzione della Scrittura in una lingua e in una cultura nuova, rendersi conto appunto della necessità che ha la Chiesa di ancorarsi saldamente al deposito delle Scritture nella loro lingua originale e insieme di tradurle, cioè di farle conoscere e amare in ogni generazione.2 Non è questo un atto solo di carattere intellettuale, è molto di più: una comunità cristiana che «traduce» è una comunità cristiana che vive, che celebra, che interpreta e che tramanda con atto di amore le parole che attestano in modo indefettibile come Dio «nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (Dei verbum, n. 2; EV 1/873) e come questa verità risplenda nel Cristo, nella sua vita e soprattutto nella sua passione, morte e risurrezione. La costituzione dogmatica Dei verbum del concilio Vaticano II descrive questa azione insieme teologica e pastorale: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei verbum, n. 21; EV 1/904). L’azione pastorale, fondata sull’atto di «tradurre» la Parola, è dunque volta a garantire in primo luogo una fruttuosa azione liturgica, in modo che i cristiani possano essere nutriti spiritualmente e insieme esprimere la loro fede-speranza-carità in un atteggiamento orante e adorante (cf. Sacrosanctum concilium, nn. 35-36). Come nota acutamente Carlo Ghidelli, si configura qui un atto di traditio-redditio: la Parola trasmessa alla comunità dei credenti è riconsegnata in una veste letteraria accessibile e insieme fedele. Appare così chiaramente che una traduzione è anche un atto di evangelizzazione. Il Verbo di Dio, che si è fatto carne (Gv 1,14), desidera incontrare ogni uomo, ogni persona, nella sua realtà concreta, nel suo modo di vivere e di pensare, per «indicargli la via della salvezza».3 Il Vangelo di Cristo convoca gli uomini perché come «uditori della Parola» possano ascoltarlo ciascuno nella propria lingua (cf. At 2,1-12; Lc 8,15; 11,28) e divenire così «facitori della Parola» (Gc 1,22) per poi trasformarsi in «servitori della Parola» (Lc 1,2).4 Questo itinerario che segna l’azione della grazia nel cuore dei credenti esprime anche la dimensione pedagogica della Chiesa, la quale, con vera azione mediatrice, educa i credenti a leggere e/o ascoltare la parola di Dio che suscita l’atto di fede e introduce al dono della salvezza, per esplicita volontà del Signore Gesù: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20). U n s al u t a re r i n n ova m e n to È in obbedienza a questo comando che la Chiesa si è lungo i secoli impegnata nel catecumenato, nella catechesi e nella mistagogia. L’atto catechistico può essere così visto e pensato come un prolungamento dell’azione di «tradizione/traduzione» della Parola: seme gettato perché la fede, sotto l’impulso della grazia, si sviluppi, cresca e fruttifichi nella santità. Richiamati anche se in modo succinto questi capisaldi teologico-pastorali, possiamo passare a una riflessione più pratica sui testi che la Chiesa ci consegna ora nella revisione della Bibbia CEI e nei nuovi lezionari liturgici. Chiunque si sia cimentato in una traduzione, sia che fosse una versione sui banchi di scuola, sia che fosse un manuale d’istruzioni per un sofisticato elettrodomestico, sa bene che si tratta di un’arte che ha bisogno d’intuizioni sottili e profonde, di una comprensione piena del testo e del suo contesto e di una conoscenza dei destinatari ai quali il testo va «tradotto», cioè «portato». Nessun calco, nessun gioco di mera e semplicistica sostituzione dei termini correda una buona traduzione. A questo va aggiunto che chi traduce deve darsi dei criteri ben misurati e codificati. Dice Carlo Buzzetti che «tradurre un testo scritto significa mutare la sua forma linguistica per prolungare la sua “esistenza”. Qui intendiamo la sua esistenza come il fatto che, primariamente, consiste nella sua capacità di comunicare dei messaggi»; insomma, un testo è ben tradotto quando è doppiamente fedele: alla sua fonte (fedeltà nella riproduzione) e ai suoi destinatari (fedeltà nella comunicazione).5 Ogni traduzione è quindi anche una scommessa per la comprensione; essa deve essere accolta non con l’occhio indagatore di chi deve a tutti i costi coglierne i limiti, ma con l’animo aperto e l’intelligenza lucida di chi sa valorizzare un dono ricevuto. Tanto più quando questo avviene in un contesto dove una data narrazione, un dato testo biblico era ormai stato assunto con un processo di memorizzazione (certamente salutare ai fini della riflessione credente), vuoi per la ripetuta lettura, vuoi per il reiterato ritorno nella catechesi o nella predicazione. Ci sono nell’attuale revisione della Bibbia CEI varie mutazioni anche in testi biblici molto conosciuti. Possiamo certo discutere il valore delle scelte di traduzione (ovviamente trattando con benevolenza coloro che le hanno attentamente proposte!), e tuttavia lo stacco, la differenza che si riproduce in noi nella lettura con parole diverse del medesimo brano ha già un fortissimo valore che ci obbliga a un approfondimento, che è anche una formidabile occasione di «ritorno» al messaggio del testo stesso. Facciamo un esempio, diremmo il più ampiamente conosciuto. Nell’annunciazione a Maria il saluto dell’angelo (Lc 1,28) è passato dal composto e un po’ sommesso «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» della CEI 1974 all’esultante «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» della CEI 2008. Il testo rivisto è certamente più vicino all’originale greco, che riecheggia tutta la gioia messianica che troviamo in alcuni profeti (ad esempio Sof 3,14). Ma anche al di là delle opportune considerazioni di carattere scritturistico, il semplice confronto che si produce nella mente del lettore/uditore apre la meditazione al tema della pienezza e della gioia insito in tutto il contesto del brano e insieme prepara il motivo del turbamento di Maria che troviamo al v. 29, dove rileviamo un altro importante mutamento. La lavanda dei piedi. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 275 tudio del mese S Mentre infatti la versione CEI 1974, «A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto», porta l’ascoltatore a considerare il turbamento di Maria come effetto della sorpresa, la revisione CEI 2008, «A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo», mostra Maria concentrata proprio sul senso del saluto stesso, costringendo il lettore/uditore a fare lo stesso con la conseguente apertura a orizzonti catechistici assai interessanti. Possiamo così considerare anche la domanda che pone Maria all’angelo (v. 34) dopo la rivelazione della sua chiamata a essere la madre di Gesù, Figlio dell’Altissimo. Nella CEI 1974 Maria dice: «Come è possibile? Non conosco uomo»; nella CEI 2008 viene recuperato il futuro del verbo essere in greco e la congiunzione greca «epei» (= poiché) che introduce una causa: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». È chiaro che qui Maria non esprime un dubbio sul fatto che «questo» avverrà opponendo una situazione biologica all’azione di Dio (così come aveva fatto Zaccaria al v. 18): Maria unicamente dichiara il suo stato verginale. Anche in questo caso, dal semplice confronto dei due versetti possono scaturire molte considerazioni di carattere catechistico. Tornare al le radici bibliche Abbiamo sopra accennato a «criteri»6 ben determinati che hanno mosso gli autori della revisione CEI. Qualche esempio ci aiuterà a comprendere la loro enunciazione. Il primo criterio appare quasi ovvio, è quello della fedeltà ai testi originali ebraici, aramaici e greci, tenendo conto anche del testo latino della Nova Vulgata. Questo criterio evita che una traduzione possa scivolare nella parafrasi o nell’interpretazione. Due piccoli passi, uno dell’AT e l’altro del NT, possono illuminare su come i revisori hanno agito. CEI 1974 CEI 2008 Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. 276 IL REGNO - AT T UA L I T À Nel Salmo 8 abbiamo la contemplazione di Dio creatore e, nel contempo, abbiamo anche una riflessione sulla creatura umana. Alla domanda (bellissima) che esprime la fragilità dell’uomo posta al v. 5, «Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?», la CEI 1974 proseguiva con questa traduzione (v. 6): «Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli». La traduzione era in consonanza con il testo greco dell’AT (la Bibbia detta «dei Settanta»), con la Vulgata e la Nova Vulgata latine. Ora la CEI 2008 recupera invece il testo ebraico che porta il termine «heloim» (= Signore, Dio) e traduce: «Davvero l’hai fatto poco meno di un dio» (si veda anche la breve nota al testo). Il senso è chiaramente diverso: l’ebraico, più ardito delle versioni greca e latina che temono confronti idolatrici, non ha paura di enunciare come nell’uomo sia impressa l’immagine di Dio. Anche in questo caso una traduzione più fedele apre lo spazio a una catechesi molto ampia sull’antropologia biblica e sulla dignità dell’uomo! In Mt 16,23 Pietro, dopo aver riconosciuto in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente, si scandalizza all’annuncio della passione rimproverando Gesù. Ma egli lo redarguisce chiamandolo Satana e dicendogli che è a lui di «scandalo», cioè d’inciampo. Nella CEI 1974 avevamo «Lungi da me, satana!», ora nella CEI 2008 abbiamo un più letterale «Va’ dietro a me, satana!». Non si tratta solo di considerare che, se Pietro sta «dietro» Gesù non può essere d’inciampo (non si frappone con la sua mentalità di successo umano al progetto di passione-morte-risurrezione): la prospettiva è quella di un Pietro che deve continuamente tornare a essere alla sequela di Gesù. Ancora una volta vediamo come possa scaturire da un semplice cambiamento una catechesi importante. Un secondo criterio che ha guidato i revisori è stato quello della bellezza. Ovviamente questo criterio è sottomesso al primo e tuttavia bisogna dire che in alcuni passi 8/2009 Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. lo sforzo di rendere il testo gradevole alla proclamazione e alla riflessione personale è stato premiato: si veda ad esempio l’inno alla carità di 1Corinzi 13, oppure l’esaltazione della nascita del re-messia in Isaia 9. Un terzo criterio è la chiarezza. Si tratta di un criterio importante, perché rende la Bibbia accostabile anche a una lettura personale. Chiarezza non significa appiattire il testo, ma renderlo comprensibile… anche nelle sue parti più difficili. Possiamo qui prendere a confronto la traduzione dell’inno cristologico di Filippesi 2,5-11. Mettiamo in sinossi le due versioni (cf. qui a fianco). I due testi hanno un andamento abbastanza diverso. Sotto il profilo poetico è forse un po’ più scorrevole il testo del 1974. Tuttavia questo inno presenta dei concetti veramente difficili che il testo CEI 2008 ha, a nostro avviso, cercato di chiarire con soluzioni non banali. Il primo riguarda il v. 6: per tradurre la parola greca morphe si è impiegato nel 1974 il concetto teologico di «natura», mentre nel 2008 si è impiegato un più neutro «condizione» (come al v. 7 dove ricorre lo stesso termine). La scelta è interessante in quanto aiuta a capire un’altra difficile parola del verso seguente. Il termine greco arpagmon, tradotto nel 1974 con un’espressione un po’ fantasiosa, «tesoro geloso», in realtà rimanda al diritto (del bottino di guerra). La traduzione del 2008 con «privilegio» contestualizza la scelta dell’incarnazione del Verbo: che dalla condizione di Dio è passato a quella di servo senza riservarsi alcun diritto. Al v. 7 il verbo ekenosen significa «svuotare» (CEI 2008). Forse «spogliò se stesso» (CEI 1974) può apparire più elegante, ma potendo essere inteso con una connotazione un po’ psicologica non rende l’idea paolina dello «svuotamento» totale di Dio fino alla morte di Gesù. Infine l’espressione in parte ambigua «apparso in forma umana» della CEI 1974 si muta nella CEI 2008 con «dall’aspetto riconosciuto come uomo», che è decisamente migliore. Abbiamo cercato di esemplificare con alcuni testi come le scelte della revisione della Bibbia CEI corrispondano a un’attenta ponderazione. Di fatto il testo si presenta come migliorato e con la possibilità di essere meglio usato nella liturgia, nell’annuncio, nella catechesi e nella formazione permanente. Del resto tutta la catechesi, secondo l’intenzione del progetto catechistico italiano, ha le sue radici nel testo biblico, per cui l’auspicio è che questa dimensione possa sempre di più crescere ora con un testo biblico più accuratamente tradotto. Guido Benzi* * Direttore dell’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana. 1 Traiamo la citazione dalla Bibbia Martini, Vallardi, Milano 1845, vol. I, 42. 2 Per una panoramica delle traduzioni in Italia si vedano i vari studi presenti nel testo CEI – UFFICIO LITURGICO NAZIONALE, La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana. Il Nuovo Testamento, a cura di C. Buzzetti e C. Ghidelli, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988. 3 C. GHIDELLI, «La nuova versione della Bibbia CEI. Caratteristiche e uso pastorale», in Quaderni della segreteria generale CEI 12(2008) 9, aprile 2008, 34-35. 4 Ivi. 5 C. BUZZETTI, «Un episodio condizionato. Le condizioni del tradurre», in La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana, 195. 6 Per i criteri si veda più ampiamente GHIDELLI, «La nuova versione della Bibbia CEI. Caratteristiche e uso pastorale», 36-38. La Rivelazione incarnata in un linguaggio Perché la Parola corra C on la pubblicazione dei tre volumi del Lezionario festivo nella nuova traduzione CEI, avvenuta per l’Avvento/Natale 2007, è iniziata una vera e propria «caccia all’errore», o meglio, alle espressioni discutibili o rese meno accessibili a chi vi si accosta di primo acchito. Al riguardo va subito segnalato che le riviste, soprattutto di carattere liturgico-pastorale, sono state subissate di lettere, per lo più di protesta, per i cambiamenti operati. Anche la veste grafica, con la discutibile inserzione delle immagini, totalmente inedite, perché commissionate ad hoc per i brani più importanti proclamati nella liturgia, non solo ha fatto discutere, ma ha anche trovato chi, armato di taglierino, ha pensato bene di ripulire alla radice il testo, per una maggiore facilità di utilizzo.1 Come sempre in ambito pastorale, una verace ermeneutica non è mai scevra dalla segnalazione di errori o altro. Tuttavia bisogna pure riconoscere un iter di revisione inconfutabile, in quanto, tra l’altro, documentato passo passo. Lo delinea in uno studio sintetico, ma chiaro, mons. Giuseppe Betori, attuale arcivescovo di Firenze, già segretario generale della Conferenza episcopale italiana, che ha seguito in toto simile revisione.2 Il punto di partenza è stato determinato dalla pubblicazione della Nova Vulgata, promulgata nel 1986 e dichiarata typica, cioè di riferimento specie per l’uso liturgico. Già questo fatto si presenta totalmente nuovo, rispetto alla precedente traduzione invalsa dal 19711974, in quanto allora ci si era limitati a un «ammodernamento» della versione di E. Galbiati, A. Penna e P. Rossano.3 Appena la Nova Vulgata venne pubblicata, la Presidenza CEI, nel maggio 1988, costituì un gruppo di lavoro per provvedere a una revisione della traduzione italiana, alla luce del testo della Nova Vulgata «editio altera» e, con l’occasione, per migliorarne la qualità. Il gruppo di lavoro era composto da biblisti, liturgisti, italianisti e musicisti, e ha operato per 12 anni, se- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 277 tudio del mese S Mosè affidato alle acque. condo i criteri dati dal Consiglio episcopale permanente, successivamente precisati in varie fasi di consultazione. Allo scopo vanno segnalate due prospettive ritenute irrinunciabili, al fine di un’onesta valutazione di tale «impresa»: – i criteri ben precisi, a cui ci si è attenuti, così riassumibili: «La traduzione esistente è stata rivista in base ai testi originali (ebraici, aramaici e greci), secondo le migliori edizioni critiche oggi disponibili, dalle quali è stata tradotta anche la Nova Vulgata, e secondo i principi classici della critica testuale e dell’esegesi. Nei casi di lezioni testuali dubbie o discusse, ci si è riferiti in primo luogo alla versione dei Settanta, per l’Antico Testamento, e poi alla Vulgata, tenendo conto delle scelte compiute dalla Nova Vulgata.4 – L’apporto degli specialisti coinvolti (davvero molti, indicati per nome e cognome!) e di tutti i vescovi: «Alla consultazione hanno risposto 218 dei 249 vescovi aventi diritto. Il testo presentato ha ricevuto un larghissimo consenso… Sono stati proposti 1.321 emendamenti formali e circa un migliaio di osservazioni, finalizzate al miglioramento del testo. Tutti gli emendamenti e i suggerimenti sono stati presi in esame dagli esperti… La traduzione è stata inviata a tutti i membri della CEI che, dopo un esame personale, l’hanno approvata nel corso della 49ª Assemblea generale, il 23 maggio 2002. Il consenso è stato pressoché unanime: 202 dei 203 votanti hanno approvato il testo proposto».5 Tenendo conto, inoltre, che nel corso del cammino non sono mancati anche apporti di carattere ecumenico e interreligioso, si può senza dubbio affermare che il lavoro complessivo è stato encomiabile e rientra in quei «fenomeni» ecclesiali davvero rilevanti, se non altro a livello metodologico. 278 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 Spiace constatare che, non conoscendo simile gestazione, molti, soprattutto tra il clero e gli studiosi (che magari hanno pure collaborato in prima persona…), hanno sparato a zero sul «prodotto finito», liquidando il tutto con la glaciale osservazione: «La montagna ha partorito un topolino!». Si può concordare, certo, che non si è di fronte a una traduzione «rivoluzionaria» dal versante semantico. Tuttavia, al di là del risultato concreto, l’evento – se così si può chiamare – merita indubbiamente qualche precisazione e approfondimento. Una modalità d’incarnazione La Dei verbum prospetta uno stretto legame tra incarnazione e traduzione, proprio riguardo alla parola/parole divine: «Nella sacra Scrittura – si legge – restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta l’ammirabile condiscendenza della eterna sapienza, affinché apprendiamo l’ineffabile benignità di Dio e quanto egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra natura, abbia contemperato il suo parlare. Le parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si fece simile agli uomini» (n. 13; EV 1/894). Al di là delle difficoltà linguistiche, che non permetteranno mai di giungere a una traduzione perfetta, va apprezzata primariamente la volontà divina di comunicare nell’idioma proprio degli uomini, per la loro edificazione. Preoccupazione che già l’apostolo Paolo esplicitava: «Anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l’edificazione della comunità. Perciò chi parla con il dono delle lingue, preghi di saperle interpretare. Quando infatti prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma Apocalisse, adorazione di Dio. la mia intelligenza rimane senza frutto. Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l’intelligenza» (1Cor 14,12-15). Affrontando l’onerosa impresa della traduzione, la Chiesa, nella fattispecie quella italiana, riconosce ogni volta la necessità della condiscendenza divina nello Spirito, perché il messaggio divino venga accolto e fatto proprio. Infatti, «tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Tm 3,16-17). Questo si attua anzitutto con l’indispensabile azione dello Spirito.6 Allora il testo scritto viene scoperto come interlocutore vitale, così com’è nell’incarnazione, che rivela i suoi misteri nascosti pudicamente, per sottintesi ed accenni, come uno che lascia intravedere il suo volto da dietro un velo: «La parola scritta è questo velo. E se era necessario che lo scrittore in-formasse o con-formasse il più possibile il velo delle sue parole al contenuto delle verità che lo Spirito attraverso di lui intendeva proporre, altrettanto necessaria si dimostra l’analisi puntigliosa ed esperta di ogni minima ombra o piegatura del velo – e perciò della littera –, per incontrare il mistero di quella verità che dietro, e in qualche modo dentro, si nasconde. A questo punto però l’esegeta constata l’emergere di una situazione sorprendente: il testo, compulsato con la massima puntigliosità e precisione, lascia partire da sé degli sprazzi di luce della verità, luce che, illuminando il lettore, ritorna come un riflesso sopra il testo stesso provocando altri sprazzi di luce via via più ampi e luminosi in un circolo di rivelazione reciproca, che non termina mai».7 Come già la tradizione antica prospettava, la Scrittura cresce con il suo lettore, cioè con il suo destinata- rio, in quanto la Bibbia è fatta per essere ascoltata: l’ascolto è parte integrante del progetto salvifico di Dio, che intende interpellare l’uomo, per aprirlo alla fede. È evidente che quanto più questa sollecitazione, attraverso il testo scritto, è comprensibile e pungolante, tanto più s’instaura la dinamica salvifica: «Per diventare parola di Dio, la Scrittura deve trovare il lettore, l’ascoltatore, che risponda e corrisponda all’intento della stessa Parola, deve trovare il credente che celebra gli eventi salvifici narrati dalla Bibbia e prega il Dio di quegli eventi. La fede, dunque, pone il lettore nella condizione di far crescere la Scrittura che si vede, in modo da scorgere quella Parola che non si vede, e non esaurisce mai la propria carica di novità. La fede, poi, implica l’inserimento nella storia di salvezza, la memoria e l’anticipazione del Cristo pasquale e del Cristo glorioso; più precisamente, la fede implica il contesto della propria crescita e piena affermazione come memoria e come anticipazione, come lode e invocazione, implica, cioè, la celebrazione liturgica. Il legame tra Bibbia e liturgia appare dunque evidente: la Scrittura cresce soprattutto nel culto con il quale la comunità credente celebra il mistero della salvezza».8 Tant’è che, come si afferma nella premessa al Messale attuale, «quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua Parola, annunzia il Vangelo. Per questo tutti devono ascoltare con venerazione le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della liturgia».9 Perciò le parole di Dio devono diventare simili al linguaggio degli uomini. In questo consiste essenzialmente l’opera della traduzione, che permane aperta e sempre suscettibile di trasformazione, perché «scenda» a qualsiasi debolezza umana e la elevi, con l’azione interiore dello Spirito. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 279 tudio del mese S Si tenta così di superare, soprattutto nella liturgia, a cui la traduzione italiana è indirizzata, l’impasse descritto da Isaia: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere dicendogli: “Per favore, leggilo”, ma quegli risponde: “Non posso, perché è sigillato”. Oppure si dà il libro a chi non sa leggere dicendogli: “Per favore, leggilo”, ma quegli risponde: “Non so leggere”» (Is 29,11-12). La traduzione è per la comunicazione Un’altra esigenza fondamentale, che la traduzione del testo biblico cerca di assecondare, è quella di porsi in relazione con gli uditori. È una preoccupazione, anche questa, già manifestata dall’apostolo Paolo: «Se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlereste al vento! Chissà quante varietà di lingue vi sono nel mondo e nulla è senza un proprio linguaggio. Ma se non ne conosco il senso, per colui che mi parla sono uno straniero, e chi mi parla è uno straniero per me. (...) Altrimenti, se tu dai lode a Dio soltanto con lo spirito, in che modo colui che sta fra i non iniziati potrebbe dire l’amen al tuo ringraziamento, dal momento che non capisce quello che dici? Tu, certo, fai un bel ringraziamento, ma l’altro non viene edificato. Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue più di tutti voi; ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue» (1Cor 14,9-11.16-19). Istanza che è stata ben presente in quel poderoso opus, rappresentato dall’attuale revisione della Bibbia, e tutto da verificare nella prassi, soprattutto liturgica: «L’opera ora realizzata si presenta maggiormente fedele ai testi originali e più organica. Come ogni traduzione, non è certo immune da difetti, che l’uso farà emergere e che potranno portare a ulteriori miglioramenti, ma vuole proporsi come riferimento sufficientemente stabile per l’uso liturgico e spirituale, così da alimentare la crescita del linguaggio religioso cristiano a partire dalle sue irrinunciabili radici bibliche. Si è infatti cercato di far risplendere il contenuto della Bibbia nelle modalità proprie del nostro linguaggio e parimenti di esprimere le potenzialità della Bibbia nel plasmare il linguaggio, anche quello del nostro tempo».10 Lo comprova un piccolo particolare, in un brano assai noto, perché domina una liturgia largamente partecipata, com’è quella della notte di Natale. Invece dell’ambiguo: «Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno nella propria città» (Lc 2,3), ora si ha il verbo censire, che esprime più appropriatamente l’atto giuridico di Maria e Giuseppe.11 Così anche nel celebre racconto dell’annunciazione, la risposta di Maria: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38) è molto più pregnante della precedente traduzione («Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto»).12 È chiaro: insieme a queste annotazioni in positivo se ne potrebbero elencare altre di segno contrario. Ma ciò 280 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 fa parte di un tentativo, com’è una traduzione, per rendere accessibile al meglio un testo, nel rispetto della sua fedeltà originale e organica. Senza dubbio ogni nuova traduzione tiene conto dell’evoluzione della lingua parlata, come l’italiano, e ne supera certe evoluzioni semantiche, per ricuperare la bellezza e la scorrevolezza del periodare.13 Lo scopo di una «ricomprensione» del testo in chiave comunicativa, oltre che mirare a una più corretta formulazione contenutistica, tende soprattutto a «introdurre tutto il popolo di Dio alla ricchezza inesauribile di verità e di vita della sacra Scrittura».14 Anche l’attuale «operazione» aiuta, ancora a livello di tentativo, quell’approccio alla Bibbia, soprattutto nella liturgia, che è andato crescendo in questi anni: «È facile riscontrare, non solo nelle comunità di vita consacrata, ma anche in molti fedeli laici, nelle parrocchie come nelle varie aggregazioni, un genuino amore per la sacra Scrittura, compresa come parola di Dio. Si assiste all’iniziazione di molti al libro sacro, tramite una rete diffusa di vie formative, con un’evidente crescita culturale, spirituale e pastorale. Molti praticano la lectio divina o altre forme a essa analoghe, quali le “scuole della Parola” e le esperienze di preghiera incentrate sulla Scrittura, con peculiare e significativa partecipazione di giovani. Uno spazio specifico e ampio viene assicurato alla sacra Scrittura nello studio della teologia, nei cammini formativi della catechesi e nell’insegnamento religioso nella scuola».15 Con conseguenze facilmente constatabili: «Possiamo registrare tre fondamentali segni del promettente risveglio biblico tra noi: un rinnovamento radicale e interiore della fede, attinta alla sorgente della parola di Dio; la cosciente affermazione e assunzione del primato della parola di Dio nella vita e missione della Chiesa; la promozione di un più sollecito cammino ecumenico sostenuto dalle Scritture».16 Tutto ciò, in ambito liturgico, ha avuto e ha come riscontro immediato l’actuosa participatio che, nel momento della liturgia della Parola, si riassume nell’essere formati (Fideles «verbo Dei instituantur»: Sacrosanctum concilium, n. 48; EV 1/84), mediante un andamento dinamico ben preciso: quello del dialogo, così riassunto: «Nelle letture Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua Parola, tra i fedeli. Il popolo fa propria questa Parola divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero».17 Si raggiunge maggiormente tale assimilazione (fare propria la Parola) quanto più ci si imbatte in una buona traduzione, supportata da adeguati sussidi.18 Tutto ciò stimolerà qualsiasi persona, che si pone a servizio della Parola, a esprimere la propria creatività, in aderenza alle situazioni concrete: «Pertanto questo libro viene incontro ai suoi lettori non solo nelle pagine che materialmente lo compongono, ma anche con la storia viva del popolo di Dio che nella sua dottrina, nella vita liturgica e nel- la testimonianza di santità ha costruito e continua a costruire la manifestazione storica della sua verità e quindi l’orizzonte in cui leggerlo e proclamarlo, offrendone un’interpretazione sicura, in cui collocare l’appropriazione delle singole persone e comunità».19 Sono le situazioni concrete, allora, che creano quel circolo salvifico attuato ogni volta dalla celebrazione. Difatti, raggiunti dalla Parola che trasforma mediante un linguaggio chiaro e accessibile al loro hodie, i credenti si sentono responsabilizzati a collaborare all’opera divina con la loro risposta, confortata dall’aiuto dello Spirito. La sua presenza «è lì a ricordarci costantemente come soltanto lasciandoci conformare a Cristo, fino ad assumere il suo stesso sentire (cf. Fil 2,5), potremo predicare Gesù Cristo e non noi stessi. L’evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile del Signore Gesù, il primo e più grande evangelizzatore».20 Nella fedeltà a Dio e agli uomini La preoccupazione costante, che percorre le molteplici modalità di traduzione, è senza dubbio la fedeltà. Anzitutto a Dio: «Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per vedere bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole» (Dei verbum, n. 12; EV 1/891). Ciò non pregiudica affatto la fedeltà agli uomini, ai quali, come si è ribadito, la Parola è rivolta, partendo dall’incarnazione del Figlio di Dio come viene contemplata dalla Lettera agli Ebrei (cf. Eb 1,1-2). E sta proprio in questa differente modalità di parola (multifariam multisque modis) la chiave interpretativa della traduzione biblica. Infatti, «una traduzione è sempre qualcosa di più di una semplice trascrizione del testo originale. Il passaggio da una lingua a un’altra comporta necessariamente un cambiamento di contesto culturale: i concetti non sono identici e la portata dei simboli è differente, perché mettono in rapporto con altre tradizioni e altri modi di vivere».21 Ciò che renderà sempre più valida quest’ultima traduzione della Bibbia, per lo meno come tappa nell’infinita corsa della Parola (cf. 2Ts 3,1), è appunto il rapportarsi esplicito, ancora nel tentativo, con i modi di sentire, di pensare, di vivere e di esprimersi nella cultura locale. In altre parole, ora la Parola che «passa» nei vari ambienti e nelle varie situazioni del vivere ecclesiale e sociale è questa, di questa traduzione/inculturazione. Perciò, come insegna il Vaticano II, i cristiani devono discernere «quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ma nello stesso tempo devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo, di liberarle e di riferirle al dominio di Dio salvatore» (Ad gentes, n. 11; EV 1/1112). La traduzione, nelle sue peculiarità che man mano si scoprono nelle situazioni di vita, là dove si proclama, si legge, si medita, dovrebbe favorire quello scambio culturale, che porta alla reciproca fecondazione tra Parola e culture. Per onestà va osservato che non si tratta di una rivoluzione copernicana, alla luce di ciò che si è finora sperimentato nella liturgia. Tuttavia questo procedimento manifesta concretamente quello che ora, oggi, si è potuto fare, nella continuità della tradizione biblica. Quello che lo Spirito ha suggerito, perché la piena fedeltà alla persona di Cristo trovasse concreta esplicitazione, senza sbavature né facili sincretismi. Come in altre circostanze, permane essenziale l’apporto dell’apostolato biblico e di tutti coloro che, nella Chiesa articolata nelle sue varie espressioni (gruppi, movimenti, iniziative formative…), mettono al primo posto la lettura e la meditazione della Bibbia in un’ottica di fede e d’impegno cristiano. Per la verità bisogna pure osservare che le editrici e le varie riviste, a partire dalla pubblicazione dei volumi del Lezionario, hanno investito molto in questo settore. Non si citano particolari iniziative editoriali semplicemente per evitare il pur minimo cedimento pubblicitario: ma sono sotto gli occhi di tutti, a vari livelli. Il triplice obiettivo che ci si è proposto in simile settore è quello da sempre in auge: conoscere la Bibbia, costruire la comunità e servire il popolo. Davvero anche a questo riguardo «l’aiuto degli esegeti (e si può dire che la gran parte stia fornendo la sua collaborazione) è utile per evitare attualizzazioni poco fondate. Ma è motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da gente umile e povera, che può fornire alla sua interpretazione e alla sua attualizzazione una luce più penetrante, dal punto di vista spirituale ed esistenziale, di quella che viene da una scienza sicura di se stessa».22 Non va neppure sottaciuto che «entro questo orizzonte si aprono opportunamente possibilità di dialogo e di collaborazione con gli altri cristiani e anche con quanti, credenti e non credenti, a scopo di cultura, promuovono la conoscenza e l’amore alla Bibbia».23 In conclusione, soltanto l’utilizzo di un testo tradotto, nella continuità dell’impegno di approfondimento mediante la lectio e l’oratio24 e la sua proclamazione nella liturgia, porterà gradualmente a discernere sia le potenzialità nuove che si sono offerte, sia gli innegabili limiti, tanto nella traduzione quanto nel suo uso liturgico.25 D’altronde ogni traduzione da una parte «costituisce solo un inizio di interpretazione, e anche questa traduzione della Bibbia non sfugge a tale sorte. Dalla riscrittura del testo nelle parole comprensibili della lingua della gente l’interpretazione prende le mosse per compiere il cammino di esplicitazione della ricchezza dei suoi significati». Dall’altra, «è accompagnata dall’auspicio che il frutto di un tanto lungo e complesso lavoro costituisca per le nostre comunità un testo più sicuro, più coerente, più comunicativo, più adatto alla proclamazione».26 Tale constatazione e tale auspicio possono tanto più rassodarsi quanto più ci si pone nell’atteggiamento irrinunciabile, che la tradizione patristica prospettava, e cioè la diuturna frequentazione del testo ad ampio spet- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 281 tudio del mese S tro, così enucleata da sant’Isidoro di Siviglia: «Quanto più si è assidui nel leggere la Scrittura, tanto più ricca è l’intelligenza che se ne ha, come avviene per la terra che, quanto più si coltiva, tanto più produce. Vi sono alcuni che hanno una buona intelligenza, ma trascurano la lettura dei testi sacri, sicché con la loro negligenza dimostrano di disprezzare quello che potrebbero imparare con la lettura. Altri invece avrebbero desiderio di sapere, ma sono impediti dalla loro impreparazione. Questi però con un’intelligente e assidua lettura riescono a sapere ciò che ignorano altri più intelligenti, ma pigri e indifferenti. Ma se la dottrina non è sostenuta dalla grazia, non giunge sino al cuore, anche se entra nelle orecchie. Fa strepito al di fuori, ma nulla giova alla nostra anima. Allora soltanto la parola di Dio scende dalle orecchie al fondo del cuore, quando interviene la grazia, opera intimamente e porta alla comprensione».27 Gianni Cavagnoli 1 Cf. Vita pastorale 97(2009) 3, 14. Cf. G. BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», in Rivista liturgica 96(2009) 1, 131-137. Soltanto l’elenco di chi ha collaborato a questa ponderosa opera mette in risalto come vi abbia posto mano il fior fiore dei biblisti italiani. 3 Così viene descritta simile operazione: «Fu deciso di non preparare una nuova traduzione, ma di assumere quella, da poco pubblicata, dovuta all’opera di Enrico Galbiati, Angelo Penna e Piero Rossano, revisionandola secondo criteri di “esattezza nel rendere il testo originale; precisione teologica, nell’ambito della stessa Scrittura; modernità e bellezza della lingua italiana; eufonia della frase, in modo da favorirne la proclamazione; cura del ritmo, con conseguente possibilità di musicarne i testi (specie i Salmi), di cantarli, di recitarli coralmente”. Il lavoro, approvato dall’8ª Assemblea generale della CEI (14-19.6.1971), ebbe una prima edizione nel dicembre 1971 e una seconda, che includeva le correzioni richieste dalla Santa Sede per alcuni testi utilizzati nella liturgia, nell’aprile 1974. Quella che venne subito chiamata Bibbia CEI costituisce indubbiamente una buona traduzione, premiata da una larga diffusione e dal generale consenso. Essa ha nutrito egregiamente in questi anni la vita liturgica delle nostre comunità, diventando il testo di riferimento primario per ogni ambito – spirituale, pastorale, teologico – della vita cristiana, personale e comunitaria» (BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», 132). 4 Vi si aggiungano gli altri criteri, non meno importanti: «I libri e le pericopi da tradurre, in quanto facenti parte del canone biblico della Chiesa cattolica, sono stati individuati in conformità alla Nova Vulgata e, in genere, alla tradizione liturgica occidentale; inesattezze, incoerenze ed errori della traduzione del 1971-1974 sono stati corretti seguendo scelte condivise tra gli esegeti e avendo come riferimento, nei casi dubbi, la Nova Vulgata; si è cercato di ricuperare un’aderenza maggiore al tono e allo stile delle lingue originali, orientandosi verso una traduzione più letterale, senza compromettere tuttavia l’intelligibilità del testo fin dal momento della lettura o dell’ascolto; particolare attenzione è stata riservata alla corrispondenza dei testi sinottici, alla varietà degli stili e dei generi letterari nei diversi libri della Scrittura, cercando al contempo uniformità e continuità del vocabolario; ci si è preoccupati di rendere il testo in buona lingua italiana, con modalità espressive d’immediata comprensione e comunicative in rapporto al contesto culturale odierno, evitando forme arcaiche del lessico e della sintassi; si è curato il ritmo delle frasi, per rendere il testo rispondente alle esigenze della proclamazione liturgica e, dove occorra, adatto a essere musicato per il canto» (BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», 133-134). 5 BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», 135. 6 Non per nulla «sotto la sua ispirazione e con il suo aiuto la parola di Dio diventa fondamento dell’azione liturgica e norma e sostegno di tutta la vita. L’azione dello Spirito Santo non solo previene, accompagna ed estende l’azione liturgica, ma a ciascuno suggerisce in cuore ciò che nella proclamazione della parola di Dio viene detto per l’intera assemblea dei fedeli, e mentre rinsalda l’unità di tutti, favori2 282 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 sce anche la diversità dei carismi e ne valorizza il molteplice impegno» (CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Ordinamento delle letture della messa, 21.1.1981, n. 9; EV 7/1009). 7 I. GARGANO, «“Scriptura cum legente crescit”. Dal testo scritto al momento celebrativo», in R. CECOLIN (a cura di), Dall’esegesi all’ermeneutica attraverso la celebrazione. Bibbia e liturgia – I, «Caro salutis cardo. Contributi» 6, Messaggero – Abbazia di Santa Giustina, Padova 1991, 164-165. 8 G. BONACCORSO, Celebrare la salvezza. Lineamenti di liturgia, «Caro salutis cardo. Sussidi» 6, Messaggero – Abbazia di Santa Giustina 22003, 88. 9 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Ordinamento generale del Messale romano, n. 29, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2004, 20; Regno-doc. 15,2004,494. 10 BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», 137. 11 «Farsi registrare», infatti, soprattutto nel gergo popolare, può alludere alla possibilità di riabilitarsi da parte di chi è scriteriato, perché ha «perso»… il cervello! 12 Chiosa un esperto in materia: «La nuova traduzione è più attenta alle sfumature e, più correttamente, rende con “Ecco la serva del Signore”, mostrando così come la risposta di Maria si collochi nella storia, accettando quella precisa e singolare richiesta divina. Non si limita a dire semplicemente che lei è a disposizione di Dio (sempre), ma che aderisce a questa concreta richiesta del Signore» (P. ROTA SCALABRINI, «Immacolata concezione di Maria», in Servizio della Parola 40[2008] 403, 105). Anche la nuova traduzione di un’affermazione dell’altrettanto celebre prologo di Giovanni: «…e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5), invece che accolta, trova piena rispondenza nel commentario di R. FABRIS, Giovanni, Borla, Roma 1992, 147. 13 Ad esempio, la vera crux dei lettori, nella liturgia dell’Ascensione del Signore, rappresentata dall’invito dei due uomini in bianche vesti («Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo…»: At 1,11), ora trova migliore formulazione: «Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto…». 14 CEI - COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI, nota pastorale La Bibbia nella vita della Chiesa, 18.11.1995, n. 4; ECEI 5/2908. 15 Ivi, n. 8; ECEI 5/2913. 16 Ivi, n. 9; ECEI 5/2915. 17 Ordinamento generale del Messale romano, n. 55, p. 27; Regnodoc. 15,2004,496. 18 Basti citare: «Itinerari biblici per le diverse età e occasioni; guide per la lettura programmata della Bibbia, magari con riferimento al lezionario liturgico; raccolte di passi biblici scelti, per la scuola e la catechesi dei piccoli; commenti biblici alla liturgia della Parola; strumenti per gruppi o circoli biblici; riviste divulgative e fascicoli facilmente accessibili per la conoscenza della Bibbia e del suo messaggio» (La Bibbia nella vita della Chiesa, n. 38; ECEI 5/2954). 19 BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», 137. 20 EPISCOPATO ITALIANO, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000, 29.6.2001, n. 33; ECEI 7/185. 21 PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 21.9.1993, IV/B; EV 13/3113. 22 Ivi, IV/C 3; EV 13/3138. 23 La Bibbia nella vita della Chiesa, n. 41; ECEI 5/2957. 24 A titolo esemplificativo va segnalata l’iniziativa dell’Abbazia di S. Maria in Finalpia (SV), che ha edito in proprio un volume, in cui si pongono a confronto tutte le varianti intervenute nel Salterio. 25 Ad esempio, sono davvero piovute molteplici riserve sia circa i ritornelli, ritoccati o creati ex novo per il salmo responsoriale, sia circa la cantabilità degli stessi testi salmici. 26 BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», 137. 27 ISIDORO DI SIVIGLIA, Sententiae III, 9, 2.5; 10, 1-2: CCL 111, 231-233. Le xilografie che illustrano lo studio del mese sono riprese dalla nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme (EDB, Bologna 2009), e sono tratte dalla Biblia sacra vulgatae, Editionis sixti quinti. Pont. Max. iussu recognitio atque edita – Venetiis 1625 apud Iuntas. L’illustrazione a p. 268 rappresenta un particolare della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Giosuè, processione con l’arca intorno alle mura di Gerico. B i b b i a e a r te Le xilografie della Bibbia di Gerusalemme L e xilografie collocate in apertura ai singoli libri della nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme, riprodotte da una Bibbia del 1606 stampata apud Iuntas a Venezia (e precisamente dalla terza edizione di questa, del 1625), stanno a evocare l’antichità della tradizione d’iconografia biblica nel cristianesimo occidentale. Dalle scene d’ispirazione vetero- e neotestamentaria dipinte nelle catacombe alle miniature dei codici medievali, la fonte principale dell’arte sacra europea infatti è stata la Bibbia, e ancora biblici sono i programmi di alcuni tra i massimi capolavori rinascimentali: i rilievi della Porta del paradiso ghibertiana, gli affreschi di Michelangelo per la volta della Sistina e quelli di Raffaello per le logge bramantesche in Vaticano. Con l’avvento del libro stampato, nel secondo Quattrocento questa gloriosa tradizione, «adeguata» al nuovo mezzo tecnico, viene riproposta: si pensi, ad esempio, al corredo di xilografie della Bibbia in lingua volgare edita nel 1471 da Niccolò Malermi, sempre a Venezia. L’intenzione non è solo o principalmente quella di abbellire, bensì di aprire una finestra contemplativa, invitando il lettore a meditare il fascino di un personaggio o evento del relativo libro, secondo la logica articolata da sant’Agostino già nel V secolo. Parlando della vita interiore dei credenti, il vescovo d’Ippona affermava che l’anima, «condotta a segni materiali delle realtà spirituali, e da questi poi verso le cose che i segni rappresentano (…) si rafforza nell’atto stesso di passare dagli uni alle altre (…) come la fiamma di una fiaccola che, muovendosi, arde sempre più intensamente» (Epistola 55,11 e 21). Nel caso delle xilografie riprodotte nella nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme, frutto di una collaborazione tra due anonimi disegnatori di cultura tardo- manieristica e almeno tre incisori, le immagini servono a dilatare un episodio o personaggio del relativo testo, evocandone la valenza poetica. Così la raffigurazione che apre il libro del Levitico non si sofferma sui dettagli delle norme rituali riportate nel testo, ma riassume l’intero codice con un’immagine del colloquio tra l’Altissimo e Mosè sul monte, situando le «regole» all’interno dell’intenso rapporto personale tra Dio e l’uomo da lui scelto per condurre Israele verso la terra promessa. Similmente, la xilografia che apre il libro della Sapienza insiste sull’accorata preghiera del giovane re Salomone davanti all’Altissimo, suggerendo ancora il rapporto personale con Dio come chiave ermeneutica fondamentale. Gli anonimi illustratori sanno anche scendere nei dettagli, come suggerisce la xilografia in apertura al libro di Giosuè: una complessa composizione di figure in movimento su uno sfondo architettonico a illustrazione della processione dei leviti portanti l’arca intorno alle mura di Gerico. Sanno anche abbinare più episodi di un unico racconto – come nella regina Ester che implora misericordia per il suo popolo dal re suo marito, mentre in secondo piano vediamo la folla impiccare Aman – e sanno creare un senso di continuità temporale, come nell’immagine del buon samaritano che apre il Vangelo di Luca, dove in secondo piano, a sinistra, vediamo allontanarsi il levita e lo scriba, mentre in primo piano a destra il samaritano versa l’olio della compassione sulle ferite del sofferente che, nudo e appoggiato al tronco di un albero, allude visivamente a Cristo. A prescindere dall’interesse artistico delle xilografie, la scelta editoriale d’includere queste immagini d’altri tempi in una nuova edizione della Bibbia va colto soprattutto in termini ecclesiali: i testi biblici, stilati all’interno di una tradizione comunitaria, devono essere letti infatti alla luce della tradizione. Così all’inizio del terzo millennio, le stampe rinascimentali qui riprodotte (che incorporano elementi di tradizioni iconografiche ancora più antiche) ci ricordano che altri prima di noi hanno cercato Dio nelle pagine della Bibbia, trovando nella bellezza della sua Parola gioia, pace e salvezza. Timothy Verdon* * Direttore dell’Ufficio per la catechesi attraverso l’arte, Firenze; docente di Storia dell’arte presso la Stanford University e la Facoltà teologica dell’Italia centrale. Il contributo è pubblicato a introduzione nella nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 2009. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 283 p p arole delle religioni La silente voce dei fiori La gratuità come bellezza la stagione dei fiori. La loro bellezza sta nello sbocciare, verbo divenuto così pregnante da indicare il dischiudersi stesso di ogni vita. Per quanto si sappia che i petali si allargheranno, risplenderanno, si aggrinziranno fino al loro inesorabile appassire, a primavera il boccio che occhieggia è colto dallo sguardo come un tutto, come un segno di speranza posto sotto l’ala della gratuità. Parole evangeliche ci dicono di osservare i gigli del campo che non tessono e non filano. Al loro confronto persino lo splendore di Salomone è poca cosa. Eppure si sa che è bellezza breve che oggi si schiude e domani è gettata nel forno (cf. Mt 6,28-30). Gesù nel suo paragone esorta a guardare l’erba del campo, non un fiore di albero da frutto. L’interezza dello sbocciare è racchiusa in un frammento che esprime un tutto pur non essendo un assoluto. Per cogliere la bellezza dell’effimero splendore primaverile non bisogna porre mente (come vorrebbe Hegel) al fatto che il frutto subentri al fiore come sua verità dichiarando falsa la precedente forma assunta dalla pianta. Occorre piuttosto rendere lucida e gratuita la nostra pupilla e cogliere il pegno di felicità racchiuso nella rosa che è senza perché, che fiorisce perché fiorisce (Angelo Silesio). Si è chiamati per un istante a liberarsi dall’egemonia dell’utile, dall’incalzante pressione dello sviluppo, per fissarsi in quanto ora sta schiudendosi e che presto declinerà senza lasciare dopo di sé una realtà più vera. Il fiore è natura. In questa veste è classificabile come ogni altra realtà. Scrutato con queste lenti è leggibile anche in modo evolutivo. Lunghe furono le dispute attorno alle orchidee; o, con più rigore scientifico, molto si discusse della ophrys apifera, il fiore «ingannatore» che «imita» la forma dell’ape. Per interpretarlo alcuni si sentivano obbligati a ricorrere a una teleologia vitalistica finalizzata all’impollinazione; altri, di contro, tenevano salda la convinzione stando alla quale, per spiegare la maschera da insetto indossata dal fiore, non fosse necessario introdurre nel meccanismo evolutivo alcuna variante finalistica. Per entrambi gli schieramenti restava egemone l’impulso a riprodursi. Osservati È 284 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 con lo sguardo rivolto al Creatore, utilità, caso e necessità possono, invece, essere racchiusi in una momentanea parentesi. La gratuità come puro esserci Quando lo sguardo accarezza un fiore, il pensiero può spingersi lontano verso le innumerabili, colorite distese che nessun occhio umano, neppure in questo mondo fattosi sempre più densamente popolato, coglie. Là, quando nessuno osserva, il senso della gratuità diviene ancora più elevato. Lo è a causa del suo puro esserci, a cui si accompagna il bisogno del credente di riferirlo allo sguardo di Dio. A Quello domanda, o sdegnoso, perché sull’inospite piagge; all’alito d’aure selvagge, fa sorgere il tremulo fior, che spiega dinanzi a Lui solo la pompa del candido velo, che spande ai deserti del cielo gli olezzi del calice, e muor. (A. MANZONI, Ognissanti. Frammenti). I gigli del campo del Vangelo non sono simboli, in quanto la loro forma o il loro splendore alludano ad altro. Essi rappresentano invece il segno di una cura divina che, per quanto nulla sottragga alla fragilità, si presenta ugualmente più radicale di ogni bellezza costruita dall’operatività umana. Sono molte le culture nelle quali il calice del fiore, nel suo essere concavo e ricettore, si presenta come segno di mite accoglienza, di passività che attende l’azione che scende dall’alto attraverso la pioggia, la rugiada, il polline. Accanto alla gratuità appare perciò traccia della mitezza. La simbologia orientale In nessun’altra cultura la simbologia dei fiori ha probabilmente raggiunto l’ampiezza di orizzonte propria dell’Oriente. Ciò ha luogo in modo particolarmente articolato quando interviene l’azione umana che collega il fiore a un contesto di segni. In ciò l’arte dell’ikebana non trova rivali. La costruzione di codici simbolici rende la disposizione dei fiori un linguaggio. Si parte considerando il fiore modello di un’arte spontanea, priva di artifici e perfetta, emblema vegetale del ciclo della vita incalzato dall’effimero. La simbologia però diviene più articolata là dove interviene la mano che ordina e dispone. La composizione è disposta secondo un ritmo ternario: il ramo superiore è quello del cielo, il mediano dell’uomo, l’inferiore rappresenta la terra. Al di fuori di questo ritmo non si dà composizione viva. Come le tre forze naturali vanno armonizzate per formare l’universo, così gli steli devono equilibrarsi nello spazio senza apparente sforzo. Il loro è un librare e un posarsi a un tempo. Esistono però tipi di disposizione più complessi, come nel caso di fiori con steli discendenti, che esprimono il declino della vita, lo scorrere di tutte le cose verso l’abisso; allora la curva degli steli deve flettersi sempre più verso l’estremità. In Oriente esiste però anche una simbologia non compositiva. Si pensi al loto. Senza inoltrarsi in sentieri complessi, basta cogliere la grammatica di base propria di un fiore che si distende sulla superficie di acque stagnanti. Nel buddhismo il loto diviene simbolo di purezza perché, pur uscendo da melmosi acquitrini, non ne resta contaminato: «Come un loto puro, meraviglioso, non è macchiato dalle acque, io non sono macchiato dal mondo» (Anguttara Nikaya 2, 39). Le parole di Gesù però guardano ai campi e non agli stagni. Il Vangelo addita la dimensione creaturale della cura e della precarietà, non quella della fuga. La «provvidenza» non sta nel ritenere che tutto vada per il meglio, che ogni cosa sia assicurata; essa consiste nella convinzione che è dono di grazia esserci ancora. La fragilità dell’esistenza ci conferma che le nostre forze, da sole, non possono garantirci la sussistenza. I gigli del campo si collegano allo stupore di poter affermare di essere ancora qui nonostante il fatto che nulla, nelle nostre vite, sia in grado di assicurare appieno un simile esito. L’esistenza presa in se stessa garantisce in modo cogente soltanto di essere destinata a finire. Molte sono le cause da cui dipende il termine, incertissimo ne è il tempo; sicuro e fatale è che esso, secondo natura, sopraggiunga. La sofferenza delle piante Tutto il regno vegetale e non solo il fiore simboleggia la mitezza. Le piante soffrono. Lo si vede. Si curvano, rinsecchiscono bruciate dal sole, marciscono impregnate dall’acqua, si spezzano con il vento, stentano per aridità del suolo. I vegetali sono anche rigogliosi, prosperano ricchi di linfa vitale, si caricano di fiori e frutti. Gli alberi a volte sono imponenti e maestosi. Le piante si spogliano di foglie, sono nude e raggelate; ma quel legno che sembra la negazione di ogni capacità di vita contiene, sotto la scorza, gemme che esploderanno in primavera. Dalla morte nasce la vita. Per la simbologia cristiana la croce non può essere che un albero. Le piante donano ristoro con l’ombra e gratificano la vista. Sono polmoni per l’aria degli altri e cibo per uomini e animali. Hanno molte doti; a loro sono però negati occhi, voce e mobilità, perciò sono senza difese rispetto allo sfruttamento. Intere foreste sono mangiate senza che gli alberi riescano a coalizzarsi contro gli invasori. Anche quando le viscere dei vegetali contengono veleni, le piante non sono aggressive: non attaccano nessuno. IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 285 Allorché la scure si avvicina non emettono grida, né guardano con occhi supplichevoli. Quando la sega avanza non fuggono, né tentano di nascondersi. Non oppongono mai resistenza. Sono un dono continuo che non richiede contropartite. Anche se divengono una minaccia, l’aggressività delle erbacce resta facile da estirpare. Il più delle volte sono però deboli ed esposte a molte insidie. Molti si prendono cura delle piante. Le si concima, le si annaffia, le si pota, le si cosparge di veleni ritenuti benefici. Pochissimi curano le piante per amore di loro stesse. Lo si fa per i vantaggi che danno; si tratti di cibo, di legno, di bellezza, di soddisfazione dell’orgoglio personale («quanto sono belle le tue piante», «hai proprio il pollice verde!»). I vegetali sono inermi e incapaci di difesa. A volte sono tenacissimi, a volte fragili e bisognosi di essere curati. Sono sempre ciechi e silenti. Nei canti del «servo del Signore» la vittima benefica è paragonata a un agnello muto di fronte ai suoi tosatori (Is 53,7). Sulla tavola eucaristica vi è però un mutismo più profondo: pane e vino sono di origine vegetale. La spiga è tagliata e il chicco è macinato, il grappolo è amputato e l’acino è stritolato senza che si emettano lamenti. Impastato e cotto, il pane è mangiato senza che si odano proteste. Il vino è bevuto senza che tenti di ribellarsi. Il mondo vegetale è l’area in cui si dispiega il massimo sfruttamento e il dono più continuo. Sarebbe bene ricordarselo di fronte alla verità cristiana che lega la presenza eucaristica di Gesù Cristo al mondo vegetale. Il fatto che si tratti di una realtà incruenta non significa affatto che la simbologia del dono sia meno intensa. Piero Stefani Maria Tondo Con Maria di Magdala Nel giardino del Risorto ontemplata dai credenti come la discepola del Signore, Maria di Magdala – di cui parlano i Vangeli di Luca e Giovanni – è diventata soggetto della narrativa e dell’arte lungo i secoli. Con pagine ricche di afflato poetico, l’autrice accompagna il lettore in un percorso spirituale con Maria Maddalena che approda all’incontro con Gesù, alla fede pasquale. C «Itinerari» pp. 208 - € 15,70 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it i i lettori ci scrivono Voltaire e l’ermeneutica conciliare Caro direttore, in genere, dopo il mio volume sul concilio ecumenico Vaticano II (Concilio Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2005) non faccio più pubblico «contrappunto» a certe posizioni ermeneutiche conciliari. Il mio servizio alla pastorale dei migranti e degli itineranti nel mondo è cosa da impegnarmi completamente. Eppure debbo fare eccezione a tale mia decisione per il vostro studio del mese «Il Vaticano II, Pio XII e Paolo VI. Uniti dal concilio» (Regno-att. 18,2008,639ss). Ciò anzitutto perché H.J. Pottmeyer non si pone dalla parte di chi sostiene che vi sia rottura tra il pontificato di Pio XII e il Vaticano II. Non è cosa da poco, in una tendenza finora dominante nell’arena storiografica la quale si spinge ad attestare che con tale Concilio nasceva quasi una nuova Chiesa. Inoltre è da rilevare pure nell’autore il «ricupero» di Paolo VI, che la stessa tendenza indicava in fondo come l’affossatore del Concilio. Per questo è davvero sorprendente che Pottmeyer, nel contesto della sua attuale posizione, citi proprio Alberigo e Melloni, cioè chi di quella tendenza (io la chiamerei della «scuola di Bologna») fu ed è rispettivamente l’alfiere. Comunque ancora, per il pontificato di Paolo VI, l’autore non dimostra capacità di fare sfumature né conoscenza approfondita della sua storia. Me ne dispiace ed è grave, partendo da un’affermazione di Voltaire, per il quale una presentazione storica vale per le sue sfumature. Su questo punto sono d’accordo con Voltaire. Grazie dell’ospitalità. Con distinti saluti, Mi sembra presto insomma per decretare la fine di un progetto politico tanto impegnativo. Romano Prodi, che è certamente «persona informata sui fatti», ha dichiarato autorevolmente che il «PD resta l’ultima speranza di salvare l’Italia». Perché cosa c’è dopo il PD, se non il PD? Certo un PD capace di far tesoro delle difficoltà, delle contraddizioni e anche delle sconfitte, sapendone trarre insegnamento per una trasformazione della sua vita interna e della sua proposta politica: sono convinto che il tempo e l’esperienza possano giovare grandemente in tal senso. Anche il giudizio d’irrilevanza circa il ruolo dei cattolici nel PD mi pare ingeneroso e frettoloso: attendiamo almeno il congresso previsto in autunno per tracciare un primo bilancio di questi due anni. Quindi va bene essere esigenti e formulare critiche anche severe, ma all’interno di un ragionamento che indichi comunque prospettive di sviluppo e di avanzamento democratico. Mi auguro, insomma, di poter leggere in futuro su un giornale che stimo e apprezzo e al quale sono abbonato da molti anni, analisi e giudizi più equilibrati. Bologna, 18 marzo 2009. Paolo Natali 30 novembre 2008. ✠ Agostino Marchetto Sul PD e il suo futuro Caro direttore, dopo aver letto gli articoli di Gianfranco Brunelli apparsi su Regno-att. 22,2008,731s e 4,2009,73ss («PD, procede la crisi» e «Dopo il PD») sento il bisogno di esprimere qualche breve considerazione in merito. Le analisi critiche contenute negli articoli sono in larga misura condivisibili e interpretano bene la delusione di tanti cittadini che hanno creduto nel progetto dell’Ulivo e nel Partito democratico che di quel progetto ha cercato di essere la traduzione politica. Ciò detto tuttavia, non posso nascondere le mie perplessità sulla mancanza di speranza e di aperture di credito in merito all’evoluzione futura che il PD può conoscere, anche tenendo conto con un po’ d’indulgenza delle attenuanti che è possibile invocare nel formulare un giudizio e un bilancio comunque provvisorio: in particolare 15 mesi di vita sono, a mio parere, relativamente pochi rispetto alla novità e alla difficoltà di un progetto così ambizioso. Si trattava (si tratta) infatti di dare rappresentanza politica unitaria a riformismi e idealità convergenti su molti obiettivi, ma anche segnati da diversità profonde, soprattutto sui temi etici. 286 IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 DIRETTORE RESPONSABILE p. Lorenzo Prezzi VICEDIRETTORE CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI Guido Mocellin DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 - C.P. 568 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] ABBONAMENTI tel. 051/4290077 - fax 051/4290099 e-mail: [email protected] QUOTE DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2009 Il Regno - attualità + documenti + Annale 2009 - Italia € 57,00; SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa Europa € 95,40; Resto del mondo € 107,40. REDAZIONE p. Alfio Filippi (Direttore editoriale EDB) / Gianfranco Brunelli / Alessandra Deoriti / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / p. Marcello Neri / p. Lorenzo Prezzi / Daniela Sala / Piero Stefani / Francesco Strazzari / Antonio Torresin Il Regno - attualità + documenti - EDITORE Centro Editoriale Dehoniano, spa PROGETTO GRAFICO Scoutdesign Srl Italia € 54,00; Europa € 93,40; Resto del mondo € 105,40. Solo Attualità o solo Documenti Italia € 37,00; Europa € 59,30; Resto del mondo € 64,00. Una copia e arretrati: € 3,70. CCP 264408 intestato a Centro Editoriale Dehoniano. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Chiuso in tipografia l’8.4.2009. Il n. 6 è stato spedito il 26.3.2009; il n. 7 il 7.4.2009. STAMPA Industrie Grafiche Labanti e Nanni, In copertina: CARLO DOLCI, Crespellano (BO) Registrazione del Tribunale di Bologna La Vergine del giglio (part.), 1642, Montpellier, Musée Fabre. N. 2237 del 24.10.1957. Chi è oggi Maria di Màgdala? Prima non creduta e poi dimenticata “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ C erco Maria di Màgdala e chiedo in giro chi l’abbia vista. Ho passato la Quaresima in questa ricerca, motivato dall’impegno a parlarne ai giovani della XII Prefettura della diocesi di Roma: di chi sia «tipo» oggi la discepola che Gesù aveva guarito da sette demòni, che per prima lo vide risorto e fu chiamata al ruolo fondativo di darne notizia agli undici. Apostola degli apostoli, la dissero i padri. Ma non fu creduta. Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni (Mc 16,9). Maria è l’umanità di oggi che attende la liberazione da innumerevoli demòni. Ed è la Chiesa che di quella liberazione porta le cicatrici. Alda Merini, poetessa, si paragona a Maria nella Lettera ai figli e si descrive – per una fase della vita – come «impazzita di estrema lussuria». Uno dei sette demòni che avevano infuriato in Maria di Màgdala poteva ben essere il «dèmone della lussuria», o quello della follia. Oggi conosciamo anche quelli della bulimia e dell’anoressia e della depressione. Tutti gli impazzimenti umani li possiamo mettere nel novero di quei sette. Senza dimenticare i veri diavoli. – Da quando il Signore l’aveva liberata dai demòni possiamo immaginare che Maria ogni mattina, al risveglio, risentisse nel corpo quella salvezza. Noi sentiamo una salvezza? LO SEGUIVA PER SERVIRLO SENZA ALTRO PROGETTO C’erano con lui i dodici e alcune donne (…): Maria, chiamata Maddalena (…); Giovanna (…), Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni (Lc 8,1s). Non aveva un incarico, lo serviva comandata dall’amore, senza una mira o un progetto. Sono tante oggi le donne che lo fanno senza averne l’incarico e senza rimborso delle spese, come le catechiste. Altre si dicono atee e servono i poveri. Per loro è detto: «L’avete fatto a me». Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano (…). Tra queste c’erano Maria di Màgdala… (Mt 27,55s). Corrono donne anche oggi dove si portano uomini a morire. Si avvedono per prime delle croci che vengono alzate nel mondo. Stavano presso la croce di Gesù (Gv 19,25). Quante volte vediamo donne che corrono dietro al camion dei condannati. O battono con le mani alle porte delle prigioni. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria (Mt 27,61). È l’ultima a lasciare il sepolcro la sera e la prima a tornare la mattina. Oltre che dove si serve, le Marie le troviamo nelle strade che vanno ai cimiteri. Ne conosco una che si è fatta fioraia del camposanto di Latina per stare vicina al figlio. Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. (...) vennero al sepolcro al levare del sole (Mc 16,1s). Belle queste donne af- faccendate e solerti. Altra volta a mungere e a impastare. Oggi «a ungerlo», cioè a dargli l’ultima carezza. E forse insieme la prima, ché da vivo qualcuna non aveva mai potuto toccarlo. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo (Gv 20,2). Le donne corrono sempre e spesso raccontano di essersi divertite a correre. Altre volte corrono con il cuore in gola e dicono parole di fuoco: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro» (Gv 20,2). Che magari non sono fondate. INFINE CORRONO GLI UOMINI MA LE DONNE HANNO CORSO PER PRIME Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo (…). Correvano insieme tutti e due (Gv 20,3s). Infine corrono gli uomini, magari più a lungo e più veloci. Ma dopo che le donne, sentinelle degli accadimenti, sono andate a chiamarli. Simon Pietro (…) entrò nel sepolcro (…). Entrò anche l’altro discepolo (…) e vide e credette (Gv 20,6-8). Dentro vanno gli anziani, gli apostoli, gli uomini. Lei conosce il suo posto, che è minore. Ma non l’abbandona e resta sola quando gli altri cedono alla tentazione di non credere, compresi i più titolati: I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa (Gv 20,10). Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva (Gv 20,11). Chi piange accanto a un sepolcro: questi è oggi – e sempre – Maria di Màgdala. Donna o uomo. Ma tra quanti corsero quel mattino di mezzo Nisan, solo di lei è detto che abbia pianto. «Appartiene al genio della donna anche il piangere», disse papa Wojtyla. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti (…). Ed essi le dissero: «Donna, per- IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 287 va di Giuseppe, uno dei carabinieri di Nassiriya –, che alla domanda su che cosa le manchi del marito risponde: «La carne, l’essere ancora moglie». Fermiamoci qui quanto possiamo. Questo Maria cercava di Gesù: «La carne». «MARIA!»: QUESTA PAROLA VALE TUTTO IL VANGELO È STATA LA PRIMA A POTER DIRE «HO VISTO IL SIGNORE» Si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù (...). Pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto (Gv 20,14s). Qui ci sono quelli che non hanno fede e dunque non vedono e ci siamo tutti per la parte di noi che non accetta di obbedire alla fede. Ma sarà Maria solo chi continua a domandare. Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» (Gv 20,16). «Maria!»: «Questa parola vale tutto il Vangelo» (D. BARSOTTI, Meditazioni sulle apparizioni del risorto, Queriniana, Brescia 1989, 32). È la festa dell’umanità chiamata dallo sposo. Il risorto è un Dio vicino, che ci chiama per nome a un rapporto di amicizia e di intimità. Entrare in questo dialogo comporta che ognuno si collochi nella posizione della Maddalena e riscopra in sé il desiderio femminile di aggrapparsi al Signore. Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre (Gv 20,17). I pittori delle icone, Giotto e il beato Angelico ci hanno narrato la luce di Pasqua che splende nel giardino, nuova a ogni occhio, e in essa la figura di Maria – rossa nel segno dell’amore – protesa a toccare il Signore splendente nella tunica bianca. Maria qui impersona chi vorrebbe trattenere fisicamente il risorto. O la persona amata che ci ha lasciati. Come Margherita Coletta – la vedo- Va’ dai miei fratelli e di’ loro (Gv 20,17). È l’unico «vai» della Bibbia detto a una donna, insieme all’altro «andate» che in Matteo (28,10) il Risorto rivolge alle donne che tornano dal sepolcro. Come già a Mosè, a Geremia; come poi agli apostoli. Ma la notizia più importante è affidata alle Marie: a dire il posto delle donne nella Chiesa c’è Maria di Nazaret all’inizio dei Vangeli e c’è questo mandato pasquale alla fine. Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18). È stata la prima a poterlo dire nella storia. Da lei è partita una successione di testimoni e di apostoli che è giunta fino a noi. Ci inseriamo in essa quando ci è dato di affermare con la stessa sua esultanza: «Io credo nel Dio di Gesù Cristo». Gesù apparve prima a Maria di Màgdala (Mc 16,9). In questa primizia vi sono due segni: che per primo appaia a una donna, e a una donna che aveva avuto una vita tribolata. Il Risorto non sceglie per la sua prima manifestazione né Pietro, né Giovanni, che pure sono corsi al sepolcro e sono entrati in esso con impeto, alla sua ricerca. Ne viene un’indicazione di ciò che più conta nel IL REGNO - AT T UA L I T À 8/2009 “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ 288 ché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore» (Gv 20,1113). La troviamo – questa Maria – in chi ha perduto chi gli era caro e si china a cercarlo in ogni dove. E non ristà dall’interrogare inopportunamente. Parla distratta con gli angeli che non riconosce. Si avvede che sono in «bianche vesti», certe cose una donna le nota, ma ha in mente solo Gesù. La nostra Maria è anche immagine di chi cerca il Signore dove non è, tra i morti o nei miracoli che non arrivano. Gesù non disdegna la ricerca sbagliata se è mossa dall’amore. seguire il Signore: forse Pietro è il più preparato all’incontro, dopo il rinnegamento e la corsa e forse Giovanni è il più dotato d’intuizione, tant’è che entrando nel sepolcro «vide e credette»; ma Maria è quella che ama senza misura. Che ama e basta. L’amore passa avanti a ogni preparazione e batte anche la fede. È in forza della prontezza ad amare che Maria è chiamata a dare l’annuncio della risurrezione a coloro che dovranno farsene annunciatori. SEI MARIA QUANDO DICI IL VERO E NON SEI CREDUTO NÉ REGISTRATO Maria di Màgdala andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui (…). Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non credettero (Mc 16,10s). Sei Maria quando dici il vero e l’importante e non sei creduto, donna o uomo che tu sia. Edith Stein che scrive al papa il 12 aprile 1933 per chiedergli di parlare in difesa degli ebrei temendo «per l’immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio durerà ancora». O Dietrich Bonhoeffer, che tre giorni dopo propone alle Chiese evangeliche tedesche di prendere posizione contro la legge di Hitler sul pubblico impiego, che ne escludeva gli ebrei. Le donne secondo la legge mosaica non potevano testimoniare e Gesù le sceglie come prime testimoni ribaltando quella regola della credibilità. Ma quando Paolo in 1Cor 15 redige un elenco documentale delle apparizioni del Risorto non le nominerà. Durando ancora l’anno paolino, possiamo vedere in Maria le donne che tornano a essere escluse da compiti che per una volta erano stati loro affidati con giusta enfasi: «È la prima volta che una donna viene posta a capo di una delegazione papale». Luigi Accattoli www.luigiaccattoli.it NB Ringrazio per gli spunti che ne ho tratto i visitatori del mio blog, che hanno dibattuto su Maria di Màgdala: Amigoni, Clodine, Discepolo, Fabricianus, Fiorenza, Francesco, Gerry, Gonzalo, Leopoldo, Leonardo, Lycopodium, Maioba, Mamma, Marta, Massimo, Matteo, Nicol, PLPL8, Roberto, Savigni, TRX, Ventura.