Migranti d`élite. NIGRIZIA, gennaio 2009.

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Migranti d`élite. NIGRIZIA, gennaio 2009.
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NIGRIZIA / M. MERLETTO
C
ostituiscono una realtà frammentata, unita da un sentimento di appartenenza al medesimo continente.
Sono gli africani della cosiddetta “diaspora d’élite”, coloro che in questa categoria
non sempre si riconoscono e che dello
stesso concetto di diaspora forniscono
interpretazioni diverse. Oltretutto, si sentono a disagio nell’essere identificati come
un’élite, termine utilizzato in patria per
indicare le classi dirigenti, delle quali non
condividono né l’atteggiamento chiuso e
antidemocratico, né tantomeno l’agiatezza economica. In altre parole, si tratta di
una fascia ristretta di migranti, un gruppo
variegato, formato da intellettuali, rappresentanti politici, scrittori, artisti, giornalisti, leader religiosi o associativi, diplomatici, mediatori culturali, docenti e lavoratori qualificati. Tutte figure che, rispetto
alla maggioranza degli immigrati, sono
investite di una considerazione sociale più
alta, conquistata con i denti, affannandosi
per veder riconosciute in Italia le proprie
competenze e praticare le professioni per
le quali hanno studiato sodo.
Alcuni, in genere gli attivisti politici
delle opposizioni, hanno dovuto percorrere un cammino a ritroso, accontentandosi, una volta arrivati nel Belpaese e
ottenuto lo status di rifugiati, di svolgere
Migranti
d’élite
mansioni di basso profilo. Ci
sono quelli che ce l’hanno
fatta a costruire una vita di
cui si dicono soddisfatti. Altri devono ancora integrarsi
e, nel frattempo, vivono sospesi tra due mondi. Lamentano le difficoltà incontrate
nell’integrarsi in un paese,
come l’Italia, impreparato
ad apprezzare le differenze.
Un percorso in salita che genera insicurezza, economica
e giuridica, costituendo un
forte deterrente a impegnarsi
per lo sviluppo nella madrepatria: una missione ancor
Jean-Léonard Touadi,
più complicata quando queil primo parlamentare italiano
sti paesi sono tormentati da
di colore.
conflitti o governati da dittatori. Vorrebbero ottenere
coinvolto sessantasei africani, dei quali la
riconoscimento sociale e pubblico dagli
maggior parte vive in Italia da un periodo
stati di origine, ma anche da istituzioni,
compreso tra i dieci e i trent’anni.
media e opinione pubblica italiani.
In confronto all’organizzazione di coSono queste, in sintesi, alcune delle
munità africane in altre nazioni d’Europa,
costanti emerse da uno studio realizzato
dove queste contribuiscono all’autoafferdal Centro studi politica internazionale
mazione della diaspora come soggetto po(Cespi) assieme a Society for Internatiolitico, in Italia la situazione lascia un tantinal Development (Sid), attraverso una
no a desiderare. In termini di coesione, soserie d’interviste e focus group, condotti
prattutto: le associazioni, costituite in base
a Milano, Roma e Udine, e che hanno
DIASPORA SPECIALE
I DATI DELLA RICERCA CESPI-SID
Sono intellettuali, politici,
scrittori, artisti, giornalisti, leader
religiosi, diplomatici, mediatori
culturali, docenti e lavoratori
qualificati: tutti immigrati
che vorrebbero ottenere
riconoscimento
sociale e pubblico
ric
dagli stati di origine, ma anche
da istituzioni, media e opinione
pubblica italiani. Manca da noi,
invece, una diaspora organizzata
in
e di alto livello in grado
di muoversi con più incisività.
al criterio di nazionalità, area linguistica,
etnica o religiosa, stentano a fare gruppo
e, a volte, sono contrapposte da antiche
e nuove rivalità. Mancano alleanze forti e
c’è una scarsa disponibilità di luoghi per
portare avanti un dialogo continuativo.
Anche sul web gli africani d’Italia non
primeggiano. Scarsamente coinvolti nella
gestione dei siti per l’immigrazione o d’informazione sull’Africa – tra i quali ci sono
Risulta ovvio che il primo passo che le
comunità africane devono compiere, affinché le loro istanze possano realmente
emergere, è quello di darsi una struttura.
Su quali criteri è meglio costruirla? La
proposta del Cespi è di raggruppare gli
esponenti della diaspora a partire dalle
rispettive competenze professionali e collocazioni sociali. Ci sarebbero, quindi, gli
africani del mondo della cultura, dell’eco-
AFP / B.B. CARDONA
Daniela Bandelli
anche quelli espressamente istituiti da
associazioni italiane –, vengono superati
dai più maturi immigrati di Belgio, Paesi
Bassi, Francia e Regno Unito. La ricerca,
coordinata da Andrea Stocchiero, suggerisce di guardare proprio alle strutture
virtuali di questi paesi, sulla cui falsariga
si vorrebbe avviare un portale della diaspora italiana, patrocinato dal ministero
degli esteri. Volto a dare impulso alla
creazione di una vera e propria rete, il sito sarebbe solo una parte del percorso di
coesione più vasto, che il Cespi auspica
di poter accompagnare, sviluppando la
ricerca in una seconda tranche e arricchendola con un risvolto operativo: la
creazione di una piattaforma di rivendicazioni, richieste e posizioni politiche da
far confluire in un primo grande forum
della diaspora in Italia, da concretizzare
la prossima primavera.
Un immigrato artigiano.
nomia, della politica e quelli impegnati
nel sociale. Un modo, spiega il ricercatore
Sebastiano Ceschi, per non riprodurre le
frammentazioni di oggi.
«Una diaspora organizzata e di alto
livello accrescerebbe il suo peso politico,
potendo così muoversi con più incisività laddove si creano i cambiamenti più
importanti, vale a dire nelle relazioni tra
istituzioni a livello internazionale», afferma Gabriella Presta, ex coordinatrice
del “Tavolo migranti e cooperazione” del
Friuli Venezia Giulia. «Va sottolineato
– continua – che gli immigrati in Italia
incontrano ancora difficoltà di accesso
al credito e hanno a disposizione pochi
strumenti finanziari adeguati a pratiche
transnazionali: un vuoto che scoraggia, di
fatto, l’iniziativa di quanti vorrebbero avviare un’attività economica o di sviluppo
sociale nei paesi di origine. Agendo come
gruppo di pressione, la diaspora potrebbe
chiedere politiche adeguate per promuovere il microcredito o fondi di solidarietà». Come osserva ancora Presta, con una
diaspora più forte si potrebbe superare
l’attuale tendenza a considerare l’immigrazione una questione di emergenza, favorendo invece una maggiore “sensibilità
culturale” di istituzioni pubbliche, istituti
finanziari e associazioni di categoria, il cui
coinvolgimento più attivo sarebbe, senza
dubbio, utile nelle iniziative che promuovono lo sviluppo dei paesi d’origine.
Intanto, ad accorgersi delle preziose
potenzialità della diaspora sono i governi africani. Come sottolineato da un’altra
ricerca, condotta sempre da Cespi e Sid,
molti stati sono interessati alle comunità
all’estero, per le quali vengono create delle
istituzioni ad hoc. Si tratta di un fenomeno nascente, senza precedenti, ma ancora
disordinato, soprattutto se paragonato
alle più avanzate politiche formulate dai
paesi del Maghreb. Solo Senegal, Capo
Verde e Mauritania hanno inserito l’emigrazione nelle strategie di riduzione della
povertà, mentre altri paesi si limitano, per
il momento, ad alimentare una retorica
pro diaspora, sostenendone le associazioni nei paesi di destinazione e le iniziative
economiche transnazionali, mirando ad
attrarne le rimesse e tentando di riportare
a casa i cervelli fuggiti.
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