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IAB ITALIA
Rassegna Stampa del 19/01/2015
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INDICE
IAB ITALIA
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
Twitter punta sui video Quanto vale ora la pubblicità?
15
16/01/2015 Engage Mag
Video no limits
16
16/01/2015 Engage Mag
La novità: Programmatic Italia
18
16/01/2015 Engage Mag
Zodiak Advertising non solo programmatic
19
16/01/2015 360com
Avere successo è una questione di misura
20
15/01/2015 ADV Express
5 trend nel programmatic fondamentali per gli operatori di marketing
22
ADVERTISING ONLINE
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
«Adeguare le norme della Tv al mercato e al web»
24
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
Le acquisizioni chiave nel mercato dello spot
25
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il premier: spot Rai sul blog di Grillo Fico: sono finiti lì indirettamente
26
18/01/2015 La Repubblica - Genova
Youtuber, passione che diventa un mestiere "Con i video guadagno 2mila euro al
mese"
27
17/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Rai, polemiche per spot sul sito di Grillo
28
17/01/2015 ItaliaOggi
La privacy sterilizza i cookie di profilazione
29
17/01/2015 ItaliaOggi
HiMedia compra AdMoove per espandersi nel mobile advertising
30
17/01/2015 ItaliaOggi
Nytimes a caccia di lettori digitali
31
19/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Pubblicità, quante idee da quel gruppo di amici
32
19/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Aziende a caccia di "data manager"
33
19/01/2015 Corriere Economia
Amazon Attento Jeff, l'eterno rivale è di nuovo in Rete
35
19/01/2015 Corriere Economia
Web La democrazia è una firma online
37
19/01/2015 Brand News Today
In arrivo i cartelloni pubblicitari in 3D, ma senza occhialini
39
19/01/2015 DailyNet
Incarichi SodaStream affida le attività social e digital a TheGoodOnes per il 2015
40
19/01/2015 DailyNet
Tendenze è di Cornetto Algida lo spot più visto del 2014 su YouTube. Nike completa
il podio
41
19/01/2015 DailyNet
Mercato/1 HiMedia punta forte sul mobile e acquisisce AdMoove
42
19/01/2015 DailyNet
Ricerche Twitter, per i primi test i promoted video spingono l'intention-to-buy
43
19/01/2015 DailyNet
Fashion Braccialini omaggia l'iconica borsa Carinabag con Mosaicoon
44
19/01/2015 DailyNet
Accordi lunga vita ai musei: Doc Office For Communication and Design e Museion
ancora insieme
45
19/01/2015 DailyNet
portali Dagospia esporta il Cafonal su Agon Channel
46
19/01/2015 Pubblicom Now
Mosaicoon firma la campagna web per Carinabag, l'iconica borsa di Braccialini
47
18/01/2015 Corriere della Sera - La Lettura
LEGGI QUI!!! Tutti i trucchi dei pescatori di clic per catturare i lettori in Rete
48
16/01/2015 360com
Un responso universalmente condiviso: i dati contano!
51
16/01/2015 ADV Express
YouTube
53
16/01/2015 ADV Express
HiMedia acquisisce la società di marketing mobile AdMoove
54
16/01/2015 ADV Express
Core Analytics. Il vero Roi, bussola del business
55
16/01/2015 Engage.it
HiMedia acquisisce AdMoove per 2 milioni di euro
57
16/01/2015 Engage.it
Braccialini: guerrilla marketing per festeggiare i sessanta anni. Mosaicoon firma la
campagna web per Carinabag
58
16/01/2015 Engage.it
Youtube: le pubblicità di maggior successo in Italia del 2014
59
15/01/2015 Primaonline.it 05:56
Le pubblicità più popolari su YouTube in Italia nel 2014: vince la love story del
Cornetto
60
15/01/2015 Primaonline.it 04:35
A novembre ogni giorno online 21,7 milioni di italiani per quasi due ore (Audiweb,
novembre 2014)
61
15/01/2015 Primaonline.it 04:35
A novembre ogni giorno online 21,7 milioni di italiani per quasi due ore (Audiweb,
novembre 2014)
62
16/01/2015 Pubblicitaitalia.it 11:36
Audiweb, a novembre 28,8 milioni di italiani in Rete
63
16/01/2015 Pubblicitaitalia.it 11:11
Web System in pole per la raccolta digital di Fox International Channels Italy
64
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Germania e Bce: nuove pressioni
66
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Quirinale, vertice Berlusconi-Alfano
67
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Frontalieri in coda per comprare euro
69
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Una via democratica per l'Islam
71
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Scaroni a Passera: sì, erano tangenti
74
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
LA PRIMA SFIDA È ARRIVARE AL 29 GENNAIO CON IL PD UNITO
76
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Se il premier forza sarà guerra E basta ex comunisti al Quirinale»
77
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«L'ateneo sarà il centro della protesta» Così il rettore e il prefetto hanno deciso
80
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Auto in ripresa, Fiat Chrysler accelera
82
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Nasce Fca Bank, la banca delle rate Carelli: obiettivo 16 miliardi in 3 anni
83
17/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Luxottica prepara i conti e le deleghe per Mehboob-Khan
85
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Fassina: io resto ma molti voti andranno via
86
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Meno distante la coalizione di centrodestra
88
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La Banca centrale che serve alla Ue
90
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
L'attesa per le mosse degli altri delusi: poi valuterò
92
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Ferrara: al Colle Bersani o Mattarella Ma avrei voluto Muti con i corazzieri
94
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Il Quirinale non è una partita tra Pd e azzurri»
96
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Uno su sette non cerca lavoro, il triplo dell'Ue
97
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Delrio: Bruxelles ora ci può aiutare Quattro miliardi da spendere nel 2015
98
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La Grecia teme la corsa al bancomat Chiesti 5 miliardi all'Eurotower
100
18/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Ansaldo Energia in Borsa in tre anni Un modello per gli investimenti Fsi»
101
19/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Così Sergio diventerà lo Tsipras italiano»
103
19/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Bce e Germania verso il compromesso A ogni Stato metà del rischio sui titoli
105
19/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Renzi preoccupato per le tensioni Ma non dà spazio alla minoranza
107
19/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
L'Aia e l'assurda liturgia dei processi anti Israele
109
17/01/2015 Il Sole 24 Ore
Banche popolari, in arrivo la riforma societaria: nel mirino il voto capitario
110
17/01/2015 Il Sole 24 Ore
Bankitalia: ridotte (+0,4%) stime Pil 2015
112
17/01/2015 Il Sole 24 Ore
Non è più un mondo per piccoli
114
17/01/2015 Il Sole 24 Ore
Italia-Svizzera, il nodo della retroattività
116
17/01/2015 Il Sole 24 Ore
«Serve un Qe senza vincoli»
119
17/01/2015 Il Sole 24 Ore
La Bce pronta a superare i 500 miliardi
123
17/01/2015 Il Sole 24 Ore
Mps, ancora due settimane di dialogo con Bce
125
17/01/2015 Il Sole 24 Ore
Petrolio, per l'Aie produzione in frenata all'esterno dell'Opec
127
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
Alla ricerca di un'Europa possibile
128
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
Guerra delle valute, svetta il superdollaro
130
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
L'immigrazione fattore decisivo per l'economia locale
132
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
Inchiesta Saipem, Scaroni: «In Algeria ci furono tangenti»
134
18/01/2015 Il Sole 24 Ore
Intesa cambia la Banca dei Territori
136
19/01/2015 Il Sole 24 Ore
Il debutto del nuovo Isee tra rincari e ritardi
138
19/01/2015 Il Sole 24 Ore
Training on the job: l'Italia perde terreno
140
19/01/2015 Il Sole 24 Ore
Il Qe di Draghi e la lezione che arriva dall'America
142
19/01/2015 Il Sole 24 Ore
Creare moneta aiuta banche e titoli di Stato
144
19/01/2015 Il Sole 24 Ore
Il piccolo balzo del mattone
147
19/01/2015 Il Sole 24 Ore
Maxitaglio sui conti delle Regioni
149
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Eppure Matteo spera: il presidente al primo voto
151
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Merkel: ma l'Islam fa parte di noi
154
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Si sono messe nei guai da sole ora giusto rivalersi su di loro"
157
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Ma se ci sono vite in pericolo è un dovere per lo Stato pagare"
158
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Il pugno del Papa? Solo una battuta ma è giusto il richiamo alla responsabilità"
159
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Non deve essere per forza un candidato della Ditta"
161
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Atene chiede aiuto per tamponare la fuga dei capitali
162
17/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Allarma il contagio dello "tsunami svizzero" dall'Est Europa all'Asia
164
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Alfano avverte il premier "Adesso il Quirinale spetta al centrodestra"
166
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il premier studia le contromosse "Vogliono la scissione a sinistra proveranno il blitz
sul Colle"
168
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Adesso Sergio venga con noi insieme rifaremo un nuovo soggetto"
170
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
La trincea dell'ex ministro: io non mi dimetto Ma nel partito ormai è tutti contro tutti
171
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Io, torturato e in catene i miei due anni d'orrore prigioniero di Al Nusra"
172
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Cinema e arte: così la mia Francia sconfiggerà il terrore"
173
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
I "convertiti" contro i sacerdoti del rigore così è cambiato lo scacchiere della Bce
174
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
L'idea bad bank come salvagente dei nostri istituti Ruolo di garante per il Tesoro
176
18/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Ogni ora falliscono due aziende
177
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
La crisi fa bene ai ricchi raddoppiati i loro beni
178
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Partire fu uno sbaglio, ma lo Stato non può imporre veti"
180
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Sharansky: "Aumenta l'intolleranza e sempre più ebrei lasciano l'Europa"
181
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Je suis Charlie è una bandiera, non sarà un brand"
183
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il Cinese: "È un partito alla frutta il modello Renzi compra i voti"
184
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Sergio incoerente ci ha proprio usato come un autobus Minoranza meschina"
186
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Possibile l'elezione al primo colpo ma Brunetta ci sta indebolendo"
187
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Ecco la bolletta amica voci di spesa più chiare e stop alle truffe via web
188
19/01/2015 La Repubblica - Nazionale
LE RAGIONI DEL TAR E QUELLE DI VENEZIA
190
17/01/2015 La Stampa - Nazionale
Matteo incassa l'ok di Bersani "Faremo quel che dirà lui"
192
17/01/2015 La Stampa - Nazionale
La tattica del dialogo
193
17/01/2015 La Stampa - Nazionale
La sorpresa di Berlusconi Sì all'incontro con Alfano
194
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
Ecco a chi non conviene avere il Tfr in busta paga
195
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
Burlando: ingrato, cerca visibilità così regalerà la vittoria alla Lega
197
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
Renzi: gesto incomprensibile Io persi e sostenni Bersani
198
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
"Ora il nuovo partito a sinistra è un'ipotesi molto concreta"
200
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
Berlusconi frena Brunetta dopo l'ultimatum di Verdini "Gli impegni si rispettano"
201
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
Calderoli: "Questi grandi elettori sono illegittimi, si torni al voto"
202
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
Avanza l'esercito degli "scoraggiati"
203
18/01/2015 La Stampa - Nazionale
Fca lancerà 20 nuovi modelli Marchionne: boom di investimenti nel 2016
204
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
Il vicepremier greco: Tsipras come Harry Potter, ma se serve dico sì a un'alleanza
con lui
205
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
Orfini: non sono normali primarie col centrodestra
207
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
"L'influenza suina? Vaccinatevi subito Il picco deve arrivare"
208
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
Alla Camera e al Senato primi tagli in busta paga
210
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
Mercati in ansia fra Svizzera e Bce
212
19/01/2015 La Stampa - Nazionale
Giro di vite sulle false partite Iva Tre requisiti e scatta l'assunzione
213
17/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
L'ambasciatore Usa: il Colle test per Renzi
214
17/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Quirinale, l'altolà a Berlusconi: senza intesa c'è Mattarella
216
18/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Il premier: quanta ipocrisia se ne va solo perché ha perso
217
18/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
«Perché ora Sergio non lascia anche il seggio a Strasburgo?»
218
18/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
E il leader Pd vuole allargare i confini del patto del Nazareno
219
18/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
«Un attentato al Vaticano non conviene ai terroristi»
221
19/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Guerini: per scegliere il Capo dello Stato parleremo con tutti
222
19/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
«Restare è difficile. Spero se ne rendano conto anche altri»
223
19/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Liguria, pressing sul "Cinese" che ora valuta la candidatura
224
19/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
La sfida di Renzi: margini ampi per blindare Quirinale e riforme
225
17/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Belgio multietnico e felice? Propaganda Mondiale
227
17/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Il Cav tiene a bada i suoi E riguadagna consensi
228
19/01/2015 Il Giornale - Nazionale
«La sinistra è come l' islam chi dissente è perseguitato»
230
19/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Berlusconi corteggia i centristi per stanare Renzi sul Quirinale
232
19/01/2015 Il Giornale - Nazionale
«Tutto perdonato»? Se anche le vittime scusano i carnefici
233
19/01/2015 Il Fatto Quotidiano
" 90 anni tra fascisti, Wojtyla e Berlinguer "
234
19/01/2015 QN - Il Giorno - Nazionale
«Renzi è di destraCe ne andiamo»
237
19/01/2015 QN - Il Giorno - Nazionale
«Basta ultimatumRispettate le regole»
238
17/01/2015 ItaliaOggi
Se non vuol fallire Renzi punti al 1° colpo
239
17/01/2015 ItaliaOggi
La libertà è l'arma dell'Occidente per sconfi ggere la jihad islamica
241
17/01/2015 ItaliaOggi
Lapo Elkann liquida la sua musica
242
17/01/2015 ItaliaOggi
Web trasparente, diga contro le barbarie
244
17/01/2015 Financial Times
European stocks arrive late to the QE party
245
19/01/2015 Financial Times
Draghi to unveil sovereign bond buying blueprint
247
19/01/2015 Financial Times
Shipping groups warn of migrant rescue risks
249
19/01/2015 Financial Times
A strained bond
250
19/01/2015 Financial Times
Where deflation is not part of the narrative
253
19/01/2015 Financial Times
Why the ECB should not water down a QE programme
254
19/01/2015 Financial Times
ECB's asset purchase plan provides focus
256
19/01/2015 International New York Times
A win-win suggestion for Raiffeisen
257
19/01/2015 The Guardian
Gore teams up with Williams the Happy hitmaker
258
17/01/2015 The Independent
Italy pays the price of freedom
259
17/01/2015 The Times
Italy's hostages fly into £8m ransom row
260
17/01/2015 Le Figaro
Une semaine en or pour les fraudeurs fiscaux italiens
261
17/01/2015 Le Figaro
La Banque d'Italie abaisse sa prévision de croissance
262
19/01/2015 Le Figaro
La chronique de Nicolas Baverez
263
19/01/2015 Le Figaro
LA MOLLESSE DEMOCRATIQUE MEILLEURE ALLIEE DU TERRORISME ISLAMISTE
265
19/01/2015 Le Figaro
La planète finance suspendue au «bazooka» de Draghi
267
19/01/2015 Le Figaro
Pour être efficace, l'action de la BCE doit être illimitée
268
19/01/2015 Le Figaro
Vu d'Allemagne, le remède monétaire pourrait être pire que le mal
269
19/01/2015 Le Figaro
La France a son euro faible !
270
19/01/2015 Le Figaro
Pourquoi les Allemands ont-ils la phobie de l'inflation et pas de la déflation ?
271
17/01/2015 Le Monde
Surveiller ou sauver, le dilemme de Frontex
273
18/01/2015 Le Monde
L'industrie agroalimentaire investit le marché du sans-gluten
275
18/01/2015 Le Monde
" Gomorra " ou les " saigneurs " napolitains
277
18/01/2015 Le Monde
Roberto Saviano : " Je voulais que le téléspectateur se confronte au mal absolu "
279
19/01/2015 Les Echos
La BCE brandit l'arme ultime pour sauver la croissance
280
19/01/2015 Les Echos
La BCE n'a plus le choix
281
19/01/2015 Les Echos
Au moins trois offres fermes pour la reprise de la SNCM
282
19/01/2015 Les Echos
Generali finalise la prise de contrôle de 100 % de GPH
283
19/01/2015 Les Echos
2015, une année électorale qui va stresser les marchés
284
19/01/2015 Wall Street Journal
Does ECB President Mario Draghi have the magic bullet?
285
19/01/2015 Wall Street Journal
EU Regulators Press Amazon on Taxes
287
19/01/2015 Wall Street Journal
For ECB, It's Crunch Time
288
19/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Il petrolio sperimenta il libero mercato
289
19/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Il dilemma di Draghi
291
19/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Generali, Greco e la luce dell'Est
293
19/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Messina: "Aumentiamo il credito da Intesa 35 miliardi nel 2015"
295
19/01/2015 Corriere Economia
Sud Melfi e Pomigliano valgono il 10% del Pil
298
19/01/2015 Corriere Economia
Euro e franco svizzero: una cattiva consigliera chiamata paura
300
19/01/2015 Corriere Economia
Industria Modello Carpi per dare un calcio alla crisi
301
17/01/2015 Milano Finanza
Sarà uno a uno?
303
17/01/2015 Milano Finanza
Se la banca resta universale inutile sognare la ripresa
305
17/01/2015 Milano Finanza
Più colomba che falco
307
17/01/2015 Milano Finanza
Crolla il bitcoin, de profundis annunciato ma forse non ancora definitivo
309
17/01/2015 Milano Finanza
Quando l'anonimato diventa intollerabile
311
IAB ITALIA
6 articoli
18/01/2015
Il Sole 24 Ore - Nova 24
Pag. 14
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Twitter punta sui video Quanto vale ora la pubblicità?
La piattaforma in versione beta sarà lanciata dal sito di microblogging
Biagio Simonetta
Sempre più mobile, sempre più video. Il futuro dell'advertising è tracciato, come quei romanzi che, inizi a
leggerli, e sai già come finiranno. E chiedete pure a quelli di Facebook, che qualche mese fa hanno sborsato
mezzo miliardo di dollari per assicurarsi LiveRail, piattaforma di video advertising che genera qualcosa come
7 milioni di video pubblicitari al mese. Oppure a Twitter, che nei mesi scorsi ha fatto incetta di startup del
macrocosmo video, portandosi a casa MoPub, Namo Media e TapCommerce, e ora è pronta a lanciare la
sua piattaforma, con una versione beta che è già disponibile per i profili verificati.
Proprio su Twitter è doveroso spendere qualche riga in più. E non solo perché la sfida dei video può
ragionevolmente segnare il futuro del social network di Jack Dorsey.
A San Francisco sono abituati a fare le cose in grande, e dalle prime (e poche) indiscrezioni che trapelano
dagli uffici di Market Street, si apprende che il video player di Twitter consentirà agli utenti di caricare video di
una durata massima di 10 minuti, mentre i formati supportati saranno mp4 e mov, e non ci saranno limiti per
la dimensione del file. Inoltre, l'immagine di anteprima, che spesso decreta il successo di un video, sarà
selezionabile dall'utente. Il lancio? Ancora qualche settimana. Poi chiunque ha un account Twitter potrà
postare video, senza ricorrere a piattaforme terze come Vine e YouTube.
La mossa di Twitter, e prima ancora quella di Facebook, sono probabilmente i segnali più chiari di come
l'evoluzione dell'advertising online stia virando in modo deciso verso i video. Pre-roll, mid-roll e post-roll sono
vocaboli ai quali faremo abitudine prestissimo, anche perché le previsioni lasciano poco spazio ai dubbi.
Secondo un'infografica presentata da Iab Italia, il mercato del video advertising è in costante crescita negli
ultimi due anni. E dovrebbe toccare quota 11,4 miliardi di dollari nel 2016. Un piatto ricco sul quale i colossi
del web hanno posato gli occhi in largo anticipo. È notizia di qualche giorno fa, ad esempio, il nuovo
finanziamento ottenuto da Teads, una delle piattaforme internazionali più popolari nel campo del video
advertising. 24 milioni di euro per un'operazione finanziaria che la dice lunga sulla fiducia degli investitori nel
settore e che vede coinvolte banche del calibro di Bank of China, Hsbc, Bnpp e Bpi.
Ora però, è già scattata la guerra ai click. E in questo senso la mossa più astuta, senza ombra di dubbio,
pare essere stata quella di Mark Zuckerberg. Già da qualche mese Facebook ci ha "abituati" ai suoi video in
auto-play, cioè quelli che partono da soli scorrendo la time line (per fortuna in modalità silenziosa). E
"abituati", attenzione, sembra il termine più adatto per descrivere la capacità pervasiva del social di Palo Alto.
Ora, non appena i filmati pubblicitari sbarcheranno su Facebook, il business esploderà con forza devastante.
Se la logica rimarrà quella attuale, basterà scrollare la time line per far partire un pre-roll correlato a un video.
Ergo: basterà uno scroll per innescare il business. Anche per questo Twitter s'è mossa sui video. Rimanere
indietro, oggi, potrebbe compromettere il futuro. I cinguettii potrebbero non bastare più, fra qualche mese.
La vera battaglia, dunque, sarà sulle visualizzazioni dei video. Una battaglia che, in realtà, è cominciata già
da qualche mese e vede due protagonisti indiscussi: Facebook e YouTube, con il primo che da quando ha
introdotto il proprio player sta insidiando i vari primati che lo storico "tubo" ancora detiene. Le statistiche si
sprecano, e sembra l'ennesima guerra senza esclusioni di colpi fra Google e il social network da oltre un
miliardo di utenti. Perché i numeri, in questo caso, non rimangono solo numeri. Ma si tramutano in danaro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA fonte: http://iab.blogosfere.it In miliardi di dollari, nel mondo 7,0 8,3 9,8 11,4
2013 2014 2015 2016 Il giro d'affari dello spot online
IAB ITALIA - Rassegna Stampa 19/01/2015
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ADVERTISING SOCIAL SPOT
16/01/2015
Engage Mag - N.1 - 13 gennaio 2015
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Video no limits
dopo il rebranding che ha portato alla nascita del gruppo, l'impegno principale della società è stato quello di
rinnovare ulteriormente il proprio settore di riferimento applicando le logiche del programmatic alla
distribuzione dei formati outstream come l'InRead. di questo e delle prossime sfide che attendono il gruppo,
parliamo con lucio mormile, director of business operation di teads
teresa nappi
video no limits tante e importanti novità hanno segnato il 2014 della società oggi conosciuta come Teads.
tante e importanti novità hanno segnato il 2014 della società oggi conosciuta come Teads. Nata a marzo
scorso dalla fusione di Ebuzzing (uno dei provider in più rapida crescita nel mercato mondiale del video
advertising) e Teads (una video ad management supply side platform - SSP utilizzata da gran parte dei
premium publisher e dai principali ad network in tutto il mondo), operazione che ha portato alla nascita di
Ebuzzing & Teads, a ottobre la società è diventato ufficialmente Teads. Coerentemente con questa
operazione, nei mesi successivi il gruppo si è impegnato a rinnovare il settore del video advertising
concentrandosi sulla propria innovativa SSP video, al fine di supportare la distribuzione strategica dei più
prestigiosi formati outstream tra cui l'inRead. Presentata nel corso dell'ultima edizione di IAB Forum, la SSP
video di Teads rappresenta il cuore tecnologico di un'offerta innovativa che non si colloca quindi nell'ambito
del Pre-roll, ma porta il video adv all'esterno dei suoi contesti abituali. Di questo ricco e importante anno e
delle prossime sfide che attendono la società parliamo con Lucio Mormile, director of business operation di
Teads. Dal rebranding ad oggi, si sono succedute fasi di assestamento e riposizionamento per Teads.
Cominciamo dunque da un quadro riassuntivo che descriva le caratteristiche dell'azienda a livello
internazionale e in Italia... Abbiamo appena concluso un anno ricco di novità e soddisfazioni. Determinanti,
per il nostro attuale posizionamento nel mercato del video adv, sono state la fusione e il successivo
rebranding. Due momenti importanti che sono stati caratterizzati da una spinta tecnologica senza eguali nel
mercato. Gli ultimi mesi del 2014 ci sono serviti per metabolizzare i vari cambiamenti e siamo pronti per un
2015 esplosivo: la continua espansione globale (abbiamo appena annunciato l'MD della nuova sede di Tokyo
- Giappone); la nostra piattaforma SSP che ci consente di essere presenti nel mondo del Programmatic da
veri protagonisti e la continua sfida alla risoluzione del problema della viewability attraverso formati come
l'inRead (vincitore dell'Ipa Award, ndr); l'ingresso di nuovi editori "élite" nella nostra offerta. Sono questi solo
alcuni degli elementi che compongono il ricco menu per questo nuovo anno. Il tutto, con l'obiettivo di
consolidare la nostra leadership nel mercato del video online e contribuire al miglioramento delle tecnologie
che ora sono al servizio di questa industry. Anche l'Italia è perfettamente allineata con la visione globale,
grazie all'ottimo lavoro a livello manageriale di tutte le figure chiave che servono allo sviluppo del business,
come Francesca Lerario oppure al lavoro svolto nella delivery delle campagne a qualsiasi ora del giorno e
della notte dal nostro team publishing & operation. Come direttore delle business operations non voglio
dimenticare nessuno. In questa azienda abbiamo la fortuna di avere risorse che credono in quello che fanno
perché hanno grande passione. La nostra è una grande famiglia dove la qualità delle relazioni è l'aspetto
fondamentale. Ha parlato di nuovi editori nel network. attualmente quali sono? E quali invece le principali
aziende che hanno deciso di comunicare attraverso le vostre soluzioni? Questa domanda mi consente di
ricordare i prestigiosi accordi internazionali raggiunti appena prima di Natale per il mercato Usa: ora, siamo in
grado di raggiungere il 78% degli utenti internet statunitensi su base mensile grazie alle partnership con
editori del calibro del Washington Post, Forbes, Reuters, Slate, TheStreet, SheKnows. Non solo, noi già
collaboriamo con le più prestigiose testate mondiali come ad esempio FT, The Guardian, Le Monde, Le
Figaro, ABC, Globo, Nikkei, Die Welt, Conde Nast, e molti altri. Grazie ad essi abbiamo costruito una offerta
"Elite" adatta ai grandi brand internazionali, soprattutto per aziende operanti nel settore del lusso. Video,
Mobile, Programmatic, Viewability sono queste alcune delle parole che oggi vi contraddistinguono. Come vi
state muovendo su questi fronti? Parto subito affrontando il tema della viewability e dal dato fornito da
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( coverstory )
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Comscore: il 54% degli ads online - nel 2013 - non è stato propriamente fruito. Intuibile che questo sia un
problema non trascurabile che penalizza la nostra industry e che vogliamo risolvere tramite la tecnologia
Teads grazie a formati "viewable by design" che garantiscono agli advertiser la completa visualizzazione
dell'annuncio pubblicitario. Il formato inRead è sicuramente quello che ci sta regalando maggiori soddisfazioni
perché riesce ad accontentare le richieste degli advertiser, ma anche dei publisher senza risultare invasivo
per l'utente. Anche sul tema del programmatic ci siamo mossi in anticipo e in maniera decisa. Durante l'ultimo
IAB Forum abbiamo presentato, in Italia, la nostra piattaforma SSP. E' stato proprio in quella occasione che
abbiamo espresso il nostro punto di vista rispetto a quanto il programmatic possa ottimizzare una parte delle
strategie di video advertising. La nostra spiccata vocazione tecnologica ci consente inoltre di declinare le
nostra offerta di formati innovativi su più device. Anche per quando riguarda il Mobile, dunque, siamo allineati
con i trend presenti oltre ad essere capaci di interpretare quelli futuri. Può illustrarci una case history
esemplificativa del lavoro che state svolgendo? Le prime campagne distribuite in modalità programmatic,
tramite la nostra piattaforma SSP (attualmente attiva solo in Francia e Uk), sono state un successo e a breve
saremo pronti a rivelare anche le prime case history per l'Italia. Analizzando le performance dell'inRead, mi
piacerebbe sottolineare una "best case" su tutte, ma davvero ogni campagna distribuita tramite questo
formato finora, ci ha regalato soddisfazioni enormi. Siete al lavoro su altre novità? Se vi anticipassi qualcosa,
vi farei perdere il gusto della sorpresa. A parte le battute, posso dire che vista l'espansione, sia locale che
globale, siamo pronti a rinforzare il nostro organico aggiungendo figure professionali di talento che si
andranno a sommare a un team fantastico che ci sta regalando soddisfazioni e risultati oltre ogni più rosea
aspettativa. Osservando il lavoro giornaliero dei nostri 100 ingegneri del dipartimento Ricerca & Sviluppo, ci
aspettiamo, inoltre, diverse novità in termini di nuovi prodotti e soluzioni. Come avete chiuso il 2014? Il nostro
fiscal year si chiude ufficialmente a marzo. Il dato di fatturato aggiornato ad oggi è di circa 96 milioni di dollari
a livello globale. avete degli obiettivi specifici di crescita per il 2015? Abbiamo inaugurato l'anno con un
finanziamento di 24 milioni di euro. Per la metà queste risorse saranno utilizzate per investimenti
sull'innovazione tecnologica, volti al rafforzamento della nostra presenza in mercati importanti come gli Usa e
al sostegno delle strategie di business per i nuovi mercati su cui ci siamo affacciati: Brasile, Russia, Sud
Corea e Giappone.54
seCondo ComsCoRe è la quota deglI annunCI PubblICItaRI onlIne Che nel 2013 non è stata FRuIta. un dato
non tRasCuRabIle a CuI teads RIsPonde Con FoRmatI "vIewable by desIgn" Come - PeR esemPIo - Il suo
"InRead" 96 mln e' questa, In dollaRI, la stIma dI FattuRato 2014 dI teads a lIvello globale. PeR ConosCeRe
Il dato deFInItIvo bIsogneRà PeRò attendeRe Il mese dI maRzo, quando sI ChIude uFFICIalmente Il FIsCal
yeaR della soCIetà
Foto: TEaDS In ITaLIa Lucio Mormile (nella foto in alto) è director of business operations di Teads. Nella foto
qui a destra, Francesca Lerario, sales director Teads Italia
Foto: InrEaD E' questo il formato outstream di punta dell'oerta Teads, in grado di garantire agli advertiser la
completa visualizzazione dell'annuncio, senza però risultare invasivo per l'utente
Foto: ESPanSIOnE Con mire globali, il gruppo continua a estendere il proprio presidio in mercati strategici.
Un obiettivo confermato anche per il 2015
16/01/2015
Engage Mag - N.1 - 13 gennaio 2015
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nata a ottobRe 2014, è la PRIma PIattaFoRma InFoRmatIva veRtICale FInalIzzata a InFoRmaRe e
FavoRIRe lo sCambIo dI ConosCenze sul PRogRammatIC adveRtIsIng, Real tIme bIddIng e bIg data
A partire dallo scorso anno, una parola nuova si è fatta prepotentemente strada nel linguaggio della
pubblicità: "Programmatic". L'automazione dei processi di compravendita degli spazi pubblicitari online,
basata su piattaforme tecnologiche, si profila infatti come una delle più grandi rivoluzioni del mercato negli
anni a venire. Secondo i dati presentati all'ultimo IAB Forum, frutto del Tavolo di Lavoro avviato lo scorso
giugno da IAB Italia con gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e la partecipazione di tutte
le principali aziende del settore, l'anno scorso il Programmatic in Italia valeva 110 milioni di euro, oltre il
doppio dei 50 milioni stimati per il 2013 (+120%). Nonostante la fortissima crescita nell'ultimo anno, il
Programmatic italiano è ancora nella sua fase embrionale, se lo paragoniamo ai mercati più evoluti (nel
mondo, secondo Magna Global, il programmatic advertising nel 2014 valeva già la strabiliante cifra di 21
miliardi di dollari). Ma che sia un fenomeno irreversibile sul digitale e destinato a coinvolgere presto anche i
mezzi oline è convinzione ormai metabolizzata da tutti gli stakeholders, siano essi publisher o buyer,
concessionarie o aziende inserzioniste. Con l'auspicio di giocare un ruolo attivo in questa trasformazione del
mercato, a ottobre 2014 Edimaker ha dato vita a Programmatic Italia, la prima testata giornalistica italiana
finalizzata a informare e favorire lo scambio di conoscenze sul Programmatic advertising. Il sito
Programmatic-Italia.com viene aggiornato quotidianamente con notizie, interviste e approfondimenti verticali
dall'Italia e dall'estero. Il tutto con l'obiettivo non solo di informare, ma anche di "dare un senso" a ciò che
accade, contribuendo alla crescita del mercato e ad una sempre maggiore diusione della "automation
culture". Accanto al sito, la proposta editoriale di Programmatic-Italia è completata da una newsletter
settimanale e da un magazine cartaceo distribuito ai principali eventi di settore. +120% la CResCIta del
PRogRammatIC adv In ItalIa nel 2014 21 mld Il valoRe globale del PRogRammatIC nel 2014 (dollaRI)
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La novità: Programmatic Italia
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Zodiak Advertising non solo programmatic
Il ceo della struttura, nicola drago, ha analizzato per noi i driver che guideranno la crescita della
comunicazione online, identificando in ad-tech, mobile e video i tre grandi fattori di sviluppo per il settore
«La diusione e l'ampliamento del numero di device, la disponibilità di nuovi formati adv e obiettivi di ecienza e
sicurezza, spingeranno ancora più gli advertiser verso la nuova modalità di acquisto rappresentata dal
programmatic». Prende il via da questa considerazione l'analisi di quanto attende la comunicazione online in
questo neonato 2015 operata per Engage da Nicola Drago, ceo di Zodiak Advertising, struttura pioniera in
ambito rtb e programmatic e oggi piattaforma Sell Side leader in Italia e in Spagna. «I numeri presentati a
IAB Forum - aggiunge il ceo - hanno confermato che con una crescita dei volumi pari al 120%, lo scorso
anno, la quota programmatic rispetto al totale del display advertising è stata del 10%. Questa quota secondo
le stime salirà a livello globale al 50% entro il 2017. Il programmatic continuerà quindi a sottrarre quota alle
vendite dirette, anche più rapidamente del previsto». Ma il programmatic non sarà l'unico protagonista del
nuovo anno secondo Drago: «Il mobile comincerà ad attirare veramente l'attenzione degli advertiser, a patto
che si riescano a trovare soluzioni rispetto a qualità dell'inventory, possibilità di targetizzazione,
coordinamento e limiti di frequenza cross-device. Anche il video, cresciuto del 25% nel 2014 rispetto all'anno
precedente, confermerà il trend positivo. In pratica i tre fattori che hanno rappresentato i driver della crescita
degli investimenti pubblicitari online in Italia nel 2014, si confermeranno tali anche per il 2015». anche rispetto
a quanto detto, state studiando lanci o comunque novità particolari? Il nostro prodotto vedrà delle release e
degli aggiornamenti importanti nel corso dei primi mesi del 2015. Abbiamo già pianificato il lancio a gennaio
del sistema per la gestione autonoma della qualità degli inserzionisti (Ad Quality) e a febbraio del tool per la
gestione dei oor price. Il nostro obiettivo è facilitare il lavoro dei nostri publisher nelle attività operative anché
possano concentrarsi sulle attività a valore aggiunto. Come azienda, inoltre, consolideremo la nostra
posizione di leadership in Italia, cresceremo in Spagna - sulla scorta dei successi conseguiti negli ultimi 18
mesi - con l'insediamento già a partire da gennaio di un country manager, che nello specifico è Mikel Lekaroz,
ex managing director Hi Media e presidente IAB Spagna, e probabilmente apriremo una nostra sede in un
altro paese nel corso dell'anno. Qual è stata l'attività più premiante per voi nel 2014? L'introduzione di tool
proprietari di ottimizzazione e contestualizzazione che hanno consentito ai nostri publisher di aumentare il
rendimenti per singola impression. Anche l'ampliamento dell'oerta con la soluzione video e il deal manager ha
attratto nuovi investimenti, con importanti benefici per la redditività dei nostri publisher. Zodiak Advertising è
più di un SSP "pura" e la nostra performance 2014 lo ha dimostrato. a proposito della performance 2014,
come avete chiuso lo scorso anno e quali obiettivi vi siete posti per il 2015? Nel 2014 siamo cresciuti a
doppia cifra rispetto all'anno precedente e i dati Q4 2014 e i primi giorni di gennaio 2015 ci proiettano ben
oltre i 10 milioni di ricavi nel 2015. I principali driver di crescita saranno: aumento della quota Programmatic
vs Diretta per i publisher attuali, innalzamento di CPM e Fill rate, crescita del numero di publisher partner, sia
in Italia che nei nuovi Paesi.
Foto: VISIOnE Nicola Drago, ceo di Zodiak Advertising (in foto), condivide con noi non solo la propria vision
sul mercato, ma anche quella che guiderà la struttura verso un'ulteriore espansione
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focus
16/01/2015
360com
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Avere successo è una questione di misura
la soluzione è sTaTa sviluppaTa da inTargeT group in parTnership con coreanalyTics, socieTà di consulenza
specializzaTa nella misurazione del roi economico dell'adv on e offline e del markeTing mix su vendiTe e
alTre meTriche di business La novità è di quelle importanti: In Target Group lancia la metodologia
Multichannel Analytics. E lo fa dopo una chiusura d'ano che i vertici della società tratteggiano in toni
senz'altro positivi. «Abbiamo chiuso il 2014 con una crescita che dovrebbe attestarsi intorno al 20% su un
2013 che già era stato positivo. In particolare, abbiamo registrato un forte incremento della profittabilità
dell'azienda rispetto allo scorso anno». Nicola Tanzini, presidente di InTarget Group, racconta così l'annata
della società specializzata in soluzioni integrate per il business digitale. «Ben più di un anno fa - aerma il
manager - abbiamo avviato un percorso che oggi ci ha portato a essere riconosciuti come un'agenzia
specializzata in performance marketing, in grado di muoversi a 360 gradi sul mercato. Una strategia
premiante, e lo confermano i tanti clienti che ci hanno rinnovato la fiducia, con i quali abbiamo spesso
ampliato le aree di collaborazione, e il new business. Abbiamo lavorato anche per promuovere la cultura del
web analytics presso le aziende. Oggi il dato rappresenta un driver di valore strategico per ogni marca in
grado di rispondere al bisogno di ridurre la dispersione degli investimenti in comunicazione». E in questa
direzione va la metodologia Multichannel Analytics, già anticipata da In Target Group nel corso dell'ultima
edizione di Iab Forum. Multichannel Analytics è una metodologia sviluppata da InTarget Group in partnership
con CoreAnalytics, società di consulenza specializzata nella misurazione del Roi economico dell'adv on e
ofine e del marketing mix su vendite e altre metriche di business. Questo sistema di analisi consente a brand
e aziende che investono non solo in attività digital di misurare concretamente l'apporto che le diverse leve di
comunicazione hanno su un percorso di conversione anche quando quest'ultimo si conclude oine. «Le
metriche digital classiche ci aiutano fino a un certo punto - spiega Tommaso Galli, managing director di
InTarget Intelligence -. Non sono in grado, ad esempio, di dirci l'eettiva incidenza che una campagna online
ha sui risultati di marca. Questo approccio all'analisi dei dati, invece, ci restituisce una fotografia dettagliata
del Roi delle attività digital e di tutte le altre leve coinvolte, permettendo di analizzare l'eettiva ecacia in termini
di vendite di ognuna di esse. Grazie all'applicazione di questa metodologia è possibile, ad esempio, misurare
quante entrate sono state determinate dagli investimenti sul canale digital e quanto hanno inuito in termini
percentuali sul risultato globale. Un quadro analitico dalla grande valenza strategica per brand e aziende in
quanto appresenta il punto di partenza per le successive proiezioni su investimenti futuri e risultati attesi». Il
processo si articola in tre step. «Prima di tutto - aerma Galli - è necessario definire gli obiettivi di misurazione.
Il secondo passo implica la raccolta dei dati su più anni. Così diamo vita a una matrice che incrocia dati di
business, investimenti media oine, investimenti media online e dati di mercato su base settimanale. Partendo
da questi numeri è possibile costruire un modello statistico capace di mettere in correlazione i diversi aspetti
della strategia aziendale». Questo modello di analisi consente alle aziende di "misurare" concretamente
l'ecacia del digital all'interno del media mix. «Bastano piccoli spostamenti nelle allocazioni del budget per
produrre sensibili incrementi delle vendite - conclude il manager -. Gli investitori raccolgono tanti dati, li
accumulano, ma spesso non si rendono conto di avere a disposizione una miniera d'oro». Al lavoro per Yves
Rocher Intanto, il gruppo Yves Rocher Italia, fortemente impegnato a valorizzare il proprio asset digital, ha
deciso di recente di affidarsi proprio a InTarget Group. Il gruppo leader nel settore dei cosmetici e dei prodotti
di bellezza naturali ha individuato nell'agenzia un partner strategico per aumentare la brand awarness e
coinvolgere i consumatori attraverso i ca nali digital del marchio, nello specifico il sito web e You Tube.
L'incarico vede il coinvolgimento di due unit - InTarget.Net e InTarget Intelligence - che hanno elaborato per il
cliente un piano di azione che integra le leve della Seo e della Web Analytics. Il piano prevede
l'ottimizzazione dell'architettura informativa e dei contenuti, al fine di massimizzare la visibilità sul web delle
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il gruppo guidaTo da nicola Tanzini lancia la meTodologia mulTichannel analyTics
16/01/2015
360com
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digital properties di Yves Rocher Italia. Successivamente si procederà all'elaborazione di una content strategy
volta a presi diare i principali ambiti semantici relativi all'industry del marchio con chiavi strategiche e di long
tail. «Grazie all'integrazione delle best practice di search intelligence e Seo copywriting con le attività di
pianificazione e produzione editoriale - aerma Giorgio Volpe, Managing Director di InTarget.Net - è possibile
sviluppare un parco contenuti perfettamente in linea con le esigenze formative manifestate dall'utenza nei
motori di ricerca, consentendo al cliente di sfruttare la search come driver di traco altamente qualificato. Si
tratta di un modello elaborato per l'editoria già applicato con successo anche ai nostri clienti del settore
beauty». L'andamento delle performance raggiunte viene monitorato con le attività di web analytics. La unit
InTarget Intelligence si occuperà, infatti, del setting avanzato di Google Analytics e aancherà il cliente in tutta
la fase di analisi. Questo approccio data-driven consente di analizzare i dati relativi ai risultati ottenuti e
individuare elementi utili all'anamento della strategia in corso.
15/01/2015
ADV Express
Sito Web
Più controllo nelle pianificazioni da parte dei brand; Progressi nella lotta anti- frodi e nella viewability;
integrazione dei sistemi di misurazione offline e online; Realtà Cross- Device; il Programmatic mobile.
Queste le cinque tendenze delineate sulla stampa estera da Martin Kelly, chief executive e co-founder di
Infectious Media, che sostiene come il 2015 sarà l'anno dell'esplosione del programmatic, soprattutto in
ambito mobile. Il Programmatic nel 2015 uscirà dalla sua nicchia e diventerà una risposta fissa agli obiettivi
legati all'advertising digitale degli operatori marketing. Lo sostiene Martin Kelly, chief executive e co-founder,
di Infectious Media, che sulla stampa estera mette in evidenza cinque trend del programmatic da tenere ben
presenti da parte di chi opera nell'industry della comunicazione. Il manager sottolinea come il 2014 sia stato
l'anno dell'esplosione del Programmatic ed è cresciuto il numero di grandi brand che hanno deciso di
investire in questo marketplace. In Uk addirittura il Programmatic ha raggiunto il miliardo di sterline,
esattamente il doppio di quanto valeva nel 2013. E la crescita di questo strumento ha trainato la corsa del
display adv, così come del search adv. Ecco cosa accadrà quest'anno: 1. I brand acquisiranno più controllo
Molti marchi non intendono occuparsi direttamente del buying in tv e in generale delle attività di programmatic
buying. Ma crescono la loro esigenza e la richiesta di controllo e questo li spingerà a farsi coinvolgere nelle
nuove modalità 'tecnologiche' di acquisto media e nella gestione dei dati. Le company favorevoli a lavorare
con un ampio range di piattaforme programmatiche dimostreranno di essere i partner più attrattivi per i brand.
2. Progressi nelle frodi e nella viewability L'intera industry sa che frodi e la visibilità efficace online sono due
delle questioni prioritarie da affrontare Nel 2015 sono attesi nuovi accordi e misure, soprattutto da parte di
IAB e ISBA, che possano intervenire efficacemente per evitare i rischi connessi soprattutto alle frodi e al loro
impatto negativo sulla crescita dell'industry. 3. L'integrazione delle misurazioni offline e online Un Sacro Graal
del marketing online è sempre stato quello di unire la misurazione di quanto avviene in rete con quanto
succede fuori dal mondo digitale, nello spazio fisico degli store dove vivono molti marchi. Nel 2015 questo
tipo di strumenti diventerà realtà. 4. Realtà Cross- Device Quest'anno ci si aspetta che Google e Facebook
rendano disponibili per le misurazioni e per le attività di buying i dati riguardanti i loro utenti cross- device.
Dati importanti per creare efficaci sistemi di adv crossmediale che non potranno passare inosservati ai brand
più attenti. 5. Programmatic mobile Secondo IAB, più del 30% dell'ad spending in programmatic è stato sul
mobile nel 2014, trainato soprattutto dal business legato al download delle app. Grazie al nuovo scenario
multipiattaforma, il mercato del mobile programmatic crescerà continuamente, guidato da un panel di
investitori che credono nei nuovi sistemi di misurazione multidevice e soprattutto nei nuovi canali digitali. EC
IAB ITALIA - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
5 trend nel programmatic fondamentali per gli operatori di marketing
ADVERTISING ONLINE
34 articoli
18/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Adeguare le norme della Tv al mercato e al web »
Marco Mele
ROMA
Due indagini conoscitive per segnalare a Governo e Parlamento la necessità di rivedere le regole del settore
televisivo. Nelle conclusioni della prima, quella sulla "Tv 2.0", l'Agcom sottolinea quale aspetto più importante
«le asimmetrie normative tra operatori televisivi e servizi Internet».
Il passaggio alla televisione connessa alla Rete mette in dubbio alcune «decisioni essenziali prese nel quadro
della Regolamentazione del settore». La direttiva europea sui servizi media audiovisivi (2007/65/CE), ad
esempio, ha «semplificato il quadro normativo per i servizi lineari (come le tv terrestri, ndr.) e introdotto norme
minime per i servizi non lineari in materia di tutela dei minori, di prevenzione all'odio razziale, di divieto di
pubblicità occulta e di pubblicità». Ora, però, con il processo di convergenza in atto si ha «un incremento del
grado di concorrenza tra servizi lineari e non lineari».
La modifica strutturale della programmazione televisiva, con la progressiva integrazione tra broadcast
televisivo e banda larga, «rende obsoleta la tradizionale distinzione tra servizi lineari e non». In altre parole,
riflette il commissario dell'Agcom, Antonio Martusciello, aumenta la concorrenza e la sostituibilità tra i servizi
della tv tradizionale e quelli offerta via Internet. Ciò che è rigidamente vietato nelle trasmissioni dei
broadcaster è invece consentito su Internet.
L'indagine sintetizza il regime di regole applicate attualmente, differenziate a seconda della tipologia del
servizio tra servizi lineari, servizi non lineari come il video-on-demand e gli operatori su Internet (gli Ott, overthe-top television).
Un'altra conclusione dell'indagine conoscitiva riguarda l'interoperabilità dei servizi: le piattaforme digitali
«dovrebbero operare sulla base di standard aperti e interoperabili». In caso contrario, lo sviluppo di
"interfacce proprietarie" da parte dei costruttori (di hardware) pone problemi potenziali. L'utente potrebbe
essere confinato in un walled-garden, un giardino chiuso «che ne limiti artatamente le scelte». Un rischio è
che un televisore comprato in Italia «mostrerebbe funzionalità diverse da un identico apparecchio acquistato
in Finlandia, senza possibilità per l'utente di apporre modifiche».
Attenzione dell'Agcom anche alle guide d'utente incorporate dai produttori di tvcolor: possono «limitare
automaticamente o di default le impostazioni utili ai broadcaster», rendendo anonimo il loro brand o
eliminando la loro pubblicità. Conclusione: va sviluppato un quadro regolamentare per la tv connessa,
garantendo, come richiesto dal Parlamento europeo, «accesso e mantenimento dell'integrità dei
broadcaster».
Allo stesso tempo, con un'altra delibera sempre approvata il 13 gennaio, l'Agcom ha avviato un'indagine
conoscitiva sul settore della produzione audiovisiva. Il settore televisivo si caratterizza per la presenza «di un
numero maggiore di soggetti» rispetto all'introduzione della normativa europea sulle quote di
programmazione e di investimento. L'offerta lineare compete con quella non lineare, alla quale partecipano
soggetti con dimensione globale. Un questionario sarà inoltrato agli operatori del settore. Verrà articolato in
quattro aree: la creazione delle opere audiovisive; l'offerta di prodotto; la domanda di prodotto; le
considerazioni sul mutamento di scenario.
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ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Media. Secondo un'indagine Agcom esiste troppa disparità fra broadcaster tradizionali e nuovi operatori
18/01/2015
Il Sole 24 Ore - Nova 24
Pag. 14
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Le acquisizioni chiave nel mercato dello spot
di Giuditta Mosca
roma . L'acquisto da parte di Facebook di Wit.ai è destinato a rivoluzionare il mondo della pubblicità e non di
certo per replicare Siri o i diversi sistemi adottati da Google. Si apre un mondo in cui gli inserzionisti possono
fare apparire su display e monitor pubblicità mirate a fronte delle richieste degli utenti. Ma non c'è solo
Zuckerberg sulla palla dell'advertising online. Ecco le operazioni più grosse e significative sul fronte dello spot
online da parte dei grandi big della rete.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Startup
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Il premier: spot Rai sul blog di Grillo Fico: sono finiti lì indirettamente
ROMA. Matteo Renzi accusa il sito di Beppe Grillo di aver preso soldi dalla Rai. Lo fa durante la direzione Pd:
«Immaginate cosa sarebbe successo se avessero dato soldi a noi...», ha detto il premier. Per poi invitare i 5
stelle a «stare al tavolo del Quirinale».
«Devono scegliere se essere nelle mani di quelli che vogliono impiccare gli altri o parte del gioco
istituzionale», ha spiegato.
«Faremo anche senza di loro, ma spero che potremo fare con loro. Ci sono persone che possono dare una
mano al Paese». A rispondergli, sulla vicenda dei soldi al blog, è il presidente della Vigilanza Rai - e membro
del direttorio M5S - Roberto Fico, che ha riportato su Facebook la risposta inviata proprio dalla Rai in
commissione dopo un'interrogazione della deputata pd Lorenza Bonaccorsi: «La Rai non ha acquistato
direttamente spazi sul sito di Beppe Grillo, è stato utilizzato il servizio di advertising di Google, che inserisce
autonomamente spazi pubblicitari all'interno delle pagine di ricerca di Google o all'interno di siti web che
ospitano la pubblicità. La Rai ha già provveduto a fornire indicazioni correttive a Google per evitare che si
ripetano episodi di questo tipo, anche se di modeste entità».
«Trasparenza sempre», ha concluso Fico.
Mentre Carlo Sibilia - un altro esponente del direttorio - ha parlato di strumentalizzazione da parte del
premier e fonti vicine ai vertici si sono limitate a commentare: «L'attacco di Renzi è la prova di quanto sia
nervoso».
Foto: VIGILANZA RAI Roberto Fico è deputato del M5S e presidente della Vigilanza Rai
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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LA POLEMICA/ RENZI: SONO SENZA PAROLE
18/01/2015
La Repubblica - Genova
Pag. 9
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Youtuber, passione che diventa un mestiere "Con i video guadagno 2mila
euro al mese"
VALENTINA EVELLI
DALLE spiagge di Santa Margherita al mondo virtuale di You Tube. Non da solo, con 232.234 iscritti e più di
15 milioni di visualizzazioni per i video che Anima, youtuber genovese, carica on line quotidianamente.
Numeri da far girare la testa per un mondo pressoché sconosciuto agli adulti ma pane quotidiano peri nativi
digitali, teenagers che sanno sfruttare la rete a loro uso e consumo.
Anima, all'anagrafe Sascha Burci, 24 anni di Lavagna, la passione per il web l'ha trasformata in un vero e
proprio lavoro, a tempo pieno. Il suo canale You Tube "GODz Anima", dove carica filmati ironici, divertenti e
tutorial per video game in pochi anni ha conquistato migliaia di followers (seguaci) che lo seguono su tutte le
piattaforme social. «Solo nell'ultimo anno sono riuscito a trasformare questa passione in una vera professione
racconta Sacha che per anni ha lavorato come cameriere, gelataio e bagnino nella riviera ligure - Ho seguito
una moda partita dagli Stati Uniti anni fa, quando in Italia nessuno parlava ancora di youtubers mentre oggi si
trovano clip e tutorial di tutti i tipi».
Il guadagno? Dai mille ai duemila euro al mese, in base al numero di visualizzazioni: più clic si ricevono, più
si alza il potere di contrattazione con sponsor e pubblicità. Ma senza contatti diretti con il colosso You Tube .
«Ci sono network specializzati che fanno da tramite. Ci permettono di utilizzare, per esempio videogame,
senza aver problemi di diritti - continua a raccontare Sascha - E si contratta con loro la percentuale di
guadagno. Certo non si ci improvvisa youtubers, anche se negli ultimi tempi sono sempre di più i ragazzi che
puntano sulla rete per ottenere guadagni facili ma è un errore. Negli anni ho investito circa 10mila euro in
apparecchiature per migliorare la qualità dei filmati, ormai mi bastano 30 secondi per capire se il video è
realizzato da un dilettante o da un futuro competitor». Semplici clip amatoriali trasformati in video
professionali con fotocamere, luci e programmi di montaggio: Sascha ha modificato la sua camera in un
veroe proprio set. Otto ore di lavoro al giorno per non tralasciare alcun dettaglio e restare in contatto con i
suoi fans su tutte le piattaforme, da Facebook a Instagram, da Ask a Google Plus. «Cerco di assecondare le
loro richieste. Leggo i commenti per decidere quali video girare - spiega - Faccio una scaletta settimanale ma
nessuno controlla prima quello che pubblico». E poi ci sono le aziende che contattano direttamente le nuove
star della rete, per trasformarli in testimonial o gli inviti per festival e manifestazioni che permettono di
ampliare il pubblico in continua evoluzione.
E il futuro? Fra qualche anno Sascha spera di lavorare in tv, in radio o per qualche azienda di comunicazione
seguendo gli esempi di Jack Matano, che con i suoi scherzi telefonici è arrivato alle Iene o Faviji che per i
suoi video, è stato premiato da Google con il Golden Button. Youtube come una vetrina, un trampolino di
lancio per una carriera più ambiziosa.
Gli youtubers avanzano mentre gli adulti restano a guardare, da lontano, immobili davanti alla televisione
senza capire le potenzialità del web. «Forse anche loro avrebbero bisogno di un tutorial».
Sasha Burci, 24 anni, di Lavagna, ha 232mila iscritti e fa 15 milioni di visualizzazioni Faceva il bagnino e il
cameriere sogna di lavorare in radio o tv IN SCENA FENOMENO IN RETE Una pagina di Youtube con un
video realizzato da Sasha Burci
Foto: DAGLI STATES Burci ha importato (come altri ragazzi italiani) il mestiere di youtuber
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Tendenze
17/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Rai, polemiche per spot sul sito di Grillo
Matteo Renzi accusa: «La Rai ha dato denari al sito di Beppe Grillo, sono senza parole. Immaginate se la Rai
avesse dato soldi al sito del Pd...». La replica del dg Luigi Gubitosi: «Non ne so nulla, mi informerò». Più
loquace il grillino Roberto Fico, presidente dalla Vigilanza: «La Rai non ha acquistato direttamente spazi sul
sito di Grillo; è stato utilizzato il servizio di advertising di Google, che inserisce autonomamente spazi
pubblicitari all'interno delle pagine di ricerca o all'interno di siti web che ospitano la pubblicità».
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La denuncia del presidente del Consiglio
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 25
(diffusione:88538, tiratura:156000)
La privacy sterilizza i cookie di profilazione
ANTONIO CICCIA
Cookie di profi lazione vade retro. La possibilità di controllo occulto di chi naviga in Internet può essere
diminuito con le funzioni «do not track» e con l'opzione della navigazione anonima. Ma, in ogni caso, per
legge, i siti web devono avvisare che stanno lanciando cookie e devono avere il consenso dell'interessato per
marchiare il dispositivo (pc, smartphone, tablet) con cookie usati per raccogliere informazioni utili per l'invio di
messaggi pubblicitari mirati. Le dritte per muoversi con più consapevolezza in rete sono date dal garante
della privacy, che ha realizzato un video tutorial, disponibile sul sito www.garanteprivacy.it sia sul canale
YouTube dell'autorità. I cookie, si spiega nel video, sono informazioni mandate da un server a un dispositivo (
pc, smartphone, tablet). Il usso di informazioni è bilaterale: il server può leggere i cookie, che sono di due
categorie. Ci sono cookie buoni: sono quelli tecnici, utili per consentire una veloce navigazione o per
memorizzare il contenuto del carrello della spesa virtuale, o per mantenere l'impostazione della lingua del
sito, o ancora per semplificare lo svolgimento delle operazioni di home banking. Ma ci sono cookie di altro
genere, che servono in realtà a spiare l'utente. Sono i cookie di profi lazione, utilizzati per la registrazione di
informazioni su cosa compra o vorrebbe comprare la persona: un risultato che si può ottenere analizzando
letture, hobby, viaggi. I cookie di profi lazione offrono informazioni per personalizzare la pubblicità rispetto a
gusti, stili di vita preferenze. Il garante invita a fare attenzione se, quando ci si collega e si accede ad
esempio alla propria casella di webmail, non appaiano banner riguardanti gli ultimi acquisti fatti sul web. Sono
l'effetto dell'uso di cookie. C'è, poi, un'altra categoria di cookie, che si chiama cookie «terze parti». Sono
cookie ospitati su un sito, ma che sono lanciati da altri siti. Ad esempio se una pagina web presenta un
banner, questo banner può essere il veicolo di cookie. Il cookie «terze parti» è usato per la profi lazione
dell'utente e letteralmente invade la sfera privata raccogliendo moltissimi dati personali, anche di natura
sensibile. La normativa europea e quella italiana condizionano l'uso di cookie a una adeguata informativa e
alla raccolta del consenso preventivo. Il garante della privacy, con il provvedimento dell'8 maggio 2014, ha
stabilito che nell'home page del sito sia ben visibile un avviso informativo sull'uso di cookie di profi lazione, fi
nalizzati all'invio di pubblicità mirata, sulla presenza di cookie terze parti. Inoltre deve saltare agli occhi il link a
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video tutorial del garante ricorda che è possibile arginare i cookie terze parti, tecnicamente non indispensabili,
utilizzando la funzione do not track del browser, impostando la navigazione anonima. Il garante ha anche
potere di vigilanza e può bloccare e sanzionare chi non rispetta le regole. © Riproduzione riservata
Foto: Il video sul sito www.italiaoggi.it/ documenti
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Videoguida del Garante. I gestori dei siti devono avvisare
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 1
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Il gruppo di servizi digitali HiMedia ha acquisito il 100% di AdMoove, la società francese che opera nella
pubblicità mobile geolocalizzata. L'accordo prevede un pagamento iniziale di 2 milioni di euro cash, più un
possibile incremento in relazione alle performance della società nei prossimi anni. Con l'acquisizione,
HiMedia accelera il suo sviluppo in questo segmento di mercato in cui ha già clienti in Francia e nel Sud
Europa, come il Gruppo Le Monde, La Tribune, Seloger, Reworld Media, Webedia, Skyrock, Shazam,
ilfattoquotidiano.it, alfemminile.com e Viamichelin.it. Con il geotargeting è possibile inserire pubblicità nei
cellulari targetizzata sulla base del luogo in cui si trova l'utente sulla base delle esigenze dei retailer nazionali
e locali. Il network di AdMoove aggrega applicazioni e siti mobile tra cui quelli de L'Equipe, 20 Minutes, La
Chaine Meteo, Le Figaro e BFM TV. Tra gli inserzionisti Unibail, Volkswagen, Carrefour, Yves Rocher, Quick
e Mercedes. La società, vicina al break even, ha realizzato 1,7 milioni di euro di fatturato nel 2014,
registrando una crescita del 130%. AdMoove sarà guidata dai suoi fondatori Jérôme Leger e Julien
Chamussy che manterranno un completa autonomia operativa all'interno del gruppo. «Con la nostra
integrazione nel gruppo HiMedia, continueremo gli investimenti in R&D per mantenere la leadership
tecnologica», ha detto Julien Chamussy, marketing director e cofondatore di AdMoove. ® Riproduzione
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ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
HiMedia compra AdMoove per espandersi nel mobile advertising
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 4
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Nytimes a caccia di lettori digitali
Tra native advertising e infografi che per raccontare le storie
ALESSIO ODINI
Gli abbonati del New York Times non crescono più e allora il quotidiano studia nuove strade online per
attirare più lettori e macinare più fatturato. Tra i progetti allo studio c'è Upshot per la pubblicità nativa, Nyt
Now l'applicazione a pagamento dedicati ai lettori più giovani e i contenuti video. Il quotidiano statunitense ha
potuto contare negli anni più forti della crisi sugli investimenti del miliardario messicano Carlos Slim, diventato
primo azionista del gruppo (vedere ItaliaOggi di ieri), grazie ai quali ha iniziato il risanamento dei conti,
lanciato un modello di news online a pagamento e iniziato appunto a sviluppare nuovi prodotti digitali. Proprio
i nuovi servizi offerti ai lettori sono quelli su cui vengono riposte le attese maggiori in termini di traffi co e ricavi
pubblicitari, dal momento che il numero degli abbonati digitali ha cominciato a stabilizzarsi a quota 875 mila
(dato del terzo trimestre 2014). Il fatturato da abbonamenti è sui 43 milioni di dollari (pari a 37 milioni di euro),
ma non basta. Per questo, fra le novità introdotte lo scorso anno, ad aprile è apparsa Upshot, una sezione
che il Nytimes dedica alla spiegazione dell'attualità, della politica e di altri ambiti come il benessere e
l'economia, attraverso contributi giornalistici interattivi, analisi e infografi che. Upshot, che vuole colmare il
vuoto del blog di Nate Silver, l'analista passato a Espn capace di attirare il 20% del traffico verso il portale del
Nytimes nei momenti topici come le elezioni presidenziali, non ha lo stesso richiamo del predecessore, ma
quattro delle sue storie sono arrivate nella top 20 degli articoli più popolari del giornale nel 2014 e i suoi lettori
sono mediamente più giovani. C'è dunque un potenziale da valorizzare, specie dal punto di vista della
raccolta pubblicitaria. Come osserva Adage.com, sito specializzato in media e pubblicità, i banner che
appaiono su Upshot sono ancora molto a buon mercato, mentre non sono stati ancora introdotti i post a
pagamento, cioè la pubblicità nativa che assomiglia molto ai vecchi publiredazionali. Il posizionamento di
Upshot, con la sua vocazione divulgativa e spesso divertente, è compatibile con questa forma di
comunicazione commerciale e potrebbe cavalcare la novità del native advertising. Mentre la pubblicità su
carta è scesa ancora del 5,3% nel terzo trimestre dell'anno, quella digitale è in forte rialzo, grazie in
particolare alla pubblicità nativa, tanto da pareggiare quasi del tutto il calo sul fronte cartaceo (-0,1% è il dato
della raccolta complessiva). Il pubblico digitale, inoltre, è più giovane e iniziative come Upshot e Nty Now
possono servire da rampa di lancio per futuri abbonamenti all'edizione integrale del giornale. Parallelamente, i
contenuti video e i prodotti grafi ci accresceranno il loro peso nell'economia del quotidiano della Grande mela.
Le infografi che, in particolare, sono funzionali alla spiegazione delle storie e non di rado gli articoli nascono
attorno a mappe e dati statistici spiegati ai lettori. «C'è evidentemente una larga audience per il giornalismo
calato nella realtà», ha dichiarato ad Adage David Leonhardt, responsabile editoriale di Upshot. «Puoi
scrivere di povertà, diseguaglianza e dieta e salute e attrarre molti lettori. Ma siamo contenti di aver realizzato
anche pezzi che volevano essere apertamente divertenti», peraltro incontrando il favore del pubblico, abituato
a leggere online selezioni di notizie molto eterogenee, oppure incuriositi da nuove forme di narrazione. Va in
questa direzione anche l'impiego dei droni, in base al recente accordo che lega fra gli altri Nytimes,
Associated Press e altre testate a Virginia Tech. © Riproduzione riservata
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Il quotidiano statunitense tenta nuove strade per ridare slancio agli abbonamenti
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
Pag. 32
(diffusione:581000)
Pubblicità , quante idee da quel gruppo di amici
L'AGENZIA DNSEE, NATA POCHI ANNI FA A ROMA, CONQUISTA UN POSTO DI RILIEVO NEL
MERCATO PUNTANDO TUTTO SUL WEB
Eleonora Mariotti
La scommessa di Dnsee, nata a Roma quasi per gioco tra amici appassionati di Internet a fine anni '90 e
diventata una web agency di successo, è l'innovazione: «Ci orientiamo verso una comunicazione che non si
limita a declinare vecchi contenuti nei canali digitali ma ne inventa continuamente di nuovi», dice l'ad
Sebastiano Rocca. La Dnsee è un'agenzia di comunicazione che fornisce leve di business con consulenze e
realizzazioni di applicazioni o portali web. L'agenzia è arrivata seconda all'ultima edizione della Deloitte
Technology Fast 500, classifica dell'hi-tech che premia le aziende che in Europa registrano la maggior
crescita degli ultimi cinque anni. Fondata da Andrea Denaro e Marco Massarotto, imprenditori del digitale,
riunisce talenti con un costante scouting tra le eccellenze universitarie grazie ad accordi con i principali
atenei. Negli ultimi due anni è cresciuta con incorporazioni: Banzai Consulting (ramo di consulenza del
gruppo di ecommerce) e Hagakure, agenzia di social media e digital public relation . Dnsee conta su 240
professionisti fra Roma, Milano, Torino e Modena, con un'età media di 33 anni. Fattura 24 milioni e ha clienti
come Eni (per cui ha curato il progetto di car sharing Enjoy), Fiat, Ferrari, L'Oreal, Ferrero. Ha portato l'Eni sul
podio della Webranking by Comprend , classifica che premia la migliore comunicazione online. Dnsee è stata
la prima a vendere all'asta un'auto su Twitter, a organizzare un Ice Bucket Challenge per un'auto, a
trasformare la Fiat 500 in un personaggio che ha partecipato a un concorso sui social network. Quando si
dice la creatività.
Foto: Sebastiano Rocca , amministratore delegato di Dnsee
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
[ IL CASO ]
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
Pag. 33
(diffusione:581000)
LOCALITÀ, PAROLE CHIAVE, CLICK, PAGINE VISTE. OGNI UTENTE LASCIA DIETRO SI DÉ CENTINAIA
DI TRACCE, PER MILIONI DI VISITATORI: UNA MINIERA DI DATI. MA PER TRASFORMARLI IN VALORE
CI VUOLE UNA STRATEGIA CHE SOLO QUESTI DIRIGENTI CONOSCONO
Filippo Santelli
Località Parole chiave, click, pagine viste. Ogni utente di Jobrapido, tra i maggiori portali per la ricerca di
lavoro, lascia dietro di sé delle tracce. Centinaia di impronte, per milioni di visitatori: una miniera di dati. Per
trasformarli in valore però ci voleva una strategia: «Stabilire quali elementi raccogliere, con che frequenza, e
soprattutto cosa farne», spiega il 32enne Davide Conforti, direttore della business intelligence della società
milanese, oggi di proprietà del fondo californiano Stg. Da due anni è lui il responsabile del data warehouse ,
l'archivio di 15 terabyte, in continua crescita, dove vengono registrati e elaborati i dati di chi naviga sul sito:
«Lo usiamo per sviluppare il prodotto, per migliorare l'esperienza utente». Modificare il carattere di una scritta
o il layout di una pagina per far impennare il numero di click. Comprare una pubblicità online, calcolando al
centesimo il ritorno atteso. Così importante che nella piramide aziendale Conforti, un passato da consulente
strategico, risponde direttamente all'amministratore delegato. «Non puoi gestire ciò che non misuri»,
sintetizzano due guru dell'economia digitale, Andrew McAfee e Erik Brynjolfsson. Ecco perché i big data e la
business intelligence , la possibilità di raccogliere e processare moli di input fino a ieri impossibili da mettere
in fila, sono una rivoluzione per il management. Più informazioni uguale migliore c o n o s c e n z a d e l l ' a z
i e n d a . Uguale decisioni più accurate: il terzo di imprese americane che applica questi strumenti è del 5%
più produttivo e del 6% più profittevole. Nel 2014, secondo l'Osservatorio del Politecnico di Milano, le società
italiane hanno incrementato il relativo budget del 25%. Ma appena una su tre, qui il ritardo, ha sperimentato le
forme più avanzate di analisi, quelle che permettono il grande salto dalla descrizione alla predizione, dal
passato al futuro atteso: «Più che di tecnologia - spiega il responsabile della ricerca Alessandro Piva - i limiti
sono nelle competenze». Il data scientist, gran maestro degli algoritmi, «la professione più sexy del secolo»
secondo la Harvard Business Review, è presente solo nel 13% delle nostre aziende. Un Chief data officer,
stratega dell'informazione, solo nel 17%. Spesso senza una collocazione definita. «Negli ultimi tempi
riceviamo più richieste per big data manager», conferma Manuela Tagliani, 42 anni, dirigente della società di
reclutamento Technical Hunter. Profili difficili da reperire, «perché devono combinare la conoscenza tecnica
del dato e la capacità di dialogare con il business». Laureati in matematica, informatica o ingegneria
gestionale dunque, purché con una solida esperienza di azienda. «Dove si trovano? Nelle società di
consulenza It, oppure tra i dirigenti delle imprese digitali, per esempio gli e-commerce». Finora la principale
applicazione dell'analitica avanzata è stata proprio nel rapporto con il cliente, marketing e vendite: «Tre anni
fa abbiamo avviato un programma di social intelligence , di ascolto della Rete», racconta Gianluca
Giovannetti, 47 anni, direttore dei sistemi informativi e dell'organizzazione di Amadori, un ruolo ibrido tra
tecnologia e processo. «È come avere a disposizione sondaggi in tempo reale - continua - che usiamo per
iniziative legate al brand oppure per anticipare nuove tendenze di consumo». L'idea è di estendere nel corso
dell'anno la business analytics anche all'ottimizzazione degli acquisti: «Credo che procedere passo dopo
passo sia la strategia giusta per assicurarsi ritorni effettivi». Molte aziende italiane hanno lo stesso, cauto,
approccio. Si comincia appoggiandosi a consulenti esterni: i nomi noti di Capgemini, Accenture, Oracle e
Sap, oppure piccole ma iperspecializzate startup della Silicon Valley, come ha fatto Enel. Fabio Veronese, 48
anni, responsabile globale Ict solution center della società, descrive alcuni dei progetti che andranno a regime
nei prossimi mesi. «L'analisi dei dati di rete, incrociando quelli dei contatori elettronici e quelli relativi a
disservizi e lavori, ci permette di individuare con più efficacia i casi di frode. La predictive maintenance
migliora la nostra capacità, finora basta solo sull'esperienza dei tecnici, di predire i guasti agli impianti». Dati
interni combinati con input esterni, come quelli relativi al meteo: un caso ancora raro in Italia. Nel frattempo
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Aziende a caccia di "data manager"
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
Pag. 33
(diffusione:581000)
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Enel sta formando al suo interno un gruppo di esperti, con profili a cavallo tra informatica e business.
Toccherà a loro mediare tra le esigenze della struttura e i fornitori di tecnologie, in un modello «open», aperto
alla collaborazione con università e aziende It. Poche società infatti hanno del tutto internalizzato la gestione
dei dati, nonostante quasi tutte li riconoscano come una risorsa decisiva. Neppure le banche, spiega il
responsabile Global Ict di Unicredit Massimo Messina: «Le tecnologie evolvono veloci, ha senso formare e
tenere in casa quelle strategiche e guardare fuori per quelle più specifiche». Analisi dei social network e
marketing mirato: le applicazioni sperimentate dall'istituto sono ormai classiche. Ma secondo Messina il passo
successivo, norme sulla privacy permettendo, sarà integrare le informazioni relative alla vita quotidiana del
cliente: «Incrociando i dati del conto corrente con le tessera fedeltà dei negozi, le spese per l'auto o quelle
per la scuola dei figli potremmo offrire servizi vantaggiosi. Dire al cliente, con il suo consenso, cose che
ancora non sa: è questa la frontiera». WWW.OSSERVATORI.NET S.DI MEO [ I PROTAGONISTI ] A sinistra,
Gianluca Giovannetti (1), direttore Sistemi Informativi e Organizzazione di Amadori; Manuela Tagliani (2),
manager di Technical Hunters e Giovanni Pepicelli (3), responsabile Innovation and Big Data Analysis di Enel
Foto: Nei grafici, la scarsa presenza dei data manager nelle aziende e le cause del mancato utilizzo di tutti i
dati
19/01/2015
Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
Pag. 15
Amazon Attento Jeff, l'eterno rivale è di nuovo in Rete
Marc Loure lancia Jet.com: uno shopping club. Vuole Infastidire la corazzata dell' ecommerce che intanto
ingaggia Woody Allen È un periodo difficile per il leader: terzo trimestre in rosso e quotazioni in forte calo
Maria teresa cometto
R iuscirà Davide, se non a sconfiggere, almeno a spaventare Golia? Già una volta c'era riuscito e ora molti
fanno il tifo per il secondo tentativo. Il Davide dell'high-tech si chiama Marc Lore, ha 43 anni, vive e lavora in
New Jersey. Il Golia che Lore si appresta a sfidare è Jeff Bezos, il cinquantenne fondatore e capo di
Amazon.com: un gigante in continua espansione, ma reduce da un anno difficile e in una fase critica della
sua evoluzione.
Gli esempi
Nel 2015 Amazon.com compie 21 anni e per Lore questo numero «porta bene»: il suo sogno infatti è
replicare online il modello Costco, la catena americana di ipermercati «all'ingrosso» dove per far la spesa
bisogna essere soci. E Costco è nata e si è affermata 21 anni dopo la fondazione di Walmart, il più grande
rivenditore al dettaglio nel mondo. Amazon.com spesso è stata paragonata proprio a Walmart per la sua
politica di bassi prezzi e grandi volumi. E se Costco ce l'ha fatta a diventare un'azienda da 60 miliardi di
capitalizzazione in Borsa con 55 milioni di soci in America nonostante l'onnipresenza di Walmart, Lore spera
di riuscire a sviluppare un'alternativa vincente a Bezos: lo «shopping club» Jet.com.
Il momento può essere propizio, sostiene Bloomberg/Businessweek che ha dedicato l'ultima copertina a
Lore, perché Amazon.com è impegnata su molti fronti e forse non avrà tempo e risorse per schiacciare subito
il nuovo concorrente.
L'esempio perfetto di quanto sia diversificato il campo d'azione di Bezos è stato l'annuncio, settimana scorsa,
di aver affidato a Woody Allen la creazione di una serie originale televisiva che sarà trasmessa via Internet
con Prime instant video, il servizio streaming di Amazon.com. È dal 2010 che Amazon produce contenuti tv
per attrarre e fidelizzare i clienti: la visione è gratuita per chi sottoscrive l'abbonamento prime (99 dollari negli
Usa) che garantisce la consegna in due giorni a casa della merce comprata online, senza spese di
spedizione, e dà accesso gratuito a una vasta gamma di film e telefilm. Le produzioni degli Amazon studios
hanno avuto riconoscimenti nell'ultima edizione dei Golden globes: la serie «Transparent» (una famiglia
californiana dove il padre si rivela transessuale) premiata come la miglior commedia tv e il Jeffrey Tambor
come il miglior attore di una serie non drammatica. Quanto il successo hollywoodiano possa contribuire
anche al fatturato e ai profitti di Amazon se lo chiedono gli azionisti, preoccupati per i risultati del terzo
trimestre 2014: 437 milioni di dollari le perdite nette, dovute in parte al flop dello smartphone Fire lanciato a
giugno e mai decollato. Com'è andato l'ultimo trimestre, con le vendite natalizie, lo si saprà il 29 gennaio.
Intanto in Borsa Amazon soffre: l'anno scorso le azioni hanno perso il 22%.
La storia
E ora spunta la nuova sfida di Lore, ex ragazzo prodigio dei numeri. Nato a Staten Island, New York, ma
cresciuto nel New Jersey, da teenager preferiva frequentare i casinò di Atlantic City dove vinceva a blackjack
con la tecnica del «contare le carte». La sua bravura in matematica l'ha poi applicata in finanza, dove ha
lavorato per qualche anno dopo la laurea in Business ed Economia alla Bucknell university. A fargli
abbandonare Wall Street è stato un incidente quando aveva 27 anni: una mattina è svenuto in ufficio per
eccesso di stress e ha deciso così di mettersi in proprio. La sua prima startup, fondata nel pieno della Internet
mania, si chiamava The Pit, un mercato online per scambiare pezzi sportivi da collezione: l'ha venduta nel
2001 alla Topps, dove è rimasto a lavorare fino al 2005 quando, insieme all'amico d'infanzia Vinit Bharara, ha
fondato 1800Diapers, un sito per vendere pannolini e altri prodotti per bambini. Il sito poi è diventato
Diapers.com, parte della società di eCommerce Quidsi, che è arrivata a fatturare 550 milioni di dollari e a
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Personaggi Chi è lo startupper del New Jersey che, dopo aver venduto Quidsi a Bezos, rilancia nelle vendite
via Internet con un nuovo progetto
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Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
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dare fastidio a Bezos. Tanto da scatenare una guerra dei prezzi, con Amazon che vendeva pannolini scontati
del 30% pur di soffocare il rivale. E c'è riuscita. Lore nel 2010 ha venduto Quidsi a Bezos per 550 milioni ed è
andato a lavorare un paio d'anni con Amazon, vincolato a una clausola di non concorrenza.
Appena libero, ecco Davide tornare all'attacco di Golia. La sua nuova startup si chiama Jet.com: uno
«shopping club» dove i soci pagano 49,99 dollari l'anno per comprare online qualsiasi prodotto ai prezzi più
bassi possibili. A vendere sono direttamente i commercianti; gli sconti sono frutto dei risparmi sui costi di
spedizione e intermediazione che Lore giura di saper realizzare, mentre i profitti di Jet.com vengono solo
dalle quote dei soci. Ci credono i venture capitalist che hanno già investito 80 milioni i in Jet.com mesi prima
del debutto ufficiale, previsto a marzo (Nea, Bain capital , Western technology e Accel partners). Golia per
ora ha altro a cui pensare. La buona notizia è che fra i due rivali vincono i consumatori.
@mtcometto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
propositi di Bezos per il 2015 1993 1999 Lavora nella finanza come risk manager presso Bankers Trust,
Credit Suisse First Boston 2010 Vende Quidsi ad Amazon.com per 550 milioni di dollari 2011 2013 Lavora in
Amazon.com 2014 Fonda il club Jet.com. La startup raccoglie 80 milioni di dollari di finanziamenti da diversi
investitori 2015 Il 20 febbraio partirà Jet.com "per amici e familiari". A marzo il club si aprirà al pubblico in
tutta l'America la quota annua è 49,99 dollari (i primi 6 mesi sono gratis) 2005 Con l'amico Vinit Bharara
fonda 1800Diapers*, (la più grande vendita online di prodotti per l'infanzia), parte della società di ecommerce
Quidsi *L'odierno Diapers.com - 22% - 44% - 80% 2014 2008 2000 «Shopping club» fondato da Marc Lore
nel 2014 per comprare online ai prezzi più bassi possibili com (il 5% in meno rispetto a quelli degli altri siti) 43
anni, originario di Staten Island, New York. Vive a Mountain Lakes, New Jersey, con la moglie Carolyn e le
figlie Sierra e Sophia. Laureato in Economics and Busines alla Bucknell University 50 anni, fondatore di
Amazon.com sposato, 4 figli Il valore delle sue azioni Amazon.com ammonta a: 26,1 miliardi di dollari 134,9 Il
valore in Borsa in miliardi 74,45 Il fatturato 2013 in miliardi 274 I profitti netti 2013 in milioni 117,3 I dipendenti
in migliaia Nuovi contenuti Tv: dopo due premi Golden Globe per lo show «Transparent»: nuova serie creata
da Woody Allen Tornare al profitto e rivalutarsi in Borsa Smartphone: ripensare alla strategia dopo il flop del
Fire Il sito ecommerce pronto a sfidare Amazon.com 1 2 3 4 Servizio Prime: continuare a far crescere gli
abbonati (99 dollari l'anno negli Usa con accesso a film e tv in streaming; 9,9 euro l'anno in Italia senza video)
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Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
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Web La democrazia è una firma online
Crescono e diventano sempre più influenti i siti per le petizioni via Internet Gates, Yang e altri big li
finanziano. Ma c'è un rischio: il peso degli sponsor
CHIARA SOTTOCORONA
Ristampare in 60 milioni di copie l'ultimo numero del settimanale Charlie Hebdo , colpito il 7 gennaio dai
terroristi islamici, firmato da Charb e dai vignettisti morti per la libertà d'espressione:«Perché ogni francese
possa averne uno». È questa la petizione lanciata su Change.org dal 7 gennaio e indirizzata a Le Monde ,
Liberation , all'editore Lagardère, a RadioFrance e France Télévisions. In cinque giorni ha raccolto 205 mila
firme. Di certo ha influenzato la decisione di fare uscire la rivista satirica, mercoledì scorso, con l'aiuto della
stampa francese, in tre milioni di copie (più due milioni il giorno dopo), tradotte in 16 lingue. Mentre la
mobilitazione mondiale di Parigi, domenica 11, ha dimostrato la capacità di reazione dei cittadini, i siti di
raccolta firme emergono come strumenti di democrazia.
I 25 milioni dalle star
«Stiamo costruendo il più grande network di persone impegnate nel cambiamento sociale, per dare a
ciascuno il potere di intervenire», sostiene Ben Rattray, 35 anni, fondatore e direttore di Change.org. Dopo
una doppia laurea a Stanford e alla London School of Economics, ha inventato nel 2007 un sito di blog che si
è trasformato dal 2011 nella più grande comunità mondiale di petizioni online: 81 milioni di aderenti in 196
Paesi, di cui tre milioni in Italia e 2,5 milioni in Francia. Già sostenuto finanziariamente da Pierre Omidyar,
fondatore di eBay, a metà dicembre Change.org ha raccolto fondi per 25 milioni di dollari da note personalità
del mondo tecnologico: da Bill Gates (Microsoft), a Jerry Yang (Yahoo), da Evan Williams (Twitter) a Jeff
Weiner (Linkedin), da Arianna Huffington ( Huffington Post ), a Richard Branson (Virgin Group). Il denaro
servirà a costruire strumenti per il dialogo tra cittadini e politici, ma anche a potenziare sia il flusso di notizie
sui dispositivi mobili, sia la geolocalizzazione, per dare più visibilità ad ogni petizione. «Crediamo che le
aziende possano essere un'enorme forza positiva per risolvere alcuni dei problemi più gravi del mondo», è il
commento di Rattray.
L'esempio italiano
Ma la rivista Wired ha catalogato ironicamente Rattray come il «Google della politica moderna», criticando
l'uso di campagne sponsorizzate e la profilazione degli utenti abbinata all'utilizzo del motore di
raccomandazioni, che altera il flusso spontaneo delle petizioni. Change.org non è, comunque, l'unico
esempio del fenomeno.
Dedicato alle battaglie civili e locali è il sito italiano Firmiamo.it, che ha dato nascita al network europeo Live
Petitions. In sette anni ha raccolto sei milioni di firme, la metà su cause nazionali, con una ventina di successi
dichiarati all'anno. Per esempio, 10 mila firme hanno bloccato i «vitalizi d'oro» la scorsa primavera alla
Provincia di Bolzano. «Il mondo può migliorare anche grazie al digitale e ai network sociali che sono in grado
di mobilitare l'opinione pubblica», ritiene Marco Camisani Calzolari, docente di Comunicazione e Linguaggi
digitali allo Iulm. Imprenditore e autore del libro «Fuga da Facebook», è il fondatore di Firmiamo.it. «Oggi
abbiamo due milioni di utenti attivi in Italia e mezzo milione in Francia - dice -. L'orientamento è più sociale e
culturale che politico». Per finanziarsi, il sito non disdegna le pubblicità, che rendono più visibili le petizioni, o
le campagne sponsorizzate, oltre a doni di organizzazioni cattoliche e non governative.
Gli impegnati
I cittadini più impegnati, però, preferiscono un'altra community: Aavaz («La voce», in persiano) che conta 40
milioni di aderenti nel mondo. Non accetta finanziamenti né da governi, né da aziende. «Il 100% del nostro
budget viene dalle piccole donazioni online dei nostri aderenti - dichiara -. Gli unici interessi e valori che
promuoviamo sono quelli dei nostri membri». Le raccolte di firme e fondi hanno permesso di far arrivare due
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Fenomeni Change.org ha contribuito a fare ristampare Charlie Hebdo. Live Petitions ha bloccato i vitalizi
d'oro a Bolzano
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Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
Pag. 16
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milioni di euro alle organizzazioni in prima linea contro Ebola, di salvare vite ad Haiti e in altri Paesi, di
ottenere vittorie per trattati internazionali. In dicembre una petizione in occasione del vertice Onu per
l'emergenza climatica ha raccolto 2,2 milioni di firme per «Un pianeta alimentato a energia pulita al 100%».
Ricken Pattel, il fondatore di Aavaz, è nato in Canada da padre indiano e madre inglese. Laureato in Scienze
politiche e Filosofia a Oxford e Harvard, si considera «un idealista pragmatico». Il suo credo? «Colmare il
divario tra il mondo che abbiamo e quello che la maggior parte dei popoli vorrebbe». La mobilitazione più
recente, lanciata anche in Italia, è per garantire il diritto alla scuola ai bambini del Pakistan, dopo il massacro
del 16 dicembre a Peshawar: «Un movimento di massa per dare loro un banco e dei libri anziché un'arma».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
www.change.org Washington e San Francisco. Presente in 196 Paesi 81 milioni, di cui 3 milioni in Italia
www.avaaz.org/it New York. Presente in 194 Paesi Oltre 40 milioni nel mondo Livepetitions Avaaz Change
Livepetitions.org firmiamo.it* Londra. Presente in 10 siti nazionali in Europa Oltre 1 milione e mezzo nella sola
Italia 25 milioni di dollari raccolti a dicembre da personalità del mondo tecnologico Milioni di piccole donazioni
online da parte degli aderenti Autofinanziato * Sito italiano Ben Rattray, 34 anni Ricken Patel, 37 anni Marco
Camisani Calzolari, 46 anni
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Brand News Today
Pag. 1
In arrivo i cartelloni pubblicitari in 3D, ma senza occhialini
A pag. 8 Conto alla rovescia per i cartelloni pubblicitari in 3D. Dopo aver invaso i cinema, la visione
tridimensionale si prepara a fare ingresso nelle piazze, grazie alla tecnologia descritta sulla rivista Optics
Express e messa a punto grazie alla collaborazione fra il Politecnico di Vienna e la start-up austriaca TriLite.
Secondo gli stessi ricercatori i primi cartelloni in 3D potrebbero essere sul mercato nel 2016. La tecnologia si
basa su un sistema di laser orientati in più direzioni in modo 'capillare', che permette di creare un effetto
tridimensionale senza bisogno di occhiali. Il segreto per creare le pubblicità che 'bucano' il cartellone è nel
Trixel (3D-Pixel), ossia 'punti' costituiti da una luce laser e uno specchietto mobile. "Lo specchio - ha spiegato
Ulrich Schmid, uno dei responsabili del progetto - dirige i raggi laser attraverso il campo visivo, da sinistra a
destra, e durante il movimento l'intensità del laser è modulato in modo che diversi laser flash mvengono
inviati in diverse direzioni". L'effetto 3D è visibile solo a un certo intervallo di distanze, altrimenti l'immagine
risulterà piatta, ma la tridimensionalita' è visibile a 360 gradi attorno al pannello e puo' essere 'sintonizzata' a
varie distanze. L'effetto è visibile anche in pieno sole e i cartelloni potrebbero visualizzare anche più di un
annuncio a seconda dell'angolazione da cui si osserva il cartellone. Nonostante si tratti finora solo di un
prototipo, i ricercatori si dicono convinti di aver superato tutte le difficoltà tecniche e che non esistono
problemi per scalare la tecnologia su grandi dimensioni.
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PUBBLICITÀESTERNA
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DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
giaComo Broggi
3Dopo pantone Universe ColorWear, l'agenzia aCqUisisCe, in segUito a Una ConsUltazione, Un altro
importante Cliente 3 dopo aver preso in gestione il social marketing di Pantone universe colorwear,
thegoodones ha annunciato l'ingresso di un nuovo cliente nella propria scuderia. si tratta di sodastream,
leader mondiale nella produzione di sistemi di gasatura per la casa, che ha affidato alla sigla le attività digitali
per il 2015. nel 2014 sodastream ha investito in web marketing 600mila euro. «L'incarico è stato assegnato in
seguito a una gara che si è svolta a dicembre e riguarda sia le attività social sia quelle di digital pr», ha
affermato a dailynet Marco Marozzi, fondatore e strategic planner di thegoodones. Più in dettaglio, gli obiettivi
di thegoodones sono quelli di incrementare la notorietà del brand e sostenere l'engagement online.
attualmente sodastream è on air con uno spot trasmesso sui canali televisivi nazionali, rai, Mediaset, cairo,
sky e discovery e in rete su Youtube e display advertising; i social media sono cruciali per offrire le giuste
informazioni sul prodotto e relativi benefici, e allo stesso tempo diffondere il passaparola positivo di coloro
che l'hanno provato. Petra schrott, direttore marketing di sodastream italia: "Proprio in italia, tra i primi Paesi
al mondo nella produzione e nel consumo di acqua minerale in bottiglia, sodastream sta rivoluzionando il
modo in cui le persone consumano acqua frizzante e bevande gasate; milioni di consumatori utilizzano ogni
giorno i gasatori sodastream senza il fastidio delle bottiglie da trasportare e riducendo lo spreco creato da
lattine e bottiglie di plastica." Marco Marozzi, partner fondatore e strategic planner di thegoodones: "sono
molti gli appassionati italiani dell'acqua frizzante e i food lovers che condividono la loro passione sui social,
specie su instagram. stanno già utilizzando sodastream, spesso proponendo nuovi e personali abbinamenti di
ricette stagionali e acqua frizzante, più o meno gassata o differentemente aromatizzata". Per quanto riguarda
thegoodones, «L'agenzia ha chiuso il 2014 con fatturato in crescita e nuovi clienti. nel 2015 i nostri sforzi
saranno volti a implementare quanto di buono abbiamo realizzato l'anno scorso. il focus, dunque, sarà su
creatività e sviluppo tecnologico», ha aggiunto Marozzi.
Foto: marCo marozzi Di thegooDones
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Incarichi SodaStream affida le attività social e digital a TheGoodOnes per
il 2015
19/01/2015
DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
18 Tendenze è di Cornetto Algida lo spot più visto del 2014 su YouTube. Nike completa il podio Che bel
video, andiamo subito su Youtube a guardarlo e ammirarlo. Pronti via e parte la pubblicità, 5 secondi
d'ordinanza, ma possono anche essere 30" interminabili. Eppure, anche la pubblicità riscuote un grande
successo sulla piattaforma che dal 2005 ha rivoluzionato il panorama del video web e, quindi, il mondo. E
allora, come in un neo gioco di società, vien facile chiedersi: quali sono state le campagne maggiormente
viste in Italia durante il 2014? Passano i decenni, ma al primo posto se non trovi il Cornetto Algida rischi di
rimanerci male; e infatti Cornetto è in testa alla speciale chart tricolore con "Cupidity Love Story". Lo spot ,
ideato per lanciare il Cornetto Cupidity, racconta una storia d'amore dal gusto moderno in cui lui scambia uno
sguardo con lei sul pullman e , grazie a Cornetto Algida e Facebook , riesce a ritrovarla. "L'amore è da
sempre al centro dei valori di Cornetto - spiega Giorgio Nicolai, marketing director Ice Cream Italy - . È per
questo che nel 2013 è nato Cupidity Love Stories, un progetto che ha l'obiettivo di raccontare storie di ragazzi
di diverse nazionalità, in un linguaggio universale, quello dell'amore. I film sono stati realizzati dall'agenzia
creativa Mofilm mentre Lola Madrid è responsabile della nuova idea creativa di Cornetto. Con oltre 5 milioni di
visualizzazioni siamo contenti di essere riusciti a dare un gusto unico all'estate di milioni di italiani". Al
secondo e terzo posto si trova Nike con i film "Nike Football: Winner Stays" e "Nike Football: The Last
Game"; a seguire Castrol con Edge, al quinto posto Gillette con lo spot dei rasoi girato con Lionel Messi e
Roger Federer. Al sesto posto si posiziona John Lewis con la pubblicità dedicata al Natale, di seguito il nuovo
spot di Disneyland Paris; all'ottavo posto Bmw con la réclame per la M235i, a seguire adidas con uno spot
dedicato alla Fifa World Cup. Chiude la graduatoria la nuova pubblicità di Samsung Galaxy S5. La classifica è
stata determinata utilizzando alcuni dei segnali di gradimento più significativi espressi dagli utenti su Youtube
tra cui: il numero di visualizzazioni nel nostro Paese, la percentuale di visualizzazione di ciascuna pubblicità e
il rapporto tra visualizzazioni organiche e visualizzazioni a pagamento.
I dieci video più popolari su YouTube nel 2014 Ranking Title username URL Creative agency Media agency 1
Cornetto Cupidity Love Stories: Logico #1 cornettoalgida https://www.youtube.com/watch?v=eokW-PjO5_Q
MOFILM +LOLA Madrid Mindshare 2 Nike Football: Winner Stays. ft. Ronaldo, Neymar Jr., Rooney,
Ibrahimovi, Iniesta & more NikeFootball https://www.youtube.com/watch?v=3XviR7esUvo Wieden + Kennedy
Mindshare 3 Nike Football: The Last Game ft. Ronaldo, Neymar Jr., Rooney, Zlatan, Iniesta & more
NikeFootball https://www.youtube.com/watch?v=Iy1rumvo9xc Wieden + Kennedy Mindshare 4 Castrol EDGE
Titanium Strong Blackout Castrol https://www.youtube.com/watch?v=0WKis4NYLHo M&C Saatchi Mindshare
5 Lionel Messi & Roger Federer Trading Places Gillette #InnerSteel Gillette Latinoamérica
https://www.youtube.com/watch?v=Hc7oa-e3Blg Ketchum Mediacom 6 John Lewis Christmas Advert 2014
#MontyThePenguin John Lewis https://www.youtube.com/watch?v=iccscUFY860 Adam & Eve DDB Manning
Gottlieb OMD 7 [EN] Bad Boys at Disneyland Paris Disneyland Paris
https://www.youtube.com/watch?v=HTIGw-2MZ8s N/A N/A 8 The Epic Driftmob feat. BMW M235i BMW
https://www.youtube.com/watch?v=vz2rAgXjkCA Interone N/A 9 The Dream: all in or nothing ft. Messi, Alves,
Suárez, Özil, RVP and more -- FIFA World Cup™ adidas Football
https://www.youtube.com/watch?v=jR1XQsCiAKE N/A N/A 10 Samsung GALAXY S5 - Official Introduction
Samsung Mobile https://www.youtube.com/watch?v=-XseHZyvGtg Cheil Starcom Mediavest
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Tendenze è di Cornetto Algida lo spot più visto del 2014 su YouTube. Nike
completa il podio
19/01/2015
DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
5il grUppo si è assiCUrato la sigla franCese, speCializzata nel segmento Della geoloCalizzazione, per la Cifra
Di 2 milioni Di eUro 5 inizio d'anno col botto per HiMedia, che dopo aver preso in concessione esclusiva il sito
del fatto Quotidiano, ha annunciato venerdì scorso l'acquisizione del 100% di adMoove, società francese
attiva nel mobile marketing e leader nel segmento della geolocalizzazione. HIMeDIA pIù FORTe Sul FRONTe
MOBIle con questa operazione, HiMedia group accelera il suo continuo sviluppo nel segmento mobile in cui,
attraverso lo spin-off dedicato Mobvious, è rapidamente diventata uno dei più grandi player in francia e nel
sud europa, con clienti del calibro de il gruppo Le Monde, La tribune, seloger, reworld Media, Webedia,
skyrock, shazam, ilfattoquotidiano.it, alfemminile.com e viamichelin.it. l'IMpORTANzA Del GeOTARGeTING il
geotargeting si è ormai affermato quale fattore chiave per l'efficacia del mobile marketing e adMoove utilizza
una tecnologia proprietaria che le permette di soddisfare i bisogni di targettizzazione locale dei retailer
nazionali e locali. il network di adMoove aggrega inventory mobile geolocalizzate di app e siti premium
(totalizzando oltre 800 milioni di impression gps mensili) tra cui L'equipe, 20 Minutes, La chaine Meteo, Le
figaro e Bfm tv. tra gli investitori figurano unibail, volkswagen, carrefour, Yves rocher, Quick e Mercedes. La
società, vicina al break even, ha realizzato 1,7 milioni di euro di fatturato nel 2014, registrando una crescita
del 130%. I TeRMINI Dell'ACCORDO L'accordo prevede un pagamento iniziale di 2 milioni di euro cash, più
un possibile incremento in relazione alle performance della società nei prossimi anni. adMoove sarà guidata
dai suoi fondatori Jérôme Leger e Julien chamussy che manterranno un completa autonomia operativa
all'interno del gruppo. "con la nostra integrazione nel gruppo HiMedia, continueremo gli investimenti in r&d
per mantenere la leadership tecnologica. La roadmap del lancio di prodotti per il 2015/2016 è già molto densa
e il primo prodotto a essere presentato sarà un'offerta "mobile-to-store" in programmatic", ha affermato Julien
chamussy, marketing director e co-founder di adMoove. Per Jérôme Leger, presidente e co-fondatore di
adMoove, "Questo ingresso permette di capitalizzare sul network europeo del gruppo HiMedia per sviluppare
le nostre soluzioni a livello internazionale". cyril zimmermann, fondatore e ceo di HiMedia group ha aggiunto:
"sono molto felice di accogliere il team di adMoove nel nostro gruppo. Questa acquisizione permette all'anima
pubblicitaria di HiMedia di rinforzare la propria competenza sull'advertising mobile, dotandosi di strumenti
tecnologici, umani e commerciali di primo livello. HiMedia si posizione così in prima linea in questo settore
strategico che costituirà un importante elemento di crescita nei prossimi anni".
Foto: Cyril zimmermann, fonDatore e Ceo Di himeDia groUp
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Mercato/1 HiMedia punta forte sul mobile e acquisisce AdMoove
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DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
15 Ricerche Twitter, per i primi test i promoted video spingono l'intention-to-buy twitter ha pubblicato sul suo
blog ufficiale i primi risultati della fase di test sui Promoted video avviata questa estate. L'accoglienza per
quello che lo stesso twitter definisce come "nuovo modo per i brand di inviare video che gli utenti possono
avviare sulla loro timeline con un solo tocco" è stata ottima. i Promoted video sono proposti in modo
targettizzato e a cost per view. secondo lo studio commissionato a nielsen l'intenzione d'acquisto è cresciuta
del 28% per quegli utenti che hanno scelto di guardare brand video su twitter, rispetto a quelli che hanno visto
gli stessi video in fase di pre o mid-roll durante un programma di 22 minuti. inoltre, è emerso che chi ha visto
branded content su twitter rispetto ad altre piattaforme è stato più vicino allo schermo, più propenso a
sorridere e m a g g i o r mente disposto a rimanere coinvolto dal video per più di 30 secondi. twitter ha
elencato sei guide line per usare al meglio la pianificazione dei Promoted video. 1 . Creare tweet avvincenti
per invitare gli user a gurdare il video. immagini di alta qualità e testi accattivanti possono dare l'idea di quello
che sarà poi il contenuto del video . 2. Comunicare in modo immediato il valore video senza essere
condizionati dalla sua lunghezza. la gente accede a twitter per trovare nuovi contenuti, perciò è necessario
che sia subito chiaro se il video sia educativo, umoristico o emotivo. Una volta che l'utente è stato ingaggiato,
c'è tutto il tempo per raccontare la storia. e' importante testare diverse combinazioni per selezionare quella
più adatta alla propria audience di riferimento. 3. Usare il video per avviare conversazioni su twitter. Uno degli
aspetti unici del social network infatti è la sua capacità di far intrattenere relazioni in tempo reale tra
consumatori e brand. 4. ottimizzare i contenuti video per il mobile. e' dimostrato che il formato video è quello
che cattura maggiormente l'attenzione degli utenti rispetto ad altre forme di advertising digitale. su twitter, il
90% di visualizzazioni di promoted videos avviene su device mobili. per raggiungere questa audience è
importante che i video siano ottimizzati per il piccolo schermo. 5. Usare i promoted video per completare la
strategia televisiva. Combinando i promoted video con la targettizzazione televisiva è possibile allineare le
strategie tv e web. i brand possono così lanciare tweet alle persone che hanno visto i loro spot o sfruttare
l'engagement televisivo su twitter per raggiungere nuove audience per la prima volta. 6. allineare il brand con
contenuti tv premium e real time. twitter amplify è lo strumento per distribuire un messaggio video come parte
di un contenuto tv in diretta.
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Ricerche Twitter, per i primi test i promoted video spingono l'intention-tobuy
19/01/2015
DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
6 Fashion Braccialini omaggia l'iconica borsa Carinabag con Mosaicoon in occasione del sessantesimo
anniversario della sua nascita, la maison di pelletteria fiorentina Braccialini rende omaggio a carinabag,
celeberrima borsa a forma di automobilina ora in una speciale versione "gommata", attraverso un'azione di
guerrilla marketing che lancia una provocazione alle donne: perché tenerti stretti i tuoi vestiti se l'unico
accessorio di cui hai bisogno è carinabag? uno speciale distributore interattivo posizionato in via calzaiuoli a
firenze ha coinvolto le passanti invitandole a mettersi in gioco e sfidandole a lasciare una parte del proprio
outfit in cambio di una carinabag. i capi sacrificati sull'altare della it-bag sono stati devoluti alla caritas di
firenze. Per promuovere il video "a cosa sei d isposta a rinunciare per carinabag?", che racconta tutta
l'operazione, Mosaicoon ha firmato una campagna di video seeding tramite Plavid, la piattaforma proprietaria
per la distribuzione di contenuti sul web, e svolto un'attività di digital pr che ha coinvolto alcuni tra i principali
siti web e blog di moda e lifestyle in italia. il video è ospitato su una social video page customizzata, online al
link http://getcarinabag. braccialini.it/ e strutturata in modo da stimolare l'engagement degli utenti e le
interazioni social con l'hashtag #getcarinabag, invitare i visitatori a fruire di contenuti video aggiuntivi e
incrementare il traffico verso la pagina dedicata a carinabag sull'eshop di Braccialini. in meno di tre settimane
dal l ancio della campagna pubblicitaria, il video ha registrato oltre 392.000 views e generato più di un
migliaio di interazioni sui social network.
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Fashion Braccialini omaggia l'iconica borsa Carinabag con Mosaicoon
19/01/2015
DailyNet
Pag. 7
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Rinnovata la collaborazione tra l'agenzia di Bolzano e la galleria: sito internet ridisegnato, +66% di visite,
12.600 fan su Facebook
anche i musei hanno bisogno di una visibilità che vada oltre gli appassionati e i classici turisti. e così, anche
nel 2015 la collaborazione tra Museion e doc office for communication and design conoscerà una replica. Lo
studio di Bolzano curerà l'immagine, la strategia e le campagne di web advertising del museo. si parte dal sito
web, realizzato nel 2012, lo scorso anno ha totalizzato un incremento delle visite pari al 66%. Per realizzare il
nuovo www.museion.it il team dell'agenzia ha utilizzato strumenti e criteri che associano le preferenze
dell'utente ai contenuti sul web, proponendogli temi e iniziative in linea con le sue aspettative. traguardi
sorprendenti anche sui social network dove, il lavoro di advertising realizzato, unito all'editing di Museion, è
riuscito a registrare 12.600 fan su facebook (+154% rispetto all'anno precedente). Mentre a un anno
dall'attivazione dell'account twitter di Museion i follower hanno superato quota 1.200, con una media di
21.000 visualizzazioni al mese. un progetto volto a promuovere una realtà culturale che sa fare rete. tanti i
progetti in programma per quest'anno: nuove campagne di comunicazione online, un sito sempre più
aggiornato e ricco di un'enciclopedia degna dei più esperti estimatori di arte moderna e contemporanea. tutte
le mostre dal 2007 a oggi sono consultabili in rete, così come le pubblicazioni realizzate a partire dal 1989,
raccolte in un catalogo online.
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Accordi lunga vita ai musei: Doc Office For Communication and Design e
Museion ancora insieme
19/01/2015
DailyNet
Pag. 20
(diffusione:15000, tiratura:15000)
il declino della pubblicità aigge tutti, anche dagospia. roberto d'agostino ha espresso la necessità trovare
nuovi flussi d'entrata al portale ad adnKronos e, per raggiungere l'obiettivo, intende esportare il verticale
cafonal su agon channel. gli argomenti trattati nella sezione del sito verranno proposti attraverso il
programma "Brutti di notte" inserito in scaletta nella seconda serata del mercoledì.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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portali Dagospia esporta il Cafonal su Agon Channel
19/01/2015
Pubblicom Now
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Mosaicoon firma la campagna web per Carinabag, l'iconica borsa di
Braccialini
In occasione del sessantesimo anniversario della sua nascita, la maison di pelletteria fiorentina Brac cialini
rende omaggio a Carinabag, l'iconica borsa a forma di automobilina ora in una speciale versione "gommata",
attraverso un'audace azione di guerrilla marketing che lancia una provocazione alle donne: perché tenerti
stretti i tuoi vestiti se l'unico accessorio di cui hai bisogno è Carinabag? Uno speciale distributore interattivo
posizionato in via Calzaiuoli a Firenze ha coinvolto le passanti invitandole a mettersi in gioco e sfidandole a
lasciare una parte del proprio outfit in cambio di una Carinabag. I capi sacrificati sull'altare della it-bag sono
stati devoluti alla Caritas di Firenze. Per promuovere il video "A cosa sei disposta a rinunciare per
Carinabag?", che racconta tutta l'operazione di guerrilla marketing dal set-up allo svolgimento, Mosaicoon ha
pianificato una campagna di video seeding tramite Plavid, la piattaforma proprietaria per la distribuzione di
contenuti sul web, e svolto un'attività di digital pr che ha coinvolto alcuni tra i principali siti web e blog di moda
e lifestyle in Italia. Il video è ospitato su una social video page customizzata e strutturata in modo da stimolare
l'engagement degli utenti e le interazioni social con l'hashtag #getcarinabag, invitare i visitatori a fruire di
contenuti video aggiuntivi e incrementare il traffico verso la pagi na dedicata a Carinabag sull'e-shop di
Braccialini. In meno di tre settimane dal lancio della campagna, il video ha registrato oltre 392.000 view e
generato più di un migliaio di interazioni sui social network.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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web
18/01/2015
Corriere della Sera - La Lettura - N.164 - 18 gennaio 2015
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LEGGI QUI!!! Tutti i trucchi dei pescatori di clic per catturare i lettori in
Rete
LUCA BOTTURA
FANNO I SOLDI SFRUTTANDO
LA CREDULITÀ DEI LETTORI!
LEGGETE COSA
ABBIAMO SCOPERTO!
In Rete e non, le parole che sottendono un raggiro nascono quasi sempre da termini anglosassoni lievemente
modificati. Tre esempi: phishing , clickbaiting , jobsact .
Del jobsact sappiamo tutto, ad esempio che i giornali d'Oltremanica sono obbligati a tradurlo, dall'inglese
all'inglese, nel più corretto «labour reform bill». E anche che Matteo Renzi non riesce a pronunciarlo senza
mettere a rischio gli incisivi.
Del phishing sappiamo molto, e cioè che:
1) Si tratta di un metodo per pescare informazioni riservate, soprattutto codici bancari, attraverso email
truffaldine che indirizzano verso siti pirata;
2) L'unico italiano che ancora fornisce i dati richiesti, e dunque si fida di messaggi firmati «Poste Italiene» o
«Amerikan Espress» è il senatore Maurizio Gasparri. Che poi sfoga la frustrazione molestando i frequentatori
di Twitter.
Del clickbaiting sappiamo intanto che non deriva da bite (morso) ma da bait (esca), quindi significa
letteralmente «esca per i clic». E che tale esca è costituita da titoli a stampatello, sparati sui social network,
che promettono di disvelare notizie esclusive ed emozionanti. Ma molto spesso conducono al regno del nulla.
NON CREDERETE A COSA
ABBIAMO SCOPERTO! LEGGETE PRIMA CHE LO CENSURINO!
La fame di traffico generata dai social è ovviamente legata agli introiti pubblicitari e rappresenta una sorta di
parcellizzazione del gattino. Esso, il batuffoloso amico, costituisce com'è noto il corrispettivo web del maiale
di novecentesca memoria. Non se ne butta via un frame . Così come di molti altri animali. Eternati in milioni di
video che ci rassicurano, generando senso di superiorità per la goffaggine altrui, senza scatenare sensi di
colpa: si tratta di un'altra specie. Si possono deridere impunemente. È un po' come guardare l'ultima
bouta(na)de del presidente sampdoriano Ferrero.
Per sfruttare questa miniera di buonumore, alcuni quotidiani hanno addirittura partorito sezioni autonome del
sito, colme di filmati nei quali morbidi cagnolini ruzzolano per le scale senza farsi male, torme di soriani
colonizzano interi divani, docili pesci rossi eseguono danze tribali pur di ricevere in pasto i loro antenati
liofilizzati. Gli esiti sono trionfali. L'utente clicca compulsivamente, immemore del fatto che si era collegato
solo per controllare la posta elettronica, con la stessa ancestrale felicità che lo permea quando, alla cassa
dell'Iper, sente una voce profonda e potente provenire dalle caverne dei desideri: «Ehi, ho proprio bisogno di
quella piramide di Ferrero Rocher!».
Il clickbaiting utilizza lo stesso ricatto emotivo, ma inverte la ricerca dei bassi istinti. Nel primo caso, gli
animali sono oggetti di empatia, divertimento, appunto derisione. Nel secondo diventano il soggetto del
messaggio. Siamo noi, i destinatari di un'indignazione anabolizzata, ferina, che sfocia nella rassicurazione dei
propri preconcetti: i politici sono ladri, gli zingari rubano i bambini, i vaccini sono un complotto delle
multinazionali, le felpe di Matteo Salvini gli stanno come la cravatta a un cinghiale. E tu sei tanto meglio,
giuro. Stai per conoscere la Verità con la v maiuscola. Quella che un potere forte a caso voleva impedirti di
scoprire. Sarai puro, duro, e avrai pure l'esclusiva di quella indignazione. Basta che clicchi qui, di fianco al
banner di Banca Mediolanum. Per un mondo nuovo, costruito intorno a te.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Analisi semiseria sui comportamenti dei siti
18/01/2015
Corriere della Sera - La Lettura - N.164 - 18 gennaio 2015
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VERGOGNA! TI PRENDONO
PER I FONDELLI
E NESSUNO NE PARLA!
La via italiana al clickbaiting , da cui nessuna grande testata è immune, si divide poi in due ulteriori
macrosistemi. Il primo è più tradizionale. In forma soft, lo praticano quasi tutte le home page dei grandi
quotidiani, con punte importanti da parte di giornali che fanno del linguaggio para-satirico la loro linea
comunicativa. «Il Fatto Quotidiano» ne fa in realtà un uso piuttosto blando, quasi nostalgico: si limita a
ordinare di cliccare («LEGGI») in coda a ogni tweet, sperando che il lettore sia colto da sovietica disciplina e
si fiondi sull'ennesimo fondo dirimente di un padre della patria a caso. «Il Giornale» ricalca i toni usati su
carta, ed è più che sufficiente per rassicurare/attrarre/spingere ad approfondire il lettore che attende i
cosacchi in piazza San Pietro, magari supportati da truppe di Rom e impiegati di Equitalia. «Libero» è
semplicemente perfetto. In una sintesi virtuosa tra «Verissimo», «Dagospia» e «Il Borghese» (l'antico
settimanale di estrema destra) alterna con sapienza le tre G - gossip, gattini e gnocca - alternandoli a pioggia,
con titoli che non avrebbero sfigurato su «Il Male», con qualche rara notizia politica. Se l'edizione stampata
manca solo del topless in terza pagina per assomigliare ai tabloid inglesi, quella online si incarica di sanare il
deficit. E finalmente anche in Italia pratichiamo un po' di informazione anglosassone. Quella del «Sun».
GUARDA CHE FIGURA STA
PER FARE IL PENNIVENDOLO
DI TURNO! FATE GIRARE!
Poi c'è anche chi dell'indignazione remunerativa ha fatto un manifesto politico, nonché un paio delle tre
gambe con cui sostiene i conti del proprio editore e guida spirituale. Quello col cappelletto. Insomma,
Casaleggio. Uno dei mantra utilizzati dal Movimento Cinque Stelle nella campagna contro l'informazione
italiana è la classifica mondiale sulla libertà di stampa vergata da «Freedom House», che vede attualmente
l'Italia al 49esimo posto «dopo il Niger».
Già la precisazione «dopo il Niger» è un tipico arnese argomentativo che ubbidisce ad almeno tre delle leggi
prima enunciate. Infatti:
1) Enfatizza un dato ininfluente a scopo sensazionalistico;
2) Vellica l'orgoglio di chi legge il dato, come se lo mettesse a parte in esclusiva di una notizia sconvolgente;
3) Rafforza il pregiudizio sull'Africa («Se siamo dietro a quei baluba, significa che la situazione è serissima.
Dopo la prossima partita a Candy Crush Saga devo assolutamente fare qualcosa»).
Ma il paradosso più netto è che TzeTze e la Fucina, cioè due dei tre specchi (l'altro è il blog) che la
Casaleggio e associati usa per raccogliere traffico e pubblicità, sono i veri funamboli del clickbaiting alle
vongole. I critici più severi del sistema, una volta diventati editori, ne incarnano i vizi più deleteri.
ANCH'IO STENTAVO
A CREDERCI! PAZZESCO!
STA ACCADENDO PROPRIO ORA!
Tre casi. Primo tweet: «Matteo Renzi si ritira: la drastica decisione nella notte». Il navigatore legge, corre a
comprare lo champagne, ma poi clicca e scopre che, secondo TzeTze, Renzi dovrebbe (dovrebbe!) evitare
comizi pubblici per timore di contestazioni. Secondo tweet: «Che vergogna! Severgnini e la Bignardi, davanti
a tutti...». Qui il lettore s'immagina un link di YouPorn per attempati signori. Ma finisce su un'intervista alle
«Invasioni Barbariche». Terzo tweet: «Paola Taverna esplode su Facebook!». Avrà aderito all'Isis? E
quando? Segue link a sfondo facebookiano in cui la detonazione, come spesso accade, riguarda solo la
sintassi.
SCANDALOSO! LA TIRA
PER LE LUNGHE
MA POI CAMBIA ARGOMENTO!
18/01/2015
Corriere della Sera - La Lettura - N.164 - 18 gennaio 2015
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IL CAPITOLO
CHE COMMUOVE IL WEB!
Non è dato sapere se la recente decisione di Marc Zuckerberg, che ha modificato gli algoritmi proprio per
penalizzare il clickbaiting , attenga alla difesa della buona informazione o non sia piuttosto un modo per
evitare troppi clic in uscita verso le sabbie mobili delle tre G, che attraggono navigatori (e dunque pubblicità, e
dunque incassi) fuori dal magico mondo dei like e dei poke .
Certo è che, per una volta, l'Italia era arrivata prima. Noi abbiamo creato la sollevazione popolare da divano,
noi abbiamo trovato l'antidoto. Sotto forma di spoilering . Un termine inglese, stavolta senza sofisticazioni,
che significa grossomodo «anticipazione carogna». Lo spoilering maligno è quello che esercita l'amico
rivelandoti che ne Il Codice Da Vinci il Sacro Graal è sotto la piramide del Louvre, che in Io uccido il colpevole
è il deejay, che alla fine Civati resta nel Pd.
Lo spoiler positivo è quello con cui una deliziosa pagina Facebook (« Spoilering dei post che non dicono
niente di Beppe Grillo») disinnesca, appunto anticipandone i contenuti, i link suggeriti dai tweet malandrini.
Anzi, per usare lo stesso linguaggio purulento che indirizza l'uso compulsivo del mouse: LI ASFALTA! LI
DEMOLISCE! LI DISTRUGGE! Si scopre così che il 90 per cento di quei tweet esplosivi è la semplice ripresa
di notizie già date dai giornali. Che quando su Twitter leggi «LA SENATRICE IEZZI DÀ UNA LEZIONE AL
MINISTRO», poi clicchi e scopri che gli ha fatto una domanda in Parlamento. Che se il titolo è «IL PAPA STA
CON DI BATTISTA!» non c'è alcun intento blasfemo ma la notizia (drogata) che il Pontefice si è ispirato alle
tesi del ragazzo immagine pentastellato sul terrorismo islamico. Che persino quando nel lancio si legge «Il
fenomeno che ha spiazzato gli scienziati: la Nasa ha diffuso questa immagine!» si sta parlando del fatto che
quest'anno c'è più ghiaccio al Polo Nord.
Talvolta, poi, si arriva pure al clickbaiting circolare, come quando Paola Taverna denuncia la sofferenza
bancaria, e lo fa riprendendo un post di Grillo che denuncia la sofferenza bancaria, che viene ripreso da
TzeTze, e poi di nuovo rilanciato su Twitter da Grillo che al mercato mio padre comprò. E incassò.
LA DEMAGOGIA CONCLUSIVA! SMASCHERATI I COLPEVOLI!
TOGLIETE AI GIORNALI I FONDI PUBBLICI! (NON C'ENTRA,
MA COMUNQUE FA SEMPRE
FIGO SCRIVERLO!)
Anche se, in fondo, i veri colpevoli della brutta informazione, della rete confusa e infelice, della palla
pretestuosa spacciata come scala verso la verità non sono Grillo o Casaleggio e neppure i geni del marketing
che spennano la gallina dalle uova d'oro peggio della Moncler, generando un cortocircuito mefitico per cui le
masse disprezzano sempre di più quegli stessi organi di informazione cui poi attingono in massa. Cliccando.
Senza pensare. I veri colpevoli, nessuno escluso, siamo noi italiani. Il popolo che volle farsi mosca (TzeTze).
Del resto, le mosche, intorno a cosa volano?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
16/01/2015
360com
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Un responso universalmente condiviso: i dati contano!
la ricerca sviluppaTa dall'organismo associaTivo ha riguardaTo ben diciasseTTe nazioni nel mondo. un panel
di riferimenTo formaTo da più di Tremila markeTer, Tecnici e forniTori di servizi
Grazie ai dati è possibile indagare su clienti e prospect. Sono uno strumento per indirizzare campagne di
successo, oerte e contenuti che generano consenso. Ma il contributo dei dati non si ferma certo qui: sono un
mezzo per imparare sui mercati che cambiano, per gettare un ponte che vada a colmare il gap fra
tradizionale e digitale nel media mix, per evolversi verso un approccio customer-centric orientato a un
business che faccia seguire alle promesse le azioni. Il panel di riferimento di DMA Italia è formato da più di 3
mila marketer, tecnici e fornitori di servizi che, anche se appartengono a diversi mercati verticali e differenti
circoscrizioni della marketing economy, sembrano accordarsi su alcuni aspetti chiave della ricerca i cui
risultati sono stati presentati e discussi durante un recente workshop organizzato dall'associazione. Dopo una
prima fase di introduzione, i relatori Valentina Carnevali, segretario di DMA Italia, Fabrizio Vigo, Presidente
della sigla associativa, ed Enrico Barboglio, presidente di 4IT Group, hanno coinvolto i partecipanti in una
discussione aperta sui temi trattati e i risultati prodotti, privilegiando innanzitutto il dibattito tra i partecipanti
all'incontro. I dati emersi sia dal panel internazionale che da quello italiano sono stati oggetto di dibattito in
gruppi di lavoro costituitosi tra i partecipanti all'evento. Ogni gruppo comprendeva attori del non profit,
agenzie, aziende finali, fornitori di servizi e giornalisti che si sono confrontati sulle differenze tra il nostro
Paese e il resto del mondo, che le statistiche hanno evidenziato. Partendo dalla considerazione che il nostro
Paese è per lo più composto da realtà medio piccole, i rilievi raccolti hanno evidenziato che la dimensione
può creare dicoltà ad implementare novità di tipo strutturale nel modo di fare marketing. Un'ulteriore
considerazione nasce dalla valutazione della criticità di implementazione di modelli di governance utili a
favorire la necessaria innovazione nella gestione delle campagne di marketing. Le aziende "meno digitali"
generalmente pagano lo scotto di una gestione verticale delle attività, in questo modo i dati vengono spesso
gestiti da cluster non integrati tra loro, e a volte anche nel dipartimento marketing si trovano cluster diversi,
come nel caso di aziende dove l'area che si occupa delle campagne di direct marketing è, di fatto, separata
da quella dedicata alle operazioni online. Comunicazione più forte del marketing? Un'ulteriore riessione
emersa dai panel di discussione - dopo la verifica dei diversi posizionamenti tra Italia e Global rispetto
all'importanza degli skill da inserire in azienda per aumentare la capacità di fare data-driven marketing - è
quella legata al dierente utilizzo e valore riconosciuto al "dato" da parte della funzione comunicazione e della
funzione marketing nelle aziende italiaZ eri ne. In Italia accade spesso che la comunicazione sia più forte del
marketing, e per questo i dati vengono meno usati o comunque la loro bontà non è messa sullo stesso piano
della creatività. In tutto questo, cambiano gli investimenti sui diversi canali media. Anche i marketer italiani
aermano di aver aumentato i loro investimenti sui canali digitali, principalmente social media, app e servizi di
messaggistica mobile, trend che è destinato a continuare anche il prossimo anno. A dierenza di quanto
avvenuto in molti altri mercati, l'Italia ha però diminuito la spesa in diversi canali di DDMA, fra cui il direct mail,
telemarketing/contact center e out-of-home digitale. Eccetto quest'ultimo, che dovrebbe beneficiare di una
ripresa, tutti questi canali sono destinati a proseguire nel loro calo, anche se a velocità più ridotta.
L'esecuzione digitale e la gestione dei dati sono gli ambiti che hanno visto una maggiore crescita a livello
globale, crescita che risulta essere però minore per l'Italia, un problema questo da ricondursi ad uno dei
principali ostacoli del DDMA rappresentato dall'insufficienza d i budget, limite comunque percepito da tutti i
mercati. Altro importante ostacolo condiviso dall'intero panel sono le barriere normative: un vero e proprio
problema per i marketer di tutto il mondo e particolarmente percepito in Italia dove su una scala da 1 a 5 il
valore registrato è di 3,27, valore molto più alto del 2,94 rispetto alla media globale. Un impatto fortissimo È
opinione comune che i dati abbiano un fortissimo impatto sulle attività di marketing ed advertising, anche se
in Italia i risultati sono un po' più moderati rispetto alla media globale (4,08 vs. 4,32), l'Italia pensa di
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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dma iTalia presenTa i risulTaTi della global review of daTa-driven markeTing and adverTising
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360com
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ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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accrescerli già dall'anno prossimo, avvicinandosi così al valore globale. Analizzando, invece, i singoli canali di
DDMA, gli italiani indicano il digital display advertising e customer call center come i media con le
performance più soddisfacenti rispetto all'anno precedente, E' un dato che supera la media globale. Ci sono
invece canali che rispetto all'anno precedente sono andati meno bene, fra cui contenuti e user experience su
siti ecommerce, paid online search e direct mail. Questi ultimi canali, al contrario, sono quelli che hanno
mostrato la maggior crescita nella maggior parte degli altri mercati. Altra dierenza di vedute si nota nei
dierenti aspetti che in qualche modo possono dare più valore al DDMA: negli italiani, infatti, è emerso il
desiderio di acquisire e sviluppare abilità di produzione ed accrescere contenuti e creatività nei prossimi anni,
per i marketing di tutto il mondo invece bisognerebbe migliorare l'organizzazione interna e soprattutto
aumentare risorse e competenze. Ugualmente ai marketer di tutti i paesi, anche gli italiani sono guidati nel
DDMA dal desiderio di conoscere di più riguardo ai loro clienti, interagire con loro in modo significativo e
ottenere il massimo dai loro investimenti di marketing.
16/01/2015
ADV Express
Sito Web
Lo spot Cornetto Algida Cupidity Love Story ideato per lanciare il Cornetto Cupidity, racconta una storia
d'amore dal gusto moderno in cui lui scambia uno sguardo con lei sul pullman e, grazie a Cornetto e
Facebook, riesce a ritrovarla. Al secondo e terzo posto si trova Nike con i film Nike Football: Winner Stays e
Nike Football: The Last Game; a seguire Castrol con EDGE, al quinto posto Gillette con lo spot dei rasoi
girato con Lionel Messi e Roger Federer #InnerSteel. Al sesto posto si posiziona John Lewis con la pubblicità
dedicata al Natale - #MontyThePenguin, di seguito il nuovo spot di Disneyland Paris Bad Boys at Disneyland
Paris; all'ottavo posto BMW con la campagna per la BMW M235i, a seguire Adidas con uno spot dedicato alla
FIFA World Cup. The Dream: all in or nothing, Chiude la classifica la nuova pubblicità di Samsung GALAXY
S5. GOOGLE ha stilato la classifica delle pubblicità più viste su Youtube in Itana nel 2014. Cornetto Algida
apre la classifica delle pubblicità che hanno riscosso maggior successo su YouTube in Italia, nel corso del
2014, con Cupidity Love Story. Lo spot, ideato per lanciare il Cornetto Cupidity, racconta una storia d'amore
dal gusto moderno in cui lui scambia uno sguardo con lei sul pullman e, grazie a Cornetto Algida e Facebook,
riesce a ritrovarla. "L'amore è da sempre al centro dei valori di Cornetto - spiega Giorgio Nicolai, Marketing
Director Ice Cream Italy - è per questo che nel 2013 è nato Cupidity Love Stories, un progetto che ha
l'obiettivo di raccontare storie di ragazzi di diverse nazionalità, in un linguaggio universale: quello dell'amore. I
film sono stati realizzati dall'agenzia creativa MOFILM mentre LOLA Madrid è responsabile della nuova idea
creativa di Cornetto.In Italia partendo dal progetto internazionale Cornetto, che da più di cinquant'anni occupa
un posto speciale nel cuore di tutti, ha scelto di puntare sulla collaborazione con Cesare Cremonini, che con
le sue canzoni fa da colonna sonora a milioni di storie d'amore. Un connubio perfetto tra immagini e suoni,
un'atmosfera unica che parla di estate, di ragazzi e di amore e che è stato un vero successo. Con oltre 5
milioni di visualizzazioni siamo contenti di essere riusciti a dare un gusto unico all'estate di milioni di italiani."
Al secondo e terzo posto si trova Nike con i film Nike Football: Winner Stays e Nike Football: The Last Game;
a seguire Castrol con EDGE, al quinto posto Gillette con lo spot dei rasoi girato con Lionel Messi e Roger
Federer #InnerSteel. Al sesto posto si posiziona John Lewis con la pubblicità dedicata al Natale #MontyThePenguin, di seguito il nuovo spot di Disneyland Paris Bad Boys at Disneyland Paris; all'ottavo
posto BMW con la campagna per la BMW M235i, a seguire Adidas con uno spot dedicato alla FIFA World
Cup. The Dream: all in or nothing, Chiude la classifica la nuova pubblicità di Samsung GALAXY S5. CRITERI
La classifica è stata determinata utilizzando alcuni dei segnali di gradimento più significativi espressi dagli
utenti su YouTube tra cui: il numero di visualizzazioni nel nostro Paese, la percentuale di visualizzazione di
ciascuna pubblicità e il rapporto tra visualizzazioni organiche e visualizzazioni a pagamento. EC
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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YouTube
16/01/2015
ADV Express
Sito Web
Con l'acquisizione della società francese attiva nella pubblicità mobile geolocalizzata, HiMedia Group
accelera il suo continuo sviluppo in questo importante segmento di mercato in cui HiMedia, attraverso lo spinoff dedicato al mobile Mobvious, è rapidamente diventata uno dei più grandi player nel mobile in Francia e nel
Sud Europa. L'accordo prevede un pagamento iniziale di 2 milioni di euro cash, più un possibile incremento in
relazione alle performance della società nei prossimi anni. HiMedia, Gruppo di servizi digitali ha annunciato
l'acquisizione del 100% del capitale della società di marketing mobile AdMoove, società francese attiva nella
pubblicità mobile geolocalizzata. Con l'acquisizione di AdMoove, HiMedia Group accelera il suo continuo
sviluppo in questo importante segmento di mercato in cui HiMedia, attraverso lo spin-off dedicato al mobile
Mobvious, è rapidamente diventata uno dei più grandi player nel mobile in Francia e nel Sud Europa, con
clienti del calibro de Il Gruppo Le Monde, La Tribune, Seloger, Reworld Media, Webedia, Skyrock, Shazam,
ilfattoquotidiano.it, alfemminile.com e Viamichelin.it. Il geotargeting si è ormai affermato quale fattore chiave
per l'efficacia del mobile marketing e AdMoove utilizza una tecnologia proprietaria che le permette di
soddisfare i bisogni di targetizzazione locale dei retailer nazionali e locali. Il network di AdMoove aggrega
inventory mobile geolocalizzate di app e siti premium (totalizzando oltre 800 milioni di impression GPS
mensili) tra cui L'Equipe, 20 Minutes, La Chaine Meteo, Le Figaro e BFM TV. Tra gli investitori figurano
Unibail, Volkswagen, Carrefour, Yves Rocher, Quick e Mercedes. La società, vicina al break even, ha
realizzato 1,7 milioni di euro di fatturato nel 2014, registrando una crescita del 130%. L'accordo prevede un
pagamento iniziale di 2 milioni di euro cash, più un possibile incremento in relazione alle performance della
società nei prossimi anni. AdMoove sarà guidata dai suoi fondatori Jérôme Leger e Julien Chamussy che
manterranno un completa autonomia operativa all'interno del gruppo. "Con la nostra integrazione nel gruppo
HiMedia, continueremo gli investimenti in R&D per mantenere la leadership tecnologica. La roadmap del
lancio di prodotti per il 2015/2016 è già molto densa e il primo prodotto ad essere presentato sarà un'offerta
'mobile-to-store' in programmatic", afferma Julien Chamussy, Marketing Director and Co-founder of AdMoove.
Per Jérôme Leger (nella foto), Presidente e co-fondatore di AdMoove, "questo ingresso permette di
capitalizzare sul network europeo del Gruppo HiMedia per sviluppare le nostre soluzioni a livello
internazionale". Cyril Zimmermann, Fondatore e CEO di HiMedia Group aggiunge: "Sono molto felice di
accogliere il team di AdMoove nel nostro Gruppo. Questa acquisizione permette all'anima pubblicitaria di
HiMedia di rinforzare la propria competenza sull'advertising mobile, dotandosi di strumenti tecnologici, umani
e commerciali di primo livello. HiMedia si posizione così in prima linea in questo settore strategico che
costituirà un importante elemento di crescita nei prossimi anni". SP
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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HiMedia acquisisce la società di marketing mobile AdMoove
16/01/2015
ADV Express
Sito Web
Continuiamo, insieme alla società indipendente specializzata in modeling econometrico e analytics, il viaggio
alla ricerca del 'vero Roi' (leggi il precedente articolo sul tema). Per capire come valutare i reali ritorni
economici sulle vendite, andando oltre le metriche intermedie, ci concentriamo su un esempio concreto,
relativo al settore automotive. L'obiettivo? Comprendere il valore aggiunto e il processo di un approccio 'Roi
oriented'. Pubblichiamo l'intervista uscita sulla rivista NC Nuova Comunicazione. apri la gallery fotografica
Siete sicuri che l'approccio al marketing e alla comunicazione della vostra azienda sia corretto? Lo pensate
per intuito e magari per abitudine, o ne siete matematicamente certi? Per restituire al management aziendale
una valutazione puntuale dei contributi delle diverse attività di business occorre, secondo Core Analytics,
società indipendente specializzata in modeling econometrico e analytics, concentrarsi sul 'vero Roi', ossia
quello economico, da misurare con approcci integrati precisi. Per capire come valutare i reali ritorni economici
sulle vendite, andando oltre le metriche intermedie, come per esempio contatti, awareness e visite web,
approfondiamo il business case del settore automotive, che avevamo solo accennato in questo precedente
articolo, con l'intento di comprendere, più da vicino, il valore aggiunto e il processo di analisi di un approccio
realmente 'Roi oriented'. Ne parliamo con Ramon Soranzo (in foto a sx) e Nevio Leone (in foto a dx), cofondatori di Core Analytics. Qual era la richiesta dell'azienda cliente? (Soranzo) Più che una richiesta si è
trattato di una sfida, con l'obiettivo di fornire a una nota azienda di veicoli commerciali, una misurazione
esatta del ritorno sul business di un set molto ampio di attività, da quelle tradizionali di comunicazione offline
e promozioni a molteplici azioni di 'lead generation',sia push (telemarketing, direct mailing, eventi locali, ndr)
che pull con keyword sui motori di ricerca. È importante chiarire che il termine 'lead', in questo contesto,
indica gli utenti interessati a ricevere maggiori informazioni sui veicoli in offerta e che pertanto rilasciano i
propri dati su una landing page dedicata, alimentando il database aziendale dei contatti profilati. Come vi
siete mossi per valutare l'impatto delle attività di marketing e comunicazione? (Leone) Dopo un'accurata fase
di raccolta delle informazioni e dati aziendali su un arco temporale ampio di tre anni, la valutazione degli
effetti media e marketing è stata sviluppata con un modello econometrico integrato su un doppio livello:
Vendite,cioè ordini clienti finali, e Lead. È stato necessario inoltre modellizzare la curva di risposta delle
azioni di marketing sull'acquisto. A differenza dei mercati 'fast moving', in cui gli effetti sono immediati, nei
'beni durevoli' la distribuzione della risposta nel tempo ha una forma a campana molto diversa, più diluita nel
tempo. Cosa avete fatto, in concreto, per supportare l'azienda? (Soranzo) L'introduzione dell'attività di lead
generation ha richiesto un framework di valutazione in grado di misurare gli effetti diretti e indiretti di media e
promozioni, il contributo netto delle attività di lead generation e le sinergie del media offline sul paid search.
La corretta valutazione delle varie attività ha richiesto, inoltre, che il modello econometrico integrasse anche
fattori macroeconomici, stagionali e competitivi. A quali conclusioni siete giunti? (Leone) I risultati dell'analisi
hanno innanzitutto rassicurato il cliente, dimostrando come, pur competendo in un settore non facile e
condizionato dall'attuale congiuntura, l'approccio al marketing e alla comunicazione intrapreso fosse corretto
e in grado, almeno, di difendere la quota mercato. Il valore aggiunto della piattaforma analitica Core Analytics
è stato quello di restituire al management una valutazione puntuale dei contributi delle diverse attività sul
business. In particolare, quali risultati sono arrivati dalle 'attività di leads generation' e quali dalle 'attività
tradizionali'? (Soranzo) Le attività di lead generation hanno generato il 6% di vendite incrementali annue, con
paid search e telemarketing, risultando essere le attività più produttive rispetto al mailing e agli altri eventi
gestiti localmente dalle concessionarie. Nelle attività tradizionali,il media offline ha contribuito per il 4/8% delle
vendite, al 90% l'effetto è stato 'diretto' sugli ordini in concessionaria, mentre al 10% 'indiretto' sulle lead. Le
promozioni,depurate da tutti gli effetti sinergici con il media, sono state il 5% degli ordini. Che tipo di risultati
avete ottenuto dai media offline e da quelli online? (Leone) Rapportando i contributi in valore delle diverse
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Core Analytics. Il vero Roi, bussola del business
16/01/2015
ADV Express
Sito Web
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attività media e marketing ai rispettivi investimenti, abbiamo calcolato il Roi economico. Il media offline,
costituito da radio e stampa, ha garantito un Roi sufficientemente elevato anche dopo i costi operativi.
Sorprendenti i risultati di attività quali telemarketing e paid search, i cui ritorni, depurati da effetti indiretti, sono
stati rispettivamente 8 e 12 volte superiori rispetto a quelli dei mezzi tradizionali. Il modello ha identificato
inoltre ulteriori margini di crescita attraverso la leva del paid search, con un budget fino a 2,5 volte il livello
attuale. In che modo le vostre analisi hanno impattato sulle decisioni del management aziendale in
riferimento agli investimenti futuri? (Soranzo) L'analisi econometrica ha portato insight decisivi per supportare
importanti scelte aziendali per recuperare ulteriore efficienza. Sul piano strategico l'azienda ha avuto
conferma della reale produttività delle azioni di lead da utilizzare in modo continuativo. Ciò ha modificato
anche il media mix e il budget setting della comunicazione offline. Sul piano operativo è stato possibile
definire il livello ottimale di pressione mensile, selezionare le tipologie di promozioni più impattanti,
massimizzare le sinergie tra promozioni e adv offline. In questo discorso, l'indipendenza e neutralità del
fornitore sono aspetti centrali che possono garantire analisi realmente super partes... (Leone) La media
neutrality gioca un ruolo centrale per la credibilità dei risultati e delle implicazioni che impattano su scelte
sensibili dell'azienda guidate dal Roi relativamente all'allocazione del budget sui diversi mezzi e alle attività
da tagliare. Su tutto rimane sempre la competenza dell'analista nel raccogliere e sistematizzare i dati,
studiare il miglior modello di causa-effetto, qualità che nessuna piattaforma automatizzata potrà mai neppure
imitare. Mario Garaffa
16/01/2015
Engage.it
Sito Web
HiMedia acquisisce AdMoove per 2 milioni di euro
Si tratta di una società francese specializzata in mobile targeting geolocalizzato, con clienti del calibro di
Volkswagen, Carrefour, Yves Rocher, Quick e Mercedes
HiMedia, il gruppo specializzato nei servizi digitali nel campo dell'advertising e dei pagamenti online, ha
annunciato l'acquisizione del 100% del capitale di AdMoove, società francese specializzata nella pubblicità
mobile geolocalizzata.La società, vicina al break even, ha realizzato 1,7 milioni di euro di fatturato nel 2014,
registrando una crescita del 130% e vanta clienti del calibro di Volkswagen, Carrefour, Yves Rocher, Quick e
Mercedes. L'accordo prevede un pagamento iniziale di 2 milioni di euro cash, più un possibile incremento in
relazione alle performance della società nei prossimi anni.Con l'acquisizione di AdMoove, HiMedia Group
accelera il suo sviluppo in questo importante segmento di mercato in cui HiMedia, attraverso lo spin-off
dedicato al mobile Mobvious, è rapidamente diventata uno dei più importanti player nel mobile in Francia e
nel Sud Europa, con clienti del calibro de Il Gruppo Le Monde, La Tribune, Seloger, Reworld Media,
Webedia, Skyrock, Shazam, ilfattoquotidiano.it, alfemminile.com e Viamichelin.it.Leggi l'articolo completo su
http://www.programmatic-italia.com/himedia-admoove-geotargeting
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Tecnologia
16/01/2015
Engage.it
Sito Web
Braccialini: guerrilla marketing per festeggiare i sessanta anni. Mosaicoon
firma la campagna web per Carinabag
L'agenzia ha pianificato una campagna di video seeding tramite Plavid e svolto un'attività di digital PR che ha
coinvolto alcuni tra i principali siti web e blog di moda e lifestyle in Italia
Braccialini ha festeggiato i suoi primi sessanta anni con un evento dedicato a Carinabag, l'iconica borsa a
forma di automobilina ora in una speciale versione "gommata". L'accessorio è stato protagonista di un'azione
di guerrilla marketing che lancia una provocazione alle donne: perché tenerti stretti i tuoi vestiti se l'unico
accessorio di cui hai bisogno è Carinabag?Uno speciale distributore interattivo posizionato in Via Calzaiuoli a
Firenze ha coinvolto le passanti invitandole a mettersi in gioco e sfidandole a lasciare una parte del proprio
outfit in cambio di una Carinabag. I capi sacrificati sull'altare della it-bag sono stati devoluti alla Caritas di
Firenze. Braccialini ha inoltre premiato lo spirito di tutte le donne che hanno partecipato all'iniziativa senza
completare la performance richiesta (ovvero senza lasciare un indumento presso il distributore), offrendo loro
un buono sconto per l'acquisto di una Carinabag.Per promuovere il video "A cosa sei disposta a rinunciare
per Carinabag?", che racconta tutta l'operazione di guerrilla marketing dal set-up allo svolgimento, Mosaicoon
ha pianificato una campagna di video seeding tramite Plavid, la piattaforma proprietaria per la distribuzione di
contenuti sul web, e svolto un'attività di digital PR che ha coinvolto alcuni tra i principali siti web e blog di
moda e lifestyle in Italia.Il video è ospitato su una social video page customizzata e strutturata in modo da
stimolare l'engagement degli utenti e le interazioni social con l'hashtag #getcarinabag, invitare i visitatori a
fruire di contenuti video aggiuntivi e incrementare il traffico verso la pagina dedicata a Carinabag sull'e-shop
di Braccialini.In meno di tre settimane dal lancio della campagna, il video ha registrato oltre 392.000 views e
generato più di un migliaio di interazioni sui social network.
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Tecnologia
16/01/2015
Engage.it
Sito Web
Youtube: le pubblicità di maggior successo in Italia del 2014
La classifica è stata stilata da Google utilizzando vari indicatori, come il numero di visualizzazioni nel nostro
Paese, la percentuale di visualizzazione di ciascuna pubblicità e il rapporto tra view organiche e a pagamento
Quali sono le pubblicità che hanno riscosso maggior successo su YouTube in Italia nel 2014?Google ha
stilato una classifica degli spot più amati dell'anno appena passato, utilizzando alcuni dei segnali di
gradimento più significativi espressi dagli utenti su YouTube tra cui: il numero di visualizzazioni nel nostro
Paese, la percentuale di visualizzazione di ciascuna pubblicità e il rapporto tra visualizzazioni organiche e
visualizzazioni a pagamento.Ad aprire il ranking è Cornetto Algida, con Cupidity Love Story.Lo spot, ideato
per lanciare il Cornetto Cupidity, racconta una storia d'amore dal gusto moderno in cui lui scambia uno
sguardo con lei sul pullman e, grazie a Cornetto Algida e Facebook, riesce a ritrovarla.«L'amore è da sempre
al centro dei valori di Cornetto - spiega Giorgio Nicolai, marketing director Ice Cream Italy - è per questo che
nel 2013 è nato Cupidity Love Stories, un progetto che ha l'obiettivo di raccontare storie di ragazzi di diverse
nazionalità, in un linguaggio universale: quello dell'amore. I film sono stati realizzati dall'agenzia creativa
Mofilm mentre Lola Madrid è responsabile della nuova idea creativa di Cornetto. In Italia, partendo dal
progetto internazionale, Cornetto, che da più di cinquant'anni occupa un posto speciale nel cuore di tutti, ha
scelto di puntare sulla collaborazione con Cesare Cremonini, che con le sue canzoni fa da colonna sonora a
milioni di storie d'amore. Un connubio perfetto tra immagini e suoni, un'atmosfera unica che parla di estate, di
ragazzi e di amore e che è stato un vero successo. Con oltre 5 milioni di visualizzazioni siamo contenti di
essere riusciti a dare un gusto unico all'estate di milioni di italiani».Al secondo e terzo posto si trova Nike con i
film Nike Football: Winner Stays e Nike Football: The Last Game; a seguire Castrol con EDGE, al quinto
posto Gillette con lo spot dei rasoi girato con Lionel Messi e Roger Federer. Al sesto posto si posiziona John
Lewis con la pubblicità dedicata al Natale, di seguito il nuovo spot di Disneyland Paris; all'ottavo posto BMW
con la réclame per la BMW M235i, a seguire Adidas con uno spot dedicato alla FIFA World Cup. Chiude la
classifica la nuova pubblicità di Samsung GALAXY S5.Ecco la classifica completa di spot.1. Cornetto Cupidity
Love Stories: Logico #1 - creatività MOFILM + LOLA Madrid - media Mindshare2. Nike Football: Winner
Stays. ft. Ronaldo, Neymar Jr., Rooney, Ibrahimovi, Iniesta & more - creatività Wieden + Kennedy - media
Mindshare3. Nike Football: The Last Game ft. Ronaldo, Neymar Jr., Rooney, Zlatan, Iniesta & more creatività Wieden + Kennedy - media Mindshare4. Castrol EDGE Titanium Strong Blackout - creatività M&C
Saatchi - media Mindshare5. Lionel Messi & Roger Federer Trading Places Gillette #InnerSteel - creatività
Ketchum - media Mediacom6. John Lewis Christmas Advert 2014 - #MontyThePenguin - Adam & Eve DDB media Manning Gottlieb OMD7. Bad Boys at Disneyland Paris8. The Epic Driftmob feat. BMW M235i creatività Interone9. The Dream: all in or nothing ft. Messi, Alves, Suárez, Özil, RVP and more - FIFA World
Cup10. Samsung GALAXY S5 - Official Introduction - creatività Cheil - media Starcom Mediavest
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Tecnologia
15/01/2015
05:56
Primaonline.it
Sito Web
Le pubblicità più popolari su YouTube in Italia nel 2014: vince la love story
del Cornetto
Cornetto Algida apre la classifica delle pubblicità che hanno riscosso il maggior successo su YouTube in
Italia, nel corso del [...]
Cornetto Algida apre la classifica delle pubblicità che hanno riscosso il maggior successo su YouTube in
Italia, nel corso del 2014, con 'Cupidity Love Story'. Lo spot, ideato per lanciare il Cornetto Cupidity, racconta
una storia d'amore dal gusto moderno, in cui lui scambia uno sguardo con lei sul pullman e, grazie a Cornetto
Algida e Facebook, riesce a ritrovarla. "L'amore è da sempre al centro dei valori di Cornetto", spiega Giorgio
Nicolai, marketing director Ice Cream Italy di Unilever (a cui fa capo Algida). "È per questo che nel 2013 è
nato Cupidity Love Stories, un progetto che ha l'obiettivo di raccontare storie di ragazzi di diverse nazionalità,
usando un linguaggio universale: quello dell'amore". I film sono stati realizzati dall'agenzia creativa Mofilm
mentre Lola Madrid è responsabile della nuova idea creativa di Cornetto. Un momento del video di Cornetto
Algida1. Cornetto Cupidity Love Stories: Logico #1 CornettoAlgida Agenzia creativa: Mofilm e Lola Madrid2.
Nike Football: Winner Stays. ft. Ronaldo, Neymar Jr., Rooney, Ibrahimoviç, Iniesta & more NikeFootball
Agenzia creativa: Wieden + Kennedy Agenzia media: Mindshare3. Nike Football: The Last Game ft. Ronaldo,
Neymar Jr., Rooney, Zlatan, Iniesta & more NikeFootball Agenzia creativa: Wieden + Kennedy Agenzia
media: Mindshare4. Castrol EdgeTitanium Strong Blackout Castrol Agenzia creativa: M&C Saatchi Agenzia
media: Mindshare5. Lionel Messi & Roger Federer Trading Places Gillette #InnerSteel Gillette Latinoamérica
Agenzia creativa: Ketchum Agenzia media: Mediacom6. John Lewis Christmas Advert 2014 #MontyThePenguin John Lewis Agenzia creativa: Adam & Eve DDB Agenzia media: Manning Gottlieb
OMD7. Bad Boys at Disneyland Paris Disneyland Paris Agenzia creativa: N/A Agenzia media: N/A8. The Epic
Driftmob feat. Bmw M235i Bmw Agenzia creativa: Interone Agenzia media: N/A9. The Dream: all in or nothing
ft. Messi, Alves, Suárez, Özil, RVP and more - FIFA World Cup™ Adidas Football Agenzia creativa: N/A
Agenzia media: N/A10. Samsung Galaxy S5 - Official Introduction Samsung Mobile Agenzia creativa: Cheil
Agenzia media: Starcom Mediavest
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15/01/2015
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A novembre ogni giorno online 21,7 milioni di italiani per quasi due ore (
Audiweb , novembre 2014)
La total digital audience a novembre 2014 è rappresentata da 28,8 milioni di utenti collegati almeno una volta
nel mese, [...]
La total digital audience a novembre 2014 è rappresentata da 28,8 milioni di utenti collegati almeno una volta
nel mese, il 53,4% degli italiani dai 2 anni in su. Nel giorno medio l'audience totale (da pc o device mobili) è di
21,7 milioni di utenti, online per 1 ora e 59 minuti. Lo dicono i nuovi dati Audiweb diffusi oggi. La mobile
audience nel giorno medio raggiunge 17,4 milioni di utenti unici (di 18-74 anni), che trascorrono online in
media 1 ora e 38 minuti per persona. Risultano, inoltre, 9 milioni gli utenti che nel giorno medio hanno
navigato su internet esclusivamente da device mobili. La fruizione di internet da PC nel giorno medio registra
12,8 milioni di utenti (dai 2 anni in su), collegati in media per 1 ora e 10 minuti.Nel giorno medio a novembre
risultano online 11,5 milioni di uomini (il 42,7% degli uomini dai due anni in su) e 10,3 milioni di donne (il 38%
delle donne).La fruizione di internet nel giorno medio registra valori più elevati principalmente tra le fasce più
giovani della popolazione, sia in termini di diffusione che di consumo. Più in dettaglio, risultano online il 69%
dei 25-34enni (4,8 milioni), il 66% dei 18-24enni (2,8 milioni) e il 56% dei 35-54enni (10,3 milioni).Nel giorno
medio i più giovani restano online per più tempo rispetto alla media: 2 ore e 31 minuti per i 18-24enni e 2 ore
e 15 minuti per i 25-34enni, su una media totale di 1 ora e 59 minuti.Infine, per quanto riguarda i dati di
consumo, tra le categorie di siti e applicazioni più consultati nel mese, risultano i siti di ricerca e i portali
generalisti (sotto-categoria "Search" e "General Interest Portals & Communities", con circa il 92% degli utenti
online), i social network (sotto-categoria "Member Communities", con l'88% degli utenti online e 13 ore per
persona) e, sulla sfera dell'intrattenimento e dell'informazione, i siti delle categorie "Videos e Movies" (l'81%
degli utenti online) e di News (il 70% degli utenti online), con valori significativi per i siti dedicati al commercio
elettronico (sotto-categoria "Mass Merchandiser") che raccolgono circa il 73% degli utenti online.- Clicca qui
per scaricare il file con tutti i dati Audiweb della mobile e total digital audience del mese di novembre 2014
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15/01/2015
04:35
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Sito Web
A novembre ogni giorno online 21,7 milioni di italiani per quasi due ore (
Audiweb , novembre 2014)
La total digital audience a novembre 2014 è rappresentata da 28,8 milioni di utenti collegati almeno una volta
nel mese, [...]
La total digital audience a novembre 2014 è rappresentata da 28,8 milioni di utenti collegati almeno una volta
nel mese, il 53,4% degli italiani dai 2 anni in su. Nel giorno medio l'audience totale (da pc o device mobili) è di
21,7 milioni di utenti, online per 1 ora e 59 minuti. Lo dicono i nuovi dati Audiweb (doc) e le relative tabelle
(xls). La mobile audience nel giorno medio raggiunge 17,4 milioni di utenti unici (di 18-74 anni), che
trascorrono online in media 1 ora e 38 minuti per persona. Risultano, inoltre, 9 milioni gli utenti che nel giorno
medio hanno navigato su internet esclusivamente da device mobili. La fruizione di internet da PC nel giorno
medio registra 12,8 milioni di utenti (dai 2 anni in su), collegati in media per 1 ora e 10 minuti.Nel giorno
medio a novembre risultano online 11,5 milioni di uomini (il 42,7% degli uomini dai due anni in su) e 10,3
milioni di donne (il 38% delle donne).La fruizione di internet nel giorno medio registra valori più elevati
principalmente tra le fasce più giovani della popolazione, sia in termini di diffusione che di consumo. Più in
dettaglio, risultano online il 69% dei 25-34enni (4,8 milioni), il 66% dei 18-24enni (2,8 milioni) e il 56% dei 3554enni (10,3 milioni).Nel giorno medio i più giovani restano online per più tempo rispetto alla media: 2 ore e
31 minuti per i 18-24enni e 2 ore e 15 minuti per i 25-34enni, su una media totale di 1 ora e 59 minuti.Infine,
per quanto riguarda i dati di consumo, tra le categorie di siti e applicazioni più consultati nel mese, risultano i
siti di ricerca e i portali generalisti (sotto-categoria "Search" e "General Interest Portals & Communities", con
circa il 92% degli utenti online), i social network (sotto-categoria "Member Communities", con l'88% degli
utenti online e 13 ore per persona) e, sulla sfera dell'intrattenimento e dell'informazione, i siti delle categorie
"Videos e Movies" (l'81% degli utenti online) e di News (il 70% degli utenti online), con valori significativi per i
siti dedicati al commercio elettronico (sotto-categoria "Mass Merchandiser") che raccolgono circa il 73% degli
utenti online.- Audiweb della mobile e total digital audience del mese di novembre 2014: Il comunicato (doc) le tabelle (xlsx)
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16/01/2015
11:36
Pubblicitaitalia.it
Sito Web
Tutte le News
Nel giorno medio l'audience totaled è di 21,7 milioni di utenti, online per 1 ora e 59 minuti Audiweb ha
distribuito il nastro di pianificazione, Audiweb Database, con i dati dell'audience totale di internet (total digital
audience) del mese di novembre 2014. Il nastro di pianificazione, distribuito alle software house e fruibile
attraverso i tool di pianificazione, offre il dettaglio dei dati della navigazione quotidiana sui siti degli editori
iscritti al servizio, organizzati per device, pc e mobile (smartphone e tablet al netto delle sovrapposizioni). La
total digital audience a novembre 2014 è rappresentata da 28,8 milioni di utenti collegati almeno una volta nel
mese, il 53,4% degli italiani sopra i 2 anni.Nel giorno medio l'audience totale (da pc o device mobili) è di 21,7
milioni di utenti, online per 1 ora e 59 minuti. La mobile audience nel giorno medio raggiunge 17,4 milioni di
utenti unici (di 18-74 anni), che trascorrono online in media 1 ora e 38 minuti per persona. Risultano, inoltre, 9
milioni gli utenti che nel giorno medio hanno navigato su internet esclusivamente da device mobili. La
fruizione di internet da pc nel giorno medio registra 12,8 milioni di utenti (dai 2 anni in su), collegati in media
per 1 ora e 10 minuti. Nel giorno medio a novembre risultano online 11,5 milioni di uomini (il 42,7% degli
uomini dai due anni in su) e 10,3 milioni di donne (il 38% delle donne). La fruizione di internet nel giorno
medio registra valori più elevati principalmente tra le fasce più giovani della popolazione, sia in termini di
diffusione che di consumo. Più in dettaglio, risultano online il 69% dei 25-34enni (4,8 milioni), il 66% dei 1824enni (2,8 milioni) e il 56% dei 35-54enni (10,3 milioni). Per quanto riguarda i dati di consumo, tra le
categorie di siti e applicazioni più consultati nel mese, risultano i siti di ricerca e i portali generalisti (sottocategoria 'Search' e 'General Interest Portals & Communities', con circa il 92% degli utenti online), i social
network (sotto-categoria 'Member Communities', con l'88% degli utenti online e 13 ore per persona) e, sulla
sfera dell'intrattenimento e dell'informazione, i siti delle categorie 'Videos e Movies' (l'81% degli utenti online)
e di News (il 70% degli utenti online), con valori significativi per i siti dedicati al commercio elettronico (sottocategoria 'Mass Merchandiser') che raccolgono circa il 73% degli utenti online. Condividi
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Audiweb , a novembre 28,8 milioni di italiani in Rete
16/01/2015
11:11
Pubblicitaitalia.it
Sito Web
Tutte le News
Potrebbe essere affidata a Web System, la concessionaria digital del Gruppo 24 Ore, la raccolta pubblicitaria
per i siti del gruppo Fox International Channels Italy (tra cui foxtv.it, foxlife.it, foxcrime.it, foxretro.it e
foxsports.it). La struttura diretta da Luca Paglicci (nella foto), secondo quanto risulta a Today Pubblicità Italia,
sarebbe infatti in pole position per ottenere l'incarico in precedenza gestito da .Fox Networks (vedi notizia
qui). Dopo l'uscita di Francesco Barbarani, head of .Fox Networks, passato in Rai Pubblicità nel luglio 2014
come direttore Area radio e web, si è deciso temporaneamente di affidare a un team interno le attività di
digital advertising in attesa della scelta di una nuova concessionaria online. Web System, tra l'altro, si occupa
già da tempo della pubblicità di Sky.it e dei siti collegati (come Sky Uno, Sky Cinema e Sky Arte). Intanto, tra
novembre e dicembre 2014, è stato ridistribuito il portafoglio di .Fox Networks che comprendeva anche una
serie di siti terzi. Tra questi, Economiaweb.it, Oggiviaggi.it e Giornalemotori.it (editi da News 3.0) sono passati
alla nuova concessionaria Advit. Mentre Citynews, il network di informazione partecipativa composto da 40
testate locali online e dalla testata nazionale Today.it, ha costituito una forza vendita interna coordinata
direttamente dall'amministratore delegato Luca Lani. Condividi
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Web System in pole per la raccolta digital di Fox International Channels
Italy
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
153 articoli
17/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Stefania Tamburello
Acquisto massiccio di titoli di Stato affidato alle banche centrali nazionali, che si accollerebbero i relativi rischi:
ultime pressioni della Germania nei confronti della Bce. a pagina 13
ROMA Domina la cautela nelle previsioni economiche della Banca d'Italia che, non a caso, definisce
«proiezioni» le stime del suo Bollettino trimestrale. Nello scenario complessivo spiccano l'andamento
dell'inflazione che «sarebbe marginalmente negativa» quest'anno (-0,2%), anche per il forte calo delle
quotazioni del petrolio, e che «rimarrebbe al di sotto dell'1%» nel 2016 (precisamente 0,7%) e la crescita del
Pil (Prodotto interno lordo), rivisto al ribasso rispetto alle previsioni di luglio (+1,3%), prima dell'inversione del
ciclo economico.
Nel 2015 la crescita non andrebbe al di sopra dello 0,4% mentre si rafforzerebbe all'1,2% nel 2016. In ogni
caso alla fine dell'orizzonte di proiezione, il prodotto risulterebbe ancora oltre sette punti percentuali sotto il
livello del 2007. Resta comunque, per gli economisti della Banca d'Italia, «ampia l'incertezza attorno a questi
valori». Sarà «crucialel'intensità della ripresa della spesa per investimenti; un rapido miglioramento delle
prospettive di domanda e delle condizioni finanziarie potrebbe accrescerla, nonostante l'elevato grado di
capacità produttiva inutilizzata». Un andamento più favorevole dell'attività si avrebbe «se il prezzo del petrolio
si mantenesse sui valori registrati negli ultimi giorni».
In ogni caso per l'Italia, per lcui il ministro del Tesoro, Padoan, ieri ha escluso manovre aggiuntive, il
consolidamento di bilancio resta «un obiettivo essenziale» mentre rimane, «fragile» la ripresa
dell'occupazione con le previsioni di inizio 2015 ancora negative.
La virata potrebbe arrivare dall'intervento espansivo della Bce. Il quantitative easing , cioè l'acquisto
massiccio di titoli pubblici della Bce, il cui avvio è previsto per il 22 gennaio, «potrebbe aggiungere un mezzo
punto alla crescita del Pil sia in Italia che nell'eurozona» nel biennio 2015-2016. «Misure aggressive di
sostegno monetario possono contribuire a contrastare le pressioni al ribasso sui prezzi e la debolezza
dell'attività economica nell'area», sottolinea il Bollettino, mentre a Francoforte, secondo Der Spiegel, che cita
il piano illustrato mercoledì a Berlino dal presidente della Bce, Mario Draghi alla cancelliera Angela Merkel e
al ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, si starebbe mettendo a punto un programma di Quantitative
easing affidato alle banche centrali nazionali. Ognuna di esse - con l'esclusione della Grecia - potrebbe
comprare solo bond dei propri Paesi, accollandosi i relativi rischi, con un tetto al 20-25% del debito nazionale.
Il Quantitative easing «deve essere grande» per essere efficace, ha detto Benoit Coeuré, del comitato
esecutivo Bce.
Stefania Tamburello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
PIL e principali componenti della domanda 105 100 95 90 85 110 100 90 80 70 Indici: 2007=100 2007 2008
2009 2010 2011 2012 2013 2014 Fonte: Bollettino economico 1/2015 di Bankitalia d'Arco PIL Italia Consumi
e investimenti Esportazioni (scala a destra)
La vicenda
La Banca d'Italia ha tagliato le previsioni di crescita per il 2015 e stima un calo dei prezzi pari
allo 0,2% Per il 2015 l'aumento
del Pil non supererà
lo 0,4%
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
66
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Germania e Bce: nuove pressioni
17/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Quirinale, vertice Berlusconi-Alfano
Francesco Verderami
Siccome per la corsa al Colle (quasi) tutti i nomi sono stati fatti, resta da capire chi e in che modo trasformerà
uno dei quirinabili in capo dello Stato.
Nella sfida tra king maker è ovvio che Renzi avrà il ruolo di dominus. Ma chi saranno gli altri padrini e quanta
parte avranno nell'indirizzare la scelta del prossimo presidente della Repubblica? La partita su questo fronte
è iniziata ieri, quando il leader del Pd - dopo il rituale «discuteremo con tutti» - ha aggiunto che «i primi a
essere coinvolti saranno i nostri alleati di governo, verso cui ci rivolgiamo con amicizia, stima e
riconoscenza». In politica nulla è gratuito, e se il premier ha inviato questo segnale ad Alfano c'è un motivo:
sente uno strano tramestio provenire da quel campo desertificato che un tempo è stato il centrodestra. E non
si sbaglia.
La battaglia per il Colle che servirà (anche) a regolare conti nel Pd, forse nell'esecutivo, e in futuro persino tra
istituzioni, rappresenta l'ultima occasione per ricostruire l'area dei moderati, abbandonando risentimenti e
vecchie dispute. Da un mese non si segnalano scaramucce alla frontiera tra Forza Italia e Ncd. E dopo che,
sotto Natale, Alfano accennò alle alleanze per le prossime Regionali legandole all'esito della corsa per il
Colle, Berlusconi rispose che «sul Quirinale dovremo marciare uniti».
Già allora Renzi drizzò le orecchie, anche perché fino ad allora aveva tratto giovamento dal combinare con i
due per parti separate. Dev'essere accaduto qualcosa in quel frangente tra il Cavaliere e il suo ex delfino, se
è vero che - d'un tratto - le relazioni diplomatiche si sono infittite, hanno iniziato a discutere di un «patto
preventivo di consultazione», e per la prossima settimana Berlusconi e Alfano hanno deciso di incontrarsi
dopo 15 mesi, due governi e due presidenti del Consiglio di separazione.
È presto per dire se l'appuntamento sarà la pietra angolare del nuovo centrodestra. Ma se Renzi ha inviato
quel messaggio ad «Angelino» è perché l'intelligence di cui dispone nel campo di Agramante lo ha messo
sull'avviso, facendogli sapere di aver sentito Berlusconi - proprio lui - parlare con «Angelino»: «Il presidente
dobbiamo farlo insieme». È chiara la mossa del premier, l'obiettivo di tenerli separati, non perché non abbia
bisogno dei voti di entrambi per il Colle ma perché un conto è vederli in stanze diverse, un conto è ritrovarseli
insieme con il pacchetto di voti messo in comune.
Qualcosa dev'essere successo se Forza Italia e Ncd - che insieme a Udc ha fondato Area Popolare - hanno
preso a far di conto sui «duecento e passa grandi elettori di cui disponiamo», se Alfano dice che «questi
sarebbero i voti dei grandi elettori appartenenti alla famiglia del popolarismo europeo», lasciando intuire che
nessuno potrebbe poi dividere ciò che il Quirinale ha unito. Sia chiaro, le dichiarazioni d'intenti non sono
ancora il segno di una pace ma certo di una tregua, e non c'è dubbio che ci sarà chi proverà a sabotare
l'operazione. Così come non c'è dubbio che il «patto di consultazione preventiva», semmai si verificasse,
darebbe origine a una mutazione genetica del patto del Nazareno. E su questo Berlusconi e Alfano devono
aver discusso non solo attraverso i mediatori, se si profila una strategia comune per il Colle. Niente nomi da
proporre per ora: è interesse di entrambi, sia per non dar l'idea di una sfida a Renzi, sia perché Renzi non si
è esposto sui nomi. O meglio, ne ha fatti tanti, come un cittì che annuncia la lista dei convocati in Nazionale.
E dato che tutti i quirinabili indicati dal segretario del Pd provengono dallo stesso club, Berlusconi e Alfano si
preparano a condividere non solo i voti ma anche i veti, ragionando su una figura che possa essere una
comune bandiera: Antonio Martino, tessera numero due della prima Forza Italia, anti-tasse come il Cavaliere
e siciliano come Alfano, figlio di uno dei padri fondatori dell'Unione Europea. Anche Casini è della partita, è
ovvio, ma per ora la sfida è tra king maker che non hanno interesse a rompere.
E infatti Renzi chiede al suo partito di «non mettere dita negli occhi» a Berlusconi, perché «se lui sta
tranquillo arriveremo più facilmente al 2018», e al contempo spiega che ad Alfano «va riconosciuto il giusto
ruolo». Ognuno vuol ricavare un beneficio da questa legislatura: il premier per aver «cambiato verso» al
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SETTEGIORNI
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Paese, il leader di Ncd per aver «vinto la scommessa partecipando a un governo costituente», il Cavaliere
per «non fare parte della coalizione degli sconfitti».
Sul Quirinale potrebbero cambiare gli equilibri con il ricongiungimento tra Berlusconi e Alfano, che ricorda a
Renzi come «la Dc che aveva il 40% diede la presidenza della Repubblica al liberale Einaudi e poi al
socialdemocratico Saragat. Perché il Pd non potrebbe fare la stessa cosa?». È tutto un punto interrogativo
per ora, dietro cui si cela una sfida complessa. Per esempio, dopo che Renzi ha fatto la sua prima mossa, se
Alfano si esponesse troppo e poi Berlusconi lo scavalcasse per chiudere direttamente l'intesa con il premier,
Ncd resterebbe stritolato nella morsa. Ecco perché la tregua non è ancora pace. Ecco perché nella corsa al
Colle non è in ballo solo una poltrona.
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I quorum
Il 29 gennaio, alle 15, il Parlamento sarà convocato in seduta comune per l'elezione del nuovo capo dello
Stato L'assemblea che eleggerà il presidente è composta da senatori, deputati e delegati regionali I consigli
regionali cominciano lunedì a riunirsi per scegliere i delegati che li rappresentano a Roma Alle prime tre
votazioni è necessario il quorum dei due terzi: servono 672 voti su 1.008 Le votazioni avranno luogo in due
giorni distinti: il 29 gennaio ci sarà la prima chiama; il giorno successivo la seconda e la terza Dal quarto
scrutinio in poi basta la maggioranza assoluta:
505 voti
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Frontalieri in coda per comprare euro
Anna Campaniello
Centinaia di frontalieri in fila davanti a banche e agenzie di cambio. Tasche gonfie di franchi svizzeri da
trasformare in euro: 95 centesimi per franco, mercoledì scorso erano 82. a pagina 15
CHIASSO Fila da primo giorno di saldi. La coda però non è davanti ai negozi, pressoché vuoti. Centinaia di
persone aspettano davanti a banche, agenzie di cambio e uffici postali. Le tasche gonfie di franchi svizzeri
che, all'uscita, saranno diventati euro. Fino a 95 centesimi di euro per ciascun franco rispetto agli 82 di
mercoledì scorso (nel valzer dei cambi, poi, in serata la moneta unica è addirittura scesa ancora: 0,99 franchi
per un euro, 1,01 euro per un franco).
L'effetto dello sganciamento del franco svizzero dall'euro, deciso giovedì dalla Banca di Berna, in Canton
Ticino è stato immediato. La moneta elvetica è schizzata a valori record ed è scattata la corsa al cambio. Con
un migliaio di franchi, senza fare nulla il guadagno immediato è di quasi 150 euro. I clienti convertono somme
perlopiù dai mille ai cinquemila franchi. Non oltre, almeno non in una sola operazione, per evitare di incorrere
nelle norme per contrastare il riciclaggio.
I frontalieri sono i primi a mettersi in coda per convertire i risparmi. A mezzogiorno di ieri, molti uffici cambio e
gli sportelli più piccoli di banche e poste di Chiasso e della fascia di confine avevano esaurito la moneta
europea e hanno momentaneamente sospeso le operazioni di cambio valuta. Il franco record, intanto, ha
svuotato i negozi e pure le stazioni di servizio. A Chiasso, lo shopping si declina in corso San Gottardo. Dietro
alle vetrine che promuovono i «ribassi», i clienti sono merce rara. Se in prospettiva il rischio è di perdere i
clienti svizzeri, che con questi tassi di cambio hanno convenienza a comprare oltreconfine, i commercianti
stanno già facendo i conti con una conseguenza immediata. «Abbiamo acquistato la merce pagandola in
euro con il vecchio cambio - ripetono gli esercenti elvetici -. Solo pensando al magazzino abbiamo già una
perdita secca del 20% che difficilmente potremo recuperare».
Nel clima di incertezza che si è venuto a creare, le reazioni sono le più disparate. Ieri, nei centri commerciali
e outlet di Mendrisio e Lugano, alcuni negozi esponevano cartelli per avvisare i clienti di non aver modificato il
tasso di cambio. Al contempo, sono apparsi messaggi opposti, della serie «Avvisiamo la spettabile clientela
che non accettiamo pagamenti in euro». In Canton Ticino, persino le strutture sanitarie stanno già correndo ai
ripari. E' il caso ad esempio di una clinica per la procreazione assistita, che con un comunicato stampa ha
tranquillizzato i pazienti: «Nessun aumento per le coppie italiane per lo sblocco del cambio franco-euro».
Tremano i gestori delle stazioni di servizio della fascia di confine, che tra i clienti annoverano soprattutto
italiani. In queste ore, pochi fanno rifornimento. «Perlopiù si tratta di clienti che non sanno del nuovo cambio»,
ammettono gli stessi benzinai.
È a rischio persino la carta sconto, che consente ai residenti in Italia, nella fascia di confine, di fare benzina in
patria a prezzi agevolati. Al cambio attuale, anche senza bonus, il carburante in Italia costa meno che in
Svizzera. La tessera sconto introdotta in Lombardia oltre 10 anni fa potrebbe non avere più ragione di
esistere. L'unica contromossa possibile per gli svizzeri è una riduzione dei prezzi del carburante per
continuare a essere attrattivi dall'altra parte della frontiera. Una soluzione della quale si parlava già ieri e che
potrebbe essere introdotta senza indugi.
Anna Campaniello
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La vicenda
Giovedì 15 gennaio la banca centrale elvetica ha abolito il plafond di 1,20 fissato per il cambio contro l'euro. Il
franco è così scivolato sotto la soglia fissata a fine 2011. Nello stesso tempo la banca centrale svizzera ha
ridotto i tassi, già negativi, di mezzo punto percentuale a
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economia
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-0,75%. La Borsa di Zurigo è stata penalizzata per due giorni consecutivi: per le aziende svizzere diventa più
difficile esportare
Come funziona 1 Rientro dei capitali,
Berna esce dalla black list
L'intesa Italia-Svizzera sul Fisco, ormai in dirittura d'arrivo (la firma è attesa per metà febbraio), prevede lo
scambio di informazioni e una «road map» per i futuri negoziati su Campione d'Italia, blacklist e frontalieri.
L'accordo è fondamentale per il successo della «voluntary disclosure», il programma del governo per
l'emersione dei fondi nascosti all'estero attraverso l'autodenuncia del contribuente-evasore, in cambio di uno
sconto sulle sanzioni amministrative e penali, ma dietro il pagamento delle imposte dovute. La finestra rimane
aperta fino al 30 settembre e permetterà di sanare le violazioni commesse fino al 30 settembre scorso.
L'aspetto principale dell'accordo ai fini della «voluntary disclosure» è l'uscita di fatto della Svizzera dalla
«black list» dei Paesi che l'Italia considera non collaborativi dal punto di vista fiscale. I parametri applicati per
il rientro dei capitali cambiano.
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2 Mettersi in regola costerà il 7,4% invece del 15%
Si stima che i capitali detenuti all'estero e nascosti al Fisco ammontino tra i 150 e i 200 miliardi di euro. Di
questi l'85%, sempre secondo le stime, troverebbe ospitalità in Svizzera. L'uscita del Paese dalle «black list»
fiscali ha il «vantaggio» per chi deve mettersi in regola di non subire il raddoppio delle sanzioni per violazione
degli obblighi di monitoraggio fiscale (si fermano al 3% del valore non dichiarato) e del periodo di
accertamento (5 anni anziché 10). Se un contribuente ha investito 100 prima del 2004 in Svizzera con un
rendimento del 3%, il costo della voluntary disclosure - secondo i calcoli fatti dall'Unione fiduciaria - è del
7,43% grazie al trattato tra Berna e Roma, in assenza dell'accordo il costo sarebbe stato del 15,3%. Se il
contribuente opta per la forfettizzazione del rendimento, in presenza del trattato il costo complessivo è circa
del 6,3%, senza intesa del 14,4%.
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3 Voluntary disclosure
anche per le società
Alla voluntary disclosure possono accedere non solo le persone fisiche ma anche le società. Nel caso in cui i
redditi portati all'estero siano stati realizzati dall'imprenditore con la propria società, la voluntary disclosure si
applica anche all'azienda, ma il costo maggiore è sostenuto dal titolare. Prendiamo ad esempio una società
di capitali residente in Italia che ha dedotto costi fittizi per un milione di euro nel 2010 a fronte di operazioni
inesistenti con una società estera terza, che ha trattenuto a titolo di compenso per l'attività svolta il 5% delle
operazioni fittizie. Il caso di scuola prevede che il restante 95% sia stato trasferito su un conto estero del
socio unico della società italiana. Ipotizzando un rendimento del 3%, il costo della voluntary disclosure delle
attività estere, calcolato dallo studio Bonelli Erede Pappalardo, è di circa il 66%.
testi a cura di Francesca Basso
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20% la perdita registrata
da chi aveva acquistato merci in euro
150 euro
il guadagno immediato
per chi cambia mille franchi
Foto: Code davanti
a un ufficio di cambio valute ieri in Svizzera. Si tratta di uno degli effetti dello sganciamento del franco
svizzero dall'euro, deciso giovedì dalla Banca centrale. Ieri si potevano ottenere fino a 95 centesimi di euro
per ogni franco rispetto agli 82 di mercoledì scorso.
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Una via democratica per l'Islam
Dino Messina
«I musulmani non sono tutti terroristi. Ma l'Islam deve rispettare la democrazia». Così al Corriere Orhan
Pamuk, il maggiore scrittore turco. a pagina 11
«La mattina del 7 gennaio stavo lavorando alla versione turca del mio nuovo romanzo, A strangeness in my
mind , quando controllando i messaggi di posta elettronica mi sono accorto dalle domande di alcune
giornalisti che qualcosa di terribile era avvenuto a Parigi. Mi sono collegato ai siti Internet e ho appreso
dell'attacco terroristico alla redazione di Charlie Hebdo : dopo lo choc iniziale, mi ha preso un sentimento di
tristezza e insieme di rabbia e frustrazione. Cosa può fare uno scrittore di fronte a tanta violenza? Gli appelli,
le parole sono molto meno efficaci delle pallottole».
Orhan Pamuk, 62 anni, premio Nobel per la letteratura nel 2006, è il maggiore scrittore turco. Tra i suoi nove
romanzi, tradotti in più di 60 lingue e venduti in tutto il mondo (in Italia sono pubblicati da Einaudi), da Il libro
nero a Il mio nome è rosso al Museo dell'innocenza , ce n'è uno, Neve , uscito 12 anni fa, in cui affronta il
problema dell'Islam politico. Scrittore solitario che rifugge dalle facili etichette politiche, Pamuk si è trovato nel
2005 a diventare un simbolo pubblico suo malgrado quando è stato attaccato e messo sotto processo per le
dichiarazioni e gli scritti sul genocidio armeno e la persecuzione dei curdi. Legatissimo alla sua Istanbul, cui
ha dedicato uno splendido saggio autobiografico, Pamuk è un grande viaggiatore: visita spesso l'Europa e
ogni anno insegna sei mesi letteratura nelle università degli Stati Uniti.
L'attacco alla redazione di «Charlie Hebdo» è stato definito l'11 settembre europeo. È d'accordo?
«È ovviamente altrettanto terribile dell'11 settembre 2001 ma non me la sento di giudicare le sofferenze
umane e paragonarle. Una cosa tuttavia vorrei dire: sono sicuro che l'Europa saprà evitare le tentazioni
islamofobiche che hanno percorso l'America dopo l'attacco alle Torri Gemelle. Durante i miei soggiorni negli
Stati Uniti avvertivo una diffidenza crescente, per esempio, fra i vicini di casa nelle città di provincia del
Midwest oppure rispondevo con un certo imbarazzo quando in un banale controllo automobilistico il poliziotto
mi chiedeva se ero musulmano. Non tutti i musulmani sono terroristi».
Eppure il terrorismo islamico è una minaccia reale.
«Credo che il terrorismo fondamentalista non sia diverso da ogni tipo di terrorismo. Sì, ci sono partiti politici
che usano e abusano dell'Islam. Come tante persone laiche nella mia parte del mondo sono critico con loro,
ma non sono paragonabili ai terroristi per quel che fanno. Possiamo per esempio distinguere tra i partiti
cristiano-democratici e i cristiani fondamentalisti che fecero l'attentato a Oklahoma City negli Usa... Quindi
neppure tutti gli islamisti sono terroristi, sebbene essi tendano a essere tolleranti con i fondamentalisti islamici
che praticano il terrore: la distinzione fra l'islamismo moderato e il terrorismo fondamentalista islamico è
essenziale per capire la politica nel mondo islamico. Ho scritto di questo e della fragile situazione dei liberali
nel nostro mondo secolarizzato nel mio romanzo Neve ».
Parla di questi temi anche nel suo nuovo romanzo, «A strangeness in my mind»?
«Lasciamo perdere il mio nuovo libro, ne parleremo quando uscirà in Italia. Se intendeva farmi una domanda
sulla Turchia, le rispondo che qui si è affermato un Islam politico che è ben lontano dal terrorismo. Il partito
islamico è andato al potere in Turchia attraverso libere elezioni e in maniera pacifica. Oggi, nel mio Paese la
libertà di opinione viene limitata e soppressa non con il terrore ma con alcune azioni di governo».
La strage di «Charlie Hebdo» è anche un attacco alla libertà di opinione, uno dei capisaldi delle democrazie
europee e occidentali. Come difendersi?
«La libertà di opinione non è solo un fondamento della civiltà europea ma è un valore universale, appartiene
a tutta l'umanità. I terroristi che hanno agito a Parigi volevano proprio colpire la libertà di opinione, cosa che
non sta loro a cuore. Quegli attentati sono stati anche una ferita per quanti come me credono che musulmani
e cristiani possano vivere pacificamente in Europa e che siano possibili rapporti armonici tra Occidente
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INTERVISTA LE IDEE Orhan Pamuk
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cristiano e Islam. Sterminando la redazione di Charlie Hebdo i terroristi avevano due obiettivi: da un lato far
crescere il risentimento contro l'Islam in Europa, dall'altro diffondere la convinzione nelle società islamiche
che non è possibile vivere pacificamente con "chi ci odia". Questo è molto triste per chi come me crede che il
futuro della Turchia sia accanto all'Europa, anzi nell'Unione Europea».
In Italia e in Europa sta crescendo una corrente di opinione che chiede all'Islam maggiore responsabilità
contro il terrorismo, che si alzi una voce autorevole a dire che un certo tipo di violenza fa parte dell'«album di
famiglia» e, quindi, prenderne le distanze risolutamente.
«Sono d'accordo con questa affermazione, ma la democratizzazione dell'Islam dovrebbe arrivare dagli stessi
musulmani piuttosto che essere una risposta alle ragionevoli pressioni della comunità internazionale. Nella
parte del mondo in cui vivo non solo non puoi pubblicare una vignetta contro il Profeta ma nemmeno contro il
presidente della Repubblica o il capo di Stato maggiore. Farò un altro esempio: in Egitto il presidente Al Sisi è
a capo di uno governo laico che nega una completa libertà di espressione. Alla fine il problema è la scarsa
libertà di opinione in una democrazia. Quanto di questo dipenda dall'Islam e quanto dalle attitudini autoritarie
delle società non occidentali è difficile dire. È un dovere morale criticare i governi quando limitano la libertà di
opinione e distruggono le basi della democrazia. Abbiamo molto da fare in questo senso in Turchia».
È utopistico chiedere ai governi dei Paesi islamici il riconoscimento chiaro dei valori democratici?
«Potrebbe essere un'utopia ma è moralmente e politicamente giusto. È essenziale che chiediamo maggiore
democrazia nei Paesi islamici e che ci battiamo contro l'idea che l'Islam e la democrazia non sono
compatibili. Questo è il punto cruciale: i Paesi islamici possono dirsi moderni soltanto se riconoscono la
democrazia e rispettano la libertà di opinione, i diritti delle minoranze, il voto delle persone. Essi lo fanno
raramente. Il boom economico non è una garanzia di democrazia, abbiamo una notevole crescita economica
ma la democrazia non aumenta affatto, almeno non allo stesso passo».
Qual è il Paese islamico che riconosce i valori della democrazia?
«Sfortunatamente ce ne sono molto pochi, quasi nessuno. Spesso, ci sono elementi di democrazia qua e là,
ma nello stesso tempo la libertà di opinione è limitata. Un fatto questo dovuto a un insieme di fattori: il
ritardato sviluppo economico, la difficile emancipazione dal colonialismo, i retaggi arcaici dell'Islam, che non è
l'unico responsabile. A questo punto vorrei ripetere che non esiste democrazia senza libertà di opinione e che
in Turchia tantissime persone rischiano per difendere la libertà di espressione. E ho visto molta gente
addolorata e solidale con le vittime dell'attacco a Charlie Hebdo ».
C'è chi sostiene che per battere il terrorismo islamista bisogna allearsi con personaggi scomodi, non proprio
campioni di libertà ma che sanno fronteggiare il nemico, come l'egiziano Al Sisi e il russo Putin.
«Ciò significa che Mubarak e Saddam erano bravi ragazzi solo perché mettevano gli islamisti in galera...
Saddam Hussein era un dittatore laico che avversava l'Islam politico ma gli Stati Uniti e l'Europa l'hanno
abbattuto. Non credo sia giusto legittimare le dittature militari per il solo fatto che sanno tenere a bada l'Islam
politico. Di fatto questa vecchia mentalità coloniale implica che i Paesi islamici meritino solo dittatori e che la
democrazia non faccia per loro. Preferisco essere considerato un liberale naïf piuttosto che condividere
questo modo di pensare».
Dopo gli attentati a Parigi si è svolta una manifestazione oceanica cui hanno partecipato circa cinquanta tra
capi di Stato e di governo. Tra essi alcuni non erano campioni di democrazia, come il vostro primo ministro
Ahmet Davutoglu.
«È un fatto positivo che fosse lì. La comunità internazionale dovrebbe allo stesso tempo accettare e criticare i
governanti della Turchia piuttosto che isolarli. Il fallimento del negoziato fra l'Unione Europea e il mio Paese
non ha certo migliorato la nostra democrazia. Oggi sento che Twitter e YouTube potrebbero di nuovo essere
banditi. Alcuni giornalisti sono finiti in prigione, altri vengono licenziati o sono comunque sotto pressione. La
libertà d'opinione è fortemente limitata in Turchia, ma per onestà devo dire che lo era anche prima, quando al
potere non c'era il partito di ispirazione islamica, ma i laici e i militari».
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Chi è
Orhan Pamuk, 62 anni, premio Nobel per la letteratura nel 2006, è il maggiore scrittore turco vivente I suoi
nove romanzi sono stati tradotti in più di 60 lingue e venduti in tutto il mondo (in Italia sono pubblicati da
Einaudi), da Il libro nero a Il mio nome è rosso al Museo dell'innocenza Uno dei più famosi è Neve , uscito 12
anni fa, in cui affronta
il problema dell'Islam politico Nel 2005
è diventato
un simbolo pubblico quando è stato attaccato
e messo sotto processo per
le dichiarazioni e gli scritti sul genocidio armeno e
la persecuzione dei curdi Il suo nuovo romanzo, A strangeness in my mind , è uscito in lingua inglese lo
scorso dicembre. Racconta i cambiamenti della società turca. Il punto di vista è quello di un venditore di
strada, che scrive lettere d'amore
a una ragazza dal 1969
al 2012
Foto: Musulmani per la pace I fedeli di oltre cinquanta moschee hanno manifestato a Madrid dopo la strage a
«Charlie Hebdo» ( Getty Images )
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Scaroni a Passera: sì, erano tangenti
Luigi Ferrarella
La frase è in una telefonata intercettata sull'utenza di Paolo Scaroni il 31 gennaio 2013. Il manager allora al
vertice di Eni parla con il ministro allo Sviluppo economico del governo Monti, Corrado Passera: «Io son pure
d'accordo che siano in qualche modo delle tangenti date alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a
qualche algerino». I due stanno parlando di quei 197 milioni di euro di apparenti commissioni per contratti
petroliferi in Algeria, pagati da Saipem (appartenente al gruppo Eni) nel 2007-2010 alla società di Hong Kong
di un mediatore algerino con base a Dubai. a pagina 27
MILANO I 197 milioni di euro di apparenti commissioni per contratti petroliferi in Algeria, pagati da Saipem
nel 2007-2010 alla società di Hong Kong di un mediatore algerino con base a Dubai, «io son pure d'accordo
che siano in qualche modo delle tangenti date alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche
algerino». Chi ne è convinto? Uno dei pm che l'altro ieri hanno concluso l'inchiesta sull'ex amministratore
delegato Eni Paolo Scaroni per corruzione internazionale di ministri e burocrati algerini? No, a sorpresa è la
convinzione proprio di Scaroni. Espressa all'allora ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, in
una telefonata intercettata sull'utenza di Scaroni il 31 gennaio 2013.
È una mattina particolare. L'inchiesta su Saipem in Algeria ha portato alle dimissioni dell'amministratore
delegato Pietro Tali, Saipem ha rivisto al ribasso le proprie stime, il giorno prima è crollata in Borsa del 34%
bruciando 4,5 miliardi. E il ministro Passera (governo Monti) chiama il numero uno di Eni preoccupato dei
possibili contraccolpi sull'Eni che controlla Saipem con il 43%. «Volevo soltanto la chiave di lettura
dell'incidente di ieri della Saipem», domanda Passera a Scaroni, che parte allora con la classica spiegazione
della separazione operativa tra Eni e la pur controllata Saipem: «Dunque, allora, te lo spiego in modo un po'
semplice. Come tu probabilmente sai, Saipem lavora per noi, lavora per le compagnie petrolifere del mondo,
anzi il suo primo cliente è la Total, il secondo è la Exxon (...). Negli ultimi 10 anni il titolo è cresciuto di 5 o 6
volte», ma «il vero padrone della Saipem è sempre stato Tali, lì da molti anni. Dall'inizio 2012 ho cominciato,
guardando i numeri, ad accorgermi che qualcosa proprio non mi suonava molto. Tieni presente che, avendo
fatto io 12 anni in Techint, di società di costruzioni un pochino ne capisco, no? E allora - vanta Scaroni al
ministro - in marzo ho storto il braccio a Tali e l'ho convinto a prendere un nuovo direttore finanziario che
veniva da Eni, per capirci un po' più nei conti. Poi verso novembre ho iniziato ad avere i primi rapporti, che mi
dicevano che le cose andavano meno bene di come ce la raccontavano. A quel punto, anche approfittando di
questo incidente Algeria, praticamente ho forzato il cda Saipem a far dare le dimissioni a Tali e a metterci un
nuovo amministratore, che guarda i conti e scopre il buco di ieri».
E l'Algeria? «Improvvisamente scopriamo... anzi scopre la magistratura, non noi... scopre la Procura di Milano
che la Saipem nel 2007 aveva firmato un contratto di agenzia con una società di Dubai, dandole una certa
percentuale... non so, il 2% o 3% per tutte le commesse in Algeria. Sulla scorta di questo contratto, gli han
pagato 190 milioni di commissioni...». «Ah, però.!», sussulta il ministro basito dall'enormità della mediazione.
«Eh... che la magistratura di Milano pensa, e io sono pure d'accordo - calca il tono di voce Scaroni - che
siano in qualche modo delle tangenti date a... alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche
algerino. Ecco, quindi mi si è aggiunto questo problema... che mi ha spinto ancor di più a fare pulizia (...).
Abbiamo fatto una pulizia di bilancio, abbiamo rivisto il consensus da un miliardo e mezzo a 750 milioni». Noi
chi? «Quando dico "noi" parlo sempre della Saipem, perché noi come Eni siamo fuori da queste cose. E poi
Tali nel frattempo ha preso un avviso di garanzia, ha avuto la perquisizione».
Nei mesi successivi i pm scoprono però che proprio Tali, dal quale Scaroni al telefono con Passera fa mostra
di prendere le distanze, era il manager Saipem che organizzava gli incontri riservati del numero uno Eni con il
ministro algerino dell'Energia, Chekib Khelil, e con Farid Bedjaoui: ovvero con il mediatore che il ministro
presentava quasi come proprio figlio, destinatario (dietro schermo di una società di Hong Kong in apparenza
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L'INCHIESTA SAIPEM L'ex manager Eni e l'ex ministro intercettati nel 2013
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altrui) dei 197 milioni di Saipem che per la difesa degli indagati (Scaroni, Tali, Bedjaoui, 5 manager, Eni e
Saipem) erano normali commissioni, e che invece erano tangenti a detta dei pm nonché dello Scaroni
intercettato con Passera.
Ovvio che i vertici Eni incontrino a quattr'occhi ministri e capi di governo stranieri, ma gli informali incontri
riservati di Scaroni con il ministro algerino e con Farid Bedjaoui, organizzati da Tali, «non corrispondono alle
prassi che seguivamo», aggrava lo scenario il 7 aprile 2014 il teste Stefano Cao, fino al 2008 capo in Eni
della cruciale divisione Esplorazione&Produzione (E&P): «Nel mio periodo non sono mai stati organizzati
incontri riservati con queste modalità». E di fronte a mail in cui Tali (Saipem) anticipava a Scaroni gli
argomenti riguardanti Eni «quando Farid si incontrerà con te», Cao trova «assolutamente anomalo che l'ad di
Saipem dia indicazione all'ad di Eni su temi di competenza della divisione E&P di Eni» diretta da Cao. In una
mail Scaroni chiedeva a Tali persino se a un incontro con Farid fosse meglio andare «da solo o con Cao», e
Tali concedeva che, prevedendo lì argomenti «non particolarmente riservati, secondo me ci può essere
anche Cao». Che commenta ai pm: «Non ho mai saputo di queste consultazioni, e credo siano cose che non
dovrebbero avvenire. Rilevo che c'erano rapporti diretti tra Scaroni e Tali, che nella sostanza mi bypassavano
su questioni di competenza della mia divisione».
Luigi Ferrarella
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La vicenda
La Procura
di Milano
ha chiuso
due giorni fa l'inchiesta sulla presunta maxitangente che sarebbe stata pagata dalla Saipem (controllata
dall'Eni che detiene il 43%) per appalti legati al gas importato dall'Algeria Tra gli indagati, l'ex amministratore
delegato dell'Eni
Paolo Scaroni
(per corruzione internazionale di ministri
e burocrati algerini)
e altri dirigenti
di società
del «cane
a sei zampe» Alla base delle accuse della Procura
di Milano anche intercettazioni telefoniche197 i milioni
pagati tra il 2007 e il 2010 dalla Saipem
a una società riconducibile
al mediatore algerino Farid Bedjaoui, legato all'allora ministro dell'Energia Chekib Khelil
17/01/2015
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LA PRIMA SFIDA È ARRIVARE AL 29 GENNAIO CON IL PD UNITO
Lo scenario L'ostruzionismo strisciante sulle riforme di FI, Lega e Grillo si può saldare con i malumori della
minoranza sul patto del Nazareno
Massimo Franco
L' applauso che ieri Matteo Renzi ha sollecitato alla direzione del Pd per un «minorenne» per il Quirinale,
Nico Stumpo, è significativo. «Almeno tu non hai cinquant'anni», lo ha benedetto scherzosamente. È evidente
che il segretario-premier sente la pressione della filiera dei candidati interni. E per quanto sostenga che il loro
numero «non è un problema», si rende conto di doverne scontentare la quasi totalità. Anche per questo
ribadisce che la questione del capo dello Stato sarà discussa col partito e gli alleati di governo. E annuncia
che la designazione avverrà solo ventiquattro ore prima dell'inizio delle votazioni a Camere riunite, il 29
gennaio.Dire che se si ripeterà la situazione del 2013, quando non si riuscì ad eleggere un nuovo capo dello
Stato, il Pd sarà additato come colpevole, è un appello-monito all'unità. E tradisce il timore che prevalga la
voglia di sabotare la strategia renziana. Non a caso, l'intervento che il presidente del Consiglio ha fatto ieri è
stato rivolto all'interno. Per definire il Pd «forza tranquilla»; per rivendicare soluzioni che dovrebbero avere
tacitato la minoranza, soprattutto sulla legge elettorale; insomma, per far capire che riterrebbe
incomprensibile una fronda sull'Italicum, «difficilmente migliorabile», nel Pd.È sempre più evidente che la
priorità di Renzi nei prossimi giorni sarà di garantirsi la compattezza del proprio partito. Senza quella, risulterà
più difficile piegare le resistenze di una Forza Italia in ebollizione; ed eleggere il presidente della Repubblica
che vuole. E infatti, alcuni dei nomi emersi nelle ultime ore in mezzo a molti altri segnalano questo:
l'intenzione di rassicurare gli avversari interni. Sono alcuni esponenti storici del Pd quelli da convincere: molto
più dei Civati, dei Cuperlo e dei Fassina. Il «via libera» all'accordo con Fi non può non passare per il «placet»
di quanti, dentro e fuori dal Parlamento, possono influire sui gruppi parlamentari.D'altronde, prima ancora
della presidenza della Repubblica, nei prossimi dieci giorni sarà necessaria una marcia a tappe forzate per
approvare legge elettorale e riforma del Senato. L'ostruzionismo strisciante minacciato da Fi, dalla Lega e dal
M5S di Beppe Grillo può saldarsi con i malumori della minoranza del Pd. «Sarebbe allucinante bloccare il
percorso di riforme per l'elezione del capo dello Stato. Abbiamo scelto il metodo del dialogo e sono convinto
che il Pd non fallirà», ammonisce il premier. Ma occorreranno sedute notturne e una presenza senza
distrazioni. L'incastro risulta complicato dall'ombra persistente del patto del Nazareno tra Renzi e Silvio
Berlusconi. È riemersa anche ieri in alcuni interventi in direzione. Il pasticcio del decreto fiscale presentato e
ritirato dal governo perché depenalizzerebbe uno dei reati per i quali è stato condannato il capo di FI, aleggia.
Renzi ha ribadito la volontà di correggerlo solo dopo il 20 febbraio. Questo ripropone le domande sul perché
voglia aspettare tanto. Gli oppositori del Movimento 5 Stelle continuano ad accusarlo di voler scambiare i voti
berlusconiani sul capo dello Stato con una sorta di «grazia» surrettizia concessa da palazzo Chigi. Ma
l'ombra del nulla di fatto della primavera del 2013, per Renzi, è più imbarazzante, per il Pd. Evocandola,
Renzi confida di far passare in secondo piano il resto .
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La Nota
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«Se il premier forza sarà guerra E basta ex comunisti al Quirinale»
Le elezioni Il gruppo di Forza Italia, con qualche eccezione, è sulla mia linea Se salta tutto si va a votare?
Meglio, avremmo il proporzionale e un Parlamento costituente I no Con la scuola comunista abbiamo dato No
a tecnici ora in politica come Padoan Mattarella? Non ha grande spessore Per me è Amato il più esperto e
competente Su Verdini Non siamo mai venuti alle mani Il dialogo con lui è intenso e caldo, com'è nella nostra
natura Il patto del Nazareno, ha senso se è un patto
Aldo Cazzullo
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, chi votereste per il Quirinale?
«Certo non un fantoccio. Un uomo che abbia un vastissimo consenso, una levatura personale e una pratica
istituzionale tali da non farsi ingabbiare dalla struttura del Quirinale, e un'attitudine antica all'amore per la
libertà. Quindi, non un ex comunista».
Ancora con la solfa dei comunisti?
«Ciascuno appartiene alla sua storia. Scalfaro rivelò la sua natura di magistrato bacchettone, per cui il
peccato equivale al reato, e trasformò l'idiosincrasia verso lo stile di vita di Berlusconi in odio antropologico.
Ciampi è stato alla fine un azionista nazionalista di sinistra. Napolitano, vecchio bolscevico, cui rendo onore
per la coerenza, ha obbedito al fondamento ideologico appreso da Togliatti: l'abitudine a intendere la moralità
in funzione del potere dei "suoi"».
Guardi che l'avete rieletto pure voi.
«In condizioni di emergenza. E abbiamo sbagliato. Come sbagliò Berlusconi a dimettersi, sempre in
condizioni di emergenza. All'estero i capi di Stato eletti possono essere azzoppati; da noi il capo dello Stato
può solo azzoppare. Con la scuola comunista abbiamo dato. Occorre cambiare diocesi».
Quindi niente Bersani, Fassino, Veltroni?
«In passato abbiamo avuto presidenti eccellenti come Cossiga e Leone, ottimi come Pertini e Saragat, grandi
come Einaudi. Tutti venivano da posizioni istituzionali altissime. Nessuno, tranne Saragat, è stato leader o
segretario di partito».
Questo esclude anche Prodi?
«Appunto».
Mattarella?
«Il presidente della Repubblica dev'essere una personalità di grande spessore, di alta esperienza
internazionale, di provata capacità di governo. Oggettivamente, con tutto il rispetto che si merita, Mattarella
non ha queste caratteristiche».
Padoan?
«Non vogliamo un tecnico passato da poco alla politica. Stimo Padoan, è mio amico. Un anno fa lo sostenni
come presidente dell'Istat. Il Quirinale è un'altra cosa».
Perché non una donna?
«Sarebbe volgare farne una questione di genere».
Per la Finocchiaro e la Pinotti vale la pregiudiziale anticomunista?
«Veda lei».
E per la Severino?
«Vale il discorso sui tecnici».
Grasso?
«Non votiamo un avvocato, vuole che votiamo un magistrato?».
Amato?
«Non voglio fare nomi, non ne abbiamo ancora discusso. Dico la mia personalissima opinione: Giuliano
Amato è il più competente, il più esperto, il più conosciuto all'estero. Ed è di cultura liberal socialista».
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L'INTERVISTA RENATO BRUNETTA
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Non teme di bruciarlo?
«Basta! Basta con questo luogo comune insopportabile, usato e abusato, da furbetti, per cui se si parla di
qualcuno lo si brucia. Discutiamone apertamente, alla luce del sole, fuori dalle segrete stanze».
Amato è considerato uomo dell'establishment. E molti italiani non gli perdonano la Finanziaria del '92. Lei
crede che Renzi, così attento al consenso, sia disposto a puntare su di lui?
«È deviante pensare che questa partita sia solo in mano a Renzi. È come al poker: nessun punto ti dà la
garanzia di vincere. Renzi si sbaglia di grosso, se pensa di essere l'unico intelligente circondato da sciocchi.
Ci sono ragioni politiche e anche giuridiche per cui occorre un consenso vastissimo».
Cosa intende per ragioni giuridiche?
«Tra i grandi elettori ce ne sono 148 mai convalidati, eletti con un premio di maggioranza che la Consulta ha
dichiarato incostituzionale. Di questi, 130 sono del Pd. Legati a una clausola della legge elettorale scattata
per lo 0,37% dei voti: un margine esiguo e dubbio. Inoltre, la riforma costituzionale voluta dal governo tende a
innalzare il quorum: nella versione arrivata alla Camera, la maggioranza necessaria è di due terzi fino al nono
scrutinio, non al quarto come oggi. Un presidente eletto per pochi voti, o per un caso, per un impulso emotivo
dell'ultimo momento, sarebbe fragilissimo. Un'anatra zoppa "ab ovo". Non è nell'interesse di nessuno».
Perché lei vuole bloccare le riforme di Renzi?
«Mi meraviglio della domanda. Io collaboro alle riforme. E basta con le sue battute. Chiamarmi re dei
fannulloni invece di discutere nel merito dei miei argomenti è segno di una pigrizia mentale e di un'indolenza
morale indegne di un leader democratico. Renzi non ha la minima idea di cosa voglia dire avere contro
Brunetta».
Lo dice per scherzo, vero?
«Un po' scherzo, ma non tanto. Io sto usando solo il 5% del mio potenziale combattivo, politico e intellettuale
per oppormi a Renzi. Ma la mia pazienza non è infinita. Eviti forzature infantili. Il gruppo di Forza Italia, con
qualche legittima eccezione, è compatto sulla mia linea: non c'è tempo, e non è neanche giusto approvare
alla Camera la riforma costituzionale prima dell'elezione del presidente. Non possiamo scegliere il capo dello
Stato ingaglioffiti da un calendario assurdo, per far passare norme destinate a entrare in vigore nel 2018. E
perché? Per una bambinesca prova di forza di Renzi? Suvvia, siamo seri».
Prima il Quirinale, poi le riforme?
«Sì. Proporrò al presidente Berlusconi di costituire un comitato di lavoro per le consultazioni con le altre forze
parlamentari, a cominciare dall'Ncd di Alfano, per discutere del successore di Napolitano. Se invece Renzi
forzerà la mano sul calendario, la scelta avverrebbe in un clima di tensione drammatica. Si andrebbe "ai
materassi", come si dice nel Padrino . Sa cosa significa?».
No.
«Guerra totale. Nessuno dorme a casa sua, ma si cerca una sistemazione provvisoria. Su un materasso
appunto».
È vero che con Verdini siete quasi venuti alle mani?
«No. Il dialogo con Verdini è intenso e caldo, com'è nella nostra natura. Il patto del Nazareno, come qualsiasi
altro, ha senso se è un patto tra uguali, non leonino. Altrimenti è una sottomissione. E io non mi sottometterò
mai a nessuno. Tanto meno a Renzi».
Ma se salta il patto del Nazareno si va a votare.
«Meglio così. Si voterebbe con il Consultellum, quindi con il proporzionale. Allora sì che avremmo un
Parlamento costituente. Con buona pace di Renzi».
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Chi è
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, è in Parlamento
dal 2008.
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Entra nello schieramento azzurro da eurodeputato nel 1999 Dal 2008 al 2011 è stato ministro della Funzione
pubblica, nel governo guidato da Berlusconi
Foto: Montecitorio Il capogruppo di FI Renato Brunetta, 64 anni, e la presidente della Camera Laura Boldrini,
53, ieri in Aula per l'informativa sulla liberazione delle volontarie ( Ansa )
17/01/2015
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«L'ateneo sarà il centro della protesta» Così il rettore e il prefetto hanno
deciso
Vertice sull'ordine pubblico. I timori di una saldatura con gli antagonisti della Tav Misura preventiva L'ipotesi
scartata di un intervento per sgomberare la possibile occupazione
Federica Cavadini e Andrea Galli
MILANO Attorno al tavolo ovale da dodici persone, nella stanza del primo piano della Prefettura, nei comitati
dell'ordine pubblico solitamente siedono questori, generali, comandanti, a volte assessori alla Sicurezza, e
tutt'insieme parlano di criminalità, reati, infiltrazioni delle mafie. Giovedì mattina c'è stato un nuovo e
«occasionale» ospite: il rettore dell'università Statale Gianluca Vago, che poche ore prima aveva chiesto il
permesso di partecipare (accordato) al prefetto Francesco Paolo Tronca.
Il rettore Vago non ha distribuito fogli informativi ai presenti. Ha parlato per pochi minuti. Ha elencato il
programma di ieri e di oggi nella sua università nel caso in cui fosse stata occupata dai No Expo. Il
programma prevedeva, prima di arrivare all'odierna «assemblea nazionale» fatta di annunciati incontri e
dibattiti, un pomeriggio di iniziative varie, se vogliamo ludiche e ricreative, non certo culturali, e una nottata
con balli e deejay-set modello rave party, tipici piuttosto di qualche area dismessa della periferia. Al rettore,
che dal giorno dell'insediamento ha avviato un deciso e spesso osteggiato percorso per ripristinare il decoro
degno d'uno spazio pubblico e di studio, sono arrivati i cenni di approvazione del questore Luigi Savina, da
subito al suo fianco nel percorso di legalità. E decisivo è stato il ruolo del prefetto, non soltanto in quanto
padrone di casa e coordinatore della riunione. Tronca ha condiviso la posizione di Vago e ha introdotto un
timore reale: che la Statale, e fisicamente il corpo centrale e storico dell'università in via Festa del Perdono,
celebrato questo «battesimo» dei No Expo potesse ufficialmente e irrimediabilmente diventare l'incubatore
della protesta contro l'Esposizione universale, il luogo «eletto» per manifestare, rivendicare, pianificare.
Se fino a ieri, almeno secondo il lavoro dell' intelligence milanese, non c'erano segnali che lasciassero
immaginare disordini in Statale tra ieri e oggi, non dev'essere sottovalutato il fermento della realtà
antagonista. Da un lato c'è la ricerca di «temi» da cavalcare, come l'Expo e l'emergenza abitativa tra
occupazioni abusive e sgomberi tumultuosi; dall'altro lato ci sono i tentativi di «saldare» il fronte magari con i
No Tav, e ampliare portata e raggio d'azione.
Eppure il rettore Vago, si dice nei corridoi della Prefettura il giorno dopo il vertice, ha preferito rimanere
ancorato all'«anima» della Statale, senza sconfinare nel dibattito sull'ordine pubblico e in generale sulla
sicurezza in città. E non ha nascosto il dispiacere per la «considerazione» che a volte affiora nei confronti
dell'università, quasi essa fosse per natura destinata in eterno ad accogliere chiunque per le manifestazioni
più svariate che non siano le lezioni. Chiudere la Statale è stata una scelta fortissima, anzi rivoluzionaria; già
numerose sono le proteste da parte degli studenti e da parte dell'anima «buona» dei No Expo, cittadini
contrari all'Esposizione, delusi per quello che a loro giudizio è un atto autoritario, grave, offensivo. Ma attorno
a quel tavolo, giovedì mattina, non sembra ci siano stati momenti di tensione, a conferma della compattezza
della posizione. Anche se un momento di disaccordo è stato registrato. Quando s'è affrontato il tema delle
modalità e dei tempi d'azione. Intervenire prima oppure attendere come forse avrebbe voluto il rettore? Ma
attendere e una volta avvenuta l'occupazione chiedere l'aiuto delle forze dell'ordine per sgomberare, avrebbe
provocato una lunga serie di rischi. Polizia e carabinieri nei corridoi affollati di studenti, alla ricerca degli
antagonisti... L'ipotesi è stata scartata ed è stato deciso di giocare d'anticipo. Con i portoni sigillati prima
dell'arrivo dei No Expo, poi giunti a ranghi ridotti.
Alla riunione in Prefettura c'era l'assessore alla Sicurezza del Comune Marco Granelli. La realtà antagonista,
per tutto ieri, ha criticato la «mancata opposizione» della giunta di centrosinistra del sindaco Giuliano Pisapia,
già attaccato a novembre quando aveva avallato il piano speciale per contrastare le occupazioni abusive. Ma
anche qui, con il Comune, la strada tracciata è quella delle regole. Concedendosi una parentesi, un piccolo
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Il retroscena
17/01/2015
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sfogo, forse desideroso di veicolare «in profondità» il messaggio, il rettore ha ricordato che il permesso per
stare in università non glielo aveva chiesto nessuno. L'avessero fatto, Vago avrebbe esaminato il
«contenuto» e non avrebbe avuto problemi a concedere il via libera per ore di confronto, di approfondimento,
di discussione e anche, ha rimarcato, «per eventuali critiche e obiezioni» all'ateneo e a lui. Ma sempre «nel
rispetto reciproco».
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Chi sono
Gianluca Vago (foto sopra, in alto) , medico patologo, 54 anni, è rettore dell'Università degli Studi
di Milano
dal 2012 Francesco Paolo Tronca (sopra, in basso), 62 anni,
è prefetto
di Milano
dal 2013
Foto: Anni Sessanta Sopra, una fotografia scattata nel 1968 durante un'affollata assemblea studentesca
all'interno dell'aula magna dell'Università Statale di Milano. Nel febbraio di quell'anno, proprio dopo alcune
assemblee, alcuni studenti universitari arrivarono all'occupazione (Publifoto)
17/01/2015
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Europa su del 5,4%. Ma dal 2007 sono 3 milioni di auto in meno. Renzi: grande segnale da Melfi Il boom
della Jeep A dicembre l'«italiana» Renegade ha fatto registrare una crescita del 190 per cento
Raffaella Polato
MILANO Sei lunghissimi anni di crollo. Ma il recupero atteso per il 2014, alla fine, è confermato: con una
crescita del 5,4%, a 13,006 milioni di immatricolazioni, il mercato europeo dell'auto segna il punto di svolta. È
ancora più ripresina che ripresa, e meno robusta di quanto aveva lasciato sperare un primo semestre
«raffreddato», poi, da un rallentamento nella seconda metà dell'esercizio. Soprattutto, non è né poteva
essere sufficiente a spazzar via definitivamente le macerie lasciate dalla Grande Recessione: rispetto ai livelli
2007 il mercato resta sotto del 19,4%, il che significa che all'appello mancano ancora 3,1 milioni di veicoli. Il
segnale però c'è.
I record di sei anni fa potrebbero d'altra parte essere per lungo tempo irripetibili. Così, è un esercizio di
equilibrio tra ottimismo e realismo quello in cui si producono operatori e analisti. Il focus non può che cadere
sul ritorno alla crescita, con i suoi possibili effetti-traino su altri settori portanti dell'economia. È pero
chiaramente sulle prospettive, che sono già concentrate le industrie. La buona eredità del 2014, con tutti e
cinque i maggiori mercati Ue in attivo, andrà ora consolidata. E potrebbe non essere un processo tanto
semplice, se tutti prevedono un altro anno di ripresa, sì, ma moderata: «Leggermente inferiore al 3%», stima
tra gli altri il Centro studi Promotor.
Oltre a quelle che ancora pesano sull'economia in generale, c'è del resto l'incognita ben evidenziata da una
sorta di doppia velocità nell'uscita dalla crisi. Il mercato nel suo complesso ha rallentato nella seconda parte
dell'anno, tanto da chiudere dicembre con un aumento limato al 4,9%. Ci sono però singole realtà o Paesi
che si sono mossi in controtendenza. E Fiat Chrysler Automobiles ne è l'emblema principale.
Il gruppo guidato da Sergio Marchionne chiude il 2014 a +3,5% (e la quota scende dal 6% al 5,9%), dunque
al di sotto della media. Il suo trend è però in salita, non in discesa, e dicembre lo conferma: crescita del 7,2%,
quota dal 5,5% al 5,6%.
Non è un exploit temporaneo. Ci sono, certo, le evergreen : 500 o Panda, sempre ai vertici delle rispettive
fasce. C'è però pure l'effetto dei nuovi modelli. Nell'anno in cui Jeep fa boom anche in Europa, con un +70%
che diventa addirittura 190% in dicembre, in soli tre mesi l'«italiana» Renegade entra nelle top ten europee
del segmento. Un successo che, con gli ordini già raccolti per la 500X, spiega le oltre mille nuove assunzioni
annunciate per Melfi (la fabbrica di entrambe).
«Un grandissimo segnale non solo per la Basilicata», l'ha definito ieri un Matteo Renzi ovviamente
soddisfatto del collegamento (parziale) con il suo Jobs Act. Ed è significativo che, per esprimersi, il premier
abbia scelto la direzione del Pd: dove, scherza (ma non troppo), «per la prima volta ho citato Marchionne e
non sono stato contestato. O Stefano Fassina invecchia, o è arrivato qualche segno buono da ambienti che
non vi aspettavate».
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d'Arco Le immatricolazioni auto in Europa Fonte: Acea (European Automobile Manufacturers Association)
Rapporto 2005-2014 % rispetto l'anno precedente '05 mese di dicembre '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 '13 '14
1.100 1.000 900 800 700 600 Unità % in migliaia 15 10 5 0 -5 -10 -15 3,4 1,6 -2,3 -6,2 -16,3 +13,6 +4,7 +16,6
-18,1
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Auto in ripresa, Fiat Chrysler accelera
17/01/2015
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Nasce Fca Bank, la banca delle rate Carelli: obiettivo 16 miliardi in 3 anni
Bianca Carretto
Nasce Fca Bank, la banca captive di Fca in Europa, raccoglie il testimone di Fga Capital-Sava, storica
finanziaria del Lingotto. A pochi giorni dall'annuncio dei nuovi 1.500 posti a Melfi, la nuova mossa segna un
inizio 2015 che, come ha sottolineato Sergio Marchionne, sarà «un grande anno».
Giacomo Carelli, amministratore delegato e direttore generale di Fca Bank, con tutto il suo team ha fatto
nascere la nuova società, le cui radici risalgono a novant'anni fa. «È vero - spiega Carelli - per trovare il primo
esempio di una finanziaria "captive", all'interno del nostro gruppo, dobbiamo risalire all'aprile del 1925 quando
nacque a Torino la Sava (Società Anonima Vendita Automobili), una finanziaria che proponeva, per la prima
volta in Italia, la possibilità di rateizzare l'acquisto di un'automobile. Negli anni le attività sono cresciute a
livello internazionale, fino alla trasformazione in banca di questi ultimi giorni. Un grande lavoro di squadra
iniziato nel 2012, con una tappa importante a dicembre 2013, quando fu inviata alla Banca d'Italia la richiesta
di autorizzazione per l'attività bancaria, concluso alla fine del 2014 con la delibera della licenza, in questo
modo oggi siamo la holding di un gruppo con sede in Italia, presente in tutta Europa».
Fca Bank è «una joint-venture paritetica tra Fca Italy (società di Fiat Chrysler Automobiles da cui viene
coordinata la gestione della regione europea, mediorientale e africana) e Ca Consumer Finance (del gruppo
Crédit Agricole), due tra i più importanti protagonisti internazionali nei rispettivi settori competenza. Nata nel
2007, nel 2013 la joint-venture è stata rinnovata almeno fino al 2021, con i mercati finanziari che hanno
positivamente reagito alla notizia. Fca Bank è una società che opera in 16 nazioni europee con un portafoglio
molto diversificato sia dal punto di vista geografico sia in termini di clientela».
Quali sono i vantaggi per i clienti di un simile gruppo bancario internazionale?
«Sono i prodotti sempre più flessibili, innovativi e competitivi per il finanziamento e per il noleggio di
autovetture e di veicoli commerciali. Lavoriamo con i marchi Fca creando insieme soluzioni per tutte le
esigenze dei vari acquirenti, promuovendo anche un'ampia gamma di servizi assicurativi e di mobilità. La
trasformazione in banca faciliterà il processo di espansione e di diversificazione delle nostre attività, ci
permetterà di ampliare la nostra offerta estendendola a un numero maggiore di clienti. Potremo così, oltre ad
aumentare la gamma di prodotti finanziari, anche entrare nel settore dei depositi bancari (da soli o in
collaborazione con altri istituti finanziari), puntando sul web banking e su soluzioni di mobilità alternative.
Abbiamo già lanciato con Fca il car sharing, continuando a studiare soluzioni per il cliente e anche per i
concessionari del costruttore, aiutati in questo dalle novità di Fiat Chrysler, come Jeep Renegade, Fiat 500X
e anche le nuove Maserati».
Che dire dei risultati commerciali, della redditività e della capitalizzazione di Fca Bank?
«Nel 2014 abbiamo finanziato o noleggiato il 43% di tutte le vetture immatricolate da Fca in Europa. In Italia
siamo arrivati a finanziare più del 64% dei privati. Dei circa 14,7 miliardi di portafoglio netto del gruppo, il 40%
proviene dall'Italia, il 19% dalla Germania, il 18% dal Regno Unito e quasi l'8% dalla Francia. Il nostro piano
di sviluppo prevede una crescita del settore automobilistico di circa il 3% medio annuo fino al 2017. Il nostro
portafoglio netto passerà dagli attuali 14,7 miliardi a oltre 16 miliardi nei prossimi 3 anni. Nel 2013 gli utili netti
sono cresciuti a quota 172 milioni a livello consolidato dai 167 del 2012, nel 2014 sono ancora aumentati. Il
patrimonio netto (Core Tier-1) supererà il 12 %, era del 10,9% nel 2013. Ritengo che questo sia un forte
segnale dell'impegno da parte di entrambi gli azionisti a reinvestire gli utili nel tempo, per il consolidamento
patrimoniale e la crescita della banca».
Era necessario cambiare logo e nome, entrambi molto conosciuti?
«La trasformazione in banca è l'occasione per realizzare un cambiamento che vuole rappresentare il segno
tangibile della capacità di trasformarsi e innovare. Abbiamo pensato che questo fosse il momento giusto per
dimostrare la forza del gruppo attraverso un unico nome e anche, perché no, un logo che vuole porre
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l'accento su modernità, proiezione e apertura verso il nuovo, pur mantenendo i colori istituzionali ispirati ai
nostri due azionisti. Il marchio Sava, comunque, non verrà abbandonato: pensiamo di mantenerlo per alcune
campagne promozionali mirate, anche per rendere onore alla nostra storia».
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Il profilo
Giacomo Carelli, amministratore delegato
e direttore generale
di Fca Bank,
che raccoglie
il testimone
di Fga Capital-Sava, storica finanziaria
del Lingotto
16 Le nazioni nelle quali opera
la Fiat Chrysler bank, nata
a fine 2014
1925 Anno di nascita di Sava, prima a finanziare l'acquisto
di auto
17/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 49
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Luxottica prepara i conti e le deleghe per Mehboob-Khan
( d.pol. ) Occhi puntati su Luxottica, la multinazionale di Leonardo Del Vecchio ( foto ) che conferma
l'effervescenza in Borsa. Ieri il titolo ha chiuso con un + 1,53% a 49 euro, portando al 15,3% la crescita in un
mese. C'è attesa sul mercato per gli eventi delle prossime settimane. Un calendario che partirà lunedì 19,
quando il consiglio affiderà le deleghe di amministratore delegato per i mercati ad Adil Mehboob-Khan, il
manager ex Procter & Gamble entrato nel board Luxottica e ora pronto ad affiancare il ceo per le attività
produttive Massimo Vian. Curiosità quindi del mercato su come funzionerà la governance bipartita. Poi a
marzo, scadrà l'intero board. L'azienda e la famiglia Del Vecchio hanno già avviato contatti per identificare i
consiglieri indipendenti che dopo nove anni cesseranno di essere tali. In mezzo, il 2 marzo, la presentazione
dei conti 2014. Qualche idea si avrà già lunedì quando l'azienda comunicherà il fatturato che, secondo gli
analisti, dovrebbe chiudere a 7,6 miliardi, in crescita di circa il 10%. Tra le migliori performance nel lusso. Ma
lo sprone impresso al titolo verrebbe anche da altre considerazioni. Per Citi una variazione del 10% nel
cambio euro-dollaro ha un impatto positivo sull'utile per azione di circa l'8%. Si fa inoltre strada l'ipotesi di una
maxi cedola a marzo che potrebbe arrivare fino a 2 euro ad azione. E questo interessa al mercato, più del
ritardo nella distribuzione dei Google Glass.
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I garage milanesi di Ligresti finiscono (schermati) in Svizzera
( m.ger. ) Di chi è quel parcheggio in centro a Milano tanto caro ai Ligresti e ora «emigrato» in Svizzera?
Quando anni fa Salvatore Ligresti ripercorse, in un'intervista, la sua storia imprenditoriale ricordò, tra i
tantissimi affari conclusi, «l'autosilo sotterraneo di Piazza Borromeo» a Milano. Come se avesse un
significato particolare, un legame d'affetto. E fino all'ultimo, anche quando i crac a cascata avevano spazzato
via le holding di famiglia e le inchieste travolto tutti i Ligresti, il parcheggio era in mano direttamente a
Salvatore & figli. Ora non si sa. C'è stato più di un giro di valzer tra i soci. Forse è stato «messo al sicuro»
nelle mani di qualche fiduciario. O è stato venduto. Sta di fatto che già quasi due anni fa a salvare la Piazza
Borromeo Parking era intervenuta la svizzera Eleven Stars Consulting, neonata holding dell'unico Ligresti
sfuggito agli arresti, il cittadino svizzero Paolo. Due bonifici dalla svizzera da 160 mila euro sono bastati solo
a tamponare la situazione. La società ha dovuto chiudere poco dopo il secondo parcheggio in gestione vicino
alla Stazione Centrale. Poche settimane fa ha cambiato sede, nome e amministratori anche la finanziaria
svizzera di Paolo Ligresti, già uscita dal capitale del parcheggio nel cuore di Milano. Allora di chi è adesso
Piazza Borromeo Parking tanto cara ai Ligresti? L'ha acquistata al valore nominale di 10 mila euro un'altra
finanziaria svizzera, la Saluma di Lucerna, gestita dall'italiano Francesco Guarnieri. Non si sa se per conto
proprio o di terzi. Sta di fatto che il business, per colpa dell'Area C, non è dei più redditizi e con l'Enpam,
proprietaria dei muri che incassa il canone, si era arrivati a un passo dalla rottura.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Sussurri & Grida
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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Fassina: io resto ma molti voti andranno via
Alessandro Capponi
«Cofferati lo seguiranno in tanti, ma a Renzi non sembra interessare. Io resto, per cambiare rotta», dice
Stefano Fassina. a pagina 10
ROMA Non rassegnatevi, ribellatevi; non scappate, alzate la voce. Stefano Fassina per parlare alla base usa
altre parole ma il concetto è quello: adesso, dice lui, bisogna rimanere nel Pd e cambiarlo, ma dall'interno.
Per farlo c'è un'unica strada: «Voglio dire agli iscritti, ai nostri più impegnati, di farsi sentire: andate nei circoli,
nelle sedi del partito, e ovunque, e discutete in modo attivo, alzate la voce, dite chiaramente che questo non
è il Pd che immaginammo anni fa, che questo non è il Pd che vogliamo. Dite a tutti, a voce alta, che perdere
Sergio Cofferati e prendere l'ex senatore Pdl Franco Orsi, allergico alle celebrazioni della Resistenza, altro
non è che una sconfitta storica».
Viceministro dell'Economia nel governo Letta, deputato, membro della direzione nazionale del Pd: le posizioni
di Stefano Fassina, in merito alla linea del partito, sono note. Così quando Sergio Cofferati deve ancora
ufficializzare la sua uscita dal Pd, lui ha già deciso da che parte stare.
Fassina, cosa ne pensa?
«Penso che venerdì in direzione quanto accaduto in Liguria è stato derubricato a ordinaria amministrazione,
che si è gettato discredito morale su Cofferati, e Renzi ha dato l'avallo politico all'operazione: Paita ha vinto
cambiando le alleanze, Pinotti ha prospettato la costruzione di un'alleanza nazionale con Ncd dentro. Un
ribaltamento delle alleanze, con l'allontanamento del baricentro dalla sinistra. E, quindi, bisogna fare
attenzione: non è un problema locale, e la decisione di Cofferati è indice di un malessere profondo e diffuso:
Sergio è un esponente di peso al nostro interno e nel sistema politica la sua fuoriuscita può spostare voti».
Gli elettori fuggiranno?
«È già evidente l'abbandono di pezzi rilevanti di elettori. In Emilia-Romagna ne abbiamo persi 700.000,
dimezzando il voto delle Europee: l'allontanamento è conclamato, ma evidentemente non interessa al
segretario, il quale probabilmente è convinto di poter attrarre i delusi di centrodestra. Il problema è che non lo
fa attraendoli sulla nostra piattaforma ma la cambia pur di piacere alla destra. Ciò che sta accadendo in
Liguria non è che una conferma che il Pd si sposta sugli interessi più forti del Paese: l'avevamo già capito con
la delega al lavoro che non dà nulla ai precari e colpisce gli altri lavoratori, con il decreto fiscale che premia i
grandi evasori e colpisce le partite Iva individuali... Di certo, ecco: se continuiamo con la linea di Renzi in
direzione è inevitabile che sia destinata ad ampliarsi l'area di chi abbandona il Pd. La scelta che oggi è di
Cofferati è stata già fatta da un bel pezzo del nostro popolo, ma credo che a Palazzo Chigi non ne siano
dispiaciuti: probabilmente la leggono come la conferma della ricollocazione del Pd verso gli interessi più forti
del Paese».
Lei cosa farà?
«Io continuo nel Pd per cercare di correggere la rotta, perché quella di adesso è sbagliata sia per il Pd, sia
per i lavoratori, sia per il Paese. Anzi, non solo è sbagliata: fa male sia al Pd sia al governo».
Se la situazione è così negativa come si può pensare di correggere la rotta?
«Secondo me ci sono i margini per cambiare, io spero che nell'appiattimento conformistico del nostro gruppo
dirigente ci sia qualche incrinatura».
Cosa serve per correggere la rotta?
«Un impegno coerente al Pd che avevamo immaginato, la stessa coerenza, ad esempio, che hanno avuto i
40 di noi che non hanno votato la delega al Lavoro. E con l'impegno quotidiano dei nostri militanti, segretari di
circolo, amministratori».
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA La minoranza
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Chi è
Stefano Fassina,
48 anni, eletto deputato
con il Partito democratico alle Politiche del 2013, viceministro dell'Economia durante il governo Letta
Le anime
Nel Partito democratico Dentro al Pd ci sono diverse aree che si oppongono al segretario-premier Renzi: da
quelle più intransigenti che fanno capo a Pippo Civati e Gianni Cuperlo a quelle più dialoganti che si
raccolgono attorno all'ex leader Pier Luigi Bersani
In Sinistra e libertà
Il partito di Nichi Vendola ha avviato da tempo un dialogo con gli oppositori all'interno del Pd, da Civati a
Fassina. Il prossimo fine settimana Sel organizzerà a Milano una convention con l'obiettivo di unire la sinistra
anti Renzi
Nella Fiom
Dopo un primo periodo di dialogo, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil si è schierato apertamente
contro il governo. Per il segretario Maurizio Landini si è ipotizzato più volte un ruolo di leader della sinistra
fuori dal Pd
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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Meno distante la coalizione di centrodestra
Nando Pagnoncelli
La flessione del Pd continua e si riduce la distanza dal centrodestra. Dove è la Lega la forza trainante: 12,8%,
+5% da novembre a oggi. a pagina 6
L o scenario politico ad inizio gennaio presenta alcuni interessanti cambiamenti rispetto non soltanto alle
elezioni europee ma anche all'ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto pubblicato da questo giornale a metà
novembre.
Il cambiamento non riguarda tanto la graduatoria dei partiti, che rimane invariata, quanto il consenso di due
forze politiche: il Pd che, pur mantenendo il primato, fa segnare una flessione sia rispetto alle europee (-6%)
sia rispetto all'autunno (-3,5%) e la Lega, che è in forte crescita e risulta più che raddoppiata rispetto alla
consultazione elettorale del maggio scorso e in aumento di quasi 5% rispetto a novembre. Il cambiamento di
strategia impresso dal segretario Salvini sta dando frutti sia in termini di popolarità del leader, attualmente al
secondo posto dopo Renzi con valori raddoppiati rispetto a un anno fa, sia di intenzioni di voto. Va ricordato
che nella sua storia ultraventennale la Lega ha superato il 10% dei consensi solamente in due occasioni
(politiche 1996 e europee 2009).
Gli altri partiti si mantengono su livelli sostanzialmente stabili: il Movimento 5 Stelle si conferma la seconda
forza politica nonostante i deludenti risultati alle elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria,
l'espulsione dal movimento o la defezione di alcuni parlamentari e la nomina del direttorio che ha suscitato
preoccupazione per un possibile disimpegno del leader e perplessità per il metodo adottato per la nomina.
L'inchiesta Mafia capitale, tuttavia, consolida il posizionamento e la diversità del movimento di Grillo rispetto
ai partiti tradizionali.
Al terzo posto si conferma Forza Italia, in flessione rispetto alle europee e incalzata dalla Lega, probabilmente
indebolita dalle tensioni interne, dalle difficoltà nel definire una strategia politica e dall'ambivalenza nei
confronti del governo (si colloca all'opposizione ma dialoga con Renzi per la definizione delle riforme
istituzionali e l'elezione del presidente della Repubblica). A seguire Ncd e Udc che sommati superano il 5%,
Sel, sostanzialmente stabile, e Fratelli d'Italia che si mantiene sopra il 3%. Anche il dato dell'astensione si
mantiene stabile e riguarda un elettore su tre.
Le perdite del Pd sembrano essere sostanzialmente correlate a quelle aree che avevano aperto il credito a
Renzi con le elezioni europee e adesso sono in parte rientrate. In sostanza si tratta di tre segmenti: ceti
professionalizzati che dopo aver investito sul premier, tendono a tornare nell'area di centrodestra (in
particolare Forza Italia); i bassi titoli di studio, le persone di età medio/alta, le casalinghe, da un lato più
esposti alla crisi, dall'altro più delusi nelle attese (qualche volta messianiche) verso il governo, che si
orientano maggiormente verso la destra (Lega e FdI); infine giovani e studenti, che si orientano verso la Lega
in primis e poi le forze centriste. Il Pd sembra quindi almeno in parte perdere il tratto di partito «pigliatutti» che
era emerso con le elezioni europee. La Lega evidenzia una capacità attrattiva molto trasversale, conquista
quasi dovunque, con la parziale eccezione dei ceti più scolarizzati e professionalizzati. L'immagine di partito
nazionale attrae quindi i segmenti più diversi, confermando la validità della nuova strategia politica.
I sondaggi sulle intenzioni di voto inducono spesso a fare simulazioni per stimare il peso elettorale delle
coalizioni. Si tratta di un esercizio puramente teorico, dato che i comportamenti di voto possono variare in
relazione alle alleanze e ai leader che le guidano. Ad esempio non è affatto scontato che Forza Italia, Lega,
Ncd-Udc e Fratelli d'Italia si possano alleare (appare infatti difficile trovare un denominatore comune tra forze
politiche molto più distanti oggi che in passato) e riescano a definire un leader senza scontentare una parte
dell'elettorato di provenienza dei singoli partiti alleati. Pur con queste riserve, sulla base dei dati del
sondaggio odierno il centrosinistra (Pd e Sel) prevale sul centrodestra «allargato» di poco più del 2%.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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18/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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E il governo? La flessione di consenso registrata tra settembre e dicembre sembra essersi stabilizzata. Le
vicende avvenute a cavallo del nuovo anno non hanno inciso particolarmente: il clamore suscitato dal decreto
fiscale e dal sospetto di aver voluto favorire Berlusconi non ha penalizzato l'esecutivo e l'attentato parigino
sebbene abbia suscitato grande emozione nel nostro Paese non ha determinato la crescita di consenso per il
governo e per le istituzioni che solitamente accompagna gli eventi drammatici. In questi mesi è la crisi
economica a guidare le opinioni. L'inversione di tendenza nella popolarità del governo dipenderà più
dall'andamento dell'economia che dalle pur auspicate riforme istituzionali o dalla scelta del nuovo presidente
della Repubblica.
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I numeri Intenzioni di voto Corriere della Sera Stima di voto: sondaggio realizzato da Ipsos PA per Corriere
della Sera presso un campione casuale nazionale rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne
secondo genere, età, livello di scolarità, area geografica di residenza, dimensione del comune di residenza.
Sono state realizzate 998 interviste (su 9.212 contatti), mediante sistema CATI, il 13 e 14 gennaio 2015. Il
documento informativo completo riguardante il sondaggio sarà inviato ai sensi di legge, per la sua
pubblicazione, al sito www.sondaggipoliticoelettorali.it. (indecisi + non voto + non indicano) Centrosinistra
(PD/SEL) Centrodestra (UDC, NCD, FI, Lega, FDI) 33,7 38,6 36,3 32,2 42,3 32,1 44,4 44,8 31,1 L'OPERATO
DEL GOVERNO Valutazione operato del governo (trend % voti positivi su validi) Governo Renzi/Letta 40 50
60 44 64 64 64 62 56 51 46 40 44 63 46 Febbraio 2014 Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto
Settembre Ottobre Novembre Dicembre Oggi (valori in %) Stima di oggi 34,8 Partito Democratico 3,8 SEL 2,2
Altri sinistra 0,6 Scelta Civica 2,0 UDC 3,5 NCD-Alfano 14,8 Forza Italia- Berlusconi 12,8 Lega Nord 3,2
Fratelli d'Italia- AN 20,6 M5S-Beppegrillo.it 1,7 Altre liste Stima 11/14 38,3 Partito Democratico 4 SEL 1,7 Altri
sinistra 0,6 Scelta Civica 1,7 UDC 3,2 NCD-Alfano 16,1 Forza Italia- Berlusconi 8,1 Lega Nord 3 Fratelli
d'Italia- AN 20,8 M5S-Beppegrillo.it 2,5 Altre liste Europee 2014 40,8 Partito Democratico 4 SEL, altri sinistra
0,7 Scelta Civica 4,4 UDC, NCD-Alfano 16,8 Forza Italia- Berlusconi 6,2 Lega Nord 3,7 Fratelli d'Italia- AN
21,2 M5S-Beppegrillo.it 2,2 Altre liste
I consensi
Le ultime rilevazioni Ipsos mettono in evidenza
che il Pd perde consensi
tra i ceti professionali
e tra le persone di età medio-alta La Lega,
al contrario, si rivela capace
di conquistare consensi
in maniera trasversale
10 la percentuale
del calo dei votanti del Pd tra gli elettori
in possesso della licenza media
7 la percentuale
di crescita
dei votanti della Lega Nord
tra gli elettori
dai 18
ai 24 anni
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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La Banca centrale che serve alla Ue
Pierluigi Ciocca
Lo statuto della Bce le impone di limitarsi al controllo dell'inflazione. Ma questo - di fronte alla crisi in Europa non basta. a pagina 33
Caro direttore, la crisi finanziaria anglosassone del 2008, la crescita zero su scala mondiale del 2009, la
recessione (nel 2012-2013) e il ristagno (2014) dell'area euro, l'elevatezza dei debiti pubblici, la deflazione:
questi e altri eventi hanno riproposto la questione della banca centrale. La ripropongono come problema
squisitamente politico, che la politica è chiamata a risolvere.
La storia economica degli ultimi due secoli e le riflessioni degli economisti di fronte ad essa - da Thornton e
Ricardo fino a Keynes, Hayek e Friedman - hanno espresso fondamentalmente due modelli, opposti, di
banca centrale. Secondo un primo modello - che chiameremo «A» - essa dev'essere autonoma (sia
dall'esecutivo sia dal mondo degli affari) per adempiere, con una discrezionalità amministrativa che non
scada nell'arbitrio, tre funzioni. Esse si aggiungono a quella originaria, canonica, dell'emissione di banconote
e della gestione del sistema di pagamenti e transazioni finanziarie. La prima funzione consiste nel governare
l'offerta di moneta, o i tassi d'interesse, così da conciliare la stabilità dei prezzi (né inflazione, né deflazione)
con il pieno impiego delle forze di lavoro e con un adeguato utilizzo della capacità produttiva esistente. La
seconda funzione consiste nel regolare e sorvegliare il sistema bancario e finanziario, promuovendone
efficienza, concorrenza, liquidità e solidità patrimoniale, salvaguardandolo così dalle crisi. La terza funzione
consiste nel finanziare lo Stato allorché, pur essendo i suoi conti in equilibrio, le imperfezioni del mercato
impediscono il collocamento dei titoli pubblici di nuova emissione.
Secondo l'altro modello («B») la banca centrale dev'essere autonoma per potersi dedicare - senza
condizionamenti e compromessi, e secondo regole predeterminate limitatrici della sua stessa discrezionalità all'esclusivo impegno di stabilizzare il livello medio dei prezzi, movendo dall'idea che esso essenzialmente
dipenda dallo stock dei mezzi di pagamento presente nell'economia: più moneta/prezzi in ascesa, meno
moneta/prezzi in calo. Costringere la banca centrale a rincorrere altri obiettivi (piena occupazione,
funzionalità del sistema finanziario, collocamento del debito pubblico) sarebbe fuorviante e minerebbe la
costanza del valore della moneta: il bene pubblico più prezioso, base della prosperità.
Il modello «A» è stato ampiamente presente nel mondo - in particolare negli Stati Uniti con la Fed (dal 1914)
e nel nostro Paese con la Banca d'Italia (dal 1894) - fino agli anni Settanta del Novecento. Il modello «B» si è
invece diffuso a seguito dell'inflazione sperimentata, in quel decennio, in particolare nei Paesi in cui vigeva il
modello «A», ritenuto responsabile dell'aumento dei prezzi.
Gli eventi successivi al 2008, appena richiamati, hanno già prodotto decisioni istituzionali tali da spostare di
nuovo il pendolo nella direzione del modello «A». Negli Usa si è ribadito che la Fed ha il «doppio mandato» di
mediare fra prezzi e occupazione, unito alla facoltà di acquistare o vendere titoli di Stato sul mercato
secondario come pure di sottoscriverli all'emissione. Si sono inoltre estesi i poteri/doveri della Fed di vigilare
sulle banche. In Europa, questi stessi poteri/doveri sono stati restituiti alla Banca d'Inghilterra - a cui erano
stati sottratti dai laburisti nel 1999 - e sono stati affidati ex novo alla Banca centrale europea (Bce).
L'opposizione tedesca aveva posto un veto a tale affidamento quando nel 1998 venne creato il Sistema
europeo delle Banche centrali (Sebc), comprensivo della Bce e delle banche centrali nazionali - come la
Banca d'Italia - dei Paesi aderenti all'Unione Europea e alla moneta unica.
Alla Bce è peraltro tuttora proibito di sottoscrivere titoli pubblici sul mercato primario, anche se emessi da uno
Stato solvibile, mentre la stabilità dei prezzi le è imposta come obiettivo irrinunciabile, prioritario, da
perseguire anche in un contesto di alta disoccupazione ma di inflazione, sia pure bassa.
In un quadro che contrappone in modo stridente gli statuti di banca centrale scritti quasi vent'anni fa alle
pressanti esigenze odierne dell'economia europea, la dialettica interna agli organi di vertice del Sebc e della
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Le critiche a Draghi
18/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Bce - oggi riferita a Mario Draghi e a Jens Weidmann, persone agli antipodi per formazione economica ed
esperienze - si configura sempre più come confronto/scontro di concezioni della banca centrale. Una scelta
politica, consapevole e coerente, fra i due modelli s'impone.
Personalmente (rinvio a La banca che ci manca , Donzelli 2014) caldeggio non da ora la soluzione «A». Essa
valorizza la discrezionalità nella moneta e nella finanza, materia in cui le regole, pur necessarie, non possono
bastare. Ma, al di là del rispettivo merito, uno dei due modelli va in via definitiva preferito: non solo per
sollevare dall'imbarazzo e da contrasti forieri d'incertezza gli attuali dirigenti della Bce, su cui ricade
l'impossibile responsabilità di conciliare gli opposti radicati nelle diverse tradizioni istituzionali delle banche
centrali che costituiscono il Sebc. Sono in gioco valori ben più rilevanti: la credibilità del governo monetario in
Europa, la sua efficacia, e la sorte stessa dell'euro.Ex vicedirettore generale della Banca d'Italia
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18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 8
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L'attesa per le mosse degli altri delusi: poi valuterò
L'uomo del Circo Massimo e la tentazione di fare il padre nobile di una forza alternativa Il futuro «Io non
promuovo né fondo niente. Ma il mio impegno va oltre le Regionali»
Erika Dellacasa
GENOVA Un passo alla volta. Cofferati lascia il Pd e frena sulle mosse successive ma solo perché i tempi li
vuole dettare lui. È finita la conferenza stampa e preme per tornare a casa dal figlio, a chi lo incalza ripete di
essersene andato «da solo» e che tale resterà. Anche se c'è già tutto un ribollire a sinistra, Sel, civatiani, tutti
delusi di queste primarie e del Pd.
Cofferati pattina sulle domande da politico: «Diventare il punto di riferimento di una formazione nuova? Oggi
questa formazione non c'è e io non promuovo né fondo niente. Ma quando e se ci saranno fatti concreti, li
esaminerò, li valuterò e deciderò». È già un mezzo sì all'ipotesi di fare da padre nobile. Che si candidi contro
Paita sembra però improbabile anche se un «no» netto non è arrivato.
Sornionamente, il Cinese seduto su un divano del Carlo Felice - lui che è un appassionato di lirica ha alle
spalle un manifesto della Vedova allegra - sottolinea che «il tempo da qui a maggio è ancora lungo». E
spiega che attraverso un'associazione culturale («siamo in un teatro, no?») dirà la sua, non solo sulle
Regionali: «La mia critica e il mio impegno vanno ben oltre maggio, come diceva sempre Ingrao, se lo
ricorda? Allora si coniò il termine benoltrismo . Ecco, è così per me. Vado ben oltre e parlo di ben altro che
del qui e ora e di un pugno di voti. Me ne vado ma non scappo. La politica continua». È stata una giornata
convulsa, dal Pd hanno provato a trattenerlo. Per ore si è impegnato il segretario regionale Giovanni
Lunardon, che aveva apertamente appoggiato l'ex sindacalista alle primarie («Ho tentato di fermarlo fino allo
stremo», si rammarica). Poi si è mossa Roma: «Mi hanno chiamato dalla segreteria nazionale - dice Cofferati
-. Non Renzi. Alla fine i dirigenti si sono mossi. E hanno offerto: parliamone. Ma di cosa? Dopo tanto
assordante silenzio. Solo perché hanno letto sui giornali che me ne andavo e il problema non poteva più
essere ignorato. Troppo tardi e per i motivi sbagliati».
Ora che ha provocato reazioni a valanga, si sente come l'autolesionista Tafazzi, evocato da Renzi? «No»,
risponde seccamente. Il governatore Burlando invece è preoccupatissimo: «Ma Cofferati vuol farci perdere?».
Certo, che Paita vinca a Cofferati non sta bene. Il resto è futuro incerto. Eppure il Cinese è calmo, sorridente,
raccoglie gli applausi dei supporter più convinti, il deputato Luca Pastorino che avrebbe voluto uscire subito
dal Pd, l'ex sindacalista e membro della direzione nazionale Andrea Ranieri che ha perorato la causa nel
silenzio di Roma. «Andarsene non è stato facile», dice Cofferati e ricorda: «Sono entrato nel Pci nel '73, sono
stato fra i 45 fondatori del Pd. È una vita. Nel 2002 dicevano che stavo per fondare un partito, era una bufala,
di partiti ce n'è fin troppi. Ma questo cambio di pelle non lo posso accettare, io a votare con i fascisti non ci
vado. E poi mi sono rotto una spalla, mi fa un male del diavolo, non dormo, sto sveglio tutta la notte a
pensare e forse divento anche un po' cattivo. L'altra notte ho pensato a lungo e la conclusione l'avete
sentita». Poi si apparta con Ferruccio Sansa, giornalista del Fatto e, anche, possibile candidato di quella
magmatica formazione che si sta delineando nelle frenetiche riunioni di questi giorni.
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Indagini
Dopo le primarie liguri, la Procura
di Savona ha aperto un fascicolo sulle modalità di voto al seggio di Albenga e
la Digos
di Genova
ha acquisito
i documenti
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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18/01/2015
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Ferrara: al Colle Bersani o Mattarella Ma avrei voluto Muti con i corazzieri
Il fondatore del «Foglio»: serve un uomo della pacificazione Di Prodi non parliamo neanche: troppo
ingombran-te, viene solo usato come bandiera L'incognita «A oggi i firmatari del patto del Nazareno non
hanno ancora idea di chi votare» Rosy Bindi mi sta simpatica e l'ho sempre difesa ma per Renzi è una serpe
in seno, una odiatrice furibonda
Monica Guerzoni
ROMA Un comunista al Quirinale? Per Silvio Berlusconi non è un tabù, parola di Giuliano Ferrara. Il direttore
del Foglio, parimenti invaghito dell'ex premier e dell'attuale inquilino di Palazzo Chigi, punta su Pier Luigi
Bersani, «lo smacchiatore di giaguari». Ma non risparmia pronostici e giudizi sugli altri papabili di
centrosinistra.
Perché tifa Bersani?
«Mi sembra nella logica di Renzi proporre Bersani, anche se non ha statura internazionale. È stato ministro e
segretario e potrebbe chiudere al premier due fronti importanti, il suo essere troppo poco di sinistra e troppo
poco di partito. Bersani potrebbe essere l'uomo della pacificazione nazionale».
I renziani lo voterebbero?
«Il Pd non può non votarlo. E prenderebbe il voto dei centristi, che sono da sempre in sintonia con Bersani.
Piacenza, l'Emilia, il meeting di Rimini, Lupi, Alfano...».
Il centro non vota Casini?
«L'aspirazione di Casini è legittima, non è un candidato da buttar via. Certo sarebbe considerato più amato,
simpatico e accessibile da Berlusconi. Ma lui che parla sempre male dei comunisti, in realtà si è sempre
messo d'accordo con loro».
D'Alema?
«No, neanche lontanamente. Troppo bruciato dalla sua vanità. Mentre Bersani significherebbe la
riconciliazione, D'Alema è un combattente. Un rottamato non può tornare».
Nemmeno se è donna?
«La Finocchiaro ha carattere e possibilità, ma io una donna non la vedo. La Bindi mi sta simpatica e l'ho
sempre difesa dagli attacchi anche volgari di Grillo e Berlusconi, ma per Renzi è come la serpe in seno, una
odiatrice furibonda».
Esagera, direttore.
«No, vorrebbe metterlo sotto un tram».
Un cattolico?
«Dicono sia molto forte la candidatura di Sergio Mattarella, brava persona fuori dalla mischia. È l'ipotesi del
politico che parte sbiadito e diventa presidente. Rinfrescare un illustrissimo galantuomo scomparso può avere
una logica».
Anche per il Nazareno?
«Non deve essere un nemico di Renzi, perché sarebbe uno spicinio».
È così renziano che si è messo a parlare toscano?
«Vuol dire una strage, un incidente a catena. E questo non è possibile, sennò uno che vince a fare le primarie
e poi le Europee col 40%? Per diventare premier e mandare al Quirinale uno che lo odia?».
A chi sta pensando?
«Di Prodi non parliamo neanche, non si può. Troppo ingombrante, identificato con un'altra epoca storica e
politica, viene usato come bandiera da questo e quello...».
Teme l'accordo tra sinistra e Cinquestelle?
«Come fa il M5S a votare Prodi, se organizza referendum contro l'euro? Vendola è una specie di leone che si
agita a vuoto e Civati un indossatore di sartoria di grande qualità».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'intervista
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 12
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Nel patto del Nazareno c'è già il nome?
«Lo escludo. Sono un grande ammiratore di Renzi e di Berlusconi, ma non mi paiono così lucidi da avere già
il nome del prossimo presidente. La gatta da pelare è grossa, ha il pelo molto irto. A Berlusconi andrebbero
bene personaggi con una vena pragmatica, tanto da ripristinare la famosa agibilità politica per un leader che
è il partner delle riforme».
Nel Pd i candidati autorevoli non mancano. Veltroni?
«Non so se possa essere il presidente che concede la grazia. Gioca sempre a ricasco, è narcisista e non lo
vedo cuor di leone. È un po' troppo la bella politica, si metterebbe a fare dei balletti e Renzi potrebbe vedere
in lui un rivale in fatto di comunicazione, il che con Mattarella non accadrebbe».
Neanche con Amato .
«Se si andasse per curricula dovrebbe approdare al Quirinale senza passare dal voto, ma ha grandi
handicap».
E Padoan?
«È figlio della mia maestra elementare e lo farei anche papa, ma non lo vedo».
Vincerà un outsider?
«Io ero innamorato dell'idea di Muti, vederlo arrivare a Salisburgo o Chicago con i corazzieri avrebbe fatto
dell'Italia il Paese del Bengodi».
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Chi è
Giuliano Ferrara, 63 anni compiuti
il 7 gennaio,
è fondatore
e direttore
del quotidiano Il Foglio È stato eurodeputato per il Psi dall'89 al '94 e ha ricoperto l'incarico di ministro per i
rapporti con il Parlamento nel primo governo Berlusconi dal '94 al '95
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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«Il Quirinale non è una partita tra Pd e azzurri»
Cicchitto (Ncd): serve una figura autorevole che rappresenti anche il blocco di centro
M. A. C.
ROMA Cicchitto, lei che è un esponente del Ncd, ci può descrivere quali sono le forze in campo, in vista
dell'incontro sul Quirinale della settimana prossima tra il leader di FI e Angelino Alfano, il primo da un anno e
mezzo, il primo dopo la «scissione»?
«Renzi non deve pensare che la partita del Colle la risolve con due soli interlocutori: Bersani, all'interno del
suo partito, e Berlusconi, al di fuori, sempre se sono vere le intenzioni che gli vengono attribuite. E quindi
preciso subito che l'appuntamento con Berlusconi non dovrà essere un incontro tra due persone, ma un
confronto di due aree di centrodestra e centrista (e delle relative delegazioni). Spero bene che queste aree
possano esprimere una rosa di nomi per l'elezione del presidente della Repubblica, e non limitarsi a sfogliare
la rosa del Pd. Si tratta di votare il presidente di tutti gli italiani e non il presidente della Repubblica del Pd».
Quanto «pesate» voi del centrodestra?
«Oltre al blocco costituito dal Pd e da quello di FI (lasciando da parte il gruppo dei Cinque Stelle che allo
stato delle cose si autoesclude), c'è un blocco di centrodestra e centrista di circa 150 grandi elettori. Questa è
la prima considerazione di cui Renzi deve tenere conto per la stessa stabilità del suo governo».
Ciò vuol dire che il Pd di Renzi non può essere un «asso pigliatutto», che «prenda» oltre Palazzo Chigi anche
il Quirinale?
«Non ci può essere un monocolore Pd anche perché un sistema non equilibrato politicamente non regge. A
questo proposito ricordo che operazioni del genere non sono mai riuscite. Faccio proprio l'esempio del
toscano Amintore Fanfani, premier e segretario della Dc che assommò in sé troppo potere e che venne
fermato dalla congiura di Santa Dorotea degli altri esponenti della Dc».
L'ambasciatore americano John Phillips ha detto che ci vuole qualcuno che sappia anche dire «no».
Condivide questa considerazione?
«La mia è una preoccupazione di tipo squisitamente istituzionale. Da decenni, in Italia il potere al vertice
politico- istituzionale è esercitato di fatto da una diarchia. Il capo dello Stato è sempre stato una personalità di
rilievo, si pensi a Francesco Cossiga, a Carlo Azeglio Ciampi, e a Giorgio Napolitano. Questo binario, questa
diarchia va assolutamente conservata. Il Nuovo centrodestra anche alla riunione con Berlusconi, si
presenterà chiedendo che la scelta non cada su un tecnico, un personaggio sbiadito o politicamente succube
del premier, ma che invece sia autonomo, e di assoluto rilievo per storia e cultura politica, anche se non
conflittuale con il presidente del Consiglio».
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Chi è
Fabrizio Cicchitto,
74 anni,
già senatore
e deputato socialista,
nel 2013 lascia Forza Italia per Ncd, di cui è ora esponente alla Camera
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 15
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Eurostat: sono 3,6 milioni. Pronto il fondo per le imprese in crisi. Verso l'addio al voto capitario per le Popolari
M. Sen.
ROMA Una sorta di Fondo strategico italiano, con la differenza che, invece di investire nelle imprese che
funzionano e producono utili, dovrà occuparsi di quelle in crisi, per rilanciarle. Con il sostegno della Cassa
Depositi e Prestiti ed entro i limiti della normativa europea che proibisce gli aiuti di Stato alle imprese. Il
Fondo, annunciato dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, in un'intervista al Sole 24Ore, potrebbe
essere istituito già con il decreto legge per il rilancio degli investimenti che il governo esaminerà martedì a
Palazzo Chigi, anche se difficilmente, dice Padoan, potrà intervenire per l'Ilva.
Nel decreto ci saranno anche misure per favorire l'aggregazione tra le banche più piccole, in particolare tra le
popolari e quelle di credito cooperativo. Probabilmente si arriverà al superamento del principio del voto
capitario, a prescindere dal numero di azioni possedute. L'ipotesi solleva già delle perplessità nello stesso
Partito Democratico. Beppe Fioroni si dice «d'accordo a ridurre il numero dei banchieri e i loro emolumenti.
Ma togliere una specificità del credito e della finanza italiana come le Bcc, le Popolari e le banche locali
significa ridurre le opportunità di credito per gli italiani, per le piccole aziende ed aumentare i profitti per i
grandi gruppi». Critiche condivise da Francesco Boccia, altro esponente della minoranza Pd.
Nel pacchetto, messo a punto dal ministro dell'Economia e da quello dello Sviluppo, Federica Guidi,
potrebbero entrare anche delle misure per facilitare la portabilità dei conti correnti bancari, mentre sarebbe di
nuovo allo studio la questione delle commissioni sui servizi bancari. Nel decreto sono confermate le norme
per dare la garanzia di stabilità della normativa fiscale ai grandi gruppi che attivano progetti di investimento in
Italia di importo superiore ai 500 milioni di euro. «Chi investe - dice sempre Padoan - deve avere la certezza
che il trattamento fiscale o le regole connesse alla propria attività non cambino di continuo».
Intanto, secondo Eurostat, in Italia ci sono oltre 3,6 milioni di persone che sarebbero disponibili a lavorare ma
non cercano impiego: è il 14,2% della forza lavoro, oltre tre volte la media Ue-28 (4,1%). La rilevazione,
relativa al 3°trimestre 2014, dice che tale percentuale è salita in un anno dello 0,2% nell'Ue, di 1,1 in Italia. Il
dato più elevato.
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Il peso degli inattivi (Dati in percentuale del terzo trimestre 2014) Il tasso (sulla forza lavoro) In rapporto allo
stesso trimestre dell'anno precedente Corriere della Sera Disoccupazione Persone disponibili a lavorare ma
non in cerca di occupazione EU 28 9,7 4,1 EA 19 11 4,6 Germania 4,8 1,2 Spagna 23,7 5 Francia 9,4 n.d.
ITALIA 11,8 14,2 Gran Bretagna 6,1 2,2 -0,8 -0,5 -0,2 -2,0 +0,1 +0,5 -1,6 0 +0,2 0 -0,1 n.d. +1,1 -0,3 3,6
milioni di italiani scoraggiati
Il testo
Il nuovo decreto a sostegno degli investimenti (Investment Compact) potrebbe contenere la creazione di una
società a partecipazione pubblica e aperta ai privati capace di iniettare fresco capitale di rischio nelle aziende
in temporaneo squilibrio patrimoniale e, o, finanziario. Avrà una dotazione minima di un miliardo di euro
Foto: Il commento a pagina 45 di Danilo Taino
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Uno su sette non cerca lavoro, il triplo dell'Ue
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Delrio: Bruxelles ora ci può aiutare Quattro miliardi da spendere nel 2015
«Piano Juncker, presto per le previsioni. Attirerà investimenti esteri» I cantieri avviati Abbiamo scommesso
sulla scuola, sono investimenti che vanno «scomputati» dal patto Infrastrutture La realizzazione del Ponte
sullo Stretto non è un tema all'ordine del giorno del governo
Antonella Baccaro
ROMA Sottosegretario Delrio, lei che ha la delega ai fondi strutturali può dirci quanti miliardi in più potrà
investire l'Italia con le nuove regole europee sulla flessibilità?
«Mi faccia fare una premessa: in questi giorni ho rivisto i titoli dei giornali del marzo scorso, quando il
presidente Renzi andò a Bruxelles a chiedere che gli investimenti venissero scomputati dal patto di Stabilità.
Oggi possiamo dire che quanto ottenuto è un nostro successo e che il 2015 potrà essere un anno
importante».
Quantifichiamo questo vantaggio?
«Rispetto ai fondi europei il calcolo è presto fatto: se verrà scomputato completamente il cofinanziamento,
per il 2015 queste nuove regole valgono circa 4 miliardi di euro, quello che era già conteggiato nei
tendenziali. Quanto agli investimenti del piano Juncker non siamo ancora in grado di fare nessuna
previsione».
Il Paese che dà un contributo riceve in proporzione?
«No, questa regola, per quanto ne so, non c'è. È la qualità dei progetti a fare la differenza e i criteri che
riguardano l'innovazione, la ricerca, le infrastrutture, il sostegno alle Pmi».
Detta così, tra le possibilità offerte dalla nuova flessibilità al momento il piano Juncker appare il meno
allettante in termini di rientro.
«La convenienza del piano Juncker per il nostro Paese sta negli investimenti privati, soprattutto esteri, che
può attirare: sul punto noi siamo molto deboli soprattutto nel settore delle infrastrutture. Poi il tema, casomai,
è un altro».
Quale?
«Che l'Europa ha bisogno di molta più flessibilità sugli investimenti di quella che, pure con soddisfazione, noi
abbiamo salutato».
A cosa si riferisce?
«Lo dissi quando ero presidente dei sindaci italiani con Mario Monti: serve una golden rule piena. In una fase
così recessiva con una così grande difficoltà occupazionale avrebbe avuto, e avrebbe molto senso ancora,
far partire piani di investimenti nazionali e tenerli scomputati dal patto per certe categorie».
Un esempio?
«Abbiamo fatto un investimento importante sulla scuola: quasi il 60% degli edifici è stato costruito prima della
normativa antisismica ultima, più del 30% non ha certificati come quello di prevenzione incendi. Abbiamo
sbloccato moltissimi cantieri che richiederebbero investimenti molto più importanti».
Forse sono altri i progetti più attrattivi.
«Certo e noi abbiamo tanti progetti a disposizione anche in campo energetico e ambientale. È vero piuttosto
che in generale non siamo un Paese che si è concentrato molto sulla progettazione di qualità».
Il Ponte sullo Stretto potrebbe venire riconsiderato?
«È una questione molto complessa da liquidare con una battuta. Diciamo che il nostro Paese ha bisogno di
grandi infrastrutture ferroviarie: la Napoli-Bari-Taranto, la Salerno-Reggio Calabria, la Messina-Palermo, la
Palermo-Catania, anelli ferroviari di decisiva importanza con progetti già cantierati. Quello del Ponte è uno dei
progetti più controversi che richiederebbe una riflessione che non mi pare in questo momento sia all'ordine
del giorno del governo».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'intervista
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Lei è in Sicilia per monitorare come si spendono i fondi europei. Ritiene che le Regioni costituiranno ancora
un freno alla realizzazione delle infrastrutture strategiche?
«Eventuali resistenze vanno considerate per il loro valore: i cittadini devono partecipare alle decisioni
importanti ma al tempo stesso non possono esserci ricatti o veti sulle opere di interesse nazionale. Servono
certezze per gli investitori».
Siete in grado di offrire loro maggiori certezze a quasi un anno di distanza dal vostro arrivo al governo?
«Nelle materie di nostra competenza esiste la possibilità di superare le eventuali opposizioni che emergano
nella conferenza dei servizi assegnando la decisione finale al Consiglio dei ministri. In questi mesi lo abbiamo
fatto numerose volte. È successo per le pale eoliche autorizzate in Puglia e poi bloccate per un solo voto
contrario su trenta».
La preoccupa il ruolo delle Regioni nella spesa dei Fondi europei?
«Il problema sono i ritardi nelle progettazioni o nell'esecuzione degli appalti a causa dei ricorsi che li
bloccano. Ma in quest'ultimo scorcio dell'anno abbiamo fatto funzionare informalmente l'Agenzia della
coesione, uno strumento che può segnare il cambio di passo nella gestione dei fondi».
Con quali risultati?
«In sette mesi le task force dedicate alle Regioni che più avevano la necessità di spendere, Sicilia, Campania
e Calabria, hanno seguito progetti, fatto sopralluoghi, capito dove si fermavano i lavori. Alla fine abbiamo fatto
un salto in avanti certificando una spesa di Fondi europei superiore a quella che l'Unione Europea ci
chiedeva, arrivando al 70,7%. Con disciplina e applicazione il nostro Paese può fare grandi cose anche nelle
condizioni attuali, in cui c'è il problema della frammentazione dei progetti».
E per il 2015?
«Dobbiamo fare ancora meglio: spendere 10 miliardi di euro nelle cinque Regioni della convergenza, vuol
dire più del 2% del Pil dell'intero Mezzogiorno. È una sfida che assomiglia un po' a quella che è stata fatta tra
la Germania dell'Est e quella dell'Ovest: prendere un pezzo di Paese che ha sofferto molto la recessione, che
ha fatto -3,5% di Pil nell'ultimo anno, e farlo ripartire. Il Pil dell'Italia sarà anche quello del Mezzogiorno».
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Foto: Graziano Delrio, 54 anni, sottosegretario alla presidenza
del Consiglio dei ministri
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 35
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La Grecia teme la corsa al bancomat Chiesti 5 miliardi all'Eurotower
Fabio Savelli
Un «cuscinetto» contro l'ipotesi di una carenza di liquidità causata da una possibile corsa in banca dei
correntisti a ritirare i propri risparmi in vista delle elezioni politiche che si terranno domenica prossima. La
Banca centrale greca ha chiesto all'Eurotower una «linea di finanziamento di emergenza» di circa cinque
miliardi di euro come «misura precauzionale»
in grado di attenuare l'impatto che causerebbero le file in banca di risparmiatori greci preoccupati di perdere i
loro depositi se a trionfare nelle elezioni fosse il partito di ultra-sinistra Syriza. Che nel suo programma di
governo ha messo nero su bianco di voler rinegoziare con Bruxelles l'ammontare del proprio debito. Si
tratterebbe di quella che viene definita «finestra di liquidità di ultima istanza», una sorta di scudo per il
sistema bancario greco. A giovarsene sarebbero soprattutto Alpha Bank ed Eurobank le più esposte sui
mutui contratti in franchi svizzeri, ora nell'occhio del ciclone per la volontà della banca centrale elvetica di
«sganciare» la valuta locale dall'euro. La richiesta indirizzata alla Vigilanza greca sarebbe pervenuta da
questi due istituti di credito anche in ricordo di quello che accadde due anni fa quando in previsione delle
elezioni ci fu un prelievo di massa ai bancomat e una fuga di capitali all'estero. Una preoccupante spia di
quello che potrebbe succedere all'approssimarsi della scadenza elettorale si è avuta nel mese di dicembre
quando l'ammontare dei prelievi nelle banche greche ha toccato i tre miliardi di euro. Una minore liquidità di
sistema che ha scoraggiato le banche elleniche a contribuire al rifinanziamento del debito pubblico nelle aste
del ministero delle Finanze.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Al vertice
Yannis Stournaras, governatore della banca centrale greca
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Il caso
18/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 37
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«Ansaldo Energia in Borsa in tre anni Un modello per gli investimenti Fsi»
Tamagnini: puntiamo a creare aziende con leadership mondiale e cuore italiano In tre anni abbiamo investito
oltre 2 miliardi in 10 imprese, attraendo capitali esteri Il turismo è prioritario. Siamo pronti a puntare su società
disponibili ad aprire il capitale
Fabio Tamburini
«L'operazione Ansaldo Energia è il modello dei nostri investimenti. Il piano industriale garantisce prospettive
di medio e lungo periodo, il debito è stato rifinanziato, il sistema Italia ha consolidato una presenza importante
sui mercati internazionali con ricadute positive sull'occupazione e nella ricerca avanzata». Maurizio
Tamagnini, amministratore delegato del Fondo strategico italiano (Fsi), che fa capo alla Cassa depositi e
prestiti, spiega perché l'alleanza con il colosso cinese Shanghai Electric va considerata un successo e
aggiunge che ne seguiranno altre dello stesso genere. «L'obiettivo è creare aziende con potenzialità di
crescita sui mercati internazionali permettendo piani di sviluppo importanti a livello industriale, commerciale e
finanziario. La leadership dev'essere mondiale, ma il cuore e il quartier generale devono restare in Italia».
Lo schema Ansaldo Energia verrà adottato anche per Ansaldo Sts, l'azienda di segnalamento
ferroviario che Finmeccanica sta vendendo insieme a treni e metropolitane di AnsaldoBreda?
«Fsi non è coinvolta».
Chi vi ha criticato sostiene che dovreste occuparvi di più dei dossier strategici per il Paese, come
appunto Ansaldo Sts..
«Stiamo operando in settori d'interesse nazionale rilevante: dalle comunicazioni, in cui Metroweb può essere
centrale nel piano nazionale di costruzione della fibra ottica, al consolidamento delle utilities, dall'alimentare al
turismo. E siamo particolarmente interessati alla meccanica, uno dei motori delle esportazioni italiane, dove
abbiamo investito in tre aziende per finanziarne la crescita. Sono Valvitalia, Trevi e Ansaldo energia.
Complessivamente abbiamo individuato 14 settori d'intervento, che rappresentano il 25% del prodotto interno
lordo. Nelle aziende interveniamo come investitore di capitale di rischio, che acquista partecipazioni di
minoranza a parametri di mercato e senza incarichi di gestione. Ma devono essere società in equilibrio
finanziario. In tre anni abbiamo incontrato circa 300 imprenditori e investito oltre 2 miliardi in dieci aziende
riuscendo ad attrarre investimenti stranieri per 2,5 miliardi di euro da quattro fondi sovrani che coinvestono
con Fs».
Una delle ultime operazioni è stata l'aumento di capitale della catena alberghiera Rocco Forte. Avete
in programma altre iniziative del genere?
«Il turismo è un settore prioritario. Siamo aperti a investire in aziende disponibili ad aprire il capitale e che
vogliono crescere. Recentemente ci hanno contattato imprenditori italiani interessati alla società di gestione
del gruppo Una e abbiamo dato disponibilità ad affiancarli».
Perché considera Ansaldo energia un modello?
«È una delle cinque aziende globali con competenze e leadership nella produzione di turbine a gas insieme
ad Alstom, General Electric, Mitsubishi e Siemens. Ansaldo Energia produce per circa il 70% in Italia ed
esporta oltre il 90% della produzione impiegando circa 3.300 persone direttamente e con un indotto di altre 7
mila. È passato solo un anno dal nostro investimento, ma è possibile un primo bilancio. Nel frattempo la crisi
ha colpito duro. Nonostante questo Ansaldo energia ha ottenuto dai cinesi ordini per tre turbine, che
significano 50 milioni di commesse soltanto nel 2014, ancora prima della chiusura tecnica dell'accordo con
Shanghai Electric. Altre seguiranno nel 2015. Non solo. Il coinvolgimento dei cinesi, ha reso possibile
investire nello sviluppo di nuove tecnologie, grazie a due joint venture di durata trentennale.
Contemporaneamente abbiamo sottoscritto l'intesa con la coreana Doosan per sviluppare prodotti
complementari. In più una controllata del gruppo, l'Ansaldo nucleare, ha nuove, interessanti prospettive
grazie all'acquisizione di Nes, azienda inglese che gestisce lo smantellamento del più grande sito nucleare
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'intervista
18/01/2015
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Pag. 37
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
nel Regno Unito».
Shanghai Electric ha acquistato il 40 per cento del capitale. Arriverà a superare il 50 per cento?
«No. L'obiettivo di Ansaldo Energia è quotarsi nei prossimi tre anni. Shanghai Electric e Fsi, che manterrà
una presenza stabile, si diluiranno proporzionalmente per fare posto al mercato».
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Foto: Al vertice
Maurizio Tamagnini, amministratore delegato
di Fondo strategico italiano (che fa capo a Cassa depositi)
19/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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«Così Sergio diventerà lo Tsipras italiano»
Fabrizio Roncone
«La sinistra non c'è più in Italia. Il dato è ufficiale e definitivo». A dirlo al Corriere è il leader Fiom Landini. Che
però crede in Cofferati: «Può diventare il nostro Tsipras». a pagina 15 Dellacasa
«Guardi, glielo dico con simpatia, ma il suo modo di ragionare è vecchio, polveroso, legato a schemi politici
ormai superati. Lei continua a chiedermi se lo strappo di Cofferati può essere la scintilla per far nascere un
nuovo partito a sinistra del Pd: ma io non penso a un nuovo partito, io penso invece a nuove forme di
aggregazione, penso a tante persone che possono finalmente tornare a partecipare, organizzandosi nella
forme che più ritengono opportune».
Mi viene in mente una parola: Tsipras.
«Non so se è un modello esportabile. Però so che è estremamente interessante come certi meccanismi di
elaborazione del cambiamento possano mettersi in moto proprio come si sono messi in moto in Grecia: in
questo senso, naturalmente, un personaggio del carisma di Cofferati, con le sue grandi qualità etiche e
morali, può certamente contribuire ad accelerare un percorso simile anche qui. Dove pure è necessario
andare oltre l'idea di sinistra classica».
( L'intervista andava avanti da una ventina di minuti: e Maurizio Landini, il líder máximo della Fiom, lui che è
un formidabile comunicatore, battuta sempre pronta, velocità, ritmo, lucidità, allergia con bolle al politichese,
stavolta tendeva stranamente a prenderla un po' alla larga. Incalzarlo è stato opportuno: ad un certo punto,
sia pure sorridendo, ha come perso la pazienza ed è andato così giù diritto alle conseguenze che possono
derivare dall'uscita di un personaggio come Cofferati dal Pd ).
«Mi spiego meglio: qui il punto non è se adesso nascerà o meno una forza a sinistra del Partito democratico.
Qui la scena è più grave. Qui dev'essere chiaro a tutti che il processo in atto, come testimonia in modo
emblematico anche la vicenda Cofferati, è più profondo. La sinistra non c'è più in Italia. Il dato, purtroppo, è
ufficiale e definitivo. Siamo innanzi a un passaggio di drammatica rottura nella storia politica e sindacale del
Paese».
Lei dice che la vicenda Cofferati è emblematica: può essere più preciso?
«Le rispondo ricordando a tutti che in tasca, il sottoscritto, ha due sole tessere: quella della Cgil e quella
dell'Anpi, l'Associazione nazionale partigiani. Questo per dire che ragiono seguendo solo la logica, il buon
senso, e ricordando che il Pd s'era dotato delle primarie, immaginando, sperando che potessero essere uno
strumento capace di determinare novità e partecipazione. Bene: dobbiamo prendere invece atto che è uno
strumento che allontana i giovani e porta alle dimissioni persone come Sergio, che quel partito ha addirittura
contribuito a fondarlo. E perché accade tutto ciò? Accade perché anche nelle primarie del Pd prevalgono
lobby e logiche di potere, perché pur di vincere è lecito portare a votare i fascisti, perché diventa secondario
che siano state riscontrate irregolarità e alla fine ci tocca anche sentire la Serracchiani che dice: "Non si
rimane solo se si vince". Ma si vince cosa? Si vince come? E il rispetto delle regole? E l'onestà? Io sono mesi
che parlò di onestà, che invoco onestà...».
In effetti, lo scorso autunno, lei provò a introdurre il tema e lo fece con toni piuttosto ruvidi: disse che «gli
onesti sono contro Renzi».
«Il primo a rispondermi, suppongo su ordine del capo, fu il presidente del Pd, Matteo Orfini. Peccato che
adesso sia proprio lui, Orfini, con i gradi di commissario straordinario, a dover indagare sulla palude del
malaffare in cui galleggia il Pd a Roma. La verità è che dovrebbero avere la forza di interrogarsi sul gorgo nel
quale hanno fatto sparire ogni traccia di etica e morale... e mi scusi se continuo a usare queste due paroline».
Lei non ha il minimo dubbio che Cofferati abbia almeno sbagliato, come pensano alcuni osservatori, i tempi di
reazione?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA LANDINI e cofferati
19/01/2015
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«Conobbi Sergio quando diventò segretario della Cgil: io, all'epoca, ero il segretario della Fiom di Reggio
Emilia. Da allora, con Sergio, abbiamo condiviso percorsi e avuto anche qualche momento di democratico
conflitto: sempre, però, ho pensato d'avere di fronte una persona perbene, rigorosa, capace di far prevalere
valori e principi, un socialdemocratico autentico».
A suo parere, cosa gli impedì, nel 2002, quando dopo la straordinaria manifestazione del Circo Massimo era
al culmine della popolarità, di diventare il leader della sinistra italiana?
«A impedirgli di diventare ciò che avrebbe meritato furono certe logiche di partito. Che lui, un uomo incapace
di porre questioni personali, rispettò. Per questo trovo assolutamente offensivo che qualcuno stia provando,
nelle ultime ore, a dargli lezioni di comportamento. Piuttosto...».
Piuttosto cosa, Landini?
«Leggessero bene il sondaggio pubblicato dal Corriere : con il Pd che è in caduta libera e con il governo che
non gode più di tanti consensi. Del resto, cancellano lo statuto dei lavoratori, varano provvedimenti in cui si
depenalizza la frode e, di fatto, l'evasione fiscale... e poi tengono il Paese legato a quel misterioso patto del
Nazareno, in cui sembra sia stato deciso addirittura il nome del prossimo Presidente della Repubblica. Gente
così pensa davvero di poter dare lezioni di etica e morale a Cofferati?».
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Il profilo
Maurizio Landini, 53 anni, dal 2010 è segretario generale della Fiom. Prima
di entrare
nella segreteria nazionale,
ha guidato
la Fiom di Reggio Emilia, dell'Emilia-Romagna
e di Bologna
Foto: Insieme
È il 18 maggio 2013 e la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, sfila
a Roma in un corteo contro «le politiche
di austerità».
In piazza scendono decine
di migliaia
di persone provenienti
da tutta Italia per ascoltare il comizio finale del segretario generale Maurizio Landini che,
nel mezzo del corteo, incontra e abbraccia Sergio Cofferati
19/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
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La manovra di Draghi potrebbe superare i 500 miliardi. Resta l'incognita sulla Grecia I dubbi di Berlino Merkel
teme che gli acquisti diventino una sorta di «Unione dei trasferimenti»
Danilo Taino
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO Il luminoso ufficio di Angela Merkel nella Cancelleria tedesca ha una grande finestra-parete: per
dare il senso, come avviene per tutti i palazzi della politica di Berlino, della trasparenza. Dell'incontro della
leader più potente d'Europa con il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, avvenuto mercoledì
scorso, si sa però poco. La delicatezza di quel che hanno discusso è ritenuta tale da giustificare un livello alto
di riservatezza. In effetti, in gioco c'è molto: hanno sicuramente parlato della riunione di giovedì prossimo del
Consiglio dei governatori della Bce nella quale verrà presa una delle decisioni più rilevanti nella storia
dell'istituzione di Francoforte. E dovrebbero avere gettato le basi per un possibile ma non scontato
compromesso.
Già nel 2012, dopo averlo incontrato, la cancelliera aveva dato a Draghi il via libera politico della Germania
all'annuncio di un possibile (e mai attivato) programma di acquisto di titoli dello Stato di Paesi in crisi da parte
della Bce. Fu il momento che precedette il famoso «qualsiasi cosa sia necessaria» per salvare l'euro, frase
pronunciata da Draghi che ebbe l'effetto di calmare i mercati allora in tensione.
Questa volta, la situazione è più complicata. Gran parte dell'establishment tedesco - politico, economico,
istituzionale - è contraria all'acquisto massiccio di titoli di tutti gli Stati dell'Eurozona da parte della Bce, cioè al
Quantitative Easing (QE) che verrà annunciato il 22 gennaio. Anche Frau Merkel è convinta che questa
operazione possa alleggerire la pressione sui governi dei Paesi dell'Europa del Sud a fare le riforme
promesse; e teme che si tratti di una strada attraverso la quale si finisca con il trasferire denaro da un Paese
all'altro, cioè di un passo verso l'Unione dei trasferimenti da sempre osteggiata da Berlino.
La cancelliera sa però che a questo punto il QE sovrano è, in qualche forma, inevitabile: se il 22 la Bce non lo
varasse i mercati entrerebbero in confusione. Anche se fosse deciso a maggioranza con il voto contrario dei
membri tedeschi del Consiglio dei governatori della Bce e con l'opposizione palese del governo della
Germania, rischierebbe di non essere credibile.
La signora Merkel, dunque, sa che serve un compromesso. Ieri, la Frankfurter Allgemeine Zeitung della
domenica ha scritto che esso consisterebbe nel procedere all'acquisto dei titoli di Stato - pare in quantità
anche maggiore dei 500 miliardi di cui si è parlato nei giorni scorsi - ma con la clausola che «almeno la metà»
del rischio che ci si prende comprando i titoli di un Paese rimanga in capo alla banca centrale nazionale di
quel Paese. Una condivisione europea del rischio rimarrebbe ma non sarebbe totale. Accettabile?
Si tratta di un sentiero sottile. Il compromesso implicherebbe una frammentazione del mercato unico
dell'Eurozona in responsabilità nazionali, cosa che potrebbe fare pensare a una limitazione dell'ampiezza
operativa della Bce. Allo stesso tempo, però, riserverebbe alla Banca centrale europea almeno una parte di
responsabilità sull'intera Eurozona e soprattutto, per la prima volta, mutualizzerebbe una parte del rischio.
L'intero impianto sarà un elemento di discussione nei prossimi giorni, assieme ad altri aspetti: dimensione
degli acquisti di titoli, esclusione o meno dei bond della Grecia (rating troppo basso), quote massime
nazionali di debito pubblico acquistabile.
Il dato di fatto è che tutti, in queste ore, si rendono conto che un compromesso è altamente consigliabile. Una
Bce malamente divisa o delegittimata dalla Germania perderebbe molta credibilità. Con questa
consapevolezza hanno probabilmente discusso, mercoledì, Merkel e Draghi dietro la grande finestra della
Cancelleria.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Bce e Germania verso il compromesso A ogni Stato metà del rischio sui
titoli
19/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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@danilotaino
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Il vertice
Giovedì
22 gennaio
si riunirà il Consiglio dei governatori della Banca centrale europea Il board dell'Eurotower dovrebbe ratificare
il lancio del Quantitative easing, l'acquisto massiccio
di titoli di Stato dei Paesi dell'Eurozona Si tratta dell'arma finale a disposizione di Mario Draghi per stimolare
la crescita
19/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 14
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Renzi preoccupato per le tensioni Ma non dà spazio alla minoranza
I timori per l'uso strumentale dello strappo di Cofferati e gli effetti sui cittadini L'unità Il segretario invita i suoi a
pensare meno alle «beghe interne» e a essere più uniti
Maria Teresa Meli
ROMA Non sono giorni facili, questi, per Matteo Renzi. La partita del Quirinale, già di per sé delicatissima, si
gioca in contemporanea con quella dell'Italicum. Il premier continua a rassicurare i suoi: «Vedrete, riusciremo
a fare la riforma elettorale lo stesso».
Ma la minoranza pd non sembra intenzionata a spianare la strada al presidente del Consiglio, che oggi
dovrebbe incontrare i senatori del suo partito. Eppure l'inquilino di palazzo Chigi non è disposto ad avviare
una nuova trattativa sulla riforma: «Vale il testo della Direzione» dice. E ai fedelissimi anticipa: «Non farò
nessuna nuova apertura».
Come se non bastasse, l'uscita di Sergio Cofferati ha riacceso il dibattito interno e moltiplicato le voci di una
possibile scissione, complicando ulteriormente le cose a Renzi. Il premier non ritiene che l'ex segretario della
Cgil abbia il carisma per diventare il leader incontrastato di una nuova formazione di sinistra. Tanto più che
dall'adunata del Circo Massimo è passato tanto di quel tempo e che, suscitando un vespaio di polemiche e
prese in giro sui social network, Cofferati se ne è andato subito dopo aver perso le primarie. Cosa,
quest'ultima, che non è piaciuta affatto a Renzi: «Se si fa politica bisogna saper accettare anche le sconfitte»,
ha spiegato ai suoi. Senza sapere che lo stesso ex leader sindacale aveva pronunciato parole analoghe nel
2009, dopo le primarie in cui perse la sfida per la segreteria regionale della Liguria: «Quando si fa politica
bisogna accettare di vincere e perdere».
« Evidentemente - commenta qualche parlamentare pd - da allora Cofferati ha cambiato idea. Del resto, non
era sempre Sergio che nel 2011 dopo le contestate primarie di Napoli, poi annullate, a proposito delle file dei
cinesi ai seggi, diceva: non capisco perché non dovrebbero votare?».
Comunque non è del l'appeal elettorale di Cofferati che Renzi ha paura, ma della «campagna» che viene
fatta cavalcando questo strappo in un passaggio così delicato, anche da parte di esponenti della minoranza
del partito. «Le elezioni del presidente della Repubblica sono imminenti, la gente si allontanerà ancora di più
dalla politica se allestiamo questi brutti spettacoli e questo non è un bene per il Paese. Dovremmo essere tutti
più responsabili e non pensare alle beghe di partito», spiega il presidente del Consiglio.
Già, in questi ultimi giorni Renzi in più occasioni ha rivolto agli esponenti del Partito democratico un appello al
«senso di responsabilità», soprattutto nella speranza di trovare una soluzione il più unitaria possibile sul
Quirinale. «Io - ha ricordato il premier ai fedelissimi - sono rimasto nel Pd, anche quando tutti dicevano che
volevo farmi una mia forza politica perché contestavo molte scelte di Bersani». Come a dire, rivolto anche
quanti sembrano avere un piede al Nazareno e l'altro fuori: chi ha veramente a cuore il Partito democratico
combatte da dentro, non se ne va sbattendo la porta. Ed è esattamente quello che stanno contestando in
queste ore a Cofferati alcuni suoi sostenitori delle primarie, come il vice sindaco di Savona. Per cercare di
ridimensionare il caso ed evitare che abbia contraccolpi sull'elettorato e sui militanti, il premier pare quindi
voler richiamare tutti non solo alla responsabilità, ma anche al senso di «appartenenza alla comunità del Pd».
Nonostante Renzi sia determinato ad andare avanti le polemiche di questi giorni avvelenano l'atmosfera in
cui si gioca la partita del Quirinale. È vero che Silvio Berlusconi è venuto incontro al premier censurando
Renato Brunetta (delle invettive anti-renziane del capogruppo di Forza Italia il presidente del Consiglio e il
leader di Fi avevano parlato al telefono nei giorni scorsi), ma questo non basta. Anche perché aprire la partita
con i grillini è ormai difficile.
Renzi teme perciò che l'ex Cavaliere non riesca più a tenere i suoi. «Sono molto divisi», spiega il premier ai
compagni di partito a lui più vicini. Il che, ovviamente, non è un bene, per lui in questo momento. Proprio per
questo deve riuscire a ricompattare quasi tutto il Pd almeno sul Quirinale. Come? «Magari con una
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Il retroscena
19/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 14
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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sorpresa», risponde lui enigmatico a chi glielo chiede.
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673 il quorum,
pari
ai due terzi
dei grandi elettori,
richiesto
dalla Costituzione per l'elezione del presidente della Repubblica
nei primi tre scrutini
505 il quorum ,
pari alla maggioranza assoluta dei grandi elettori, richiesto
dalla Costituzione per eleggere
il presidente della Repubblica
dal quarto scrutinio in poi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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19/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 35
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L'Aia e l'assurda liturgia dei processi anti Israele
Pierluigi Battista
L'Onu è quell'ente mondiale faraonico, costoso e inutile che si fa umiliare a Srebrenica e in Ruanda, mette a
capo della commissione sui Diritti umani nazioni che i diritti umani li fanno a brandelli e chiama a dirigere la
commissione sui Diritti delle donne Nazioni in cui le donne sono legalmente stuprate, fustigate e lapidate.
Poteva forse la Corte internazionale di giustizia dell'Aia, che delle Nazioni Unite è emanazione, non emularne
le iniziative grottesche? Certo che no. E infatti, invece di perseguire i tiranni sanguinari alla Mobutu, i
professionisti della pulizia etnica, la Cina che ha massacrato il Tibet, i fanatici che stanno violentando le
bambine in Nigeria e sgozzando gli insegnanti, i Paesi arabi «moderati» in cui è pratica corrente la
decapitazione delle donne e la somministrazione di centinaia di frustate ai blogger «blasfemi», gli scherani di
Hamas che ammazzano a gruppi i «collaborazionisti», ossia i dissidenti fucilati a Gaza come monito per
chiunque osasse profferir parola, il carnefice Assad che usa armi chimiche e ha raso al suolo Aleppo
trucidando migliaia di bambini, invece insomma di operare con un minimo di decenza e di rispetto per la
parola «giustizia» che campeggia sulle sue insegne, cosa fa la Corte dell'Aia? Apre a gentile richiesta di
massacratori seriali un'inchiesta sui «crimini» di Israele che sarebbero stati commessi a Gaza. Assad al
calduccio, protetto dall'Onu. Israele, alla sbarra.
Finora l'inutilità della Corte internazionale si è manifestata secondo questo principio: accanirsi con i dittatori
deposti e inoffensivi, come Milosevic, ed emettere ridicoli mandati di cattura contro uno stragista come il
presidente del Sudan Al Bashir, responsabile dei massacri del Darfur. Ovviamente Al Bashir si fa beffe di quel
mandato di cattura. Prendersela con chi non conta più niente è più facile, e giustifica le spese sostenute per
tenere in piedi un tribunale che con molta saggezza gli Stati Uniti continuano a boicottare per non sottoporsi
ai riti di una tragica messinscena. Ora c'è un altro modo facile facile per guadagnarsi il consenso dei dittatori
internazionali e dei teorici delle pulizie etniche: prendersela con Israele. A pochi giorni dalla strage nel
supermarket kosher di Parigi, mentre i Parlamenti europei danno una mano ad Hamas, si inizia ad inscenare
la grande liturgia in cui il malvagio Israele viene indicato come il male assoluto. E non c'è niente da ridere.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Particelle elementari
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Banche popolari, in arrivo la riforma societaria: nel mirino il voto capitario
Ferrando, Fotina
Il governo riforma le banche popolari. L'esecutivo avrebbe deciso di inserire del Dl Investimenti, il cosiddetto
"Investment compact", atteso nel Consiglio dei ministri di martedì prossimo, l'abolizione del voto capitario. A
essere abrogato sarebbe l'intero articolo 30 del Testo unico bancario.
pagina 25
La norma è brevissima, appena due commi, ma va a colpire le banche popolari nel cuore: il voto capitario,
cancellandolo. Secondo quanto appreso da Il Sole 24 Ore, è una delle riforme di ambito bancario destinate a
entrare nel Dl investimenti, il cosiddetto "Investment compact", che è atteso in Consiglio dei ministri martedì
prossimo.
Nel dettaglio, il Governo avrebbe deciso di prelevare e inserire nell'Investment compact alcuni articoli dal
disegno di legge sulla concorrenza attualmente in fase di stesura al ministero dello Sviluppo economico (su
input dell'Antitrust), e tra queste ci sarebbe anche il mini-articolo sulle popolari: nella formulazione che Il Sole
24 Ore ha avuto modo di consultare è contenuta l'abrogazione dell'intero articolo 30 del Testo unico bancario,
quello che disciplina i soci delle banche popolari. Cancellare quell'articolo, con i suoi otto commi, significa
cancellare il voto capitario («Ogni socio ha un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute»), il tetto
dell'1% per le partecipazioni dei singoli soci, il numero minimo di soci (pari a 200). Il secondo comma del
decreto potrebbe prevedere anche l'eliminazione delle eccezioni rispetto alle disposizioni generali consentite
alle popolari sulle deleghe di voto, ma nei fatti si tratta di poca cosa: la norma deflagrante è l'abolizione del
voto capitario, che nei fatti significherebbe trasformare le banche popolari in spa. Stando alla bozza del ddl
concorrenza non sarebbero previste novità sulle Bcc, ma da fonti governative non si esclude un intervento
anche su quel versante.
«Ci sono tantissime banche e
pochissimo credito, soprattuttò per le piccole e medie imprese», ha osservato ieri Matteo Renzi nella
direzione Pd, di fatto annunciando un provvedimento che razionalizzerà il settore del credito. In effetti, la
cancellazione del voto capitario potrebbe avere l'effetto di facilitare tutte le operazioni straordinarie, quelle
che di norma non incontrano il favore delle maxi-assemblee piene di piccoli soci: aumenti di capitale e,
soprattutto, aggregazioni. «Non abbiamo avuto paura di intervenire sul numero di parlamentari, non avremo
paura di farlo sul numero dei banchieri», ha rincarato la dose il premier. Non c'è dubbio che un eventuale
riforma di questo tipo non sarà povera di reazioni, e non solo da parte dei banchieri: già ieri, al diffondersi
delle prime voci al riguardo, si è subito pronunciato il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni: «Se Renzi
vuole diminuire i banchieri faccia pure, ma riformare le banche popolari, le banche di credito cooperativo e le
banche locali, che hanno sempre sostenuto l'economia dei territori, trasformandole in spa è un errore perché
inevitabilmente si creerebbero le condizioni per ulteriori tagli del personale e di numeri importanti in tema di
esuberi».
Tuttavia, nel pacchetto bancario dell'Investment compact non ci sono solo le popolari ma anche i conti
correnti e i fondi pensione: sul primo versante, per aumentare il tasso di mobilità della clientela, si punta a
integrare la normativa sulla trasparenza bancaria rendendo obbligatorio a 15 giorni il termine entro cui il
trasferimento di un conto corrente da un istituto all'altro; per chi non adempie, scatterà l'obbligo di risarcire il
cliente; altre norme, poi, riguardano la comparabilità delle condizioni applicate dalle banche nonché la
portabilità dei fondi pensione. Sempre sul tema credito, si lavora per perfezionare il pacchetto di norme
relativo al Fondo centrale di garanzia (si veda Il Sole 24 Ore del 7 gennaio). L'idea principale è far sì che il
Fondo possa garantire anche titoli derivanti da cartolarizzazione che abbiano ad oggetto crediti nei confronti
delle piccole e medie imprese. Una mossa che spianerebbe la strada all'acquisto da parte della Bce delle
cosiddette tranche mezzanine di titoli derivanti da cartolarizzazione (Abs), purché dotati di garanzia statale.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Credito. Pronta la bozza del governo***
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Nell'ultima bozza dell'Investment compact si specifica che le cartolarizzazioni dovrebbero avere ad oggetto
crediti "in bonis". Ma sono in corso verifiche per evitare che l'apertura agli Abs assorba troppe risorse dal
Fondo, penalizzando le altre operazioni che vengono tradizionalmente effettuate per le Pmi. Nel frattempo, il
decreto dovrebbe ridurre a un massimo del 60% dal precedente 80% la copertura della garanzia diretta su
ogni singola operazione.
Rinviata, invece, la riforma delle Fondazioni: in questo caso la palla resta al Mef, dove è in fase di stesura
l'atto negoziale che sarà sottoposto all'Acri.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Ferrando
Carmine Fotina
C LA PAROLA CHIAVE
Governance
Governance è l'organizzazione interna di un'impresa, che regola le relazioni fra i soggetti interni all'impresa
stessa che a diverso titolo intervengono nello svolgimento dell'attività e alle forme di tutela dei diversi interessi
esterni coinvolti. L'obiettivo di una buona corporate governance è quello di affidare la gestione dell'impresa
alle persone più adatte, tutelando nello stesso tempo gli interessi legittimi di piccoli azionisti, creditori sociali e
dipendenti. Per quanto riguarda le banche, il Governo sta studiando l'abrogazione dell'intero articolo 30 del
Testo unico bancario, quello che disciplina i soci delle banche popolari. Var. % Margine 2.845,0
intermediazione primario 2014 2.845,0 2013 0,0 Rettifiche di valore nette per deterioramento -2.523,0 1.570,4 2014 2013 +60,7% Oneri 2.130,5 operativi 2014 2.020,7 2013 -5,2% Utile/perdita d'esercizio -1.149,7
-518,0 2014 2013 n.s. I conti di Siena Dati in milioni di euro
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Bocciarelli
Bankitalia rivede al ribasso le stime di crescita 2015: da 1,3% a +0,4%: l'inflazione prevista è -0,2%.
Occupazione in aumento, ma la ripresa resterà fragile.
pagina 2
ROMA
Avanti piano, mentre la nebbia dell'incertezza nello scenario internazionale stenta a diradarsi. "L'avviso ai
naviganti" contenuto nell'ultimo bollettino economico della Banca d'Italia comunica un cautissimo ottimismo
per l'anno in corso. La ripresa nel 2015 arriverà,seppure con ritardo, visto che anche nel quarto trimestre del
2014 il prodotto interno lordo «sarebbe marginalmente sceso» e visto che, nonostante una lieve ripresa dei
consumi, gli investimenti non sono ancora ripartiti.
Le stime presentate ieri da Palazzo Koch sono più ottimiste di quelle dell'Ocse e un po'più preoccupate di
quelle del Fmi per il nostro paese: si valuta infatti che l'aumento del Pil sarà pari allo 0,4 per cento quest'anno
per poi risalire all'1,2 per cento nel 2016. Ci sono, fortunatamente , rischi al rialzo in questa previsione. Infatti,
si afferma «sarà cruciale l'intensità della ripresa della spesa per investimenti; un rapido miglioramento delle
prospettive di domanda e delle condizioni finanziarie potrebbe accrescerla» e «un andamento più favorevole
dell'attività si avrebbe se il prezzo del petrolio si mantenesse sui valori registrati negli ultimi giorni». Esistono
peraltro anche dei timori di cui tener conto:«Rischi per l'attività economica possono derivare dal riacutizzarsi
di tensioni sui mercati finanziari internazionali, per il peggioramento della situazione politica in Grecia e della
crisi in Russia, nonché per l'indebolimento della congiuntura nelle economie emergenti».
Ma, soprattutto, questo scenario di crescita ancora bassa e di prezzi negativi (il deflatore dei consumi è
stimato a meno 0,2% nel 2015 nella previsione di base, per via del calo dei prezzi del petrolio) ha convinto la
nostra banca centrale a perorare con molta decisione, come ha già fatto il governatore Ignazio Visco in
alcune interviste alla stampa estera, un incisivo intervento di Quantitative easing da parte della Bce.
Infatti, si afferma nell'editoriale del bollettino «misure aggressive di sostegno monetario possono contribuire a
contrastare le pressioni al ribasso sui prezzi e la debolezza dell'attività economica dell'area».
Secondo i calcoli di via Nazionale un'espansione del bilancio della Bce tale da permettere ai tassi d'interesse
sui titoli di Stato a lunga una discesa di 50 punti base e un ulteriore deprezzamento dell'euro del 5 per cento
comporterebbe una crescita più alta di mezzo punto percentuale nel biennio del 2015-2016, sia in Italia sia in
tutta l'Eurozona; quanto all'inflazione , risulterebbe più alta di due-tre decimi di punto in ciascun anno. Ma
potrebbero verificarsi effetti positivi anche più ampi, aggiungono gli esperti della Banca centrale italiana,
tenendo conto dell'impatto sulla fiducia e sulle aspettative d'inflazione di famiglie e imprese italiane. Sul
versante delle "buone notizie" il bollettino registra poi un deciso miglioramento della bilancia dei pagamenti (
nei primi undici mesi dell'anno il saldo di parte corrente è arrivato a 24 miliardi, quasi il doppio del 2013 e il
deficit energetico si è ridotto di 10 miliardi). Quanto alle condizioni di offerta di credito alle imprese, sono
migliorate ma, afferma Bankitalia, restano più stringenti per quelle di minore dimensione. Inoltre «I tassi
d'interesse medi sui nuovi prestiti sono scesi gradualmente, pur mantenendosi superiori a quelli dell'area euro
(di circa 30 punti base per imprese e famiglie)». Sul lato della finanza pubblica «per l'Italia il consolidamento
di bilancio resta un obiettivo essenziale » avverte il bollettino, consapevole di quella volatilità sui mercati
finanziari che è aumentata dopo l'indizione delle elezioni politiche in Grecia. «Il nostro scenario
macroeconomico - si legge in ogni caso nel testo - incorpora gli effetti della Legge di stabilità, con la quale il
Governo, nel confermare l'impegno a proseguire nell'azione di risanamento dei conti pubblici, ne ha adeguato
il ritmo al quadro congiunturale. Ciò - si sottolinea-contribuisce a evitare un prolungamento della fase
recessiva, che avrebbe conseguenze sfavorevoli sul rapporto tra il debito e il Pil nel prossimo biennio». Il
rapporto ricorda come il governo stimi che l'indebitamento netto delle Pa sia al 3% del Pil nel 2014, scenda
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Bankitalia: ridotte (+0,4%) stime Pil 2015
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
lievemente quest'anno e più significativamente il prossimo. Quanto allo stock del debito pubblico via
Nazionale afferma che «complessivamente si può valutare che nell'anno il rapporto tra il debito e il Prodotto
sia salito di circa quattro punti percentuali, collocandosi in prossimità del 132 per cento».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Rossella Bocciarelli SCENARIO MACROECONOMICO. Variazione %
annua Banca d'Italia 0,4 Governo 0,6 Fmi 0,8 Ocse 0,2 Commissione Ue 0,6 Economia italiana sotto la lente
BILANCIA DEI PAGAMENTI. Saldi in miliardi di euro 2015 2016 Consumi delle famiglie +0,9 +0,9
Investimenti fissi lordi -0,7 +2,5 Esportazioni +3,7 +5,9 Importazioni +3,4 +5,7 Variazione delle scorte -0,1 0,0
Gen-nov 2013 Gen-nov 2014 Conto corrente (di cui) +13,5 +24,7 Prodotti non energetici +80,0 +82,0 prodotti
energetici -47,1 -37,4 Conto capitale -0,5 +1,9 Conto finanziario +9,6 +41,8 Fonte: Bollettino economico della
Banca d'Italia PIL 2015 Previsioni a confronto. Variazione % annua
ECONOMIA ITALIANA SOTTO LA LENTE
PIL 2015
Previsioni a confronto. Variazione % annua 2015 2016 Consumi delle famiglie +0,9 +0,9 Investimenti fissi
lordi -0,7 +2,5 Esportazioni +3,7 +5,9 Importazioni +3,4 +5,7 Variazione delle scorte -0,1 0,0
BILANCIA DEI PAGAMENTI. Saldi in miliardi di euro
SCENARIO MACROECONOMICO. Variazione % annua Gen-nov 2013 Gen-nov 2014 Conto corrente (di
cui) +13,5 +24,7 Prodotti non energetici +80,0 +82,0 prodotti energetici -47,1 -37,4 Conto capitale -0,5 +1,9
Conto finanziario +9,6 +41,8
Fonte: Bollettino economico della Banca d'Italia
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Non è più un mondo per piccoli
Morya Longo
Il blitz della Banca centrale svizzera insegna qualcosa: questo non è un mondo per piccoli. Di fronte alla
possibile potenza del «bazooka» della Bce, la Banca centrale elvetica ha infatti capito che non poteva
competere. Per questo Berna due giorni fa ha dovuto abbandonare la difesa del franco rispetto all'euro:
perché non era più difendibile. Ha sacrificato le esportazioni delle proprie imprese (solo quelle quotate in
Borsa fanno l'85% dei ricavi oltreconfine). Ha condannato il Paese a ulteriore deflazione. E forse - qualcuno
lo pensa - ha persino incrinato la credibilità del proprio status di «Paese rifugio». Ma non aveva altra scelta:
come un tempo erano il Brasile o il Sud Africa ad alzare bandiera bianca di fronte alla politica monetaria della
Fed Usa, oggi tocca alla Svizzera. Paese solido, «rifugio», ma piccolo.
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La vicenda è emblematica per capire come gira il mondo sempre più globalizzato. La Banca centrale svizzera
aveva posto un «tetto» al cambio franco-euro quando la crisi europea induceva molti risparmiatori a portare i
propri soldi proprio nel «porto sicuro» elvetico. Questo forte afflusso di capitali nella Confederazione, in fuga
dall'Europa in crisi,aveva infatti l'effetto - indesiderato per Berna - di rivalutare il franco. Questo rischiava di
diventare molto negativo per l'economia locale. Per questo la Swiss National Bank decise di porre un freno:
non avrebbe consentito un apprezzamento del franco oltre la soglia di 1,20. L'intenzione era di difendere
l'export (e il Pil) elvetico.
Per mantenere l'impegno, l'istituto centrale ha dovuto comprare euro, cioè titoli di Stato principalmente di
Germania e Francia. Dopo anni di acquisti, però, il bilancio della Banca centrale è diventato troppo grande
rispetto alle dimensioni del Paese: calcola Rbs che ormai ammonta a circa l'80% del Pil elvetico. Troppo.
Nessun'altra banca centrale ha numeri paragonabili. Questo la espone a rischi eccessivi. Dato che settimana
prossima la Bce potrebbe iniziare a stampare moneta, causando verosimilmente l'ulteriore indebolimento
dell'euro, Berna ha quindi deciso di chiudere (in perdita) la partita: difendere ancora il cambio non è più
possibile. Così la Banca centrale ha «liberato» la propria valuta, che in due giorni si è rivalutata del 20,7%
sull'euro.
Tutto ciò ha probabilmente un prezzo per la Svizzera. Innanzitutto la Banca centrale solo nella giornata di
giovedì ha perso qualcosa come 60-70 milioni di franchi. Ma la maggiore "vittima" potrebbe essere l'economia
del Paese, dato che la rivalutazione del cambio pesa sul turismo (le vacanze sulle Alpi elvetiche costano di
più per gli europei) e soprattutto sulle esportazioni (il super-franco rende meno appetibili le merci elvetiche
oltreconfine). E l'impatto potrebbe non essere indifferente: calcola Morgan Stanley che le sole società quotate
alla Borsa di Zurigo producono in media l'85% del fatturato fuori dai confini nazionali, con punte del 90-95%
per alcune grandi imprese. Anche le banche, alcune delle quali di status globale, sono molto presenti fuori dai
confini: secondo la Bri, hanno in Europa un'esposizione pari a 573 miliardi di dollari. Se si svaluta l'euro,
quindi, le loro attività nel Vecchio continente produrranno - trasformati in franchi - minori utili.
L'altro effetto negativo riguarda la deflazione, piaga che flagella la Svizzera: il franco forte (anche sul dollaro)
rende infatti le materie prime ancora più economiche, e questo contribuisce a tenere bassi i prezzi al
consumo. Più difficile prevedere se quanto successo giovedì possa addirittura incrinare lo status di «Paese
rifugio»: qualcuno lo teme, qualcuno no. Ma secondo diversi trader è anche per questo che negli ultimi due
giorni l'oro ha guadagnato il 4,2%: perché il metallo giallo ha relativamente aumentato il suo valore di bene
rifugio. Certo, chi aveva portato denaro in Svizzera due giorni fa ha registrato un guadagno del 20% solo
grazie al balzo del franco. E l'ulteriore rivalutazione futura potrebbe incentivare altri flussi di capitali. Ma la
mossa a sorpresa della Banca centrale elvetica ne mina la credibilità, e crea qualche incertezza in più per chi
vuole investire in Svizzera. Nel medio periodo forse non cambierà nulla (anche perché la Confederazione è
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FUORI DALL'EURO
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
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meta ormai di russi, mediorientali, cinesi e di nuovi ricchi a cui il cambio con l'euro interessa poco), ma nel
breve qualche disagio negli investitori potrebbe crearlo.
Forse Berna riuscirà a contenere gli effetti negativi di quanto accaduto ieri. Forse, come sostengono alcuni,
addirittura le imprese elvetiche riusciranno a trasformare tutto questo in qualcosa di positivo: «Ora commenta un gestore di grandi patrimoni - potrebbero venire in Europa a fare acquisizioni». Ma una partita
Berna l'ha certamente persa: quella del cambio. Ha potuto combatterla finché giocava da sola, ma ora che la
Bce carica il suo «bazooka» ha deciso di abbandonare il campo. In fondo è la stessa cosa accaduta al
Brasile o al Sud Africa quando subivano gli effetti indesiderati della politica monetaria della Fed: cercavano di
arginare la rivalutazione del loro cambio mettendo tasse sui capitali in ingresso o denunciando al mondo che
era in corso una «guerra delle valute», ma non potevano fare molto di più. Così la lezione svizzera ci fa
riscoprire la forza dell'unione monetaria europea: avrà mille difetti, ma in un mondo globale protegge un po' di
più l'Europa dagli effetti collaterali delle scelte altrui. La domanda da porsi è: se non riesce la Svizzera a
difendersi, potrebbe riuscirci una Grecia fuori dall'euro?
O l'Italia?
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Foto:
Coda in Svizzera all'ufficio cambi
Foto:
Bancomat vuoti in Grecia
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Italia-Svizzera, il nodo della retroattività
Marco Bellinazzo Valerio Vallefuoco
Bellinazzo e Vallefuoco pagina 17
«L'accordo con la Svizzera è molto importante, specie adesso. Lo proponevo dalle primarie 2012. Adesso è
realtà #lavoltabuona. Grazie a @PCPadoan». Con il consueto twitter il premier Matteo Renzi ha messo il
sigillo sull'intesa fiscale che Roma e Berna si apprestano a firmare dopo il preaccordo raggiunto giovedì (si
veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).
A spiegare più nel dettaglio la rilevanza dell'iniziativa ci ha poi pensato una nota di Filippo Taddei,
responsabile Economia del Pd: «Si tratta di un passo cruciale per ridurre drasticamente l'evasione fiscale e
recuperare quanto è stato sottratto al Fisco. Vista la storia e la prossimità con la Svizzera, era cruciale
cominciare da qui con il primo vero accordo di scambio completo di dati e informazioni bancarie. Non
saremmo però riusciti a raggiungere questo risultato se il Pd non avesse insistito per inserire il reato di
autoriciclaggio nel provvedimento sul ravvedimento volontario».
Il preaccordo si porta dietro alcuni interrogativi. Ieri il Dipartimento delle Finanze elvetico ha comunicato
ufficialmente alla stampa che si è raggiunta un'intesa di principio sulla futura cooperazione nelle questioni
fiscali. Attualmente secondo il comunicato i due Governi stanno preparando la firma di un Protocollo di
modifica della Convenzione per evitare le doppie imposizioni e una roadmap. Entrambi i documenti
dovrebbero essere firmati forse a metà febbraio e comunque prima del termine del 2 marzo 2015.
La tecnica che verrà utilizzata (si veda l'anticipazione del Sole 24 Ore del 19 ottobre 2014) sarà quella del
Protocollo aggiuntivo. Infatti per arrivare alla definizione di un accordo internazionale sullo scambio di
informazioni tra Stati normalmente si seguono le seguenti fasi: negoziazione, firma, ratifica e scambio delle
ratifiche. Considerata la formulazione della norma che prevede la stipula di accordi che consentano un
"effettivo" scambio di informazioni, sarà necessario un tempestivo sforzo delle diplomazie degli Stati e dei
rispettivi organi legislativi. Così come è immaginabile nei prossimi mesi una corsa di molti paesi inseriti nelle
black list a cercare di stipulare accordi sulla trasparenza (si veda l'articolo sotto). Per questi motivi la prassi
internazionale finora ha visto l'utilizzo da parte dei singoli Stati stipulanti di snelli protocolli di modifica delle
vigenti convenzioni o accordi bilaterali che si limitavano appunto a inserire i contenuti dell'articolo 26 del
modello Ocse, proprio per accelerare il processo di stipula. Secondo la Convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati tali modifiche non possono essere retroattive. E quindi non si potranno rilevare e comunicare dati
anteriori alla data dell'effettiva stipula dell'accordo bilaterale.
Sempre sulla retroattività alcuni interpreti hanno già rilevato che anche l'accordo multilaterale sullo scambio
di informazioni a cui la Svizzera ha aderito che decorrerà dal 2017 prevede di prassi una retroattività limitata
a tre anni e quindi si porrebbe il problema di quei contribuenti che, nelle more della firma del Protocollo,
abbiano intenzione di spostare o abbiano spostato i loro patrimoni al di fuori della Svizzera per godere di Stati
ancora compiacenti o comunque non collaborativi. Per questi soggetti bisogna ricordare che dal 1° gennaio
2015 è entrato in vigore il reato di autoriciclaggio che, sebbene non retroattivo, è un reato istantaneo a effetti
permanenti che si può verificare anche per comportamenti successivi e può essere contestato anche per reati
presupposti prescritti e quindi potrebbero essere perseguiti insieme ai loro concorrenti in ogni momento.
Anche in Svizzera è stato approvato il reato di riciclaggio e autoriciclaggio il 12 dicembre scorso. Tale reato
entra in vigore il 1° luglio 2015 per reati presupposti anche fiscali di valore superiore a 300mila franchi.
Nella relazione governativa accompagnatoria a questo reato si legge un netto favor rogatoriae poiché
secondo il Governo proponente l'interpretazione non dovrà essere restrittiva. Il principio del diritto penale
internazionale che un reato per essere suscettibile di rogatoria deve possedere il requisito della doppia
punibilità sarà completo e quindi le rogatorie penali potranno essere scambiate fra l'Italia e la Svizzera. Ne
deriva quindi che quei soggetti che cercheranno di sottrarre i loro patrimoni allo scambio di informazioni tra
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FISCO. lo scambio di informazioni
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questi paesi potranno essere oggetto di indagine penale e rogatoria che potrà essere anche retroattiva.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte: elaborazioni PWC Impatto voluntary disclosure SÌ Impatto voluntary
disclosure SÌ Impatto voluntary disclosure NO Impatto voluntary disclosure NO
PARADISI FISCALI
CFC
Alderney, Andorra, Angola, Anguilla, Antigua, Antille Olandesi, Aruba, Bahamas, Bahrein, Barbados,
Barbuda, Belize, Bermuda, Brunei, Costarica, Dominica, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Giamaica,
Gibilterra, Gibuti, Grenada, Guatemala, Guernsey, Herm (Isole del Canale), Hong Kong, Isola di Man, Isole
Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini britanniche, Isole Vergini statunitensi,
Jersey, Kenia, Kiribati, Libano, Liberia, Liechtenstein, Lussemburgo, Macao, Maldive, Malesia, Mauritius,
Monaco, Montserrat, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Oman, Panama, Polinesia Francese, Portorico, Saint
Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Salomone, Samoa, Sant'Elena, Sark, Seychelles,
Singapore, Svizzera, Tonga, Tuvalu, Uruguay, Vanuatu
Le quattro black list considerate tali dall'ordinamento italiano
Fonte: elaborazioni PWC
RESIDENZA FISCALE
Alderney, Andorra, Anguilla, Antigua, Antille Olandesi, Aruba, Bahamas, Bahrein, Barbados, Barbuda, Belize,
Bermuda, Brunei, Costarica, Dominica, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Gibilterra, Gibuti, Grenada,
Guernsey, Hong Kong,
Isola di Man, Isole Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Vergini Britanniche, Jersey, Libano, Liberia,
Liechtenstein, Macao, Maldive, Malesia, Mauritius, Monaco, Monserrat, Nauru, Niue, Oman, Panama,
Polinesia Francese, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia,
Saint Vincent e Grenadine, Samoa, Sark, Seychelles, Singapore, Svizzera, Taiwan, Tonga,
Isole di Turks e Caicos, Tuvalu, Uruguay,
Vanuatu
COSTI INDEDUCIBILI
Bahrein, Barbados, Barbuda, Belize, Bermuda, Brunei, Costarica, Dominica, Ecuador, Emirati Arabi Uniti,
Filippine, Giamaica, Gibilterra, Gibuti, Grenada, Guatemala, Guernsey, Herm (Isole del Canale), Hong Kong,
Isole Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini Britanniche, Isole Vergini
statunitensi, Jersey, Kenia, Kiribati, Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Maldive, Malesia, Man, Mauritius,
Monaco, Montserrat, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Oman, Panama, Polinesia francese, Portorico, Saint
Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Salomone, Samoa, Sant'Elena, Sark, Seychelles,
Singapore, Svizzera, Tonga, Tuvalu, Uruguay, Vanuatu
IVA
Filippine, Giamaica, Gibilterra, Gibuti, Grenada, Guatemala, Guernsey, Herm (Isole del Canale), Hong Kong,
Isola di Man, Isole Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Turks e Caicos,
Isole Vergini britanniche, Isole Vergini statunitensi, Jersey, Kenia, Kiribati, Libano, Liberia, Liechtenstein,
Lussemburgo, Macao, Maldive, Malesia, Mauritius, Monaco, Montserrat, Nauru, Niue, Nuova Caledonia,
Oman, Panama, Polinesia Francese, Portorico,
Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Salomone, Samoa, Sant'Elena, Sark, Seychelles,
Singapore, Svizzera, Taiwan, Tonga, Tuvalu, Uruguay,
Vanuatu
Dm 21 novembre
Questa black list indica gli Stati o territori con riferimento ai quali opera la disciplina delle controlled foreign
companies (Cfc): ad esempio, in base all'articolo 167 Tuir, qualora un soggetto residente in Italia detenga
(direttamente o indirettamente), il controllo di una impresa residente o localizzato negli Stati individuati dalla
black list, i redditi conseguiti da tale soggetto estero partecipato sono imputati per trasparenza in capo ai
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soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni detenute. La black list esplica efficacia anche ad altri fini,
quale deroga al criterio generale dell'esenzione parziale, e sui relativi obblighi di ritenuta da parte dei sostituti
d'imposta (articolo 27 comma 4 del Dpr 600/73) Impatto voluntary disclosure SÌ
Dm 4 maggio 1999
A norma dell'articolo 2 comma 2-bis del Tuir,
la presunzione di residenza fiscale in Italia si applica ai cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della
popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli
individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,
da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale (una delle white list ancora da emanare).
Pertanto, la residenza fiscale italiana è ritenuta, salvo prova contraria, sussistente per i soggetti emigrati negli
Stati o territori a fiscalità privilegiata individuata dalla black list di cui al Dm 4 maggio 1999. Impatto voluntary
disclosure SÌ
Dm 23 gennaio 2002
Questa black list individua gli Stati o territori con riferimento ai quali trova applicazione il regime di
indeducibilità dei costi derivanti dalle operazioni intercorse con operatori ivi residenti.
Sono fatte salve alcune possibilità di esclusione delineate all'articolo 110, comma 11 Tuir, ad esempio
qualora le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente
un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse
economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.
Questa black list si applica alle persone giuridiche (inclusi gli imprenditori individuali) Impatto voluntary
disclosure NO
Dm 21 novembre 2001 e Dm 4 maggio 1999
Ai fini Iva, l'articolo1 comma 1 del Dl 25 maggio 2010 n. 40 (convertito nella legge 22 maggio 2010 n. 73)
obbliga i soggetti Iva a comunicare in via telematica all'agenzia delle Entrate i dati relativi alle cessioni di beni
e alle prestazioni di servizi (attive e passive), registrate o soggette all'obbligo di registrazione ai sensi della
normativa Iva, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi cosiddetti black
list di cui ai Dm 4 maggio 99 e 21 novembre 2001. Affinché sussista l'obbligo di comunicazione è sufficiente
che lo Stato o territorio sia ricompreso anche solo in una delle due liste; inoltre, non si considerano le
eventuali limitazioni soggettive previste dagli articolo 2 e 3 del Dm 21 novembre 2001. Impatto voluntary
disclosure NO
17/01/2015
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«Serve un Qe senza vincoli»
Padoan: centreremo gli obiettivi Ue, la flessibilità premia la nostra strategia
Fabrizio Forquet
Ministro Padoan, la Banca d' Italia ha ridotto oggi(ieri, ndr) le stime di crescita per il 2015. Siamo
destinati a un altro anno a segno zero?
Sono convinto che le misure assunte dal Governo nel corso del 2014 e poi con la legge di stabilità,
porteranno il Paese in una fase nuova e, insieme alle riforme strutturali in corso, daranno nuovo slancio
all'economia. Tanto più dopo le nuove linee guida della Commissione europea che aprono alla flessibilità.
Un'apertura tutta da interpretare per la verità. Sembra presto per parlare di svolta.
Le linee guida dell'Europa dicono che lo sforzo di risanamento si può attenuare se il ciclo è sfavorevole e se
si fanno le riforme strutturali. In più gli investimenti adottati per cofinanziare i fondi europei e quelli effettuati
tramite il piano Juncker vengono scomputati dal calcolo del deficit. Per l'Italia è un fatto positivo.
Continua pagina 3
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Capisco la soddisfazione, ma in termini numerici che vantaggi ci dà?
Questo è un calcolo che ho chiesto ai miei uffici ma non siamo ancora nelle condizioni di dirlo con certezza.
Preferisco parlare con i dati in mano. Comunque l'Europa riconosce e incentiva la nostra strategia fatta di
riforme e di investimenti.
La Commissione europea, nella discussione sulla legge di stabilità, ci aveva chiesto una correzione
dello 0,5%, almeno due decimi di punto in più di quella che abbiamo fatto. Sulla questione si tornerà a
marzo, siamo ancora a rischio di dover adottare un'ulteriore correzione?
Con la Commissione è in corso una discussione sull'entità dell'impatto che gli interventi da noi programmati
possano avere su deficit e crescita. Noi siamo convinti che quegli interventi, insieme con il ricalcolo dell'output
gap, cioè della distanza tra crescita potenziale ed effettiva, siano più che sufficienti per centrare gli obiettivi
che l'Europa ci pone.
I nuovi criteri ci aiuteranno a evitare problemi?
Non è chiaro se i nuovi criteri siano applicabili da subito. Però noi crediamo che anche al netto di questi criteri
le misure che stiamo implementando bastino a centrare gli obiettivi.
Insisto: in termini di investimenti quanti miliardi in più potremo spendere in base alle nuove regole
europee?
È davvero una cifra che non sono in grado di stimare adesso. Molto dipenderà dalla qualità dei progetti che
sapremo valorizzare nel piano Juncker. Ne abbiamo parlato proprio l'altro giorno nell'incontro con Katainen.
Il piano Juncker resta un'entità misteriosa: in che proporzione saremo chiamati a contribuire e
secondo quali criteri saranno ripartiti gli investimenti?
I dettagli sono in fase di discussione. Ma si possono cominciare a dire alcune cose. L'entità dei conferimenti è
lasciata alla discrezionalità dei singoli paesi. Nessuno è obbligato a entrare e non ci sono quote
predeterminate. Chi più contribuisce, evidentemente, ha un ruolo di maggiore rilievo nella governance del
fondo.
Ma dove si investirà? E con che criteri?
Questo è il punto. Innanzitutto si è detto che si investirà in infrastrutture, materiali e immateriali, in ricerca e
innovazione, nella sanità, nel sostegno delle Pmi. Noi poi abbiamo chiesto che si investa prioritariamente
nelle zone particolarmente colpite dalla crisi, laddove gli investimenti sono caduti di più.
Ci sarà un criterio di proporzionalità sull abase della contribuzione di ogni singolo Paese?
No, questo no. I finanziamenti verranno aggiudicati in base ai criteri che dicevo e in base alla qualità dei
progetti. Perciò dico che sarà decisivo che l'Italia presenti e sostenga buoni progetti.
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Intervista. Il ministro dell'Economia: «Il quantitative easing non va diluito, no a frammentazioni nazionali»
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Intanto la mossa a sorpresa con cui la Banca nazionale svizzera ha sganciato il franco dal cambio
fisso con l'euro ha portato un terremoto sulle borse. C'è una lezione che se ne può trarre in relazione
all'euro?
La lezione da trarre è che rapporti di cambio fuori equilibrio non sono sostenibili indefinitamente e che vanno
corretti.
La svalutazione dell'euro, oggi a 1.15 sul dollaro, è destinata a durare? E può essere un'opportunità
per l'Italia?
Un rapporto euro/dollaro più favorevole alla valuta americana rispecchierebbe meglio gli andamenti di fondo
delle due aree, una posizione più equilibrata, con un vantaggio per la crescita della zona euro e per il nostro
paese.
L'Italia è ancora tra i Paesi a rischio dell'eurozona sui mercati. Se la Grecia dopo il voto chiederà una
nuova ristrutturazione del debito, o addirittura l'uscita dall'euro, rischiamo contraccolpi gravi?
La situazione oggi non è quella del 2011, l'Ue ha fatto progressi sul piano dell'integrazione e della unione
bancaria e tutti i paesi si sono rafforzati. Sono fiducioso che la leadership greca sappia continuare nel
percorso europeista intrapreso molti anni fa, anche per non vanificare i sacrifici già fatti.
Nella prossima settimana è atteso il Quantitative easing da parte della Bce. Il governatore Visco ha
evidenziato il pericolo di una frammentazione dell'operazione con le garanzie attribuite dalle banche
centrali nazionali. Vede anche lei questo rischio?
Non entro nel merito di valutazioni che vanno prese nell'ambito dell'eurosistema delle banche centrali. Il Qe è
un contributo essenziale contro la deflazione, non va assolutamente diluito.
L'Italia può essere penalizzata da criteri discriminatori?
Siamo davanti a un esperimento nuovo. È la prima volta che un Quantitative easing viene attuato in un
sistema fatto ancora da paesi diversi. Spero che le frammentazioni nazionali non influiscano. Conta invertire
le aspettative e per farlo serve un intervento deciso e senza vincoli.
Martedì presenterete un decreto proprio per favorire gli investimenti. Si parla di un nuovo Fondo o
società di natura pubblico-privata che intervenga in campo industriale. Non si rischia un nuovo
carrozzone pubblico?
Stiamo considerando l'ipotesi di un soggetto che possa intervenire in realtà industriali che sono in crisi ma
che hanno tutte le possibilità di ripartire. Ma vogliamo assolutamente evitare che diventi una nuova Iri. Perciò
dobbiamo capire come costruire il rapporto tra pubblico e privati nell'ambito di questo soggetto.
Parteciperà ancora una volta la Cassa depositi e prestiti?
Lo stiamo studiando. Dobbiamo evitare ogni problema con l'Europa, sia in relazione agli aiuti di Stato sia in
relazione alla natura della Cdp.
Il nuovo Fondo riguarderà anche l'Ilva?
Proprio oggi ho visto il ministro Guidi. Credo però che difficilmente il nuovo veicolo arriverebbe in tempo per
l'Ilva, saranno con ogni probabilità percorsi diversi.
Nel decreto ci sarà anche la riforma della governance delle popolari, con il superamento del voto
capitario?
Il nostro obiettivo è favorire una razionalizzazione del sistema bancario in modo che gli utenti possano avere
servizi più efficienti, costi inferiori, più credito. Stiamo riflettendo sulle modalità.
E l'attesa garanzia statale sugli Abs mezzanine per supportare gli acquisti della Bce e far affluire
quelle risorse alle Pmi?
Qui c'è un problema di risorse. Il Fondo centrale di garanzia ha obiettivi simili e le risorse non sono infinite.
Stiamo ragionando sul reperimento delle risorse. Vogliamo comunque favorire le Pmi in tutti i modi, a
cominciare da quelle che innovano. Lo faremo creando una specifica categoria con vantaggi dedicati a chi
investe in ricerca e sviluppo ed estendendo gli incentivi oggi previsti per le start-up da 4 a 5 anni. L'obiettivo
del provvedimento comunque sarà anche quello di mettere al sicuro gli investitori dal rischio regolatorio. Chi
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Il Sole 24 Ore
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investe deve avere la certezza che il trattamento fiscale o le regole connesse alla propria attività non cambino
di continuo.
È il principio che ispira lo statuto del contribuente, tra le regole meno rispettate nella storia
dell'ordinamento...
L'obiettivo è rafforzare ed estendere quel principio.
Sul decreto fiscale il governo è scivolato sulla norma del 3% come franchigia per gli evasori. Dopo il
ritiro, il rinvio al 20 febbraio. Perché aspettare?
Questo tempo è necessario per una complessiva messa a punto del decreto e per attuare nel suo complesso
la delega.
Ma quella franchigia del 3% sarà riproposta?
Io credo che sia giusto evitare che errori materiali che portano a sotto-dichiarare siano interpretati come reato
e quindi comportino pene eccessive. Questo è un forte deterrente agli investimenti, soprattutto stranieri.
Come si risolve il problema? Bisogna ragionare su un sistema di percentuali e di margini, dall'intreccio di
questi due parametri può uscire un sistema equo.
Tra una frode e un errore materiale, però, c'è una bella differenza. La norma nella sua versione
definitiva continuerà a riguardare anche le frodi?
La commissione Gallo ha esaminato questo aspetto nei giorni scorsi. Sono in attesa che mi siano trasmesse
considerazioni e suggerimenti.
La riunione risale a dieci giorni fa.
Sto aspettando queste considerazioni. Quando le riceverò farò le mie valutazioni.
Ma qual è la sua versione sulla famosa manina che ha introdotto la norma del 3%?
Ne ha già parlato il presidente del Consiglio. Nella norma iniziale predisposta dal ministero dell'Economia
c'era già un sistema di soglie e percentuali. Poi a Palazzo Chigi si sono introdotte modifiche e integrazioni, tra
cui - lo si trascura nel dibattito - il rafforzamento delle sanzioni. È il metodo di lavoro abituale di questo
governo: l'interazione tra ministeri e presidenza e quindi il Consiglio.
L'accordo con la Svizzera sulla trasparenza bancaria apre la strada alla voluntary disclosure. Quanto
vi aspettate di incassare?
Non faccio previsioni. Per me vale simbolicamente un euro.
Intanto però ne avete già utilizzati 671 milioni per coprire il mancato aumento dell'accise sulla
benzina...
Allora diciamo che per me vale 671 milioni. Quello che conta è che con la Svizzera si cambia pagina.
Comincia l'epoca della trasparenza.
Perché il rimborso dei debiti della Pa sta frenando?
Il problema è legato ai crediti per la spesa in conto capitale, dove dobbiamo tener conto dell'impatto sul
deficit. Eppoi con alcune ragioni continuano ad esserci problemi. Si stanno comunque sbloccando nuove
tranche.
Nei prossimi mesi se ne occuperà ancora lei? Si dice che sia tra i favoriti nella corsa al Colle.
Me ne occuperò sempre, quando non sarò più ministro me ne occuperò da professore dell'Università di
Roma.
.@fabrizioforquet
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fabrizio Forquet Governo Banca d'Italia Tasso di disoccupazione In
percentuale Pil Inflazione Occupazione 0 0,2 -0,2 0,4 0,6 0 0,2 -0,2 0,4 0,6 0 0,2 -0,2 0,4 0,6 4 8 0 12 16 0,6
0,4 0,6 -0,2 0,1 0,5 12,5 12,8 Le previsioni 2015 a confronto Le stime di Governo e Banca d'Italia -Var. %
annue
BCE
Il quantitative easing sia deciso, no a frammentazioni
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Il Sole 24 Ore
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nazionali
NO A NUOVE IRI
Un nuovo fondo
per l'industria, ma
non deve essere
una nuova Iri
POPOLARI E BCC
Vogliamo intervenire per una razionalizzazione del sistema bancario
il quirinale
Dopo l'esperienza
da ministro farò solo il professore all'università
"
LE FRASI
JEAN-CLAUDE JUNCKER
PRESIDENTE COMMISSIONE UE
JYRKI KATAINEN
COMMISSARIO UE PER LA CRESCITA
MARIO DRAGHI
PRESIDENTE BCE
FRANCO GALLO
PRESIDENTE EMERITO DELLA CONSULTA
«Siamo convinti che gli interventi programmati siano più che sufficienti per centrare gli obiettivi Ue»
«Per i finanziamenti del piano Juncker conta anche la qualità dei progetti. Ne ho parlato con Katainen»
«Il quantitative easing è un contributo essenziale contro la deflazione, non va assolutamente diluito»
«Aspetto le valutazioni della Commissione Gallo sulle frodi fiscali nel decreto sull'evasione»
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Pier Carlo Padoan
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Ministro dell'Economia. Pier Carlo Padoan, 65 anni, è stato vice segretario generale e capoeconomista
dell'Ocse
LE PREVISIONI 2015 A CONFRONTO
Le stime di Governo e Banca d'Italia -Var. % annue
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La Bce pronta a superare i 500 miliardi
L'INCONTRO DRAGHI-MERKEL La soluzione prospettata a Berlino: ogni banca centrale acquisterà e
manterrà sui suoi libri solo i titoli del proprio Paese
Alessandro Merli
FRANCOFORTE
«Per essere efficace, l'acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea dev'essere grande».
Così Benoit Coeuré, uno dei membri del consiglio esecutivo della Bce più vicini al presidente Mario Draghi e
l'uomo che, come responsabile delle operazioni di mercato, dovrà coordinare gli acquisti, in base al
programma di quantitative easing (Qe), che con ogni probabilità verrà deciso dal consiglio giovedì prossimo.
Coeuré ha detto anche che la Bce terrà conto dell'esperienza della Federal Reserve americana e della Banca
d'Inghilterra, il che potrebbe voler dire che l'istituto di Francoforte potrebbe ricalibrare in un secondo tempo
quantità e modalità del Qe, a seconda dei primi risultati.
L'importo degli acquisti potrebbe essere quindi superiore alle attese dei mercati finanziari, che pensano ad
almeno 500 miliardi di euro (secondo alcuni economisti di mercato, la Bce potrebbe arrivare a 700-800,
eventualmente con l'inclusione di titoli di enti sovrannazionali europei e di obbligazioni societarie),
possibilmente in virtù di uno scambio con gli oppositori del Qe in consiglio, cui verrebbe concesso che
almeno una parte del rischio venga sopportata dalle banche centrali nazionali. Secondo una versione riferita
ieri dal settimanale tedesco "Der Spiegel", anzi, la banca centrale di ogni singolo Paese acquisterà e
manterrà sui propri libri solo i titoli del proprio Paese: si tratterebbe della soluzione presentata da Draghi al
cancelliere tedesco, Angela Merkel, in un incontro a Berlino mercoledì, di cui il Sole 24 Ore ha dato notizia
giovedì e che ieri è stato confermato dal portavoce del governo tedesco. All'incontro ha partecipato il ministro
delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. Non è dato sapere se Draghi abbia fornito personalmente le stesse
informazioni agli altri 18 capi di Governo dell'Eurozona.
Sempre secondo il settimanale, verrebbe imposto un limite massimo agli acquisti pari al 20 o 25% del volume
del debito pubblico di ciascun Paese. La Grecia verrebbe in un primo momento esclusa dagli acquisti in
quanto non ha un rating "investment grade" e il suo programma economico, in scadenza, è in limbo in attesa
delle elezioni del 25 gennaio e della formazione di un nuovo Governo.
Non sorprendentemente, in un'intervista allo stesso "Spiegel", uno degli alleati del presidente della
Bundesbank, Jens Weidmann, nell'opposizione al Qe, il governatore della Banca olandese, Klaas Knot, si è
detto favorevole: «Se ciascuna banca centrale nazionale acquista solo debito del proprio Stato, sarebbe
inferiore il rischio che si produca una redistribuzione dei rischi finanziari». Questa soluzione, proposta
pubblicamente per primo dallo stesso Weidmann, andrebbe incontro ai timori dei tedeschi e dei loro alleati di
poter essere costretti a pagare per il debito altrui in caso di default di un Paese dell'Eurozona.
L'effetto più rovinoso della mancata condivisione del rischio sarebbe, secondo molti osservatori, un segnale
di implicita accettazione della frammentazione dell'unione monetaria, proprio quello che la Bce ha cercato di
ridurre negli ultimi due anni. «Sarebbe di fatto una dichiarazione - scrive Guntram Wolff, direttore della think
tank di Bruxelles, Bruegel - che la Bce non può agire ed acquistare titoli di Stato come istituzione dell'area
euro nell'interesse, e per conto, dell'intera area. Minerebbe gravemente la credibilità della Bce». Secondo
David Wessel, della Brookings Institution, il centro studi di Washington, «se apparirà che la Bce ha dovuto
diluire la sua versione del Qe per far contenti i tedeschi e i loro alleati, sarà meno probabile che il Qe abbia gli
effetti desiderati sulle aspettative d'inflazione e sulla calante fiducia dell'opinione pubblica nell'economia delle
eurozona, nelle sue istituzioni e nei suoi politici».
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Politica monetaria. Benoit Coeuré (Bce): «Per essere efficace, l'acquisto di titoli di Stato da parte della Banca
centrale europea dev'essere grande»
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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C LA PAROLA CHIAVE
Quantitative easing
Il Quantitative easing (Qe) è una politica monetaria non convenzionale con cui una banca centrale mira a
rilanciare l'economia. La banca centrale acquista sul mercato titoli di vario tipo (generalmente titoli di Stato,
ma non solo) stampando moneta. Questa politica da un lato ha l'effetto di tenere bassi i tassi d'interesse,
dall'altro lato inietta sul mercato una grande massa di liquidità a basso costo. Dal 2009 gli Usa hanno varato
tre quantitative easing, giovedì potrebbe toccare alla Bce.
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Il vertice. L'incontro di mercoledì tra Angela Merkel e Mario Draghi
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 23
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Mps, ancora due settimane di dialogo con Bce
Luca Davi
Tempi lunghi per la risposta della Bce al capital plan di Mps. L'incontro avvenuto giovedì tra i vertici della
banca e Danièle Nouy si sarebbe rivelato un appuntamento utile per chiarire aspetti fondamentali della lettera
inviata da Francoforte nei giorni scorsi, tra cui l'invito di Francoforte di portare a conto economico la
pressochè totalità dei maggiori accantonamenti emersi in sede di Aqr: da svalutare rimangono infatti ancora
circa 3 miliardi residui di crediti non performing che, con tutta probabilità, andranno a impattare sui risultati del
quarto trimestre.
Tuttavia il meeting è apparso un passaggio solo interlocutorio in vista di una serie di appuntamenti, più o
meno formali, che impegneranno la banca almeno nel corso delle prossime due settimane.
Da qua a fine gennaio si terrà aperto un dialogo costante tra Siena e gli ispettori del joint supervisory team
per verificare nel dettaglio tutte le richieste arrivate dalla Vigilanza, sia rispetto alle richieste sui crediti che agli
esiti del Supervisory review and evalution process, il cosiddetto Srep, che da quest'anno sarà gestito da Bce.
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L'indicazione del target di capitale minimo del 14,3% (Cet1) da parte della Bce è infatti frutto, oltre che degli
esiti dell'Aqr, anche dell'analisi dell'esposizione a tutti i rischi rilevanti interni condotta nel 2014 dalla Vigilanza
sulla banca. Nell'ambito di questo processo di revisione e valutazione prudenziale, che ha cadenza annuale
ed è effettuato da diversi anni, Bce avrebbe quindi evidenziato su Mps - così come su altre banche europee la necessità di apporre alcuni correttivi che hanno provocato l'incremento delle richieste patrimoniali. Proprio
su questi aspetti, e sulla possibilità di ottenere qualche "sconto", si concentra il confronto tra i manager della
banca e la stessa Banca centrale europea.
Entro fine gennaio, il Single Supervisory Mechanism dovrebbe peraltro fornire la sua risposta definitiva a tutte
le controdeduzioni che stanno arrivando da Siena. E che, ieri sera, sono arrivate da parte di tutte le banche
italiane, che hanno inviato i loro rilievi alla bozza preliminare giunta dalla Bce.
Di tutto questo si è ragionato ieri nel corso di un Cda fiume tenutosi dalle 11 alle 16 a Siena, al termine del
quale sia il management che i consiglieri hanno mantenuto le bocche cucite. Sul mercato intanto montano le
speculazioni sulla necessità che l'aumento di capitale da 2,5 miliardi già approntato da Rocca Salimbeni per
coprire l'ammanco di 2,1 miliardi di euro possa essere soggetto a un ampliamento. Va notato tuttavia che
proprio il capital plan - contenente l'aumento da 2,5 miliardi a cui lavorano Mediobanca e Goldman assieme
gli advisor Citi e Ubs - è stato già approvato dal Supervisory board dell'Ssm, e attende semplicemente un
avvallo da parte del Governing Council della Bce. Difficile, anche se non impossibile, che la risposta definitiva
dei Governatori arrivi già il 4 febbraio. Ecco perchè ad oggi il 18 febbraio è la data considerata più realistica
per il disco verde. Uno slittamento di tempi che, considerati i tempi di convocazione dell'assemblea, farebbe
scattare l'aumento di capitale non più a marzo ma nella prima finestra utile successiva, ovvero a maggio, e
quindi dopo il rinnovo dei vertici previsto per la fine di aprile.
L'aumento, come noto, potrebbe essere propedeutico all'aggregazione da parte di un gruppo bancario più
solido. Da tempo sul mercato si rincorrono le voci di un interessamento di Ubi. E proprio sull'ipotesi della
possibile acquisizione da parte della banca guidata da Victor Massiah degli sportelli ex Antonveneta, il ceo
della banca bresciana ha spazzato via l'ipotesi dal tavolo, affermando che è «assolutamente falso, non è
proprio all'ordine del giorno».
Da sottolineare infine che sempre ieri si è riunita la Deputazione amministratrice di Mps. Un incontro
interlocutorio durante il quale è stata presentata la relazione dell'advisor Credito Fondiario che dovrà
accompagnarli nella scelta se aderire o no all'aumento.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Credito. Banca e Joint supervisory team al lavoro per verificare le richieste di Francoforte
17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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17/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 23.27
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Petrolio, per l'Aie produzione in frenata all'esterno dell'Opec
Il gruppo in un editoriale: nessun sacrificio da soli
Sissi Bellomo
Di fronte al crollo del petrolio l'Opec non intende piegarsi. In compenso sono gli altri produttori che stanno
cominciando a cedere. Almeno secondo l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), che ha tagliato le
previsioni di crescita per il greggio non Opec, anticipando un graduale riequilibrio del mercato nella seconda
metà dell'anno, che potrebbe rilanciare le quotazioni del barile. «Le liquidazioni stanno avendo un impatto spiega l'organismo dell'Ocse - Un recupero del prezzo forse non è imminente, ma ci sono crescenti segnali
che la tendenza si invertirà». Affermazioni alle quali gli investitori sembrano aver prestato orecchio e che si
sono tradotte in rialzi superiori al 3% per il Wti, che ha poi chiuso a .... dollari al barile (+...%). La seduta è
stata positiva anche per il Brent (+...% a .... $ per il contratto di marzo, da ieri front month), benché l'Opec
abbia fatto da contrappeso all'Aie ribadendo la promessa di non modificare almeno fino a giugno il tetto
produttivo di 30 milioni di barili al giorno.
Il messaggio è stato affidato a un editoriale senza firma, pubblicato sull'Opec Bulletin: un magazine mensile
su carta patinata che di solito non veicola opinioni su temi scottanti. Stavolta l'approccio è ben diverso. Alla
vigilia del vertice del 27 novembre, afferma l'autore, c'erano grandi aspettative di un taglio di produzione da
parte dell'Opec. «Si tratta di un sacrificio che l'Organizzazione in passato ha compiuto in diverse occasioni.
Non stavolta, tuttavia». Poiché il gruppo ha sempre estratto 30 mbg negli ultimi anni, prosegue l'editorialista,
sono altri ad essere responsabili dell'attuale sovrapproduzione di greggio. «Da chi ci dovremmo aspettare
allora un taglio per mettere fine alla discesa dei prezzi?». L'Opec, «non può risolvere da sola i problemi sul
mercato e non ci si dovrebbe aspettare che lo faccia», anche se è pronta a fare la sua parte. «In un mondo
sempre più multilaterale, in particolare in questa difficile congiuntura, c'è la crescente necessità di un
approccio combinato e coordinato se si vogliono superare le sfide attuali».
I paesi esterni all'Opec (Russia compresa) la collaborazione finora l'hanno rifiutata. Ma un contributo a
riequilibrare il mercato del petrolio, obtorto collo, stanno iniziando a darlo. L'Aie sostiene che la produzione
non Opec sta rallentando per effetto della cancellazione o del rinvio di investimenti e ha dunque tagliato di
350mila bg la previsione di crescita, portandola a +950mila bg, la metà rispetto all'anno scorso. La revisione è
legata soprattutto alle aspettative sulla Colombia (-175mila bg) e sul Canada (-95mila bg), ma si abbassano
anche le stime per gli Stati Uniti, sia pure solo di 80mila bg, perché - dice l'Aie - molti produttori hanno in piedi
solide operazioni di hedging, che li schermano dal ribasso dei prezzi. Del resto proprio ieri Backer Hughes ha
registrato un ulteriore declino delle trivelle attive negli Usa: nell'ultima settimana se ne sono fermate altre 55,
portando il conto a 1.366, il minimo da oltre un anno.
Quanto alla domanda petrolifera, l'Aie afferma che «per ora non sembra stimolata dai prezzi bassi, tranne
che in pochi casi, come negli Usa», perché l'economia resta debole. Ma il passo indietro dei produttori non
Opec lascerà maggiori spazi al greggio dell'Organizzazione: la richiesta salirà a 29,8 mbg nell'ultimo trimestre
dell'anno, «appena sotto» il suo tetto ufficiale. Chi la dura la vince?
.@SissiBellomo
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Combustibili. L'agenzia Ocse: barile in ripresa nel secondo semestre
18/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Alla ricerca di un'Europa possibile
Adriana Cerretelli
Resta incerto e molto accidentato il cammino per uscire dalla crisi dell'euro. E non aiuta lo scontro in atto tra
la cultura tedesca della governance della moneta unica e il tentativo di crearne finalmente una europea.
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In breve, il braccio di ferro tra la Bundesbank di Jens Weidmann e i suoi accoliti a Francoforte e a Berlino e la
Bce di Mario Draghi e alleati, con al centro il quantative easing sovrano.
Eppure mai come oggi, se si trovasse la volontà collettiva di provarci davvero, un nuovo rinascimento
europeo, politico ed economico, potrebbe essere a portata di mano.
Quando l'economia va male, l'esperienza insegna, l'Europa va peggio. Mini-euro, tassi bassi e petrolio in
discesa, combinati con la politica monetaria espansiva della Bce, sono però tre variabili che, messe insieme,
sono in grado di dare una sferzata di energia alla crescita. Soprattutto se si accompagnassero a un grande
sforzo concertato di modernizzazione del sistema Europa e di rilancio degli investimenti necessari per
favorirlo.
L'iniziativa Juncker, con il piano da 315 miliardi e il nuovo codice di flessibilità per interpretare le regole del
patto di stabilità, potrebbe rivelarsi lo strumento giusto al momento giusto per trasformare il circolo vizioso del
rigore cieco e controproducente in un circolo virtuoso dove le riforme strutturali procurano vantaggi concreti e
immediati a chi le fa: attenuazione del peso e/o allungamento dei tempi dell'austerità e, insieme, maggiori
margini a disposizione per investire nello sviluppo. Il tutto a patto di non violare l'originaria impalcatura del
patto di stabilità, i parametri di Maastricht che fissano i tetti invalicabili del 3% per il deficit e del 60% per il
debito.
Accantonata la proposta degli "accordi contrattuali " sulle riforme strutturali avanzata mesi fa senza risultati
da Berlino, in quanto implicava cessioni "gratuite" di sovranità sulle maggiori leve della politica macroeconomica, (salari, mercato del lavoro, pensioni, spesa sanitaria etc.), l'idea rinasce ora in uno spirito molto
diverso e in una logica rovesciata: non costrittiva né punitiva ma costruttiva e realistica. Dove le riforme sono
incentivate tanto da diventare volontarie per poter raccogliere i dividendi immediati che promettono.
Quanto più un paese ne farà, di importanti, efficaci e vere, tanto più sarà premiato. E sarà alleggerito degli
oneri di aggiustamento, se strapazzato da un ciclo negativo. Non è prevista nessuna cessione ufficiale di
sovranità, anche se i poteri discrezionali e di controllo di Bruxelles ci vanno molto vicino (ma questa non è
una novità).
In questo modo la reinterpretazione alla Juncker del patto di stabilità pone le basi di una nuova governance
economica dell'eurozona più ragionevole, equilibrata e, soprattutto, più accettabile politicamente per tutti. Se,
come si spera, funzionerà, la svolta promette almeno tre grandi ricadute positive. Sarà la prima pietra
dell'Unione economica che da sempre è il pezzo mancante di quella monetaria pur essendone
l'indispensabile complemento, come la crisi dell'euro che non passa conferma ogni giorno di più. In
quest'ottica, poi, la dottrina flessibile di Juncker risponde ai molteplici appelli alle riforme lanciati da Draghi:
rendendole politicamente ed economicamente più fattibili nei singoli paesi, crea le condizioni perché la
contestata (da tedeschi e nordici) politica di espansione monetaria con acquisto di titoli sovrani possa
funzionare e diventi più digeribile per tutti, alla luce del nuovo processo di convergenza, recupero di
competitività e modernizzazione dell'economia dell'eurozona. Di più. La fine dell'Europa solo repressiva e
matrigna, la scoperta di un'altra Europa possibile, capace di rendersi conto dei propri errori da eccesso di
integralismi ideologici, disposta a correggerli mantenendo intatta la gabbia del patto di stabilità e delle sue
regole ma ricalibrandone il rigore per renderlo più efficace, sostenibile e compatibile con le realtà economiche
dei singoli paesi stimolati a dare il massimo con le riforme, potrebbe diventare la scintilla in grado di
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LE ANALISI
18/01/2015
Il Sole 24 Ore
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riaccendere la fiducia intra-europea, di riconciliare i cittadini con Bruxelles sconfiggendo l'euroscetticismo e
rendendo così possibili nuove cessioni di sovranità nazionale, il salto dall'unione economica quella politica e
un giorno, magari anche la mutualizzazione dei rischi.Europa di là da venire, forse sarà smentita dai fatti ma,
per la prima volta in sei anni di crisi, Europa possibile, almeno sulla carta. Perché la catena virtuosa che la
svolta Juncker potrebbe inanellare ha bisogno sia della serietà dei Governi che devono fare le riforme e
rispettare i patti sia del coraggio politico della Germania, la cui leadership deve dimostrare di sapere guardare
al li là del proprio naso con una lungimiranza che non sembra appartenerle quando guarda all'Europa,
nonostante vi affondi i piedi.
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I GOVERNATIVI A RENDIMENTO NEGATIVO
TITOLI DI STATO SOTTOZERO
Importo in miliardi di euro
TITOLI di stato tedeschi
Rendimenti al 16 gennaio. In %
18/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Guerra delle valute, svetta il superdollaro
L'euro, più debole nel breve, a fine anno è previsto in ripresa - Il Dollar index (+14% in 12 mesi) crescerà
ancora
Vittorio Carlini
SCENARI D'ORIENTE
Lo yen, impostato al ribasso,
di recente ha rallentato il calo:
gli operatori hanno chiuso
le posizioni di carry trade
pagando in valuta locale
«La forza del dollaro». È la pellicola proiettata, soprattutto nell'Emu, a fine 2014. Ora, per il 2015, l'attesa è
per il sequel del film. Certo, i Cigni neri sono sempre dietro l'angolo. E però non può negarsi che, in un
mondo votato alla maggiore volatilità delle valute, l'anno in corso si candida al secondo episodio dello
spettacolo.
Per rendersene conto basta guardare al cosiddetto Dollar index. Questo calcola il «valore» della moneta di
Washington rispetto alle principali valute mondiali: dall'euro allo yen fino al franco svizzero. Ebbene,
nell'ultimo anno l'indice ha guadagnato circa il 14%. Oggi viaggia intorno a quota 92. Il consensus, definito da
Bloomberg, indica che a fine 2015 dovrebbe arrivare a 94. Certo, i singoli numeri raccontano metà della
storia. Tuttavia, l'indicazione pare chiara.
Anche perchè le variabili in gioco non sono, almeno nel medio periodo, d'ostacolo alla forza relativa del
dollaro. L'euro, che venerdì è tornato sui livelli del 2003 (1,567), è prossimo al duplice redde rationem: la
riunione della Bce il 22 gennaio e, poi, le elezioni greche (il 25 gennaio). Rispetto al meeting della Banca
centrale europea l'opinione di molti è che la divisa unica stia scontando l'ipotesi più «incisiva» di Qe. Cioè uno
shopping di titoli governativi, seppure con il rischio supportato dagli istituti centrali dei singoli stati, che va oltre
500 miliardi. «Ciò detto - spiega Vincenzo Longo di Ig - è essenziale il timing dell'operazione. Nel caso in cui il
Qe, anche per l'incognita delle elezioni di Atene, non venisse avviato a breve la delusione sarebbe alta». Gli
effetti? Qui, al di là del balzo della volatilità, le risposte divergono: da una parte Longo sottolinea che «l'euro,
venendo meno l'effetto deflattivo dell'operazione, può salire»; dall'altra, invece, molti indicano che Mario
Draghi perderebbe credibilità e la moneta rotolerebbe all'ingiù.
Una discesa, peraltro, che potrebbe essere agevolata dalla vittoria, alle votazioni in Grecia, della lista Tsipras
(il cui programma ipotizza la ristrutturazione del debito ellenico). Qua però, a ben vedere, da una parte è
plausibile che la Bce abbia già definito il modo per tenere in «stand by» il tema (e avviare quindi il Qe); e,
dall'altra, che chiunque sia il vincitore ad Atene non «vorrà suicidarsi nell'immediato».
In realtà due altri fattori, nel breve, schiacciano l'euro. Il primo è il venire meno, dopo lo sganciamento del
franco dalla divisa unica, del flusso di acquisti da parte della Banca nazionale svizzera. Il secondo la
riduzione delle riserve valutarie in dollari della Banca popolare cinese (BpoC). La dinamica è significativa:
Pechino, al fine di agevolare lo yuan e sfavorire il biglietto verde, ha sostenuto l'uso dell'euro nelle transazioni
commerciali. Il che, giocoforza, induce al rialzo delle riserve (sempre denominate in dollari). Se queste
calano, implicitamente, significa che l'euro è utilizzato (e comprato) meno. La prova?
La fornisce Swift: a inizio 2013 la divisa di Eurolandia era la più usata nelle transazioni commerciali;
nell'ottobre scorso, invece, il dollaro (43,5% del totale) era nettamente al primo posto. Con una particolarità:
lo yuan cinese, dal 13°gradino è salito al 7° della graduatoria. Insomma, si sfrutta di più la moneta del Paese
del Dragone e l'euro viene un po' dimenticato.
A fronte di questo contesto quali, allora, le prospettive dell'euro-dollaro? Secondo Asmara Jamaleh,
economista di Intesa Sanpaolo, è «possibile che la valuta, nell'arco di un mese, arrivi a 1,11». Ciò detto,
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L'attesa dei mercati LE VALUTE
18/01/2015
Il Sole 24 Ore
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però, «ci sarà un graduale recupero con ritorno verso 1,20 entro un anno». Più basso il consensus di
Bloomberg che a fine 2015, analogamente a UniCredit, stima il valore di 1,15. Questi obiettivi, ovviamente,
tengono in considerazione della prevista stretta monetaria da parte della Fed. Nel 2015 è (quasi) certo, dopo
anni, il primo rialzo dei tassi. E però, di recente, il presidente della Federal reserve, Yanet Yellen, a fronte del
rallentamento della congiuntura globale, ha confermato l'intenzione di non avere fretta nel ritocco all'insù del
costo del denaro. Il quale, per gli analisti, dovrebbe quindi concretizzarsi tra aprile e fine giugno prossimi.
Fin qui l'euro-dollaro: quali però le indicazioni sullo yen? Anche su questo fronte il mercato stima il rialzo del
biglietto verde: attualmente a quota 117,5 a fine anno dovrebbe danzare intorno a quota 125 sulla moneta del
Sol Levante. Al che sorge, però, una domanda: come giustificare la recente forza relativa dello yen?
Diversi esperti, al di là della volatilità legata al Pil e alla politica ultra espansiva della BoJ, richiamano il carry
trade. La divisa giapponese, infatti, è stata abbandonata quale valuta in cui indebitarsi in favore dell'euro.
Questo ha comportato il rimborso delle posizioni aperte nella valuta locale che, così, è salita.
Dai Paesi industrializzati agli emergenti, in particolare i produttori di petrolio. Si parla, evidentemente, di parte
delle commodity currency. Su questo fronte, inutile negarlo, il ritmo delle danze lo ha dettato il crollo del
prezzo dell'oro nero. Il rublo russo, seppure influenzato anche dalla crisi Ucraina e dalle sanzioni
economiche, ne è un esempio.
Negli ultimi sei mesi il cross (in rubli) tra biglietto verde e la moneta di Mosca era a 34,8; adesso viaggia a
65,3. Nello stesso tempo il Wti è passato da circa 100 dollari al barile a 48,7. La correlazione inversa è chiara
e lo rimarrà in futuro. Gli analisti non fanno stime. E, tuttavia, l'IIf prevede che nel 2015 i flussi di capitale
verso gli emergenti subiranno un ulteriore calo di 25 miliardi di dollari. Altra tegola, insomma, su molte
commodity currency. Le quali perderanno valore. Analogamente al franco svizzero. Gli esperti, infatti, stimano
che la Banca centrale non potrà tollerare a lungo l'eccessiva forza del franco: sarà quindi costretta ad
intervenire di nuovo. Seppure l'obiettivo sia difficile da raggiungere.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LE VALUTE Gennaio 2013 Pagamenti commerciali mondiali 1 Euro
40,17% 2 Dollaro 33,48% 3 Sterlina 8,55% 4 Yen 2,56% 5 Dollaro Australiano 1,85% 13 Yuan cinese 0,63%
Ottobre 2014 1 Dollaro 43,50% 2 Euro 29,38% 3 Sterlina 8,42% 4 Yen 2,91% 5 Dollaro Australiano 1,97% 7
Yuan cinese 1,59% Fonte: Bloomberg e Swift Watch LA DEBOLEZZA DELL'EURO VERSO IL DOLLARO
Resistenza: livello cui sono forti le pressioni in vendita del cambio A cura di Andrea Gennai 1,10 1,50 2010
2011 2012 2013 2014 2015 1,4323 1,1540 Resistenza 1,28 1,235 1,19 26 LUGLIO 2012 Dragni dice che farà
tutto il necessario per salvare l'euro 22 AGOSTO 2014 Draghi fa intendere di volere "spingere" il Qe 129,75
120,50 139,00 2.200 2.800 3.000 GEN 2014 GEN 2015 104,0 2.160 2.569 117,5 DOLLARO/YEN E
BILANCIO BANK OF JAPAN Asset Banca centrale giapponese in dollari Dollaro/yen (scala sx) Asset totali
(scala dx in mld) 47 61 75 89 103 117 131 DOLLARO/RUBLO A CONFRONTO DEL PETROLIO WTI 0 10 50
60 70 GEN 2014 GEN 2015 33,7 94,37 65,30 48,69 Dollaro/rublo scala sx Petrolio Wti (scala dx) Le valute
globali
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L'immigrazione fattore decisivo per l'economia locale
LO SCENARIO I risultati dell'indagine curata dal Naga mostrano che la componente irregolare è al minimo
storico L'effetto della crisi Aumenta la precarietà abitativa, diminuisce la stabilità del lavoro: così nascono i
conflitti nelle periferie urbane
di Aldo Bonomi
Dopo Parigi, laddove la comunità si è fatta maledetta, in nome del sangue, del suolo e delle religioni
evocando il simulacro dello scontro tra le civiltà, a chi resta sul territorio, nelle comunità locali, altro non
rimane che continuare a dare conto dei processi reali che le attraversano. In particolare quelli che rimandano
alle migrazioni con le loro derive di invisibili e irregolari che generano sindrome da invasione. Diventando
loro, nel pendolo dello scontro, da oggetto della pietas nella tomba del Mediterraneo a soggetti veicolanti la
paura sul territorio. Mi aiutano i numeri e le analisi di una comunità di cura, il Naga, letteralmente altro dalla
comunità maledetta, essendo un'associazione di volontariato laica e apartitica che opera a Milano dal 1987
riconoscendo nella salute un diritto inalienabile della persona. Garantendo così assistenza sanitaria con circa
10mila visite ambulatoriali a cittadini stranieri irregolari e non, rom, richiedenti asilo... Ad ogni prima visita
viene compilato un questionario che poi è elaborato in un rapporto da ricercatori dell'European University
Institute della Bocconi e dell'Università degli studi di Milano. Tra il 2009 e il 2013 il Naga ha ricevuto circa
15mila nuovi utenti, di questi 1.700 sono cittadini bulgari e rumeni, il restante 89% del campione è costituito
da immigrati privi del regolare permesso di soggiorno. Una banca dati per chi al di là dell'emotività vuol
continuare a cercare per capire.
Se si guardano le serie storiche delle prime visite dal 2000 al 2013 si dovrebbe attenuare la sindrome da
invasione: queste vanno da 6.571 nel 2000 alle 2.417 del 2013. Così confermando le stime dell'Ismu,
secondo cui la componente irregolare dell'immigrazione ha toccato il minimo storico, 6% del totale, tendenza
certificata anche dall'Istat che evidenzia la minor forza attrattiva nella crisi del nostro Paese.
I pazienti provenienti dal Nord Africa hanno rappresentato il gruppo più numeroso, anche se in calo come
anche i latinoamericani. Si segnala invece un aumento costante dei pazienti provenienti dall'Europa orientale
e dall'Asia.
Il campione è composto prevalentemente da uomini, 66%, e le donne sono invece la maggioranza dei
pazienti extra europei. Sono invece una esigua minoranza quelle del nord Africa. Numeri che rimandano alla
questione di genere, altro tema significativo. Gli immigrati irregolari sono relativamente giovani, l'età media
degli utenti delle prime visite era di circa 36 anni. Dato che potrebbe sovrastimare l'età: più si è giovani meno
si dovrebbe ricorrere al medico. Scomponendo i dati emerge comunque che sono più giovani quelli
provenienti dall'Africa sub sahariana, dall'Asia e dal nord Africa.
Quelli del nord Africa sono invece i più "anziani" in termini di permanenza sul nostro territorio. Gli immigrati
arrivati in Italia da quattro o più anni sono il 38%, quelli provenienti da Europa, Asia e Africa subsahariana,
sono invece il 60% quelli provenienti dal nord Africa. Il rapporto, utilissimo per capire chi arriva, da dove e da
quando, va oltre e dà conto di due tematiche sociali rilevanti: la questione casa e la questione lavoro, che
come sappiamo producono non pochi conflitti molecolari nelle periferie e dentro la crisi. I dati Naga
scompongono la questione dell'abitare in tre categorie: l'affitto, l'abitare presso il datore di lavoro e senza
fissa dimora. La maggioranza dell'utenza Naga ha sempre dichiarato in tutti gli anni di essere in affitto, ma a
partire dal 2009 vi è una tendenza alla precarizzazione dell'abitare.
Cala il numero di quelli che dichiarano di essere in affitto e raddoppia la percentuale dei senza fissa dimora
dal 9% al 18 per cento. La precarietà abitativa era mitigata anche dalla percentuale alta di donne (badanti)
che vivevano presso il datore di lavoro.
Anche qui i numeri calano dal 12% del 2009 al 4% nel 2013. Se poi si guarda l'indice di affollamento si
scopre che questo è tre volte superiore a quello dei cittadini italiani. In dettaglio l'incidenza dei senza fissa
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MICROCOSMI LE TRACCE E I SOGGETTI
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dimora è del 50% tra i rumeni e del 24,7% tra i marocchini. Vi è un drammatico peggioramento del lavorare
nel sommerso trattandosi di un campione di immigrati irregolari. I ricercatori dividono il sommerso in tre
tipologie: ambulante, permanente, saltuario. Se nel 2009 gli occupati rappresentavano il 57% dell'utenza
Naga, nel 2013 solo il 34% aveva un lavoro. Guardando le aree di provenienza i migranti dall'Europa
orientale sono quelli con la maggior stabilità lavorativa, 33%, seguiti dai latinoamericani 27%, gli asiatici 25%,
i nord africani 19% e il 12% dei subsahariani.
I ricercatori concludono osservando gli esiti della crisi economica sul lavoro sommerso irregolare guardando
al ciclo lungo di 10 anni. Se l'occupazione sommersa era del 50% nel 2004 e cresce in maniera continuativa
fino al 2008 raggiungendo il valore massimo del 63%, da quell'anno l'occupazione cala ininterrottamente sino
a raggiungere il 35,8% del 2013. E si fa riferimento al rapporto Ocse 2013 "Trends in International migration"
che puntualizza che tra il 2008 e il 2012 il tasso di disoccupazione degli individui nati in un Paese non Ocse è
cresciuto di 5 punti percentuali rispetto al trend dei nativi.
Un grande studioso del sistema mondo, Giovanni Arrighi, mi ha insegnato che non basta più chiedere "dimmi
che lavoro fai e ti dirò chi sei", ma bisogna aggiungere il genere e l'etnia per continuare a cercare per capire.
Il rapporto Naga è un ottimo lavoro per capire.
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Inchiesta Saipem, Scaroni: «In Algeria ci furono tangenti»
Ce. Do.
La replica
L'ex ad di Eni: «A Passera
ho raccontato solo i fatti come erano accaduti»
Fonti vicine all'ex ministro:
la telefonata era doverosa
ROMA
La frase intercettata risale al 31 gennaio 2013, nel pieno dell'inchiesta della procura di Milano su presunte
tangenti, per complessivi 197 milioni di euro, che Saipem avrebbe versato al ministro dell'energia algerino
Chekib Khelil in cambio di ricche commesse. Indagine che aveva falcidiato i vertici della controllata di Eni, a
cominciare dall'allora numero uno Pietro Tali. «La magistratura di Milano pensa, e io sono pure d'accordo,
che siano in qualche modo delle tangenti date alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche
algerino». A pronunciarla, secondo quanto riportato ieri dal Corriere della sera, era stato Paolo Scaroni,
all'epoca amministratore delegato di Eni, nel corso di una telefonata con Corrado Passera, allora ministro
dello Sviluppo Economico. Sono settimane delicatissime per Saipem, travolta dalla bufera giudiziaria e
sconquassata, a stretto giro, anche da un pesante profit warning che, proprio il giorno prima della telefonata,
aveva fatto crollare il titolo in Borsa, precipitandolo a -34,3% con 4,7 miliardi di euro di capitalizzazione
bruciati in un colpo solo. Un tonfo che spinge Passera a chiamare Scaroni per chiedergli di fare chiarezza su
quanto sta avvenendo vista la pesante reazione dei mercati.
L'ex ad - che, di lì a poco, agli inizi di febbraio, riceverà anche lui un avviso di garanzia, nell'ambito della
stessa indagine, per corruzione internazionale - rammenta all'allora ministro i termini del rapporto tra Eni e la
sua controllata, autonoma dal punto di vista operativo e gestionale, per soffermarsi poi su Tali. «Il vero
padrone della Saipem è sempre stato lui. Dall'inizio 2012 ho cominciato, guardando i numeri, ad accorgermi
che qualcosa proprio non mi suonava molto». Poi l'ex numero uno rivendica di «aver storto il braccio a Tali»
convincendolo a prendere un nuovo cfo «che veniva da Eni per capirci un po' più nei conti». Da lì, ricostruisce
Scaroni con Passera, è un crescendo di scoperte negative («ho iniziato ad avere i primi rapporti che mi
dicevano che le cose andavano meno bene di come ce la raccontavano»). Poi, arriva l'inchiesta, e, prosegue
l'ex ad, «approfittando di questo incidente Algeria, praticamente ho forzato il cda Saipem a far dare le
dimissioni a Tali e a metterci un nuovo ad che guarda i conti e scopre il buco di ieri (alla base della revisione
delle stime che aveva provocato il tracollo, ndr)».
Il passo indietro di Tali è avvenuto qualche settimana prima della conversazione, il 5 dicembre, al termine di
un cda che si conclude anche con le dimissioni dell'ex cfo di Eni, Alessandro Bernini, indagato anche lui (era
direttore finanziario di Saipem all'epoca dei fatti contestati). Scaroni riferisce quindi della mediazione sospetta
che, secondo i magistrati, sarebbe stata corrisposta a Farid Bedjaoi, uomo di fiducia di Khelil e anello di
congiunzione tra gli algerini e i manager finiti sotto inchiesta. «Non so, il 2% o 3% per tutte le commesse in
Algeria. Sulla scorta di questo contratto, gli hanno pagato 190 milioni di commissioni». «Ah, però», replica
Passera. Quindi la frase in cui Scaroni ammette di condividere la tesi della procura sulla vera natura del
passaggio di denaro.
Ieri sia Scaroni che Passera hanno diffuso una nota per chiarire la loro posizione. «In quella telefonata,
peraltro richiesta dal ministro, mi sono limitato a raccontare i fatti come erano accaduti», ha fatto presente l'ex
ad ribadendo la sua «estraneità». «Continuo a essere convinto che ciò è stato fatto in merito alla vicenda
Algeria sia stato utile per Saipem, per l'azionista Eni, e anche per chi, all'interno e all'esterno del gruppo, era
impegnato nelle indagini a prescindere dal loro esito». Il riferimento dell'ex numero uno è alle contromisure
sollecitate dalla controllante e messe in campo da Saipem dopo l'inchiesta giudiziaria. Sulla conversazione si
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L'indagine. Le intercettazioni del 2013
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è registrata anche una presa di posizione dell'ex ministro che non è indagato né risulta sia stato convocato
dai magistrati. Fonti a lui vicine hanno sottolineato l'estraneità di Passera alla vicenda Saipem e ricordato
che, in quanto allora titolare dello Sviluppo che ha competenze sull'energia, la telefonata era doverosa.
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18/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Intesa cambia la Banca dei Territori
Barrese: «Maggiore focalizzazione dei servizi» - Pronte le nomine nelle filiali
Marco Ferrando
Intesa Sanpaolo divide in tre la sua Banca dei territori. Ne stringe le maglie e riorganizza la rete delle filiali in
tre filiere - imprese, personal e retail - governate (e stimolate) da 380 nuove aree commerciali sparse per
l'Italia, con altrettanti direttori. Obiettivo? «Cogliere tutte le potenzialità esistenti e dare uguale dignità a tutti i
clienti», spiega Stefano Barrese, responsabile area sales e marketing del gruppo, cui è stata nei fatti affidata
buona parte della riorganizzazione.
Presentata a settembre, la nuova struttura debutterà domani; il 2 gennaio sono stati nominati i nuovi direttori
d'area, soltanto domani si alzerà il velo su quelli di filiale, tra venerdì e oggi si è lavorato sulla predisposizione
operativa dei sistemi. Una piccola rivoluzione, quella di Intesa, dentro al cantiere a cielo aperto del credito
italiano, di cui però i clienti dovrebbero accorgersi ben poco, se non «per una maggiore focalizzazione del
servizio», sottolinea Barrese. Sì, perché la sfida è quella di offrire a tutti gli 11 milioni di clienti di Intesa
esattamente quello di cui hanno bisogno, senza lasciar nulla di intentato: vale per le imprese, che resteranno
assegnate alla loro rete, per i clienti personal - cui saranno dedicate 815 filiali ad hoc ma soprattutto quelli
retail, in totale oltre 8,5 milioni; tra questi, ce ne sono 5 milioni da cui la banca mediamente ricava appena 70
euro l'anno, cui verrà dedicata particolare cura. «Non vogliamo più lasciare nulla al caso - dice ancora
Barrese -, ogni cliente avrà la stessa dignità di relazione a prescindere dal suo patrimonio».
Più attenzione per i clienti, maggiori ricavi per la banca: il piano targato Messina, infatti, prevede che quei 70
euro vengano raddoppiati entro il 2017, e che il contributo della Banca dei Territori in termini di ricavi
complessivi di gruppo salga dai 9,9 miliardi del 2013 ai 11,8 di fine piano, con una crescita media annua del
4,5 per cento. «Molti dei nostri clienti sono multibancarizzati, noi ora vogliamo convincerli a concentrare su di
noi le proprie attività», spiega il sales manager: più servizi, più risparmio gestito, più gestori con patentino di
promotore finanziario (a fine piano saranno 2mila, l'anno scorso erano 817) e quindi anche più commissioni,
visto che buona parte di quei prodotti sono a marchio Intesa Sanpaolo. In quest'ottica, già nei primi 9 mesi del
2014 qualche segnale si è visto: dietro al raddoppio del risultato netto della BdT (da 527 milioni a 1,017
miliardi) c'è proprio il balzo delle commissioni, cresciute di oltre 250 milioni in nove mesi. Altro tassello
fondamentale, il potenziamento della multicanalità, progetto sviluppato all'interno del gruppo con la
consulenza tra gli altri di Accenture: al 30 settembre erano già saliti di 370mila unità i clienti multicanale, per
un totale di 4,8 milioni (la prima banca multicanale in Italia).
Anche per la struttura, in questi giorni non poco sotto pressione per il d-day fissato per domani, è una svolta:
«Le persone sono il nostro asset chiave, e ogni persona ha il proprio piano di impresa da conseguire», aveva
sottolineato Carlo Messina a settembre. Da domani, come accennato, la struttura articolata in 380 aree
commerciali sparse per l'Italia (contro le 28 di oggi) vedrà il debutto di mille nuovi direttori, che avranno il
compito di valorizzare le professionalità presenti nella banca (che non farà esuberi), a partire dalle 2mila
persone che saranno valorizzate in ruoli di maggiore responsabilità.
.@marcoferrando77
© RIPRODUZIONE RISERVATA TRENTINO ALTO ADIGE VENETO TOSCANA UMBRIA MARCHE EMILIA
ROMAGNA LAZIO CAMPANIA FRIULI VENEZIA GIULIA Banca di Trento e Bolzano Cassa di Risparmio del
Friuli Venezia Giulia Cassa di Risparmo in Bologna Cassa di Risparmi di Forli e della Romagna Banca
dell'Adriatico Casse di Risparmio dell'Umbria Cassa di Risparmio del Veneto Banca Monte Parma Cassa di
Risparmio di Pistoia e della Lucchesia Cassa di Risparmio di Firenze FORLI' PADOVA ASCOLI PICENO
VITERBO RIETI TERNI FIRENZE PISTOIA BOLOGNA CIVITAVECCHIA NAPOLI 90,4 100 98,6 8,1 89,7
11,08 49,0 100 100 82,3 100 10,8 85 0 100 La quota di Intesa Sanpaolo Cassa di Risparmio della provincia
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Credito. Domani debutta la nuova struttura per 11 milioni di clienti - Riorganizzazione su tre filiere: imprese,
personal e retail
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di Viterbo Cassa di Risparmio di Civitavecchia Cassa di Risparmo di Rieti Banco di Napoli PARMA TRENTO
GORIZIA La mappa delle controllate di Intesa Sanpaolo Le quote in percentuale
I NUMERI DEL PIANO
380
Le nuove aree commerciali
La riorganizzazione aziendale si basa sulla apertura di nuove aree commerciali in tutta Italia
11 milioni
I clienti di Intesa Sanpaolo
Il numero somma il dato della clientela retail con quello dei clienti professionali
5 milioni
I clienti meno profittevoli
La banca stima che tanti siano i correntisti da cui ricava meno di 70 euro l'anno
11,8 miliardi
L'obiettivo di ricavi
La riorganizzazione punta a far crescere del 4,5% il contributo ai ricavi del gruppo dalla Banca dei Territori
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Il Sole 24 Ore
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Il debutto del nuovo Isee tra rincari e ritardi
Valentina Melis HANNO COLLABORATO Bianca Lucia Mazzei<b
Servizi pagina 2
Se tutto va secondo i piani, domani le prime famiglie italiane potrebbero trovarsi tra le mani il nuovo Isee.
Dovrebbero arrivare dall'Inps martedì - o al massimo mercoledì - le prime certificazioni della situazione
economica delle famiglie che chiedono prestazioni sociali agevolate, redatte con le regole in vigore dal 1°
gennaio (il restyling dell'indicatore dopo 17 anni è arrivato con il Dpcm 159/2013). Nei giorni scorsi, come
spiega Paolo Conti, direttore del Caf Acli, «sono partite le prime domande, dopo che l'Inps ha aperto i canali
per la trasmissione». Ci vogliono però almeno dieci giorni per completare l'elaborazione.
I primi Isee potrebbero riservare più di una sorpresa ai richiedenti. Come si vede dalle elaborazioni effettuate
dal Caf Acli per Il Sole 24 Ore del Lunedì - riportate qui sopra - a parità di reddito il risultato potrebbe essere
più elevato. Peserà di più la proprietà della casa. Ma ci sono anche variabili che incideranno in modo diverso,
come la presenza di un coniuge separato, di figli lavoratori o di affitti e spese per disabilità. Il rischio, se i
Comuni non adegueranno le soglie di accesso ai servizi agevolati, è di perdere gli sconti di cui si godeva
finora. Il Comune di Roma, ad esempio, non ha modificato i criteri di accesso: «Nell'immediato - spiega Paola
Sbriccoli, direttore della gestione entrate fiscali della capitale - l'aggiornamento delle fasce non è previsto: c'è
un equilibrio di bilancio da mantenere. Prima bisogna verificare gli effetti reali delle nuove regole, poi si
deciderà».
Ma questo è un discorso di prospettiva. Il rischio più immediato, per molte famiglie, è quello di non riuscire a
ottenere il nuovo Isee, perché la partenza dell'operazione è stata quanto meno "a singhiozzo". In molti casi,
infatti, i cittadini si sono trovati a dover fare da soli nella compilazione della Dsu, la dichiarazione che traccia
un primo quadro della situazione economica della famiglia e poi deve essere integrata con i dati sul reddito
già in possesso della Pa. I Comuni (è il caso di Milano e Roma) non hanno attivato sportelli per aiutare gli
utenti nella compilazione. Negli uffici dell'Inps non ci sono impiegati ai quali si può chiedere aiuto: l'istituto
invita i cittadini a completare e inviare la dichiarazione tramite il suo sito internet. I Caf, in mancanza della
convenzione con l'Inps che dovrà stabilire i termini (anche economici) della collaborazione, nella maggior
parte dei casi hanno incrociato le braccia, invitando gli utenti a presentarsi nei prossimi giorni.
Morale: non appena, da fine mese, cominceranno a scadere una serie di prestazioni, dalle riduzioni sulle
tasse universitarie al rinnovo della carta acquisti, per arrivare alle iscrizioni scolastiche, si rischia la paralisi
delle agevolazioni.
Per questo sono già partite le proroghe: la Toscana, ad esempio, ha "allungato" fino a marzo la validità
dell'Isee «vecchia maniera» per le agevolazioni sui ticket.
Chi sceglie di imbarcarsi nella compilazione della domanda sul sito Inps, deve armarsi di pazienza: il primo
step è farsi consegnare un Pin «dispositivo» presso uno sportello dell'istituto (o richiederlo telematicamente,
aspettando qualche giorno). Al primo collegamento bisogna farsi generare un nuovo Pin, per motivi di
sicurezza. Poi comincia la compilazione, alla quale bisogna arrivare con tutti i documenti alla mano: solo per
la dichiarazione base, quella più semplice, che esclude una serie di prestazioni, bisogna compilare otto
prospetti (anagrafica del nucleo, residenza, patrimonio mobiliare - due campi - patrimonio immobiliare, redditi,
assegni, veicoli).
L'ostacolo su cui probabilmente ci si dovrà fermare è l'indicazione della giacenza media del proprio - o dei
propri - conti correnti, che è richiesta insieme al saldo al 31 dicembre 2014. L'Abi, con una circolare, ha
raccomandato alle banche di adottare soluzioni per fornire questo dato ai correntisti, suggerendo di inserire la
giacenza media nell'estratto conto. Questa soluzione dovrebbe, però, concretizzarsi solo a partire dall'estratto
conto del 31 marzo, quindi fino ad allora si dovrà ricorrere al fai-da-te: per prima cosa bisogna recuperare tutti
gli estratti conto del 2014, nei quali vanno individuati i «numeri creditori totali». Una volta trovati questi valori,
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. welfare
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bisognerà sommarli (per coprire i 365 giorni dell'anno) e poi dividere il totale per 365. Posto che si riesca a
venire a capo del calcolo, bisogna fare i conti con le lentezze del sistema, che - forse per motivi di sicurezza dopo periodi prolungati di pausa nella compilazione, si blocca, costringendo a ricominciare la sessione.
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C LA PAROLA CHIAVE
Giacenza media
Per il calcolo dell'Isee bisogna indicare, oltre al saldo del proprio conto corrente, anche la sua giacenza
media nel 2014: si ottiene prendendo i «numeri creditori totali» dagli estratti conto dell'anno, che poi vanno
sommati (per coprire i 365 giorni di durata del rapporto finanziario). Infine, si divide il totale per 365 e si
ottiene la giacenza media. L'impatto del nuovo Isee REDDITO RISPARMI VALORE CASA MUTUO AFFITTO
25.000 20.000 10.000 5.000 94.500 75.500 25.000 20.000 10.000 151.000 5.000 75.500 25.000 30.000
25.000 5.000 5.000 100.000 45.000 9.600 9.600 40.000 6.518 40.000 6.518 10.000 10.000 94.500 151.000
28.000 10.000 10.000 63.000 100.800 28.000* 30.000+30.000 ISEE *nel calcolo dell'Isee non saranno
applicabili per le prestazioni residenziali alcune detrazioni previste per le altre prestazioni sociosanitarie come
spese per collaboratori domestici MARITO MOGLIE A F MARITO MOGLIE A F M MOGLIE A F MARITO
MOGLIE A F MARITO M ANZIANO F MARITO M ANZIANO F M M ANZIANO F M M ANZIANO FIGLI LA
COPPIA CON TRE FIGLI 2014 2015 Coppia con tre figli minorenni. Marito e moglie lavoratori. Casa di
proprietà (rendita 900 euro) e mutuo in corso. Usano l'Isee per chiedere l'agevolazione sulla retta dell'asilo
nido per il figlio più piccolo LA MADRE SEPARATA CON FIGLIO STUDENTE 2014 2015 Madre separata,
lavoratrice autonoma, in casa d'affitto, con figlio maggiorenne, universitario fuori sede. Usa l'Isee Università
per chiedere l'alloggio nella casa dello studente LA FAMIGLIA CON DUE FIGLI E NONNO CONVIVENTE
2014 2015 Coppia con due figli minorenni. Lavora solo il padre. Casa di proprietà (rendita 900 euro) e nonno
convivente con disabilità grave. Usano l'Isee per richiedere l'assistenza domiciliare per l'anziano L'ANZIANO
IN CASA DI RIPOSO CON DUE FIGLI 2014 2015 Anziano vedovo con due figli adulti non conviventi, che
lavorano entrambi (reddito 30mila euro all'anno). Pensionato pubblico, con casa di proprietà (rendita 600
euro). Usa l'Isee per chiedere il contributo del Comune per il ricovero in Rsa 16.215,41 13.959,73 12.773,52
13.725,49 18.685,90 31.943,57 30.708,86 41.600 Come cambia l'indicatore della situazione economica
equivalente delle famiglie in quattro casi-tipo. Il risultato varia anche in base alla finalità per cui si chiede il
calcolo FONTE: Elaborazione Caf Acli
19/01/2015
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Training on the job: l'Italia perde terreno
Francesca Barbieri
Sullo scacchiere europeo peggiora la posizione dell'Italia per la formazione professionale.
pagina 14
Dietro al boom della disoccupazione in Italia si nasconde anche una "emergenza formazione" nel mondo del
lavoro. Nello scacchiere europeo, infatti, sul nostro Paese pesa il record negativo del minor numero di adulti
(occupati o disoccupati di età tra i 25 e i 64 anni) che frequentano corsi di aggiornamento: solo 62 su mille (in
lieve peggioramento rispetto ai 63 del 2004), contro i 177 della Francia, i 161 della Gran Bretagna e i 111
della Spagna. In media, nella Ue, sono 105, con picchi di 314 in Danimarca e 281 in Svezia.
È quanto emerge da una ricerca di Aldai, Associazione lombarda dirigenti aziende industriali, aderente a
Federmanager, basata su dati Eurostat e Isfol.
In un decennio, dal 2004 in poi, nelle maggiori economie continentali l'impegno nella formazione permanente
(lifelong learning) è cresciuto quasi ovunque. In Italia, invece, è rimasto stabile e su livelli bassi. Performance
peggiori rispetto alla nostra si riscontrano solo in Grecia, Polonia e in altri piccoli paesi dell'Est Europa.
Restringendo l'obiettivo su chi lavora, emerge che poco meno di un terzo degli addetti italiani (31%) segue
corsi di formazione in azienda. La quota è sotto la media nell'industria (27%) e più alta nei servizi (33%). I
corsi coinvolgono metà dei lavoratori nelle grandi imprese (50%), mentre solo un quinto (20%) in quelle
minori.
La carente formazione nel mondo del lavoro si riflette sulla capacità di sviluppo delle aziende. In Italia solo sei
imprese su cento attuano un processo strategico di innovazione, contro le dieci della Germania e le otto della
Francia. «Il capitale umano - commenta Romano Ambrogi, presidente Aldai - è il fattore più importante per lo
sviluppo di aziende ed economie. L'Italia deve investire di più nella formazione permanente dei lavoratori,
offrendo a tutti la possibilità di fare carriera. Solo così le società torneranno a crescere: con manager
professionali, innovativi e motivati».
La ricerca evidenzia, poi, che la formazione degli adulti è concentrata sulle classi di età più giovani, dai 25 ai
34 anni (13,6%), che vantano anche livelli di scolarità più elevati. Mentre la partecipazione ai corsi si riduce al
crescere dell'età: tra i 35 e 44 anni si scende al 5,7% di partecipanti, dai 45 ai 54 al 4,8% e appena il 3% delle
persone over 55 aggiorna le proprie competenze.
Il training favorisce chi è già più istruito ai blocchi di partenza: tra i laureati si aggiorna il 16,1%, quasi il triplo
rispetto alla media. Beneficia di formazione circa il 6,1% di coloro che hanno in tasca un diploma di scuola
secondaria, ma solo l'1,6% dei lavoratori con la licenza media riesce a frequentare corsi di aggiornamento.
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© RIPRODUZIONE RISERVATA LA FORMAZIONE DEGLI ADULTI IN EUROPA La percentuale di persone
tra 25 e 64 anni che fanno formazione FOCUS SULL'ITALIA Fonte: elaborazione Aldai su dati Eurostat
Fonte: elaborazione Aldai su dati Isfol <4 4-8 8-12 12-16 16-20 >20 55 - 61 anni 3,0% 45 - 54 anni 4,8% 35 44 anni 5,7% 25 - 31 anni 13,6% Prevalgono i giovani I partecipanti ad attività formative rispetto alle diverse
classi di età Media inferiore 1,6% Scuola secondaria 6,1% Laurea o master 16,1% Più laureati I partecipanti
ad attività formative rispetto ai titoli di studio Danimarca 31,4 Olanda 17,4 Gran Bretagna 16,1 Lussemburgo
14,4 Austria 13,9 Estonia 12,6 7,3 R. Ceca Portogallo 9,7 9,7 Malta Irlanda 7,5 Cipro 6,9 Belgio 6,7 Lettonia
6,5 Italia 6,2 Lituania 5,7 Polonia 4,3 Ungheria 3 Svezia 28,1 Finlandia 24,9 Francia 17,7 Spagna 11,1
Germania 7,8 Romania 2 Bulgaria 1,7 Grecia 3 Croazia 2,9 Slovenia 12,4 Rep. Slovacca 2,9
6,2%
Gli italiani impegnati in corsi
di aggiornamento professionale
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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. LAVORO
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IL CONFRONTO
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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19/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Il Qe di Draghi e la lezione che arriva dall'America
Carlo Bastasin
Giovedì la Bce dovrebbe annunciare un ampio programma di acquisto di titoli (Quantitative easing, Qe) con
l'obiettivo di riportare il livello dell'inflazione dell'area euro verso il 2 per cento. Acquistando titoli pubblici,
molto presenti nei portafogli delle banche, la Bce si augura di incentivare il sistema bancario a usare la
liquidità per aumentare il credito all'economia. Secondo i sostenitori, l'operazione della Bce rappresenta una
svolta per la crisi: le banche aumenteranno i prestiti e l'economia crescerà, inoltre il mercato dei titoli sovrani
si stabilizzerà togliendo agli investitori il maggiore fattore di incertezza sul futuro dell'area euro, infine
l'aumento dei prezzi ridurrà il valore reale dei debiti e sarà accompagnato da un deprezzamento dell'euro.
Tuttavia, più si avvicina l'annuncio della Bce e più aumentano le voci di chi ritiene che nell'area euro il Qe non
avrà grandi effetti. Gli scettici sostengono che l'impatto del Qe negli Usa non sia stato ampio né permanente;
che i tassi europei siano già molto bassi; che le banche europee continueranno a preferire di non concedere
prestiti.
L'esperienza americana ha parecchio da insegnare. Secondo ricerche recenti (tra le altre quelle di Kohn e di
Gagnon), le operazioni della Fed hanno ridotto il livello reale dei tassi d'interesse a lungo termine e il tasso di
cambio del dollaro. La crescita Usa è oggi vigorosa, nonostante la politica di bilancio sia dal 2011 neutrale o
restrittiva. Il fatto che i tassi di interesse a lungo termine siano stati sempre inferiori al tasso di crescita ha
consentito di ridurre i debiti di imprese e famiglie senza frenare investimenti e consumi.
Continua pagina 12
Continua da pagina 1
Se si guarda in Europa lo stesso rapporto tra tassi a lunga e crescita, si vede che esso spiega l'avvitarsi della
crisi nei Paesi in cui il tasso di crescita già in partenza era inferiore al livello dei tassi a lungo termine. Se il Qe
europeo riuscisse come quello americano a ridurre i tassi a lunga, le prospettive di crescita dell'area euro
potrebbero dunque migliorare.
Chi osserva il Qe con scetticismo ritiene però che un sistema bancocentrico come quello europeo sia meno
efficace nell'influenzare il prezzo delle attività a lungo termine. Le banche europee continuerebbero a non
concedere credito e a ridepositare la liquidità presso la Bce, a costo di subire una perdita visti i tassi negativi
(-0,25%) offerti dalla Banca centrale. Con un'inflazione sotto zero, infatti, anche un tasso negativo può essere
accettabile a fronte di impieghi che restano rischiosi e che sono penalizzati dal nuovo sistema di vigilanza
bancaria molto stringente.
Dall'ottobre 2008 la Bce ha lasciato che fosse la domanda delle banche a determinare l'offerta di moneta, ma
nonostante l'abbondante liquidità il risultato è stata la contrazione dei volumi del credito e del bilancio della
Banca centrale, in marcata controtendenza con i bilanci delle banche centrali del resto del mondo. In
sostanza, senza crescita anche il Qe potrebbe non essere sufficiente. Per questa ragione il presidente
Draghi, lo scorso agosto, aveva chiesto che il Qe coincidesse con un ampio programma di investimenti e con
politiche fiscali meno restrittive.
Purtroppo il piano per gli investimenti proposto dalla Commissione europea è apparso subito poco
convincente, mentre le politiche fiscali sono state allentate dalle recentissime disposizioni della Commissione,
ma solo per alcuni Paesi. Il deprezzamento dell'euro e il calo del prezzo del petrolio stanno migliorando le
condizioni per la crescita, ma resta un problema di credibilità che riguarda sia le politiche di crescita sia la
tenuta dell'area euro.
L'ultimo problema di credibilità riguarda proprio il Qe: se, come richiesto dalla Bundesbank, gli acquisti di titoli
sovrani facessero capo alle banche centrali nazionali - se cioè non ci fosse mutualizzazione del rischio
sovrano - l'intervento non ridurrebbe, anzi aggraverebbe, il rischio latente di rottura dell'euro o quanto meno
la frammentazione del sistema finanziario dell'area euro. È molto probabile che la Bce acquisti direttamente
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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LA SVOLTA DELLA BCE
19/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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anche titoli sovrani. L'obiettivo di stabilizzare l'inflazione mette in secondo piano il controverso carattere
fiscale dell'intervento - i rischi vengono mutualizzati - che suscita problemi di legittimità.
Un mese fa il presidente della Bundesbank ha spiegato la sua contrarietà all'ipotesi che la Bce segua la Fed
sulla strada del Qe: «Negli Usa c'è uno Stato centrale che emette titoli sovrani che sono molto sicuri, noi non
abbiamo uno Stato centrale».
Al fondo della questione, cioè, resta la credibilità dell'unione monetaria in assenza di unione politica e in
particolare la legittimità di una corresponsabilità fiscale priva di controllo democratico. La risposta della
Bundesbank è quella di frenare il progetto. È la risposta sbagliata, ma la domanda sul futuro dell'unione
politica è quella giusta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Carlo Bastasin
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BANCHE CENTRALI DIVISE SUGLI ASSET
ASSET TOTALI DELLE BANCHE CENTRALI
In % del Pil 2008
19/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Creare moneta aiuta banche e titoli di Stato
Fabrizio Galimberti
pagina 9
C'è volatilità sui mercati: la Banca nazionale svizzera sconcerta gli operatori dando via libera
all'apprezzamento del franco, l'euro scende a rotta di collo, il petrolio crolla e l'oro rialza la testa. Cosa sta
succedendo? Dipanando la matassa si trova una sigla che forse oggi è meno misteriosa di prima: Qe
("Quantitative easing"), cioè espansione quantitativa della moneta. Cos'è il Qe? Perché desta sospetti e
polemiche?
Ormai il Qe dell'Eurozona è in dirittura d'arrivo. La recente pronuncia favorevole della Corte di giustizia
europea sulla legittimità degli acquisti di titoli da parte della Bce non dissìpa tutti i problemi legali, ma
certamente incoraggia il Consiglio della Bce a procedere sulla via dell'espansione quantitativa della moneta.
Vediamo alcune domande e alcune risposte.
Che cos'è il Qe?
La definizione più semplice è: creazione di moneta, al di fuori dell'ordinaria amministrazione. La moneta viene
creata in continuazione, dato che l'economia si espande e ha bisogno del lubrificante monetario. La
creazione avviene con il torchio fisico o con quello elettronico. Ci sono circostanze in cui la creazione di
moneta diventa un'arma della politica monetaria: cessa di essere un lubrificante e diventa un carburante.
Questo succede quando l'economia è in crisi e l'arma tradizionale della politica monetaria - la manovra sui
tassi, sul costo del danaro - è spuntata. È spuntata perché i tassi sono stati abbassati fino a zero e non
possono andare sotto zero (se i tassi fossero negativi, la gente terrebbe i soldi nel cassetto e non in banca).
Allora, per aiutare l'economia si ricorre a una manovra non tradizionale: invece di agire sul costo del danaro si
agisce sulla quantità di moneta. La Banca centrale va sul mercato e acquista titoli. Come li paga? Creando,
appunto, moneta. La Banca centrale (Bc) accredita il conto della banca da cui acquista i titoli, e il gioco è
fatto.
Come fa il Qe ad aiutare l'economia?
I canali sono tre. C'è quello diretto, che consiste nell'aumentare la liquidità a disposizione delle banche. Il
mestiere delle banche è di prestare i soldi, e quindi si spera che avendo più soldi siano più pronte a prestarli,
rimettendo in moto il circuito della domanda e dell'offerta.
Poi c'è la questione dei tassi. Quando prima si è detto che si ricorre al Qe allorché i tassi sono a zero, si
intendevano i tassi a breve, gli unici sui quali la Bc ha un controllo diretto. I tassi a più lungo termine
dipendono anche e soprattutto dal mercato, dalla domanda e dall'offerta di fondi. Ma la Bc può intervenire
anche sui tassi a lunga ricorrendo al Qe. Quando entra sul mercato dei titoli un acquirente dalle tasche
profonde come la Bc, gli acquisti fanno salire i prezzi dei titoli e quindi fanno scendere i rendimenti.
Il terzo canale è la fiducia. Famiglie e imprese vedono che scende in campo un giocatore superdotato (di
soldi), pensano che l'economia andrà meglio e sono più disposti a consumare e a investire.
Quali titoli si acquistano con il Qe?
Tutti i titoli per i quali sia possibile valutare il rischio. In teoria il Qe potrebbe anche riguardare orologi antichi o
gioielli, ma è difficile pensare che una Bc voglia stipare la cantina con oggetti vari. Il Qe, comunque, per avere
effetto sull'economia deve essere massiccio: parliamo di migliaia di miliardi di dollari o di euro o trilioni di yen.
Questo vuol dire che deve rivolgersi a titoli con un mercato spesso e liquido, altrimenti gli effetti sui prezzi
sarebbero difficili da maneggiare. In Europa, dove le obbligazioni societarie hanno un mercato meno spesso
rispetto a quello americano, un Qe efficace deve riguardare l'unico mercato liquido e profondo, quello dei titoli
pubblici.
Quali sono i rischi del Qe?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL MECCANISMO
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Il primo rischio, che corre alla mente di quanti associano la creazione di moneta con l'inflazione, è appunto
quello di un'ascesa incontrollata dei prezzi. Tuttavia sia la teoria che l'esperienza dicono che questo rischio
non esiste o, se esiste, è controllabile. Si ricorre al Qe quando l'economia ristagna e l'inflazione è assente e,
soprattutto, quando nel sistema economico ci sono molte risorse inoperose, sia di manodopera che di
impianti (disoccupazione e capacità produttiva inutilizzata). Il Qe mira appunto a far ripartire l'economia, ma
prima che la moneta venga tirata fuori dai cassetti, sia spesa e porti a pressioni sui prezzi, molto tempo deve
passare. Le pressioni sui prezzi si manifestano quando l'economia è vicina alla piena occupazione e gli
stabilimenti funzionano a pieno ritmo. Quando questo succederà, la moneta creata in eccesso potrà essere
ritirata gradualmente, in modo da tenere l'inflazione sotto controllo. Le Bc, così come hanno gli idranti per
immettere liquidità, hanno anche delle idrovore per prosciugarla. Se poi passiamo dalla teoria all'esperienza,
vediamo che in tutti i Paesi dove il Qe è stato impiegato con abbandono non c'è stata alcuna traccia di
inflazione.
Un secondo rischio, che è al centro dell'opposizione tedesca al Qe, è legato al cosiddetto "azzardo morale":
se la Bce compra i titoli dei Paesi che fanno fatica a quadrare i bilanci pubblici, fa un favore a questi Paesi, e
per ciò stesso li induce a fare meno sforzi per risanare i bilanci. C'è qualcosa di vero in questa obiezione, ma
il problema, nelle circostanze presenti, è quello dei tempi. L'economia dell'Eurozona è debole: anche se i
Paesi facessero le famose riforme strutturali per mettere i bilanci pubblici sulla retta via, queste riforme
impiegano tempo a realizzarsi e ad avere effetti, mentre l'economia ha bisogno di un sostegno qui e subito.
Insistere a negare il ricorso al Qe per quella ragione è un po' come se dei pompieri si rifiutassero di
soccorrere una casa in fiamme perché bisogna insegnare alla gente a non fumare a letto.
Quali sono gli effetti del Qe sui conti pubblici?
Sono, naturalmente, favorevoli. Lo Stato trova più facile collocare i titoli e il tasso di interesse che deve
pagare scende. Inoltre, c'è una peculiarità del Qe di cui di solito non si tiene conto. Quando la Bc compra titoli
di Stato, incassa poi gli interessi su questi titoli, e quindi i suoi profitti vanno alle stelle: i costi sono gli stessi di
prima, ma i ricavi si gonfiano. Ora, tutte le Banche centrali per statuto devono versare i loro profitti allo Stato
(la Bce li versa alle Bc dei Paesi membri e queste versano allo Stato i loro utili). In ultima analisi, è come se
gli Stati si finanziassero a tasso zero, dato che gli interessi che pagano poi gli ritornano sotto altra forma. Per
esempio, la Fed ha appena reso noto gli utili del 2014: sono 101,5 miliardi di dollari, e di questi 98,7 sono
riversati al Tesoro Usa.
Quali sono gli effetti del Qe sulle banche?
Le banche, come detto sopra, si ritrovano con una maggiore liquidità, nella misura in cui hanno venduto alla
Bc titoli pubblici o privati in loro possesso. Questo non vuol dire automaticamente che presteranno di più
all'economia reale, perché per prestare, come per ballare il tango, bisogna essere in due. Si può offrire da
bere al cavallo, ma non lo si può costringere a bere, e se le imprese non chiedono soldi perché non vedono la
domanda dietro l'angolo, il fatto che le banche abbiano più liquidità non ha molta importanza. Tuttavia,
l'acquisto a titolo definitivo di obbligazioni dovrebbe avere maggiori effetti delle forme di Qe - come quelle
della Bce fino a oggi - in cui lo strumento principale era l'offerta alle banche di prestiti a tasso molto basso. La
liquidità così resa disponibile doveva poi essere restituita, mentre una liquidità che deriva da una vendita
permette più gradi di libertà nelle forme di impiego.
Quali Banche centrali hanno fatto maggior ricorso al Qe?
In termini assoluti, certamente la Fed. In termini di quota di Pil, le attività della Bc giapponese sono superiori
sia all'analoga quota della Fed che a a quella della Bce, dato che la Banca del Giappone ha un'onorata (o,
secondo alcuni, disonorata) storia di costante finanziatrice del deficit pubblico nipponico. Ma, se guardiamo a
quanto sono andati crescendo gli attivi delle Bc (vedi grafico), notiamo il ritardo della Bce sia rispetto alla Fed
che alla Banca del Giappone. Per queste ultime due gli attivi sono andati crescendo dal 2012 in poi, mentre
per la Bce sono diminuiti. I prestiti fatti alle banche hanno fatto espandere le attività in un primo momento, ma
poi queste sono andate diminuendo man mano che i prestiti venivano restituiti. Negli ultimi anni, insomma, c'è
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stato un Qe negativo: proprio il contrario di quel che l'economia abbisogna...
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Fabrizio Galimberti Fonte: elaborazioni Il Sole 24 Ore su dati Banca del
Giappone, Bce e Federal Reser ve 273,3 244,7 560,2 281,8 186,4 421,2 372,3 128,3 408,7 341,0 109,9
Foto:
Mossa all'americana. Con il «Qe» la Bce (nella foto il governatore Mario Draghi) copia il modello Fed
GLI ATTIVI DELLE BANCHE CENTRALI
Dati a inizio anno. Base 2003 = 100
Fonte: elaborazioni Il Sole 24 Ore su dati Banca del Giappone, Bce e Federal Reser ve
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Il piccolo balzo del mattone
Antonello Cherchi Valeria Uva
di Antonello Cherchi e Valeria Uva
Il federalismo demaniale va a rilento. A fine 2014 ha, però, provato ad accelerare: i beni trasferiti ai Comuni
sono cresciuti del 14 per cento. Per vendere il mattone di Stato si battono anche altre vie, come le cessioni
alla Cdp.
Servizi pagina 12
Il federalismo demaniale, a un anno dal concreto avvio, va avanti piano, anche se proprio negli ultimi mesi del
2014 ha fatto registrare un'accelerazione. Dal 16% di beni trasferiti ai Comuni fino a ottobre si è ora passati al
30 per cento. La partita delle vendite delle proprietà pubbliche, tuttavia, non si è limitata alle cessioni gratuite
dallo Stato agli enti locali, ma ha percorso anche altre strade, come il passaggio di mano di un corposo
blocco di beni, per un valore totale di circa 250 milioni di euro, alla Sgr di Cassa depositi e prestiti (si veda
l'articolo a fianco). Ha invece segnato il passo il meccanismo delle aste pubbliche, che con 36 beni messi
all'incanto dal Demanio (di cui soltanto quattro aggiudicati), si avvia a essere scavalcato dal sistema di
accordi di programma delineato dal decreto Sblocca-Italia.
Del resto le esigenze di cassa continuano a non dare tregua. Anche l'ultima legge di Stabilità ha imposto alle
amministrazioni di disfarsi di immobili non più strumentali.
I beni con le «stellette»
Il ministero della Difesa scommette molto sulla dismissione di ex caserme, alloggi, centri logistici, terreni,
depositi e magazzini. Anche in seguito alla riorganizzazione delle Forze Armate in corso, i militari hanno
molte proprietà da cedere. «Ecco perché - sottolinea il ministro Roberta Pinotti - appena arrivata ho creato
una task force che segua passo per passo la partita delle dismissioni. I risultati iniziano a vedersi: insieme al
Demanio abbiamo sottoscritto in questi mesi nove accordi con altrettanti Comuni per 39 beni da recuperare e
valorizzare».
Proprietà che si vanno ad aggiungere alle circa mille offerte dalla Difesa agli enti locali con l'operazione del
federalismo demaniale, in base alla quale Comuni, Province e Regioni potevano prenotare entro novembre
2013 i beni presenti sul loro territorio. Ne sono stati scelti 253: per 230 è arrivato il via libera al trasferimento,
ma a oggi solo due sono effettivamente passati di mano.
Per incentivare la dismissione degli altri 700 i militari hanno studiato a inizio 2014 l'istituto del prestito d'onore,
che però - complice il cambio di Governo - non è mai partito, anche se si pensa di attivare nel prossimo futuro
i primi bandi. Sta, invece, per debuttare - dopo il primo round riservato agli alloggi occupati e assegnati con
diritto di prelazione - l'asta telematica per la cessione di 637 alloggi militari liberi in 13 regioni. Operazione
gestita in collaborazione con il Consiglio del notariato.
È, invece, appena partita la nuova procedura di valorizzazione prevista dallo Sblocca-Italia (Dl 133/2014): nei
giorni scorsi è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il primo elenco di undici ex caserme e sono stati già
avviati i contatti con i Comuni per il recupero dei beni e l'eventuale successiva alienazione. La misura dello
Sblocca-Italia è solo l'ultima di una serie di interventi normativi - sei leggi che hanno generato almeno nove
procedure di valorizzazione e dismissione - per fare cassa con il mattone di Stato: si è partiti nel 2001 con le
cartolarizzazioni (Scip 1 e 2), si è proseguito nel 2008 con le misure per gli enti locali e si è approdati nel
2013 al vero e proprio federalismo demaniale rilanciato dal decreto del Fare (Dl 69).
Il federalismo demaniale
Anche considerando lo sprint di fine 2014, i beni consegnati ai Comuni restano pochi: 1.639 su 5.542
richiesti. «Contiamo - afferma Roberto Reggi, direttore dell'agenzia del Demanio - di arrivare entro quest'anno
al 50% di trasferimenti, accompagnando le amministrazioni in tutte le fasi».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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FEDERALISMO DEMANIALE
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Resta, però, anche il nodo finanziario, poiché l'amministrazione che riceve il bene deve accettare un taglio
dei trasferimenti statali pari al valore della proprietà incamerata. E non è ancora chiaro quanto durerà la
decurtazione.
Va un po' meglio per il terzo filone del federalismo demaniale - quello dei beni culturali che possono essere
valorizzati ma non venduti , visto che su 77 programmi firmati, circa la metà (37) sono arrivati in porto.
Il nodo delle varianti d'uso
L'intera procedura è stata rallentata dal passaggio cruciale del cambio di destinazione d'uso del bene.
Operazione che richiede molto tempo ai Comuni, ma lo Sblocca-Italia ha previsto tempi certi e incentivi per le
amministrazioni virtuose.
«Nel decreto in preparazione - aggiunge Reggi - si sta valutando la forbice degli incentivi: si pensa a un 15%
del ricavato dall'operazione di valorizzazione da riconoscere all'ente che riuscirà a cambiare la destinazione
d'uso nei quattro mesi indicati dalla norma e via via a scalare per i meno tempestivi».
RIPRODUZIONE RISERVATA 5.542 1.639 253 2 RICHIESTI TRASFERITI AVANZAMENTO 29,6% 0,8%
Beni Demanio Difesa culturali 48,1% 37 77 A piccoli passi Fonte: elab. Il Sole 24 Ore del Lunedì su dati delle
amministrazioni (dati al 15/01/2015)
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A PICCOLI PASSI
Lo stato di attuazione del federalismo demaniale
19/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Maxitaglio sui conti delle Regioni
Emilia-Romagna e Lombardia le più a rischio - Il nodo sanità
Cimbolini e Trovati
Emilia-Romagna e Lombardia si contendono il primato dei tagli alle Regioni, nella sforbiciata da 4 miliardi che
la legge di Stabilità assesta ai conti territoriali. I Governatori devono arrivare a una distribuzione condivisa dei
sacrifici, da presentare al Governo entro il 31 gennaio se non si vuole far scattare la clausola automatica, con
cui i tagli verranno decisi da Roma in base a Pil e popolazione di ogni territorio. La speranza iniziale era di
salvare dalla stretta il capitolo sanità, che pesa per quattro quinti sulle uscite regionali, ma l'alleggerimento
chiesto più volte dai Governatori non è arrivato, e l'impresa pare impossibile. Risultato: Asl e ospedali
rischiano grosso, insieme al trasporto pubblico locale.
pagina 3
Emilia Romagna e Lombardia si contendono il primato dei tagli alle Regioni, nella sforbiciata da 4 miliardi che
la legge di Stabilità assesta ai conti territoriali, e che ora deve trovare la sua formula definitiva. I Governatori
si stanno arrovellando nel tentativo di arrivare a una distribuzione condivisa dei sacrifici, da presentare al
Governo entro il 31 gennaio se non si vuole far scattare la clausola automatica, con cui i tagli verranno decisi
da Roma in base alla "ricchezza" (cioè al Prodotto interno lordo) e alla popolazione di ogni territorio. Una
sfida complicata: la speranza iniziale era di salvare dalla stretta il capitolo della sanità, che però pesa per
quattro quinti sulle uscite regionali, ma l'alleggerimento della cura chiesto più volte dai Governatori non è
arrivato, e l'impresa pare quindi impossibile. Risultato: Asl e ospedali rischiano grosso, insieme al trasporto
pubblico locale, anche se non bisogna dimenticare che la spesa regionale più pesante fuori dalla sanità è
un'altra: è la macchina amministrativa, che secondo i dati Copaff (la Commissione per il federalismo fiscale
che disaggrega i conti delle Regioni per funzioni di spesa) vale 12,7 miliardi all'anno.
Per capire i problemi in gioco basta uno sguardo ai numeri del grafico in pagina: il conto presentato a ogni
Regione è stato elaborato dal Centro Studi ReAl Sintesi distribuendo i sacrifici per metà in base al Pil e per
metà in base agli abitanti. I numeri sono stati poi messi in rapporto alla spesa che ogni Regione dedica alla
salute e alle altre voci, e sono queste cifre a mostrare i "pericoli" che corre proprio la sanità: un metodo di
questo tipo chiederebbe all'Emilia Romagna di alleggerire di botto le proprie uscite non sanitarie del 18,4%,
mentre la Lombardia, che primeggia in valore assoluto essendo la Regione leader sia nel Pil sia nella
popolazione, si vedrebbe sfilati 750 milioni, cioè poco meno del 14% delle proprie spese extra-salute.
La stretta si attesterebbe fra il 12 e il 14% in altre cinque Regioni del Centro-Nord, vale a dire Piemonte,
Veneto, Liguria, Marche e Toscana, oscillerebbe intorno al 10% in Abruzzo e Umbria, mentre sarebbe un po'
più "leggera" nel Mezzogiorno, dove la densità demografica e soprattutto la ricchezza pro capite sono
inferiori. In media, comunque, il taglio vale l'11,5% della spesa extra-sanità.
Nelle Regioni a statuto autonomo, per le quali le cifre sono già scritte nella manovra e quindi non sono più
soggette a variazioni, la legge di Stabilità impone tagli profondi soprattutto in Sardegna, mentre altrove non
va oltre l'1% della spesa.
Nei territori a statuto ordinario i numeri a carico di ogni Regione possono cambiare, ma dal momento che il
Governo ha resistito a ogni richiesta di alleggerire i tagli, ogni euro in più riconosciuto a una Regione si
trasforma in un euro in meno a carico delle altre. Il quadro d'insieme, insomma, non può modificarsi e anche
l'eventuale accordo, ancora da trovare, fra i Governatori dovrà tenerne conto.
Accanto alla politica, però, la questione interessa soprattutto i cittadini, perché, anche se non si volesse
toccare la sanità, tagli di questa misura non potrebbero certo ignorare le voci di spesa che più direttamente
riguardano i servizi.
Certo, come accennato, una buona sfoltita potrebbe concentrarsi prima di tutto sui 12,7 miliardi all'anno
assorbiti dall'«amministrazione generale», una voce che però comprende anche molte spese strutturali per
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Entro gennaio la riduzione di 3 miliardi e 400 milioni nei fondi ai Governatori
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personale e servizi. Appena dopo arriva il trasporto pubblico locale, che pesa per 9 miliardi all'anno sui conti
regionali: l'arrivo della manovra ha infatti subito acceso i dibattiti locali, con tanto di polemiche fra Regioni e
Comuni sulla sorte dei sistemi di trasporto e soprattutto dei biglietti a carico di chi sale su un bus o su un
treno regionale (si veda anche l'articolo sotto).
Quale che sia l'articolazione definitiva dei tagli, il dato certo è che la responsabilità delle scelte su come
attuarli sarà tutta nelle mani di presidenti e assessori, ai quali la legge di Stabilità assicura una libertà di
scelta molto più ampia che in passato.
Questa volta non ci sono ambiti di spesa sui quali intervenire imposti dallo Stato, con i relativi problemi di
costituzionalità. E non ci sono azioni obbligatorie da porre in essere in via eccezionale e derogatoria rispetto
ai princìpi generali del nostro ordinamento (per esempio, riduzione ex lege del valore di contratti di fornitura in
essere, salvo possibilità di recesso) anche queste sovente in odore d'incostituzionalità.
Spetterà alla politica regionale, in piena libertà, ma senza alibi, scegliere dove e quanto tagliare all'interno
dei propri bilanci.
E sarà suo compito anche quello di contemperare al meglio gli obiettivi di finanza pubblica necessari al
rispetto dei vincoli europei e al miglioramento della nostra credibilità sui mercati finanziari e le esigenze di
spesa proprie di ciascuna Regione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Luciano Cimbolini
Gianni Trovati
LA MAPPA SUL TERRITORIO
L'effetto della manovra sulla spesa non sanitaria e sulla spesa totale Regione per Regione . Valori in milioni
di euro Rank Regione Tagli * Spesa
non sanitaria Taglio %
su spesa non sanitaria Spesa
sanitaria Taglio %
su spesa totale Regioni a statuto ordinario 1 Emilia Romagna 326 1.773 18,4 9.510
2,9 2
Lombardia 751 5.399 13,9 17.542 3,3 3 Piemonte 306 2.248 13,6 9.776 2,5 4 Veneto 349 2.649 13,2 8.702
3,1 5 Liguria 109 839 13,0 3.471 2,5 6 Marche 103 804 12,8 2.830 2,8 7 Toscana 259 2.033 12,7 7.432
2,7 8 Abruzzo 82 785 10,5 2.762 2,3 9 Umbria 57 555 10,2 1.738 2,5 10 Lazio 410 4.303 9,5 12.857 2,4 11
Puglia 225 2.467 9,1 7.644 2,2 12 Campania 317 3.565 8,9 11.570 2,1 13 Calabria 108 1.676 6,5 3.242 2,2
14 Basilicata 33 617 5,3 1.103 1,9 15 Molise 19 369 5,0 724 1,7 Totale 3.452 30.083 11,5 100.903 2,6
Regioni a statuto speciale 1 Sardegna 273 3.007 9,1 3.282 4,3 2 Friuli Venezia Giulia 87 2.802 3,1 2.284 1,7
3 Sicilia 97 6.460 1,5 8.469 0,6 4 Valle d'Aosta 10 1.095 0,9 280 0,7 5 Trentino-Alto Adige 0 869 - 0 - 6 Prov.
aut. Bolzano 0 3.508 - 1.153 - 7 Prov. aut. Trento 0 3.349 - 1.211 - Totale 467 21.091 2,2 16.679 1,2
Nota: (*) Per le Regioni a Statuto ordinario, l'ipotesi di distribuzione dei tagli complessivi è basata per il 50%
in base al Pil e per il 50% in base alla popolazione
Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore-Centro Studi Real Sintesi su dati dei bilanci regionali
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Eppure Matteo spera: il presidente al primo voto
FRANCESCO BEI GOFFREDO DE MARCHIS
STATE tranquilli, il passaggio è più semplice di quanto pensiate». Matteo Renzi l'ha ripetuto anche ieri ai
suoi, rivelando una prima parte del disegno per arrivare alla designazione del nuovo capo dello Stato.
Una tattica che, contrariamente a quanto annunciato dallo stesso premier, passa dall'ufficializzazione del
prescelto già la sera del 28 gennaio. Prima dell'inizio delle votazioni. Una mossa a sorpresa per evitare che i
suoi avversari si coalizzino nei primi tre scrutini mettendo in campo un candidato in grado di crescere nei
numeri. A PAGINA 12 ROMA. «State tranquilli, il passaggio è più semplice di quanto pensiate». Matteo Renzi
l'ha ripetuto anche ieri ai suoi, rivelando una prima parte del disegno per arrivare alla designazione del nuovo
capo dello Stato. Una tattica che, contrariamente a quanto annunciato dallo stesso premier, passa
dall'ufficializzazione del prescelto già la sera del 28 gennaio. Prima dell'inizio delle votazioni. Una mossa a
sorpresa che Renzi ha maturato per una ragione precisa: evitare chei suoi avversari si coalizzino nei primi tre
scrutini mettendo in campo un candidato in grado di crescere nei numeri. Nessuna scheda bianca, nessun
candidato di bandiera. Si voterà da subito il nome giusto, con il fine di portarlo a casa già dal primo scrutinio.
Un obiettivo ambizioso - eleggere il successore di Napolitano con il "metodo Ciampi" - per il quale sono
necessari 673 grandi elettori. O almeno indicarlo in anticipo per poi aspettare il quarto scrutinio. Meta
impossibile - in entrambi i casi - da raggiungere senza un solido accordo con l'area bersaniana. E qui
nascono i problemi. Renzi, per dimostrare che la strada è più in discesa di quanto si pensi, ripete agli
interlocutori che bastano in fondo due soli colloqui per trovare la soluzione.
«Uno con Berlusconi, l'altro con 7Bersani. Gli altri partiti della maggioranza si accoderanno».
Ma il numero di faccia a faccia decisivi non dice ancora quale sarà l'esito. Se ci sarà una rottura o un'intesa
blindata. Da ieri, per esempio, la minoranza bersaniana è tornata sulle barricate. L'ex segretario era presente
alla direzione, a differenza di D'Alema, Veltroni e gli altri big dell'area che fu dei Ds. Non ha parlato. Ma sono
intervenuti i suoi fedelissimi Alfredo D'Attorre e Stefano Fassina. Giudicando troppo generica la relazione del
segretario. Soprattutto, omissiva sulle risposte principali. «Matteo si è irrigidito sulla legge elettorale.
La vuole portare a casa prima del 29, questo è chiaro. Ma non ha fatto alcuna apertura alle critiche di un
pezzo consistente del gruppo parlamentare del Senato», racconta D'Attorre. Vuole dire che il nodo dei
capolista nominati rimane in piedi e che la prossima settimana, quando a Palazzo Madama, si vota proprio
sulle preferenze sarà decisiva per contare le forze che saranno necessarie anche per l'elezione del capo
dello Stato. «C'è molta tensione sull'Italicum», ammette il presidente del Pd Matteo Orfini.
«I prossimi giorni si capirà che aria tira dentro al Pde dentro Forza Italia». Le premesse sono negative.
«Renzi sta creando il clima sbagliato per l'elezione del presidente della Repubblica», avverte D'Attorre. Non
aiuta nemmeno il mancato chiarimento sul decreto fiscale, chiesto da Fassina. Il premier infatti ha confermato
che l'argomento verrà ripreso il 20 febbraio, quando sul Colle ci sarà già un nuovo inquilino. E poco importa
se, nei colloqui privati, il capo del governo ammetta apertamente il «grave errore» di aver inserito quel
famoso articolo 19-bis sulla depenalizzazione della frode fiscale.
A Palazzo Chigi sono convinti tuttavia di aver preso la direzione migliore. Congelando il dibattito interno,
lasciando la direzione sempre convocata e quindi sempre pronta a discutere, rinviando però la decisione
finale al 28 gennaio, ventiquattro ore prima del "decollo". La delegazione che farà i colloqui con tutti i partiti sa
di dover scontare il decisionismo renziano. Ovvero avrà poteri limitati, più di ascolto che di scouting. Serve
soprattutto a uso interno, dentro il Pd, composta non a caso anche dal giovane turco Orfini e dal capogruppo
Roberto Speranza che garantisce il coinvolgimento dell'area bersaniana moderata. Non basta a certificare
numeri sicuri, a mettersi in sicurezza rispetto ai franchi tiratori ma può offrire umori a chi è incaricato di
aggiornare giorno dopo giorno il pallottoliere. Tanto più se Renzi cercherà il colpo da primo della classe:
l'elezione al primo voto, con la maggioranza dei due terzi.
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IL RETROSCENA
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Spostando al limite ultimo l'indicazione del candidato, Renzi punta a concentrare l'attenzione del Parlamento
sulle riforme, in particolare l'Italicum. Proprio da lì però vengono i rischi maggiori. Non solo con gli
emendamenti, ma attraverso la possibile verifica dei numeri e delle spaccature del Partito democratico e di
Forza Italia. Sarebbe un pessimo viatico per l'ora della verità. Questo non impedisce che alcuni nomi siano
capaci di reggere oltre le 24 ore. Come dimostrano le voci raccolte nella direzione di ieri dietro il tavolo della
presidenza. Sergio Mattarella resta in cima all'elenco dei papabili ed è sicuramente già stato sondato nei
colloqui riservati tra i leader. L'unica obiezione è lo stesso Renzi ad avanzarla, ragionando con i suoi: «Io
vengo dalla Dc, Mattarella pure. Non saremo troppi? Non rompiamo l'equilibrio del Pd?». Dietro il giudice
costituzionale si profila ancora l'identikit che corrisponde a Pier Carlo Padoan perché la crisi economica non è
finita e il voto in Grecia del 25 può riaprire la voragine. Il dialogo con tutti prevede un tentativo con i 5stelle. La
delegazione ufficiale si prepara a contattare il direttorio nominato da Grillo e Casaleggio. Con speranze zero
di riuscire a stabilire un'intesa. Tanto è vero che semmai, nel giglio magico del premier-segretario, si fanno i
conti sulle capacità di attrazione verso i dissidenti grillini, gli espulsi e i fuoriusciti. Immaginando quali
candidati siano in grado di essere votati da almeno 20 ribelli del Movimento, numeri piccoli ma utili a coltivare
il sogno di sfondare quota 673.I parlamentari di Vendola continuano a sperare in «un risveglio» dei grillini che
li portia far convergerei voti su Romano Prodi in modo da mandare all'aria il piano di Renzi. Ma per ora a
Palazzo Chigi sorridono: la sventagliata contro tutti i candidati Pd postata sul blog di Grillo ha fatto un piacere
al premier. Il comico conferma infatti la linea di isolamento e si orienta verso un candidato della società civile,
scelto apposta per tenere unito il Movimento senza apporti dall'esterno. Prende quota, in quel mondo, l'ipotesi
di lanciare Nino Di Matteo, il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia. Il magistrato che ha "osato"
chiamare a deporre Giorgio Napolitano presentandosi con il collegio giudicante al Quirinale. Emissari del
direttorio hanno già contattato il pm per verificarne la disponibilità.
I numeri dei grandi elettori
Forza Italia
Fdl
Lega
Sel
M5s
Ex M5s
Altri
39
143
34
137
26
15
77
13
31
445
Area Popolare (Ncd+Udc) Gal Per l'Italia-Cd AutonomiePsi-Pli Pd
12
LE TAPPE PRIMA SEDUTA IL 29 GENNAIO Le sedute si svolgono a Montecitorio: primo voto previsto il 29
gennaio.
Nei primi tre scrutini è previsto il quorum dei due terzi, pari a 673 voti. Dal quarto scrutinio si scende alla
maggioranza assoluta degli aventi diritto, pari a 505 voti 1008 GRANDI ELETTORI Il capo dello Stato viene
eletto da senatori, deputati e delegati delle Regioni in seduta comune. In totale sono 1009 "grandi elettori".
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Non va considerato però Grasso, che esercita la supplenza al presidente della Repubblica che si è dimesso
mercoledì
3QUATTRO DONNE IN CABINA DI REGIA Per la prima volta a guidare le operazioni in aula saranno quattro
donne: Laura Boldrini, presidente della Camera, Valeria Fedeli, presidente facente funzioni del Senato, e i
segretari generali delle due assemblee, Elisabetta Serafin e Lucia Pagano
Foto: STREAMING Il premier Matteo Renzi alla direzione del Pd, trasmessa in streaming come oramai è
prassi
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Merkel: ma l'Islam fa parte di noi
BERTHOLD KOHLER
BERLINO DAL corteo di Parigi e dalla manifestazione di protesta alla Branderburger Tor- dice Angela Merkelè arrivato un segnale forte di solidarietà e unità che supera i confini nazionali, di partitoe religiosi. Si
percepisce la libertà che per la gente è un bisogno vitale». A PAGINA 10 BERLINO SIGNORA Cancelliera,
dal corteo funebre di Parigi per le vittime dell'attacco terroristico, e dalla manifestazione di protesta alla
Branderburger Tor è arrivato un segnale forte di unità nazionale e internazionale. I terroristi hanno fatto male i
loro conti? «Sì perché da entrambe le manifestazioni è pervenuto un segnale forte di solidarietà e unità che
supera i confini nazionali, di partito e religiosi. Mi è anche parso importante che molti Capi di Stato siano
venuti a Parigi. È stato meraviglioso sentirsi uniti alle numerose persone nelle strade e nelle piazze. Se ne
parla spesso, ma in questi giorni si percepisce la libertà, che per la maggior parte della gente è un bisogno
vitale. Siamo consapevoli che le libertà di stampa, opinione e religione, conquistate dalle generazioni
precedenti, non sono garantite per sempre, ma che ogni generazione deve intervenire nuovamente a difesa
di questi valori».
Anche in Germania ci sono centinaia di cosiddetti "osservati speciali". Potrebbe succedere anche da noi un
attacco come quello di Parigi? Come possiamo evitarlo? Quali conseguenze dobbiamo trarre dall'attacco?
«La minaccia terroristica delle forze jihadiste e islamiste incombe in tutto il mondo. Preoccupa i governi
australiano, canadese, americano così come quello francese, tedesco e molti altri. Facciamo tutto il possibile
contro l'evenienza di tali attacchi in Germania. Lavoriamo tutti insieme a livello internazionale, perché da soli
non potremmo combattere tali minacce. Non potremmo tuttavia escludere completamente un attacco simile
anche in Germania». Gli attentatori erano cittadini francesi. Come possiamo evitare che i giovani tedeschi
partecipino alla jihad? E come evitare che ritornino come terroristi pieni d'odio? «Nessuno ha la risposta
definitiva alla domanda su come i giovani diventino terroristi cinici e pervasi dall'odio. Occorrono forze
dell'ordine ben attrezzate con armi adeguate, oltre a opportuni provvedimenti giudiziari. Intendiamo introdurre
carte d'identità sostitutive per i potenziali terroristi, per ostacolarne l'espatrio. In questo senso sarebbe di aiuto
una nuova risoluzione delle Nazioni Unite che chiede agli Stati membri di punire appunto anche gli espatri
verso i luoghi di addestramento terroristico, per esempio dello Stato Islamico. La cooperazione europea deve
intensificarsi maggiormente, in quanto, grazie agli accordi di Schengen, i nostri confini esterni sono protetti da
altri Paesi. Occorre uno scambio di informazioni completo. L'Europa arranca per quanto riguarda l'utilizzo dei
dati dei passeggeri aerei. Serve una cooperazione internazionale efficiente per i servizi informativi.
Ma oltre alle forze dell'ordine c'è anche un altro terreno: quello dei cittadini attenti, che per esempio notano
se ci sono anomalie nelle moschee».
Un numero crescente di tedeschi teme l'Islam. Lei ha comprensione per questo fenomeno? «So che molta
gente percepisce un disagio, forse anche perché sappiamo poco dell'Islam. A questo riguardo dobbiamo
intervenire noi politici, le Chiese, la società in generale. La gente chiede anche come si possa credere alla
frequente argomentazione secondo cui gli assassini, che uccidono in nome dell'Islam, non avrebbero niente a
che fare con quest'ultimo. Ritengo importante e urgente un chiarimento di questa lecita domanda da parte
delle autorità religiose islamiche. La maggioranza dei musulmani che vivono da noi prende le distanze dalla
violenza. Loro stessi ne tracciano i limiti. Nei giorni scorsi è successo anche in Francia e Germania». Dove va
segnata la linea di confine tra Islam e islamismo? «Si tratta di islamismo quando si usa la violenza in nome
della religione o si invoca l'uso della violenza per opprimere gli altri. L'uso della violenza in nome della
religione non è mai giustificato».
C'è chi dice che la violenza sia congenita all'Islam.
«Come cancelliera federale sono l'interlocutrice sbagliata per domande teologiche. Spetta alle autorità
religiose islamiche. Il mio compitoè di proteggere la grande maggioranza di musulmani in Germania dalla
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
diffidenza generale e di combattere la violenza in nome dell'Islam». Lei ha condiviso l'affermazione che a suo
tempo fece l'allora presidente federale Wulff, secondo cui l'Islam appartiene alla Germania. Cosa intende
concretamente? «Che qui in Germania risiedono molti musulmani, complessivamente circa quattro milioni,
che hanno la cittadinanzao comunque vivono qui stabilmente,e che nella stragrande maggioranza sono
cittadini onesti e rispettosi della legge. Sono parte della Germania, come lo è anche diventata la fede che per
loro è importante. Sono cittadine e cittadini di questo Paese, si sentono in dovere verso la Germania e si
impegnano con tutte le loro forze. Ci aspettiamo che parlino tedesco, che si conformino al nostro ordinamento
giuridico e a loro volta hanno il diritto di aspettarsi di essere accettati anche come parte di noi». Però la
dichiarazione di Wulff è controversa persino nel suo stesso partito, in quanto molti la interpretano come
l'equiparazione dell'Islam al cristianesimo e all'ebraismo che sono in diversa misura più significativi per la
storia e l'autoconsapevolezza di questo Paese.
«Naturalmente poggiamo sulle fondamenta delle tradizioni giudaico-cristiane dei secoli scorsi. Siamo passati
attraverso una storia comune in Europa. Avevamo l'Illuminismo. Da lì si è sviluppato il nostro attuale sistema
di valori e il rapporto tra Stato e Chiesa.
Se oggi diciamo che nel frattempo anche l'Islam appartiene alla Germania, ci riferiamo alla realtà della nostra
società attuale. Per me tutte le persone che condividono il nostro sistema di valori appartengono anche al
nostro Paese, insieme alla loro religione».
Ritiene fondata la paura dell'islamizzazione della Germania? «No.I musulmanie la loro religione, l'Islam, sono
parte del nostro Paese. Non vedo alcuna islamizzazione.
Piuttosto vedo la necessità dei cristiani di parlare di più e in modo consapevole dei loro valori, e di
approfondire le loro conoscenze sulla loro religione. Con il progressivo processo di secolarizzazione, la
conoscenza del cristianesimo lascia sempre piùa desiderare. Ognuno dovrebbe chiedersi cosa può fare per
consolidare la propria identità, a cui appartiene in gran parte anche la religione cristiana. Ma questo non è il
compito tradizionale della politica. Sostanzialmente questo compito spetta alle Chiese e soprattutto ai
credenti. La politica può solo creare le condizioni di fondo come la lezione di religione, che io appoggio».
Che cos'è per lei il movimento Pegida (il movimento nazionalista e anti-islamico tedesco, ndr) ? «Posso solo
ribadire quello che ho detto nel discorso di inizio anno: che nei cuori di coloro che partecipano a queste
manifestazioni c'è troppo spesso opportunismo, indifferenza e persino odio. Posso solo raccomandare alla
gente di non seguirlo. Nella nostra società ci sono molte domande serie. Come cancelliera di tutti i tedeschi è
mio compito, quand'è possibile, di lavorare per la soluzione dei problemi che affliggono la gente. Lo faccio
con tutte le mie forze. Devo comprendere le preoccupazioni, ma non devo avere comprensione per ogni
forma di manifestazione».
Quell'odio di cui lei parla si riscontra spesso anche in Internet, dove si urla contro i "traditori del popolo" nella
politica e contro "la stampa bugiarda". Da dove viene questo odio? «Quel tipo di linguaggio è aberrante.
Fortunatamente non è davvero rappresentativo per il nostro Paese. Per noi politici c'è solo un obiettivo: quello
di fare una buona politica, con fatti concreti. Per questo il ministro degli Interni de Maizière ha varato insieme
ad alcuni dei Paesi a noi più vicini degli accordi specifici volti una lotta comune della criminalità che vada oltre
le frontiere. E per questo in Europa ci concentriamo ogni volta di più sulla gestione dei flussi di profughi e per
questo lavoriamo, qui in Germania, per un più rapido accesso al diritto d'asilo.A questo serve l'aver definito
per legge alcuni Stati come Paesi d'origine sicuri. Il che ci dà la possibilità di aiutare meglio coloro che
davvero hanno bisogno di aiuto, quelli per esempio che sono sfuggiti con la loro nuda vita alle persecuzioni in
Siria e in Iraq. Il mondo è pieno di conflitti: ma vediamo in questi anni come la globalizzazione, della quale
profittiamo sotto così tanti aspetti, ci avvicini sempre di più questi conflitti. È più importante che mai portare
avanti gli aiuti allo sviluppo, e di combattere le cause dei flussi di profughi all'origine, per esempio anche in
Africa».
Anche nella sua coalizione ci sono voci che dicono che a causa della crisi economica in Russia si debba
riflettere sull'ipotesi di una sospensione delle sanzioni, a prescindere dal fatto che il Cremlino segua o meno
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le condizioni politiche poste dalla comunità internazionale. Lei è d'accordo? «No. Le sanzioni non sono un
fine in sé, ma i motivi che le hanno determinate non sono ancora venuti meno. Solo quando questo accadrà,
potremo fare a meno delle sanzioni. Quelle dell'Ue valgono un anno. In primavera dunque ci occuperemo
della questione di come continuare con le sanzioni, che abbiamo messo in atto dopo l'annessione della
Crimea da parte della Russia».
Gli obiettivi preferiti dell'odio in Internet comprendono anche l'Ue. Come mai l'unione politica dell'Europa è
diventata così impopolare proprio in Germania, dove è stata seguita per decenni con grandissimo
entusiasmo? «Anche per quello le voci che si traggono dalla rete fortunatamente non sono rappresentative.
La stragrande maggioranza dei tedeschi sa che molti problemi non si possono risolvere da soli, che una
comunità, come quella che è rappresentata dalla Ue, ci aiuta a proteggere i nostri valori e di portare avanti i
nostri interessi, nel commercio come nelle trattative sul cambiamento climatico o nella lotta al terrorismo.
L'Unione europea in pochi anni è stata giustamente allargata in maniera notevole. Deve ogni volta ritrovare
un equilibrio tra quello che si può regolarea livello europeoe quello per cui continuano ad essere competenti
gli Stati nazionali. Senza dubbio sono state prese anche delle iniziative che non dovrebbero essere regolate a
Bruxelles, e che le persone hanno percepito come una ingiustificata intromissione nella loro vita quotidiana.
Ma se ci concentriamo su come regolare a livello comunitario quelle cose che in altro modo non sono
regolabili in maniera soddisfacente, allora il progetto europeo verrà di nuovo accettato con maggiore forza».
E quali concessione vuole o può fare al prossimo governo greco per evitare il "grexit" (l'uscita della Grecia
dall'euro, ndr )? «Tutto il mio lavoro nell'ambito della crisi dell'euro è volto a rafforzare l'eurozona nel suo
insieme, e questo deve avvenire insieme agli altri partner, compresa la Grecia. Abbiamo fatto moltissimi
progressi su questa via. La Grecia ha fatto sforzi molto grossi, sforzi che per molti greci hanno rappresentato
sacrifici e tagli immensi. La base dell'impegno europeo intorno alla Grecia è sempre stato il principio della
solidarietà. Questo principio per noi vale ancora e vale in collaborazione con ogni governo greco. Per dirlo
ancora una volta in modo chiaro: io voglio che la Grecia rimanga nell'eurozona». © Frankfurter Allgemeine
Zeitung GmbH (Traduzione di Ettore Claudio Iannelli)
Foto: CANCELLIERA Angela Merkel cancelliera tedesca dal 2005 e leader della Cdu dal 2000 Per Forbes è
la donna più potente del mondo
Foto: LA COMUNITÀ La veglia per le vittime degli attacchi in Francia organizzata martedì sera alla porta di
Brandeburgo dalle comunità islamiche della Germania: in prima fila il presidente federale Joachim Gauck,
Angela Merkel e il suo vice Sigmar Gabriel
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"Si sono messe nei guai da sole ora giusto rivalersi su di loro"
"Se uno va a scalare la Marmolada con le infradito e poi chiede aiuto, l'elicottero se lo deve pagare
ANDREA MONTANARI
LUCA Zaia, governatore del Veneto della Lega, il governo smentisce di aver pagato, ma intanto lei sulla
questione del riscatto ha alzato un polverone.
«Come cittadini abbiamo prima di tutto il diritto di sapere la verità su questa storia. Cosa erano andate
veramente a fare in Siria queste ragazze. Se per azioni umanitarie o autonomamente». Intende dire che se la
sono cercata? «Intendo dire che quando io devo mandare il soccorso alpino in elicottero per salvare chi
pretende di scalare la Marmolada con le infradito, poi l'elicottero se lo paga lui».
Veramente risulta che Greta e Vanessa fossero partite per portare aiuti ai bambini. Non è la stessa cosa.
«E io insisto: di questa storia non sappiamo nulla. Nemmeno la genesi di questo viaggio. Abbiamo mobilitato
mezzo mondo per riportare in Italia queste due ragazze. Ora almeno ci dicano come sono andate le cose.È
un nostro diritto, mi sembra il minimo».
Lei sostiene che se fosse stato pagato un riscatto lo Stato dovrebbe farselo restituire.
«Se vogliamo veramente voltare pagina è necessario approvare una nuova legge. Una norma che stabilisca
che chi si reca in luoghi a rischio deve essere autorizzato. Se non lo fa viola la legge e lo Stato andrà a
recuperarlo, ma poi potrà rivalersi a vita su queste persone».
In questo modo però si metterebbe a rischio la vita di queste persone.
«A parte il fatto che resta comunque il magone per la cifra paurosa di cui si è parlato. Dodici milioni di dollari.
È vero che la vita umana non ha prezzo, ma rendiamoci conto che questi soldi non saranno certo utilizzati per
costruire degli asili. D'ora in poi bisogna istituire una sorta di patente per chi vuole andare in certi paesi,
magari per farsi ammaliare da qualcosa o semplicemente per trasformare una vacanza in un'avventura.
Anche le missioni di recupero costano». Dunque in caso di riscatto dovrebbe pagarlo la famiglia? «Per questa
volta, turiamoci il naso. Non ci sono norme chiare, né si possono fare retroattive. Spero, però, che il pm che
indaga faccia chiarezza. Che per il futuro si stabiliscano regole precise. E che questo caso anomalo sia
l'ultimo di una lunga serie alla quale abbiamo assistito finora».
Foto: "Zaia, presidente Regione Veneto
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L'INTERVISTA.1 / IL GOVERNATORE LUCA ZAIA
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"Ma se ci sono vite in pericolo è un dovere per lo Stato pagare"
"Golda Meir diceva che non bisogna lasciare nessuno dei nostri nelle mani del nemico Ad ogni costo
CATERINA PASOLINI
« GOLDA Meir diceva che quando si combatte il terrorismo non bisogna lasciare indietro nessuno dei nostri
nelle mani del nemico. Ad ogni costo». Luigi Manconi, senatore del Pd, pesa le parole.
Quindi è favorevole al pagamento di un riscatto? «Non intendo fare un ragionamento umanitario ma di diritto
e di diritto costituzionale: da questo punto di vistaè addirittura un dovere dello Stato nei confronti dei
cittadini».
«Un dovere dello Stato pagare? «Il fondamento del rapporto tra cittadino e Stato risiede nella promessa dello
Stato di garantire l'integrità fisica e morale del cittadino nei confronti del nemico esterno, in caso di guerra o
terrorismo e di quello interno, aggressioni ed violenze. Il patto sociale si basa esattamente su questo e lo
Stato può pretendere ubbidienza dai cittadini se garantisce la loro incolumità. È questo che da legittimità
giuridica e morale allo Stato di diritto. E da questo punto di vista pagare un riscatto è addirittura un dovere per
lo Stato».
Ma quei soldi finiranno ai terroristi.
«Se quei milioni di riscatto sono destinati, ed è possibile, ad alimentare i terroristi, pensate a quante
conseguenze può provocare ad Israele la liberazione dei suoi nemici quando periodicamente, per ottenere il
rilascio di uno o due soldati o civili, acconsente all'uscita dalle proprie carceri di centinaia di palestinesi.E tra
questi anche di quelli che considera più pericolosi».
Scelta di opportunità politica? «Il discorso non è mai di contabilità ma di valutazione giuridica e politica:
nell'affermazione cioè della capacità di uno Stato di proteggere i propri cittadini in pace e in guerra».
C'è chi dice: le volontarie non dovevano partire.
«So poco delle due donne e sono felicissimo che siano tornate. In termini generali il discorso va fatto con
grande rigore. La parola volontario è così generica da nascondere spesso improvvisazione, dilettantismo.
Queste sono iniziative che seppur motivate da sentimenti nobili vanno condotte con la massima
professionalità. Penso che recarsi ad operare in zone di guerra debba essere l'esito di un processo di
formazionee debba essere integrato e coordinato con l'azione delle grandi organizzazioni internazionali,
agenzie dell'Onu, europee e delle reti diplomatiche».
Foto: "Luigi Manconi, senatore Pd
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'INTERVISTA. 2 / IL SENATORE LUIGI MANCONI
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 9
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"Il pugno del Papa? Solo una battuta ma è giusto il richiamo alla
responsabilità"
LA SORPRESA Lui ama sorprendere E in questo modo fa capire meglio le cose LE OFFESE Quando le
offese riguardano la religione non aiutano la pace del mondo
PAOLO RODARI
CITTÀ DEL VATICANO «LA BATTUTA sul pugno che il Papa darebbe a chi dicesse una parolaccia contro
sua mamma è una battuta e come tale va presa. Tutti sull'aereo hanno riso, anche io l'ho fatto riascoltandola.
È il suo discorso in generale, piuttosto, che va compreso bene. Francesco ha detto che non si deve reagire
violentemente laddove si viene ingiustamente colpiti o insultati, ma è anche vero che a volte si creano
situazioni in cui una certa violenza diviene non contenibile». Invita «a entrare nel senso delle parole che il
Papa ha pronunciato a braccio sull'aereo che lo portava l'altro ieri nelle Filippine», il cardinale Walter Kasper,
per anni a capo del "ministero" vaticano che si occupa di ecumenismo, estensore della relatio che ha
introdotto i lavori del Sinodo sulla famiglia. E se gli si prova a domandare come si concilia il pugno del Papa
con l'evangelico «porgi l'altra guancia», risponde ricordando che «Francesco ha evidenziato due
comportamenti possibili senza per questo voler giudicare nessuno».
Eminenza, ritiene lecita la pubblicazione di vignette offensive su Maometto? «Dico che ha ragione il Papa.
Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede. Questo è un
dato di fatto. Come acquisito è il fatto che uccidere in nome di Dio sia un'aberrazione. Ma la libertà di
espressione è sia diritto sia un dovere. Ossia un diritto che comporta anche dei doveri.
Fra questi il comprendere che esistono dei limiti e che esiste una responsabilità». Paul Ricoeur diceva che il
paradosso «disorienta per riorientare».
Francesco parla per paradossi secondo lei? «Ama sorprendere. E, sorprendendo, fa comprendere meglio le
cose. Come quando usò il paradosso dell'abbondanza: "C'è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare".
Così in queste ore: gli atti di terrorismo sono aberranti,e il Papa non li ha giustificati, ma insieme occorre fare
un richiamo alla responsabilità e al senso del limite».
Nota delle differenze fra le sue parole dedicate all'Islam e il pensiero di Benedetto XVI in merito? «Nella
sostanza no. Certo, gli stili sono differenti, ma la sostanza è la medesima. E, infatti, è stato lo stesso
Francesco a ricorda la lectio di Ratisbona, quando Ratzinger aveva introdotto il riferimento alla mentalità
post-positivista che porta a credere che le religioni siano una sorta di sottoculture. Qui sta un altro fuoco che
mi sembra decisivo. Esiste un certo modo di pensare che, al di là della satira, disprezza le religioni differenti
dalla propria. Per noi cattolici anche questa dovrebbe essere un'aberrazione, che fra l'altro va contro il
Concilio Vaticano II che aveva invitato a nulla rigettare di quanto c'è di vero e santo in tutte le religioni. Le
parole di Francesco, inoltre, sono nella sostanza anche le stesse usate in queste ore dal Patriarca dei
cristiani copti Tawadros II. "Rifiuto ogni forma di insulto personalee quando le offese riguardano le religioni,
esse non sono approvabili né sul piano umano, né su quello morale e sociale. Non aiutano la pace del
mondo", ha detto in un'intervista a Fides . E l'ha detto nonostante gli innumerevoli problemi che nel suo paese
vi sono nel dialogo e nella convivenza con i musulmani».
In diversi paesi musulmani i cristiani vengono uccisio costretti alla diaspora. Quali passi può fare l'Islam
contro il fondamentalismo? «Mi aspetto da parte dell'Islam una condanna di qualsiasi interpretazione
fondamentalista ed estremista della religione. E mi auguro che questa condanna sia il più possibilmente
unanime. A monte ritengo che il problema sia principalmente uno: l'islam è una religione che non riesce ad
avere un'unica interpretazione del Corano. Manca di un'ermeneutica seria. Anche l'Antico Testamento
presenta dei testi di indubbia violenza, ma noi abbiamo un'ermeneutica che ci ha insegnato a decifrare le
parole». PER SAPERNE DI PIÙ www.vatican.va www.haaretz.com
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA Il cardinale Walter Kasper, tra i consiglieri L'intervista. più influenti di Bergoglio, commenta le
sue parole sul terrorismo "Violenza aberrante, Francesco ha sottolineato il senso del limite"
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 9
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Foto: ECUMENISMO Il cardinale Walter Kasper è stato per anni a capo del "ministero" vaticano che si
occupa di ecumenismo
Foto: FILIPPINE Papa Francesco a Manila con una folla di bambini Il pontefice ieri s'è appellato ai leader
filippini affinché mettano fine alle "scandalose diseguaglianze sociali" nel Paese che conta milioni di poveri.
(©AFP/ Osservatore Romano)
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Non deve essere per forza un candidato della Ditta"
Serve un nome di spessore che sia conosciuto alla Casa Bianca come a Berlino
TOMMASO CIRIACO
ROMA. Nomi non ne fa. «Neanche sotto tortura», sorride Gianni Cuperlo, lasciandosi alle spalle la direzione
del Pd. Si infila in via della Mercede, si ferma tra due portoni. Lì, a lungo, abitarono Sergio Mattarella e
Romano Prodi. E sempre lì il big della minoranza dem traccia l'identikit del Presidente ideale. «Uno che non
deve presentarsi, se chiama la Casa Bianca». Nella "selezione" non sono però previste barricate per un
candidato della "Ditta": «Un ex Ds? Non ne faccio un problema di estrazione».
Renzi ha aperto la partita per il Quirinale.
«Ha detto cose assolutamente condivisibili». Ha spuntato le armi della minoranza? «E perché? Sul Quirinale
non ho mai affilato le armi. Mai».
Non teme che farà valere il filo diretto con Berlusconi? «Ma lui ha sempre negato che questo valga quando
c'è da decidere sul Colle. E io gli credo».
Un "direttorio" condurrà le trattative. Una fetta importante della minoranza è poco rappresentata? «Ma no,
figuriamoci: è stato scelto un criterio istituzionale incontestabile. E poi la minoranza è sottorappresentata
perché io mi sono dimesso, altrimenti sulla base di quel criterio.... Nulla da eccepire sulla composizione».
Molto continuerà a muoversi, nel Pd.
«Certo, nel frattempo continueranno gli incontri, le cene, i cinquantasette democristianiei dodici turchi... Nonè
un modello che trovo particolarmente entusiasmante, ma nulla di male: rientra nella libertà delle correnti e
delle componenti. D'altra parte, che metodo alternativo c'è? Il "decido io", cheè il peggiore. Oppure
l'assemblearismo, che non è una soluzione».
L'ultima volta, nel 2013, non finì bene.
«Con Bersani, a dire il vero, il percorso fu diverso. Oggi Renzi ha proposto un altro metodo: non so se
migliore, ma corretto. E sicuramente meno rischioso, in questo contesto».
Il premier proporrà un nome al primo scrutinio. È possibile eleggere il Presidente in prima battuta? «Sulla
carta sì.E sarebbe un gran bel segnale». Alla fine con Renzi litigate sempre: dov'è la fregatura? «Non credo
ci sia. Non ne vedo l'interesse, per la fase che sta attraversando il Paese. Semmai il limite è stato quello di
dare una rappresentazione dell'Italia dove tutto va bene. Mentre Renzi parlava, Bankitalia ribassava le stime
sulla crescita».
Gli ex Ds potrebbero proporre un nome della Ditta. E invece siete divisi.
«Ma guardi che io su questo non ne faccio un problema di estrazione, sinceramente. Non è quello che mi
interessa».
I nomi avanzati finora la convincono? Ne faccia uno, Cuperlo.
«Neanche sotto tortura. Ma vale quello che ha detto Boccia: serve uno che se chiama la Casa Bianca non
deve presentarsi, se chiama Berlino, Bruxelles o Francoforte non deve spiegare chi è. È così, inutile girarci
attorno, deve avere quello standing. Una personalità che non sia esposta a particolari polemiche e non sia
vissuta come un'offesa da nessuno. Metti tutto questo nel frullatore, pigia il tasto e...».
Vengono fuori soltanto due o tre nomi, Cuperlo.
«Esatto». PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.partitodemocratico.it
Foto: MINORANZA PD Gianni Cuperlo esponente della minoranza nel Pd
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L'INTERVISTA/ GIANNI CUPERLO
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 25
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Atene chiede aiuto per tamponare la fuga dei capitali
Nelle prime due settimane di gennaio sono stati ritirati in fretta e furia 4 miliardi Eurobank e Alpha in crisi di
liquidità. Fitch: outlook del Paese ora negativo
ETTORE LIVINI
ATENE. Le banche greche chiedono aiuto alla Bce per tamponare ("in modo preventivo", assicurano loro) la
fuga dai depositi alla vigilia delle incertissime elezioni di Atene. Il copione in onda in questi giorni è una
replica di quello andato in scena alla vigilia del voto del 2012, quando i risparmiatori - temendo il defaultavevano prelevato dai loro conti correnti 8,5 miliardi di euro in 30 giorni. Oggi di code ai Bancomat non se ne
sono ancora viste. Negli ultimi due mesi e mezzo però i soldi parcheggiati nei caveau degli istituti nazionali in crescita da ottobre 2013 - sono tornati all'improvviso a diminuire. A novembre sono andati in fumo 222
milioni, poco più di sette al giorno.A dicembre - quando il premier Antonis Samaras ha anticipato le elezioni
presidenziali - sono spariti dai conti correnti 3 miliardi, qualcosa come 100 milioni al giorno.
Quando è stato chiaro che il Paese sarebbe andato alle urne, le cose sono precipitate: nelle prime due
settimane di gennaio, secondo Bloomberg , sono stati ritirati in fretta e furia 4 miliardi, un'emorragia di 266
milioni al giorno. "Ho visto quello che è successo a Cipro e non voglio finire con i miei soldi congelati sul
conto", spiega Yannis Pantelis, studente al Politecnico, mentre preleva 500 euro dalla Pireus Bank a un
passo dal mercato vecchio di Atene. Risultato: oggi nelle casse delle banche sono rimasti 161 miliardi. Più
dei 157 del maggio 2012, ma molto meno dei 168 di novembre e dei 230 di quando è iniziata la crisi.
«La situazione è sotto controllo», getta acqua sul fuoco la Banca di Grecia. Sottolineando come la débacle di
dicembre si spieghi in parte con un boom di scadenze fiscali e con l'emissione straordinaria di bond del
Tesoro. Eurobank e Alpha però, due dei principali istituti nazionali, hanno preferito mettere le mani avanti. E
hanno chiesto alla Bce di far scattare le procedure per l'accesso ai fondi di liquidità d'emergenza. Più costosi
dei prestiti tradizionali di Eurotower (1,55% di interesse contro 0,05%) ma più facili e più rapidi da ottenere nei
momenti di crisi di liquidità. "Si tratta di una misura precauzionale", hanno spiegato entrambe le società. La
loro mossa però ha mandato in fibrillazione la Borsa di Atene dove le banche hanno perso tra il 4 e l'8%
mentre i rendimenti dei titoli a tre anni sono balzati quasi di un punto al 10,76%. E in serata suona anche il
campanello d'allarme di Fitch che rivede l'outlook del Paese da stabile a negativo (mentre conferma le tre
AAA e l'outlook stabile alla Germania). I timori degli istituti di credito sono gli stessi che agitano l'Europa in
vista del voto del 25 gennaio. «La Grecia non vuole uscire dall'euro e non sarà cacciata», ha detto ieri con
ottimismo il presidente della Commissione Jean Claude Juncker. La realtà però - almeno in apparenza - è un
po' più complicata: Atene deve rinegoziare entro fine febbraio un accordo con la Troika per sbloccare l'ultima
tranche (pari a 7 miliardi) dei prestiti garantiti da Ue, Bce e Fmi. I creditori però sono pronti ad aprire il
portafoglio solo se il Partenone garantirà altri 2,5 miliardi di tagli allo stato sociale. Peccato che in testa a tutti
i sondaggi viaggi Syriza, la sinistra radicale di Alexis Tsipras, pronta a "mandare in archivio la parola
austerità" e a chiedere un taglio secco al debito nazionale. "I politici in Grecia non possono promettere quello
che non sono in grado di mantenere- ha tagliato corto ieri il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang
Schauble, interpretando gli umori dei falchi del nord - e la proposta di sforbiciare il debito è fuori discussione".
La richiesta di aiuto delle banche alla Bce è almeno in parte una mossa preventiva per esorcizzare il rischio
dello scenario peggiore: se Tsipras e la Troika non raggiungessero un'intesa, la Ue potrebbe (almeno in
teoria) lasciare Atene al suo destino. E la Grecia - senza la possibilità di raccogliere soldi sui mercatifinirebbe in default in poche settimane. Senza l'accordo, tra l'altro, la Bce non potrebbe più accettare in
garanzia i titoli di stato in portafoglio agli istituti ellenici, in cambio dei prestiti (oggi sono 50 miliardi circa) che
servono per finanziare l'economia nazionale. I fondi d'emergenza invece hanno maglie più larghe. E le
quattro grandi banche greche vi avevano già fatto ampio ricorso nel 2012 raccogliendone per 120 miliardi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL REPORTAGE
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 25
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La fuga dai depositi non è l'unica anomalia finanziaria scatenata dall'incertezza elettorale.
Dopo 11 mesi vissuti da contribuenti modello, infatti, i greci hanno smesso all'improvviso a dicembre di
pagare le tasse. Al 30 novembre il bilancio primario dello stato era in attivo per 3,5 miliardi. Un mese dopo il
surplus si è quasi dimezzato dopo che in molti hanno stretto i cordoni della Borsa di fronte alle promesse dei
partiti di una rateizzazione dei debiti fiscali. La ratioè chiara: meglio tenerei soldi nel salvadanaioe ritirare
quelli che si hanno in banca per evitare di finire vittime di un nuovo terremoto finanziario in caso di impasse
post-elettorale. Scenario di cui nessuno - in un paese dove il Pil ha bruciato il 25% in sei anni - - sente
davvero la mancanza.
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 26
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Allarma il contagio dello "tsunami svizzero" dall'Est Europa all'Asia
La mossa sul franco fa perdere 150 milioni a Deutsche Bank e 100 a Barclays Per Fxcm "bagno" da 225
milioni di dollari, in Nuova Zelanda chiude Global Crescono i timori per i mutui in moneta elvetica nei Paesi
più a Oriente: tra Slovenia e Croazia valgono almeno 4 miliardi In difficoltà i settori farmaceutico del lusso e
degli orologi: Swatch potrebbe perdere il 15% dei profitti attesi per il 2015
LUCA PAGNI CARLOTTA SCOZZARI
MILANO. I primi a gridare al disastro sono stati gli industriali elvetici che hanno parlato di «tsunami» e di
«catastrofe». E già fanno i conti sugli effetti della decisione della Banca centrale svizzera, che ha sganciato il
franco dall'euro: secondo Ubs, il Pil è destinato a perdere almeno 1,3 punti nel 2015, portando il tasso di
crescita da un sostanzioso +1,8% a un risicato +0,8.
Ma lo sganciamento del franco, all'interno di una economia in cui la libertà dei capitali è pressoché totale, sta
avendo conseguenze finanziarie a livello mondiale. Alcune clamorose, al punto da ricordare quanto avvenne
nei giorni del fallimento di Lehman. Le grandi banche europee si stanno già leccando le ferite: secondo dati
riportati dal Wall Street Journal, due colossi come Deutsche Bank e Barclays avrebbero accumulato perdite
rispettivamente per 150 e 100 milioni, più altri 150 per la sola Citigroup. E si tratta solo di stime.
Peggio è andato ai broker: le azioni dell'americana Fxcm, che garantisce gli investimenti e il trading on line ai
piccoli risparmiatori, ieri non hanno fatto prezzo con un crollo teorico dell'88% dopo perdite per 225 milioni di
dollari e già si parla di un salvataggio in tempi rapidi da parte di una società di investimenti. I cambisti sono in
difficoltà ovunque: in Nuova Zelanda Global Brokers ha addirittura annunciato al chiusura immediata della
attività perché non più in grado di rispettare i requisiti minimi di capitale. Insolvenza è toccata anche alla
britannica Alpari mentre la connazionale Ig group ha comunicato di fare i conti con un impatto negativo da
45,7 milioni di dollari.
In tutto l'est Europa è allarme per centinaia di migliaia di mutui immobiliare sottoscritti in franchi, nel tentativo
di sfruttare i tassi al minimo. I più esposti sono i polacchi, ma la situazione rischia di esplodere anche in
Croazia, dove le autorità hanno conteggiato una esposizione di 3 miliardi di euro e in Slovenia con quasi 800
milioni di euro.
Tornando alla Svizzera, l'impatto finanziario è evidente anche per le società quotate alla Borsa di Zurigo,
dove l'indice Smi ha ceduto il 5,96% dopo il calo di oltre l'8% della vigilia.
L'impatto sui bilanciè tanto più negativo quanto più un gruppo realizza ricavi in valuta estera, principalmente
dollari ed euro, e sopporta costi in franchi. Tipica situazione in cui vengono a trovarsi le grandi banche
d'affari, come Ubs e Credit Suisse, e i gestori grandi patrimoni, come Julius Baer. Ecco perché ieri a Zurigo
Julius Baer è crollata del 14,5%, Credit Suisse del 9,2% e Ubs, la prima banca elvetica, ha ceduto il 6,1 per
cento. Secondo gli analisti di Credit Suisse, una discesa del 14% del cambio tra euro e franco dovrebbe
avere un impatto negativo sull'utile atteso di Ubs per il 2015 nell'ordine del 7%, mentre si dovrebbe salire al
16% nel caso di Julius Baer. A calcolare le conseguenze del super franco per la stessa Credit Suisse, a ruoli
ribaltati, è Ubs, che osserva come la banca d'affari concorrente abbia già fatto sapere che, nei primi nove
mesi del 2014, un eventuale movimento del 10% del cambio tra euro e franco avrebbe avuto un impatto del
5% sull'utile pretasse.
In difficoltà anche il settore del lusso e degli orologi. Swatch ha ceduto oltre il 7%, Richemont il 6,74%. Per la
prima, Exane Bnp Paribas calcola una riduzione del 13% dei profitti attesi per la fine del 2015, mentre per
Richemont la contrazione dovrebbe essere nell'ordine del 3 per cento. Nemmeno il settore svizzero del
farmaceutico passerà indenne la tempesta. Secondo Ubs, la più esposta alle fluttuazioni del franco è la
società Actelion, che dovrebbe subire un impatto negativo del 18,3% sul risultato netto del 2015 in caso di
cambio tra l'euro e la valuta elvetica allo 0,9.
LE TAPPE L'ALLINEAMENTO Nel 2011, la Banca centrale svizzera "fissa" a 1,20 il cambio tra euro e franco
LA SVOLTA Il 15 gennaio l'autorità monetaria elvetica, a sorpresa, decide di sganciare il franco dall'euro PER
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La finanza
17/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 26
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Foto: IN CODA In Svizzera cambisti presi d'assalto dai risparmiatori che cercano di vendere euro e
acquistare franchi prima che la moneta unica si deprezzi ancora
18/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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Alfano avverte il premier "Adesso il Quirinale spetta al centrodestra"
CARMELO LOPAPA
A PAGINA 5 Alfano avverte il premier "Adesso il Quirinale spetta al centrodestra" ROMA. Napolitano si è
dimesso, non è più tempo di identikit generici. Quale profilo pensa di proporre per il Quirinale, ministro
Angelino Alfano? «Non abbiamo da imporre nomi, sarebbe velleitario e presuntuoso da parte nostra.
Chiediamo piuttosto al Partito democratico di non sottoporre agli alleati delle scelte nate da un congresso
interno». Sta dicendo che Renzi e il suo partito del 40 per cento non dovrebbero indicare un candidato ma
concordarlo con voi e altri? «Sto facendo un ragionamento diverso. Invitiamo a guardare agli ultimi decenni di
storia repubblicana, in cui una forza del 40 per cento come la Dc ha avuto la lungimiranza di far eleggere coi
propri voti figure di altissimo spessore quali un liberale come Einaudi, un grande socialista come Pertini, un
fondatore della socialdemocrazia come Saragat. Insomma, vi attendete almeno un rosa di nomi? «La prima
mossa spetta a Renzi quale leader del Pd, le nostre eventuali proposte sarebbero bruciate. Ma sottoponiamo
al premier due considerazioni.
La prima: lui sta rappresentando anche grazie a noi e Fi il motore di una trasformazione straordinaria della
forma di governo e di quella di Stato. A quest'area di centrodestra è bene che Renzi offra la possibilità di
contribuire realmente alla scelta del garante delle istituzioni. Fermo restando che a un presidente del
Consiglio quarantenne dovrebbe affiancarsi un certo rinnovamento generazionale anche al Quirinale». La
seconda considerazione? «Quest'area che lo sta sostenendo ha vinto tre delle ultime sei campagne elettorali
negli ultimi 20 anni della Seconda Repubblica. Purtroppo quelle tre volte non hanno mai coinciso con
l'elezione presidenziale e quell'area moderata non ha mai avuto la possibilità di esprimere la più alta carica
dello Stato».
E dovrebbe farlo proprio adesso che è minoranza? «Questaè la legislatura del pareggio, in cui il Pd esprime
gran parte del governo e i presidenti delle Camere, ma c'è tutta un'area del Paese che sostiene governo e
riforme che non può essere ignorata. Sono convinto che il leader democratico avrà la lungimiranza
necessaria a non farla sentire estranea».
Ecco, tra le candidature cresce quella di un moderato come Sergio Mattarella. La prende in considerazione?
«Non poniamo veti ma non diamo neanche endorsement a candidature addirittura prima che vengano
ufficializzate dal Pd. Siamo ancora sullo zero a zero, a inizio partita, non è il momento di partecipare al toto
nomi».
Tra martedì e mercoldì vedrà Berlusconi. Lavorerete a una candidatura comune? «Mi sembra normale un
incontro con Forza Italia. E sarebbe auspicabile che le forze che stanno dando una mano d'aiuto a cambiare
il volto dello Stato, estranee alla famiglia del Pse, arrivassero unite all'appuntamento del Quirinale». Fronte
sicurezza e terrorismo. Cosa vuol dire la cattura dei due jihadisti al confine con l'Italia? «L'allerta è già
altissima. Siamo vigili e attenti sui controlli alle frontiere e anche sulle espulsioni e i rimpatri. I nostri migliori
esperti di antiterrorismo delle forze dell'ordine e dell'intelligence sono al lavoro per individuare ogni elemento
degno di attenzioni anche quello in apparenza meno rilevante».
Il ministro Gentiloni parla di un livello di allerta 7 su 10. Concorda? Che rischi corriamo dopo i fatti di Parigi?
«Non do un numero ma esprimo un giudizio. Nessun Paese, nemmeno il nostro, può dirsi a rischio zero. Noi
abbiamo un livello di allerta altissimo».
Come vi state muovendo con gli altri ministri dell'interno europei? «Il contattoè continuoe costante. Ma
bisogna lavorare anche sulle frontiere.
Torno da delicate missioni a Tirana ed Ankara per potenziare lo scambio di informazioni e affrontare il
problema delle navi cariche di migranti in balia dei trafficanti».
Esistono rischi di infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori? «Non ne abbiamo traccia, lavoriamo sulla
prevenzione. Anche alcune procure se ne stanno occupando, ma non mi sembra stiano emergendo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'INTERVISTA
18/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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riscontri».
Il rilascio delle due ragazze italiane in Siria ha innescato polemiche sul riscatto. Come risponde? «Il dato di
fatto indiscutibile è che il governo ha portato a casa due ragazze sane e salve. Un successo della nostra
diplomazia e della nostra intelligence.
Cosa avrebbero detto i leghisti e tanti altri se le due ragazze avessero perso la vita?»DESTRA
"Il premier riconosca il ruolo del centrodestra nella trasformazione straordinaria del governo e dello Stato
TERRORISMO "Sul fronte terrorismo l'allerta è altissima, bisogna lavorare sulle frontiere Il segreto è la
prevenzione
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.quirinale.it
Foto: MINISTRO Il leader del Ncd si augura un rinnovo generazionale anche al Quirinale
18/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 2
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Il premier studia le contromosse "Vogliono la scissione a sinistra
proveranno il blitz sul Colle"
GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA. Matteo Renzi mette insieme la foto dei firmatari dell'appello a favore di Tsipras e l'addio di Cofferati al
Pd. «La sinistra cerca uno spazio, pensa a un cantiere. Magari non sarà subito, ma qualcosa succederà nelle
prossime settimane». Un progetto legato anche all'esito delle elezioni greche. Se vince Syriza, l'idea di una
Cosa rossa prenderà sempre più corpo. Debora Serracchiani ha telefonato ieri mattina all'ex leader della Cgil
per convincerlo a non uscire dal partito. Lo ha sentito amareggiato per la vicenda dei seggi contestati ed per
la sottovalutazione del segretario. Più una ferita personale che un problema politico. Poi però Cofferati, nella
conferenza stampa, ha girato il suo j'accuse sullo spostamento a destra del Pd, sulle alleanza contro natura
con pezzi di Ncd e Forza Italia. E lo spettro di una scissione verso a sinistra ha acquisito contorni più definiti.
Quelli di Cofferati sono gli stessi argomenti usati da Stefano Fassina e Pippo Civati che hanno siglato
venerdì il manifesto pro-Tsipras insieme con Vendola e a componenti del sindacato. «Il punto non è l'uscita di
Sergio - dice Fassina -. Il punto sono le migliaia di persone che non hanno partecipato al voto in Emilia
Romagna o il milione di persone che scende in piazza contro il Jobs act e le politiche economiche del
governo». È un movimento di massa che si allontana dal Partito democratico, compensato dai voti del
centrodestra ma che smarrisce l'identità del Pd. Con una fetta della sinistra che non riconosce la leadership di
Renzi. Su questo ragionano i dissidenti.
L'ipotesi scissione viene negata sia Fassina sia da Civati.
Non ora, non qui, tanto più che tra dieci giorni si vota per la presidenza della Repubblicae il dissenso conta
solo stando dentro i giochi non uscendo all'improvviso. Ma Civati lega la partita del Quirinale alle vicende
liguri. Non rinuncia al sogno di riportare a sinistra un pezzo del Movimento 5stelle. «Se i grillini si decidessero
a scegliere Prodi fin dalla prima votazione, allora sì che Renzi e il Pd sarebbero in difficoltà. E un'alleanza in
Parlamento potrebbe estendersi anche nel resto d'Italia a cominciare dalla Liguria». Ovvero dalla regione di
Beppe Grillo.
«Vedo però che sul suo blog non c'è nemmeno una parola su Cofferati. Il risveglio non è ancora iniziato»,
dice Civati.
Renzi non si nasconde il pericolo della scissione. Di un contraccolpo immediato sul voto ligure, soprattutto.
Ieri non ha chiamato Cofferati (lo hanno sentito i vicesegretari Serracchiani e Lorenzo Guerini), ma ha subito
telefonato a Federico Berruti, sindaco di Savona, renzianissimo e vice designato dall'eurodeputato sconfitto
alle primarie. «Vieni a Roma - gli ha detto -. Ci vediamo giovedì o venerdì. Bisogna recuperare quel mondo».
Insomma, il caos primarie non è uno scherzo e rischia di avere effetti anche a livello nazionale, se non
addirittura sul clima interno prima del voto per la presidenza della Repubblica. «Rispetto la scelta di Sergio,
ma la trovo incomprensibile - spiega il premier ai collaboratori -. Non si fa dopo una sconfitta, io non l'ho fatto
nel 2012. Eppoi quando va tanta gente le primarie sono inquinate e ci sono le truppe cammellate, in Emilia
votano in pochie sono un flop. I critici ad oltranza si decidano...». Nelle polemiche Renzi vede il tentativo di
indebolirlo, di ostacolare sia le riforme sia la sfida del Colle. «Quanta ipocrisia in certe dichiarazioni»,
osserva. stizzito.
A tutti quelli che lo hanno contattato per fermarlo (Bersani, Andrea Orlando) Cofferati ha garantito che il suo
strappo non punta a un nuovo progetto, nemmenoa una candidatura alternativa a quella della vincitrice delle
primarie. Il nome e la storia dell'ex segretario della Cgil lasciano però il segno in un Pd che deve ancora
trovare compattezza per il voto sulle riforme e sul capo dello Stato.
Fassina accusa Renzi di seguire soltanto politiche di destra. «Se la sinistra perde Cofferati lo umiliamo, se
invece imbarchiamo Scajola e i suoi. È inaccettabile», dice Civati. Le ferita c'è.
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IL RETROSCENA
18/01/2015
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Bisogna reagire. «Non posso credere che Cofferati oggi disconosca la storia del suo partito e il percorso
delle primarie, e umili il lavoro dei militanti e dei volontari che domenica hanno reso possibile il voto ai
gazebo», attacca il vicesegretario Serracchiani che pure con l'ex sindacalista ha un rapporto profondo. «Le
scelte di Cofferati oggi rischiano molto di essere strumentalizzate da forze politiche che pensano meno al
Paese e più a ritagliarsi spazi - aggiunge Serracchiani - ho conosciuto e ho lavorato assieme a Sergio al
Parlamento europeo, e non credo che la sua aspirazione politica possa essere quella di andare a confluire in
una forza minoritaria, mentre il Pd è lo spazio naturale per una sinistra moderna». Il punto è che Renzi non
può permettersi la frattura dentro al Pd unita al caos di Forza Italia. Perché la prossima settimana è decisiva
per l'Italicum, al Senato si votano gli emendamenti. E quella successiva si stringe sul nome del futuro capo
dello Stato. LE TAPPE CIRCO MASSIMO Da segretario della Cgil porta al Circo Massimo tre milioni di
persone per dire no alla modifica dell'articolo 18: una delle maggiori manifestazioni pubbliche del dopoguerra.
È il 23 marzo del 2002. SINDACO Nel giugno 2004, dopo le dimissioni da segretario della Cgil, diventa
sindaco di Bologna, candidato dal centrosinistra.
Sconfigge il sindaco uscente Guazzaloca.
Rimane in carica fino al 2009
EUROPARLAMENTARE Nel 2007 è tra i 45 fondatori del Partito democratico.
Nel 2009 è eletto europarlamentare.
Viene riconfermato nel maggio del 2014, ottenendo più di 120mila preferenze. PRIMARIE Si candida alle
primarie della Liguria, contro la renziana Raffaella Paita. Perde per 3200 voti, ma ma la contesa è
contrassegnato da irregolarità.
Il voto viene annullato in 13 seggi
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"Adesso Sergio venga con noi insieme rifaremo un nuovo soggetto"
Liguria hanno costruito accordi con Scajola e la destra I dem si sono rotti Quanto accaduto è un segnale per
noi: si apre un'altra fase LEADER DI SEL NICHI VENDOLA
GIOVANNA CASADIO
ROMA. «Se Cofferati fosse disponibile, attorno a lui si può ricostruire un centrosinistra vero in grado di
vincere in Liguria. Paita si prenda per intero la responsabilità di avere snaturato e ucciso il centrosinistra».
Per Nichi Vendola, il leader di Sel, siamo a un passaggio politico chiave, in cui «il Pd ha cominciato a
rompersi». Vendola, sapeva che Sergio Cofferati stava per lasciare il Pd? «Non sono sorpreso da questa
scelta. Percepisco il turbamento e il dolore con cui Sergio dà l'addio al suo partito, dopo avere guardato negli
occhi questa nuova creatura che è il Pd di Renzi».
E cos'è il Pd renziano, secondo lei? «Un esorcismo di ciò che è sinistra. Sinistra c'è se c'è limpidezza,
chiarezza programmatica, se attorno a un programma di governo si costruisce un blocco sociale e un sistema
di alleanze che rendano credibile anche quel programma. Quanto è successo nel Pd ligure, e anche sta
accadendo nelle altri parti d'Italia per le regionali, è costruire alleanze che sono una Arca di Noè del
trasformismo. In Liguria l'antagonista di Cofferati alle primarie, Raffaella Paita - con l'imprimatur autorevole di
Roberta Pinotti e Claudio Burlando - ha costruito accordi neppure segreti con gli uomini di Scajola e con pezzi
della destra compromessi anche dal punto di vista morale». Chiederà a Cofferati di candidarsi con una lista
della sinistra e di Sel? «Se fosse disponibile, per noiè non solo una bandiera, ma resta un punto di riferimento
per vincere e governare fuori dalle alleanze scellerate e nel segno della discontinuità. È incredibile la
sottovalutazione che il Pd nazionale ha fatto della vicenda ligure». Nascerà un nuovo movimento della
sinistra in vista delle politiche? «Quanto accaduto in Liguria, è un segnale per tutta Italia. Si apre un'altra
fase».
Avete definitivamente deciso di non allearvi con il Pd in Liguria? «Sarà impossibile per noi sostenere
l'ammucchiata che si raccoglie attorno alla Paita».
Ma se Paita facesse un passo indietro sarebbe possibile ancora l'alleanza del centrosinistra? «Di passi
indietro ne ha fatti già, nel senso che ha abbracciato un brutto passato.
Sel si assume la responsabilità di far perdere il centrosinistra in Liguria? «La Paita si è già assunta questa
responsabilità. Se la prenda per intero» Ma una sinistra di governo è possibile rompendo con il Pd? «La
notizia oggi è che il Pd ha cominciato a rompersi dalla Liguria. Cofferati nonè un ragazzo in carriera, è un
pezzo della storia, uno dei simboli della sinistra italiana. È brutta inoltre tanta incredibile teppistica
maleducazione negli attacchi a Sergio».
Siete accusati di settarismo? «E perché? Con il cattivo realismo il centrosinistra ha perso tante volte e
soprattutto ha perso l'anima. Siamo di fronte a passaggi politici inauditi nella loro gravità. A fine settimana
prossima con Human Factor cerchiamo un rilancio forte a sinistra».
Non crede che, se il centrosinistra si spacca, scompare anche la sinistra di governo? «Così dicevano di
Tsipras, mentre il ciclopico Pasok è ora al 4%». Proporrebbe Cofferati presidente della Repubblica? «Non
gioco al toto nomi per il Quirinale nel teatrino del Palazzo». PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it
www.partitodemocratico.it
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L'INTERVISTA/ NICHI VENDOLA
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La trincea dell'ex ministro: io non mi dimetto Ma nel partito ormai è tutti
contro tutti
(c.l.)
ROMA. «Io dimettermi? Ah ah ah...» Riattacca il telefono ridendo, il capogruppo forzista Renato Brunetta
quando gli viene chiesto se dopo il siluramento di Berlusconi, mai così plateale, così brutale, avesse
intenzione di farsi da parte, accontentando cosìi suoi tanti detrattori nel partito. «Ne riparliamo mercoledì in
assemblea, con tutti, alla presenza del presidente», avverte lui col tono per nulla contrito.
Raccontano che il leader, ad Arcore, sia fuori dalla grazia di Dio. «Proprio ora mi fa saltare tutto per aria?
Non basta Fitto?» Un avvicendamento alla guida del gruppo ormai lo ha messo nel conto. Ma la pratica è
rimandata all'indomani dell'elezione del presidente della Repubblica. Solo allora i sostenitori di Mariastella
Gelmini usciranno allo scoperto, prima avrebbe l'effetto del detonatore. Berlusconi ha meditato ore prima di
fustigare con quella nota il pur fedelissimo Renato. Che già era stato richiamato all'ordine tre giorni fa,
quando il capogruppo si era scatenato in una guerriglia parlamentare contro la riforma del bicameralismo.
«Così non va», lo aveva avvertito Berlusconi al telefono.
Poi è seguito lo scontro quasi fisico tra lo stesso capogruppo e Verdini a Palazzo Grazioli. Ieri il big bang. La
goccia che fa traboccare il vaso, solo l'ultima, l'intervista di ieri al Corriere e le dichiarazioni al Gr1 . Indomito,
Brunetta minaccia il premier Renzi: «Sarà guerra, prima del Quirinale si andrà ai materassi»,e ancora, «Renzi
fannullone, perché aspetta il 20 febbraio per fare i decreti fiscali che gli italiani aspettanoe blocca il
Parlamento per due riforme del tutto inutili?» Gli chiedono: «Berlusconi d'accordo con lei?» E lui:
«Assolutamente sì». Insomma, mentre Verdini e Romani tessono la trama degli accordi con Palazzo Chigi
per conto del capo, il capogruppo taglia e trancia.
«Adesso basta» è sbottato ieri Berlusconi, che a differenza delle altre volte non ha nemmeno chiamato
Brunetta, mentre Verdini e altri si sfogavano con lui al telefono («Non possiamo avere due linee, così siamo
finiti»). La dichiarazione del leader è di fuoco. «Leggo un'ultima agenzia con dichiarazioni dell'on. Brunetta
che, a suo dire, io condividerei. È esattamente il contrario. Non sono d'accordo sui giudizi espressi da
Brunetta e neppure sulla sua abitudine di attaccare personalmente gli avversari politici. Chiedo a Brunetta di
cambiare atteggiamento». Se non è un «dimissionamento» del capogruppo, poco ci manca. Anche perché
Berlusconi era già intervenuto un paio d'ore prima per rassicurare Renzi: «Abbiamo preso degli impegni che
intendiamo rispettare.E questo vale anche peri tempi e le procedure. Stia tranquillo perciò Renzi, nessuna
guerra sulle riforme. Nel partito tutti rispettino le decisioni prese». Un uno-due in grado di affondare chiunque,
ma non Brunetta, a quanto pare. Lui replica per iscritto e tiene il punto, provocatorio: «Per antica
consuetudine, tutte le mie analisi e tutte le mie dichiarazioni sono sempre state concordate con Berlusconi,
anche quando lui cambiava parere». E poi: «Per quanto riguarda gli attacchi personali, è mio dovere
rispondere a quelli altrui, cosa che continuo a fare con pieno plauso del presidente». L'affondo del capo non
era stato l'unico della giornata, per altro. Nelle stesse ore un documento di fuoco viene preparato dall'altro
capogruppo (al Senato) Romani e - raccontano - dall'altro sponsor del Nazareno, Denis Verdini. Inviato per la
sottoscrizione e a tutti i parlamentari: «La differenza di opinioni non può spingersi a danneggiare il nostro
movimento ed il presidente Berlusconi avvalorando un presunto sostegno di Fi o l'esistenza di fantomatici e
oscuri interessi» si legge tra l'altro. I quaranta fittiani si rifiutano di sottoscriverlo.
Scatta l'ora della resa dei conti, dentro quel frullatore impazzito che è ormai Forza Italia, nel momento
peggiore.
Foto: CAPOGRUPPO Renato Brunetta capogruppo azzurro
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IL RETROSCENA
18/01/2015
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"Io, torturato e in catene i miei due anni d'orrore prigioniero di Al Nusra"
Le italiane troppo ingenue? A me, che avevo anni di esperienza, è capitato lo stesso
FABIO TONACCI
«SENTO dire che Vanessa e Greta sono state rapite perché ingenue e superficiali...beh, io avevo dieci anni
di esperienza in Medio Oriente, conosco l'arabo, ho studiato il Corano, eppure mi sono ritrovato nella loro
stessa situazione: sequestrato in Siria per quasi due anni dai qaedisti di Jabhat Al Nusra». La seconda vita di
Peter Theo Curtis, giornalista freelance americano di 47 anni, è cominciata una mattina del 24 agosto scorso,
quando l'uomo che lo ha torturato per 22 mesi ha deciso di lasciarlo tornare a casa. Da allora Peter Theo
vede le cose in modo diverso. Sua madre, gli amici, la carriera, la sua bicicletta. Sul telefonino ha la foto delle
due cooperanti italiane appena liberate. «Nessuno deve dimenticare perché sono andate laggiù», dice. «Per
aiutare i bambini, per portare aiuti alle vittime della guerra».
In Italia ci sono persone, tra cui anche politici, che accusano il nostro governo di aver trattato con i terroristi
per colpa di due ragazze "troppo ingenue".
«Non avevamo capito quanto può diventare cattiva quella gente, quando decide di esserlo. Ora lo sappiamo.
Ma Vanessa e Greta vanno perdonate perché hanno vent'anni: a quell'età si fanno cose stupide. Sono
comunque un esempio di coraggio e di generosità».
Cosa le è stato d'aiuto, dopo la liberazione, per superare quell'esperienza così drammatica? «Andare in
bicicletta tutti i giorni! E l'affetto di mia madre. Quando sono tornato stavo con lei 24 ore al giorno».
Anche nel suo caso si è parlato del pagamento di un riscatto. Si è mai sentito in qualche modo colpevole
verso il suo Paese? «No, però durante la prigionia nella mia testa avevo un colloquio continuo con mia
madre, non smettevo di chiederle scusa perché mi aveva detto e ripetuto di non andare in Siria». Lei è stato
torturato perché la ritenevano una spia della Cia. Vanessa e Greta dicono di non aver subito violenze.
Ci crede? «Sì, perché non dovrei? Del resto loro sono troppo giovani per essere considerate agenti segreti,
al massimo le hanno viste come missionarie cristiane».
Qual è stato il momento peggiore dei due anni vissuti da prigioniero di Al Nusra? «È stato dopo i primi 6
mesi. Mi davano poco cibo, a volte avariato, avevo i pidocchi nei capelli, indossavo gli stessi vestiti del giorno
del rapimento, avevo freddo, non mi avevano mai lasciato fare una doccia, ero ammanettato mani e piedi.
Per tre mesi mi avevano picchiato, poi si erano calmati. Un giorno però uno entrò nella stanza e mi pestò a
sangue. Di nuovo. Lì caddi in depressione, pensavo che non sarebbe mai finita».
Quanto l'ha cambiata quell'esperienza? «Mi ha reso più sicuro di me stesso. Prima ero molto concentrato
sulla mia carriera, volevo essere un giornalista e avere dei bei vestiti...adesso mi importa solo di aiutare gli
amici e le persone che sono meno fortunate...perché siamo vivi per poco, moriamo troppo presto, dobbiamo
tutti fare qualcosa».
Tornerebbe in Siria? «Mi piacerebbe, ho lasciato molti amici lì.
Adesso mi fido del regime...se mi garantissero la sicurezza, andrei. Ma non credo che lo faranno».
Foto: Peter Theo Curtis, 47 anni, freelance
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L'INTERVISTA/ IL GIORNALISTA AMERICANO PETER THEO CURTIS
18/01/2015
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"Cinema e arte: così la mia Francia sconfiggerà il terrore"
Dobbiamo lavorare sui giovani, nelle scuole, insegnare l'autonomia di pensiero, la facoltà critica
ARIANNA FINOS
PARIGI. «La cultura è la risposta al terrore». Fleur Pellerin, ministro francese della Cultura, vuole difendere
l'eccezione d'Oltralpe, dove ogni artista può esprimersi liberamente.
«Dobbiamo incentivare tutte le iniziative che aiuteranno a sviluppare senso critico, a resistere alle ideologie e
ai dogmi», spiega al rendez-vous di Unifrance per la promozione nel mondo del cinema francese. «Gli eventi
di cui siamo stati testimoni sono terribili. Ora dobbiamo lavorare con i giovani, nelle scuole».
In che modo? «Ad esempio un film come Timbuktu di Sissako andrebbe proiettato in classe. I ragazzi hanno
accesso a mille informazioni, ma manca loro la chiave per avere una distanza critica da ciò che leggono o
ascoltano. Vanno educati all'autonomia di pensiero».
Cosa state organizzando? «Mi aspetto che gli artisti vengano da me con idee, film, eventi. Sosterrò più
iniziative che posso. Nelle prossime settimane ci saranno concerti, mobilitazioni in favore della libertà di
espressione, e anche per sostenere lo spirito degli artisti di Charlie : l'insolenza, l'umorismo».
Il comico Dieudonné è stato fermato per aver detto "Je suis Charlie Coulibaly". Quale il limite alla libertà di
espressione? «Le nostre leggi. In Francia, la libertà di espressione è importante, abbiamo una lunga
tradizione che non si può pensare di annullare. Puoi avere la tua sensibilità e le tue idee, ma non puoi violare
la legge: usando frasi razziste o facendo apologia di reato». Timbuktuè il film di un regista mauritano,
prodotto in Francia.
«Voglio che qualunque artista che nel suo Paese non si sente libero o sicuro pensi: "Posso esserlo in
Francia". Voglio che il nostro diventi il Paese delle possibilità, anche nel senso di un sostegno economico a
registi del calibro di Sissako».
Pensa che sia importante, oggi più che mai, sostenere registi di origini diverse come Abdellatif Kechiche e
Rashid Bouchareb? «Sostengo da sempre la pluralità sociale in politica, in economia, nei media, nell'arte.
Facce che non sono quelle francesi in senso tipico in Parlamento se ne vedono poche.
Servono invece modelli diversi, perché ciascun cittadino pensi: "Se lui ce l'ha fatta, posso farlo anch'io"».
Foto: a ministra Fleur Pellerin
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L'INTERVISTA. FLEUR PELLERIN, MINISTRO DELLA CULTURA DI HOLLANDE:LO SPIRITO RIBELLE DI
"CHARLIE" NON È MORTO
18/01/2015
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I "convertiti" contro i sacerdoti del rigore così è cambiato lo scacchiere
della Bce
La decisione sul Quantitative Easing sarà presa il 22 dal Consiglio direttivo della Bce I componenti austriaci,
belgi e francesi sono ora più aperti alla strada della flessibilità
ANDREA TARQUINI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO. Arriveranno in venticinque uno dopo l'altro, tutti puntuali attorno alle 9. Sfidando il vento freddo di
Francoforte, la "Manhattan sul Meno", scenderanno incappottati dalle nere Bmw, Volvo, Citroen o
LanciaChrysler. Con una cartella e un tablet, pronti al mezzogiorno di fuoco per il Governing council della Bce
da cui dipenderà il futuro dell'Europa. Eccoli, "tutti gli uomini del Presidente" come già li chiamano ai piani alti
delle banche e nei governi dell'Eurozona. Il presidente è "Supermario" Draghi, quindi non tutti i 24
componenti del Consiglio sono suoi alleati. Fino a poco tempo fa si dividevano semplicemente in falchi e
colombe, come in concetti da guerra fredda: seguaci dell'interventismo di Draghi da una parte, o del rigore
del presidente di Bundesbank, Jens Weidmann, dall'altra. Ma gli schieramenti sono cambiati velocemente e
la tempesta della crisi ha trasformato alcuni falchi di rango in "convertiti", passati dalla scuola dura e pura
made in Germany a empatie per il presidente. Si confronteranno per ore, giovedì, all'Eurotower quando si
deciderà il piano di acquisto di titoli di Stato pensato per contrastare la deflazione e salvare la moneta unica.
Primus inter pares è obbiettivamente Jens Weidmann, il giovane presidente della Bundesbank. Crede
sinceramente nel rigore duro, come ha spiegato a dicembre in un'intervista esclusiva con Repubblica :
acquistare titoli sovrani sarebbe ai limiti od oltre il mandato della Bce - dirà Weidmann giovedì - e per
l'eurozona ci vogliono vere riforme, non dannosie ingannevoli fuochi di paglia degli aumenti di spesa. Il
numero uno della Buba è anche consigliere di una Angela Merkel che sembra volerlo appoggiare ma non più
a oltranza, lui che ama mostrare a ogni ospite la collezione d'arte della Bundesbank in WilhelmEpsteinstrasse a Francoforte. Per Weidmann, dunque, linea dura, tradizioni antiche, maestri di rango come
Karl-Otto Pohl o Hans Tietmeyer. E alleati fortissimi. Almeno fino a ieri. Il fronte dei falchi, infatti, si sta
assottigliando sotto la tempesta dell'alta disoccupazione giovanile, della deflazione e della recessione. Al
fianco di Weidmann resterà sicuramente Sabine Lautenschlaeger, secondo rappresentante tedesco in quota
al governo nel Consiglio Bce: la sua nomina al posto della colomba Asmussen, rinunciatario per motivi
familiari, è stata un brutto colpo per Draghi. Decisa, ben preparata e forte dell'entusiasmo dei neofiti, Sabine
affianca Weidmann nella ricerca di alleanze. Ma è meno facile di ieri, in questa specie di contesa di politica
monetaria tra guelfi e ghibellini. Restano sul fronte della fermezza i rappresentanti di Paesi storicamente
falchi, come governatore olandese Klaas Kont, che però teme i pericoli della bolla finanziaria-immobiliare nel
regno; l'irlandese Patrick Honohan, i lussemburghesi Yves Mersch (in quota al governo) e Gaston Reinesch
(governatore della banca centrale), monetaristi decisi persino a sfidare il loro compatriota più potente nel
mondo, Jean-Claude Juncker presidente della Commissione europea. E col fronte della fermezza si
schierano i nuovi arrivati, cioè i rappresentanti dei Paesi baltici o della Slovacchia che sogna di cacciare
Atene dall'eurozona.
Una pattuglia forte, ma non è maggioranza sicura. Benoit Coeuré, membro francese (nomina governativa) e
Christian Noyer, governatore della Banque de France, non appaiono insensibili agli appelli a più flessibilità
lanciati da Matteo Renzi e François Hollande. Rigore e recessione aumentano il debito e lo sforamento dei
parametri, pugnalando l'euro, è il loro argomento. Comincia a fare breccia in cuori insospettati fino a ieri.
Come i belgi Peter Praet (governatore) e Luc Coene (nomina governativa), o il governatore della Banca
d'Austria Ewald Nowotny.
Per cui Draghi, il suo vice portoghese Victor, Constancio protagonista del brutale risanamento di Lisbona,
Ignazio Viscoe il greco Yannis Stournaras possono sperare nel «trend dei convertiti a sorpresa». Soprattutto
grazie al potente quanto poco conosciuto vip di un Paese rigorista-modello: il sorridente, ironico Erkki
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Liikanen, governatore della Suomen Pankki. Per decenni ritenuto falco, il finlandese ci sta ripensando: attenti
al rischio deflazione, e ricordiamoci di non aver esaurito gli strumenti utilizzabili, non si stanca di ripetere. In
costante contatto col governo di larghe intese di Helsinki (premier conservatore ma europeista Alexander
Stubb, vice socialdemocratica Jutta Urpilainen), sa quanto la recessione pesi anche a casa, in una delle
economie più moderne, globali e competitive del mondo.
Weidmann e i duri si sentono meno forti da quando il banchiere venuto dal freddo ha cominciato a diradare i
"no" a Draghi. Insieme, si dice, Erkki e Mario amano distendersi parlando d'arte moderna e letteratura
americana. Vedremo, appuntamento a giovedì per il mezzogiorno di fuoco dell'euro.
L'inflazione in Europa
ago 2012 2,7% 2,6% gen 2013 2,1% 2,0% giu 2013 1,7% 1,6% nov 2013 1,0% apr 2014 0,8% 0,7% set 2014
0,4% dic 2014 0,3% 0,9% 0,2% Unione Europea Eurozona FONTE: Eurostat
Foto: Un murales con Draghi e la Merkel nel cantiere della sede Bce
18/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 28
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L'idea bad bank come salvagente dei nostri istituti Ruolo di garante per il
Tesoro
Il sistema ideato da Bassanini avrebbe un impatto da 50 mld L'esperto Bivona: regalo ai soci
ANDREA GRECO
MILANO. Si torna a discutere di bad bank in Italia. Ne parlerà perfino il Consiglio dei ministri martedì, per
approvare un decreto che sdogani la ripulitura dei libri creditizi domestici. Tema annoso che andava
affrontato anni fa e per miopia politica - pari almeno alla cronica mancanza di fondi è costantemente rinviato.
Con effetti, ormai pubblici, di un settore bancario gravato da 180 miliardi di sofferenze (+21% in un anno), e
timido nel sostenere le imprese. Mentre l'urgenza cresce, però, lo fanno anche il debito pubblico e i vincoli di
bilancio. Anche per questo l'ipotesi cui lavora Palazzo Chigi non è di una vera bad bank. Per fare quella - vedi
Usa, Irlanda, Spagna - servono centinaia di miliardi, da iniettare nelle banche da nazionalizzare e risanare. Il
meccanismo ideato da alcuni tecnici delle istituzioni (guidati da Franco Bassanini, presidente della Cdp)
prevede di cartolarizzare crediti bancari in bonis, a rating tra BB e CC, e cederli alla Bce a sconto,
concedendo garanzie del Tesoro per le tranche più rischiose. Via XX Settembre verserebbe 8 miliardi in
garanzie - tanto non rientrano nel debito - con rischi di perderle se salta l'euro. Si può obiettare che l'ipotesi è
limitata, riguardando 50 miliardi di crediti. Si può poi obiettare che sottende aiuti alle banche italiane,
focalizzate sui crediti e perciò penalizzate dalle norme di Basilea (che valutano più benignamente le
cartolarizzazioni che non i crediti su cui si basano). Il rischio di trasferire benefici dal pubblico a soci e
obbligazionisti bancari in teoria c'è. E l'opposizione M5S si prepara alla guerra in Parlamento, lette le missive
che Giuseppe Bivona, ex operatore di grandi banche d'affari ora advisor di investitori con Bluebell, ha inviato
a tutte le autorità. «Si rischia di trasformare il Tesoro in un grande operatore di derivati creditizi, con indubbi
vantaggi per i soci delle banche a tutto discapito dei contribuenti italiani ed europei». Bivona preferirebbe
veder risolti i problemi delle banche col bail in , che azzera capitale e bond prima di chiedere soldi pubblici; e
suggerisce di nazionalizzare le più malmesse. Come Mps, da anni esposta ai suoi strali.
Foto: AL TIMONE Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan
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IL PUNTO
18/01/2015
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Pag. 29
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Ogni ora falliscono due aziende
Cribis: nel 2014 hanno chiuso 15.605 imprese (+9%). Commercio ed edilizia in affanno
LUISA GRION
ROMA. Due fallimenti all'ora, 62 al giorno. Piccole e grandi aziende che si arrendono alla crisi e portano i libri
in tribunale: in testai settori dell'ediliziae del commercio all'ingrosso, ma gettano la spugna anche macchinari
industriali e computer. E' la mappa dell'Italia che chiude, una mappa che negli ultimi sei anni è andata
espandendosi e non dà segni di ridimensionamento. Secondo i dati di Cribis D&B (società del gruppo Crif
specializzata in business information), nel 2014 ci sono stati 15.605 fallimenti, in aumento del 9% rispetto
all'anno precedente e del 66% rispetto al 2009, il periodo a partire dal quale la crisi economica ha prodotto i
suoi effetti sul territorio. Ma il picco estremo è stato toccato nell'ultimo quadrimestre dello scorso anno, che ha
visto fallire 4.502 imprese: è il dato più alto dal 2009.
Non si vede dunque un'inversione di tendenza: negli ultimi sei anni, sottolinea lo studio, oltre 75 mila imprese
hanno portato i libri in tribunale, nella maggior parte dei casi società di capitali, quindi di dimensione non
necessariamente ridotta. Le aziende piccole infatti, quando sono in difficoltà chiudono in tempi brevi,
direttamente, senza avviare il percorso giudiziario. I fallimenti sono il risultato finale di una crisi che si
manifesta in aziende più grandi e che vede i primi segnali nella difficoltà di far fronte ai pagamenti. Cribis D&B
fa notare che fallimenti, difficoltà di far onore ai debiti o di riscuotere i crediti vanno di pari passo. Dal 2010 ad
oggi c'è stato un aumento del 252,7% dei ritardi gravi (dai trenta giorni in su). In realtà solo il 37,5% delle
imprese italiane è puntuale nei versamenti. E la difficile liquidità di cassa è spesso il campanello d'allarme di
un futuro fallimento.
«La situazione è critica nel commercioe nell'edilizia, settori dove nell'ultimo anno sono fallite 4 mila imprese»,
commenta Marco Preti, amministratore delegato di Cribis. L'unica nota positiva, puntualizza, «è che negli
ultimi anni le aziende italiane hanno investito molto in strumenti che consentono di intercettare
tempestivamente i segnali di deterioramento. Sono quindi riuscite a prevenire e limitare meglio i rischi e a fare
previsioni sui flussi di cassa». Nella lunga lista delle aziende fallite, accanto a quelle che costruiscono nuovi
edifici (1.899 solo nel 2014) o installazioni (1.309) o commerciano all'ingrosso beni durevoli (1.197), ci sono
anche bar e ristoranti (720), trasporti, abbigliamento, alimentari, produzioni di macchine industriali e
computer. La crisi non risparmia le aree ad alta densità industriale. In testa alla classifica c'è quindi la
Lombardia che assorbe da sola oltre il 22% dei fallimenti nazionali e che dal 2009 ad oggi ha visto portare i
libri in tribunale 16.578 aziende. La seguono il Lazio (10,5), la Campania (8,7) e il Veneto (con l'8,4%).
I fallimenti in Italia FONTE CRIBIS D&B Numero fallimenti per anni I trimestre 2009 2010 2011 2012 2013
2014 2.202 2.825 2.988 3.212 3.637 3.823 II trimestre 2.391 3.001 3.411 3.109 3.728 4.278 III trimestre
1.730 2.058 2.205 2.397 2.647 3.002 IV trimestre 3.060 3.402 3.565 3.745 4.257 4.502 Totale 9.383 11.286
12.169 12.463 12.269 15.605
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LO STUDIO
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La crisi fa bene ai ricchi raddoppiati i loro beni
FEDERICO FUBINI
MENTRE crollava Lehman Brothers, falliva la Grecia, l'America sceglieva il primo presidente nero, l'ultimo
governo di Silvio Berlusconi scivolava via, la Cina cresceva del 60% e Apple diventava la società di maggior
valore al mondo, in Italia si consumava un evento storico. Nel 2008 la ricchezza netta accumulata del 30%
più povero degli italiani, poco più di 18 milioni di persone, era pari al doppio del patrimonio complessivo delle
dieci famiglie più ricche del Paese. I 18,1 milioni di italiani più poveri in termini patrimoniali avevano, messi
insieme, 114 miliardi di euro.
ALLE PAGINE 16 E 17 ROMA. Mentre crollava Lehman Brothers, falliva la Grecia, l'America eleggeva il
primo presidente nero, l'ultimo governo di Silvio Berlusconi scivolava via, mentre la Cina cresceva del 60% e
Apple diventava la società di maggior valore al mondo, in Italia si consumava un evento storico. In sordina,
però. Magari tutti erano troppo presi a seguire gli altri eventi, quelli che hanno segnato le prime pagine dal
2008 in poi, per accorgersene. Eppure non era invisibile, perché è stato uno spettacolare doppiaggio a
grande velocità.
E' andata così. Nel 2008 la ricchezza netta accumulata del 30% più povero degli italiani, poco più di 18
milioni di persone, era pari al doppio del patrimonio complessivo delle dieci famiglie più ricche del Paese. I
18,1 milioni di italiani più poveri in termini patrimoniali avevano, messi insieme, 114 miliardi di euro fra
immobili, denaro liquido e risparmi investiti. Le dieci famiglie più ricche invece arrivavano a un totale di 58
miliardi di euro. In altri termini persone come Leonardo Del Vecchio, i Ferrero,i Berlusconi, Giorgio Armanio
Francesco Gaetano Caltagirone, anche coalizzandosi, arrivavano a valere più o meno la metà di un gruppo di
18 milioni di persone che, in media, potevano contare su un patrimonio di 6.300 euro ciascuno.
Cinque anni dopo, e siamo nel 2013, sorpasso e doppiaggio sono già consumati: le dieci famiglie con i
maggiori patrimoni ora sono diventate più ricche di quanto lo sia nel complesso il 30% degli italiani (e
residenti stranieri) più poveri. Quelle grandi famiglie a questo punto detengono nel complesso 98 miliardi di
euro. Per loro un balzo in avanti patrimoniale di quasi il 70%, compiuto mentre l'economia italiana balzava
all'indietro di circa il 12%. I 18 milioni di italiani al fondo delle classifiche della ricchezza sono scesi invece a
96 miliardi: una scivolata in termini reali (cioè tenuto conto dell'erosione del potere d'acquisto dovuta
all'inflazione) di poco superiore al 20%.
Quanto poi a quelli che in base ai patrimoni sono gli ultimi dodici milioni di abitanti, il 20% più povero della
popolazione del Paese, lo squilibrio è ancora più marcato: nel 2013 le 10 famiglie più ricche d'Italia hanno
risorse patrimoniali sei volte superiori alle loro.
Sono questi i risultati più sorprendenti di un approfondimento che Repubblica ha svolto sui patrimoni degli
italiani durante gli anni della crisi. L'analisi si basa sui dati pubblicati dalla Banca d'Italia relativi alla ricchezza
netta nel Paese e la sua suddivisione fra strati sociali. Per le famiglie con i dieci maggiori patrimoni, una lista
che negli anni è cambiata, le informazioni sono tratte dalla classifica annuale dei più ricchi stilata dalla rivista
Forbes . Inevitabilmente né l'una né l'altra serie di datiè perfetta, molte informazioni sui patrimoni non sono
pubbliche e restano soggette a stime più o meno accurate. Ma le tendenze emergono con prepotenza e
raccontano due storie di segno diverso.
La prima non è a lieto fine: dal 2008 l'Italia ha subito un colossale abbattimento di ricchezza che si è
scaricato con forza verso la parte bassa della scala sociale, mentre al vertice tutto si svolgeva in modo
opposto. Lassù il ritmo dell'accumulazione di patrimoni personali accelerava come forse mai negli ultimi
decenni. La seconda storia invece fa intravedere un po' di luce in fondo al tunnel, perché la lista dei superricchi è cambiata in modo tale da alimentare qualche speranza sulle capacità del Paese di produrre in futuro
più innovazione, lavoro e reddito e meno rendite più o meno parassitarie. Sicuramente il punto di partenza di
questi anni non è incoraggiante. Calcolata in euro del 2013, la ricchezza netta totale degli italiani crolla di 814
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LA RICERCA
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miliardi negli ultimi cinque anni (quelli per i quali sono disponibilii dati, fino appunto al 2013). Sparisce nella
voragine della recessione quasi un decimo di patrimonio netto delle persone che vivono in questo Paese.
Circa due terzi di questa erosione si spiega con il calo del valore delle case, mentre il resto è dovuto a perdite
finanziarie o al ricorso di certe famiglie ai risparmi per sostenere le spese quotidiane. Per la parte della
ricchezza in mano ai ceti meno ricchi, "Repubblica" assume che la loro quota nel 2013 sul totale del
patrimonio degli italiani sia rimasta invariata rispetto al 2010: è ad allora che risalgono gli ultimi dati
disponibili. In realtà questa è una stima ottimistica, perché la tendenza alla diminuzione della quota di
patrimonio dei più poveri è evidente dagli anni precedenti. Nel 2000 per esempio il 40% più povero della
popolazione residente in Italia, 24 milioni di persone, aveva patrimoni pari al 4,8% della ricchezza netta totale
del Paese. Dieci anni dopo quella quota era già scesa al 4,2%. Anche così, il calo dei patrimoni della
"seconda" metà d'Italia, l'Italia meno ricca, è superiore alla media del Paese. Chi è già povero si impoverisce
più in fretta. Nel 2013 quei 30 milioni di italiani avevano nel complesso 829 miliardi (mentre gli altri 30
controllavano gli altri 8500). Nel 2008 però quegli stessi 30 milioni di persone avevano (in euro 2013) per
l'esattezza 935 miliardi. Dunque la "seconda" metà del Paese durante la Grande Recessione è andata giù
dell'11,3% in termini patrimoniali. La prima metà invece, i 30 milioni di italiani più ricchi, è scesa dell'8,2%. Gli
uni non solo erano molto più poveri degli altri prima della crisi: si sono impoveriti di più durante.
Tutt'altro Paese invece per le prime dieci famiglie. La loro ricchezza netta sale di oltre il 60% in termini reali
fra il 2008 e il 2013 e la loro quota sul patrimonio totale degli italiani aumenta. Cambia però anche un altro
dettaglio: la loro composizione. I più ricchi del 2013 non sono gli stessi del 2008 o del 2004 e per certi aspetti
formano una lista più interessante. Ora nel gruppo si trovano famiglie meno dedite alle rendite di posizione,
alla speculazione purao al rapporto con la politica per fare affari. Adesso dominano i primi posti imprenditori
più impegnati nella creazione di valore, lavoro e manufatti innovativi che interessano al resto del mondo.
Negli anni, escono dalla graduatoria di Forbes o scivolano in basso i capitalisti italiani che basano i loro affari
su concessioni pubbliche o investimenti immobiliari e finanziari. Emblematica - non isolata- la vicenda dei
Berlusconi, che negli ultimi cinque anni perdono 3,2 miliardi di patrimonio e scivolano dal primo posto del
2004, al terzo del 2008, al sesto del 2013. Sale in fretta invece il patrimonio di produttori industriali dediti
all'export. Succede nell'alimentare (i Ferrero o i Perfetti), nella moda e lusso (Del Vecchio di Luxottica,
Giorgio Armani, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, Renzo Rosso), nella farmaceutica e nell'industria ad alto
contenuto tecnologico (Stefano Pessina o i Rocca di Techint). Escono dalla top ten invece investitori
finanziari-immobiliari come Caltagirone o chi in passato ha puntato troppo sulle banche.
Questa diversa qualità del capitale vincente è un passo avanti di un'Italia sempre più piena di squilibri. È un
Paese che forse però si sta liberando, nel dolore, di alcuni dei peggiori vizi del suo capitalismo. Meglio,
quantoa questo, della Gran Bretagna, dove Oxfam ha condotto un'inchiesta di cui questa di Repubblica è la
replica per l'Italia. Lì i più ricchi, sempre più ricchi, restano gli eredi della vecchia nobiltà proprietaria di decine
di ettari di palazzi a Londra come il duca di Westminster o i Cardogan, o imprenditori indiani come gli Hinduja
o i Reuben. Se risolverà il problema della povertà, e uscirà dalla crisi, forse è l'Italia fra le due a potersi
ritrovare con una marcia in più.
MICHELE FERRERO, MIUCCIA PRADA, PATRIZIO BERTELLI, LEONARDO DEL VECCHIO, GIORGIO
ARMANI, BENETON, STEFANO PESSINA, SILVIO BERLUSCONI, ROCCA, PERFETTI, RENZO ROSSO
PER SAPERNE DI PIÙ www.bancaditalia.it www.forbes.com
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"Partire fu uno sbaglio, ma lo Stato non può imporre veti"
"VLADIMIRO POLCHI
ROMA. «Se me lo avessero chiesto, avrei sconsigliato a Vanessa e Greta di partire: nessuno dei nostri
volontari oggi è in Siria. Nessuna assicurazione lo coprirebbe. Nei Paesi in guerra, bisogna usare maggiori
cautele». Gianfranco Cattai, fino al 2013 presidente dell'Aoi (associazione delle ong italiane), oggi è a capo
della Focsiv: federazione di 72 organismi di volontariato, attivi in oltre 80 Paesi nel mondo. Per lui, «è giusto
che le ong valutino i rischi e non impegnino i propri uomini laddove non ci siano sufficienti margini di
sicurezza, ma è sbagliato inserire ora divieti o autorizzazioni da parte di organismi statali». Secondo lei, le
due volontarie italiane hanno sbagliato a partire per la Siria? «Personalmente gli avrei detto di non andare.
Avrei ricordato i casi del giornalista Domenico Quirico e soprattutto di Paolo Dall'Oglio, che era partito per
aiutare i civili siriani e di cui si è persa purtroppo ogni traccia».
C'è stata una sottovalutazione del rischio? «Immagino che le due ragazze avessero valutato la situazione e
pensassero di essere sufficientemente protette dai loro contatti in Siria. Forse è mancato un confronto serrato
con chi ha una lunga esperienza di cooperazione in situazioni di emergenza». Nelle emergenze le regole
della cooperazione cambiano? «Certo e si fanno più restrittive, per non mettere a rischio la vita degli
operatori. Noi, per esempio, siamo da tempo in Kurdistan. Operiamo a Erbil, mentre non siamo andati a
Kirkuk, perché la valutiamo troppo pericolosa. Per quanto riguarda la Siria, poi, oggi come oggi non manderei
nessuno».
Come si fa allora a portare aiuti in questi Paesi? «Ci sono alternative. In Somalia e Mali, per esempio,
lavoriamo solo con operatori locali».
Dopo il caso delle due ragazze rapite in Siria, la cooperazione deve ripensare le proprie modalità
d'intervento? «L'attualità di quanto accaduto deve portarci a una riflessione, ma ogni scelta precipitosa è
sbagliata. Lo spontaneismo degli interventi deve sposarsi sempre più con la competenza e la conoscenza
delle situazioni».
Per il presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, chi vuole andare in una zona di guerra
dovrebbe ottenere il via libera dalle autorità italiane. Insomma, senza l'ok della Farnesina non si parte. Che
ne pensa? «Attenti a decisioni a caldo. Le ong italiane hanno un know-how spesso superiore a quello del
ministero degli Esteri. È giusto agire con prudenza, non compiere gesti da sprovveduti, non andare in alcuni
Paesi a rischio, ma siamo contrari a divieti dall'esterno». Oggi come sono regolati i vostri rapporti con la
Farnesina? «In base alla legge 49 del 1987 sulla cooperazione internazionale, recentemente rinnovata, le
ong sono tenute a segnalare alle ambasciate la loro presenza in un dato Paese. A maggior ragione nelle
zone a rischio, le circolari del ministero ci impongono un continuo contatto con la Farnesina. Il ministero può
sconsigliare, ma non può vietare».
È giusto pagare un riscatto per salvare la vita di un operatore? «È un dilemma terribile. Nella mia lunga storia
non mi è mai capitato, anche se abbiamo avuto dei martiri trai nostri volontari. La vita viene sempre al primo
posto. Ma certo il non pagamento è il presupposto per restare a operare in un Paese. Una volta che paghi,
salvi una vita, ma rendi più pericolosa la permanenza degli altri operatori. Per tutto questo, non bisognerebbe
essere incauti nelle partenze».
Pagare o no il riscatto è un dilemma terribile, però se lo fai metti a rischio la vita di altri operatori
COOPERANTE Gianfranco Cattai, presidente del Focsiv
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L'INTERVISTA / GIANFRANCO CATTAI, LEADER DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO
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Sharansky: "Aumenta l'intolleranza e sempre più ebrei lasciano l'Europa"
L'INTERVISTA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FABIO SCUTO
GERUSALEMME «È DIFFICILE pronosticare le decisioni future sulla base dello shock in cui si trova in
questo momento la popolazione francese e particolarmente gli ebrei, e quanto questo potrà influenzare o
meno la decisione di immigrare in Israele. Noi prevediamo un aumento esponenziale delle richieste di
informazioni al nostro call center e delle prenotazioni degli incontri preliminari sull'argomento». Seduto nel
suo ufficio di King George Street, nel cuore di Gerusalemme, Natan Sharansky, l'ex dissidente sovietico
scambiato con una spia russa nel 1986 al celebre check-point Charlie di Berlino Este da allora emigrato in
Israele, è certamente la persona più titolata per parlare di immigrazione. Dirige dal 2009 l'Agenzia Ebraica,
l'ente che si occupa storicamente dell'arrivo degli ebrei in Israele e di favorire la loro integrazione nella
società civile israeliana.
I dati diffusi dall'Agenzia prevedono un incremento del 30 per cento di nuovi immigrati dalla Francia, dove
vive la più numerosa comunità ebraica d'Europa. È una stima per difetto? «Le previsioni che abbiamo
pubblicato si basano sul numero dei dossier aperti e dei procedimenti in corso in questo momento. Non
pubblichiamo mai previsioni sulla base di sensazioni, ma solo sulla base di dati e documentazione. È molto
probabile un incremento dell'immigrazione già nel corso di questo anno, al di là di quanto è stato previsto al
suo inizio. Ci stiamo preparando a questa possibilità e prendiamo le misure necessarie per accogliere un
numero di immigrati superiore al previsto».
Ogni anno, negli ultimi 3 anni, il numero degli ebrei francesi immigrati è quasi raddoppiato (1900-3000-7000,
10 mila nel 2015).È il segno di un disagio, di un'ondata antiebraica in Europa? «Il numero dei cittadini
francesi che hanno deciso di emigrare all'estero negli ultimi anni è in costante aumento, un milione e mezzo
di cittadini francesi vivono in questo momento fuori dai confini della Francia: in Gran Bretagna, in Belgio, negli
Stati Uniti o in Canada. L'emigrazione degli ebrei francesi si inserisce in questo fenomeno più generale.
È chiaro tuttavia che la scelta di Israele deriva anche da altri elementi, che vanno al di là del fenomeno
generale di espatrio dalla Francia. Gli ebrei che arrivano qui lo fanno per motivi personali, religiosi, culturali,
spirituali - evidenziando in molti casi anche l'atmosfera di intolleranza ed i violenti incidenti antisemiti di cui
sono vittime. Non generalizzerei parlando di un'ondata anti-ebraica in Europa, ma non vi è dubbio che vi sono
posti in cui molti ebrei - non tutti - sentono di non essere bene accetti o sentono che sia preferibile andare a
vivere in altri luoghi».
I nuovi immigrati accedono ad un percorso facilitato per inserirsi nella società civile e nel mondo lavorativo?
«Certamente. L'Agenzia Ebraica, congiuntamente al Ministero dell'Immigrazione e dell'Assorbimento, aiutano
gli immigrati nell'apprendimento dell'ebraico (corsi speciali), nell'avviamento professionale, assistendoli con
alloggi temporanei (centri di accoglienza), con prestiti agevolati per l'acquisto di una casa, per gli studi e per
l'attività professionale, eliminando per quanto possibile gli impedimenti burocratici nel riconoscimento di titoli
di studio esteri, al fine di un rapido inserimento nel mercato del lavoro. Ovviamente anche i servizi sociali
sono coinvolti nell'inserimento degli immigrati, quando se ne riscontra la necessità».
Qual è il numero complessivo degli ebrei che ogni anno decidono di emigrare in Israele, di fare l'Aliyah?
«Negli ultimi quattro anni, dal 2010 al 2014, sono arrivati in Israele circa 100 mila nuovi immigrati. Negli ultimi
dieci anni sono arrivati 245 mila nuovi immigrati. Quindi si può senz'altro dire che l'affluenzaè continua e
persino in aumento». Le parole di Netanyahu agli ebrei francesi "Israele è la vostra patria" hanno ferito la
politica francese ed il presidente Hollande, il quale ha ribadito che "la Francia è la patria degli ebrei francesi".
Lei che cosa ne pensa, qualè la patria degli ebrei? «Non siamo interessati a polemizzare con il presidente
francese, e certamente non vi è stata alcuna intenzione offensiva, né nei confronti dei francesi né nei
confronti di chiunque altro. Si devono intendere le parole di Netanyahu nell'ambito del loro contesto corretto,
che è quello del pubblico dibattito sionista ed israeliano.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA
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L'Aliyah in Israele è uno dei fondamenti dell'ethos sionista su cui si regge lo Stato d'Israele, e le cose sono
state dette in questo ambito, anche se, disgraziatamente, a volte vengono recepite da angolature diverse,
creando incomprensioni. Secondo me, la scelta di cambiare residenza e di trasferirsi da un Paese all'altro,
che sia Israeleo qualunque altro,è una decisione personale e sovrana di ciascuno e come tale deve essere
rispettata. La mia scelta personale, ovviamente, le è nota ed i fatti parlano da soli».
LA VIOLENZA
Chi viene qui lo fa per motivi personali religiosi, culturali spirituali, ma contano anche gli incidenti
antisemiti PER SAPERNE DI PIÙ www.un.org www.unwatch.org
Foto: EX DISSIDENTE Natan Sharanski è a capo dell'Agenzia Ebraica che gestisce l'immigrazione in Israele.
A destra, militari nel quartiere ebraico di Anversa
Foto: IL SELFIE Il selfie di Miss Israele con Miss Libano alle prove di Miss Universo a Miami, fa infuriare la
Rete Tanto che la libanese scarica la collega: "Mi ha attirato in una trappola. Io non c'entro"
19/01/2015
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Pag. 9
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"Je suis Charlie è una bandiera, non sarà un brand"
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANAIS GINORI
PARIGI. "Je suis Charlie" è lui: Joachim Roncin, 39 anni, direttore artistico della rivista di moda Stylist , che
mercoledì 7 gennaio ha twittato lo slogan che ha fatto il giro del mondo. Com'è nato lo slogan? «Eravamo in
riunione di redazione quando è arrivata la notizia della sparatoria a Charlie Hebdo. Eravamo sconvolti. Mi è
venuta voglia di scrivere qualcosa. Il mio lavoro è lavorare sulle immagini. Ho preso la testata del settimanale.
Ho tolto Hebdo, ho aggiunto "Je suis". Ho fatto uno sfondo e ho postato l'immagine su Twitter».
Cosa voleva dire? «Je suis Charlie è un messaggio universale in difesa della libertà di stampa e di
espressione. Era il mio modo di testimoniare la solidarietà coni giornalisti uccisi. Volevo anche dire che non
dobbiamo avere paura. Non ho immaginato per un solo istante che questo slogan sarebbe diventato la
bandiera di un movimento planetario. Non sono un leader, né lo voglio diventare».
Un marchio che ora molti vogliono sfruttare? «Sono inorridito all'idea che ci siano oggetti venduti sul web con
questo slogan. Per fortuna le autorità francesi hanno rifiutato tutte le richieste di depositare un marchio "Je
suis Charlie". Ora stiamo studiando con degli avvocati un modo di proteggere questo slogan, affinché venga
usato solo per difendere la libertà d'espressione».
Ha parlato con i superstiti di Charlie Hebdo? «Ci siamo incontrati qualche giorno fa. Luz, il vignettista, mi ha
ringraziato. Ci siamo abbracciati.
Non ero un lettore di Charlie prima degli attentati. La mia è stata una reazione all'orrore. Non pensavo di
finire in una storia così grande».
È orgoglioso di quello che ha fatto? «È stato un istinto, una gesto in fondo semplice. Ho cercato di
sintetizzare il sentimento di tanti. Il mio mestiere mi ha aiutato. So per esempio che uno slogan, per essere
efficace, non deve contenere più di otto parole. Qui ce ne sono tre. Ho scelto uno sfondo nero, per esprimere
il lutto. Tutto qui. Davvero non immaginavo il successo che avrebbe avuto. Fino al 7 gennaio avevo solo 400
follower su Twitter».
C'è anche un movimento di quelli che dicono: "Je ne suis pas Charlie", non sono Charlie.
«Non riesco a capire come si possa essere contro la libertà d'espressione. Il mio è uno slogan ateo e
apolitico in cui tutti dovrebbero potersi riconoscere».
Foto: LO SLOGAN Joachim Roncin ha coniato lo slogan "Je suis Charlie". Ora vuole impedire che sia
commercializzato
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'INTERVISTA / L'INVENTORE DELLO SLOGAN JOACHIM RONCIN: "NESSUNO LO SFRUTTERÀ
COMMERCIALMENTE"
19/01/2015
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Pag. 10
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Il Cinese: "È un partito alla frutta il modello Renzi compra i voti"
L'INTERVISTA UMBERTO ROSSO
ROMA. Onorevole Cofferati, si è così polemicamente dimesso dal Pd in realtà perché ha perso le primarie in
Liguria, come l'accusano i vertici del suo ormai ex partito? «Vedo che Renzi va in televisione a darmi
dell'ipocrita, che i vicesegretari bollano come inspiegabile e ingiustificato il mio addio al Pd. Solo insulti e
offese. Se un partito, invece di chiedersi le ragioni delle dimissioni di uno dei suoi fondatori, reagisce così,
siamo alle frutta. Anzi, ormai al digestivo».
Ha denunciato irregolarità e brogli nelle primarie a favore della sua concorrente Raffaella Paita. Perché solo
a fine gara, non prima? «Ma io per un mese e mezzo ho informato la Serracchiani e Guerini, i due vice di
Renzi, dello scempio che si stava consumando in Liguria, dei rischi di inquinamento del voto, della
partecipazione organizzata del centrodestra con l'Ncd e anche Forza Italia alle nostre consultazioni per
votare e far votare la Paita, con la partecipazione attiva di certi fascistoni mai pentiti, e la presenza perfino di
personaggi in odor di mafia ai gazebo e ai seggi».
E dal vertice del Pd, di fronte ad uno scenario simile, davvero non hanno fatto una piega? «Mai. Nessuna
risposta. Così i pericoli che temevo, si sono puntualmente avverati. Il risultato in tredici seggi, dove per una
manciata di euro sono stati convogliate file di poveri stranieri, è stato annullato dalla commissione di
garanzia. Sta indagando la procura di Savona e forse anche quella di Genova si muoverà. Ed è scesa in
campo anche la Dda, la direzione distrettuale antimafia».
Tutto organizzato contro di lei? Da chi e perché? «Era stata pianificata una vittoria a tavolino, con l'appoggio
del centrodestra. Alcuni suoi esponenti, come il segretario regionale Ncd Saso, l'ex senatore forzista Orsi, il
fascista Minasso, lo avevano pubblicamente dichiarato.
Quando io ho dato la mia disponibilità e sono entrato in campo, ho scompaginatoi loro disegni.E
l'organigramma di potere era già pronto».
Vuol dire che avrebbe vinto, senza le irregolarità che ora denuncia? «Non lo so. Io ho preso circa 24 mila
voti. Chi ha vinto, circa 28 mila. Però nel 2011 a Napoli per irregolarità denunciate in tre seggi, dico tre,
Bersani annullò le primarie. Perché a Genova deve essere diverso che a Napoli?».
Cos'è, una conventio ad excludendum contro Cofferati pilotata dalla segreteria nazionale? «Da quella ligure,
di sicuro. La segreteria nazionale è stata, diciamo, assente, distratta, lontana. Salvo negli ultimi giorni,
quando è piombata il ministro Pinotti a sostenere la Paita e una formula politica per la regione che mai si era
discussa qui, e che io mai avrei appoggiato: le larghe intese con il centrodestra, l'esportazione anche in
Liguria del modello nazionale renziano».
Però questa è appunto una linea politica, che si può o meno condividere, che c'entra con i brogli? «Certo,
ma per imporre, realizzare questo modello politico si è fatto ricorso in modo spregiudicato al sostegno del
centrodestra nelle primarie del nostro partito. E anche all'inquinamento con voti comprati. Sta tutta qui la
ragione delle mie dimissioni, la ferita politica che si è aperta nel Pd, e non solo in Liguria. Sono stati cancellati
i valori stessi su cuiè nato il Partito democratico.E io che ne sono stato uno dei 45 fondatori,e non c'era certo
Renzi, me ne vado con dolore. Sono stati ormai distrutti i principii e gli strumenti per la loro affermazione, e
cioè proprio le primarie. E non parliamo del rispetto personale: ogni giorno della campagna sono stato
insultato, in particolare dal sindaco di La Spezia».
Lei lascia il Pd ma non il seggio a Strasburgo dove è stato eletto proprio con i voti del partito. Non dovrebbe
farlo? «Alle elezioni europee, dove molti fanno finta di dimenticare che si vota con le preferenze, sono stato
rieletto con 120 mila voti. Alcuni hanno segnato il mio nome perché era nella lista nella Pd. Molti altri perché
hanno scelto Cofferati e di conseguenza la lista del partito». I voti per l'europarlamento sono soprattutto "suoi"
e non del Pd? «Credo proprio di sì. Ma si chiede solo a Cofferati di lasciare il seggio, mentre in altri casi non
c'è problema. Non si chiedono dimissioni da deputato, che ne so, per Gennaro Migliore eletto con Sel ma
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INTERVISTA
19/01/2015
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passato al Pd».
Eppure quando era sindaco di Bologna giurava che mai avrebbe lasciato la città per un seggio a Strasburgo.
«Ma quella fu una scelta personale.
Volevo stare con la mia famiglia a Genova. L'allora segretario del Pd Franceschini mi offrì con insistenza
l'eurocandidatura. Mi resi conto che, da Strasburgo, nei week end sarebbe stato più facile stare a Genova
con i miei. E dissi di sì».
"LE LARGHE INTESE
Vogliono esportare in Liguria il modello nazionale renziano delle larghe intese con il centrodestra
comprando i voti
VOTI MIEI
Non mi dimetto da Strasburgo perché quei 120 mila voti sono miei.
All'Europarlamento per scelta personale
Foto: L'EVENTO
Foto: TRE MILIONI AL CIRCO MASSIMO NEL 2002 Un'immagine della manifestazione della Cgil in difesa
dell'articolo 18, il 23 marzo del 2002. All'evento del Circo Massimo parteciparono circa tre milioni di persone.
Sergio Cofferati era segretario generale della Cgil, al governo c'era Silvio Berlusconi
19/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 11
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"Sergio incoerente ci ha proprio usato come un autobus Minoranza
meschina"
TOMMASO CIRIACO
ROMA. Giù le mani dalle primarie, avverte Dario Nardella.E anche se il pasticcio in Liguria ha scosso il
partito, il renzianissimo sindaco di Firenze non mostra comprensione per l'addio di Sergio Cofferati: «È
incoerentee usa il Pd come un autobus». La reazione più dura è però riservata alla minoranza dem:
«Strumentalizzano la vicenda ligure.
È da meschini minacciare agguati in Parlamento».
Partiamo dal voto inquinato.
Non è la prima volta: queste primarie portano più danni che benefici? «Sono uno strumento utile che
caratterizza il Pd. Gli altri partiti scelgono i candidati nelle segrete stanze o con sondaggi on-line per pochi
intimi. Penso alla mia elezione a Firenze, penso all'esperienza di Renzi: senza primarie non sarebbe
diventato sindaco e segretario del Pd. Portano rinnovamento».
Scusi, però: sospetti di infiltrazioni criminali, brogli, truppe cammellate. La reazione della segreteria non è
stata deboluccia? «Distinguiamo i piani: se ci sono eventuali irregolarità con rilievo penale, lo vedremo. Sulle
presunte violazioni del regolamento interno sono già intervenuti gli organi di garanzia. Ma non si discute la
validità dello strumento: non si può cancellare uno dei nostri tratti distintivi.
Non si possono assassinare le primarie per delle presunte irregolarità». Cofferati lamenta massicci interventi
di esponenti del centrodestra. Frutto del patto del Nazareno? «È ingiustificato che ogni volta ci siano allusioni
al patto del Nazareno. Più volte abbiamo discusso sugli elettori delle primarie che non sono di stretta
osservanza del Pd: eppure lo scopo è allargare la partecipazione! Non credo a congiure, a regie occulte, né a
operazioni massicce con voti pilotati. Altro discorso è fare tesoro delle difficoltà per migliorare». Limitando gli
elettori agli "iscritti, ad esempio? «Si perderebbe il senso delle primarie, non sono favorevole».
Resta l'addio di Cofferati: un brutto colpo per il Pd.
«Condivido chi lo invitaa un ripensamento. Quanto accaduto, però, non può giustificare il suo abbandono
polemico. Sbatte la porta, ma resta eurodeputato: è incoerente. Il Pd non è un autobus, non si scende per
convenienza dopo aver perso una sfida. E nessuna critica, pure forte, può giustificare l'assassinio delle
primarie con azioni che hanno il sapore della rappresaglia: questo vale per l'addio di Cofferati e per le
dichiarazioni di Fassina».
La minoranza, però, avverte: ci saranno conseguenze nel voto per il nuovo Presidente.
«Senta, bisogna evitare rappresaglie più o meno velate. Sarebbe meschino strumentalizzare il caso Cofferati
per giustificare agguati in Parlamento sull'elezione per il Quirinale».
Magari diventerà la scintilla per una scissione.
«Mi auguro di no. Ho visto Renzi sempre impegnato nel tenere il partito unito. E sono stato pure io in
minoranza, con Bersani segretario: anche nei momenti di grande tensione un partito serio cerca di superare
le difficoltà senza evocare continuamente scissioni. Questa, da sempre, è la malattia dannosa e fallimentare
della sinistra».
Renzi potrebbe reagire a questi "agguati" mettendo fine alla legislatura? «Non so davvero. Non voglio
neanche pensare che la minoranza possa arrivare fino a questo punto».
l caso Liguria non diventi un modo per consumare vendette sul Colle
Evocare scissioni è da sempre la malattia della sinistra "SINDACO DI FIRENZE DARIO NARDELLA per
saperne di più www.repubblica.it www.partitodemocratico.it
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INTERVISTA/ DARIO NARDELLA
19/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 12
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"Possibile l'elezione al primo colpo ma Brunetta ci sta indebolendo"
CARMELO LOPAPA
ROMA. Un accordo col Pd di Renzi sul Quirinaleè alla portata, potrebbe maturare alla vigilia del 29 e portare
all'elezione già al primo scrutinio. Il capogruppo Paolo Romani si sbilancia, segno che qualcosa si muove
sotto traccia.
Intanto Forza Italia sembra un vulcano in procinto di esplodere. Cosa sta succedendo, senatore Romani? «Il
chiarimento avvenuto dovrebbe aver chiuso una polemica interna tra il capogruppo Brunetta e il presidente
Berlusconi sulla linea da tenere. Oggi, a un anno esatto del Nazareno, possiamo dire che la coerenza e il
rispetto di quell'accordo ci è costato sacrifici. Ma al momento in cui siamo e alla vigilia della scelta del Colle,
la discussione deve avere termine. Il presidente Berlusconi deve essere messo nelle condizioni di sedere al
tavolo delle trattative senza ulteriori fibrillazioni».
Nessuna guerra sulle riforme, dice ora Berlusconi. Sarà così? «Martedì in aula al Senato, con l'Italicum,
daremo battaglia sul premio alla coalizione anziché alla lista, ma la nostra sarà una battaglia aperta, chi avrà
la maggioranza la spunterà, ma i tempi e le procedure saranno rispettati».
Insomma, nel braccio di ferro interno sul Nazareno l'avete spuntata lei e Verdini.
«Il documento che abbiamo condiviso con i colleghi, a favore del percorso delle riforme, era utile per
rappresentare per iscritto la linea del partito. Ho riscontrato una sostanziale intesa da parte della
maggioranza dei due gruppi e ho già portato al presidente questo sentimento diffuso».
Eppure, Brunetta dice che ha sempre concordato con Berlusconi le sue uscite, anche le più aspre contro
Renzi.
«Io penso che tutti dobbiamo avere il senso di responsabilità per facilitare anziché complicare il compito di
Berlusconi. I dissidi e la confusione di queste ore hanno contribuito a indebolire il nostro fronte».
L'impressione è che Berlusconi abbia sfiduciato il capogruppo alla Camera. Lei si sarebbe dimesso? «Non
voglio entrare nel merito delle decisioni che competono solo a Brunetta. Oggi direi che dobbiamo entrare nel
riserbo che appartiene a persone responsabili nei momenti più delicati». Berlusconi incontra Alfano, dopo 15
mesi.
Lavorate a un blocco di centrodestra per il Colle? «Se devo leggere le nostre dichiarazioni e quelle di Alfano
mi sembra che ci siano tutte le condizioni per centrare quell'obiettivo e presentarsi con un blocco importante
di 250 grandi elettori. Renzi da solo non ha la maggioranza necessaria da solo. È con noi che dovrà
dialogare». Userete quel blocco per porre veti a candidati di sinistra? «Siamo veramente all'inizio. Quel che si
può dire fin da ora è che se il metodo sarà quello del confronto tra Renzi e noi allora si produrranno ottimi
risultati».
Ci sono i margini per un accordo? «Nessun nome, è una questione di metodo, ripeto. E se tutto andrà come
speriamo, potremmo centrare il risultato anche dalla prima votazione utile, quella dal quorum quasi
impossibile». PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.quirinale.it
IL CAPOGRUPPO
Alla vigilia della scelta del Colle, Berlusconi va messo in condizione di trattare senza ulteriori
fibrillazioni
QUORUM
Potremmo centrare il risultato anche alla prima votazione utile, quella dal quorum quasi impossibile
Foto: CAPOGRUPPO Paolo Romani capogruppo Fi al Senato. A destra, l'intervista di Angelino Alfano ieri a
Repubblica: "Adesso il Quirinale spetta al centrodestra"
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INTERVISTA/PAOLO ROMANI (FORZA ITALIA)
19/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 23
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Ecco la bolletta amica voci di spesa più chiare e stop alle truffe via web
La riforma della fattura facilita il cambio di operatore Freno alle app che ci vendono servizi a nostra insaputa Il
codice necessario a trasferire l'abbonamento sarà impresso su ogni fattura, ben visibile
ALDO FONTANAROSA ROMA.
I signori della politica, i burocrati, le compagnie telefoniche lo hanno chiamato "codice di migrazione". E chi se
ne importa se poi il pensionato, la casalinga, l'immigrato non capisce queste parole oscure. Eppure il codice,
che è un numero magico, spalanca il portone della libertà.
Se sono deluso dal mio operatore telefonico, prendo proprio il "codice di migrazione", chiamo un altro
operatoree posso avviare la procedura per cambiare. Peccato che qualche azienda nasconda il "codice di
migrazione" proprio per scoraggiare il cliente dall'abbonarsi con altri, magari più bravi. «Ora questo trucco
dovrà finire», dice Antonio Nicita, uno dei componenti del Garante per le Comunicazioni, l'AgCom: «Noi
intanto traduciamo queste parole difficili con altre, amichevoli e chiare. Il codice si chiamerà di trasferimento .
E poi il codice, oggi introvabile, sarà stampato su ogni bolletta in caratteri grandi almeno 12 punti. Lo avremo
tutti a portata di mano, finalmente». A 8 anni dall'ultima riforma, il Garante mette mano dunque alla nostra
bolletta telefonica, del cellulare e di Internet perché sia più utile, leale e moderna. La fattura sarà di norma
digitale e inviata via e-mail, a meno che l'abbonato chieda di averla ancora su carta. E questa bolletta 2.0
preciserà l'indirizzo di posta elettronica dell'operatore cui inviare ogni comunicazione ufficiale (incluse le
disdette). Non servirà più, quindi, la raccomandata ricevuta di ritorno.
Poi ci sono le tante insidie della Rete. Gli spot televisivi ad esempio promettono molto sulla velocità delle
connessioni, ma la realtà com'è? «Fino ad oggi - continua Nicita - gli operatori hanno preso impegni generici
sulla qualità dei collegamenti. Scrivono un numero qualsiasi sul contratto, e vai a vedere poi se i fatti
corrispondono alle promesse.
Adesso, nella nuova bolletta, le Misurainternet, in grado di accertare la velocità effettiva cui sta navigando».
Altro giro, altro inghippo. Ci sono operatori che tirano il freno.
Rallentano ad arte la speditezza delle connessioni con i motivi (e i pretesti) i più disparati intaccando così la
"neutralità" di Internet. A volte vogliono impedirci di usare Skype, perché permette chiamate telefoniche
gratuite. Altre volte bloccano il trasferimento di grandi file, con film, videogiochi o canzoni pirata. Intendono
farlo ancora? Che almeno dichiarino la scelta restrittiva in bolletta.
La nuova bolletta specificherà quanti soldi stiamo pagando all'operatore per i servizi base, come telefonia ed
Internet, e quanti invece per prestazioni aggiuntive o impreviste. Rientrano tra questei famigerati servizi non
richiesti e gli acquisti (magari involontari e inconsapevoli) che facciamo in Rete, anche attraverso le app.
Proprio questi acL'AgCom: per le disdette non servirà più la raccomandata, ora basterà una e-mail pione
verificheranno se la dichiarazione dell'operatore sia veritiera, per la ricezione come per l'invio dei dati. Le
dichiarazioni false o "dopate" saranno punite con severità. Sempre nella bolletta, ricorderemo al cliente un
nostro servizio già attivo, il società preciseranno quale velocità minima ritengono di averci assicurato in ogni
bimestre».
Spendido: ma che cosa cambia nei fatti? Chi impedisce ai furbetti di Internet di dichiarare velocità solo
immaginarie? «Lo impediremo noi. Controlli a camquisti indesiderati saranno meno facili. «Nel nuovo regimeconferma Nicita - condizione per pagare sarà l'immissione del nostro numero di telefono come ultimo via
libera all'operazione. Solo allora, soltanto dopo aver manifestato la chiara volontà di acquistare, l'importo sarà
iscritto in bolletta». Infine, avranno diritto di cittadinanza i non vedenti. Riceveranno una "audio bolletta", un
file sonoro che elencherà tutte le spese.
Le nuove regole sono scritte in una proposta di provvedimento (ben 43 pagine) che oggi sarà sul sito del
Garante (l'AgCom) per una consultazione pubblica lunga 60 giorni. Il dubbio è che molte delle nuove norme
pro consumatori saranno riscritte o annacquate dalla lobby degli operatori, in questi due mesi di pubblico
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Il caso
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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confronto. «Non credo- dice Nicita, battagliero - la nostra proposta è stata votata all'unanimità da tutti i cinque
componenti dell'AgCom. La difenderemo e semmai la renderemo più forte».
I NUMERI
583 LE SEGNALAZIONI Il Garante tlc (AgCom) le ha ricevute tra gennaio e novembre 2014 per informazioni
oscure sui costi negli spot
45 I RECLAMI Ad ogni nostro reclamo è assegnato un numero che ci sarà comunicato via e-mail Sono 45 i
giorni per definire la lite NON VEDENTI L'operatore avrà un giorno per inviare ai ciechi, con la versione su
carta, anche un file audio (via e-mail) con i dati della bolletta
60 I GIORNI La consultazione pubblica su questo provvedimento di AgCom durerà due mesi, poi arriverà la
decisione definitiva Le novità del conto telefonico Codice di Trasferimento L'abbonato ha bisogno di questo
numero per cambiare operatore. Oggi è introvabile: ora sarà stampato in grande sulla bolletta Velocità
e!ettiva Su ogni bolletta bimestrale, l'operatore dovrà precisare quale velocità di connessione Internet ha
garantito al cliente Controllo qualità Il cliente riceverà le istruzioni per veriÞcare da solo la qualità della
connessione attraverso il servizio Misurainternet Servizi negati Alcuni operatori impediscono ai clienti di
e!ettuare chiamate gratuite via web (in tecnica Voip), ad esempio con Skype.
La bolletta dovrà segnalarlo Voci di spesa La bolletta indicherà quanto spendiamo per i servizi di base
(telefonia, Internet) e quanto per i servizi a valore aggiunto Applicazioni sanguisuga Oggi alcune app, gratuite
nei servizi base, si fanno pagare prestazioni aggiuntive spesso in modo non trasparente.
Alt agli abusi Numero da ribadire Per convalidare ogni acquisto di servizi aggiuntivi, il cliente dovrà digitare il
proprio numero telefonico, come volontà di comprare davvero 1234 PER SAPERNE DI PIÙ www.agcom.it
www.federconsumatori.it
Foto: IL GARANTE Antonio Nicita è da un anno uno dei 5 commissari dell'AgCom
19/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 27
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LE RAGIONI DEL TAR E QUELLE DI VENEZIA
MARIO PIRANI
MOLTI, e tra questi la sottosegretaria ai Beni e alle Attività culturali Ilaria Borletti Buitoni, hanno giudicato
scandalosa la recente sentenza del Tar che ha annullato le ordinanze della Capitaneria di Porto di Venezia
che limitavano il passaggio delle grandi navi nel Bacino di San Marco. In realtà, coloro che in laguna si
oppongono a un crocerismo incompatibile hanno commentato positivamente la sentenza, perché i giudici
amministrativi hanno messo a nudo l'inconsistenza dei provvedimenti che, al netto delle roboanti dichiarazioni
del governo che li hanno accompagnati nel 2013, quando furono assunti, si limitavano a ridurre per l'anno
scorso da 808 a 708 i passaggi di questi mostri del mare davanti a San Marco, abbassandone da
quest'annoa 96mila tonnellate la stazza lorda massima, come se una nave di tale misura fosse piccola e
compatibile con la città e la laguna.
Tanto per capire, il Titanic stazzava 46mila tonnellate e dunque le navi che avrebbero potuto continuare a
passare a man salva nel cuore della città erano comunque enormi, lunghe anche trecento metri, come la
Norwegian Jade o la Queen Elizabeth contro le quali i veneziani hanno più volte manifestato. «Via i giganti
del mare», avevano dichiarato i ministri Lupi (Infrastrutture e Trasporti) e Orlando (allora all'Ambiente), e molti
se l'erano bevuta, mentre in laguna gli oppositori, che infatti si erano appellati contro le ordinanze anche alla
Commissione europea, avevano parlato di «spuntatina di capelli».
Nella sua sentenza, il Tar ha dimostrato la totale mancanza di un'istruttoria che giustificasse le ordinanze
della Capitaneria, pressata dal ministro Lupi. Non c'è, quindi, a monte delle decisioni alcuna indagine sui
rischi connessi al passaggio delle grandi navi che possa condurre alle misure di "mitigazione" assunte. La
sentenza, conclude il Tar, restituirà alle Amministrazioni coinvolte «la possibilità di disciplinare ex novo la
fattispecie in esame, previo svolgimento di tutti i necessari adempimenti istruttori, onde pervenire a una
coerente e concreta analisi delle tipologie di rischi effettivamente connessi al passaggio delle navi...».
Se si pensa che nel Piano di assetto del territorio (Pat), assunto nel 2012 dal Comune di Venezia, si dispone,
su suggerimento dei movimenti ambientalisti veneziani, l'estromissione dalla laguna delle navi incompatibili,
con la determinazione delle soglie di rischio che facciano da discriminante, si vede come tutte le
amministrazioni coinvolte - Comune, Regione, Governo - abbiano praticamente buttato al vento tre anni
senza fare alcunché.
La motivazione è stata più volte trattata in questa rubricae riguarda la pervicacia di una parte di questo
governo nel perseguire, fin dalla tragedia del Giglio, un'unica alternativa al passaggio delle grandi navi
davanti a San Marco, e cioè il devastante scavo in laguna del Canale Contorta Sant'Angelo, reiterazione
ossessiva delle stesse logiche ottonovecentesche che a forza di scavi, di imbonimenti di barene, di canali
industriali stanno riducendo la lagunaa un braccio di mare. Tutto il resto sono solo bubbole per gettare fumo
negli occhi e prendere tempo.
Il progetto di scavo del Canale è ora all'attenzione della Commissione nazionale di Valutazione di impatto
ambientale, e la mole delle critiche e delle osservazioni presentate da cittadini e associazioni e prestigiose
istituzioni scientifiche (più di 300) è tale che se la Commissione ascolterà la voce della ragione e non le
pressioni della lobby del porto, di Paolo Costa e del ministro Lupi, non potrà che bocciare il pericoloso
disegno. Così come dovrebbe bocciare ogni ipotesi di nuovo terminal a Porto Marghera, che esattamente
come per il Contorta presuppongono il raddoppio del Canale dei Petroli, il cui scavo, ricordiamo, ha significato
tra il 1970 e il 2010 la perdita di 5800 ettari di barene portando la profondità della laguna da qualche decina di
cm a 1,5/2 metri. È a questo che si devono ascrivere gli effetti sulla velocità di propagazione delle mareee di
conseguenza delle correnti nella città.
Per salvare Venezia e la sua laguna, il crocerismo e il lavoro, c'è una sola strada: attrezzare un nuovo
terminal crociere al di fuori delle bocche di porto per le navi incompatibili, mantenendo la Marittima come
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LINEA DI CONFINE
19/01/2015
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Pag. 27
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snodo logistico per i passeggeri e come attracco per quel naviglio che, determinate finalmente le soglie di
rischio, potrà continuare a entrare in laguna. I progetti già ci sono e dovranno essere vagliati dagli organi
competenti. Poi c'è in ballo la campagna elettorale, in cui i cittadini potranno costringere i candidati sindaci a
prendere una posizione preventiva sugli scavi della Contorta e sul passaggio delle grandi navi nella laguna.
Visto che è il futuro di Venezia in discussione non si potrà decidere prima dell'elezione del nuovo sindaco.
«Non ci sono alibi - dice Silvio Testa, portavoce del Comitato NoGrandiNavi- per estromettere dalla laguna le
navi incompatibili, come chiedono migliaia di veneziani, ci sono possibilità realizzabili a breve, senza
continuarea devastare un ambiente fragile, unico al mondo, ricco di storia e di cultura. «Venezia è laguna»,
dicono i veneziani: «non si può distruggere l'una credendo di salvare l'altra».
L'unicità della città deve portare il Paese a decidere in funzione della preservazione di questo patrimonio
dell'umanità, e non della preoccupazione che non arrivino abbastanza turisti che vogliono attraversarla a
bordo di un pachiderma. Con tutto il rispetto per la rilevanza economica del settore turismo e per
Confindustria Venezia.
17/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Matteo incassa l'ok di Bersani "Faremo quel che dirà lui"
L'ex segretario pronto a votare anche Amato o Mattarella
CARLO BERTINI ROMA
Matteo Renzi rassicura la minoranza interna con due mosse: in pubblico chiama tutti alla battaglia
promettendo una cogestione della scelta passo dopo passo; e in privato lascia che i suoi facciano trapelare
che in pole position vi siano i nomi di Giuliano Amato e Sergio Mattarella: che per motivi diversi potrebbero
compattare gran parte del Pd, dai democristiani ai bersanian-dalemiani. Mattarella poi, stando ai rumors di
Palazzo, sarebbe in grado pure di strappare il consenso di una sinistra (anche tra i 5stelle) che vedrebbe in
lui una sorta di argine al patto del Nazareno, visto i suoi trascorsi di ministro Dc dimissionario contro la legge
Mammì sulle Tv. Insomma, la prima mossa del leader di coinvolgere tutti fino alla fine del percorso piace ai
«compagni», che vogliono contare in questa partita. E che per questo apprezzano pure l'avvertimento tra le
righe lanciato da Renzi a Berlusconi: tradotto da un renziano doc è «facci capire chi comanda in Forza Italia,
se tu o Brunetta, che altrimenti saremo in grado di eleggercelo da soli, il capo dello Stato, noi del Pd insieme
ai centristi della maggioranza». Lo dimostra il fatto che Pierluigi Bersani è pronto a votare sia Mattarella che
Amato, due nomi che erano nella prima terna (il terzo era Marini) che due anni fa propose a Silvio Berlusconi.
«Io sono coerente e non cambio mica idea», ammette l'ex segretario seduto su un divano alla Camera.
«Certo io ci sono caduto l'altra volta su Prodi e mi è difficile non votarlo alla prima, alla terza o alla settima
votazione che sia». Ma quando gli si chiede se davvero sia disposto a tradire l'indicazione del partito con
l'operazione di votare Prodi e non scheda bianca ai primi tre scrutini, l'ex leader si fa serio. «No alla fine si
farà quel che dice Renzi, e io non la vedo così drammatica come si pensa, stavolta è diverso da due anni fa.
E inoltre i candidati che girano non sono così divisivi...». Bersani è ben informato, se non altro per averne
parlato con Renzi due giorni fa. Accanto a lui siede Davide Zoggia, che in Direzione tende la mano, «ora
partiamo dal Pd e offriamo un profilo in cui tutti noi ci riconosciamo e che possa fare da sintesi». Dopo la
Direzione, a microfoni spenti i colonnelli di Bersani dicono che «Amato però rischia di spaccare il Pd,
Mattarella meno». E non credono che Renzi abbia già chiuso un accordo con Berlusconi, «lo si vede
dall'atteggiamento dei gruppi parlamentari di Forza Italia che frenano le riforme». Il premier infatti ancora
deve capire che intenzioni abbia il Cavaliere. «Vedremo che succede la prossima settimana alla Camera, tutti
i gruppi hanno chiesto di sospendere i lavori e il più accanito è Brunetta», fanno notare i renziani. Berlusconi
non ha ancora detto sì al nome di Mattarella, mentre Amato, che a Renzi non dispiace, «presenta qualche
criticità in più perché sarebbe poco compreso dall'opinione pubblica, per via del suo passato troppo vicino a
Craxi», ammettono gli uomini del premier. Il quale, a sentir cosa dicono quelli a lui più vicini, vedrebbe bene
pure Fassino, gradito agli ex Ds e pare non sgradito neanche a Berlusconi. Ma che la partita sia solo all'inizio,
lo prova tutto questo inseguirsi di voci, comprese quelle che danno i centristi di Alfano in gran fermento
insieme ai fittiani sul nome di Pierferdinando Casini.
Foto: In gioco Pierluigi Bersani è stato segretario del Pd fino al 2013
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Retroscena
17/01/2015
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Pag. 7
(diffusione:309253, tiratura:418328)
La tattica del dialogo
MARCELLO SORGI
Alla prima direzione del Pd convocata dopo le dimissioni di Napolitano, per discutere la successione al
Quirinale, Renzi s'è presentato con un insolito (per lui) atteggiamento dialogante con la minoranza, proteso
verso un accordo unitario. Nella consapevolezza che l'elezione del Presidente dipende in gran parte dal suo
partito, e il peso di un nuovo fallimento, come quello del 2013, lo riguarderebbe in pieno. Renzi ha proposto
una sorta di convocazione permanente della direzione, la formazione di una delegazione composta da
vicesegretari, capigruppo e presidente del Pd, chiamata a trattare con tutti gli altri partiti e a concludere
accordi con chi ci sta, M5s incluso, e senza privilegi per nessuno, Berlusconi compreso. Massimo di
informazioni condivise per tutto il percorso e poi, alla vigilia della convocazione delle Camere riunite,
assemblea dei grandi elettori per scegliere il nome da proporre e la tattica per farlo eleggere, se alla prima
votazione o dalla quarta in poi. Di fronte a un'impostazione così aperta, la minoranza non ha potuto che
consentire, anche se controllerà che le promesse siano mantenute. La sensazione, dopo l'irrigidimento dì
giovedì e dopo la richiesta di posticipare a dopo le votazioni per il Capo dello Stato l'approvazione della legge
elettorale e il voto sulla riforma del Senato (che il premier, al contrario, intende ottenere anche con sedute
parlamentari notturne), è che Renzi voglia capire cosa sta succedendo al centrodestra. Senza escludere,
patto del Nazareno o no, che Berlusconi alla fine non voti il candidato Presidente proposto dal centrosinistra,
né più né meno come fece nel 2006, quando, dopo molte indecisioni, ritirò l'appoggio promesso a D'Alema e
si rifiutò di sostenere Napolitano, che la prima volta fu eletto con i soli voti del centrosinistra e qualche aiuto di
singoli. L'ex-Cavaliere in realtà deciderà solo all'ultimo, valutando il nome o i nomi che gli saranno proposti.
Ma chi pensava che avrebbe votato qualsiasi nome, pur di non restare isolato, comincia a ricredersi. Perché
Berlusconi avrebbe indubbie convenienze a non rispettare il patto con Renzi: con un'unica mossa
riunificherebbe il suo partito e tutto o quasi il centrodestra: c'è da vedere infatti cosa farebbero Alfano e Area
Popolare se Forza Italia e Lega si schierassero per il no al candidato del Pd. Alla vigilia del voto per le
regionali (e chissà se solo di quello) non sarebbe facile per i centristi votare per un candidato del
centrosinistra, mentre il resto della destra si ricompatta all'opposizione. Meglio, per ora, stare alla finestra, in
attesa di vedere cosa la corsa al Colle smuoverà nel Pd e fino a che punto Berlusconi resisterà sul suo
Aventino.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Taccuino
17/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:309253, tiratura:418328)
La sorpresa di Berlusconi Sì all'incontro con Alfano
Vertice la prossima settimana. Cresce il nervosismo del leader di Forza Italia nei confronti del premier
UGO MAGRI ROMA
Come tutti gli amanti (politici in questo caso) disillusi e feriti, Berlusconi sparge in giro la voce che lui è pronto
a rompere il patto con Renzi se «quello» continuerà a snobbarlo. Lo minaccia e non fa nulla per mascherare il
nervosismo, ma intanto scruta ogni due per tre il display del telefono nella speranza che qualcuno (uno in
particolare) si faccia vivo. Fin qui il cellulare è rimasto muto. Zero soffiate Contrariamente alle voci di Palazzo,
il Cavaliere brancola nel buio circa le vere intenzioni del premier. Non sa chi voglia mandare al Quirinale.
Deve basarsi sulle voci e addirittura sui retroscena dei giornali. Ignora se Matteo gli proporrà una rosa o un
petalo soltanto. Lo offende che l'altro non si fidi della sua discrezione. Quel che è peggio, il «giovanotto» si fa
vivo per interposta persona, passando per il tandem fiorentino Lotti-Verdini, ed esclusivamente per impartire
«ukase» sulle riforme o lamentarsi di questo e di quell'altro. Di Brunetta in modo particolare: già mesi
addietro, nell'ultimo faccia a faccia, aveva suggerito a Silvio di licenziarlo da capogruppo. Ieri l'ha sbertucciato
pubblicamente («re dei fannulloni», in quanto Brunetta tenta di posticipare il varo della riforma costituzionale),
suscitando peraltro dentro Forza Italia un moto di malcelata invidia verso il capogruppo, trattato come un vero
avversario anziché come un maggiordomo. In verità il messaggio è diretto a Silvio: facci sapere se lì
comanda Brunetta, oppure dietro di lui ci sei tu che tenti di sottrarti ai patti. In entrambi i casi, secondo Renzi,
così non funziona. La reazione del Cav Non si è fatta attendere, ma nella forma che meno ti aspetteresti.
Cioè per interposta persona. E tramite il capo dei dissidenti Fitto, fino a mercoledì considerato da Berlusconi il
suo peggior nemico; invece adesso (dopo un'ora e mezzo di colloquio senza testimoni avvenuto giovedì
mattina) l'ex ministro è rivalutato al rango di prezioso consigliere: anche questo un segnale di un
cambiamento. Ebbene, Fitto ha preso energicamente le difese del «fannullone» Brunetta con argomenti
condivisi da Silvio, a quanto risulta, parola per parola: se Renzi vuole essere credibile nelle sue accuse, lo
sfida Fitto -alias-Berlusconi, provveda a varare immediatamente il decreto fiscale che l'Italia attende (il
Cavaliere più di tutti), invece di tenerlo nel cassetto fino al 20 febbraio prossimo. Convochi il Consiglio dei
ministri anche di notte, se necessario. Mano tesa ai «traditori» In questo clima è maturata la mossa di
Berlusconi. Che dopo mille titubanze ha finalmente accettato di incontrare Alfano e una delegazione Ncd. Si
vedranno all'inizio della prossima settimana: martedì o, più probabilmente, il giorno successivo. L'obiettivo è
di coordinarsi, di unire le forze parlamentari per non fare la fine dei Curiazi, con Renzi in veste di Orazio.
Berlusconi ha in animo di vedersi pure con Salvini e la Lega, ma la circostanza non fa notizia. Viceversa con
Angelino era più di un anno, dal novembre 2013, che non si guardavano negli occhi. Tra i due si era scavato
un solco all'apparenza incolmabile sebbene, per la verità, Alfano non abbia mai mancato di rispetto nei
confronti del vecchio maestro, solo uno scatto di nervi quando la stampa berlusconiana tentò di
«mascariarlo». Silvio, invece, non ha smesso di parlarne male. Solo da ultimo ha abbassato i toni. E chissà
se, per ingelosire Renzi, si congederà da Alfano con un abbraccio. Ne sarebbe capace.
Foto: Attivo Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, prova a uscire dall'angolo
Foto: LUIGI MISTRULLI /EMBLEMA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Retroscena
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Ecco a chi non conviene avere il Tfr in busta paga
Paolo Russo
Si avrà più liquidità, ma anche più tasse E per i redditi bassi rincarano asili e mense A PAGINA 9 Più tasse e
servizi sociali meno convenienti. Monetizzare il Tfr in busta paga non sembra proprio un buon affare. Su un
reddito di 23mila euro, che è poi quello medio da lavoro dipendente, in termini di imposte ci si rimetteranno
330 euro rispetto alla più favorevole tassazione degli accantonamenti per il fine rapporto, dicono le
elaborazioni effettuate per noi dal Caf Uil di Roma. Che è andato a misurare i danni anche sul fronte degli
sconti per cose come asili nido, mense scolastiche, iscrizione all'università o tassa rifiuti, destinati a ridursi di
brutto traslocando il Tfr in busta paga. Facendo così alzare il nuovo Isee che demarca la linea di accesso alle
prestazioni del nostro welfare.La legge di stabilità dice a chiare lettere che i 14,4 milioni di lavoratori del
settore privato, in servizio da almeno 6 mesi, dovranno decidere entro i primi di marzo se continuare ad
accantonare o passare all'incasso mese per mese. E siccome la decisione è irrevocabile per tre anni, sarà
bene iniziare a fare un po' di conti. Il vantaggio è ovviamente quello di avere più liquido in tasca: 97 euro
mensili per chi ne guadagna 23mila l'anno, 105 per chi ne prende 25mila, 125 per chi ha un reddito di 35
mila, mentre la busta paga lievita solo di 76 euro per chi non va oltre i 18mila euro annui. Ma al posto della
più favorevole tassazione separata che regola sia l'anticipo che la liquidazione del Tfr, la sua erogazione
mensile comporta l'applicazione della assai meno favorevole aliquota marginale Irpef. Ad esempio un reddito
di 35mila euro su un Tfr annuo di 1806 euro pagherà il 38% di Irpef anziché il 25,3, uno di 23 mila vedrà
invece i 1209 euro l'anno di trattamento fine rapporto tassati al 27 anziché al 23,9%. In soldoni la tassazione
ordinaria sarà mediamente più pesante di 50 euro per un reddito medio di 23mila, con punte di 307 euro per
che sta sui 35mila euro di reddito. Come se non bastasse il Tfr in busta paga, cumulandosi con il reddito
prodotto in corso d'anno (80 euro di bonus esclusi), inciderà negativamente anche sulle detrazioni d'imposta,
tipo no tax area, assegni e detrazioni per familiari a carico. Ad esempio il solito reddito medio di 23mila euro
solo di detrazioni d'imposta ci rimetterà 280 euro, che cumulati ai 50 di maggiore Irpef fanno appunto 330
euro di tasse in più da pagare per incassare in anticipo 1.200 l'anno. L'effetto Isee Ma i guai peggiori arrivano
con l'effetto Isee, l'indicatore di ricchezza che stabilisce il diritto o meno a buona parte delle prestazioni
sociali. L'effetto domino sulle agevolazioni sociali -spiegano dati alla mano gli esperti del Caf Uil di Roma- è
assicurato. Per esempio a Milano chi ha oggi un reddito Isee di 12.500 euro paga per l'asilo nido una tariffa di
103 euro al mese. Incamerando il Tfr l'Isee sale e con lui la rata, che lievita a 232 euro. A Roma per
l'iscrizione all'Università La Sapienza con un reddito Isee di 12mila euro si versano 549 euro l'anno. Chi è
vicino a quella soglia e opterà per l'incasso mensile della liquidazione ne pagherà invece 600. Sempre nella
Capitale chi sta sotto un Isee di 12.500 euro per la mensa scolastica paga una retta mensile di 50 euro. Con il
Tfr in busta ne pagherebbe 54. A Bari con un reddito Isee di 10 mila euro si è esentati dal pagare la Tasi sulla
prima casa. Chi incassando il Tfr supererà quella soglia pagherà la tassa sulla casa, per di più con l'aliquota
massima del 3,3 per mille. A Torino per la Tari sui rifiuti sono previste tre fasce di reddito Isee da 13, 17 e
24mila euro. A seconda di dove ci si colloca si ha diritto a uno sconto che va dal 25 al 50% dell'imposta. Così
una famiglia che non supera i 13mila euro di redito Isee con il Tfr in busta paga per l'immondizia finirà per
pagare 202 euro anziché 156, con un aggravio di 46 euro, da sommare a quelli più cospicui di maggiore
tassazione. Non proprio un affare, sul quale c'è ancora un mese e mezzo per riflettere.
DLo studio del Caf-Uil A Bari n Con un reddito Isee di 10 mila euro si è esentati dal pagare la Tasi sulla
prima casa, ma se si incassa il Tfr nello stipendio si dovrà pagare la tassa con un'aliquota massima del 3,3
per mille A Torino n Chi non supera i 13 mila euro di reddito Isee pagherà per la Tari sui rifiuti circa 46 euro in
più rispetto a chi ha deciso invece di lasciare il Tfr nella busta paga A Roma n Chi sta ha un reddito Isee
inferiore ai 12.500 euro pagherà per la mensa scolastica una retta mensile di 54 euro, 4 euro in più rispetto a
chi lascia il Tfr in aziendaCosa cambia per le famiglie CON TFR IN BUSTA PAGA (euro al mese) euro CON
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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SI PARTE A MARZO
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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TFR NELLO STIPENDIO PAGA (euro al mese) REDDITO ISEE A MILANO euro 12.500 Per l'asilo nido 103
232 REDDITO ISEE A ROMA 12.000 549 600 per l'scrizione all'Università
- LA STAMPA Elaborazione CAF UIL di RomaIl confronto 35 DATI IN EURO 18 23 25 80 76 97 mila mila mila
mila TFR LORDO 23% 286 380 416 612 957 101 109 151 27% 27% 27% 38% 336 429 466 919 907 105 125
REDDITO LORDO 1.243 1.589 1.727 2.418 ALIQUOTA MEDIA IRPEF 23,9% 24,1% 25,3% TFR ANNUO
1.209 1.311 1.806 TFR MENSILE TFR ANNUO 1.160 1.261 1.499 TFR MENSILE IRPEF DA PAGARE
ALIQUOTA MARGINALE IRPEF IRPEF DA PAGARE - LA STAMPA Elaborazione CAF UIL di Roma
TFR IN AZIENDA TFR IN BUSTA PAGA
Foto: Famiglie in affanno L'operazione Tfr in busta paga non sarà sufficiente a rilanciare i consumi secondo
alcuni esperti del mondo sindacale ed economico SAMUELE PELLECCHIA/PROSPEKT
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Burlando: ingrato, cerca visibilità così regalerà la vittoria alla Lega
Il governatore uscente: "Le regole sono state rispettate Gli alleati di centrodestra? Decide Roma, non
Genova"
ALESSANDRA PIERACCI GENOVA
Qual è l'obiettivo di questo soffiare sul fuoco? Di questa ricerca di visibilità anche dopo la sconfitta? Farci
perdere? Consegnare alla Lega di Salvini e del candidato Edoardo Rixi la Liguria perché meglio loro di
Raffaella Paita? Può darsi che il tentativo riesca. Io ho conquistato con fatica la regione dieci anni fa, quando
era stata persa malamente. Sono molto preoccupato». Claudio Burlando, presidente della Liguria, risponde
alle polemiche sollevate sulle primarie. Un commento sulle dichiarazioni di Cofferati? «Ha scelto di vivere a
Genova, dove è stato accolto dopo 5 anni difficili a Bologna. La Liguria, con il Piemonte e la Lombardia, l'ha
eletto per due volte parlamentare europeo: io stesso l'ho appoggiato, sei anni fa e sei mesi fa. Per le primarie
ha fatto campagna cercando visibilità nazionale, ora è lo stesso con la sconfitta. La sua uscita dal Pd è una
bomba atomica con effetti devastanti, non c'è dubbio. Ma non è qui che abbiamo avuto infiltrazioni mafiose».
Però le accuse sono di brogli. «Le primarie sono state organizzate da una segreteria con cinque cofferatiani
su sei e il segretario regionale che si era espresso a favore della candidatura di Cofferati. Un organismo,
l'Utar, ha dato delle regole: che sono state rispettare. Vogliamo ribadire per cosa sono stati cancellati i voti?
Schede non vidimate, voto anticipato rispetto all'apertura dei seggi, mancato pagamento dei due euro.
Quanto agli extracomunitari, o possono votare o no. Ma pensano davvero che paghiamo i voti? E poi se da
una parte ci sono stati i marocchini, dall'altra i turchi iscritti alla Cgil. Le regole le ha stabilite un Pd sbilanciato
su Cofferati». E gli esponenti del centrodestra? «Le alleanze vengono stabilite a livello nazionale, non le fa il
singolo. È chiaro poi che Sel si è spesa per Cofferati e l'Udc per Paita. Bisogna stare attenti a non imbarcare
gente che inquinare il voto, ma è un successo se la base elettorale si allarga a tre volte il pubblico dello stadio
di Marassi. Se negli ultimi anni il Pd in Liguria ha conquistato i quattro maggiori comuni dopo Savona, ovvero
Ventimiglia, Sanremo, Imperia e Albenga è ovvio che è aumentato il popolo largo dei votanti. Non mi devo
scusare per un Pd passato con Renzi in un anno dal 25 al 42% in Liguria. In quanto ai votanti esponenti del
centrodestra, il sindaco di Albisola, Franco Orsi, ha lasciato Forza Italia e alle scorse Europee ha dichiarato di
aver votato Pd. Ha scritto all'Utar per chiedere se poteva votare alle primarie, gli avevano detto di sì, poi il
Collegio dei Garanti ha annullato il voto». Cofferati accusa Raffaella Paita di aver ricevuto il sostegno
dichiarato di esponenti dell'opposizione. «È vero, però non sono andati a votare. E allora che dire di Claudio
Scajola che si è espresso per Cofferati? O della propaganda costante, con inserzioni a pagamento su
quotidiani, radio e tv, del senatore eletto nelle liste di Scelta Civica Maurizio Rossi? Noi abbiamo accettato il
verdetto dell'Utar sul fatto che potesse continuare, anche attraverso l'emittente di cui è stato editore fino
all'elezione».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Intervista
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Renzi: gesto incomprensibile Io persi e sostenni Bersani
Il premier non ha sentito l'ex leader Cgil, ma sbotta: quanta ipocrisia in certe polemiche
FRANCESCA SCHIANCHI ROMA
Quando io ho perso, nelle primarie 2012 contro Bersani, ho accettato il risultato, non ho fatto ricorso e un
minuto dopo ho fatto campagna per lui». Con alcuni collaboratori, il segretario-premier Matteo Renzi rievoca
la sua vicenda per commentare la polemica uscita di Sergio Cofferati dal Pd, «incomprensibile», per lui, che
avvenga dopo la sconfitta alle primarie. Un abbandono del partito di cui si chiacchierava già venerdì
pomeriggio in direzione. Per questo, di tutta fretta, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, in quanto ligure,
e la giovane responsabile degli enti locali Valentina Paris, entrambi della corrente dei Giovani turchi, erano
partiti per cercare di dissuaderlo. Missione fallita: nel primo pomeriggio Cofferati annuncia il suo strappo. Lo
sfogo del segretario «Se votano in pochi come in Emilia, dicono che le primarie sono un flop; se votano in
tanti come in Liguria, dicono che ci sono le truppe cammellate», sospira Renzi parlando con i suoi, in questo
sabato casalingo passato con la famiglia, segnato però da questo rumoroso abbandono. Esprime rispetto per
la scelta fatta da Cofferati ma si preoccupa del partito ligure, «calma e gesso, è il momento della maturità e
della responsabilità», si ripromette di trasmettere loro, senza nascondere un moto di fastidio: «Però quanta
ipocrisia in certe polemiche...». Renziani scatenati «Cofferati lascia il Pd? Se è così si dimetta da
parlamentare europeo. I voti che ha preso sono del Pd», attacca via Twitter la renzianissima deputata Alessia
Morani. «Bisogna sapere perdere in politica, soprattutto quando la politica nella vita ti ha dato tanto»,
commenta il responsabile giustizia del partito, David Ermini. E «Bisogna saper perdere» è la canzone che
Ernesto Carbone, altro deputato vicino al premier da quando era solo sindaco di Firenze, dedica all'ex leader
della Cgil. Reagiscono così i fedelissimi del leader, e più si sale la gerarchia renziana, più la posizione
diventa dura: nessuna comprensione per le ragioni di Cofferati, «se ci sono delle regole si rispettano. E chi
perde accetta la sconfitta», sospira una delle figure più vicine al segretariopremier, per nulla spaventata
dall'ipotesi che il Pd possa perdere altri pezzi da sinistra, anzi: «Avanti il prossimo...», si lascia scappare. Il
fatto è, ritengono i fedelissimi, che l'occasione scelta per uscire dal partito sia sbagliata. «Non si può far parte
di una comunità politica dicendo: se vinco resto, se perdo me ne vado», riassume il pensiero di molti la
vicesegretaria Debora Serracchiani. «Se Cofferati avesse vinto, adesso sarebbe il candidato di tutto il Pd.
Invece ha perso e lascia un partito che, con il suo 40,8%, lo ha portato a Bruxelles: le regole vanno rispettate,
quando si vince ma anche quando si perde», predica Carbone. La minoranza Matteo Renzi e Sergio Cofferati
ieri non si sono sentiti. Ma il segretario ha sentito il sindaco di Savona, Federico Berruti, renziano che
sarebbe stato il vice designato di Cofferati. Sarà a Roma in settimana, giovedì o venerdì: perché, come dice
la Paris, reduce dalla missione a Genova, «ora è preminente che si lavori per tenere dentro al Pd il 47% che
lo ha sostenuto». A chiamare Cofferati, invece, ci ha pensato il vicesegretario, Lorenzo Guerini. A lui,
considerato il mediatore dentro al partito, spetta dirsi «addolorato» per la scelta «inspiegabile» dell'ex sindaco
di Bologna e augurarsi «un ripensamento». Spetta a lui ripercorrere la vicenda ligure per rivendicare
«l'atteggiamento di neutralità» della segreteria nazionale e difendere le primarie, che si possono «affinare»
ma non «eliminare». Così come è lui a sottolineare che «la scelta di Cofferati rischia di danneggiare il partito»
nel momento in cui ci si sta avvicinando ad appuntamenti clou come l'elezione del presidente della
Repubblica. Un partito in cui c'è però «un malessere profondo», interviene dalla minoranza Stefano Fassina.
Infastidito dal coro renziano che interpreta la decisione di Cofferati come reazione stizzita alla sconfitta,
Gianni Cuperlo parla di «ferita» e chiede «un confronto su quanto sta accadendo».
54 mila I votanti alle primarie del centro sinistra per il candidato a guidare la Regione: un'affluenza alta, che il
partito rivendica come un successo. Cofferati non la pensa così
Foto: MARCO BALOSTRO /FREAKLANCE
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Retroscena
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:309253, tiratura:418328)
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Foto: Un elettore al seggio delle primarie liguri
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Ora il nuovo partito a sinistra è un'ipotesi molto concreta"
Il dissidente Civati: il rischio scissione cresce ogni giorno ma non ci saranno conseguenze per riforme e
Quirinale
[F. SCH.]
ROMA Per quanto mi riguarda, questo non è solo un fatto regionale. Fa parte di una lunga serie di episodi in
cui mi sono trovato distante dall'attuale segreteria del Pd». Pippo Civati, molti renziani insistono nel dire che
non si va via quando si è sconfitti, bisogna saper perdere... «E' una lettura superficiale. Il problema è ben più
grosso e liquidarlo in modo così leggero contribuirà a portare persone a non votare più Pd». Qual è il
problema? «Sull'analisi sono d'accordo con Cofferati. In questi giorni ho anche cercato qualche sponda
nazionale nel Pd per una lettura critica e più rispettosa di chi non ha votato la Paita di quanto è successo, ma
ho trovato il contrario. C'è un'unica cosa su cui non sono d'accordo con Cofferati». Che cosa? «Non è vero
che c'è stato silenzio da parte della dirigenza del partito: è stato detto il contrario di quello che ci
aspettavamo. Il ministro della Difesa Pinotti ha detto la settimana scorsa che con il Nuovo centrodestra già
governiamo, mentre Sel è all'opposizione... Loro vogliono fare il partito se non della Nazione, della Regione,
mentre noi vogliamo fare il centrosinistra». Il problema allora non sono i seggi contestati, ma proprio la linea
politica. «Entrambe le cose. Se annulli tredici seggi non si tratta solo di un problema quantitativo, ma anche
qualitativo. E non ho sentito parole di condanna rispetto ai seggi annullati. Ai tempi delle primarie a Napoli
ricordo un'intervista di Orlando in cui diceva "abbiamo sentito puzza di bruciato per cui abbiamo annullato",
con questo non dico che bisognasse annullare le primarie anche in Liguria, ma mi aspettavo un
atteggiamento più attento». Cosa si aspetta che faccia ora il segretario Renzi? «Non lo so. In Direzione ha
detto "caso chiuso": ora chiunque lo riaprirebbe, ma non so se lo farà lui». Cresce l'ipotesi di una nuova forza
a sinistra? «E' un capitolo aperto da tempo. La domanda è se riguarda un pezzo di Pd: in Liguria temo sia
un'ipotesi molto concreta. Ed è possibile che ci siano sviluppi a livello nazionale. Per capire le conseguenze
bisogna aspettare un po'». Tra le conseguenze potrebbe esserci una sua uscita dal Pd? «Diciamo che questa
vicenda non è un aiuto a saldare i rapporti con la dirigenza del partito». Ci saranno conseguenze nei rapporti
tra minoranza e maggioranza nei prossimi appuntamenti, il voto sulle riforme e sul capo dello Stato? «Non
penso, perché nei giorni scorsi non ho rilevato da parte degli altri della minoranza una grande solidarietà
verso Cofferati...».
Foto: Caso nazionale Pippo Civati, esponente della minoranza Pd: «Per me spiega questo non è un fatto
locale»
Foto: La mossa di Sel Il partito di Vendola si dichiara pronto a sostenere Cofferati se deciderà di candidarsi
contro il Pd
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Intervista
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Berlusconi frena Brunetta dopo l'ultimatum di Verdini "Gli impegni si
rispettano"
Il leader: "Basta attacchi a Renzi". Voci di una chiamata del premier
AMEDEO LA MATTINA ROMA
Berlusconi avrebbe ricevuto rassicurazioni sul Quirinale e ferma Brunetta contro il governo e tutto il fronte di
Fitto che si sta allargando. A convincerlo sono stati Verdini e il capogruppo del Senato Romani che stanno
facendo girare un documento per celebrare il Patto del Nazareno. «Caro presidente - gli ha detto Verdini ora
basta: questa storia va chiarita una volta per tutte. Non puoi far passare l'idea o la sola impressione che Fi
stia deragliando sulla linea di Brunetta, Fitto e Minzolini. O siamo dentro il Patto del Nazareno o ne siamo
fuori, con tutte le conseguenze del caso, Quirinale compreso». Prima che Berlusconi tornasse ad Arcore,
Denis Verdini lo ha affrontato in maniera decisa. La lite e la nota È pronto a dimettersi, a lasciare il mandato
di ambasciatore presso la corte renziana. Verdini ha chiesto a Berlusconi di fermare Brunetta che in questi
giorni ha ingaggiato alla Camera una battaglia sui tempi delle riforma elettorale e costituzionale. «Prima
l'accordo sul Quirinale: Renzi non è il padrone del Parlamento», continua a ripetere il capogruppo di Fi contro
cui qualcuno si muove per le sue dimissioni. Renzi lo ha bollato «Re dei fannulloni» perché Brunetta vuole
aspettare la fine del mese quando si apriranno le urne del nuovo capo dello Stato. Non è solo Verdini a porre
un aut aut a Berlusconi: anche il premier lo avrebbe chiamato per capire se veramente c'è un cambio di
passo nelle posizioni di Forza Italia. Berlusconi ha negato con il premier e poi ha pubblicato una nota. Sulle
riforme «abbiamo preso degli impegni che intendiamo rispettare, come sempre abbiamo rispettato la parola
data. E questo vale anche per i tempi e le procedure. Stia tranquillo perciò il presidente Renzi: nessuno farà
"guerra" sulle riforme». Ma la sinistra, aggiunge Berlusconi, «non si faccia illusioni sul resto, perché troverà
da parte nostra una opposizione rinnovata, forte e intransigente». «Schiaffoni» Verdini e gli amici di Verdini
esultano. Dicono che Brunetta ha preso «due schiaffoni» da Berlusconi, che ha zuccherato la cicuta dicendo
che non sarà lui a mettere in discussione la diversità delle opinioni. «Lo sanno tutti in Fi, dove chiunque ha
potuto esprimere il pensiero liberamente, pronti però tutti a ritrovarsi nelle decisioni assunte dal partito e a
rispettarle». Insomma, Brunetta parli liberamente, ma alla fine deve adeguarsi alla linea del partito. E questo
vale anche per Fitto. L'affondo Il capogruppo dice di non sentirsi smentito. «Non credo proprio. Ne parleremo
mercoledì alla riunione del gruppo alla Camera. Le parole di Berlusconi sono chiare? Dirò quello penso
mercoledì, liberamente». Ma anticipa l'atteggiamento e il piglio. «Per antica consuetudine tutte le mie analisi
e le mie dichiarazioni sono sempre state concordate con il presidente Berlusconi, anche quando Berlusconi
cambiava parere». Così parla Brunetta mentre Berlusconi vira verso i proNazareno. Uno slalom che aveva
dato l'impressione di avere dato mano libera al capogruppo. La questione è legata al Quirinale. Il Cav. si
lamentava che Renzi non gli dava alcuna sicurezza su una candidatura che lo rassicurasse sia dal punto di
vista politico, personale e aziendale. Una qualche rassicurazione è arrivata con il nome di Giuliano Amato.
Ma la partita è ancora lunga.
Non sono d'accordo sui giudizi espressi da Brunetta e neppure sulla sua abitudine di attaccare gli
avversari Cambi atteggiamento Silvio Berlusconi leader di Forza Italia
Per consuetudine tutte le mie analisi e le mie dichiarazioni sono sempre state concordate con il
presidente Berlusconi Renato Brunetta capogruppo alla Camera di FI
Foto: Scontro Botta e risposta a distanza tra Renato Brunetta e Silvio Berlusconi: il leader contesta la linea di
opposizione dura del capogruppo
Foto: ROBERTO MONALDO /LAPRESSE
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Retroscena
18/01/2015
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Calderoli: "Questi grandi elettori sono illegittimi, si torni al voto"
Il leghista: Grasso deve sciogliere le Camere
UGO MAGRI ROMA
Senatore Calderoli, voi della Lega chi vorreste al Quirinale? «Più del nome, ci interessa il metodo. Noi non
vogliamo eleggere un Presidente che per sette anni si porti il peso del peccato originale». Quale peccato
originale, scusi? «Quello che pesa sulle istituzioni da quando la Corte costituzionale, a inizio 2014, dichiarò
incostituzionali tanto il premio di maggioranza quanto le liste bloccate. In pratica ha gettato un'ombra pesante
di illegittimità sul Parlamento e su tutte le cariche che da questo sono derivate. Compresa dunque la
rielezione di Napolitano. Comprese Consulta e Csm. Lo sa chi saranno il 29 gennaio, quando inizieranno le
votazioni per il Colle, gli unici davvero legittimati tra i 1008 grandi elettori? Glielo dico io: i senatori del
Trentino Alto Adige e i rappresentanti delle Regioni. Tutti gli altri saranno fuori dai parametri costituzionali».
Un momento, però: con quella sentenza la Corte stabilì anche che il Parlamento eletto col «Porcellum» era
comunque valido e legittimato... «Fece una considerazione di buon senso, perché la Repubblica deve andare
avanti lo stesso. Ma chiaro fu anche l'invito a rimetterci in fretta sui binari giusti per non perseverare nel
peccato». E come si torna secondo lei sui binari? «Resettando il sistema. Cioè attraverso nuove elezioni
anticipate, da tenere con il sistema indicato dalla Consulta. Che ci ha consegnato una legge elettorale
proporzionale con una preferenza, che è tra l'altro la più adatta in assoluto per una fase costituente». Votare
adesso, subito, così, di corsa? «Esatto. Perché la situazione di illegittimità non può trascinarsi in eterno. In
caso contrario questo Parlamento di "premiati" e di "nominati" eleggerebbe un secondo Presidente segnato
dal peccato originale. E questo Presidente a sua volta promulgherebbe una nuova legge elettorale fortemente
maggioritaria, destinata a rendere peccaminoso il futuro Parlamento e perfino la futura Costituzione. Tutti
quanti destinati, in quanto figli della colpa originale, all'Inferno...». Ma oggi si potrebbe tornare alle urne?
«Certo. Il "Consultellum" deve solo trovare attuazione attraverso alcuni atti secondari, cioè decreti ministeriali,
che il governo non ha mai emanato. È passato oltre un anno, ma ancora non vi provvede. Basterebbe poco».
E senza Capo dello Stato, chi scioglierebbe la Camere? «Il presidente Grasso, in quanto supplente, ha la
piena potestà di indire nuove elezioni». Ne è sicuro? «Sicurissimo. L'unica controindicazione riguarderebbe
proprio Grasso che, se sciogliesse le Camere, poi non potrebbe ricandidarsi in Parlamento. Però
acquisirebbe, agli occhi del paese, una grande autorevolezza che lo metterebbe in ottima luce presso il buon
dio e anche presso i grandi elettori del prossimo Presidente della Repubblica». Secondo lei, Renzi potrebbe
accettare una soluzione del genere? «Non è un discorso di convenienze ma di senso civico elementare. E
nemmeno occorre essere dei grandi statisti per accorgersi del distacco che c'è nei confronti della politica.
Votare, resettare tutto e ripartire sarebbe un comportamento da persone perbene, che di bene ne vogliono
anche al proprio paese».
Foto: Senatore Roberto Calderoli è anche vicepresidente del Senato
Foto: LIVERANI
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
202
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Intervista
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:309253, tiratura:418328)
In Italia sono 3,6 milioni le persone che vorrebbero un lavoro ma rinunciano a cercarlo
ROBERTO GIOVANNINI ROMA
I dati sulla disoccupazione in Italia sono davvero catastrofici. Ma volendo fare i conti per bene, ai 3,4 milioni di
disoccupati dovremmo sommare il vero e proprio esercito di lavoratori «scoraggiati». Parliamo di ben 3,6
milioni di cittadini senza più fiducia, il 14,2% della forza lavoro nazionale, oltre il triplo della media dell'Europa
a 298 (4,1%). Si tratta di persone che sarebbero prontissime a iniziare o a riprendere a lavorare, ma che a
differenza dei «disoccupati» calcolati dalle statistiche tradizionali sono talmente sfiduciate e convinte che sia
impossibile riuscire a farsi assumere che neanche ci provano. A mettere in evidenza questo fenomeno ci ha
pensato Eurostat, l'istituto Ue di statistica, con riferimento ai dati del terzo trimestre del 2014. Se si pensa che
appunto nel terzo trimestre 2014 si contavano circa 3 milioni di disoccupati (oltre 3,4 milioni il dato mensile di
novembre), considerando i 3,6 milioni di persone che non cercano impiego ma sarebbero disponibili a
lavorare, si superano i 6,6 milioni di persone, il 7,8% in più dello stesso periodo del 2013. E la situazione
rischia di aggravarsi nell'ultimo trimestre del 2014, dato che secondo l'Istat i disoccupati erano oltre 3,4 milioni
sia a ottobre che a novembre (il dato sugli inattivi disponibili a lavorare invece è solo trimestrale). Il confronto
europeo In Italia, quindi, non solo la disoccupazione è più alta in media rispetto all'Europa (a novembre al
13,4% contro l'11,5% dell'Eurozona e il 10% dell'Ue a 28) con un aumento di quasi un punto rispetto all'anno
precedente, ma è enorme il divario sulle «forze lavoro potenziali» con oltre 3,6 milioni di persone nel terzo
trimestre 2014 che non cercano impiego ma sono pronte a lavorare (il 14,2% del totale a fronte del 4,1% di
media in Ue). Si tratta di persone considerate statisticamente inattive, perché non hanno effettuato nessuna
ricerca di lavoro nelle quattro settimane precedenti la rilevazione. Sono coloro che vorrebbero lavorare, che
sono disponibili a un eventuale impiego, ma che hanno deciso di rinunciare persino a cercare un impiego
perché bloccati dalla sfiducia nella possibilità di trovarlo, dalla cura dei figli o comunque da impegni familiari o
da altri motivi, tra cui magari un'età relativamente «avanzata» (come gli ultracinquantenni). In Europa la
percentuale degli scoraggiati è aumentata di 0,2 punti percentuali; in Italia, invece, è cresciuta molto di più. In
Germania, ad esempio, la percentuale complessiva di coloro che non cercano lavoro ma sono disponibili è
ferma all'1,2%, ma anche in Grecia - dove la disoccupazione è superiore al 25% - l'area della «sfiducia» è
stabile all'1,9%. L'Italia su questo versante è spaccata in due, con un Nord dove le percentuali sono più vicine
alla media europea, con il 6,5%, e il Mezzogiorno che sprofonda con il 30,7%. Tantissime le donne e i
giovani. Ma la metà di questi inattivi, ha un basso livello di istruzione: 1,8 milioni hanno infatti un titolo di
studio di scuola elementare o media.
Le attese della Banca d'Italia per il 2015 n L'occupazione in Italia «è cresciuta nel terzo trimestre, ma i dati
preliminari di ottobre e novembre segnalano una ripresa fragile». Lo si legge nel Bollettino di Bankitalia. n
Ancora il Bollettino della Banca d'Italia segnala che le aspettative delle imprese sulla domanda di lavoro nei
primi mesi del 2015 continuano a essere negative
3,4 milioni i disoccupati A questo numero ufficiale si aggiungono 3,6 milioni che hanno perso anche la
speranza
14,2 per cento Questa la quota degli scoraggiati sul totale della forza lavoro È il triplo della media europea
Foto: REPORTERS
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Avanza l'esercito degli "scoraggiati"
18/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Fca lancerà 20 nuovi modelli Marchionne: boom di investimenti nel 2016
[R. E.]
TORINO Fiat Chrysler aumenterà gli investimenti nei prossimi due anni per sostenere il lancio di 20 nuovi
modelli, tra cui la Maserati Alfieri e due nuove vetture targate Alfa Romeo. Gli investimenti raggiungeranno il
picco nel 2016. È quanto si legge nella documentazione della presentazione agli analisti al seminario Bank
am Bellevue in Svizzera, diffusa sul sito del gruppo e rilanciata poi dall'agenzia internazionale Bloomberg.
Secondo Fca, le previsioni per l'industria dell'auto sono positive nei principali mercati, il cui tasso annuale di
crescita dovrebbe rafforzarsi fino al 2018. L'obiettivo dell'amministratore delegato Sergio Marchionne è di
vendere nel 2018 fino a 7 milioni di auto (con un aumento del 60%). FiatChrysler prevede di investire 48
miliardi di euro per rafforzare i marchi Alfa Romeo, Maserati e Jeep per attrarre sempre più clienti da Pechino
a Berlino fino a Boston. Marchionne vuole un gruppo sempre più grande per sfidare al meglio General Motors
e Volkswagen. Nella presentazione agli analisti al seminario Bank am Bellevue in Svizzera, Marchionne,
scrive Bloomberg, considera positive le prospettive dell'auto per il prossimo anno, prevedendo anche una
crescita nei mercati di Brasile ed Europa. Intanto torna a fare notizia il "modello Pomigliano". «Ne ero
convinto allora e lo sono oggi, i 1500 inserimenti a Melfi confermano la validità delle iniziative intraprese,
l'accordo di Pomigliano è stata una rivoluzione vera senza la quale non avremmo salvato la presenza
industriale della Fiat in Italia». Archiviata a fine dicembre una carriera cominciata in Fiat 41 anni e 3 mesi fa,
Paolo Rebaudengo, braccio destro dell'ad Sergio Marchionne nella rivoluzione delle relazioni industriali, in
un'intervista all'Adnkronos, rompe il silenzio che ha caratterizzato i lunghi anni trascorsi nel gruppo, in attesa,
tra un paio di mesi, dell'uscita di un libro in cui l'ex responsabile delle relazioni industriali del Lingotto
ripercorre il caso Pomigliano. «È una ricostruzione dall'interno e non come è stata rappresentata - spiega
Rebaudengo - molti hanno parlato di quell'accordo ma pochi lo hanno davvero letto e ne hanno compreso il
vero significato». Secondo Rebaudengo, «quel contratto, che ha definito nuove regole, ha responsabilizzato il
sindacato, ha permesso all'azienda di gestire in modo diverso le fabbriche. È un'intesa che ha segnato un
cambiamento culturale vero, forse non percepito dal sistema Paese, ma certamente dai lavoratori.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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REBAUDENGO: IL MODELLO POMIGLIANO È UN SUCCESSO
19/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
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Il vicepremier greco: Tsipras come Harry Potter, ma se serve dico sì a
un'alleanza con lui
Tonia Mastrobuoni
A PAGINA 11 Vicepremier Evangelos Venizelos, se Tsipras vincesse le elezioni, accettereste un'alleanza con
lui? «C'è bisogno di un governo di unità nazionale con tutte le forze democratiche, se possibile progressiste,
che credano nel futuro della Grecia nell'euro. Non siamo il passepartout di chiunque. Abbiamo portato il peso
e sofferto danni enormi per governare la crisi. Appoggeremo il prossimo governo se non crea rischi per il
futuro della Grecia e dell'Unione europea e se segue l'unica strategia plausibile, un piano di uscita dalla crisi,
in collaborazione con i nostri partner. Chi vincerà domenica dovrà allearsi ed evitare nuove elezioni: quelle
sarebbero un disastro». Chiedereste anche di rinegoziare il debito? Tsipras è il favorito e alcuni politici e
banchieri centrali cominciano a dire che se ne può discutere. «L'eurogruppo si è già impegnato a discutere
come ridurre il debito, se la Grecia completa il programma. Ero ministro delle Finanze ed ebbi un ruolo di
primo piano nel 2012, quando negoziammo il taglio della quota in mano ai privati, ben 180 miliardi di euro,
l'80 per cento del prodotto interno lordo! Il più grande taglio del debito della storia. Abbiamo raggiunto gli
obiettivi decisi dall'eurogruppo; ora dobbiamo andare avanti. Estendere i tempi di rimborso, abbassare gli
interessi e fare altri interventi tecnici che rappresentano un taglio del debito. Tecnicamente, il debito è
sostenibile, paghiamo il 40 per cento in meno di interessi rispetto al 2010. Il punto di dissenso con Syriza è
questo: loro sostengono che la Grecia non sarà mai in grado di ripagare tutto il debito. Ma qual è il Paese che
ripaga il suo debito? Ciò che lo rende sostenibile è che se ne onorino le scadenze. Nel caso della Grecia,
solo il 10 per cento, circa 35 miliardi di euro, è in mano a speculatori. Il 90 per cento è in mano a Stati o
istituzioni, al sicuro». Perché Syriza è riuscito ad attirare così tanti voti del Pasok? «Dal ritorno della Grecia
alla democrazia, nel 1974, il Pasok ha governato per metà del tempo, contribuendo enormemente alla
modernizzazione del Paese. Molti cittadini associano al Pasok il costante miglioramento delle proprie
condizioni di vita ma non hanno riflettuto sui problemi economici emersi nel frattempo. Quando è esplosa la
crisi, nel 2010, Pasok aveva appena preso in mano il governo da Nea Demokratia, dopo 5 anni di governo
disastroso. Non capimmo l'enormità dei rischi che stavamo per affrontare. Per la prima volta dovemmo
imporre tagli delle pensioni e degli stipendi, cancellazione dei benefici, eccetera. Poi arrivò il primo piano di
salvataggio. Gli elettori non ce l'hanno perdonato. Nella testa delle persone è stato esso a creare la crisi e
non viceversa. Il nostro più grande errore è stato voler affrontare quella situazione da soli, senza coinvolgere
il maggiore partito d'opposizione, Nea Demokratia, responsabile di tutto ciò che era successo. Ci prendemmo
l'onere dei sacrifici. E il partito estremista Syriza, con il suo 4 per cento, accolse la rabbia degli elettori.
Tsipras promise il paradiso in terra senza sacrifici, un recupero della prosperità in modo magico, come se
fosse Harry Potter. In più, la sua carta vincente è non aver mai governato e non essere "responsabile" della
crisi. Ma è associabile alle cause che portarono ad essa». Cosa pensa del nuovo partito di Papandreou? L'ex
premier sostiene che Pasok è diventato "parte del sistema" ma sembra prendere voti dal suo partito. «Solo il
Pasok entrerà nel prossimo Parlamento. Il tentativo di sabotaggio è fallito. I greci hanno una buona memoria.
Ricordano esattamente chi ha fatto che cosa negli ultimi cinque anni». Pensa che ci sia un rischio "Grexit"?
Alcuni politici affermano che non è più una minaccia, per l'area euro. «Non esiste il Grexit. Nessuno può
cacciare un Paese dall'eurozona. E' molto irritante leggere scenari del genere sulla stampa straniera o nelle
dichiarazioni di politici europei. Danneggia non solo la Grecia, ma l'euro. Questa spudorata mancanza di
responsabilità deve finire ora. L'unico pericolo in Grecia è che qualcuno si comporti in maniera irresponsabile
e commetta errori che ci lascino senza un soldo mentre siamo nell'euro. Essere nell'euro, senza un euro:
quello sarebbe il disastro e potrebbe costringere un governo irresponsabile a considerare soluzioni disperate.
Non ci voglio neanche pensare».Evangelos Venizelos 58 anni, vicerpremier e ministro degli Esteri greco,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Intervista a Venizelos
19/01/2015
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leader del Pasok
L'estrema sinistra promette il paradiso in terra senza sacrifici, un recupero di prosperità magico Bisogna
allungare i tempi e abbassare gli interessi Gli Stati non ripagano i debiti basta onorare le scadenze Il mio
governo ha dovuto togliere risorse per rimediare ai danni fatti dalla destra di Nea Demokratia
Foto: La Grecia vota il 25 Manca una settimana al voto e il risultato appare quanto mai incerto LOUISA
GOULIAMAKI/AFP
19/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
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Orfini: non sono normali primarie col centrodestra
"Però l'ex segretario Cgil sbaglia ad andarsene"
FRANCESCA SCHIANCHI ROMA
«Credo che Cofferati abbia sbagliato e spero che, ripensandoci a freddo, possa tornare sui suoi passi. Ci
sono stati comportamenti inaccettabili nelle primarie e alcuni seggi sono stati annullati: ma arrivare a lasciare
il Pd mi sembra una scelta incomprensibile». Presidente Orfini, il voto ligure ha ucciso le primarie, come dice
il suo collega Damiano? «Noi alle primarie non vogliamo rinunciare, ma hanno bisogno di manutenzione. Che
a primarie del centrosinistra partecipino politici di centrodestra non è normale». E' quello che lamenta
Cofferati. «Infatti credo si debbano dare risposte politiche alle questioni che pone. Sul tema della coalizione,
le primarie non hanno deciso nulla. Io penso che il Pd debba presentarsi alle Regionali con una coalizione di
centrosinistra». Renzi ha sottovalutato la vicenda? «Nessuno l'ha sottovalutata. Dobbiamo imparare a vivere
meglio le tensioni delle primarie, e recuperare la consapevolezza di essere una comunità. Sono certo che la
Paita lavorerà per questo». Anche secondo lei, come per molti renziani, Cofferati non sa perdere? «Ripeto:
penso abbia sbagliato. Ma alcune risposte sono assurde: qualcuno gli chiede di dimettersi
dall'Europarlamento, mi sembra un argomento da grillini, noi siamo quelli che sanno che si agisce senza
vincolo di mandato. Il tema è dare risposte politiche ai temi che Cofferati ha posto». Secondo Guerini, con la
sua decisione può danneggiare il Pd... «Stiamo vivendo una fase delicata della vita politica, è certo che
strappi e rotture non fanno bene al Pd, né al Paese». Civati parla di Pd di centrodestra. «Una totale cretinata:
in tutta Europa, il Pd è visto come paladino di chi mette in discussione le politiche di destra che hanno
governato in questi anni. Solo chi ha necessità di mantenere un briciolo di spazio nel sistema politico può
raccontare il Pd così. Stupisce che possa farlo qualcuno da dentro il partito». E' alto il rischio scissione?
«Penso di no, il Pd ha dimostrato in questi anni di saper discutere e rimanere unito». Non teme che queste
tensioni incidano sul voto sul capo dello Stato? «Se si pensasse di scaricare le tensioni interne al Pd sulle
istituzioni si disonorerebbe la storia della sinistra italiana». Fassina però dice che il caso Cofferati avrà un
peso notevole. «Se ha questa preoccupazione, sono certo che lavorerà per evitare il rischio». Sul presidente
della Repubblica, Alfano chiede un nome di centrodestra. «Non è il modo corretto di iniziare una discussione.
Cercheremo di coinvolgere tutti, ma non accetteremo si parta da veti e preclusioni».
Io penso che il Pd debba presentarsi alle Regionali con una coalizione di centrosinistra Matteo Orfini
presidente del pd
Foto: Presidente Dalemiano di formazione, è oggi il presidente del partito democratico
Foto: Strasburgo «Assurdo chiedere a Cofferati di dimettersi dall'Europarlamento. Non c'è vincolo di
mandato»
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Intervista
19/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 8
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"L'influenza suina? Vaccinatevi subito Il picco deve arrivare"
L'Istituto superiore di sanità invita a fare presto "Il falso allarme sul siero ha aumentato il caos"
PAOLO RUSSO ROMA
«Non dobbiamo creare allarmismi ma la suina ha colpito due italiani su tre di quelli a letto per l'influenza, per
cui l'appello è a vaccinarsi subito perché il picco è previsto per i primi di febbraio e il vaccino fa effetto dopo
due settimane». Invita a fare presto Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto
superiore di sanità. Anche se il virus dell'A-H1N1 non è letale come quello che ha flagellato tempo fa il
Sudamerica. In questo momento si può parlare di «allarme suina»? «No, perché non è così pericolosa come
si crede ma certo è che in questo momento due italiani su tre a letto per influenza sono stati colpiti proprio del
virus A/H1N1. Che però non sta mietendo vittime come in Sudamerica». Ma in questo momento si segnalano
50 persone in terapia intensiva in tutta Italia... «Appunto, in tutto il Paese, quindi su milioni di casi. Siamo
nelle normali statistiche. B a s t i r i co rd a re c h e p e r l e m a n c at e vacc i n a z i o n i o g n i anno
l'influenza miete ottomila vittime». I normali vaccini antinfluenzali proteggono anche dalla suina? «Sì, e chi
non si è immunizzato tra le categorie a rischio sarebbe bene lo facesse subito perché il picco influenzale è
previsto per i primi di febbraio, ma il vaccino inizia a fare effetto solo due settimane dopo averlo
somministrato. Quindi con i tempi siamo proprio al limite». A questa epidemia di A-H1N1 ha contribuito anche
il falso allarme sui vaccini antinfluenzali? «A giudicare dai più alti tassi di ospedalizzazione per l'influenza direi
proprio di sì. La s e t t i m a n a s c o r s a a b b i a m o avuto il picco con un milione e 300mila casi e le cose
andranno peggio nelle prossime settimane. La cosa apparentemente strana è che ad essere maggiormente
colpiti, soprattutto dalla suina, non sono gli anziani, ma soprattutto i bambini con meno di 4 a n n i e gl i i t a l i
a n i d i m e z z a età, dove i casi sono stati 6,23 o g n i m i l l e a b i t a n t i c o n t r o una media di 5,7». Ma
non sono quelli che possono fare a meno di vaccinarsi? «In quella fascia di età c'è un ampio spettro di
persone a rischio, soprattutto rispetto al virus A-H1N1. Dovrebbero vaccinarsi soprattutto cardiopatici,
persone con problemi respiratori seri, diabetici, neurolesi, donne al secondo e terzo trimestre di gravidanza,
immunodepressi, bambini nati prematuri tra i 6 mesi e i due anni di età». Quali sono i sintomi della suina?
«Sono simili a quelli dell'influenza stagionale. All'inizio è simile a una bronchite ma poi può degenerare anche
in disturbi neurologici e polmoniti. Ai primi sintomi è consigliabile starsene a casa e consultare il proprio
medico. Anche se è impossibile stabilire con una semplice visita a studio o in pronto soccorso se i sintomi
siano causati proprio dal virus A-H1N1». E allora cosa bisogna fare? «Servirebbe un'analisi specifica, il Prc.
Un test biologico che si fa con un prelievo del sangue ma non è necessario farlo. È consigliabile solo se ci
sono complicanze serie». Ma come la curiamo questa suina? «Come tutte le altre influenze. Assumendo
antipiretici per combattere la febbre e anti infiammatori contro i dolori, mentre gli antibiotici sono inutili, a
meno che non insorgano complicanze di tipo batterico».
Com'è difficile far fare l'iniezione n Nel novembre scorso la morte sospetta di 11 persone fa scattare
l'allarme su alcuni lotti di vaccini antinfluenzali. Successive indagini dimostreranno che i vaccini «incriminati»
non avevano nulla che non andasse. n L'allarme sulle morti sospette legate alla vaccinazione produce un
fenomeno di allontanamento dalla pratica del vaccino. I medici calcolano che nel 2014 si sono registrati
all'incirca due milioni di vaccinazioni in meno. n L'esplodere dell'influenza suina viene fatta derivare dai medici
soprattutto alla mancata vaccinazione da parte degli italiani. Il vaccino antinfluenzale, infatti, protegge anche
dalla suina. n Secondo uno studio della Lancaster University privilegiare la vaccinazione di persone con molti
amici sui social network aiuterebbe la diffusione della vaccinazione. Lo studio condotto su 200 studenti
Ieri sulla Stampa Sull'edizione di ieri la notizia: 50 persone ricoverate in terapia intensiva a causa
dell'influenza suina.
66 per cento Due malati su tre oggi a letto colpiti dalla suina settimane Il periodo dopo cui fa effetto il vaccino
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL'ALLERTA CONTAGIO Intervista
19/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 8
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Foto: REPORTERS
Foto: Ricoveri per l'influenza suina alle Molinette di Torino
Foto: Giovanni Rezza Direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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19/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Da questo mese stipendi più leggeri: scattano tetti e riduzioni Fino a 65 mila euro l'anno in meno dal 2018 per
le retribuzioni più alte
PAOLO BARONI ROMA
Finita la pacchia. Per i dipendenti della Camera dei deputati (e per i colleghi del Senato) questo gennaio sarà
ricordato probabilmente a lungo: fra poco più di una settimana, il 27, arrivano i cedolini dello stipendio e
questo sarà il primo mese con le buste paga decurtate. Scattano infatti i nuovi tetti, in ossequio alla regola
che nessuno nella pubblica amministrazione deve guadagnare più dei 240mila euro lordi che spettano al
presidente della Repubblica, e per chi sta sopra questa cifra, solo a Montecitorio sono circa 500 dipendenti su
1300, inizia una manovra di tagli progressivi che andrà a regime nel 2018. In tutto la Camera nel giro di 4
anni risparmierà 60,15 milioni di euro, altri 36,7 il Senato. Le nuove norme, contestate dai sindacati dei
dipendenti e subito accolte con circa mille ricorsi alle commissioni interne, non risparmiano nessuno,
compreso il neosegretario generale di Montecitorio, Lucia Pagano, che si è appena insediato ed il cui
compenso l o r d o q u e s t'a n n o s a r à d i 263mila euro, contro i 460mila del suo predecessore. I nuovi
tetti I consiglieri parlamentari che con 40 anni di servizio arrivavano a 358mila euro di stipendio lordo annuo
d'ora in poi, per effetto della manovra varata a ottobre da Camera e Senato, si dov r a n n o f e r m a r e a q u
o t a 240mila, esclusi però come sempre contribuiti e indennità. A ruota documentaristi, ragionieri e t e c n i c i
s ce n d e ra n n o d a 237.990 euro a 166mila, i segretari da 156.185 a 115mila, i collaboratori tecnici fa
152.663 a 106mila, ed infine operatori tecnici (barbieri compresi) e assistenti si vedranno limare il tetto da
136.120 euro a 99mila. I nuovi tetti verranno raggiunti al 23° anno di servizio dopodiché scatterà il blocco
della progressione retributiva mentre in precedenza questa continuava fino al pensionamento. Tagli per
scaglioni I tagli saranno effettuato per scaglioni, secondo aliquote crescenti un po' come avviene con le tasse
sui redditi: nel primo scaglione sono inseriti gli stipendi che eccedono fino al 25% il nuovo tetto, nel secondo
quelli che sforano dal 25 al 40% e nel terzo quelli che vanno oltre il 40%. Nel giro di 4 anni i tagli andranno a
regime, in maniera crescente: dal -20% iniziale del primo scaglione che diventa -30% nel 2016, -40% nel
2017 e tocca il -55% nel 2018, al -30% del secondo scaglione che arriva a -75% nel 2018, sino al -50% del
terzo scaglione che poi passa a -70 nel 2016, -80 nel 2017 sino a -100%, ovvero azzeramento totale, nel
2018. Per effetto di questo meccanismo un consigliere parlamentare, che con 36 anni di servizio guadagnava
341.678 euro lordi anno, nel giro di 4 anni si vedrà ridurre lo stipendio di oltre 65mila euro, 25.300 già da
quest'anno. A documentaristi e tecnici verranno invece tolti da subito 14.222 euro (che diventano 37.630 dal
2018), ai segretari parlamentari 7.393,16 euro (19.920 nel 2018), ai collaboratori tecnici 9.312,59 euro
(24.606,48). Ed infine operatori tecnici e assistenti perdono da subito 6.857,18 euro che diventano 18.380 nel
2018. Premi produttività Per riconoscere merito e produttività, a partire dal 2016, a favore dei dipendenti più
giovani, viene introdotto un premio del 10% della retribuzione («subordinatamente ad una valutazione
positiva delle prestazioni») una volta raggiunto dopo 23 anni di servizio il nuovo tetto massimo. A oggi la
Camera conta 155 dipendenti con anzianità inferiore ai 10 anni, 515 con anzianità compresa tra 11 e 20, 151
tra 21 e 23 anni e ben 482 con più di 23 anni di servizio, per lo più assistenti e segretari parlamentari.
Risparmi In tutto nel periodo 2015-2018 questa operazione farà risparmiare 36,7 milioni al Senato e 60,15
milioni al bilancio della Camera: 7,3 milioni quest'anno, 12,25 il prossimo, 17,2 nel 2017 e 23,4 nel 2018. Una
cifra significativa, ma che va raffrontata 258milioni di spese per il personale tra retribuzioni, oneri accessori e
contributi. Per il presidente della Camera Luara Boldrini si tratta comunque di un contributo «significativo» al
contenimento della spesa pubblica. Twitter @paoloxbaroni
97 milioni Il risparmio atteso in 4 anni dai tagli Circa 60 milioni arriveranno dalla Camera e 37 dal Senato
Le spese in Italia e nel resto d'Europa n La Camera dei deputati con circa 1300 dipendenti spende 258
milioni di euro l'anno su un bilancio di circa un miliardo. Il Senato con 840 dipendenti spende 170 milioni su
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Alla Camera e al Senato primi tagli in busta paga
19/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
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un totale di 560. n Con i suoi circa seimila tra dipendenti e collaboratori temporanei il Parlamento europeo
spende per il personale il 35% del suo budget complessivo che è pari a 1,8 miliardi di euro. n L'Assemblée
nationale francese su un bilancio complessivo di 517 milioni di euro ne spende 175 per il personale, 125,3 di
stipendi e poco meno di 50 di contributi. Il Senato 113 su un totale di 323. n La Camera dei comuni inglese
spende in personale circa un terzo di Montecitorio: 97 milioni contro 300 (valori 201112). Sorprende il costo
delle pensioni: 14 milioni contro 207.
La riforma Gli importi sono riferiti ad una retribuzione al 40° anno di servizio. Valori lordi in euro esclusi oneri
previdenziali e indennità di funzione Consiglieri Segretari Per tutti i dipendenti Decorrenza gennaio 2015
Collaboratori tecnici Operatori tecnici e assistenti Documentaristi, ragionieri e tecnici TETTI PER
CATEGORIA PROFESSIONALE (in euro) DOPO PENSIONE Fonte: Camera dei Deputati Raggiungimento
del tetto Blocco della progressione retributiva al raggiungimento del tetto ANDAMENTO RETRIBUTIVO I
nuovi tetti verranno raggiunti al 23° anno di servizio Progressione retributiva fino al pensionamento PRIMA
INIZIO CARRIERA 23° ANNO DI SERVIZIO
Foto: MARCO MERLINI/LAPRESSE
Foto: Meno privilegi Le retribuzioni dei dipendenti di Camera e Senato sono da tempo oggetto di polemiche
19/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Mercati in ansia fra Svizzera e Bce
Mercoledì forum di Davos, giovedì Draghi vara il piano di acquisto dei titoli privati e pubblici Dopo la tempesta
sul franco, oggi si temono nuovi rovesci. In attesa delle elezioni elleniche
DALL'INVIATA A BERLINO [T. MAS.]
Comincia oggi una delle settimane più importanti dell'anno: giovedì la Bce farà sapere se l'annunciato
programma di acquisti dei titoli privati e pubblici su ampia scala, il cosiddetto "quantitative easing", partirà da
subito o se bisognerà aspettare la riunione di marzo. Le maggiori preoccupazioni degli analisti riguardano
l'ipotesi che, per non irritare il governo tedesco, ancora poco convinto della necessità di un intervento
"all'americana", Mario Draghi fabbrichi un Qe limitato, nella quantità degli acquisti o nella modalità
(indiscrezioni parlano di rischi scaricati sulle singole banche centrali). E qualcuno, come Ardo Hansson, il
governatore della Banca centrale estone, ha anche dato voce al timore di molti. Ha chiesto che l'acquisto di
bond, se fosse avviato già giovedì, non includa bond greci. Tra sette giorni, infatti, Atene torna alle urne, e
l'Europa è col fiato sospeso. Il partito favorito, la sinistra radicale di Alexis Tsipras, vuole archiviare gli accordi
sottoscritti con la trojka (Fmi, Ue e Bce) e negoziare una soluzione sul debito, considerato insostenibile. Ma
alcuni politici del Nord Europa hanno già avvisato Atene che una sua uscita dall'area euro, oggi, è sostenibile
e che deve dunque attenersi ai patti senza ricattare i partner europei. Ma intanto i mediatori della Germania e
della Bce stanno già discutendo riservatamente con gli uomini di Tsipras eventuali soluzioni come un
allungamento delle scadenze. In vista della Bce, la decisione dei giorni scorsi della Banca centrale svizzera di
cancellare il tetto di 1,20 tra franco ed euro, potrebbe continuare a mettere sotto pressione la valuta elvetica.
Rendendo la permanenza a Davos, dove mercoledì i potenti del mondo converranno per il tradizionale World
economic forum (ci saranno anche Matteo Renzi, Pier Carlo Padoan e Ignazio Visco), più salata per tutti.
I numeri della crisi 1,20 il vecchio cambio Questo rapporto di conversione tra il franco e l'euro si è rivelato
insostenibile e Berna ha dovuto abbandonarlo 750 miliardi di euro Questa la possibile iniezione di liquidità
della Bce contro la deflazione Un importo minore potrebbe deludere i mercati 310 miliardi di euro Questa
l'entità del debito greco In sé non è una cifra enorme ma pesa su un'economia modesta e afflitta da poca
crescita
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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LA CRISI
19/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale - tutto soldi
Pag. 18
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Giro di vite sulle false partite Iva Tre requisiti e scatta l'assunzione
Debuttano le regole previste dalla legge Fornero: i finti autonomi sono 400 mila
[W. P.]
L'ultima notizia è il balzo del novembre scorso (+15,5% di nuove partite Iva), ma quella che più conta è che
da gennaio è scoppiata la guerra contro le false partite Iva. «Nel mese di novembre - recita una nota
dell'Osservatorio sulle partite Iva del Mef-ministero dell'Economia e finanze - sono state aperte 38.351 nuove
partite Iva ed in confronto al corrispondente mese dello scorso anno si registra un deciso incremento, pari al
15,5%, dovuto all'aumento di adesioni al regime fiscale di vantaggio (11.917 soggetti, +84% rispetto al
corrispondente mese dell'anno precedente)». La corsa all'apertura La sostanza è evidente: nel penultimo e
solitamente sonnacchioso mese dell'anno abbiamo assistito a una vera e propria corsa all'apertura di nuove
partite Iva, per mantenere la vecchia normativa più vantaggiosa (5% di tassazione fino a 30 mila euro di ricavi
l'anno). La legge di Stabilità 2015, per le prossime partite aperte, ha deciso un aumento della tassazione di
tre volte (dal 5% al 15%) abbassando e articolando le stesse fasce di reddito (da 15 mila a 40 mila euro). Le
reazioni non sono mancate. Ma mentre sono in corso manovre per non penalizzare le vere partite Iva, si è
aperta la caccia a quelle cosiddette finte. Si calcola che su 5,5 milioni di partite Iva attive circa 3 milioni siano
lavoratori autonomi senza dipendenti, professionisti individuali dentro i quali si nascondono aree di grigio e di
nero. Su questi circa 750-800 mila hanno un unico cliente; tra di essi il 35-40% sono false partite Iva
certificabili. Insomma l'area del bombardamento riguarderebbe 350-400 mila finte partite Iva. Entrate e Inps in
campo A stanarle saranno sguinzagliati gli ispettori delle Entrate e dell'Inps, che agiranno in base all'impianto
stabilito dalla legge Fornero sul lavoro del 2012. Il 31 dicembre scorso è infatti terminato il previsto periodo di
monitoraggio dei controlli sulla mono-committenza, previsto dalla legge 92/2012. Dal primo gennaio gli
ispettori potranno realizzare pienamente ciò che è stabilito da quella che veniva considerata la prima legge di
contrasto alle false partite Iva, vale a dire la presunzione automatica della subordinazione. I nodi Tre gli
indicatori che faranno scattare la presunzione di rapporto di lavoro subordinato, ma basterà che ne
sussistano contemporaneamente almeno due: la presenza di una postazione di lavoro fissa presso la sede
del committente; la soglia dell'80% dei corrispettivi annui dovuti alla collaborazione nell'arco di due anni
consecutivi; la durata della collaborazione non superiore agli 8 mesi annui per due anni consecutivi. La
presunzione di subordinazione si applica ai titolari di partita Iva privi di ordine o elenco. Gli ispettori, finito il
monitoraggio, potranno automaticamente stabilire la trasformazione del contratto in collaborazione coordinata
e continuativa o anche in contratto a tempo indeterminato. Sullo sfondo, ma non ultimo, resta il problema del
maltrattamento dei professionisti e free lance non iscritti ad albo o registro: agiscono in regime di rischio
d'impresa; sono fortemente tartassati (quest'anno la loro contribuzione è arrivata al 30,72%); e non hanno
diritto ad alcuna tutela né tantomeno a una offerta di welfare. Per questo molti di loro sono alla ricerca di
nuove vie di fuga.
Cinque anni in discesa Natura giuridica e numero delle partite Iva aperte nel periodo 2010-2014 - LA
STAMPA Fonte: Osservatorio partite Iva MEF *gennaio-novembre 2014
Foto: La stretta Per stanare le false partite Iva saranno sguinzagliati gli ispettori delle Entrate e dell'Inps Tra i
professionisti da regolarizzare soprattutto giovani
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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TUTTO SOLDI
17/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
L'ambasciatore Usa: il Colle test per Renzi
Maria Latella
Latella a pag. 7 L'ambasciatore Usa: il Colle test per Renzi «Per Matteo Renzi l'elezione del nuovo presidente
della Repubblica sarà un test importante». Nel suo ufficio all'ambasciata di via Veneto, l'ambasciatore John
Phillips offre a Il Messaggero il suo punto di vista sul cruciale appuntamento che attende in questi giorni il
presidente del Consiglio e la politica tutta. «Per gli italiani è importante avere fiducia nel nuovo capo dello
Stato, non ritrovarsi qualcuno che non è mai stato sulla scena politica nazionale. Il primo ministro Renzi non
deciderà da solo ma influenzerà la scelta e credo che molta gente osserverà con attenzione le sue mosse
nella convinzione che abbia la confidenza per sostenere qualcuno davvero indipendente, provvisto di una
forte personalità e autorevolezza. Non qualcuno che sia percepito come sottomesso, o troppo giovane o con
una limitata capacità di autonomia. Penso che la relazione tra presidente della Repubblica e primo ministro
sia in un certo senso simbiotica, entrambi hanno un forte ruolo. Insomma, per il presidente Renzi questo sarà
un test per dimostrare la capacità di portare al Quirinale qualcuno di riconosciuta statura, con la capacità e lo
standing di un presidente della Repubblica. Indipendente e a volte anche capace di opporsi ai desideri del
premier. Chi ha a cuore l'interesse del proprio Paese non può che scegliere la persona migliore, la più adatta
a servire l'Italia». Il presidente uscente, Giorgio Napolitano, è stato elogiato da Barack Obama e anche da lei.
Qual è la qualità che più l'ha colpita? «C'è un rapporto di reciproca ammirazione tra il presidente Barack
Obama e il presidente Napolitano che ha dimostrato sul lungo periodo saggezza e capacità di giudizio. Ha
visto molto nei suoi quasi novant'anni ed è acuto come non mai. Nel suo caso, la capacità di giudizio è
persino migliorata con l'esperienza. Ha ripetutamente dimostrato la sua saggezza usando il potere che la
Costituzione gli attribuisce in un modo molto prudente e molto efficace. L'equilibro che Napolitano ha
esercitato nei nove anni al Quirinale si è dimostrato utile anche per i vari primi ministri che si sono succeduti.
Il prossimo presidente, donna o uomo che sia, resterà al Quirinale per sette anni e forse anche lui dovrà
vedersela con vari presidenti del Consiglio. Ecco, penso che il successore potrà far tesoro dell'equilibrio che
Napolitano ha dimostrato nell'interloquire con vari governi». Molti hanno equiparato l'attacco di Parigi a
Charlie Hebdo, il 7 gennaio 2015 al vostro 11 settembre 2011. E' d'accordo? «Quanto è accaduto a Parigi
non è un altro choc dell'11 settembre ed è una sveglia per tutti noi, Europa e Stati Uniti. C'è molto da riflettere
su vari aspetti. L'influenza di Internet, per cominciare: connette persone di tutto il mondo e dà accesso a
informazioni che normalmente non sarebbero disponibili. Va analizzata anche la personalità di questi foreign
fighters. Sono giovani che tornano nei Paesi d'origine dopo aver combattuto, magari in Siria. Tornano
cambiati. Sono, contemporaneamente, molto pericolosi e molto motivati. Il 7 gennaio di Parigi rappresenta
una drammatica sveglia per tutti. La cosa non si risolverà rapidamente». Il presidente della Repubblica è
capo delle Forze Armate. Quanto è importante per gli Usa il ruolo dell'Italia in Libia e in Egitto? «L'Italia ha
dimostrato molta partecipazione e compassione per la sorte di chi, attraverso la Libia, fugge dai problemi dell'
Africa. Penso che l'instabilità della Libia debba preoccupare tutta l'Europa e certo anche gli Stati Uniti. Ci
dev'essere un modo per dare a sette milioni di libici un futuro migliore. Non si può vivere in costante stato di
instabilità». A proposito di instabilità. Domenica 25 gennaio si vota ad Atene: teme riflessi sulla stabilità
europea? «Sono ambasciatore in Italia e non in Grecia. Non ho elementi per esprimere opinioni su quel
Paese». L'Italia ha parecchi problemi, e la corruzione è tra questi. Prima di diventare ambasciatore lei è stato
un grande avvocato e uno strenuo sostenitore del whistle blowing: un dipendente può denunciare la frode o la
condotta illegale dell'azienda, e lo Stato lo protegge per questo. Un sistema che negli Stati Uniti si è rivelato
efficace nella lotta alla corruzione. Lo consiglierebbe agli italiani? «Su questo tema ho avuto varie
conversazioni con alcune autorità italiane. Considero significativa la nomina di Raffaele Cantone a presidente
dell'Autorità anticorruzione. Per quanto mi riguarda sono contento dello straordinario successo che il whistle
blowing ha avuto negli Stati Uniti. Si pensa che i governi abbiano tutte le risorse per battere la corruzione, ma
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'intervista
17/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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non sempre è vero e non lo è neppure per gli Stati Uniti. Dare ai privati i mezzi legali per fare quel che il
governo da solo non riesce a fare si è rivelato efficace: lo Stato americano ha risparmiato migliaia di miliardi
di dollari. Perché non provare anche in Italia? Il Congresso ha approvato una legge che dice ai cittadini: se
siete al corrente di una frode, fatecelo sapere. Se le autorità italiane me lo chiedessero, sarei disposto a
condividere la mia esperienza. Anzi, le confido il mio proposito per il 2015: aiutare l'Italia a dotarsi di una
legislazione efficace. Conosco avvocati esperti nel settore, portiamo avanti questa battaglia da venticinque
anni e ce ne sono voluti dieci prima che la legge producesse qualche effetto. Ma poi i risultati si sono visti:
certe aziende hanno restituito allo Stato oltre due miliardi di dollari. Sono pronto a mettere a disposizione la
mia esperienza per aiutare l'Italia a combattere la corruzione».
Foto: L'ambasciatore John Phillips
Foto: L'ambasciatore John Phillips con la moglie Linda Douglass
17/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Quirinale, l'altolà a Berlusconi: senza intesa c'è Mattarella
Alberto Gentili
Ancora una volta Renzi ha difeso l'accordo con Berlusconi. L'ha fatto ricordando che l'ex Cavaliere «ha
contribuito a eleggere gli ultimi due Presidenti». A pag. 9 Bertoloni Meli a pag. 8 Ancora una volta Matteo
Renzi ha difeso l'accordo con Silvio Berlusconi. L'ha fatto quando ha ricordato, sul palco della Direzione del
Pd, che l'ex Cavaliere «ha contribuito a eleggere gli ultimi due Presidenti». Ma il premier-segretario, sempre
più preoccupato della tenuta di Forza Italia, ha anche mandato un avvertimento all'ex Cavaliere. Di fatto ha
lanciato un aut aut che suona più o meno così: "Caro Silvio, dimostra nei prossimi giorni - su Italicum e
riforma del Senato - che controlli il tuo partito, perché se scopriamo che in Forza Italia non comandi più tu ma
Brunetta, il nuovo capo dello Stato lo eleggiamo alla quarta votazione con la sola maggioranza di governo". E
qualche transfugo grillino. Nell'ottica del pressing su Berlusconi, Renzi ha così dato la sua benedizione alla
candidatura di Sergio Mattarella. Anche perché quello dell'ex ministro dc, ora giudice costituzionale, è un
nome capace di compattare il Pd. Perfino Rosi Bindi, oltre a Pier Luigi Bersani e a Massimo D'Alema,
sarebbe entusiasta di vederlo al Quirinale. In più Mattarella avrebbe il sì di Sel e, forse, di gran parte dei
Cinquestelle che grazie allo scrutinio segreto potranno liberarsi dai diktat di Beppe Grillo. Berlusconi, invece,
resta ancora molto prudente temendo di ritro
varsi sul colle «un nuovo Scalfaro». Se invece l'ex Cavaliere dimostrerà di guidare ancora Forza Italia
confermandosi alleato affidabile, il nome più accreditato è quello di Giuliano Amato. Tanto più che il Dottor
Sottile gode del sostegno di Bersani e di D'Alema, con cui ha lavorato a lungo della fondazione
Italianieuropei. Ma Renzi teme la reazione dell'opinione pubblica che considera l'ex premier socialista
espressione della Casta. Dunque, si mantiene molto prudente.
LE ALTERNATIVE L'alternativa ad Amato proposta segretamente da Berlusconi a Renzi, che ha tirato un
sospiro di sollievo quando ieri ha letto che Romano Prodi si è chiamato di nuovo fuori dalla corsa per il Colle,
ha invece il volto di Anna Finocchiaro. L'ex capogruppo del Pd in Senato è apprezzata anche dalla Lega (ha
ottimi rapporti con Roberto Calderoli). Ma Renzi, tramite Luca Lotti e Lorenzo Guerini, ha sondato molti
peones del Pd. Con una brutta sorpresa: Finocchiaro invece di com
pattare il Pd lo spaccherebbe, visto che numerosi parlamentari nel segreto dell'urna potrebbero non votarla. E
il premier-segretario in Direzione ha detto chiaramente che la partita del Quirinale la vuole giocare con un Pd
compatto: «L'arbitro rigoroso si sceglie insieme e la partita la vinceremo insieme».
LE MANOVRE Girano anche altre candidature gradite a Berlusconi. Come quella del ministro degli Esteri,
Paolo Gentiloni, e quella del sindaco di Torino e presidente dell'Anci Piero Fassino. Ma entrambi, al pari di
Walter Veltroni, sconterebbero lo stesso problema della Finocchiaro: il rischio di non incassare i voti di tutti e
460 i grandi elettori del Pd perché giudicati troppo renziani. Faide, manovre e intrecci che potrebbero saltare
in caso di stallo. E allora schizzerebbero le quotazioni di Pier Ferdinando Casini, che gode di un'elevata
esperienza istituzionale. Oppure se dopo le elezioni in Grecia del 25 gennaio sull'Italia si abbattesse un'altra
tempesta finanziaria: i giochetti lascerebbero il posto all'individuazione di un capo dello Stato in grado di
rassicurare i mercati e le Cancellerie europee. I nomi più accreditati in caso di emergenza: il ministro
dell'Economia Pier Carlo Padoan e il governatore di Bankitalia Ignazio Visco.
Il toto-nomi Piero Fassino Giuliano Amato
Sergio Mattarella Anna Finocchiaro
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Il retroscena
18/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Il premier: quanta ipocrisia se ne va solo perché ha perso
Renzi: bisogna difendere sempre la ditta Bersani mi ha sconfitto ma sono rimasto Ma tra i fedelissimi cresce
l'agitazione per le tante tensioni a Genova e a Roma «È ASSURDO SE C'È POCA GENTE PARLANO DI
FLOP QUANDO C'È IL PIENONE EVOCANO TRUPPE CAMMELLATE»
Marco Conti
ROMA «Non mi meraviglio. E' lo stesso che ha portato il Pd in procura». Matteo Renzi alza le spalle.
«Rispetto» l'addio di Sergio Cofferati, spiega ai suoi, ma non può fare a meno di sottolineare che ad
infangare il buon nome della "ditta" è proprio l'ex sindacalista cremonese (già ex sindaco di Bologna e attuale
europarlamentare) e che da ieri ha visto sfumare l'idea di essere il prossimo governatore della Liguria.
Proprio sulla "ditta", alla quale come insegna Pier Luigi Bersani «occorre voler bene», sono piovuti gli attacchi
più duri del Cinese che da giorni martella un altro "antico" componente della "ditta": Claudio Burlando che nel
Pci militava insieme al Cinese. FLOP E CAMMELLI «Ha criticato le regole delle primarie aperte solo dopo
aver perso». Troppo facile, per il segretario del Pd che sperava di aver chiuso la questione ieri l'altro in
direzione. «Se votano in pochi in Emilia, dicono che le primarie sono un flop - ironizza il premier se votano in
tanti, come in Liguria, dicono che ci sono le truppe cammellate». Ed invece no, il Cinese non ci sta a perdere.
Sbatte la porta e annuncia di portare in Procura la relazione del Comitato dei garanti. Compreso il riconteggio
delle schede che dà comunque a Raffaella Paita la vittoria alle primarie per la Regione. Una scelta, tutta
diversa da quella fatta dal Pd campano che - dopo le contestazioni - ha annullato le primarie senza ricorrere
alla carta bollata e ai magistrati autorizzati, in questo modo, a metter becco anche sulla composizione delle
liste di partito. Una scelta tutta diversa da quella «che io ho fatto nel 2012, quando ho perso contro Bersani.
Allora - ricorda Renzi - ho accettato il risultato, non ho fatto ricorso e un minuto dopo ho fatto campagna per
lui». La necessità di rivedere alcune regole delle primarie Renzi l'aveva già enunciata ieri l'altro in direzione
quando ha fatto riferimento a Nico Stumpo e alla sua innegabile conoscenza del partito e dei meccanismi
delle primarie. Discutere di possibili modifiche, specie in vista di una legge elettorale che assegna un seggio
sicuro ai capilista, è per il segretario «opportuno». Le idee non mancano, a cominciare dalla possibilità di
dividere il momento dell'iscrizione al partito dal voto. POLTRONISMO «Assolutamente inconcepibile» è, per il
presidente del Consiglio, fare invece di una sconfitta il motivo per costruire l'ennesima associazione che, a
tempo opportuno, si trasformerà in galassia dell'ennesimo partito a sinistra del Pd. Un'eventualità che mette
in allarme i vertici del partito ligure e nazionale. Un partito spaccato rischia di compromettere una vittoria che
fino a qualche giorno fa veniva data per scontata anche per le spaccature interne al centrodestra. Renzi invita
il Pd ligure alla cautela e raccomanda «calma e gesso», ma non può fare a meno di sottolineare «quanta
ipocrisia ci sia in certe polemiche». HANNO DETTO E' una ferita ed è sbagliato liquidare il caso come una
reazione alle primarie GIANNI CUPERLO Chi si sente adatto a ogni stagione accetti anche l'inverno Nessuno
è indispensabile STEFANO BONACCINI Onore al merito per il coraggio di Cofferati tristezza per come Renzi
tratta la democrazia MATTEO SALVINI
Deputati
I numeri del Pd
307
109
31 26,1% 25,4% ANSA 40,8% Senatori ALLE URNE % voti ottenuti 33,2% SEGRETARIO Matteo Renzi
Politiche 2013 PRESIDENTE Matteo Orfini CAPOGRUPPO SENATO Luigi Zanda Eurodeputati Europee
2014 CAPOGRUPPO CAMERA Rober to Speranza Politiche 2008 Europee 2009
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL RETROSCENA
18/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Perché ora Sergio non lascia anche il seggio a Strasburgo?»
«LA COMMISSIONE DI GARANZIA HA DECISO LUI MI SEMBRA QUEI BAMBINI CHE QUANDO
PERDONO PORTANO VIA IL PALLONE»
Sonia Oranges
ROMA «Sergio mi ricorda quei bambini che perdono la partita e portano via il pallone»: Simona Bonafè,
europarlamentare piddina, che per ventura ieri era a pochi chilometri da Genova proprio mentre il perdente
delle primarie liguri dava l'addio al partito, proprio non comprende la scelta di Cofferati. Ha accusato il partito
di «un ingiustificabile silenzio». «E si sbaglia. Il partito si è espresso, eccome. Lo ha fatto attraverso la
commissione di garanzia, presieduta da un'ex componente della Consulta come Fernanda Contri, che ha
valutato il voto delle primarie e le segnalazioni di irregolarità, annullando le consultazioni in 13 seggi.
Nonostante ciò, il divario di voti tra Raffaella Paita e Cofferati non si è colmato, e il risultato è rimasto lo
stesso: la nostra candidata alla Regione Liguria sarà Paita. Semmai, bisognerebbe ricordare a Cofferati che il
partito da cui ora prende le distanze, è lo stesso che lo ha eletto a Strasburgo. Non mi risulta, però, che si sia
dimesso dal seggio europeo. Come non mi pare che abbia sollevato polveroni quando gravi irregolarità sono
state verificate in altre primarie, come in quelle napoletane». A dire il vero Cofferati ha ricordato che, per
molto meno, le primarie napoletane sono state annullate del tutto. «Ogni caso è a sé. In Campania è stato
deciso in un modo, in Liguria in un altro. Mi chiedo però dove fosse lui in quell'occasione: non è che Cofferati
ora esce dal Pd perché ha perso? Ha parlato di brogli per tutta la campagna delle primarie. Ex ante, non
soltanto ex post, per intenderci. Non vorrei che il progetto suo fosse un altro. L'importante comunque è avere
i necessari strumenti di verifica, le primarie restano uno strumento valido e non accettiamo lezioni di moralità
dai nostalgici delle decisioni prese nel chiuso delle stanze». Però si parla di pesanti ingerenze da parte del
centrodestra. «Chi viene alle primarie, paga due euro per votare e deve dichiarare per iscritto di essere un
sostenitore del Partito democratico. Io ritengo che il Pd sia rappresentativo del centrosinistra, forse altri non si
rassegnano ai cambiamenti di un partito che prova a modernizzarsi». Ci sarà l'alleanza con Ncd? «Questa
decisione spetta al partito regionale e alla candidata. E prima di parlare di alleanze, forse sarebbe meglio
discutere dei temi su cui costruire gli accordi, a partire da quelli ambientali legati al dissesto idrogeologico,
viste le vicissitudini della Liguria». Ma gli stessi garanti hanno censurato la partecipazione degli elettori di
centrodestra. E, soprattutto, hanno confermato criticità che possono essere superate cambiando le regole
delle primarie. «Faremo una riflessione anche su questo. Renzi ha appena aperto la discussione sulla forma
partito, di certo non intendiamo sottrarci. Resta il fatto che stiamo ragionando di uno strumento che
garantisce una partecipazione che non si era mai vista: vorrei ricordare che alle primarie in Liguria hanno
partecipato 55mila persone. Quando anche le altre forze politiche faranno lo stesso sarà un bel giorno per la
democrazia italiana». Ci saranno ripercussioni a livello nazionale? «Guardi, io sono stata tra i protagonisti
delle primarie 2012, quando Matteo Renzi perse. Anche allora si parlò di brogli, ma il giorno dopo la vittoria di
Pier Luigi Bersani, Renzi per primo si mise a lavorare per il candidato vincitore, pancia a terra. Ecco, questa è
la nostra idea di partito. Se poi qualcuno sente la mancanza della sinistra che perdeva e, soprattutto, che
prendeva ogni decisione sui candidati nelle segrete stanze, è meglio che lo dichiari apertamente. Per noi, il
tema prioritario resta capire come agganciare la ripresa, come mettere in campo le proposte migliori per il
governo delle Regioni e dei Comuni, e non come continuare a farci del male».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'intervista Simona Bonafè
18/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:210842, tiratura:295190)
E il leader Pd vuole allargare i confini del patto del Nazareno
I berlusconiani sterilizzano i dissidenti e il capogruppo alla Camera rischia il posto Soddisfazione per la
mossa dell'ex Cavaliere attesa per i movimenti dei fuoriusciti grillini DOMANI AL VIA LE CONSULTAZIONI
CON I PARTITI AL SENATO I RIBELLI DEMOCRAT SI CONTANO SULL'ITALICUM
Marco Conti
ROMA «Se la rimozione del nostro capogruppo venisse votata alla Camera, prenderebbe più voti del Trattato
di Lisbona». L'ironia non manca al deputato azzurro che spiega l'inedita tenacia con la quale Renato Brunetta
si è contrapposto a Silvio Berlusconi anche con argomenti estranei alla politica. CAMBIO E' difficile dire se
l'esperienza dell'ex ministro come capogruppo alla Camera stia volgendo al termine. Non perché manchino i
numeri per una possibile sostituzione, ma perché scelte di questo tipo sono sempre state appannaggio
esclusivo del Cavaliere, che però stavolta ha perso la pazienza al punto da vergare ieri mattina una nota con
la quale difende a spada tratta il Patto del Nazareno: «Renzi tranquillo, rispetteremo gli impegni presi per
rendere governabile il Paese». A differenza di ciò che consiglia a ogni piè sospinto il capogruppo di FI, il
Cavaliere è deciso a rispettare l'intesa raggiunta con Renzi. Al suo capogruppo ha provato a spiegarlo sabato
sera nel corso di un lungo colloquio avvenuto ad Arcore qualche ora dopo l'intervista che Brunetta aveva dato
al Corriere nella quale prometteva «guerra» a Renzi «se insiste sul calendario con le riforme prima del
Colle». Ieri mattina l'ignaro Cavaliere è saltato sulla sedia e, dopo aver chiamato Paolo Romani, ha deciso la
linea: «Io spiego la linea e tu prepari il documento che porremo in votazione nei gruppi martedì e mercoledì».
Ovviamente se il capogruppo attuale dovesse votare in dissenso dalla maggioranza dei suoi deputati, l'uscita
verrebbe data per scontata dal Cavaliere. TESTO Alla fine la veemente sortita del capogruppo azzurro ha
prodotto l'effetto opposto. La netta presa di posizione del Cavaliere riduce infatti lo spazio di manovra di
Raffaele Fitto. L'europarlamentare pugliese guida una minoranza interna a FI che sul patto del Nazareno ha
gli stessi dubbi di Brunetta, ma non ne condivide metodi e voglia di protagonismo. Le riunioni dei gruppi di FI
di Montecitorio e palazzo Madama si concluderanno con un voto su un documento - messo a punto da
Romani - che di fatto costringerà i dissidenti ad allinearsi. Anche se la limatura del testo è in corso, il risultato
sembra scontato perché con la nota di ieri pomeriggio Berlusconi ha messo fine anche a molte ricostruzioni
più o meno fantasiose. Renzi non ha mai avuto dubbi sulla volontà del Cavaliere, ma nelle ultime settimane
ha cominciato a preoccuparsi per le tensioni all'interno di Forza Italia e per un alto grado di estrosa
autonomia mostrata dal gruppo della Camera che a metà della scorsa settimana ha tentato di cambiare
l'ordine del giorno dei lavori della Camera. INTERESSE La tenuta dell'intesa con Forza Italia resta per Renzi
fondamentale per sterilizzare la sinistra interna e contenere i franchi tiratori. Una trentina, teorizzano i più
pessimisti, potrebbero "materializzarsi" alla Camera al momento della votazione delle riforme costituzionali. Al
Senato, dove il voto sull'Italicum è palese, la tenuta del patto del Nazareno si vedrà al momento del voto sui
capilista bloccati e sul premio alla lista e non alla coalizione. Argomenti che uniscono i malpancisti del Pd a
quelli di Forza Italia e alla pattuglia grillina. La sorpresa potrebbe venire dai fuoriusciti del M5S che a palazzo
Madama sono più di quindici e che potrebbero avere interesse ad avviare in questo modo col Pd renziano
una trattativa sul nome del successore di Giorgio Napolitano. Allargare l'intesa a parte del mondo
pentastellato è uno degli obiettivi che da tempo ha in mente Matteo Renzi per mettere a tacere la sinistra
interna e coloro che riducono il patto del Nazareno ad una sorta di scambio tra Quirinale e salvacondotto per
Berlusconi. In realtà al Cavaliere basta il riconoscimento dell'agibilità politica per dare forza alla richiesta di
riabilitazione che intende proporre dopo tre anni dalla fine dell'espiazione della condanna. Domani partirà la
consultazione proposta da Renzi venerdì in direzione e sempre domani si conoscerà la consistenza della
dissidenza Pd al Senato. Alla fine i numeri per la legge elettorale non dovrebbero mancare. Il rischio di
compromettere il percorso che porta all'elezione del Capo dello Stato e la tenuta della stessa legislatura,
dovrebbe frenar la dissidenza interna al Pd.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL RETROSCENA
18/01/2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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2
Come si eleg ge il presidente della Repubblica
1.009
672
630
315
58
505 voti voti deputati MAGGIORANZA NECESSARIA Presidente del Senato senatori elettivi grandi elettori
6senatori a vita rappresentanti delle Regioni PRIME TRE VOTAZIONI Due terzi dei componenti
dell'Assemblea DALLA QUARTA VOTAZIONE Presidente della Camera presiede l'assemblea
Il toto-nomi
Mattarella Deputato Dc, Ppi e Margherita. Ex vicepremier e ministro, è giudice della Consulta
Amato Ex parlamentare socialista e dell'Ulivo. Due volte premier e ministro, ora alla Consulta
Fassino Ex deputato e segretario dei Ds. Attualmente sindaco di Torino e presidente dell'Anci.
Finocchiaro Siciliana, ex magistrato, ex capogruppo del Pd in Senato, presidente di Commissione
18/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Un attentato al Vaticano non conviene ai terroristi»
L'UNICO ATTENTATORE SOPRAVVISSUTO ALLA STRAGE DI FIUMICINO: ATTACCARE IL SIMBOLO
DELLA CRISTIANITÀ ISOLEREBBE L'ISIS
Paola Vuolo
ROMA «Attaccare il Vaticano sarebbe un grandissimo sbaglio. Una carneficina nello Stato che è il simbolo
della cristianità nel mondo isolerebbe i terroristi dell'Isis, e loro invece hanno bisogno di appoggi e
finanziamenti». Seduto accanto alla vetrata di un bar alla stazione Termini Ibrahim Khaled, 47 anni, guarda in
continuazione l'orologio, ha un treno da prendere per tornare a casa, ma non vuole dare l'impressione di
avere fretta. Gli sembra maleducato. Quest'uomo dai modi gentili e l'aria riservata è l'unico sopravvissuto dei
quattro terroristi che la mattina del 27 dicembre 1985, portarono la guerra a Roma assaltando a colpi di
kalasnhikov il banco delle linee aeree israeliane all'aeroporto di Fiumicino, 13 morti e oltre ottanta feriti.
Khaled faceva parte del gruppo di Abu Nidal, il leader della lotta armata palestinese: «Ci penso a quei morti.
Ci penserò sempre, ho bruciato le loro vite,ma anche la mia». I servizi segreti hanno avvertito il Vaticano che
potrebbe essere il prossimo bersaglio dello Stato Islamico. Dopo Parigi Roma,lo ritiene possibile?
«Minacciare un attacco di fuoco alla Santa Sede è una notizia mondiale e questo fa gioco ai terroristi, è
propaganda. Roma rappresenta la cristianità, ma non è un obiettivo davvero strategico, almeno in questo
momento storico perché la politica estera italiana non svolge un ruolo così importante. Questo però non
significa che la capitale è al sicuro. Il vero pericolo sono i gruppi isolati, i lupi solitari, gente incontrollabile
capace di commettere attentati imprevedibili. Da quello che ho letto e sentito in televisione gli investigatori
non hanno ancora ricostruito con certezza a quale gruppo apparteneva Coulibaly, il fondamentalista che ha
ucciso i quattro ostaggi ebrei nel negozio kosher a Parigi. Sì, c'è un video dove lui dice di appartenere all'Isis,
ma ancora gli esperti dell'antiterrorismo non hanno nessun'altra traccia dei suoi legami con i miliziani del
califfato che combattono in Siria e in Iraq. Di certo gli attentati di Parigi sono stati pianificati da Coulibaly e dai
fratelli Kouachi, forse ci sono altri complici, ma l'Isis non ha un'organizzazione verticistica». Vuol dire che la
vera minaccia sono i lupi solitari? «Mi sembra di sì». A Roma l'attenzione è altissima, sono stati rafforzati i
controlli in tutti i luoghi ritenuti a rischio. «Questo va bene per l'ordine pubblico, ma non basta a sventare
eventuali attentati. Anche perché i piccoli gruppi jihadisti o i lupi solitari non necessariamente puntano agli
obiettivi ritenuti simbolici. Possono fare irruzione anche in un supermercato all'ora di punta, dove magari la
sorveglianza non è così serrata. Un modo per prevenire questo genere di attacchi dovrebbe arrivare dai
responsabili delle comunità religiose. Quando arrivi in un paese straniero e vieni abbandonato dalla tua
comunità è facile cadere nel fanatismo religioso. Il terrorismo è una sciagura culturale, si basa sulla
frustrazione. Combattere la guerra santa, sentirsi parte di un progetto può diventare una specie di rivincita per
chi non ha ancora una identità. Ecco perché i responsabili delle comunità dovrebbero seguire i loro figli, e
collaborare con l'intelligence per segnalare i comportamenti strani di qualcuno. Questa potrebbe diventare
una vera rete di protezione per la città». Khaled come è adesso la sua vita? «Cerco di vivere in pace con tutti,
quasi nessuno sa chi sono davvero, questo mi aiuta molto. Ho anche un lavoro nella coperativa di Salvatore
Buzzi, la "29 giugno", ma dopo lo scandalo di Mafia Capitale rischio di diventare un disoccupato insieme ad
altre 1.300 persone. Speriamo che non chiuda».
Foto: La strage all'aeroporto di Fiumicino del 27 dicembre 1985
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L'intervista Ibrahim Khaled
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Guerini: per scegliere il Capo dello Stato parleremo con tutti
Marco Conti
«Si apre una settimana importante nel percorso delle riforme». Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd, mostra
ottimismo. A pag. 3 R O M A «Si apre una settimana importante per arrivare a concludere una tappa
significativa nel percorso delle riforme». Calma e ottimismo sono due doti che a Lorenzo Guerini,
vicesegretario del Pd, non hanno mai fatto difetto. «Mi aspetto serietà da parte di tutti nel comportamento in
aula. In questi giorni abbiamo constatato che c'erano forze che volevano rimandare legge elettorale e riforme
a dopo l'elezione del Capo dello Stato, ma c'è il tempo necessario a far fare alle Camere ciò che sono
comandate a fare». Tra coloro che vorrebbero rinviare c'è però anche una parte del suo partito. Avete
convinto tutti? «Non credo ci sia qualcuno del Pd che voglia rallentare il percorso delle riforme. Sarebbe
inspiegabile dal punto di vista politico. In discussione c'è il tema dei capilista e delle preferenze, ma penso
che l'emendamento presentato costruisca un rapporto corretto tra eletti ed elettori. C'è la possibilità di votare
una figura che il partito propone in collegi molto piccoli e con il nome stampato sulla scheda e poi si può dare
un voto di preferenza per scegliere gli altri rappresentanti. Non vedo il problema». I collegi restano cento?
«Penso di sì perché allargare troppo i collegi significa pregiudicare il rapporto eletti-elettori». E' possibile che
l'Italicum venga votato anche dal M5S? «Dal passaggio della legge tra Camera e Senato abbiamo raccolto
molti suggerimenti venuti da tutte le forze politiche. Dalla soglia di sbarramento al premio di lista e non più di
coalizione. Ricordo che fu questo uno dei punti chiesti dal M5S nell'incontro che abbiamo avuto. Non si
capirebbe ora un comportamento diverso e ora ci sono le condizioni perché la legge elettorale venga votata
non solo dalle forze della maggioranza». Quando avremmo la legge elettorale approvata definitivamente?
«Penso che dopo l'elezione del Capo dello Stato ci siano le condizioni per approvarla nel giro di qualche
mese». La maggioranza che voterà l'Italicum sarà la stessa che eleggerà il Capo dello Stato? «Vedremo, non
c'è una sovrapposizione anche se c'è un criterio che sovrintende entrambi. Ovvero sono argomenti che è
bene affrontare con il contributo più largo possibile. Questo è possibile farlo se tutti decidono di sedersi al
tavolo con la volontà di costruire un percorso comune». Quando comincerete ad incontrare gli altri partiti?
«La delegazione è guidata dal segretario e chiederemo l'incontro a tutte le forze politiche. Il calendario deve
essere ancora definito, ma la modalità è giusta e trasparente». Alfano chiede un Capo dello Stato di
centrodestra. Si può fare? «Non credo sia questo il modo migliore e più utile per partire nel confronto. Il tema
della collocazione del presidente della Repubblica in una storia politica o in un'altra non mi sembra un tema
decisivo. Ragioniamo sui criteri e sulle caratteristiche per arrivare ad un nome condiviso». Presenterete una
rosa o un nome secco? «Vediamo, dipende da come andranno gli incontri. Prima costruiamo le condizioni
anche per evitare di riproporre agli italiani l'immagine del 2013. E' bene non dimenticare il 2013 che è stato
un momento di forte delegittimazione delle forze politiche e del Parlamento». Dire che si farà alla quarta
votazione significa che mettete in conto ancora un buon numero di franchi tiratori? «Sono molto più ottimista
di tanti osservatori esterni. Penso che in ogni singolo grande elettore del Pd ci sarà la volontà di lavorare per
costruire un consenso ampio insieme alla volontà di chiudere, con il nostro popolo, la ferita del 2013». L'addio
di Cofferati al Pd peserà sul Quirinale? «Non vedo nessuna relazione, non credo proprio». C'è un problema di
rapporto tra il Pd renziano e gli ex Pci? «Assolutamente no perché nella maggioranza elettorale che ha eletto
Renzi segretario ci sono molte figure importanti che vengono da quella storia e da quella sinistra. Inoltre in
quei territori dove è più radicata questa sinistra, il Pd ha ottenuto di recente risultati molto importanti. Non
condivido la posizione di Cofferati ma la rispetto e spero possa ripensarci».
Foto: Il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini
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L'intervista
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«Restare è difficile. Spero se ne rendano conto anche altri»
CIVATI: FORSE DOVREMMO DIMETTERCI TUTTI E ANDARE AL VOTO SENTO PARLARE DI
ESPULSIONI, CONSEGNO IL MIO CADAVERE
Sonia Oranges
L'INTERVISTA R O M A «Condivido la scelta di Sergio Cofferati, e forse, a questo punto, dovremmo
dimetterci tutti e andare a votare». Pippo Civati, outsider piddino e dissidente per eccellenza, sapeva già da
qualche giorno quali erano le intenzioni di Sergio Cofferati, visto che ha sostenuto la candidatura del "Cinese"
e con lui ha avviato un confronto che potrebbe avere anche ripercussioni nazionali. Secondo lei, che cosa è
successo in Liguria? «Il Partito democratico sta rinnegando se stesso, a cominciare dal suo ruolo di leader
del centrosinistra. Qui non ci troviamo davanti al partito della Nazione invocato più volte da Matteo Renzi, qui
si lavora al partito della Regione. Con un'idea delle primarie che definirei un po' troppo estensiva». E' vero
che il partito non si è espresso sui presunti inciuci? «Peggio. Il partito ha detto che non c'era alcun problema.
Né da un punto di vista squisitamente politico, né davanti all'evidenza di un voto di scambio vero, e della
materializzazione di alleanze con un mondo che proviene direttamente dagli ambienti scajoliani». Il problema,
dunque, è il quadro politico che si va delineando e la coalizione che si formerà. «Non soltanto. Prima ancora
delle alleanze che, in teoria, non sono state decise, c'è una candidata che pare non rendersi conto di dover
rappresentare tutti, anche la metà degli elettori che avrebbero preferito Cofferati. Non foss'altro perché le
primarie le ha vinte con poco più della metà dei voti. Invece, Raffaella Paita è ben lungi dal condannare certi
episodi che pure sono stati bocciati dai garanti. Se poi dovesse verificarsi davvero un'alleanza con Ncd,
l'intera vicenda assumerebbe contorni ancora più gravi». Dopo la scelta di Cofferati, l'area civatiana che cosa
farà? «Ne stiamo discutendo e continueremo a farlo. Di certo prenderemo le distanze dalla partecipazione
alla campagna elettorale per le Regionali. La maggioranza sarà bravissima a far da sola ed evidentemente
non ha bisogno di noi. Come non sono in grado di valutare adesso se dallo strappo di Cofferati possa
nascere qualcos'altro. E' una valutazione che probabilmente si farà con l'approssimarsi del voto di maggio, e
da cui dipenderà anche la permanenza di alcuni all'interno del Pd». Ci saranno ripercussioni a livello
nazionale? «Dipendesse soltanto da me, le risponderei di sì. Sono mesi che lo ripeto: il partito si trova su una
china drammatica. Mi hanno accusato di essere uno scissionista, di vedere problemi che non esistevano.
Ora, però, non sono più l'unico a vederli, evidentemente. E di sicuro Cofferati non è precisamente uno dei
miei punti di riferimento. Eppure anche lui ha posto delle questioni, e lo ha fatto in maniera clamorosa. Spero
che sia utile affinché anche altri aprano una discussione seria sulla permanenza all'interno del Pd e, prima
ancora, sul progetto politico di cui il Pd è portatore. Davvero vogliamo andare avanti a colpi di Jobs Act e
Ncd? Io lo chiamo voto di scambio: una destra in cambio di una sinistra. E, visto che leggo già di richieste di
espulsione, lo dico in anticipo: se la prospettiva è di ridurre il dibattito a una questione disciplinare, vi
consegno il mio cadavere. L'ipotesi di un nuovo partito a sinistra è più concreta».
Foto: Pippo Civati
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA
19/01/2015
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Claudio Marincola
IL RETROSCENA R O M A Lo tirano per la giacchetta. E vorrebbero vederlo in campo. Ma c'è un galateo non
scritto, uno stile che l'ex leader della Cgil ha mantenuto è vuole rispettare. Chi ha perso le primarie, anche se
ne contesta l'esito non può correre contro chi le ha vinte. «Tranne se», suggerisce però il suo entourage «a
chiederglielo non siano in tanti...». Finora ufficialmente lo ha fatto solo Nichi Vendola e non è chiaro quale
sarebbe la capacità attrattiva del "cinese" sia pure in una regione come la Liguria tradizionalmente spostata a
gauche. Se le pressioni a candidarsi per le regionali arrivassero dallo stesso blocco che a Genova sostenne
Rossi Doria. Se anche dai civatiani dopo le "belle parole" arrivasse un sostengo concreto. Chessò una
telefonata di quel Luca Pastorino, sindaco di Bogliasco e deputato Pd, braccio destro di Pippo. Se si
muovesse nella stessa direzione anche la Comunità di San Benedetto al Porto, quella di Don Gallo, per dirne
una, allora sì l'ex sindaco di Bologna, 67 anni, non ci penserebbe due volte. Insomma ci sono molti "se". E c'è
una terra di nessuno, un non-luogo che comprende ex grillini, Cgil, socialisti ma anche ex comunisti, alcuni diciamolo - trinariciuti, che vorrebbe usare l'ex sindaco di Bologna per scardinare il Pd renziano in Liguria e
incassarne i dividendi a livello nazionale. IN CAMPO DA GREGARIO E lui, Cofferati? La scelta di lasciare i
dem con un richiamo a «quei valori che non ci sono più» è un segnale che va proprio in direzione opposta e
contraria. Non si pensa alla scissione. Del resto si voleva far leva sul sindacato, la Cgil a Genova e in Liguria
è molto divisa. E i tempi in cui il sindacato si schierava come nel 2001 per il Correntone sono lontani anni
luce. «I partiti non si scalano», ha detto ai suoi il cinese. Però, se nascesse - l'ennesimo - laboratorio della
«sinistra che non c'è», allora ecco che Cofferati potrebbe mettersi a disposizione «anche come non
capolista», fa sapere. Un modo per dire che lui, uno dei 45 fondatori del pd, resterà in finestra, non si ritirerà
in campagna. Per i dem le conseguenze sul piano pratico sono tutte ancora da verificare. A parte le minacce
della minoranza, di Fassina e di qualcun altro, circa le possibili ripercussioni sul voto quirinalizio, il cinese
evoca ricordi d'altri tempi. «L'uscita di Cofferati mi rattrista», twitta l'ex ministro Cécile Kyenge. «Cofferati non
è una persona qualunque, è un pezzo della storia della sinistra e merita rispetto da parte di tutto il Pd ricorda Stefano Pedica - Cofferati è l'uomo che ha portato 3 milioni di lavoratori in piazza». Insomma sul
fronte scissione, lo strappo aggiunge qualcosa, certo. É un altro calcinaccio che si stacca dall'intonaco. Un
effetto ritardato della rottamazione accolto pesino con stupore misto a compiacimento in certi ambienti. Al
vice sindaco di Savona, il dem Livio Di Tullio non piace quel «comodo andarsene, dopo aver perso le
primarie». Idem il segretario provinciale Fulvio Briano. E il cuperliano Andrea De Maria, già uomo del partito a
Bologna, uno che il cinese lo conosce bene, fa sapere che non si straccerà le vesti.
Foto: Nichi Vendola e Sergio Cofferati
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Liguria, pressing sul "Cinese" che ora valuta la candidatura
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Tiene il patto del Nazareno con Berlusconi Senato, giorni decisivi per la legge elettorale Il premier non teme
le divisioni interne la minoranza ha isolato l'ex leader Cgil
Marco Conti
IL RETROSCENA ROMA L'estrosità di Brunetta in FI e l'addio di Cofferati al Pd. Due possibili insidie, per
l'elezione del Capo dello Stato, sgonfiatesi nel giro di poche ore. Il primo, dopo un sabato scoppiettante, si è
consegnato ad un inusuale silenzio mentre i deputati di cui è capogruppo firmavano in massa il documento
messo a punto da Paolo Romani e che in sostanza difende il patto del Nazareno impegnando gli azzurri a
votare alla Camera le riforme costituzionali, e al Senato la legge elettorale prima della scelta del presidente
della Repubblica. Ovvero il contrario di quanto sostenuto ieri l'altro dal capogruppo azzurro prima di essere
rampognato da Silvio Berlusconi. Il vuoto si è d'altra parte creato anche intorno all'ex segretario della Cgil.
Una conferma di quanto scarse siano nel Pd - e in quello che ancor prima erano i Ds - le simpatie che
incassa il Cinese lo si deriva dalle dichiarazioni di solidarietà. Se si escludono le immancabili prese di
posizione di Fassina e Civati - più o meno quasi sempre favorevoli a tutto ciò che può dar fastidio a Renzi - il
silenzio è assordante. D'altronde buona parte degli esponenti del "correntone" che nel 2001 tentò la scalata
alla segreteria dei Ds, e che fu sconfitto da Fassino, è ormai fuori dal Pd o in pensione. CLASSE «Tra me e
Cofferati il principale dissenso è che lui ama Verdi e io, da buon meridionale, Bellini», disse Massimo
D'Alema nel momento più soft dello scontro dell'allora premier con il segretario della Cgil. Era il 1999, anno in
cui, per qualcuno la sinistra perse la sfida riformista consegnandosi su articolo 18 e pensioni, al sindacato
che qualche anno dopo portò in piazza tre milioni di persone. Quella ferita con l'allora classe dirigente della
sinistra - che ha accumulato così un ritardo ventennale di cui pare essere consapevole - non sembra essersi
chiusa e l'ex sindaco di Bologna ha ormai messo nel conto di iscriversi da indipendente al gruppo pd di
Strasburgo o di veleggiare altrove. Il Patto del Nazareno regge e la sensazione che lo spazio per le
mediazioni interne dentro al Pd come in Forza Italia si sia chiuso, deriva dai passaggi in corso che danno per
scontato il voto da parte dei partiti della maggioranza più FI, alla Camera sulle riforme costituzionali e al
Senato sull'Italicum. L'appello della Serracchiani ai grillini affinché votino la legge elettorale, costruisce il
tentativo promesso da Renzi di coinvolgere su Italicum e Quirinale uno schieramento il più ampio possibile. E'
probabile che all'appello rispondano solo gli ex grillini o parte di essi, ma resta comunque il dato della mano
tesa. Anche in FI si guarda oltre, e al prossimo incontro tra Berlusconi e Alfano che ieri ha lanciato l'idea di un
capo dello Stato di «centrodestra». Mossa che ha fatto storcere il naso a molti azzurri che, con Osvaldo
Napoli, temono abbia «l'unico scopo di far saltare il Patto del Nazareno». Resta il fatto che il Cavaliere,
sempre molto pragmatico, ha archiviato le antiche ruggini con l'ex delfino che vedrà domani. Berlusconi ha
tutto l'interesse ad ampliare il fronte moderato malgrado non abbia nessuna intenzione di cedere lo scettro.
QUINTE La girandola dei possibili papabili è stata aperta qualche settimana fa dallo stesso Berlusconi che ha
lanciato Giuliano Amato. Il nome dell'ex presidente del Consiglio è ancora in testa ai borsini, ma la
partecipazione, ieri l'altro, a un pranzo a palazzo Grazioli dimostra forse quanto poco il diretto interessato
creda all'eventualità di una sua elezione al Colle più alto. Qualche possibilità in più sembra averla Sergio
Mattarella, collega di Amato alla Consulta e che ai tempi della Dc veniva chiamato «la talpa» per la sua
capacità di lavorare dietro le quinte senza clamore. Mattarella ha dalla sua essere stato già votato da FI
(come giudice) e di essersi da tempo defilato dalla politica attiva. Il fatto di essere stato uno dei cinque
ministri che nel 1990 si dimisero contro la legge Mammì gioca a suo sfavore perché, come spiegava giorni fa
alla Camera Calogero Mannino, dimissionario assieme a Mattarella da ministro del governo Andreotti, «a me
Berlusconi lo ricorda ogni volta che lo incontro». Della rosa fanno ancora parte Fassino e la Finocchiaro
anche se quest'ultima soffre del peso di una fan d'eccezione che dice di sognarla: Francesca Pascale. In
movimento da tempo è invece il sindaco di Torino che, carattere a parte, ha ottime credenziali anche
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La sfida di Renzi: margini ampi per blindare Quirinale e riforme
19/01/2015
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internazionali nonché il nihil obstat del Cavaliere e il suo buon rapporto con Sergio Marchionne.
Foto: Maria Elena Boschi e Angelino Alfano
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17/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
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Belgio multietnico e felice? Propaganda Mondiale
La nazionale dei «Diavoli rossi» dipinta come simbolo dell'integrazione: una favola
Luigi Guelpa
C'è un'immagine che durante i mondiali di calcio in Brasile diventò virale: si vede il portiere degli Stati Uniti
Tim Howard in tuffo tra le Torri Gemelle nell'intento di fermare gli aerei dei terroristi. Forse era di cattivo
gusto, ma Howard, nella realtà, stava bloccando un tiro a rete di Marouane Fellaini, fantasista marocchino
naturalizzato belga che gioca nel Manchester United. Dalle parti di Bruxelles Fellaini è un idolo, l'esempio di
un'integrazione che però è solo strumentale, perpetrata dai governi che si sono succeduti per rastrellare voti.
I «diavoli rossi», con le trasfusioni di sangue del kenyota Origi, del marocchino Chadli, del caraibico Witsel,
del congolese Lukaku, del kosovaro Januszai o del congolese Batshuayi, sono l'eccezione di una regola
inquietante. Nascondere la polvere sotto al tappeto ha creato negli anni problemi che sono venuti a galla in
tutta la loro drammaticità con il blitz anti-jihadista dell' altra sera. Nonostante il buonismo degli ex premier Van
Rompuy, Leterme e Di Rupo (oggi i problemi se li accolla tutti Charles Michel), a Bruxelles vivono da sempre
leader e militanti jihadisti in esilio. Un immigrato su quattro è musulmano. Nel 2001 da Bruxelles partirono i
killer tunisini del comandante afghano Massoud. Il Belgio è nelle percentuali il Paese con la più alta presenza
di volontari jihadisti in Europa. A fronte di 9 milioni di abitanti, più di 500 combattenti sono approdati in Siria.
Bruxelles è la città più islamizzata del Vecchio Continente: 300mila persone, un quarto della popolazione,
seguono i dettami del Corano. La fucina jihadista si colloca a Molenbeek-Saint-Jean, una delle 19 communes
che compongono la capitale. Con più di cinquemila giovani sotto i diciotto anni, su 13mila abitanti, è il
quartiere più giovane di Bruxelles. Ma è anche quello con il tasso di disoccupazione più alto, oltre il 43%.
Facile cadere nella tentazione integralista. Numerose sono le moschee e i bazar in stile maghrebino. Il
vociare nelle piazze e nelle case ha un forte accento arabo. Si ha la viva sensazione di trovarsi nel quartiere
di una città del nord Africa più che del nord Europa. Il 6 maggio del 2009 da quelle parti si esibì, per la prima
volta all'estero, la nazionale di calcio della Palestina. L'iniziativa rientrava nel quadro delle celebrazioni per il
60 anniversario dell'Unrwa, l'agenzia dell' Onu per i rifugiati palestinesi. Il progetto «Un goal per la Pace»
avrebbe dovuto offrire una chance di riqualificazione per Molenbeek. Tutto questo però non è accaduto, e a
distanza di quasi sei anni, solo per fare un esempio, la fermata della metropolitana «Ribaucourt» continua a
essere crocevia di crimine e spaccio, ma anche luogo di incontro per reclutamento verso Siria, Iraq e Mali. La
vasta operazione di giovedì sera ha i connotati di una scelta obbligata dopo i fatti di Parigi. Ci sono evidenti
punti di convergenza e complicità. Considerare il Belgio debuttante al ballo del terrorismo di matrice islamica
è ingannevole. La strage al museo ebraico del 24 maggio scorso, quando il terrorista franco-algerino Mehdi
Nemmouche uccise con un AK47 tre persone, è uno degli episodi che hanno macchiato il Paese sede
dell'Ue. Viaggiando a ritroso (ma non troppo) nel tempo, ci si imbatte nel diacono cattolico Leo Van Gink,
ridotto in fin di vita in un bar a Essen, sobborgo di Anversa, perché portava la croce al collo. I suoi aguzzini
erano del gruppo salafita Sharia4, gli stessi oggi sul banco degli imputati nel maxi-processo di Anversa,
accusati tra le altre cose di aver introdotto in Belgio un tribunale della Sharia. Tutti fedelissimi di Fouad
Belkacem, 32enne di origine marocchine, che si fa chiamare anche Abu Imran e che arruolava fedelissimi di
Al Baghdadi per la guerra in Iraq.
Foto: ESEMPIO VIRTUOSO La nazionale di calcio belga, un bell'esempio di integrazione razziale applicata
allo sport
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Retroscena Nella capitale d'Europa uno su 4 è islamico
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Il Cav tiene a bada i suoi E riguadagna consensi
Berlusconi va avanti sulla linea del Nazareno, nonostante i malumori interni. Forza Italia sale di un punto nei
sondaggi UNA BOCCATA D'ARIA L'ex premier «fugge» dal caos romano. Giornata a Cesano Boscone e poi
dal suo Milan AL LAVORO SULL'AGENDA Forse sarà necessario un nuovo faccia a faccia con Renzi sulle
riforme giovedì
Francesco Cramer
In Forza Italia cresce il pressing degli anti Nazareno. Sono tanti, tantissimi, quelli che mandano messaggi
diretti e indiretti al leader: «Presidente, non fidarti di quello lì». «Quello lì» è Renzi, lo scaltro e ambizioso
premier che pretende un paio di vestiti su misura (riforme e legge elettorale, ndr) in cambio di...
Già,incambiodicosa?UncapodelloStatononostilealCavaliere. Benissimo. Soltanto che tra gli azzurri - e non
sono soltanto i 40 parlamentari dichiaratamente fittiani - lievita il dubbio: «Renzi ci fregherà». La contropartita,
poi,saràdiscarsopesoposto che mai e poi mai Renzi proporrà o accetterà al Quirinale il candidato ideale per il
Cavaliere: un Letta o un Martino, per intenderci. Molto più probabile uno sbiadito Mattarella, sorta di
passacarte che piacerebbe tanto a Renzi; ounVeltroni.Entrambi fatti passare come gentile concessione del
Pd. Così il partito sembra una pentola a pressione dove i tanti ingredientinonriescono adamalgamarsi più
come un tempo. Ragioni squisitamente politiche ma anche prettamente personali si mescolano.
IlrisultatoècheBrunettaeVerdini, non certo dei peones, ormai sembrano cane e gatto.Berlusconi comprende le
ragioni di tuttieatrattisposaquelledeglianti renziani: «Sì, il premier mi ha proprio deluso», ha ripetuto nelle
ultimeore. Però c'è un però. Il Cavaliere continuaapredicareche«i pattivanno rispettati e non possiamo votare
contro l'Italicum e il nuovo Senato». La tesi verdiniana annovera, ovviamenteoltreDenis, GianniLetta,Ghedini,
Confalonieri, forse la stessa famiglia. Così, mentre la sabbia nella clessidrascorreinesorabilmenteverso il DDay dell'elezione del nuovo capodello Stato;ementreneidueramidel Parlamento si giocaunapartita di nervi con
Renzi che scalpita per incassare tutto prima del voto per il Quirinale, Berlusconi prende tempo. Quello che è
certo che lo zoccolo durodeifittianinonmollerà.«NoidiciamoNoidiciamo no al premio alla lista, no a
questaclausoladisalvaguardiacheè unapresaingiroenoaicapilistabloccati, se mai si può discutere sulla riserva
di un 20-25%», dice Maurizio Bianconi. La situazione si farà pirotecnica alla Camera ma soprattutto
alSenatodoveèindiscussionelaleggeelettoraleedoveinumerisonopiù ballerini per i tifosi del Nazareno. Il
Cavaliere lo sa bene ma per oranonsi sbilancia. Quello che aveva da dire lohadetto. SolitoimpegnoaCesano
Boscone, quindi una visitina al suo Milan con accanto Arrigo Sacchi, condottiero del Milan stellare dei tempi
che furono. La salita al Nord, questa volta, Berlusconi la vivecomeunaboccatad'aria. Ilcaosromano, specie se
condito dallerisse tra isuoi, lo infastidisce anche perché il suo mantra è rimasto lo stesso:«Dobbiamorestare
uniti». Eppure il partitoèuncatinodimalesseri che inevitabilmentesgorgherannoanche martedì e mercoledì
prossimo quando il Cavalierecercheràdidettarela lineaadeputatiesenatori. Unabuonanotiziaarriva dagli ultimi
sondaggi: laSwgrivelacheilPdèin calo di consensi (-1 per cento in una settimana), Forza Italia cresce di un
puntomentrelaLegaparearretrare diunpuntoe mezzo. Risale Grillo, ma di poco; mentre cresce
pericolosamente il fronte del non voto: quasi il 50 per cento.Un italiano su due. E il Cavaliere si aggrappa
all'esercito deidelusi:«Èaquestiitaliani che dobbiamo parlare. Ah, se solo potessi essere in campo con tutte le
mie forze...». E il ragionamento ritorna al punto centrale di queste ore: servirebbe un capo dello Stato
nonnemico.Edèquestoilnastroadesivochetieneinsiemeancorail patto del Nazareno. Il dubbio è: reggerà?
C'èchimormorachetra iduecontraenti si dovrà necessariamente serrare i bulloni dell'accordo; magari con un
faccia a faccia. Si presuppone anche il giorno ideale: giovedì prossimo.
Mainagendanonc'ènulladiprogrammato. Almeno per ora.
L'ultima rilevazione 14,9% LapercentualediconsensoaForzaItalia secondo il sondaggio Swg
pubblicatoieri.IlpartitodiBerlusconièinsalita nell'ultimo periodo +0,8% La percentuale di crescita di Forza
Italiarispettoallascorsasettimanaregistrata dalla rilevazione Swg. In aumentoancheiconsensialM5S(+0,9%) 1,5% La percentuale di perdita di consensi dellaLegaNordnegliultimisettegiorni. La scorsa settimana era a
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il retroscena
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quota 11,5% mentre oggi è al 10%
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«La sinistra è come l' islam chi dissente è perseguitato»
Eleonora Barbieri
a pagina 16 Giorgio Forattini è a Parigi. «Ho casa da vent'anni, qui nel Marais, a ridosso del quartiere
ebraico». Non lontano dalla redazione di Charlie Hebdo . «Io mi sono disegnato a cavallo, con la matita in
una mano che regge la bandiera francese e la scritta: Allons enfants de la satyre ». In questi giorni hanno
difeso tutti la libertà di satira, in piazza è scesa anche la sinistra. Lei fa vignette da quarant'anni. Che ne
pensa? «Intendiamo la sinistra italiana?». La sinistra italiana. «E che cosa vuole che ne pensi? Mi hanno
sempre perseguitato: puoi toccare tutti, tranne loro. Detto ciò quello che è successo è una cosa atroce, tutti
sono con tutti i satirici, fra l'altro quelli di Charlie Hebdo sono di sinistra. Ma la nostra sinistra credo sia
ipocrita». Perché dice che è stato perseguitato? «Come in Unione Sovietica, o sotto il fascismo, la sinistra si
muove come un partito totalitario, dittatoriale: o sei di sinistra o sei fascista, qualunquista,
blasfemo,berlusconiano. Cosìmihanno combattuto, mi hanno fatto subire processi,servendosi deigiudici
chesono dalla loro parte, perché non hanno davvero l'idea della satira libera». Ha ricevuto una ventina di
querele, non si sarà lamentata solo la sinistra. «Qualche cosa dalla Dc, dal Vaticano... ma i guai sempre da
sinistra. Quando Berlusconi era al governo l'ho fatto in tutti modi: non mi ha mai querelato. A Repubblica
avevano paura anche a sfottere Stalin». Il caso più celebre è quello di D'Alema. «Daallora la mia vita è
cambiata. Nel '99 feci questa vignetta sull'affare Mitrokhin. Mi chiese tre miliardi, c'erano ancora le lire. Ero a
Repubblica : non mi difese nessuno». Nessuna solidarietà? «Macché. Li ho avuti contro. E neanche l'Ordine
mi ha difeso». Neanche un po' di solidarietà dai colleghi? «Molti sì, ma me lo dicevano a voce. Dai vertici
niente, si tirarono indietro. Ma io sono un uomo libero e per me la satira è libertà». Quindi? «Quindi presi e
andai via. Sa, tre miliardi di danni sono come uccidere un uomo. Per fortuna l'Avvocato mi fece un contratto
splendido alla Stampa . E allora D'Alema ritirò la querela». Quindi non si è scusato? «No, non mi sono mai
scusato, per carità. E ne sono fiero. Del resto sono uno dei pochi vignettisti e satirici indipendenti, tutti sono
legati ai partiti». Ma D'Alema l'ha più incontrato? «Una volta, per strada. Io l'ho salutato, ma lui ha tirato dritto.
Comunque anche da Repubblica non mi hanno più richiamato, davo fastidio». Prima però non aveva avuto
problemi. «Davo fastidio anche prima. A volte mi dicevano: "Questa vignetta non possiamo pubblicarla", e io:
"Non ne faccio un'altra, metteteci la foto del direttore".Oppure aunacerta oraScalfari mi diceva: "Allora, hai
finito questa vignetta?" e io: "Un momento diretto', non mi si è ancora asciugato il bianchetto"... Poi sono
stato sostituito da gente che stava agli ordini, io non facevo mai vedere prima la mia vignetta. Il fatto è che
l'Italia e gli italiani non sono abituati alla satira». In Francia è diverso? «Quandoraccontavoquello
chesuccedeva,quiaParigi simettevanoaridere. C'è totale libertà. Anche per vignette molto violente, cattive. I
politici non sisonomai azzardati a toccaregli autori, solo gli islamici l'hanno fatto,
perchélorononsiidentificanocon laFrancia,ma solo con l'islam. Come danoi la sinistra». In che senso?
«Perlasinistraoseiconlorooseiilnemicoe tiperseguitano.Nonpuoi parlare di loro, come per gli islamici non puoi
parlare dell'islam». Ma lei ha fatto vignette sull'islam? «Sì, in passato, contro i fanatici musulmani. Le ho fatte
anche sulla Chiesa, ho presoin giro ilPapa, qualche cardinale si è lamentato, ma nessuna minaccia o querela.
Non sono arrivate le guardie svizzere a prendermi a casa». A chi si è ispirato fra i vignettisti?
«Jacovitti.Unmaestro.Sa,iohogrande solidarietà verso i disegnatori, ma non ne ho ricevuta nessuna da parte
di quelli italiani». Con chi ce l'ha? «Per esempio Giannelli, l'ho messo io al Corriere . Il direttore Stille mi
chiamò, ma all'epoca io stavo bene a Repubblica e così gli consigliai il numero uno di quelli che lavoravano
con me a Satyricon , cioè Giannelli». E poi? «Poi lui mi fece disegnato da balilla e io lo mandai al diavolo. Mi
telefonò e gli risposi che non bisogna mai essere schiavi dei partiti, che devi essere indipendente...
Poverino». C'è più censura oggi o quando ha iniziato negli anni Settanta? «Più oggi. Perché la sinistra ha
preso il potere. Io ho iniziato tardi, a 40 anni, sono entrato con un concorso a Paese sera , poi ho iniziato a
occuparmi di politicae in contemporaneaa fare vignette per Panorama , per anni sotto la Dc
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INTERVISTA CONTROCORRENTE/GIORGIO FORATTINI
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lavoravotranquillo, ma anchecon Berlusconi. Facevo Spadolini tutto nudo... Ora vede, nel mio ultimo libro ho
fatto Renzi come Pinocchio, e Napolitano è mastro Geppetto». Perché Renzi è Pinocchio? «Glihamaisentito
direcoseche sisonoavverate?ComediconoaRoma,pure lui nun ce capisce niente. E poi ha quel naso lì». I
politici più permalosi? «D'Alema il massimo. Craxi solo una volta mi ha chiesto 70 milioni, ma Repubblica lì mi
aveva difeso». Spadolini? «Noo,aveva la raccolta deimiei disegni». Andreotti? «Pure. Lui stesso mi sfotteva,
col suo humour». Di Pietro? «Ah, lui non mi ha mai perdonato. Ho ricevuto anche una condanna». È vero che
vedeva in anteprima le vignette? «Qualcuno gliele faceva avere prima, sì, e lui era anche capace di non fare
uscire i giornali... Un vero democratico. Io non faccio il santo, ma sono un italiano puro: non ho mai colpito
l'Italia. Amo la Patria. E per questo sono fascista? No, sono un italiano vero». Senta, Berlinguer? «Un altro.
Ammazza se s'arrabbiava. Tremendo». Beh, l'ha disegnato che sorseggiava il tè in salotto, durante un corteo
di operai... «Certo, certo, quello il partito non l'ha mai sopportato». Però ha anche fatto un sacco di soldi, coi
difetti dei politici. «Sì.Ma li avreifatti lostesso, anchelibero da minacce. Querelare è un senso di non libertà».
Anche quando c'è un insulto? «Io non ho mai insultato. Magari ho fattoqualcosadiforte, mahosemprerispettato
la persona. Poi io ho fatto ventimila vignette, qualche decina di querelesono niente. Ma chi le fa, ecco, non sa
che cosa sia la satira, non è un uomo libero». Il limite qual è? «L'onestà di chi disegna. Non deve essere
espressione di un movimento politico, ma di estrema libertà». C'è qualcosa di tabù? «Il buongusto, il fare
umorismo: è sberleffo, ma mai condanna, uccisione del nemico, anche con una vignetta. Non deve essere
persecuzione ma "facciamoci una risata, anche su di voi"». Quando la satira non fa ridere? «Spesso. In
Francia fa ridere, ma in Italia si fa per fare politica, per affossare la parte avversa». È militante? «Brava. Ma la
satira militante non può essere satira. C'è qualcuno che fa satira, masono pochie siautocensurano. Perché se
no la sinistra e i giudici ti tappano la bocca: se uno ti chiede tre miliardi di danni, è come una condanna a
morte». Non esagera? Visto quello che è successo. «È una battuta, certo, ma è come togliere il lavoro a una
persona. E poi un capo del governo che colpisce per una vignetta, che cosa farebbe in una dittatura? Perciò
si assimila molto agli islamici che la pensano così, che vogliono ladistruzione del nemico, la ghigliottina per
chi non la pensa come loro». È ancora amico di Scalfari? «Iosono stato trai quaranta fondatori di Repubblica ,
fu lui a chiamarmi. Ma da quando ho lasciato non ci siamo più visti. Non abbiamo litigato, ma lui non mi ha
difeso e io non posso perdonarlo. È ancora vivo?». È vero che va sempre dal parrucchiere? «Sì, tengo molto
ai miei capelli. Li porto lunghi perché mi considero un uomo del Settecento. Però ogni tanto mia moglie mi
bacchetta, e allora vado a tagliarli». Ma i vignettisti, come si dice dei comici, sono sempre tristi? «Sì, sono
molto triste. Ho anche perso mio figlio pochi anni fa, aveva cinquant'anni, ci eravamo riavvicinati. Non mi
sono più tirato su. Riesco a fare le vignette, faccio qualche battuta, ma mihacambiatolavita.Comunqueèvero,
in genere i satirici non sono degli allegroni. Come il nuovo numero di Charlie Hebdo , è pieno di vignette ma è
anche pieno di lacrime».
chi è
MAESTR O Riccardo Muti è nato a Napoli il 28 luglio 1941 l Giorgio Forattini è nato a Roma il 14 marzo 1931.
A quarant'anni entra come impaginatore grafico nel quotidiano «Paese Sera», dopo aver vinto un concorso
per disegnatori. Le prime vignette di satira politica appaiono a colori nel 1973 su «Panorama». Dalla sua
produzione di oltre 20mila vignette sono stati pubblicati 58 libri. Oggi disegna sul suo sito «forattini.it» e per
«Affaritaliani.it»
POLITICI
D'Alema è il massimo della permalosità Craxi solo una volta mi ha chiesto 70 milioni
I LIMITI
Io non ho mai insultato Magari ho fatto qualcosa di forte, ma sempre rispettando la persona
TRISTEZZA
«I satirici non sono degli allegroni. Il nuovo numero di Charlie Hebdo è pieno di lacrime...
Foto: LA VIGNETTA Disegnata da Forattini per il programma «Virus»
19/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
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Berlusconi corteggia i centristi per stanare Renzi sul Quirinale
Trattative per il Colle: vertice con Ncd-Udc per contare su altri cento grandi elettori al primo scrutinio.
Continua il dialogo con Salvini, domani il confronto con Alfano «QUI COMANDO IO» L'ex premier detta la
linea in prima persona: «Stringiamo il cerchio»
Fabrizio de Feo
Roma Dopo i tonanti comunicati del giorno prima, Silvio Berlusconi trascorre la domenica in tranquillità,
cercando di definire una strategia in vista della partita del Quirinale, ormai prossima al fischio di inizio. L'unica
distrazione è la visione della partita del Milan - che guarda insieme alla figlia Barbara - e non gli regala grandi
soddisfazioni. Il resto della giornata è dedicato al tentativo di definire una cabina di regia in vista delle prime
votazioni per il Colle e fare massa critica con le altre formazioni del centrodestra, accordandosi innanzitutto
con Ncd e Udc, così da avere un peso maggiore nella grande trattativa. Una necessità, quella dell'unità dei
moderati, su cui si confronterà con Angelino Alfano in un incontro che avverrà a Roma tra domani e
dopodomani e sul quale in queste ore ha avuto modo di dialogare anche con Matteo Salvini (con il quale si
sta iniziando a ragionare anche in vista delle prossime elezioni regionali). In questo momento, però, la
precedenza ce l'ha la creazione del «nocciolo duro» con Area Popolare. Una alleanza strategica e mirata che
potrà consentire di aggiungere a quelli di Forza Italia altri cento «grandi elettori» e provare così a influire sulla
scelta del candidato per il Quirinale. Lo stesso Alfano, prima di vedere Renzi, vuole incontrare Berlusconi così
da avere carte migliori in mano, così come non è escluso un incontro a tre. Area Popolare (ovvero Ncd più
Udc) vorrebbe provare a convogliare i voti, almeno nelle prime tre votazioni su Pier Ferdinando Casini, ma ci
sono anche altri nomi possibili. Berlusconi, oltre al dialogo con le formazioni centriste, deve naturalmente fare
i conti anche con la dissidenza interna. La volontà di blindare il Patto del Nazareno è conclamata. Ieri nella
lettera a Stefania Craxi per il quindicennale della scomparsa del leader socialista si è concesso un passaggio
sulle «riforme istituzionali che, dopo anni di tentativi infruttuosi, sono finalmente avviate». Un memento
rispetto a un percorso considerato in continuità con le storiche battaglie di Forza Italia. Anche perché come
ha detto ai suoi collaboratori più stretti nella serata di sabato «è arrivato il momento di stringere il cerchio.
Brunetta si deve tenere di più, non possiamo più permetterci di avere due linee, ne va della nostra credibilità
in un momento decisivo». L'intenzione di Berlusconi è di tornare in prima linea e metterci la faccia, sia
nell'incontro che avrà domani con il gruppo del Senato, sia in quello del giorno dopo con i 70 deputati della
Camera. Riunioni entrambe delicate visto che a Palazzo Madama si balla sui numeri e sul rischio di voti
contrari pronti a colpire l'Italicum. Mentre a Montecitorio è evidente la necessità di ricucire una trama
sfilacciata, dopo l'eclatante botta e risposta andato in scena sulle agenzie, senza però delegittimare il
capogruppo Renato Brunetta. Un rinnovato protagonismo che è anche un modo per evitare il cristallizzarsi di
uno scontro tra correnti - necessità in base alla quale il Cavaliere ha anche «congelato» la raccolta firme a
sostegno del Patto del Nazareno - e riconquistare quell'area grigia di indecisi, tentati dai «fittiani», ma
impauriti o indecisi sul da farsi. Un Berlusconi deciso dunque a riprendersi la leadership, a dettare la linea in
prima persona e pronto, se necessario, ad andare anche allo scontro con i frondisti, all'insegna del «qui
comando io».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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il retroscena
19/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
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«Tutto perdonato»? Se anche le vittime scusano i carnefici
Paolo Granzotto
Vorrei fare una semplice domanda al Papa: se mi uccidono la mamma o il papà, cosa faccio? Un pugno
evidentemente non basta e dunque in maniera proporzionale...? Gian Busi e-mail E io vorrei chiedergli: ma
visto che sferrerebbe pugni per una offesa alla mamma (e alla religione, ché a quella si riferiva dietro la
metafora), visto che «è normale, è normale...» reagire, per quale motivo smentendo se stesso non ha mai
scazzottato per le vignette turpi, sozze e blasfeme a danno della cristianità pubblicate su Charlie Hebdo ?
Eppure mi sembra ben piantato, il Santo Padre. Preferisce, con umiltà, lasciare all'islam il merito di punire mandandoli sotto terra, non kappao sul tappeto - i bestemmiatori? Islam che comunque ringrazia. I tagliagole
e taglialingue avranno trovato conforto nelle parole di Francesco: se non proprio nel giusto, avranno pensato,
siamo comunque nel «normale». Lo dice perfino il capo dei crociati. Che mi sembra, caro Busi, sbaglierò ma
mi sembra proprio, abbia abbracciato con quelle sue colloquiali dichiarazioni a bordo dell'aereo, il sentimento
che dominava il corteggio parigino dei portatori di matite e dei « Je suis Charlie Hebdo »: va bene così,
abbiamo capito la lezione ma il dialogo con l'islam, non sia mai, deve seguitare e con esso la ricerca di una
intesa che non può esser altro che di sottomissione. Concetto specularmente ben espresso dalla vignetta in
copertina dell'ultimo, vendutissimo numero del settimanale: « Tout pardonné », tutto perdonato. Edizione «del
riscatto» dove però risulta irrintracciabile, appunto, il tratto peculiare di Charlie : il piglio irridente e blasfemo
nei confronti dell'islam, del suo profeta e dei suoi fedeli. Satira, ironia e sberleffo non mancano, ma l'affondo
che si vuole libertario, volterriano - la bestemmia alla quale, «è normale, è normale...», segue il pugno quella
no. Hanno vinto loro. Su tutta la linea.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'angolo di Granzotto
19/01/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 1
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" 90 anni tra fascisti, Wojtyla e Berlinguer "
Alessandro Ferrucci
Donna Assunta Almirante compie novant ' anni. E ripercorre la sua vita accanto al marito Giorgio, l ' uomo
che da Salò passò all ' Msi. Un racconto che va dal fascismo a Berlinguer, da Giovanni Paolo II ad Andreotti.
Da Gianfranco Fini a Gianni Alemanno. » pag. 8 - 9 La sintesi è dietro una mozzarella, una mozzarella come
gentile omaggio. A volte " non so neanche chi le porta " . In altri casi il presente diventa della frutta, o " del
pesce fresco " , un libro da autografare, una stretta di mano. L ' indirizzo di Assunta Almirante non è difficile
da trovare, è sempre lo stesso da quasi sessant ' anni, al centro dei Parioli, quartiere storico della destra, alta
borghesia, dove un cameriere in casa fisso, un ' entrata di servizio, non è un ' anomalia. Vedova dello storico
leader missino, è la prosecuzione immaginaria del suo verbo, idolatrata e ricercata, temuta da molti big della
destra, a partire da Fini ( " è un pigro " ), e anche del Pd ( " mi hanno chiamato alcuni uomini di Renzi per
capire il motivo dei miei attacchi al loro leader " ). Qualche audace rivela: quest ' anno compie 90 anni.
Impossibile ottenere una conferma ufficiale, guai a domandarlo all ' interessata se non si vuole solleticare il
suo carattere deciso, molto franco, con successiva risposta piccata; i parenti stretti alzano le spalle, sorridono
e a bassa voce si lasciano sfuggire: " La data di nascita è un mistero " . Anche Wi k i p e d i a è in difficoltà,
segna un generico 1925, del giorno preciso non v ' è traccia. Ci accoglie in salotto, passo svelto nonostante
una frattura al piede, capelli perfetti, ovunque ritratti del suo Giorgio, lo studio dove un tempo la politica era
attiva, è ancora intatto. Questo salotto quante ne ha vissute? Uhhhh , l ' ira di Dio! Le mura potrebbero
raccontare molto... A partire dalle riunioni politiche. Eccome, però mica solo missini e post missini, i
democristiani erano di casa, in particolare quando gli serviva qualcosa da sistemare, o per ottenere i voti.
Quindi bussavano... Sempre, li ho visti tutti, democristiani e non. Chi le è rimasto maggiormente impresso?
Craxi... Per forza, vi ha ufficialmente sdoganato. Ma no! Tutta una messa in scena, il processo era partito da
molto prima, con i Dc, appunto. La parte ufficiale è stata gestita da attori di primissimo livello. Torniamo a
Craxi, lo ha conosciuto bene? È venuto anche a pranzo. Bella testa, aveva grandi capacità politiche. Mica
come quelli di ora. Lei non è renziana... Per carità! E l ' ho detto in televisione, quando ho dichiarato che
Renzi lo vedo meglio a Cinecittà. Sa cosa ha fatto il premier? Non l'avrà presa benissimo... Mi ha fatto
chiamare da uno dei suoi per rendere conto delle mie dichiarazioni. E lei? Ho ribadito la mia idea: che sono
tutte persone senza preparazione e cultura, uno così giovane non può avere l ' esperienza per prendere certe
decisioni. Le piaceva Berlinguer? Che persona splendida. Si vedevano con Giorgio, specialmente nei
momenti più bui e pericolosi. Solo loro due? Sì, in segreto andavano fuori Roma con due macchine diverse,
accompagnati dagli autisti. Scendevano dall ' auto e restavano soli per cercare di capire come muoversi.
Quante volte è accaduto? Abbastanza, non so dirle quante. Ha visto il film di Veltroni dedicato a Berlinguer?
Non mi è piaciuto, si è soffermato troppo sulla parte finale, quella drammatica prima della morte, e ha
tralasciato la chiave politica. Ci sono rimasta male, non meritava questo trattamento. Però Veltroni non lo
vedrei male al Quirinale. Nel film c'è la scena di suo marito ai funerali del leader Pci. Una giornata
drammatica, per la paura ho chiamato anche il ministero dell ' Interno. Le va di ricostruire quella mattina?
Giorgio non mi disse nulla, come niente fosse si veste, aspetta Magliaro (suo capo ufficio stampa) ed esce. Il
bello è che neanche Magliaro era informato, così si fa lasciare vicino a Botteghe Oscure: ' Ho un impegno, tu
vattene al partito, ti raggiungo dopo'. E Magliaro? Non si fida, lo segue, e quando lo vede dirigersi alla
camera ardente, mi chiama; disperata telefono agli Interni. Al ritorno cosa le disse Almirante? Che era certo
della reazione positiva dei comunisti. Berlinguer era una persona perbene, anche sua figlia Bianca lo è. Lei
ha avuto una bella vita? Bella e tormentata. Non sa quante telefonate anonime ho ricevuto, tipo: ' Corra,
hanno ammazzato di botte suo marito ' ,o ' suo marito è morto ' . Tutte false, ovvio, ma quanta paura. E lei
come si comportava? (Ride e mima il gesto della cornetta) Subito una telefonata al ministero. È mai
realmente accaduto qualcosa? No, sempre grande rispetto. Ma vista la situazione degli anni Settanta, la
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L'INTERVISTA Assunta Almirante racconta i retroscena della sua vita
19/01/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 1
(tiratura:100000)
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mattina prima di uscire, ha mai detto a suo marito " stai attento " ? Per carità! Se mi azzardavo si infastidiva.
L'anno scorso sono stati cento anni dalla nascita di Almirante. Non sa quante manifestazioni, ho girato tutta l '
Italia, sempre il pienone, anche dentro i teatri, dalla Sicilia a Trieste, per non parlare di Napoli... Le hanno mai
chiesto di scendere in politica? Molte volte, ma non è il mio ruolo. Nessuno tiene unita la destra. Lo so,
questo è il punto. Giorgia Meloni. La situazione è troppo pesante per affidarsi a una ragazza con poca
esperienza. Allora sarebbe stato meglio Ignazio La Russa, ma non ha avuto coraggio, si è ritirato da una
potenziale leadership per evitare una brutta figura. E gliel ' ho detto. Non l'avrà presa bene. Ha tirato fuori la
sua risatina (e qui donna Assunta imita benissimo La Russa) . Con Fini non è mai stata molto tenera. Mi ha
chiamato dopo il furto al cimitero del busto di mio marito, mi ha offerto un aiuto economico per ripristinarlo. Ha
ringraziato e rifiutato. Certo, ho ancora tutte le forze fisiche ed economiche per gestire le situazioni. Però
questa volta l ' ho realizzato di marmo, non in bronzo, altrimenti lo rubano di nuovo. Altre volte lo ha insultato.
Fini è stata una delusione troppo forte, anche quando Giorgio era vivo. Non ha il temperamento, per essere
leader bisogna essere innanzitutto coraggiosi, e poi costanti nel lavoro. Lui è un signorino, è uno pigro. Non è
un lavoratore. A l e m a n n o? Non si è mai impegnato, pure da Sindaco non ha convinto. Ora poi c ' è la
questione Mafia-Capitale, vedremo. Lei ha dichiarato di non essere " mai stata fascista né missina " . Vero,
non ho mai abbracciato in toto la loro cultura. Ho solo amato fino in fondo il concetto di " patria " , mi sento
italiana e calabrese. Questa idea l ' ho portata in giro per il mondo. Ha viaggiato molto? Ovunque e con
Giorgio, da New York al medioriente. Chi l'ha colpita? Beh, lo Scià di Persia. Una volta ci ha invitato a pranzo,
io ero seduta alla sua destra, un uomo colto e molto emancipato. Ma a un certo punto è arrivata una ragazza
per leggere le nostre mani e a Giorgio ha predetto: ' Tra qualche anno subirà un ' operazione grave, durante
la quale rischierà di morire ' . Un pranzo allegro... Quando ci è stata tradotta la frase, in automatico ho fatto le
corna e ripetutamente. Mi ero dimenticata del contesto, poi ho dovuto spiegare il gesto. Le vostre vacanze?
Spesso a Sabaudia, lì avevo un ' azienda agricola, Giorgio mi chiamava ' l ' agraria ' . Colpo di fulmine? Da
parte sua, sì. Per me no. Il vostro primo incontro? Giorgio era stato invitato in Calabria da un mio parente,
ancora non lo conoscevo, ma accompagno dei miei amici per ascoltare questa giovane promessa politica.
Tutti ad ascoltarlo, affascinati, io mi rompevo un po ' , così tolgo dal cappellino uno spillo e inizio a infastidire
quelli davanti. E lui, dal balcone dove parlava, se ne accorge, e alla fine mi fa: ' Mi ha preso in giro,
disturbava ' E lei? Gli ho risposto che erano miei amici, ma lui non contento ha insistito ' mi ha distratto ' , ah
sì? Peggio per lei. Caratterino, il suo. Poi con l ' autista l ' ho portato in aeroporto, e in seguito ci siamo rivisti
a Roma per un favore a nome di un ' amica. La prima impressione su Almirante? Vestiva malissimo, da
vergognarsi, con la camicia alla Robespierre, i sandali e le unghie di fuori. Lei lo ha portato sulla rotta del " d
o p p i o p e t to " . Un lavorone, ci ho pensato sempre io, ma era necessario stargli dietro. E poi era distratto,
a volte tornava a casa con scarpe non sue perché in treno se le toglieva e poi si rinfilava quelle del vicino. Si
divertiva di queste distrazioni? Insomma, più che altro mi schifavo. Lei era la ricca dei due... Non mi sono mai
lasciata mantenere, ho sempre lavorato, a ognuno il suo conto. Quando l ' ho conosciuto lui non aveva la
macchina io già possedevo la 130. Lo seguiva spesso nei suoi viaggi di lavoro? Specialmente quando ho
capito che non stava più bene. Per curarlo o per goderselo? Tutti e due, Giorgio era molto trasandato e molto
impegnato, lo obbligavo a farsi il bagno la sera, poi lo lavorava in pigiama, altrimenti la mattina lo avrebbe
saltato per la fretta. Ha mai legato con le mogli degli altri leader? Le altre donne non erano interessate alla
politica, erano più simili alla signora Andreotti, persone casalinghe. Lei e Almirante siete stati rivoluzionari nei
costumi, coppia non sposata e con figli negli anni Cinquanta: a casa come la p re s e ro? Non mi hanno mai
detto nulla, mi hanno sempre rispettato. Tutti d'accordo? No, non lo era nessuno, però non mi hanno mai
contrastato, la mia era una famiglia moderna, avevo già casa mia a Roma, frequentavo stilisti, il teatro dell '
Opera, viaggiavo. Si ricorda la sera del successo elettorale del 1972, l ' 8,7% alla Camera, il 9,2% al Senato?
Memorabile, ma ancora meglio fu la vittoria in Sicilia. Però in quella occasione ho provato un po ' di paura.
Come mai? Per andare da un comizio a un altro, certe volte lo bendavano, per non farlo vedere agli altri. Lui
lasciava fare, io turbata e incredula. Qual è stato uno degli incontri più importanti della sua vita? Credo quello
19/01/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 1
(tiratura:100000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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con Papa Wojtyla, uomo magnetico, un angelo. Il consigliere di mio marito era padre Spiazza, molto amico di
Karol, con lui aveva condiviso le tragedie del comunismo, e del comunismo non voleva parlare. Wojtila, al
contrario, ne parlava, eccome. La prima volta che gli hanno presentato tutti i parlamentari, al momento di
salutare mio marito ha allargato le mani e poi ha detto ' lo conosciamo, lo conosciamo ' . Poi gli ha parlato
vicino all ' orecchio. E cosa gli disse? È un segreto che mi porto da anni. Ci dica almeno il senso. Di
continuare a contrastare il comunismo. E vero che ancora le arrivano i regali? Tantissimi! E quando esco per
Roma non sa le persone che mi fermano per una foto, una stretta di mano, la mia ex collaboratrice si
innervosiva e io le dicevo ' ma che sei scema? ' Dei politici di oggi chi le piace? Ma li ha visti? Sono
imbarazzanti, se penso a quei tempi... Twitter: @A_Ferrucci
Chi è CATANZARO E ROMA Nata a Catanzaro, sposò il marchese Federico de' Medici, 21 anni più grande
di lei, con il quale ebbe tre figli, Marco, Marianna e Leopoldo. Nel 1952 conobbe l ' allora deputato del Msi
Giorgio Almirante e si separò dal marito. Dai due nacque nel 1958 Giuliana. Dopo la morte del marchese,
sposò nel 1969 Giorgio Almirante in chiesa. Nel 1988, dopo una lunga mallattia, lo storico leader dell ' Msi
muore.
Foto: INSIEME Al centro, Almirante e Berlinguer visti da Emanuele Fucecchi; in alto Assunta Almirante con il
marito G i o rgi o Ansa, LaPresse, Dlm
Foto: ENRICO BERLINGUER Berlinguer era una persona splendida. Con Giorgio, in segreto, andavano fuori
Roma per capire come muoversi. Il giorno del funerale di Enrico ha partecipato senza avvertire nessuno
GIANFRANCO FINI Fini? Una delusione troppo forte, anche quando Giorgio era vivo. Non ha il
temperamento, per essere leader bisogna essere coraggiosi, e poi costanti nel lavoro. Lui è un signorino, è
uno pigro. Non è un lavoratore GIANNI ALEMANNO Non si è mai impegnato, pure da Sindaco non ha
convinto. E c ' è la questione Mafia Capitale, vedremo. La Meloni? La situazione è troppo pesante per
affidarsi a una ragazza con così poca esperienza GIOVANNI PAOLO II La prima volta che gli hanno
presentato tutti i parlamentari, quando ha visto mio marito ha allargato le mani e poi ha detto ' lo conosciamo,
lo conosciamo ' . Dopo all ' orecchio lo ha sollecitato a continuare a contrastare il comunismo
19/01/2015
QN - Il Giorno - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:69063, tiratura:107480)
«Renzi è di destraCe ne andiamo»
Andrea Bonzi ROMA SOTTOSEGRETARIO Faraone, la minoranza del suo partito, con Stefano Fassina, dice
che l'addio di Cofferati peserà notevolmente sul voto per eleggere il presidente della Repubblica. «L'unica
cosa che vedo essere messa in discussione dall'uscita dell'ex segretario Cgil è il rispetto delle regole della
vita democratica del Pd, lesa anche quando un eletto vota diversamente dalla linea decisa in direzione. Il
gesto di Cofferati, semmai, è in continuità con quanto fatto in questi mesi da alcuni parlamentari, tra cui
Fassina». Alla vigilia di una consultazione dove la compattezza del partito potrebbe essere fondamentale, il
clima interno non è dei migliori. «La partita per il Quirinale è già difficile di per sé, ma Renzi l'ha cominciata
col passo giusto. Vorrei essere chiaro: sul successore di Napolitano non è solo il premier che si gioca la
faccia, ma il Pd e tutta la classe dirigente». Nel segreto dell'urna non c'è la possibilità di un bis dei 101 che
impallinarono Prodi? «Anche tra i più critici verso il governo sono pochissimi gli esponenti dem che, finora,
non hanno rispettato le regole del partito. Non temo questo scenario». Torniamo a Cofferati. Dice che non
poteva restare in un partito che non si scandalizza per il grave inquinamento delle primarie. «Avrebbe dovuto
accettare la sconfitta, oppure non partecipare proprio alla gara. La verità è che Cofferati avrebbe voluto
estrarre il nome del candidato da un bussolotto dove tutte le palline recassero scritto il suo cognome. Ma non
funziona così, abbiamo detto basta alle scelte dall'alto». Sono stati annullati 4.000 voti in Liguria, mica
pochi... «Appunto, le irregolarità sono state individuate e corrette. E il risultato non è cambiato». Le primarie
sono ancora uno strumento valido o, dopo il flop dell'Emilia e le difficoltà di organizzazione nelle Marche e in
Campania, pensate di abolirle? «Lo strumento può essere migliorato, ma non va messo in discussione. Se
poi si riescono a trovare soluzioni unitarie, come in Piemonte con Chiamparino, tanto meglio, ma non
rimpiango i caminetti». L'ex leader Cgil dovrebbe dimettersi da europarlamentare? «È una scelta individuale».
Sel ha già spalancato le porte a Cofferati, Civati ha un piede e mezzo fuori dalla soglia democratica. Si parla
di un nuovo soggetto a sinistra. «Il Pd è nato come casa dei riformisti e sotto questo tetto possono stare
esponenti che si collocano un po' più a sinistra, Civati compreso, e un po' più a destra. Detto ciò, questa
logica del penultimatum ha un po' stancato, e logora soprattutto chi la agita continuamente». L'ultimo
sondaggio Ipsos dà il Pd in calo del 6%. E un'eventuale forza di sinistra al 3-4%. Preoccupato? «I nostri
sondaggi sono le elezioni. Non credo che questo strappo di Cofferati avrà un effetto valanga: la sinistra è già
dentro al Pd, i cittadini vogliono farsi rappresentare da partiti maggioritari, non certo da entità nate non
accettando l'esito di primarie democratiche». Image: 20150119/foto/521.jpg
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA FRONDA CIVATI: ADDIO A PRIMAVERA
19/01/2015
QN - Il Giorno - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:69063, tiratura:107480)
«Basta ultimatumRispettate le regole»
Rosalba Carbutti ROMA ALLORA CIVATI (nella foto Ansa), se ne va dal Pd? «C'è disagio, c'è disagio... dopo
il caos primarie liguri non ha perso la pazienza solo Sergio Cofferati. Il partito ha avuto un calo nei consensi e
parte dei miei elettori nel Pd non ci crede più». E lei ci crede o no? «Alle primarie come strumento,
nonostante quello che è successo, sì. Ma in Liguria non sosterremo la renziana Raffaella Paita e punteremo
su un altro candidato. Sul programma di governo, dallo Sblocca Italia al Jobs Act... come si fa a crederci?».
Questa volta dopo l'addio del Cinese farete la scissione? «Magari il prossimo che se andrà sarà Civati che fa
rima con Cofferati. Non ho chiesto ai miei di uscire dal partito, ma come me c'è chi non regge più. Il deputato
genovese Luigi Pastorino, ad esempio». Quindi questo nuovo partito di sinistra più volte annunciato si farà?
«Sì e sarà grande. Ma non dite che ho manie di protagonismo, che voglio fondare un partito...». Vabbè,
quindi, che cosa vuole fare? «Ci sono tante anime in ballo. Sel si rilancia la prossima settimana e c'è l'ala
sindacale di Sergio Cofferati e Maurizio Landini». Poi c'è la brigata Kalimera. «L'esperienza greca di Syriza di
Alexis Tsipras va tenuta in considerazione. E non solo da me, Vendola e Fassina, ma anche dal premier».
Civati, basta penultimatum. Se si va a votare, lei con chi si candida? «Beh, se a maggio si torna alle urne
farei fatica a candidarmi con il Pd». Dica la verità: fa tutto questo balletto perché c'è l'elezione del nuovo
presidente della Repubblica. «Fassina non ha torto: il caso Cofferati dal punto di vista della tensione non
aiuta di certo. Ciò detto, non farò ricatti a Renzi, anche perché noi rappresentiamo una piccola porzione di
voti. Di certo, non sarà il voto del Quirinale a farmi decidere di andar via». Quindi lo strappo dal Pd quando
avverrà? «Diciamo a primavera». E in quanti tra i democratici la seguiranno? «Pochi, pochissimi. Siamo al
governo...». Spari un numero. «Sotto i dieci». Fassina ha detto che resterà a lottare da dentro. «Credo che
lui, Cuperlo, Boccia, Bindi, Bersani di fronte a un governo che procede un giorno con un salva bilancio e un
altro con un salva Berlusconi alla fine si stancheranno». Che cosa resta dell'identità di sinistra? «Con Renzi è
un'identità negata. Appena qualcuno dice qualcosa viene definito gufo'. Il leader Pd diceva: voglio elettori di
centrodestra. Ora vedo soprattutto ministri di quell'area. Forse Tsipras ha ragione quando dice che è scisso».
Che ne sarà del Pd? «Ormai è un partito di centrodestra». Il nome per il Colle sarà deciso di conseguenza?
«Speriamo che non sia espressione del patto del Nazareno. Prodi andrebbe bene». Si è sfilato. «Sì, ma ha i
numeri per essere eletto». Image: 20150119/foto/515.jpg
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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RENZIANI FARAONE: ABBIAMO I NUMERI
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 1
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Se non vuol fallire Renzi punti al 1° colpo
DI GOFFREDO PISTELLI
Pistelli a pag. 5 «Ma parliamo del Papa?», chiede Fab r i z i o Rondolino, con la consueta cortesia. E quando
scopre che, invece, l'argomento della conversazione vuol essere il Quirinale, tradisce quasi un certo
disappunto. No, non parleremo dell'elogio del cazzotto, seppur per affronto religioso, fatto da Jorge Bergoglio.
«Peccato. Avrei fatto volentieri un ragionamento sul fatto che in monoteismi sono intolleranti e che, oggi, il
problema è tenere a bada la religione», dice. Lo faremo prossimamente, perché questo 55enne torinese,
giornalista e scrittore, oltre a essere un acuto analista politico, è un attento osservatore dei tempi. Domanda.
C'è un problema, caro Rondolino, come fa Matteo Renzi a vincere la sfida del Quirinale senza esserne
impallinato irrimediabilmente? Risposta. Facile. Deve fare eleggere la figura giusta e al primo turno. D. Ah,
stavamo tutti discettando di un blitz p o s s i b i l e , ma dal quarto scrutinio, con la maggioranza assoluta. E
non era cosa da poco. R. No, chiuderla subito, mi creda, è la soluzione di tutti i problemi, di Renzi, dello
stesso Colle ma, soprattutto, del Paese. D. E come può fare? R. Cominciamo col dire che, se si supera il
terzo scrutinio, ci si addentra in un terreno adatto a fare crescere una candidatura alternativa a quella cara al
premier, quale che sia. D. Facciamo qualche nome, di un presidente per così dire «antirenziano»? R.
Potrebbe trattarsi di Romano Prodi o potrebbe esserci un ritorno di Stefano Rodotà. Comunque una
candidatura che cresce soprattutto nel Pd. D. Addirittura... R. Massì, sappiamo bene tutti che gli antirenziani
a vario titolo, nel gruppo parlamentare e nei grandi elettori, potrebbero essere dai 100 ai 150. D'accordo? D.
Glielo concedo. R. E d'altra parte, quella della presidenza della Repubblica, è legittimamente l'ultima trincea
per opporsi a Renzi, nel Paese e nel Pd, ché se vince questa battaglia, il segretario del Pd dilaga, ha vinto
tutto. Ed giusto e comprensibile che gli oppositori, interni, esterni, trasversali, facciano di tutto per provarci. Mi
segue? D. La seguo, ma quale strada hanno? R. Utilizzare questa terra di nessuno dei primi tre scrutini, per
radunarsi tutti: da Matteo Salvini a Pippo Civati, da Giorgia Meloni a Raffaele Fitto, persino Silvio Berlusconi
... D. U n momento. Come Berlusconi? E il Patto del Nazareno? R. Al tempo. Un conto è il Nazareno che si
fonda sull'estrema debolezza di Berlusconi, un altro conto sarebbe la possibilità di azzoppare Renzi. Crede
che il Cavaliere, se ne avesse la chance, non lo farebbe? D. Ci vedevo anche un lato umano e psicologico in
quell'accordo... R. Ma no, quell'intesa si basa su un interesse reciproco ed è fatta da due spregiudicati della
politica, nel senso che valutano tutto sulla base delle convenienze, prima di ogni teorizzazione. E dunque,
essendo Renzi fortissimo, se Berlusconi vedesse l'opportunità per indebolirlo, perché no? D. Mi ha convinto,
vada avanti. R. E allora, per sminare quel terreno, il premier deve costruire una presidenza che bruci sul
tempo gli avversari. Il metodo Carlo Azeglio Ciampi, per intendersi. O anche Francesco Cossiga. D. Il che
comporterebbe l'unità pressoché totale del Pd... R. Granitica. Renzi deve trovare la persona che, al primo
colpo, non possa non essere votata dai suoi. O che, al massimo, lasci fuori un Civati o un Corradino Mineo.
Ma cinque grandi elettori non 100. D. Dopodiché? R. Dopodiché, quando il Pd vota compatto, arrivano tutti gli
altri, dai centristi, a Scelta civica, al Gruppo per le autonomieGal, a Forza Italia che ha il problema di essere
sempre dalla parte di chi elegge, non di chi resta fuori. D. Secondo lei ci sono i numeri? R. Ci possono
essere. Certo, ci vuole la persona giusta. D. Un identikit del genere poteva averlo Pier Luigi Bersani, come
proponeva anche Giuliano Ferrara l'altro ieri. Senonché, oggi (ieri per chi legge, ndr), Berlusconi ha escluso
di poter votare uno che gli è stato in qualche modo avversario, dicendo di no a Prodi ma anche all'exsegretario Pd. R. L'editto di Berlusconi è secondario per la ragione di cui sopra: il Cav voterà chiunque verrà
eletto, alla fi ne. Accetto scommesse. Ma Bersani non andava comunque bene. D. Pe r ché? R. Ma no. N e s
s u n o m a n d e r e b be il proprio avversario n e l l ' a t t i c o del palazzo, via. È una cosa di un togliattismo
un po' rancido, mi permetta: prendi il tuo nemico e lo innalzi, in modo da neutralizzarlo. Poteva farlo Massimo
D'Alema, ma è una cosa da rituale della prima repubblica. Oggi non funziona più così, ammettiamolo. D. E
allora? Chi potrebbe avere il «fi sico del ruolo» necessario. R. Potrebbe essere Sergio Mattarella, perché no?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA RONDOLINO SPIEGA PERCHÉ
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 1
(diffusione:88538, tiratura:156000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Ma anche Walter Veltroni, nonostante l'ombra delle inchieste romane e nonostante qualcuno lo consideri un
po' divisivo. Io credo che la minoranza dem non potrebbe che votarlo. Oppure, ancora, anche Pier Carlo
Padoan. Una candidatura, insomma, che unifi chi, e il resto verrà da sé. D. Chiaro. R. Ecco, intervista bella
che fi nita. D.E no. Ci aiuti a disegnare anche l'altro scenario: quello in cui l'antirenziano al Colle ci salga
davvero. R. Ah beh. In quel caso, il primo impegno del nuovo capo dello Stato sarebbe quello di non
sciogliere le camere in caso di caduta del governo Renzi. Quello sarebbe il patto preliminare. D. D a l patto
del Nazareno al patto del Quirinale... R. Eh sì. Perché questa intesa metterebbe in sicurezza tutte le
minoranza: il presidente del consiglio, che non ha la nuova legge elettorale pronta, non avrebbe più l'arma del
voto anticipato. Rottamata. E allora, per Renzi, si farebbe assai dura. Anche se non è escluso che possa
farcela ugualmente. D. A proposito di Renzi. Passata la autunno, dove tutti scommettevano sull'arrivo della
Troika, la sua opposizione, fuori e dentro il Parlamento, s'è concentrata sul magro bottino del semestre
europeo... R. Il governo va bene, anzi molto bene. Quello delle liste della spesa contrapposte, delle cose
annunciate e non fatte,è un gioco sterile. D. Che non mi pare appassionare troppo gli Italiani, ormai... R.
Esatto. Chi si occupa di politica ha anche un dovere di verità e tutti sappiamo che non si cambia tutto in otto,
10 o 15 mesi. Il tempo ci vuole e, rispetto al passato, le cose vanno meglio. Alcune cose son state fatte, ad
altre stanno lavorando.E poi mi scusi, prendiamo il Jobs Act... D. Prendiamolo. R. Fatti i decreti, pronti-via. Ed
arriva la Fiat che ne assume 1.500. Sarà che Sergio Marchionne era in vena di regali, ma non credo. Sarà
che la Jeep va bene. Resta un successo simbolico enorme. D. Vede qualche punto di debolezza? R. Una
rilassatezza nel sentimento pubblico. Si fa cioè largo l'idea che son tutti uguali, che non cambia niente. In
questo, l'inchiesta romana è stata un colpo duro. L'abbiamo visto con la proposta delle Olimpiadi: Renzi l'ha
lanciata ma ne ha subìto il contraccolpo. È prevalsa l'opinione che, da noi, non sia possibile fare cose del
genere, perché «siamo tutti ladri». Anzi, essendo la tipica chiacchiera da bar, «sono tutti ladri», ché i
disonesti sono sempre gli altri. E questo è devastante. Questo fatalismo, questo Paese non più renziano, è il
peggior nemico di Renzi. D. Che cosa deve fare? R. Dopo il Quirinale, dedicarsi a motivare la gente, a
convincerla che cambiare si possa. D. Qualcosa di leopoldino? R. Meglio, di kennediano, nel senso di Bob.
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Se si fi nisce al quarto scrutinio, aumentano le possibilità di un presidente come Romano Prodi a addirittura
come Stefano Rodotà, perché il futuro presidente della repubblica è l'ultima trincea dalla quale potersi
opporre a Renzi, nel Paese e nel Pd
Se Renzi vince questa battaglia per il Quirinale, egli ha vinto su tutto, dando cappotto, esplicito e senza
attenuanti, a tutti i suoi avversari. A quel punto, il segretario del Pd nonché premier, cioè Renzi stesso,
avrebbe vinto l'intera posta e dilagherebbe su tutto
Il Patto del Nazareno è stato sottoscritto da un Berlusconi che si trovava in estrema diffi coltà. Ma se il
Cavaliere avesse ora la possibilità di azzoppare Renzi, crede che non lo farebbe? Ecco perché i suoi voti
possono unirsi a quelli delle opposizione
Per sminare il terreno, Renzi deve puntare subito, come presidente, su un nome che bruci sul tempo i suoi
avversari. Deve utilizzare cioè il metodo Carlo Azelio Ciampi, per intenderci. O anche quello, realizzato da
Ciriaco De Mita, per l'elezione di Francesco Cossiga
Renzi quindi deve trovare la persona che, al primo colpo, non possa non essere votata da tutti i suoi del Pd.
O che, al massimo, lasci fuori un Civati o un Corradino Mineo. Ma questi sarebbero cinque grandi elettori.
Non cento come sarebbero in altre circostanze
I personaggi idonei potrebbero essere Sergio Mattarella ma anche, sia pure con alcune riserve, Walter
Ventroni. Non escluderei neppure Pier Carlo Padoan. Mentre invece sarebbe ugualmente unifi cante il nome
di Pier Luigi Bersani che oramai si è bruciato
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17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 2
(diffusione:88538, tiratura:156000)
La libertà è l'arma dell'Occidente per sconfi ggere la jihad islamica
Ma non può essere ridotta a pornografia e blasfemia
SERGIO SOAVE
Dopo la prima ondata emotiva che ha portato a solidarizzare con le vittime della violenza terroristica, com'è
doveroso, arrivando a condividere lo spirito corrosivo e insultante della loro satira, il che è invece del tutto
opzionale, si comincia a ragionare un po' più pacatamente. A dare il segno della necessità di non santificare
la blasfemia è stato Papa Francesco, con un linguaggio colorito e persino non scevro da qualche accenno
violento. È la legge a sancire la libertà di espressione e i suoi limiti, ma questo non significa che tutto ciò che
non è reato sia lecito dal punto di vista morale. Francesco insiste sul rispetto per tutte le religioni, senza
peraltro chiedere che si instaurino legislazioni che impongano la censura, e non ci si dovrebbe stupire che il
capo di una Chiesa difenda il ruolo delle religioni, specialmente in un periodo in cui i cristiani subiscono
persecuzioni in varie parti del mondo, a cominciare da quelle dominate dal fanatismo islamista. Quello che
invece stupisce è l'imbarazzo col quale le parole del Papa sono state accolte da quei settori laicistici che si
erano fatti propagandisti della novità insita nel suo stile diretto. Eugenio Scalfari sa benissimo che non si può
assimilare il magistero di un pontefice, per giunta di origine gesuita, alla tradizione illuministica e voltairiana.
Ha giocato un po' sull'equivoco, ma alla fine i fatti sono più testardi delle manipolazioni, magari sincere ma
egualmente fuorvianti. D'altra parte ridurre i valori della libertà occidentale, che nasce dalla tradizione classica
greco-latina, quanto dalla concezione della persona da quella giudeocristiana, alla questione della tolleranza
per blasfemia e pornografia è un regalo alla propaganda dell'islamismo radicale. I vari califfati, reti
terroristiche, jihad armate e così via, in realtà usano questo argomento per conquistare simpatie nelle grandi
masse islamiche, ma la loro guerra contro l'Occidente non ha nessuna radice moralizzatrice, è basata su una
volontà di potenza e di sottomissione tipica di tutte le ideologie fanatiche e assolutistiche. L'arma più forte
dell'Occidente, oltre alle misure specificamente militari e di intelligence, è proprio la libertà, con le sue
conseguenze di sviluppo scientifico, di sviluppo economico, di dialettica culturale. A quel modello, non solo ai
suoi aspetti consumistici, che comunque hanno un loro valore come affermazione della libertà di scelta
individuale, in realtà guardano anche le masse islamiche in un lento ma costante processo di
secolarizzazione, che gli estremisti vogliono bloccare e invertire con la violenza e l'intimidazione. ©
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL PUNTO
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 10
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Lapo Elkann liquida la sua musica
ANDREA GIACOBINO
Si è spenta la «musica» di Lapo Elkann & C. Pochi giorni fa, infatti, a Torino nello studio notarile Morone,
professionisti che hanno sempre seguito gli atti societari della dinastia Agnelli (a cominciare dalle assemblee
dell'accomandita presieduta da John, fratello di Lapo), si è svolta un'assemblea straordinaria della Sound
Identity srl che ha deliberato la messa in liquidazione volontaria della società e il suo scioglimento anticipato
nominandone come liquidatore Stefano Paskano Fontana. Questo è il presidente della Sount Identity, ma
anche l'ideatore e il suo maggior azionista col 40% mentre il 30% è della Italia Independent Group, la quotata
di Elkann e il restante 30% fa capo a Stefano Merlo, ex pr e web manager di Ing Direct. Fontana, classe
1970, è uno dei più noti disc jockey e producer italiano: dopo essersi fatto le ossa al «Plastic», noto locale
milanese di tendenza, sue sono le musiche di spot di marchi importanti (da Adidas a Coca Cola fi no a Dolce
& Gabbana) mentre attualmente opera col marchio Stylophonic. Sound Identity con un capitale di 100 mila
euro era stata fondata nel 2009 con l'obiettivo di creare progetti lavorando sulla musica legata a campagne
pubblicitarie, marchi e ambienti commerciali. «Credo nelle idee convincenti e nella comunicazione - aveva
dichiarato allora Elkann -. Il nostro obiettivo è dare identità ai marchi attraverso la musica, lavorando sia nel
breve sia nel lungo periodo». I risultati economici nel corso dell'ultimo quadriennio, però, non sono stati
entusiasmanti e il 2013 si è chiuso con un fatturato di soli 133 mila euro. Marco Fossati riporta munizioni in
Italia Marco Fossati, grande azionista di Telecom, riporta munizione in Italia per 70 milioni di euro. Qualche
giorno, infatti, si è svolta in Lussemburgo un'assemblea straordinaria di Mf Capital, la holding con cui Fossati
partecipa nella misura del 25% al capitale di Findim Group che, basata anch'essa nel Granducato e
partecipata dal fratello Giuseppe e dalle sorelle Daniela e Stefania, detiene circa il 5% dell'ex monopolista
delle tlc. Mf Capital a deciso di ridurre il capitale da 420 a 350 milioni annullando 3 mila cinquecento azioni di
categoria K per un valore nominale ciascuna di 10 mila euro e un identico numero di titoli di categoria L, del
medesimo valore nominale. Il nuovo capitale di Mf Capital, perciò, risulta suddiviso in dieci categorie di titoli
(ciascuno del valore nominale di 10 mila euro) per 3 mila cinquecento certificati, recanti una lettera
dell'alfabeto dalla A alla J, che ne contraddistingue i relativi diritti in sede di distribuzione di dividendo. Nel
2013 la holding di Fossati ha perso 24,5 milioni, a causa soprattutto di una minusvalenza generata dalla
vendita di titoli Hewlett Packard. Gli asset di Mf Capital, pari a 680,1 milioni, sono rappresentati dalla quota
Findim rimasta iscritta per 313,7 milioni, cui si aggiungono l'americana Mf Investments (3,9 milioni) e 362,3
milioni di liquidità. L'area di Porta Vittoria vale oltre 500milioni L'area immobiliare milanese di Porta Vittoria di
Danilo Coppola? Vale oltre 500 milioni di euro. Lo dice una perizia redatta qualche giorno fa, alla vigilia della
due diligence che dovrebbe portare l'area tra le braccia di Prelios, allorché si è verifi cato un importante
mutamento «in famiglia» nella proprietà della società di Coppola. Qualche giorno prima della fi ne del 2014,
infatti, a Milano davanti al notaio Cesare Bignami si è svolta un'assemblea straordinaria della Porta Vittoria
srl: alla riunione era presente l'unico socio, cioè Coppola attraverso la lussemburghese Pasi. Gianluca Ninno,
amministratore di Porta Vittoria, ha informato che dalla situazione patrimoniale aggiornata a poche ore prima
emergeva un patrimonio netto negativo per 63,3 milioni e che ovviamente, in caso di mancata
ricapitalizzazione, si sarebbe dovuto procedere alla liquidazione. Il risultato è il frutto di perdite per
complessivi 70,7 milioni che si sommano a un passivo precedente di 4,4 milioni, determinando appunto lo
squilibrio patrimoniale che aveva ampiamente bruciato il capitale di 7 milioni. Senza dimenticare il debito
verso le banche, anzitutto gli oltre 200 milioni erogati da Banco Popolare. L'azionista Pasi ha fatto sapere di
non poter iniettare risorse e si è così presentata un'altra lussemburghese, denomina Estrella 27, che ha
ripianato le predite e ricostituito parzialmente il capitale a un milione conferendo il proprio credito verso Pasi,
di nominali 65 milioni, di cui era azionista unico. Estrella 27 è stata costituita nel Granducato nello scorso
maggio da Silvia Necci, ex moglie di Coppola e amministratore è Ninno. A supporto dell'operazione di
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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CARTA CANTA
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 10
(diffusione:88538, tiratura:156000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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passaggio di proprietà è stata presentata una valutazione di Porta Vittoria redatta dalla società Praxi che
spiega nel dettaglio il progetto di sviluppo immobiliare sui circa 139 mila mq, che prevede strutture
residenziali e 900 mq che verranno ceduti al Comune di Milano e concessi in diritto di superfi cie, per la
durata di 20 anni. Praxi attribuisce a Porta Vittoria srl un valore di 518,7 milioni e secondo indiscrezioni la
vendita a Prelios dovrebbe avvenire nell'ordine dei 350-400 milioni. © Riproduzione riservata
Foto: Lapo Elkann
17/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 3
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Web trasparente, diga contro le barbarie
I tragici eventi della scorsa settimana hanno sollevato con forza la voglia di cambiare alcuni meccanismi della
nostra società che, oggettivamente, favoriscono il terrore e le barbarie. In questo quadro, molto si è detto
sulla necessità di intervenire anche su Internet; ma, ci si chiede, al punto in cui siamo arrivati è possibile
realizzare interventi efficaci senza modificare l'architettura stessa del sistema web? Internet è stato creato in
modo da poter sopravvivere a un attacco nucleare; la struttura originaria della rete viene direttamente da un
sistema costruito dall'Advanced research projects agency del Pentagono (il ministero della difesa Usa) e noto
col nome di Arpanet. L'idea di base del sistema era quella di un'architettura sullo schema di una rete da
pescatori in cui tutti i nodi erano uguali agli altri nel senso che non c'era nessun nodo centrale che controllava
il traffico della rete. Su questa i messaggi venivano divisi in piccole parti che potevano viaggiare
indifferentemente su percorsi diversi passando attraverso diversi nodi ed essere poi comunque riassemblati
quando giunti a destinazione. Se uno o più nodi venivano distrutti, il traffico poteva continuare utilizzando gli
altri. Arpanet a sua volta era la versione militare di un sistema elaborato nei primi anni 60 da un ricercatore
della Rand Corporation, Paul Baran, coadiuvato da un gruppo di studenti di Ucla e il sistema risentiva molto
del clima antiautoritario dell'Università californiana di quegli anni. Era basato sull'idea forte di come
armonizzare un gruppo senza un'autorità centralizzata. Il meccanismo si è poi sviluppato nel tempo
costruendo un web la cui architettura effettivamente rende estremamente difficile non solo qualunque forma
di controllo ma anche individuare il percorso di un messaggio attraverso i vari «nodi» della rete. A questo
sistema si è aggiunto un ingrediente dirompente (certamente non previsto all'epoca da Arpanet) che è
l'anonimato. Da questo cocktail è nato internet come lo conosciamo attualmente: un sistema non solo privo di
un'autorità centrale di controllo, verifica e autenticazione (il che, per certi aspetti, può essere anche un bene)
ma ormai del tutto privo di qualunque regola. Tutti sappiamo che i meccanismi che garantiscono l'anonimato
su internet (Tor e similari) sono anche serviti a garantire la difesa degli attivisti dei diritti umani e della
democrazia nei paesi totalitari. Ma qui il tema è molto diverso: l'anonimato e la mancanza di controlli non
possono divenire il sipario che protegge il lato oscuro del web. Tentativi sono stati fatti e altri sono in corso
per rendere la rete che conosciamo più trasparente; i risultati non sono stati incoraggianti ed è giunto il tempo
che tutti (settore privato, istituzioni) uniscano i propri sforzi per creare un Internet, diciamo così, parallelo in
grado di offrire meno anonimato e una chiara possibilità di identificazione e di verifica dall'identità agli users
nonché dell'origine dei messaggi. Questa sì potrà essere una vera diga contro le barbarie il resto, temo,
saranno solo belle parole e buone intenzioni. *delegato italiano alla proprietà intellettuale CONTATTI:
[email protected] © Riproduzione riservata
Foto: Mauro Masi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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IL PUNTO DI MAURO MASI*
17/01/2015
Financial Times
Pag. 13
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Draghi's ECB moves unlikely to have same impact as US monetary easing on S&P 500
ANDREW BOLGER
Will European equities benefit if - as expected - the European Central Bank presses ahead next week with a
government bond-buying programme? Mario Draghi, ECB president, has championed the proposal, known as
quantitative easing, as a way to prevent the eurozone from falling into a damaging spell of deflation, which
would raise debt burdens and wipe out demand. But whatever Mr Draghi announces, it is unlikely to have the
dramatic impact of quantitative easing in the US, which started in 2009 and set the S&P 500 off on a
sustained bull run that has subsequently seen it rise nearly 200 per cent. Japan's Nikkei index has also more
than doubled over the same period, thanks to aggressive asset purchases by the Bank of Japan and
expectations of policy reforms being pushed by prime minister Shinzo Abe. Although the ECB is coming
rather late to QE, European equity prices have already benefited from years of low interest rates, with the
Stoxx Euro 600 index rising 121 per cent during the longstanding US bull run. The lagging performance by
eurozone stocks can be explained in part by the relatively stronger US economy that is seen being close to
no longer requiring emergency low borrowing rates. In contrast Europe is battling deflation and there are
continuing concerns over the future of the eurozone because of the forthcoming Greek elections. Thierry
Olive, global head of equity capital markets at BNP Paribas, does not expect a dramatic reaction by equity
markets so long as the programme is in the range of the €500bn to €600bn that has been widely trailed. "If
the market is disappointed, shares could go down, but QE should be positive for European equities in the
medium term," he says. "A positive reception to the ECB's actions could see a wave of initial public offerings."
Kevin Lilley, manager of the European equity fund at Old Mutual Global Investors, says QE in the US was
primarily about lowering interest rates, which are already "ridiculously low" in the eurozone. "QE in Europe is
about lowering the euro, which will import some inflation to offset deflationary pressures," he says. "That
should mainly benefit European companies with significant exports - whether they are large or small." Another
factor that could boost European equity markets would be a sustained revival in mergers and acquisitions,
which last year focused on the pharmaceutical and healthcare sectors. Société Générale says financing for
acquisitions increased considerably in the second half of last year, both in bond and loan formats, and it
expects this to continue in 2015. "Valuations are low, liquidity is abundant and although growth is low, many
companies are beginning to see light at the end of the tunnel," says Demetrio Salorio, head of debt capital
markets at SocGen. BNP Paribas says European equities have underperformed on the back of markedly
lower exports as a result of Russian sanctions and expectations of weak returns from European banks.
However, it believes the weaker euro, lower energy prices and the reflationary stance of the ECB will be
supportive for European equities, which would be the main beneficiaries of full QE by the ECB. "There could
be a 10 to 15 per cent upside for European equities from QE," says Ankit Gheedia, equity strategist with BNP
Paribas. While European equities have lagged behind the S&P 500's double-digit gains in recent years, the
story so far in 2015 suggests this relationship may be turning, with the Stoxx Euro 600 index up 1.7 per cent,
while the US benchmark has slipped 3 per cent. Royal Bank of Scotland analysts found investors increasingly
sceptical about European QE, believing it would work only as a liquidity shot for financial markets, but not in
the real economy. "QE works for foreign exchange and exports, but it may not work as well on consumer
spending and corporate investment, or through the credit channel," says Alberto Gallo, head of European
macro credit research for RBS. The Stoxx Euro 600 index is trading on a prospective price/earnings multiple
of 21.20 for 2015 and a yield of 3.82 per cent, compared with the S&P 500's prospective PE of 15.37 and
yield of 2 per cent. BNP Paribas estimates that European equities have seen net inflows of $200bn over the
past two years. Adam Collins, of Capital Economics, says the PE ratios of eurozone equities typically seem
very attractive on a cyclically adjusted basis, which may explain why inflows of capital from abroad have been
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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European stocks arrive late to the QE party
17/01/2015
Financial Times
Pag. 13
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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so strong. "However, we think these ratios have been distorted by the effect on earnings of the last recession
and exaggerate the degree of undervaluation. Standard PE ratios present the eurozone stock market in a less
favourable light," he says. "The bottom line is that we expect the stock market in the eurozone to continue to
underperform its US counterpart." Mario Draghi, ECB president, has championed quantitative easing as a
way to prevent the eurozone from falling into deflation - Kai Pfaffenbach/Reuters
19/01/2015
Financial Times
Pag. 2
(diffusione:265676, tiratura:903298)
In break with tradition each central bank may have to take on losses for own national debt
CLAIRE JONES - FRANKFURT
The European Central Bank will this week set out plans for an ambitious programme of sovereign bond
buying, as the bank steps up its efforts to stave off deflation and boost the eurozone's flagging economy. The
ECB has for several months signalled its intention to follow the US Federal Reserve and Bank of England by
initiating quantitative easing. But agreeing a format that Mario Draghi, the bank's president, could sell to
Europe's policy makers has gone right to the wire. Although recent news of a fall in annual prices in the
eurozone for the first time in five years all but confirmed expectations of eurozone QE, dissent from within the
central bank, and fierce opposition towards sovereign bond-buying from Germany, has led to intense horsetrading ahead of Thursday's governing council vote. Details are still to be revealed. But one area where the
bank is set to bend to QE sceptics, is to break with tradition and force national central banks to take on the
losses for their national debt. The ECB could agree to chip in by buying the bonds of the European
Investment Bank. Policy makers could allow Greece, and others with junk ratings on their sovereign debt, to
buy bonds by insisting they will only do so if their countries remain in European Commission reform
programmes. Placing the burden for losses on the shoulders of national central banks is unlikely to win Mr
Draghi support from Jens Weidmann, the Bundesbank president and ECB council member who has said QE
without national responsibility for losses would contravene EU law. Nor is Sabine Lautenschläger, the
council's other German member, set to back the ECB chief. But the vast majority of the council are likely to
support QE. Klaas Knot, head of the Dutch central bank, who is among the sceptics on the merits of bond
buying, has signalled he would be prepared to switch sides if national central banks agree to buy their own
debt. Mr Knot told German news magazine Der Spiegel this week that such a compromise "would lower the
danger of there being an undesired redistribution of financial risks". The plan would also appease German
taxpayers' fears that they would be punished for what they view as other states' profligacy. The expectation
that Greece's leftwing Syriza party, which has said it wants to restructure the nation's debt, will win this
month's elections has exacerbated those concerns. The implications of central banks taking on responsibility
for any losses are complex. While the ECB is forbidden by EU law from voluntarily taking part in a
restructuring or rescheduling of its holdings of government debt, it is unclear whether the central bank would
have to shoulder losses if a restructuring was forced on all creditors. Supporters claim governments are less
likely to force a restructuring on their own central bank. Others disagree. "The argument that risk sharing by
the ECB gives countries an incentive to default is weak," said Guntram Wolff, director of Bruegel, a think-tank.
"The chance to pass on some of the burden to the ECB is not the reason governments restructure their debts,
as the central bank is only ever going to hold a small portion of their bonds." Market economists would prefer
Mr Draghi to compromise on risk sharing than the size of any package. But the ECB's proposed fix has its
critics, who warn that scrapping its commitment to risk sharing sends a dangerous message on the future of
the eurozone. Marcel Fratzscher, a former ECB official who is now president of DIW, a Berlin-based
economic research institute, said: "It would signal the end of monetary union. It would mean less risk sharing
and less common effort." The ECB's earlier sovereign debt purchases, made as part of its crisis-fighting
Securities Markets Programme, shared the burden for any losses or profits between the national central
banks. David Marsh, managing director of OMFIF, a forum for central banks and financiers, said Berlin and
the Bundesbank should have been aware for some time that monetary union would result in Germany
shouldering some of the losses for debtor states, such as Greece. "Germany knows that Europe is very
important politically, but finds it very difficult to look at the economic issues strategically," Mr Marsh said.
Additional reporting from Stefan Wagstyl in Berlin A strained bond page 7 Wolfgang Münchau page 9
Window shopping in Berlin. The ECB's German members look set to clash with president Mario Draghi - Sean
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Draghi to unveil sovereign bond buying blueprint
19/01/2015
Financial Times
Pag. 2
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Gallup/Getty
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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19/01/2015
Financial Times
Pag. 3
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Last year, 600 merchant vessels were diverted in the Mediterranean after Maydays
JAMES POLITI - ROME JOEL LEWIN - LONDON
The Torm Lotte, a Danish tanker, typically carries oil or chemicals. But last summer, it diverted from its route
in the Mediterranean to rescue hundreds of migrants whose ship had run into trouble. "Suddenly people on
board started jumping into the sea in sheer panic and I could see that these people were not used to
swimming," Peter Sams, the Torm Lotte's captain recalled. The crew pulled migrants from the water late into
the night, rescuing 564. At one point Mr Sams cut the engines to listen for shouts in the darkness. Forty
bodies, mostly Yemenis, Syrians, Libyans and Ethiopians, were later discovered below the migrant ship's
deck. "It's part of the tradition of being a seafarer and a ship owner," said Christian Søgaard-Christensen,
vice-president of shipping company Torm. "When there's an emergency you come to the rescue if you can."
Shipping companies are sounding the alarm about their involvement in such rescues in the Mediterranean,
which is seeing record numbers of migrants trying to reach Europe. Such operations drive up costs for
commercial ships that are forced to divert from their planned routes. They also pose safety threats. On the
Torm Lotte, for example, a crew of 20 had to ensure no fights erupted between migrants and smugglers, who
had also been rescued, during the two days they spent on the ship. Other shipping companies have
expressed concern about the possibility of armed terrorists being aboard ships they rescue. There is also the
challenge of enforcing no-smoking policies on tankers carrying combustible cargo. "If you have to stop your
ship and pick up several hundred people, your ship will be delayed. There are also serious safety concerns,"
said Bill Box, senior manager for communications at Intertanko, which represents oil and chemical tankers.
"You have a duty to fellow human beings but taking several hundred people on a tanker is hugely risky." The
shipping industry's burden is only likely to grow: the Italian navy last year ended its Mare Nostrum operation a vast sea patrol mission between Italy and Libya - amid worries that it cost too much and was unintentionally
encouraging more immigration. The EU border patrol agency, Frontex, has since launched its own mission in
the area, known as Triton, but it is limited to patrolling waters close to the Italian coast. Over the past year,
the number of migrants, mainly from Syria and Eritrea, travelling to Italy by sea from north Africa and the
Middle East has surged to 170,000, often in rickety boats arranged by human traffickers. As many as 600
merchant ships travelling through the region were called on to perform such missions in 2014. Maritime law
requires them to heed such distress calls, regardless of safety and financial concerns. Amid the frustration,
the International Chamber of Shipping last month released new guidelines for how merchant vessels should
act in rescue situations, including an "emphasis on sanitation, hygiene and ship security". Peter Hinchliffe, the
ICS's secretary-general, called on governments to do more to tackle the crisis. "Notwithstanding the shipping
industry's legal and humanitarian obligations to rescue people in distress at sea, it remains incumbent on the
governments to find a solution to the current crisis which is placing a very difficult burden on ships' crews and
the companies that have a duty of care for them," he said. What happened with the Torm Lotte is not unusual.
In recent months, there have been several migrant rescues by merchant ships. On December 5, the
Erasmusgracht, a Dutch cargo ship travelling from Turkey to Poland, was diverted from its route about 200
miles off the coast of Italy in the Ionian Sea to help a migrant boat that was adrift with no working motor. This
month, the Bourbon Argos, a merchant vessel, saved 173 people from a boat off the coasts of Libya, handing
them over to an Italian navy ship. "Shipping companies are between a rock and a hard place and we accept
that," says Simon Bennett, director of policy and external relations at ICS. "The obligation of always rescuing
people in distress at sea is something that shipowners take very seriously, but it's the sheer numbers involved
that are alarming."
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Shipping groups warn of migrant rescue risks
19/01/2015
Financial Times
Pag. 7
(diffusione:265676, tiratura:903298)
The ECB is expected to announce this week details of its quantitative easing package but a simmering
dispute with Germany, the region's most powerful state, threatens to lessen the programme's impact.
By Stefan Wagstyl and Claire Jones
In his tumultuous time as president of the European Central Bank, Mario Draghi has always been able to rely
on the unequivocal support of German chancellor Angela Merkel. Not any more. The mutual trust between
Europe's most important central banker and its most powerful political leader will this week be put to the test
as the ECB unveils its long-awaited quantitative easing package in the face of serious German reservations
about the central bank buying government bonds. Berlin will not publicly oppose the package that Mr Draghi
is expected to unveil in Frankfurt on Thursday. But it is pressing for tough conditions which the ECB fears
could limit its chances of success. "We have made it clear that it is questionable to do QE," says one person
with a knowledge of government thinking. "Draghi talks to people in Berlin. He knows what is going on in
Germany." The stand-off comes at a critical time for Germany, the eurozone and the EU, with the economy
stagnant, unemployment high and the union's reputation as a global economic powerhouse at stake. The
euro last week touched an 11-year low against the dollar after the Swiss central bank's decision to drop the
cap on the franc removed from the market a big buyer of euros. Next Sunday, voters go to the polls in debtladen Greece, the eurozone's most vulnerable member, in an election which could determine its future in the
eurozone. With the fall in oil prices pushing the region back into deflation for the first time in five years, Mr
Draghi sees QE as a powerful weapon in his fight against a long-lasting bout of falling prices that would
plunge the region into economic depression. It would also boost the collective power of the EU's central
institutions, not least the ECB, and help show the world and sceptical European voters that the union remains
more than the sum of its parts. Yet events in Greece - where the leftist Syriza party, which is calling for a
national debt restructuring, is expected to win - have underlined German concerns about QE, above all the
fear that German taxpayers might have to take the hit for spendthrift member states. At the same time, Ms
Merkel is not as convinced as she was at the peak of the eurozone crisis that the economic danger is so
acute that she has to back Mr Draghi at any cost. "At this time [Ms Merkel] is more sceptical. My impression is
that she has some doubts about whether QE will work," says a senior MP from the chancellor's CDU. Room
for compromise The ECB president last week met Chancellor Merkel and Wolfgang Schäuble, her powerful
finance minister, Mr Draghi will almost certainly compromise on elements of his package of government bond
purchases to appease the German public. But resistance is so fierce that this might not be enough. And by
bowing to Berlin, Mr Draghi risks announcing plans that would disappoint markets and destroy the ECB's
biggest chance to spur the region towards a meaningful recovery. "Markets need to view any QE package as
a continuation of monetary policy and not something which is constrained by the peculiarities of the
eurozone," says JPMorgan strategist Stephanie Flanders. But for most Germans, QE is not the answer to the
economic weakness of the eurozone's more vulnerable members, with some believing it is a threat to the
common currency's financial stability. With long memories of the dangers of inflation dating back to the 1920s,
Germans are scared that unleashing more liquidity into the already saturated eurozone economy will
eventually trigger a horrendous price surge. Moreover, many Germans say monetary easing will postpone
painful spending and borrowing cuts by giving weak states more financial wiggle room. At Thursday's vote,
the ECB president will not be able to count on the support of the two top Germans at the bank - Jens
Weidmann, Bundesbank president, and Sabine Lautenschläger, ECB executive board member. Mr Draghi will
almost certainly win a majority on the board. But even if he secures unanimous support for QE from central
bank governors in the rest of the 19-member euro-zone, it will not help him in Berlin - the dissent will
encourage other German critics and exacerbate the challenge of winning over opinion in the currency area's
most powerful nation. From its Frankfurt headquarters, just miles from the ECB's new building, the
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A strained bond
19/01/2015
Financial Times
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Bundesbank has led the charge against QE. Mr Weidmann, a former adviser to Ms Merkel, has said openly
the policy would do little to lift the region's economy and could delay reform. His views are shared by Mr
Schäuble, who has made clear his irritation with monetary easing, saying in a Bild newspaper interview that
"cheap money" should not sap the willingness to execute reforms. German opposition What Mr Weidmann
says matters: the German central bank holds the status of national treasure for its staunch defence of the
Deutschmark in the 1970s, which helped produce decades of low inflation and strong growth before the
introduction of the single currency. Clemens Fuest, president of the ZEW think-tank, says: "The Bundesbank
for Germans is a symbol of solidity." Yet, for all its homegrown popularity, the Bundesbank has been sidelined
at the ECB's top table. Mr Weidmann's predecessor Axel Weber resigned over an earlier bond-buying
scheme, the securities markets programme, along with his fellow German Jürgen Stark, then the ECB's chief
economist. There is no suggestion that the current Bundesbank chief or Ms Lautenschläger will quit, should
the ECB launch QE on Thursday. "The ECB was said to be constructed in the shape of the Bundesbank, and
that was why Germany accepted one vote per member state," says Hans-Werner Sinn, head of the Ifo thinktank in Munich. "Now the Bundesbank is being pushed into a minority on all the big decisions." The
Bundesbank's loss of influence has fed fears that the ECB will force Germans to pay for others' profligacy.
"The key difference in QE here, and not the UK and the US, is that the eurozone is a monetary union," says
Mr Fuest. "People talk about deep cultural difference, but that's not the main issue here. If we had the same
economic situation and no euro, I don't have the slightest doubt that the Bundesbank would do QE." Any
compromise between the ECB and Berlin has to focus on QE's details, as Mr Draghi seems certain to press
ahead with the plan itself. Recent discussions have focused on the timing, scale, and nature of the
programme. Berlin would prefer purchases of short-term sovereign bonds, not longterm debt which it views as
more like fiscal support. It also wants the ECB to buy bonds from all countries, and not just weak southern
states, as this would also smack of budgetary assistance. More controversially Mr Weidmann has signalled
that he would be less critical of a QE programme which placed the burden of losses on national central
banks. Anything else would "lead to a redistribution of risks between taxpayers in the member countries", he
said in December. Mr Draghi looks set to bow to the Bundesbank president's request, as well as Berlin's
demand that debt purchases are focused on bonds with shorter maturities. But shouldering national central
banks with responsibility for any credit losses from their national bonds would damage the appearance of
cross-EU solidarity. Earlier crisis-fighting schemes have seen a commitment to share losses, and to break
with that principle now would suggest the ECB is not as committed to monetary union as it once was.
However, market economists would prefer a compromise on burden sharing, rather than Mr Draghi being
forced to back down on the size of a package. Federal Reserve-style open-ended bond purchases, with a
commitment from the ECB to keep buying until inflation is on course to hit the target of 2 per cent, is viewed
by many investors as the most credible form of QE. But a small package of below €500bn would disappoint
markets, even if the risk of any possible losses were to be shared. Der Spiegel, the German magazine,
reported that Greek bonds would be excluded from QE. A likelier option is for Greece to be included, as long
as Athens remains in a European Commission reform programme. Reform push Ms Merkel's officials judge
that the eurozone is now in better shape to withstand a possible argument between Berlin and the ECB than it
was in 2012. That was when she backed Mr Draghi after he said he would do "whatever it takes" and
announced the Outright Monetary Transactions programme to save the euro. They believe more ECB support
will not help, as weak economies need reform not more money. Berlin also fears QE will relieve the pressure
not only on Greece but also France and Italy to pursue structural reform. In an ideal world, Berlin would like a
measure of QE to be married to a package of revitalised reform pledges supported by the European
Commission. Its officials will not give up pressing Athens, Paris and Rome for fiscal and structural reforms,
including spending cuts. Mr Draghi has also called for more power to be handed to Brussels to force countries
to undertake painful reforms. A political worry for Ms Merkel is the rise of the eurosceptic AfD, which narrowly
failed to get into parliament at its first attempt last year but has since won seats in the European parliament
19/01/2015
Financial Times
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and in regional assemblies in east Germany. It is campaigning for its first west German regional seats in
elections next month. Despite the danger, most top politicians of the conservative CDU/CSU coalition will
probably be discreet in their comments. But some will break ranks. A key political sceptic is Peter Gauweiler,
a CSU veteran who once condemned the euro as "Esperanto money". A wealthy lawyer, he has led several
unsuccessful attempts to have the German constitutional court block measures that enhance the EU's powers
at the cost of national sovereignty. This month, he suffered his latest setback when the European Court of
Justice's advocate general advised that the ECB was broadly within its right to conduct OMT. But it is unlikely
to stop German critics continuing the legal fight. Christoph Degenhart, a Leipzig law professor who cooperates with Mr Gauweiler and others in the court cases, told the Financial Times the group would likely
open a new front over QE, once it was announced. "The ECB is exceeding its mandate. This is not monetary
policy. It is support for weak economies." The German media are likely to be hostile. Commentators tend to
criticise the ECB, sometimes virulently, with the financial weekly WirtschaftsWoche condemning low interest
rates as a "diktat from a new Banca d'Italia, based in Frankfurt" - a reference to Mr Draghi's Italian citizenship.
An ECB charm offensive has seen the usually media-shy president give interviews to German media. But PR
will not win the day just yet. Marcel Fratzscher, head of the DIW think-tank and a former ECB official, says: "
A big majority of economists and journalists won't like [QE]. Very few will support it." With Ms Merkel silent,
the burden of getting the QE package right and selling it to Germany's sceptical public rests with the ECB
president. A senior CDU MP says: "Ms Merkel will let Mario Draghi do his job. It means he takes on the risks
involved and she does not." Writing on the wall: Graffiti outside the ECB's Frankfurt headquarters last year
reflects the closeness of the Draghi/Merkel alliance - AFP/Getty Images
19/01/2015
Financial Times
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History lesson
Germans have been treated to an unusual charm offensive by the European Central Bank in recent weeks,
with Mario Draghi granting interviews to the local press. But it is unlikely to dent the hostility Germans feel
towards the ECB. The country has long used its economic history to push the virtues of frugality. That
narrative is so strong that the quantitative easing programme sought by the ECB chief will remain unpopular.
"I hesitate to go back to the 1920s but, after the first and second world wars, Germany found out that when
central banks financed state spending, it destroyed the currency," says Jörg Krämer, chief economist at
Commerzbank. "The experience of hyperinflation is somewhat in the DNA here, so Germans do not want to
see the ECB buying government bonds." The destruction of the Reichsmark's value is an important historical
lesson. But missing from that narrative is the painful deflation that followed hyperinflation. In 1923, at the
height of the hyperinflation, 751,000 Germans were without work. By 1932, as deflation began to bite,
unemployment hit 5.6m. "There is a strand of historical thinking that the hyperinflation of the 1920s prepared
the German people for the rise of Hitler, when in fact the Weimar Republic survived that but not the deflation
of the early 1930s," says Adam Tooze, an economic historian at Yale University. While Milton Friedman and
Anna Schwartz's seminal text, A Monetary History of the United States, has helped ensure the US policy
mistakes that led to deflation are remembered, there is no equivalent in Germany. Clemens Fuest, president
of the ZEW think-tank, says: "The emergence from the depression in Germany was very different to that in
the US or the UK. We didn't have a narrative of terrible deflation, which exists elsewhere." The postwar
success of West Germany in the 1950s and 1960s, under the "ordoliberalist" economic doctrine,
strengthened the reputation of the view that politicians and central bankers are there to maintain order, not
boost demand.
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Where deflation is not part of the narrative
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Financial Times
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EUROPE
Wolfgang Münchau
Quantitative easing is, they say, "priced in by the markets". The European Central Bank will almost certainly
announce a decision to buy sovereign bonds on Thursday. Priced in it may be, but such a move would
nevertheless constitute a momentous event in modern European economic and monetary history. Something
is happening that was not supposed to have ever happened. It is a big step for the ECB, given the ideological
corner it started from some 16 years ago. But it is also a marker of how desperate things have become. This
is not going to be the pre-emptive version of QE, but the post-traumatic one. Inflation expectations cut loose
from the target some time ago. Headline inflation is negative. The eurozone economy is sick. My
understanding is various critical parts of a QE programme were still under discussion by the end of last week
though a consensus seems to be emerging on some. The programme will have a nominal figure attached some say €500bn, but it could be more. It will not be open-ended. Mario Draghi, ECB president, will probably
not say he will do "whatever it takes" to get inflation back to target. It will be more a matter of: we will do it;
this is what we will spend; and when this is over, we will decide again. Optimists say the number does not
matter. Once you start, the floodgates open, and you will not be able to close them until you have reached
your inflation target. The initial size of the programme is thus irrelevant. I fear the floodgate theory is wrong
because it misjudges the policy dynamics. If the programme does not succeed, it may be judged to have
failed.In that case, it may be abandoned rather than renewed. My plea would therefore be to start with a big
programme now. Size matters. The other important issue under discussion is about what happens if a country
defaults. Who will have to pay for the losses? The issue is hideously complex. What I expect to happen this
week is an agreement that will leave the risk of asset purchases in the hands of the governments that have
issued the bonds. In other words, the risk will not be shared. That would constitute a huge concession to the
opponents of QE, especially Germany. In response, the German government would tacitly accept such a
watered-down programme, or at least refrain from a ballistic response. Berlin would almost certainly sue the
ECB if that were not the case. What the German government cares about is not having to pay up if another
member state defaults. Keeping the risk on the books of each government would solve the German problem.
But in doing so, the ECB might create a potentially bigger one. If Germany wanted to protect itself against,
say, an Italian default, would rational investors not try to do the same? Would they thereby offset the gains
from a QE programme? Moreover, would the Italian bonds they own be treated in the same way as the bonds
the Bank of Italy buys in a QE programme? In the jargon of markets, do they risk becoming "junior" creditors?
And finally, would this not lead to more financial fragmentation when the euro-zone desperately needs to do
the very opposite and create a single financial market? If you want to understand what risk separation really
means, you have to go through the various scenarios under which a country could default - inside or outside
the eurozone, unilaterally or agreed, total or partial default, and several combinations of those. Enjoy! Let us
take the example of a hypothetical Italian default inside the eurozone. What would happen? The Bank of Italy
would take a loss on the bonds it has purchased. Its capital would presumably become negative. But this is a
central bank after all, not an ordinary company. It might just go with negative capital. It might claim some of
the ECB's future profits as part of its own capital. It is, after all, a shareholder in the ECB.It might use some of
its gold reserves to prop up its capital. What will happen will therefore depend on the size of the default, the
size of the shareholding in the ECB and the size of any reserves. It gets even more complicated when a
country decides to default and leave the eurozone at the same time. I will withhold judgment on a QE
programme until I see the details. I would opt for a large programme with risk sharing, and accept German
litigation. After last week's ECB-friendly opinion by the European Court of Justice's advocate general on
another case, I would consider such legal action factually irrelevant. And the risk of a German revolt, let alone
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Why the ECB should not water down a QE programme
19/01/2015
Financial Times
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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eurozone exit, as much smaller than the risk of a potentially dysfunctional QE programme. If the ECB, as I
expect, opts to keep the risk on national balance sheets, then the overall impact of the programme will not be
known until we have all the details and the legal small print. The effort may still be worthwhile. But a bazooka
it is not. [email protected]
19/01/2015
Financial Times
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ECONOMIC OUTLOOK
This week's highlight will undoubtedly be the meeting of the European Central Bank on Thursday. Although
the consensus is for interest rates to remain unchanged there are expectations that the bank will extend its
programme of asset purchases to include sovereign as well as corporate bonds. Mario Draghi, the ECB
president, is said to be looking towards quantitative easing to stave off any further deflation which could push
the eurozone into a cycle of falling demand and increasing debt burdens. A ruling by the European Court of
Justice last week means the path is now clear for the ECB to join other leading central banks in conducting
monetary stimulus. Tomorrow is a big day for Chinese data with gross domestic product for the fourth quarter
of 2014 released as well as fixed asset investment, retail sales and industrial production. GDP is expected to
have grown by 7.2 per cent in the fourth quarter of 2014, down from 7.3 per cent in the previous quarter as
the Chinese economy slows and efforts to stimulate the economy operate with a lag. Other data releases are
expected to remain roughly stable. On Wednesday, the Bank of Japan issues its policy statement. The
consensus is that it is unlikely to ease policy further despite the fact that it is expected to announce its outlook
for inflation will be downgraded further. Labour market figures for the UK will be released the same day and
are expected to be generally positive with both wage growth and job growth expected to pick up speed.
Forecast for 1.7 per cent in the three months to November, wage growth ought to have comfortably
outstripped the inflation rate of 1 per cent in the same month. Minutes of the latest meeting of the Bank of
England's Monetary Policy Committee will also be released on Wednesday. Given that wage growth is picking
up while inflation is falling it is unclear whether either the two hawks on the committee or any of the other
members would be most likely to change their mind at the January meeting. The consensus is that the split
will remain seven to two in favour of keeping rates unchanged. Purchasing managers' indices will be released
for the eurozone on Thursday and China on Friday. Eurozone PMIs improved in December and are expected
to indicate growth again in the flash January survey. The consensus is that the manufacturing survey will
come in at 50.8 and services at 52. Above 50 indicates expansion. Gavin Jackson
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ECB's asset purchase plan provides focus
19/01/2015
International New York Times
Pag. 20
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International New York Times
Switzerland's decision to no longer hold down the value of its currency could spur further consolidation in
Poland's banking sector. Making loans in Swiss francs was fairly common in Central Europe. Austria's
Raiffeisen Bank International, for example, has issued 2.9 billion euros, or $3.4 billion, of loans denominated
in Swiss francs in the biggest market in Central Europe through its Polbank subsidiary. Losses from the sharp
appreciation of the Swiss franc against the local currency, which affects Poland more than other countries in
emerging Europe, could take a toll.Raiffeisen should retrench, and possibly contemplate selling the Polish
subsidiary. While it and other banks dodged a bullet in Hungary, where the government already forced banks
to convert Swiss franc mortgages into the Hungarian currency, the forint, further pain in Russia and Ukraine
could inflate Raiffeisen's worst-case estimate of a ¤500 million loss for 2014. At the same time, recent bank
stress tests by the European Banking Authority showed that if economic conditions worsened significantly,
Raifeisen's capital ratio under Basel III rules would fall to 3.9 percent. Raiffeisen's chief executive, Karl
Sevelda, has already said that the bank might get out of one or more foreign markets.Analysts at Barclays
estimate that there are ¤31.5 billion in mortgage loans denominated in Swiss francs in Poland - 8 percent of
gross domestic product. The jump in the Swiss franc's value in Polish zlotys - from 3.6 zlotys to 4.2 zlotys will make it difficult for many borrowers to make their loan payments. Yet a senior executive at PKO Bank
Polski, the largest Polish lender, told Reuters that the Swiss franc would need to settle above 5 zlotys to
cause real shock waves. All six Polish lenders included in the banking authority's stress test passed
comfortably.Raiffeisen acquired Polbank in 2012, and under the terms of that sale the Austrian bank is
required to sell 15 percent of Polbank on the public markets by 2016. But if it decided to instead sell the whole
unit, it could find a number of takers. Polbank could be attractive to Italy's UniCredit, Spain's Santander or
France's BNP Paribas. All three tried to buy BGZ, Poland's 11th-largest bank, from the Dutch lender
Rabobank. BNP finally prevailed last year, but is still only the seventh-largest lender by assets in
Poland.Snapping up Raiffeisen's Polish assets would catapult BNP into the top five. If UniCredit bought
Polbank, its balance sheet would blow up to the size of PKO's. Raiffeisen's Polish pain could be another
bank's gain. DOMINIC ELLIOTT
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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A win-win suggestion for Raiffeisen
19/01/2015
The Guardian
Pag. 7
On the Davos agenda
Snow on the roofs of the ski chalets at the upmarket ski resort may be one of the defining images of Davos,
but it will be the warming of the planet that is at the top of the issues under discussion at the World Economic
Forum.In the kind of speaking double act beloved of the event's organisers, Al Gore, far right, the former US
vice-president, who has described climate change as "the biggest challenge our civilisation faces", will
discuss the subject alongside Pharrell Williams, main picture. The pop star who reached No 1 with Happy is
appearing as creative director of Bionic Yarn that turns fibres from recycled plastic into durable textiles.The
energetic Gore is also participating in other events looking at how business should respond to climate
change, alongside Lord Stern, president of the British Academy, and speakers from the insurance company
Axa.• Elsewhere, conflict is the numberone issue for the political and business elite this year. The rise of
Islamic State has awoken fears over failures of national governance and the collapse of nation states. Several
Middle Eastern leaders are in attendance, including Egypt's president Abdel Fatah al-Sisi; King Abdullah of
Jordan; Haidar al-Abadi, the prime minister of Iraq; and Massoud Barzani, the president of the autonomous
Kurdistan region.Petro Poroshenko, the president of Ukraine, will be looking for backing as his country risks
defaulting on its debts. He should get support from George Soros, below centre, the billionaire investor and
philanthropist, who is pushing European governments to offer Kiev more help. He will be lobbying the likes of
Germany's Angela Merkel, left, France's François Hollande and Italy's Matteo Renzi.The terror attacks in
France this month will also be debated and the former prime minister Tony Blair, bottom left, will take part in a
session on Wednesday examining whether religion is a pretext for conflict.• Panellists discussing the Ebola
outbreak include Kofi Annan, former secretary general of the United Nations, as well as Margaret Chan,
director general of the World Health Organisation.rganisation.Alpha Condé, , the president presiwho of
Guinea, who has faced accusations ns of being initially slow to respond spond to Ebola, is also speaking.g.
The New York Times quoted him recently as saying: "While shaving, I think of Ebola; while eating, I thinkink
of Ebola; while sleeping, I think of Ebola."• Central banks will be a major topic of conversation in the meeting
rooms, coffee shops and bars of f Davos as monetary y policy in Europe and thee US continues to diverge
and inflation falls acrosss the global economy.The shock abolition of f Switzerland's currency gap last week
has left many any financial firms nursing losses and reminded us all that 2015 could be a turbulent year in the
markets. Thomas Jordan, the Swiss central bank chief who sparked the turmoil, can expect a lively reception.
At least seven other central bank chiefs are attending, including the Bank of England governor, Mark
Carney.However, the European Central Bank president Mario Draghi is not attending this year. He will be
stuck in Frankfurt handling the ECB's meeting on Thursday, where a big quantitative easing (QE) programme
could be announced.At a debate on the prospect of higher interest rates in the US, delegates from emerging
markets will be pushing American officials to handle the ending of the QE programme responsibly after
seeing "hot money" pour into their economies. They do not want a repeat of the cur currency crisis that struck
Argentina during last year's meeting.• Meanwhile, theth tumble in the oil price to fivedifferent five-year lows
means different t things to different ent Dav Davos attendees. It is a bitterb blow to export exporters, raises
political cal ri risk in the Middle East and hits growth in em emerging markets.OnceOn he arrives in Swit
Switzerland, Abdalla Sale Salem El-Badri, Opec Opec's secretary general, eral, will face criticism cism from
producers over thet cartel's refusa refusal to cut supplies.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Gore teams up with Williams the Happy hitmaker
17/01/2015
The Independent
Pag. 31
Two young aid workers held hostage in Syria have been released, but suspicion is growing that the Italian
government broke international convention and paid the kidnappers a €12m ransom. MICHAEL DAY reports
from Rome
The Independent
Da pagina 2 After a harrowing six-month ordeal in Syria, where they were held as hostages by an al-Qaedalinked group, two young Italian aid workers arrived back in Rome in the early hours of yesterday. But even as
their plane landed, suspicion was growing that the Italian government had joined others breaking international
convention by paying a ransom of as much as €12m (£9m) to the kidnappers.Volunteers Greta Ramelli, 20,
and Vanessa Marzullo, 21, who were seized near Aleppo in July 2014, touched down at Rome's Ciampino
airport at 4am on Friday, after a threehour flight from Turkey. Their delighted parents expressed their relief
and joy, and Italy's Foreign Minister Paolo Gentiloni hailed their release. "Greta and Vanessa freed. The
result of Italy's intensive teamwork," he tweeted.But immediately rumours grew that the Italian government
had broken a G7 agreement by paying a huge ransom to Jabhat al-Nusra, an anti-Assad Islamist group, to
free them. Later in the day in a statement to the Italian parliament, Mr Gentiloni offered what many saw as an
unconvincing denial that a ransom had been paid. "We are against ransom payments," he said. "Italy has
adopted the position shared at an international level in line with preceding governments."Some commentators
and politicians noted that there was evidence that earlier Italian governments - and other Western countries had already bought the freedom of countrymen kidnapped by Islamic terror groups.Mr Gentiloni said he had
"read with surprise the unfounded rumours" on the nature of Italy's talks with the kidnappers, and said that the
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Italy pays the price of freedom
17/01/2015
The Times
Pag. 43
Tom Kington Rome
Two Italian aid workers freed by Islamist kidnappers in Syria flew back to a storm over ransom money
yesterday as the government stopped short of denying that it had paid $12 million (£8 million) for their
release.Vanessa Marzullo, 21, and Greta Ramelli, 20, landed in Rome after they were freed on the Turkish
border following six months in captivity.Addressing parliament, Paolo Gentiloni, the foreign minister, said
rumours that it had paid $12 million were "unfounded" and may have been started by the kidnappers
themselves. "As far as kidnappings are concerned, Italy sticks to rules followed internationally and by
previous governments - that's the Italian line," he said. However, Maria Edera Spadoni, an MP for the Five
Star Movement, said: "The question is: did you pay or not? You have given us no relevant information, which
is shocking."Giacomo Stucchi, the head of a parliamentary oversight committee for Italy's secret services, did
not rule out that an exchange was made, but suggested some form of aid might have been handed over
rather than cash.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Italy's hostages fly into £8m ransom row
17/01/2015
Le Figaro
Pag. 19
RICHARD HEUZÉ (À ROME)
Les fraudeurs du fisc italien qui ont placé leurs avoirs à Lugano (notre photo), en francs suisses, sont les
grands gagnants de la semaine. Non seulement ils ont empoché 20sur leur portefeuille en francs suisses, par
rapport à l'euro, mais Matteo Renzi leur offre une amnistie en or, comme les Italiens savent le faire, à
condition qu'ils déclarent leurs avoirs. Moyennant une amende de 3 à 4 % les Italiens pourront légaliser leurs
avoirs cachés, et même les laisser en Suisse s'ils le veulent. Une pénalité simple, non rétroactive, non
pénale, qui sera largement compensée par la hausse soudaine du franc suisse. Le fraudeur italien a tout à
gagner dans l'opération. Les avoirs transalpins cachés en Suisse sont évalués entre 120 et 180 milliards
d'euros. Compte tenu de l'envol du franc suisse, il devient même plus intéressant pour les Italiens de garder
leurs avoirs dans les banques de la Confédération que de les rapatrier en Italie ! C'est le grand espoir des
banques helvétiques du Tessin qui craignent la disparition annoncée du secret bancaire avec l'échange
automatique d'informations prévu en Suisse en 2018. Le programme « d'auto-dénonciation volontaire »
annoncé, dans l'urgence, par le gouvernement Renzi, dans la foulée de la signature d'un nouvel accord fiscal
italo-suisse, est plus avantageux que celui offert par les autorités fiscales françaises, qui ont refusé toute
forme d'amnistie aux fraudeurs français. La clémenceromaine-déjà expérimentée avec succès par
Berlusconi- devrait rapporter plusieurs milliards d'euros aux caisses de l'État. Le sujet est d'autant plus urgent
pour le gouvernement Renzi qu'il négocie avec Bruxelles le feu vert à son projet de budget 2015, qui affiche
encore un déficit supérieur à la norme européenne.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Une semaine en or pour les fraudeurs fiscaux italiens
17/01/2015
Le Figaro
Pag. 21
Le Figaro
La banque centrale d'Italie a nettement abaissé sa prévision de croissance 2015 à 0,4du PIB, contre 1,3 %
prévu en juillet. La Banca d'Italia dit s'attendre à une année entière de déflation.
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La Banque d'Italie abaisse sa prévision de croissance
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 1,19
Nicolas Baverez [email protected]
Le chômage est un cancer qui ronge l'économie et la société françaises depuis près de quatre décennies. Il
réduit la croissance potentielle, contribuant à expliquer la stagnation de l'activité et le déclassement de la
France, ravalée au 6e rang mondial. Il provoque la baisse du niveau de vie et la paupérisation des Français,
dont la richesse par habitant est inférieure de 6à la moyenne des pays développés. Il fournit le terreau de
l'islamisme qui endoctrine une jeunesse privée d'avenir.Le chômage français présente un caractère critique.
Tous les voyants sont au rouge. Loin de s'inverser, la courbe du chômage ne cesse d'accélérer avec 5,5
millions d'inscrits à Pôle emploi, dont 2,23 millions depuis plus d'un an. Dans le même temps, le taux d'emploi
reste très faible (64 %) et les destructions de postes de travail s'emballent, ramenant les emplois privés à
15,8 millions, soit leur niveau de 2004.Le chômage français constitue aussi une exception. La France est le
seul grand pays développé à n'avoir jamais rétabli le plein-emploi depuis les chocs pétroliers des années
1970. La France est également seule - avec l'Italie - à voir le chômage continuer à augmenter, pour frapper
11 % de la population active à la fin 2015.Le chômage n'est pourtant pas une fatalité. En témoigne le
rétablissement du plein-emploi aux États-Unis, qui ont créé 3 millions d'emplois en 2014, ce qui a permis de
ramener l'inemploi à 5,6 % des actifs, mais aussi en Allemagne et au Royaume-Uni où le taux de chômage a
chuté à 4,9 % et 5,9 %. La zone euro, pour sa part, a vu le chômage diminuer de 12,1 % à 11,5 % de la
population active en 2014. Même les pays les plus touchés par la crise ont connu, grâce aux réformes
entreprises, une amélioration sensible du marché du travail, à l'image de l'Espagne où le taux de chômage
est revenu de 26 % à 23 %.Le marché du travail français est structurellement malade. Sa crise n'est pas liée
à la mondialisation ou à l'Europe mais à sa rigidité, à sa segmentation et à ses surcoûts. Dès lors que l'Italie
va bénéficier des effets du Jobs Act lancé par Matteo Renzi, la France restera le seul pays développé dont le
marché du travail n'aura pas été réformé. Elle deviendra la variable d'ajustement de la reprise, cumulant
hausse du chômage, stagnation de l'activité, chute de la compétitivité, envolée de la dette publique.La
mobilisation des citoyens et l'esprit de responsabilité des dirigeants doivent être mis au service du retour au
pleinemploi autour de cinq principes. Ce sont les entreprises qui créent l'emploi durable. Il est donc vital
d'interrompre leur euthanasie avec le niveau record des faillites (63 000) qui résultent de l'effondrement de
leurs marges. Le CICE est insuffisant, qui ne transfère que 11 milliards vers les entreprises et ne compense
pas les 35 milliards de prélèvements mis à leur charge depuis 2010. La baisse des impôts et des charges sur
le travail doit être intégralement financée par la baisse des dépenses publiques. Celle-ci passe par la
diminution du nombre des agents publics, qui a augmenté de 92 500 en 2013 alors que chacun d'eux
représente pour les finances publiques un engagement moyen de 2,5 millions d'euros.Le marché du travail
français est désormais le plus rigide du monde développé en termes de coûts et d'ajustements des effectifs.
La durée du travail doit être relevée à 39 heures pour annihiler l'effet destructeur sur la compétitivité des 35
heures qui ont augmenté le coût du travail de 17,1 % et durci le chômage structurel. L'hyper-protection des
uns ayant pour contrepartie la précarité des autres, il est vital d'assouplir les conditions d'embauche et de
licenciement des CDI tout en confortant les droits à la formation des CDD et des intérimaires. Les emplois
publics doivent être régis par des contrats de travail de droit commun à la seule exception des fonctions
régaliennes (police, justice, diplomatie, défense).Tout vaut mieux que le chômage. La modération salariale
est justifiée. Les CDD, l'intérim, les stages, l'apprentissage jouent un rôle clé dans l'insertion sur le marché du
travail. Leur régime doit être simplifié et leur durée allongée. Simultanément, l'assurance-chômage doit être
réformée et les allocations devenir dégressives tant pour inciter au retour à l'emploi que pour limiter le déficit
qui atteint 19 milliards d'euros.Dans l'économie de la connaissance, le capital humain est le nerf de la guerre
économique. Il est insupportable d'investir 6,1 % du PIB dans un système éducatif qui rejette chaque année
un jeune sur cinq sans qu'il sache lire, écrire et compter. L'exil massif des talents et des cerveaux provoqué
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La chronique de Nicolas Baverez
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 1,19
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par une fiscalité confiscatoire, par une réglementation malthusienne, par la condamnation du risque et de la
réussite, est suicidaire. Ce sont les entrepreneurs, et non pas les aides ou les emplois publics, qui constituent
le véritable antidote au chômage et le levier du retour au plein-emploi.
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 18
Nicolas Baverez [email protected]
Da pagina 1 Le chômage est un cancer qui ronge l'économie et la société françaises depuis près de quatre
décennies. Il réduit la croissance potentielle, contribuant à expliquer la stagnation de l'activité et le
déclassement de la France, ravalée au 6e rang mondial. Il provoque la baisse du niveau de vie et la
paupérisation des Français, dont la richesse par habitant est inférieure de 6à la moyenne des pays
développés. Il fournit le terreau de l'islamisme qui endoctrine une jeunesse privée d'avenir.Le chômage
français présente un caractère critique. Tous les voyants sont au rouge. Loin de s'inverser, la courbe du
chômage ne cesse d'accélérer avec 5,5 millions d'inscrits à Pôle emploi, dont 2,23 millions depuis plus d'un
an. Dans le même temps, le taux d'emploi reste très faible (64 %) et les destructions de postes de travail
s'emballent, ramenant les emplois privés à 15,8 millions, soit leur niveau de 2004.Le chômage français
constitue aussi une exception. La France est le seul grand pays développé à n'avoir jamais rétabli le pleinemploi depuis les chocs pétroliers des années 1970. La France est également seule - avec l'Italie - à voir le
chômage continuer à augmenter, pour frapper 11 % de la population active à la fin 2015.Le chômage n'est
pourtant pas une fatalité. En témoigne le rétablissement du plein-emploi aux États-Unis, qui ont créé 3
millions d'emplois en 2014, ce qui a permis de ramener l'inemploi à 5,6 % des actifs, mais aussi en
Allemagne et au Royaume-Uni où le taux de chômage a chuté à 4,9 % et 5,9 %. La zone euro, pour sa part,
a vu le chômage diminuer de 12,1 % à 11,5 % de la population active en 2014. Même les pays les plus
touchés par la crise ont connu, grâce aux réformes entreprises, une amélioration sensible du marché du
travail, à l'image de l'Espagne où le taux de chômage est revenu de 26 % à 23 %.Le marché du travail
français est structurellement malade. Sa crise n'est pas liée à la mondialisation ou à l'Europe mais à sa
rigidité, à sa segmentation et à ses surcoûts. Dès lors que l'Italie va bénéficier des effets du Jobs Act lancé
par Matteo Renzi, la France restera le seul pays développé dont le marché du travail n'aura pas été réformé.
Elle deviendra la variable d'ajustement de la reprise, cumulant hausse du chômage, stagnation de l'activité,
chute de la compétitivité, envolée de la dette publique.La mobilisation des citoyens et l'esprit de
responsabilité des dirigeants doivent être mis au service du retour au pleinemploi autour de cinq principes.
Ce sont les entreprises qui créent l'emploi durable. Il est donc vital d'interrompre leur euthanasie avec le
niveau record des faillites (63 000) qui résultent de l'effondrement de leurs marges. Le CICE est insuffisant,
qui ne transfère que 11 milliards vers les entreprises et ne compense pas les 35 milliards de prélèvements
mis à leur charge depuis 2010. La baisse des impôts et des charges sur le travail doit être intégralement
financée par la baisse des dépenses publiques. Celle-ci passe par la diminution du nombre des agents
publics, qui a augmenté de 92 500 en 2013 alors que chacun d'eux représente pour les finances publiques
un engagement moyen de 2,5 millions d'euros.Le marché du travail français est désormais le plus rigide du
monde développé en termes de coûts et d'ajustements des effectifs. La durée du travail doit être relevée à 39
heures pour annihiler l'effet destructeur sur la compétitivité des 35 heures qui ont augmenté le coût du travail
de 17,1 % et durci le chômage structurel. L'hyper-protection des uns ayant pour contrepartie la précarité des
autres, il est vital d'assouplir les conditions d'embauche et de licenciement des CDI tout en confortant les
droits à la formation des CDD et des intérimaires. Les emplois publics doivent être régis par des contrats de
travail de droit commun à la seule exception des fonctions régaliennes (police, justice, diplomatie,
défense).Tout vaut mieux que le chômage. La modération salariale est justifiée. Les CDD, l'intérim, les
stages, l'apprentissage jouent un rôle clé dans l'insertion sur le marché du travail. Leur régime doit être
simplifié et leur durée allongée. Simultanément, l'assurance-chômage doit être réformée et les allocations
devenir dégressives tant pour inciter au retour à l'emploi que pour limiter le déficit qui atteint 19 milliards
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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LA MOLLESSE DEMOCRATIQUE MEILLEURE ALLIEE DU TERRORISME
ISLAMISTE
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 18
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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d'euros.Dans l'économie de la connaissance, le capital humain est le nerf de la guerre économique. Il est
insupportable d'investir 6,1 % du PIB dans un système éducatif qui rejette chaque année un jeune sur cinq
sans qu'il sache lire, écrire et compter. L'exil massif des talents et des cerveaux provoqué par une fiscalité
confiscatoire, par une réglementation malthusienne, par la condamnation du risque et de la réussite, est
suicidaire. Ce sont les entrepreneurs, et non pas les aides ou les emplois publics, qui constituent le véritable
antidote au chômage et le levier du retour au plein-emploi.
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 1,22
La Banque centrale européenne se prépare à une opération d'envergure pour éviter la déflation en zone
euro. Des annonces sont attendues ce jeudi à Francfort. Les marchés sont aux aguets.
ALEXANDRINE BOUILHET @abouilhet
Da pagina 1 Jamais l'attente n'aura été aussi forte. La réunion de la BCE, jeudi à Francfort, s'annonce
comme l'une des plus importantes du mandat de Mario Draghi, qui préside l'institution monétaire depuis
novembre 2011. À tel point que le patron de la BCE aurait présenté ses plans à Angela Merkel, la semaine
dernière à Berlin, selon le Spiegel. Ce que la BCE va exactement décider, pour l'heure, nul ne le sait. Mais
personne ne doute qu'une opération d'envergure, déjà baptisée «bazooka» sur les marchés, se prépare.
«C'est intégré par les marchés, souligne Ignazio Visco, président de la Banque d'Italie. Il ne reste plus qu'à le
faire.»Les investisseurs s'attendent à ce que la BCE les inonde de liquiditésentre 500 et 1000 milliards
d'euros - en effectuant des achats massifs de dettes d'État. Objectif : créer un choc de confiance, qui relance
le crédit, l'inflation et la croissance anémique de la zone euro. Cette technique est utilisée pour réveiller les
marchés quand les taux d'intérêt sont déjà à zéro et que l'activité ne repart pas. Autrefois, on appelait cela la
«planche à billets ». Aujourd'hui, on parle d'«assouplissement quantitatif », en anglais «quantative easing» ou
«QE». Largement utilisée par la Fed, la banque centrale américaine, la Banque d'Angleterre et la Banque du
Japon depuis les années 2000, cet instrument n'a encore jamais été expérimenté en zone euro. Il reste tabou
pour deux raisons : les réticences historiques de l'Allemagne à utiliser la « planche à billets », vue à Berlin
comme une machine à créer de l'inflation et des bulles financières ; l'interdiction, inscrite dans le traité de
Maastricht, du «financement monétaire des États» .En achetant des dettes d'État - il y en a 7 000 milliards
d'euros en circulation en zone euro -, la BCE fera encore baisser les taux d'intérêt à long terme, ce qui
profitera aux gouvernements en déficit mais aussi indirectement aux banques et aux entreprises qui se
refinanceront moins cher. Les investisseurs seront incités à se reporter sur des actifs plus risqués et sur
l'économie réelle : actions, obligation d'entreprises, produits immobiliers. Les banques profiteront de liquidités
nouvelles pour distribuer du crédit, plus abondant et moins cher. Enfin, l'euro continuera à baisser, car l'offre
de monnaie augmentera.Frapper un « grand coup »La BCE, dont le mandat principal est la stabilité des prix,
est obligée d'agir. Les prix ont reculé de 0,2 % en décembre dans la zone euro, du jamaisvu depuis la crise
de 2009. On est très loin de l'objectif de 2 % d'inflation fixé par le mandat de la BCE. La crédibilité de la
Banque centrale européenne est en jeu, mais aussi sa responsabilité. Si elle ne fait rien, elle risque de
réveiller les foudres des marchés. « Sans croissance et sans inflation, les États surendettés de la zone euro
sont une cible facile », met en garde Gilles Moec, économiste chez Bank of America-Merrill Lynch.La
déflation, définie comme la baisse continue des prix, soutient le pouvoir d'achat à court terme. Mais à moyen
terme, elle peut l'anéantir. C'est ce qui se produit au Japon depuis vingt ans. Les ménages reportent leurs
achats en espérant des prix futurs plus bas, ce qui oblige les entreprises à réduire leur production, puis les
salaires, voire à licencier. C'est un cercle vicieux. Une fois installée, la déflation est difficile à combattre. La
BCE veut à tout prix éviter que la zone euro tombe dans ce piège.Pour faire remonter les prix, «les moyens
ne sont pas illimités » , a prévenu Mario Draghi. Après les taux zéro et les taux négatifs, la seule arme qui lui
reste, c'est le fameux QE. Mais elle n'est pas sans risques. La BCE redoute en particulier que son action
incite les États en déficit à ralentir leurs réformes. Pour autant, le risque du statu quo, avec l'installation d'une
déflation durable, serait plus grand encore. En ce début 2015, la BCE n'a d'autre choix que de frapper un
«grand coup», pour créer un électrochoc qui fasse sortir la zone euro de sa dangereuse torpeur.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La planète finance suspendue au «bazooka» de Draghi
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 22
PROPOS RECUEILLIS PAR A. B.
La croissance américaine dépasse les 3par an, contre 1 % à peine en zone euro. Et la Fed y a beaucoup
contribué CATHERINE MANN MARCO ILLUMINATI/FLICKRDa pagina 21 Entretien avec Catherine Mann,
économiste en chef de l'OCDE. LE FIGARO. - Si la BCE annonce des rachats de dettes de 500 milliards
d'euros, est-ce suffisant ? Catherine MANN. - Il serait préférable de ne pas mettre de plafond. Pour être
efficace, un QE doit être illimité, comme aux États-Unis. Si la BCE fixe une limite, les marchés qui veulent
toujours plus vont vouloir tester cette limite. Donner un chiffre, cela réduirait la portée de la fameuse phrase
de Mario Draghi qui, en juillet 2012, avait promis que la BCE était prête à tout pour sauver l'euro. Par quels
canaux le QE de la Fed a-t-il aidé l'économie américaine ? Aux États-Unis, la Fed a augmenté son bilan de 3
500 milliards de dollars en cinq ans. Cela a fait monter les marchés actions et réduit les remboursements des
emprunts immobiliers, ce qui a fait augmenter la richesse des ménages et leur consommation. Évidemment,
cela touche surtout les plus aisés. Il y a eu des critiques sur la façon dont le QE a été mené. Il aurait pu être
plus équitable. Mais, au final, cela a marché : la croissance américaine dépasse les 3 % par an, contre 1 % à
peine en zone euro. Et la Fed y a beaucoup contribué. Comment cela peut-il aider l'économie réelle de la
zone euro ? L'effet de richesse sera moindre en Europe qu'aux États-Unis. Les gens ont moins d'actions.
L'allégement des emprunts immobiliers jouera, mais surtout dans les pays du Sud et de la périphérie. La BCE
mise plutôt sur l'effet crédit. Les taux auxquels les banques se refinancent sur les marchés vont baisser, ce
qui devrait favoriser le crédit surtout dans le Sud, où les taux de prêts aux PME restent très élevés. Le QE va
donc surtout aider les pays du Sud ? L'Italie, l'Espagne, le Portugal, l'Irlande seront certainement avantagés.
Car ces pays ont fait des réformes. Les études démontrent que le QE est plus efficace dans les pays les plus
flexibles, notamment les pays anglosaxons. C'est pour cela qu'au Japon, où l'économie est rigide, le QE a eu
des résultats moins décisifs. Cela étant, si la BCE sort l'artillerie lourde, cela va créer un choc de confiance
dans toute la zone euro. Et la confiance, c'est justement ce qui manque dans le coeur de la zone euro. Le
principal intérêt pour la BCE, n'est-ce pas la baisse de l'euro ? Je ne le crois pas. La baisse de l'euro va aider
les grandes entreprises exportatrices, pas les PME. L'Allemagne sera avantagée. Les petites entreprises qui
composent l'essentiel du tissu économique européen ne seront pas favorisées. Face au dollar, l'euro a certes
perdu 20 % de sa valeur, mais vis-àvis des autres monnaies, sa dépréciation est inférieure à 8 %. Dans le
contexte actuel, la baisse de l'euro va surtout permettre à la BCE de faire remonter l'inflation proche de 2 %,
son objectif principal. La France sera-t-elle la grande perdante de l'opération ? Tous les pays seraient
gagnants, certains plus que d'autres. Pour que le QE marche, il faut un ensemble de choses : une politique
budgétaire plus favorable à la croissance et des réformes. Sur ce dernier point, la France manque encore
d'ambition. Sur les réformes, la politique des petits pas ne marche pas, il faut frapper un grand coup, sinon on
offre trop d'occasions aux opposants de bloquer le processus. Que diriez-vous à un banquier central
allemand pour le convaincre de voter le QE ? Je lui dirais que la taille du bilan d'une banque centrale ne pose
aucun problème. Toutes les études économiques le prouvent : cela n'augmente pas l'inflation. Il n'y a pas de
danger de ce côté. Ensuite, je lui dirais que c'est indispensable pour améliorer le crédit bancaire. Enfin, je lui
dirais que l'Allemagne est plus performante quand l'Europe se porte bien. Et surtout que le reste du monde
se porte mieux quand l'Europe va mieux. Ce qui est très bon pour les exportations allemandes.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Pour être efficace, l'action de la BCE doit être illimitée
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 23
NICOLAS BAROTTE @NicolasBarotte À BERLIN
Les instituts de crédit dans le sud de l'Europe ne sont pas en manque de liquidités SABINE
LAUTENSCHLÄGER, MEMBRE DU DIRECTOIRE DE LA BCEPersonne ne touche impunément à l'euro. En
Allemagne, la politique monétaire est sacrée et la stabilité des prix, un dogme. Alors c'est avec prudence et
réticence qu'on a accueilli la proposition d'assouplissement budgétaire (QE) évoquée et, semble-t-il, bientôt
décidée par le président de la Banque centrale européenne, Mario Draghi. Vu d'Allemagne, le QE pourrait
être un remède pire que le mal.À la tête de cette opposition, la Bundesbank a résisté autant qu'elle a pu au
projet. Pour son président, Jens Weidmann, c'est d'abord le respect du mandat de la BCE qui est en jeu et,
en conséquence, sa crédibilité. En rachetant des dettes d'État, la BCE flirte avec ses attributions qui ne sont
pas d'épauler les États de la zone euro dans leurs politiques économiques mais de garantir la stabilité des
prix. Pour la banque centrale allemande, l'objectif d'une inflation de 2doit être respecté « à moyen terme » . «
Parfois, il y a des phases où le taux d'inflation est au-dessus de 2 % et des phases où il est clairement en
dessous », explique-t-on au sein de la Buba.Actuellement, le taux d'inflation à un niveau historiquement bas
ferait craindre un risque de déflation. C'est l'autre désaccord de fond entre la BCE et la Bundesbank. Jens
Weidmann n'a jamais cru au risque de spirale déflationniste dans la zone euro. « Le risque est faible »,
considère l'institution monétaire. Il n'y aurait aucune urgence à décider d'un assouplissement monétaire. Par
ailleurs, les Allemands sont culturellement opposés à tout ce qui pourrait s'apparenter à une relance par
l'inflation. Marquée par son histoire, la faillite de la République de Weimar sous les effets de la crise au début
des années 1930, et par sa démographie vieillissante, l'Allemagne se méfie de l'inflation, synonyme
d'instabilité politique et de moins-values pour les épargnants et les retraités.Pas de manque de liquiditésLa
Buba n'est pas la seule à douter des vertus du QE. Une raison plus profonde explique l'opposition allemande
: en donnant de l'air aux économies européennes, l'assouplissement monétaire risque de faire retomber la
pression sur les gouvernements, qui pourraient renoncer aux nécessaires réformes de structure. Pire, la «
planche à billets » ne changerait rien à la situation des États européens :instituts de crédit dans le sud de
l'Europe ne sont pas en manque de liquidités » , a assuré dans une interview au Spiegel Sabine
Lautenschläger, membre du directoire de la BCE. Le fait de racheter des dettes d'État « ne changera rien »
aux doutes que les banques continuent d'entretenir et qui les empêcheraient d'accorder des crédits, expliquet-elle.Pour parvenir à un compromis avec les autres membres de son directoire, et notamment la
Bundesbank, Mario Draghi a accepté quelques conditions au rachat des dettes d'État. Pour Berlin et l'opinion
allemande, il n'est pas envisageable de mutualiser les dettes, même de manière déguisée. Au sein du
gouvernement allemand, on ne commente pas les décisions de la BCE au nom du respect « de son
indépendance ». Mais on suit avec vigilance ses décisions.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Vu d'Allemagne, le remède monétaire pourrait être pire que le mal
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 22
JEAN-PIERRE ROBIN [email protected]
Voilà un vieux rêve français qui est en train de se réaliser : avoir une monnaie la plus basse possible visà-vis
du dollar tout en faisant jeu égal avec l'Allemagne. Tel sera l'effet majeur de l'assouplissement quantitatif pour
notre économie : la chute de l'euro, déjà bien engagée. En neuf mois, il est passé de 1,40 dollar à aujourd'hui
1,16 dollar, et on pourrait atteindre la parité au printemps 2016, selon les banques américaines Goldman
Sachs et Citi. À l'évidence, le « quantitativeeasing » (QE) est à l'origine de ce bradage de la monnaie, et il est
désormais inéluctable tant Mario Draghi y a préparé les esprits avec un machiavélisme consommé : toute
reculade provoquerait un séisme financier jeudi.Dans la mesure où la France exporte plus de 45de ses
produits hors de la zone euro, le gain de compétitivité n'est donc pas mince, même si le repli de la monnaie
européenne est moins marqué vis-à-vis des devises autres que le dollar ou le franc suisse.Pourtant hormis
cet effet que François Hollande et ses ministres espèrent sans vergogne - dans quel autre pays souhaite-on
aussi effrontément la faiblesse de sa devise ? -, la France n'a pas grand-chose d'autre à attendre du QE. Les
économistes privés en sont unanimes.Certes l'inflation française, tombée pratiquement à zéro, est trop
basse. Un peu moins toutefois que chez la plupart de nos voisins : les prix ont reculé de 1,1 % en Espagne
en 2014 ! Or l'objectif principal de la BCE, et la justification du QE pour une opération aussi risquée, est de
relancer l'inflation à travers une remontée des prix à l'importation. Ce mécanisme devrait également jouer
chez nous, avec cette nuance : le dirigisme à la Française a sa manière à lui de soutenir les prix, comme en
témoignent les annonces en rafale des hausses de tarifs publics de janvier 2015.Quant au second objectif
revendiqué par la BCE, il vise à faciliter le financement des entreprises, voire des États. Or notre pays est
peu concerné. Les taux de financement de la dette publique sont déjà tombés à un niveau insensé (0,7 % sur
les OAT à 10 ans). Et par ailleurs, il n'y a jamais eu chez nous de « creditcrunch » (effondrement de l'offre),
contrairement à l'Espagne, l'Italie ou au Portugal. Si le crédit n'est pas plus abondant dans l'Hexagone, c'est
que ménages et entreprises ne sont pas assez solvables pour s'endetter ou qu'ils n'ont pas envie. Le QE ne
changera rien.En outre, il n'est pas sûr que l'opération soit très avantageuse pour les épargnants, sauf pour
ceux qui acceptent de s'engager dans la bulle boursière qui fait déjà frétiller. Les autres pourront se consoler
avec leur livret A maintenu au taux de 1 % totalement déconnecté de toute réalité autre que la démagogie
gouvernementale. Et, « last but not least », on pourrait assister au printemps à ce spectacle croquignolesque
: la Commission européenne stigmatisant la dette publique française excessive, alors que la BCE achètera
des dizaines de milliards d'euros d'OAT sur les marchés.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La France a son euro faible !
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 27
Goethe, Luther et l'occupation de la Ruhr de 1923 en sont l'explication.
Jean-Pierre Robin
Ironie de l'Histoire, les Allemands risquent d'être victimes, non pas de l'inflation, leur obsession, mais de la
déflation qui menace les EuropéensÉvoquer aujourd'hui les craintes d'inflation en Europe peut sembler aussi
farfelu que d'imaginer la sécheresse sous les chutes du Niagara. Et pourtant les réticences vis-à-vis d'un
nouvel et spectaculaire assouplissement de la politique monétaire de la Banque centrale européenne
demeurent bel et bien outre-Rhin. Car on ne saurait sous-estimer l'enracinement dans l'imaginaire collectif
allemand de la phobie de l'inflation, liée à la création débridée de monnaie.Son omniprésence est absolue
dans les mentalités. Cela obéit tout d'abord à des considérations historiques, l'hyperinflation des années
1920. Mieux, Johann Wolfgang von Goethe lui-même, ce qui nous renvoie au tout début du XIXe siècle, a
mis en garde ses compatriotes contre la planche à billets que Mario Draghi, le patron de la BCE, s'apprête à
utiliser à plein régime. Et plus fondamental encore, Martin Luther, le père de la Réforme religieuse (1526) et
de l'allemand moderne, entre en ligne de compte : le mot Schuld signifie à la fois « faute » et « dette ».Les
Français connaissent tous la tragédie de l'hyperinflation dont l'Allemagne a fait la cruelle expérience dans
l'entre-deux-guerres. Il fallait alors des brouettes pour faire ses courses et transporter les billets de banques
nécessaires quand 2 500 milliards de marks valaient à peine un dollar (le billet vert américain s'échangeait à
4,2 marks en 1914). On en conclut souvent un peu vite que ce traumatisme est à l'origine du nationalsocialisme.C'est oublier que Hitler était totalement inconnu au printemps 1923, au plus haut de
l'hyperinflation. Cette dernière, notons-le, a coïncidé avec l'occupation de la Ruhr par l'armée française d'un
Raymond Poincaré soucieux d'obtenir les réparations financières promises par le traité de Versailles de 1919.
Il en est résulté alors une « grève de la production » des Allemands, dans un pays déjà affaibli par les
turbulences politiques et économiques de la République de Weimar.« Ce n'est pas l'hyperinflation de
Weimar, qui s'est achevée en 1923, c'est le terrible chômage généré par la grande récession de 1929-1932
qui a réellement mis Hitler au pouvoir, alors que le chômage avait bondi de 8à 30 %. En 1928, les nazis
avaient seulement remporté 3 % des voix au Reichstag », rappelle George Soros dans son dernier livre ( La
Tragédie de l'Union européenne). L'hyperinflation des années 1920 avait seulement préparé le terrain en
ruinant la classe moyenne intellectuelle, avocats, médecins, cadres d'entreprise, tous réduits à l'état de
lumpenprolétariat. Ces catégories, autrefois prestigieuses, ont fait le lit de l'hitlérisme, montre l'historien
Frederick Taylor dans un ouvrage récent, The Downfall of Money.Comme tous les peuples, les Allemands ont
une mémoire sélective : ils mettent toujours en avant l'hyperinflation de 1922-1923 et occultent la déflation de
la décennie suivante. La responsabilité en revientelle à Goethe, l'écrivain national, qui a parfaitement théorisé
les méfaits de la création monétaire dans la seconde partie de son Faust, publié (à titre posthume) en 1832 ?
Quiconque n'aurait jamais rien compris à ce qu'est la monnaie fiduciaire devrait lire la pièce de théâtre de
Goethe, qui expose mieux que n'importe quel manuel d'économie les méandres monétaires.Voici l'épisode de
Faust tel qu'aime à le raconter Jens Weidmann, l'actuel président de la Bundesbank : « Méphistophélès,
déguisé en bouffon, s'adresse en ces termes à l'Empereur, qui se débat dans des problèmes financiers aigus
: "Où la pénurie ne règne-t-elle dans ce monde ? Celui-ci reçoit cela, ce dernier reçoit ceci. Mais c'est l'argent
qui nous fait défaut." L'Empereur répond finalement aux tentatives habiles de Méphisto visant à le
convaincre. "Nous manquons d'argent, soit, qu'attends-tu donc pour nous le procurer ?" » Méphisto, c'est-àdire le diable, propose alors à l'Empereur d'imprimer des billets où sera écrit « ce papier vaut mille couronnes
» . L'histoire se termine très mal, car cette richesse ne repose sur rien.Un Allemand de 2015 a tout lieu de
remplacer, dans la pièce qui se joue en zone euro, Méphistophélès par Mario Draghi, le président de la BCE.
Cet ancien élève des jésuites de Rome n'invente rien de nouveau avec son quantitative easing, version
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
271
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Pourquoi les Allemands ont-ils la phobie de l'inflation et pas de la
déflation ?
19/01/2015
Le Figaro
Pag. 27
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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moderne de la planche à billets pour racheter la dette des États. De quoi choquer un connaisseur de Goethe,
mais également un lecteur des « 95 thèses contre les indulgences du pape » de Luther, et notamment la 7e :
« Dieu ne remet la faute à personne sans l'humilier. » Diantre ! Et si on applique la thèse à la sphère
économique, la dette étant une faute (Schuld), elle ne saurait s'effacer par un coup de crayon, par la création
de monnaie, qui est un simple jeu d'écritures.Voilà pourquoi les « indulgences » du pape Draghi, venu de
Rome pour régner à la BCE de Francfort, sont si mal perçues. Mais l'indulgence suprême est sans doute
l'instauration de « taux d'intérêt négatifs » que la BCE a cru bon de mettre en place à partir de juin 2014 sur
les dépôts que lui confient les banques. Lesquelles tentent aujourd'hui de faire de même vis-à-vis de leurs
clients ! Et là, l'épargnant allemand, qui est très investi en « produits de taux » comme disent les banquiers,
peut y voir une invention du diable. Soit dit en passant, la Fed américaine n'a jamais eu recours à des taux
d'intérêt négatifs aux États-Unis...Ironie de l'Histoire, pour la seconde fois en un siècle, les Allemands
risquent donc d'être victimes non pas de l'inflation, leur peur obsessionnelle, mais de la déflation qui menace
aujourd'hui les Européens, tout comme elle avait sévi dans les années 1930.
17/01/2015
Le Monde
Pag. 11
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Maryline Baumard
de visas françaisdélivrés en 2014C'est en Chine qu'on délivre le plus de visas français, avec 560 793 sur le
total de 2,8 millions attribués en 2014.La Chine détrône la RussieEn faisant un bond de 57 % en un an, la
Chine a surpassé la Russie, qui occupait la première place en 2013.Derrière la Chine arrive désormais en
deuxième place l'Algérie (332 490), puis viennent la Russie (307 839), le Maroc (213 711) et la Tunisie (102
076).Courts séjoursL'essentiel des visas français -fait partie de cette catégorie. Ils représentent 2,6 millions
du total des délivrances et sont en hausse de 16,4 % sur un an.Longs séjoursIls ont augmenté de 7,3 %
entre 2013 et 2014.Les routes de la Méditerranée n'ont jamais été aussi encombrées, ni aussi meurtrières
pour les centaines de milliers de migrants prêts à tout pour pénétrer la forteresse Europe. A deux reprises, fin
décembre 2014, des cargos aux cales remplies de passagers ont été abandonnés aux abords des côtes sud
de l'Italie. Un défi aux droits de l'homme, aux Etats et à l'Europe.C'est dans ce contexte qu'un Français
devient gardien des frontières européennes. Fabrice Leggeri s'installe pour cinq ans à la tête de Frontex,
l'agence chargée de la surveillance des limites extérieures de l'espace Schengen. Cet ancien directeur de la
lutte contre l'immigration clandestine au sein du ministère de l'intérieur, ex-fonctionnaire européen, connaît
son sujet.A la veille de sa prise de fonction, le 16 janvier, le nouveau venu souhaite parer au plus pressé,
certes, mais aussi donner une nouvelle orientation à cette agence qui fêtera ses dix ans au printemps. " Je
vise le long terme tout en gérant l'urgence ", résume-t-il. Et comme les derniers événements l'ont montré,
l'urgence se situe au sud et notamment aux abords des côtes -italiennes.Très sollicitée pour le sauvetage en
mer qui grevait son budget, l'Italie a demandé une aide à l'Europe à l'été 2014. S'estimant trop peu soutenu,
le pays de Matteo Renzi a décidé de suspendre son opération de sauvetage baptisée " Mare Nostrum " qui
avait permis de sauver 150 000 migrants en une année. Vu la précarité des embarcations, il était
inconcevable de ne plus avoir de programme spécifique sur cette zone. Frontex a donc substitué à " Mare
Nostrum " une opération baptisée " Triton ", mais au passage, un glissement s'est opéré, puisque " Triton " a
pour but premier de surveiller les entrées en Europe, quand " Mare Nostrum " avait vocation à sauver les
embarcations en péril. Cette évolution est lourde de conséquences, même si le code de la mer reste en
vigueur pour la mission de -Frontex.Son idée n'est pas de se substituer aux Etats mais d'" apporter une plusvalue européenne par rapport à la gestion nationale des frontières ". Le patron de Frontex a aussi comme
autre priorité d'améliorer " le travail opérationnel avec les pays de transit et les pays sources d'émigration,
afin que Frontex vienne en appui aux coopérations qui sont conclues par l'UE avec ces pays tiers au niveau
politique et diplomatique ", rappelle-t-il. Par ailleurs, même si tous les yeux restent rivés sur la Méditerranée,
M. Leggeri ambitionne de " trouver le bon équilibre entre la surveillance des -frontières maritimes, aériennes
et terrestres ".Derrière sa définition modeste de " bras opérationnel ", l'agence dispose en fait d'un large
pouvoir décisionnel et a vu son champ d'action s'élargir au fil des ans. Ainsi, depuis 2011, elle est même
autorisée à coopérer avec les -services de lutte contre les passeurs et à organiser des opérations de retour,
sortes de charters européens. Ce qui n'est pas du goût de tous." Frontex est une boîte noire ", regrette le
groupe Migreurop, composé de 33 associations provenant de 16 pays européens. En 2013, ce
rassemblement a été à l'origine de la campagne Frontexit, qui demande la suppression de l'agence. " Il est
très difficile d'obtenir des informations sur ses missions. Lorsque Frontex passe des accords avec des pays
tiers, le Parlement n'a même pas à les valider ! ", s'inquiète Claire Rodier, une des représentantes de la
France au sein de Migreurop. " La médiatrice européenne avait suggéré la mise en place d'un cahier de
plaintes, Frontex a refusé. Le Parlement européen avait demandé qu'une instance indépendante garante des
droits de l'homme ait un droit de regard, Frontex a décidé de salarier cet avocat ", ajoute-t-elle.De son côté, le
Haut-Commissariat pour les réfugiés s'inquiète du traitement des demandeurs d'asile dans les zones où
Frontex opère. " Lorsque les patrouilles dissuadent les bateaux d'entrer dans les eaux européennes, elles
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Surveiller ou sauver, le dilemme de Frontex
17/01/2015
Le Monde
Pag. 11
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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empêchent du même coup les demandeurs d'asile de pouvoir déposer un dossier en Europe. Ce qui
représente une vraie violation du droit international ", regrette Mme Rodier. Augmenter la transparence sera à
coup sûr un vrai défi pour le nouveau gardien des frontières.
18/01/2015
Le Monde - Dossier
Pag. 4
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Laurence Girard
Pizza Hut s'apprête à mettre au menu de certains de ses établissements américains des pizzas sans gluten.
Les premières, au fromage et salami, seront proposées aux clients le 26 janvier. Pizza Hut, qui appartient au
groupe américain Yum Brands, au même titre que les enseignes Taco Bell ou KFC, est, avec 7 900 points de
vente, la plus grande chaîne de pizzerias aux Etats-Unis. Le spécialiste des pâtes italien Barilla a, lui,
annoncé vendredi 16 janvier un investissement de 26 millions de dollars (22,47 millions d'euros) dans son
usine américaine de l'Iowa pour installer deux lignes de fabrication de spaghettis et de penne sans gluten.La
tendance n'est pas qu'américaine. Au même moment, dans une petite boulangerie parisienne de quartier du
13e arrondissement, une affichette annonce l'arrivée de pain sans gluten, présenté sous plastique. Le
marché des aliments sans gluten est en plein essor.A l'origine, il était cantonné au rayon spécialisé des
produits pour allergiques et intolérants alimentaires. On considère que près de 1 % de la population est
atteinte de la maladie cœliaque, et doit donc, pour épargner ses intestins, bannir formellement le gluten. Une
protéine présente aussi bien dans le blé que dans l'orge ou le seigle. Et par voie de conséquence, dans le
pain, les pâtes, les pizzas ou les gâteaux. Mais aussi dans beaucoup d'autres aliments, car les industriels,
friands des qualités du gluten, source de volume et d'élasticité, l'ont glissé dans les plats préparés, les
sauces, voire les charcuteries ou les sucreries. Toutefois, depuis le 15 décembre 2014, avec l'entrée en
vigueur des nouvelles règles d'étiquetage en Europe, la présence de cet ingrédient doit être mentionnée dans
la liste de composition du produit.En France, 60 000 personnes sont donc directement concernées par cet
interdit alimentaire. Mais le cercle s'est progressivement élargi. Au gré des réseaux sociaux, des échanges
d'expériences, des livres, de plus en plus de personnes, souffrant d'autres pathologies, testent des régimes
sans gluten et constatent ou non un effet bénéfique sur leur métabolisme. Enfin, certains font simplement ce
choix dans l'optique d'une alimentation plus saine. " En comptant l'effet sur les familles, quand une personne
opte pour un régime sans gluten, les autres l'accompagnent, on peut estimer aujourd'hui que près de 10 %
de la population est plus ou moins concernée ", estime Eline Maurel, de l'institut d'études Xerfi.Même si le
mouvement a d'abord concerné les pays anglo-saxons, où des porte-parole très médiatiques, comme Oprah
Winfrey ou Victoria Beckham, ont contribué à populariser le concept, il s'internationalise très vite. La France,
partie avec un temps de retard, accélère le rythme. Mais bannir le gluten demande à chacun de reconstruire,
voire de rééquilibrer son alimentation. Certains profiteront de l'occasion pour mettre plus souvent dans leur
assiette des produits frais cuisinés maison. Pour les producteurs de pommes de terre, de lentilles, de pois
chiches, ou autres fruits et légumes, il peut y avoir un effet d'aubaine. Reste que restaurants, magasins et
industriels sont de plus en plus nombreux à vouloir répondre à ces nouvelles attentes." Le marché est
désormais porté par le développement de l'offre ", estime Mme Maurel. Selon le cabinet d'études
Euromonitor, le marché des aliments sans gluten fabriqués par les industriels a atteint 1,87 milliard d'euros en
2014, en progression de 16,7 % sur un an. Il estime qu'il devrait dépasser les 2,9 milliards d'euros dans cinq
ans. En France, il passerait de 58 à 131 millions d'euros sur cette période.Pour l'heure, le leader mondial de
ce marché du " sans gluten " est la société italienne Dr Schär. Elle développe des produits pour les
intolérants à cette protéine depuis plus de trente ans.En France, elle est toutefois devancée par un autre
acteur spécialisé, la société Nutrition et Santé, rachetée en 2009 par le groupe japonais Otsuka
Pharmaceutical. Elle est connue pour ses marques de produits diététiques ou bio, comme Gerblé, Céréal Bio
ou Gerlinéa. Elle a annoncé, en 2014, un investissement de 21 millions d'euros dans son usine de Revel, en
Haute-Garonne. Et n'a pas hésité à s'offrir le puissant service de Novak Djokovic pour vanter les mérites de
sa gamme de produits Gerblé sans gluten. D'autres sportifs qui ont fait le choix de ce régime alimentaire en
sont des ambassadeurs. Comme Christine Arron, égérie de Primawell, fournisseur d'un mélange de farine de
riz et d'amidon de maïs et de pomme de terre destiné à la fabrication par les boulangers de pain sans
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'industrie agroalimentaire investit le marché du sans-gluten
18/01/2015
Le Monde - Dossier
Pag. 4
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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gluten.Mais l'essor des rayons " sans gluten " dans la grande distribution avec une offre spécifique à marque
distributeur entraîne d'autres industriels. Comme Barilla, qui vend ses pâtes à la farine de maïs et de riz
depuis 2013 aux Etats-Unis et depuis un an en France. D'autres mettent le logo de l'épi barré sur leur
emballage après suppression du gluten dans la recette. Ou comment même la charcuterie peut se parer d'un
" argument santé ".
18/01/2015
Le Monde
Pag. 18
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Daniel Psenny
Images bleu nuit, envoûtantes, lieux glauques, dialecte napolitain parfois agressif à l'oreille, violence froide et
clinique : la série " Gomorra ", dont Canal+ démarre la diffusion des douze épisodes à partir du lundi 19
janvier, traînait beaucoup de handicaps pour séduire le public. Et pourtant, il y a un an, sa programmation en
Italie sur le réseau privé Sky (coproducteur de la série), fut un des plus gros succès de la télévision italienne.
Le pilote a attiré plus de 1 million de téléspectateurs et les épisodes suivants ont rassemblé 700 000 curieux
en moyenne chacun. Le dernier épisode a même battu un record d'audience avec près de 900 000
téléspectateurs, plaçant la série en tête des audiences des chaînes du câble et du satellite.Adaptée du roman
du journaliste écrivain Roberto Saviano, Gomorra, dans l'empire de la Camorra (Gallimard, 2007, et Folio), la
série avait été précédée, en 2008, du film de Matteo Garrone qui avait fait sensation au Festival de Cannes,
où il avait obtenu le Grand Prix du jury. Dès la sortie du livre, qui a connu un immense succès tant en France
qu'à l'étranger, Saviano a été condamné à mort par la Mafia et vit désormais une " vie blindée " sous haute
protection policière. Cela ne l'empêche pas de continuer son combat contre la Mafia en animant des
émissions de télévision ou en participant à des conférences à travers le monde. Mais il sait que les dirigeants
de l'organisation criminelle n'oublient jamais...A la différence du film, qui utilisait une narration un peu plus
classique, la série plonge dans l'ultraréalisme, à la manière d'un documentaire rythmé par un rap à la sauce
napolitaine décapant. Il faut parfois s'accrocher à son siège tant certaines descriptions sont crues,
notamment celle de la préparation et de l'exécution d'un meurtre. On y apprend aussi comment vivent les "
boss " mafieux en prison ou ce qu'il faut faire pour blanchir de l'argent... " C'est vrai qu'il y a une part
documentaire, car nous voulions raconter un mi-lieu, recréer une situation véridique tout en y greffant une
histoire et des personnages ", expliquait, en mai 2014, le réalisateur Stefano Sollima lors de la présentation
de " Gomorra ", au festival Séries Mania, à Paris.Contraction de " Gomorrhe ", la cité des mauvaises mœurs,
et de " Camorra " (nom de la Mafia napolitaine), " Gomorra " nous entraîne donc dans les méandres de
l'univers sans pitié et extrêmement violent de " la Pieuvre ", comme on la surnomme en Italie. Dans la
banlieue de Naples, deux clans rivaux se disputent le territoire, une zone de non-droit que les habitants
appellent " O Sistema " (" le système "). C'est aussi l'histoire classique d'une âpre lutte de pouvoir, au sein
d'une des " familles ", entre Cirio (interprété par l'excellent Mario D'Amore), petit soldat ambitieux, belle
gueule et tueur d'un sang-froid redoutable, et le chef de clan de l'ancienne école dont le règne s'achève, mais
qui, de sa prison, continue, tant que faire se peut, à diriger hommes, trafics de drogue et marchés
truqués.Grandeur et décadence d'un clan influent qui, progressivement, perd de sa suprématie, se fragilise et
disparaît sous les coups mortels de ses rivaux. " C'est une construction classique en trois actes qui
caractérise l'ensemble de la série ", explique le scénariste Stefano Bises dans sa note d'intention. Soit " trois
phases narratives qui correspondent à la transmission du pouvoir clanique, du boss à son épouse, et de cette
dernière à son fils. Les conflits et la destinée du clan en sont le fil rouge ".Tournée dans le quartier Scampia,
un des lieux les plus " en odeur de Mafia " de la périphérie de Naples, où de nombreux habitants
recommandés par les boss de l'organisation ont été choisis pour faire de la figuration, " Gomorra " décortique
le quotidien de chaque protagoniste luttant pour sa survie. Entre trahison, rivalité, violence et intrigues
sordides, personne ne sait plus où se situent le bien et le mal. Si bien que, plongés dans une hystérie
collective dominée par une paranoïa aiguë, tous tuent, torturent ou brûlent les corps de leurs victimes sans
émotion visible. " Imaginer une histoire, c'est l'inventer. Mais, avec "Gomorra", nous avons dû modifier
plusieurs scènes car, de nombreuses fois, la réalité était plus forte que la fiction ", souligne Stefano
Sollima.Déjà auteur de l'excellente série télévisée " Romanzo criminale ", Stefano Sollima (dont le père
Sergio fut un des grands maîtres du western spaghetti) a partagé la réalisation de " Gomorra " avec
Francesca Comencini et Claudio Cupellini. Pour l'écriture du scénario, on retrouve Roberto Saviano, qui,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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" Gomorra " ou les " saigneurs " napolitains
18/01/2015
Le Monde
Pag. 18
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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avec six autres scénaristes, a pu introduire de nombreuses intrigues qu'il avait écartées de son livre et du film
de Matteo Garrone, faute de place. " Rien de ce qui est raconté n'est le fruit de l'imagination, insiste l'écrivain.
Les protagonistes sont inspirés d'individus réels et, en chacun d'eux, se retrouvent différents personnages,
tout comme chaque histoire se mêle à d'autres. "C'est pourquoi, à force de tirer les fils de nouvelles intrigues
et de créer de nouveaux personnages, l'écriture du scénario a duré près de deux ans. " Pour rester fidèles à
la complexité du livre, nous avons changé le point de vue de chaque épisode, en passant de personnage en
personnage, poursuit Stefano Sollima. Plus on augmente le nombre de points de vue, plus on devient
objectif. Ce procédé nous a permis de rendre compte avec davantage de justesse de tous les aspects du
monde de la Mafia. "Parmi eux, l'architecture du quartier Scampia, qui est à lui tout seul un personnage de la
série. " Le quadrillage du territoire et les bâtiments sont parfaitement adaptés au système et au
développement du trafic de drogue, dans lesquels les forces de police et les clans adverses pénètrent
difficilement, explique le scénariste Stephano Bises. Ce n'est pas seulement un ghetto mais une description
géopolitique, une forme de résistance ", dit le réalisateur, qui a dû négocier serré avec les boss du quartier
pour installer ses caméras." L'Italie a encore du mal à regarder la réalité mafieuse en face ", regrette Stefano
Sollima. Mais cela ne l'empêche pas d'être satisfait. Le succès de la série qui a déjà été vendue dans plus de
quarante pays lui a permis de démarrer d'ores et déjà l'écriture d'une deuxième saison.
18/01/2015
Le Monde
Pag. 18
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Roberto Saviano : " Je voulais que le téléspectateur se confronte au mal
absolu "
Propos recueillis par D. P.
Condamné à mort par la Mafia après la publication de son livre Gomorra, l'écrivain et scénariste de la série,
Roberto Saviano, 36 ans, vit désormais sous escorte policière permanente. Joint par Le Monde aux EtatsUnis, il exprime son effroi après la mort de ses amis de Charlie Hebdo.Ce fut un énorme choc ! Je
connaissais bien l'histoire de Charlie Hebdo et certains journalistes étaient mes amis. Les menaces de mort
contre les écrivains, journalistes ou intellectuels ne sont souvent pas bien comprises par le public, qui pense
que l'on exagère. Malheureusement, c'est lorsqu'il y a du sang par terre que la réalité s'impose et que les
gens se mobilisent contre l'intolérance et la folie terroriste. Mais c'est souvent trop tard. Il ne faut pas oublier
que plus de soixante journalistes ont été tués cette année à travers le monde.Honnêtement, je ne le regrette
pas ! Je ne renie rien ! J'en connaissais les conséquences, mais j'ai fait ce qui me semblait essentiel de faire
pour dénoncer le cancer que représente la Mafia au niveau mondial. Certes, cette vie blindée m'a fait perdre
une grande partie de ma liberté et je n'ai pas pu vivre mes plus belles années de trentenaire. C'est mon seul
regret, mais la bataille n'est pas finie !Oui ! C'est moi qui l'ai lancée en allant voir un producteur qui m'a donné
son accord tout de suite. En Italie, les séries sont difficiles à réaliser, car il existe une certaine frilosité pour ce
genre de sujets. Et Gomorra n'était pas évident, avec des personnages aussi sombres ! Mais le producteur a
pris le risque. Je voulais que le téléspectateur se confronte au mal absolu. C'était pour moi le plus important !
En outre, la longueur de la série m'a permis de montrer de très nombreuses scènes que je n'avais pas pu
mettre dans le livre ni dans le film pour des raisons de place. En tout cas, je sais que la réalité mafieuse
dépasse très souvent la fiction.Non, c'est très difficile, mais c'était un ingrédient fondamental pour la
crédibilité du scénario ! Lorsque la série est passée sur la RAI - la télévision publique italienne - , ils ont été
obligés de mettre des sous-titres. La langue utilisée par les mafieux est partie intégrante de leur
fonctionnement. C'est la langue du corps, de la chair, de la guerre. Par exemple, ils ne disent pas " je l'ai tué "
mais " j'ai lancé une balle "... Derrière une forme de poésie, c'est un vrai langage d'artillerie !Oui, ils obéissent
aux ordres des chefs. Mais je pense que la Mafia a déjà noué des alliances discrètes avec des groupes
fondamentalistes qui peuvent, par exemple, leur fournir de la drogue contre des armes. On l'a vu lors des
attentats en Espagne, où de la dynamite a été achetée grâce à la vente de haschich. La Mafia ne voit que
ses intérêts.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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INTERVISTA
19/01/2015
Les Echos
Pag. 1,27
(diffusione:118722, tiratura:579000)
lLa Banque centrale européenne réunit son comité monétaire, jeudi, autour d'un projet de rachat de dettes
souveraines, longtemps discuté. lElle devrait lancer un plan de « quantitative easing » sans précédent dans
la zone euro.
Isabelle Couet
La communication, ces dernières semaines, des membres de la Banque centrale européenne laisse peu de
place au doute. Selon toute probabilité, la BCE devrait officialiser jeudi, lors de sa première réunion de
l'année, le lancement d'un vaste plan de rachats d'actifs, un « quantitative easing » dans le jargon des
banquiers centraux. Une décision historique pour l'institution de Francfort, alors qu'un accord sur un plan de
rachat de dettes souveraines par la banque centrale n'allait pas de soi. Mario Draghi, le président de la BCE,
a dû user de toute sa force de persuasion pour éteindre les réticences des Allemands de la Bundesbank.
Resteà connaître le calendrier et les modalités de ce plan, qui seront sans doute dévoilés jeudi. Les
anticipations de ce geste fort de la BCE ont déjà ramené l'euroà des niveaux jamais vus depuis 2003. L'euroa
ainsi testé le seuil symbolique de 1,15 dollar, en dessous notamment du cours de sa première cotation, en
1999. Une attente qui explique aussi, en partie, le geste de la Banque nationale suisse, qui a fait plonger sa
monnaie en supprimant le lien entre l'euro et le franc suisse. La réunion de la Banque centrale européenne
(BCE) jeudi prochain s'annonce historique. Les signaux se sont multipliés ces dernières semaines pour
conforter le scénario d'un programme d'achats de dette publique (QE), dernière arme de l'institution pour
lutter contre la menace de déflation. L'action surprise de la Banque nationale suisse (BNS), jeudi, qui a
suspendu le cours fixe entre le franc suisse et l'euro, est l'un de ces signaux : la BNS a sans doute anticipé
les annonces de la BCE et capitulé plutôt que de défendre un niveau de taux de change intenable (lire aussi
pages 18 et 25). Plus la perspecti ve d 'un plan d'achats d'emprunts d'Etat se précise, plus la monnaie unique
faiblit. C'est d'ailleurs l'un des buts recherchés par la BCE, qui imitera avec retard l'action de la Réserve
fédérale américaine, qui a usé de ce stratagème jusqu'à l'automne dernier. Vendredi, l'euro est passé sous la
barre de 1,15 dollar en séance (1,1460). Il a terminé en baisse de 0,46 %, à 1,1548 dollar, un plus bas depuis
2003. Depuis la semaine passée, la devise des Dix-Neuf s'enfonce sous le cours de sa première cotation de
1999. La tendance ne devrait pas s'inverser cette année et probableLes rumeurs, fuites et hypothèses au
sujet du plan de la BCE sont devenues le principal aiguillon des marchés. Vendredi, ils ont bien accueilli les
propos de Benoît Cœuré, membre du directoire de l'institut d'émission, qui s'est exprimé dans l'« Irish Times
» . « Si nous voulons augmenter de façon significative le champ de nos interventions, le scénario qui
s'impose est d'acheter des emprunts d'Etat », a-t-il confié. Ajoutant surtout que « pour être efficace, il faut
frapper fort ». Il reste cependant beaucoup de questions en suspens : le montant des interventions de la BCE
(le chiffre de 500 milliards d'euros circule), la manière de gérer le risque (selon la presse allemande, on
s'oriente vers des achats portés par les banques centrales nationales, un gage pour Berlin), ou même le
calendrier. L'institut d'émission pourrait annoncer le QE jeudi mais le mettre en œuvre plus tard, notamment
une fois que les élections grecques du 25 janvier seront passées. Une possible victoire de Syriza, le parti
anti-austérité, inquiète en effet la BCE : voudra-t-elle acheter des emprunts grecs si le pays décide de
renégocier sa dette avec ses créanciers et de stopper les réformes ?
NOTER
Wolfgang Schaüble, ministre allemand des Finances, a exclu dans « Der Spiegel », toute restructuration de la
dette grecque et met en garde les partis grecs contre « les promesses » qu'ils ne pourront pas tenir.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La BCE brandit l'arme ultime pour sauver la croissance
19/01/2015
Les Echos
Pag. 9
(diffusione:118722, tiratura:579000)
La BCE n'a plus le choix
Guillaume Maujean
Pour la BCE, il est devenu impossible de faire marche arrière. Ce jeudi, elle doit faire tomber l'ultime tabou en
zone euro : annoncer un plan massif d'achats de dettes souveraines. Il n'est plus temps de lancer de grands
débats théoriques sur l'opportunité pour une banque centrale de financer les déficits par de la création
monétaire, sur l'aléa moral que risque de susciter ce grand QE à l'européenne ou sur l'impact qu'il peut avoir
sur l'économie réelle... Mario Draghi et le Conseil des gouverneurs sont tenus d'utiliser cette arme - sans
doute la dernière - pour tenir à distance le spectre de la déflation et, in fine, repousser le risque d'éclatement
de l'union monétaire. Peu importent les réticences allemandes, peu importe le calendrier malheureux qui
l'oblige à dévoiler son projet à trois jours d'une élection capitale en Grèce, et peu importe au fond les détails
techniques de ce plan d'achats d'actifs, la BCE n'a plus le choix. Au rythme de deux interviews par jour, ses
membres les plus influents - notamment le Français Benoît Coeuré - ont suscité beaucoup d'attente à cet
égard. L'euro est passé pour la première fois sous le 1,15 dollar vendredi, au plus bas depuis onze ans ; les
taux d'emprunt des Etats européens n'ont jamais été aussi faibles, la France affichant un taux de seulement
0,6 % à 10 ans ! Une mauvaise surprise provoquerait une réaction extrêmement violente sur les marchés
financiers - il n'est qu'à voir la panique après la volte-face de la Banque nationale suisse pour en juger. En
lançant un plan d'achats de dette publique, Mario Draghi tiendrait surtout la promesse lancée un jour de juillet
2012, à laquelle les investisseurs se sont tant accrochés, selon laquelle il ferait « tout ce qu'il en coûte pour
préserver l'euro ».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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L'éditorial
19/01/2015
Les Echos
Pag. 15
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Antoine Boudet et Paul Molga (à Marseille)
Marseille retient son souffle. C'est ce lundi, à 11 heures, le dernier délai pour la remise des offres de reprise
de la SNCM. Placée en redressement judiciaire en novembre dernier, pour une période d'observation de six
mois, la compagnie maritime, exsangue, et ses quelques 1.700 employés attendent de savoir si ce qui reste
à sauver peut l'être ou si la liquidation se profile inéluctablement. Une lueur d'espoir devrait apparaître
aujourd'hui sur le Vieux Port. Selon nos informations, au moins trois dossiers devraient être déposés auprès
des deux administrateurs judiciaires. Seul candidat déclaré officiellement, depuis l'été dernier, l'armateur
français Daniel Berrebi va faire une offre ferme sur la totalité de la société, mais avec un plan drastique de
restructuration prévoyant de ne conserver que quelque 750 salariés. Afin de se conformer au cahier des
charges de l'appel d'offres, et répondre aussi aux exigences de Bruxelles, l'entrepreneur à succès, qui
exploite notamment une petite compagnie mexicaine (Baja Ferries), détaille dans son offre la reprise ligne par
ligne de la délégation du service public (DSP) de transport maritime entre Marseille et la Corse, enjeu crucial
pour l'équilibre économique de la SNCM et pour la continuité territoriale. Ce pourrait être d'ailleurs le point
faible d'une autre offre, celle que défendra Christian Garin, l'ancien président du Port de Marseille et du
Syndicat des armateurs de France. Un temps allié avec les Norvégiens de SIEM, qui ont finalement renoncé
à soutenir Marc Dufour, l'ancien patron de la SNCM, Christian Garin a, cette fois, réuni un « tour de table à
capitaux européens », a-t-il confié aux « Echos ». Sa proposition porte sur la reprise globale de l'activité.
Marc Dufour, qui avait été débarqué par Transdev, l'actionnaire majoritaire de la SNCM, lequel estimait
totalement irréaliste son plan stratégique, ne participe pas à l'offre. Il semblerait pourtant que ce soit sur la
base de son plan que ce dossier a été construit. En contradiction avec la position de la Commission
européenne, laquelle exige une véritable discontinuité dans les contours de la nouvelle compagnie avant
même d'envisager de renoncer à faire payer les quelque 400 millions d'euros d'amendes à la SNCM pour
aides d'Etat illégales. La troisième offre émane de l'armateur italien GNV (Grandi Navi Veloci) qui opère
depuis 1992 avec une flotte moderne de dix navires assurant la liaison vers la Sardaigne, la Sicile, l'Espagne,
la Tunisie, le Maroc et la France. Enfin, une rumeur, dimanche soir à Marseille, laissait entendre que
l'échéance pourrait être repoussée de quelques jours afin de permettre à de nouveaux candidats de se
déclarer. L'insoutenable attente des salariés de la SNCM pourrait bien se prolonger encore.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Au moins trois offres fermes pour la reprise de la SNCM
19/01/2015
Les Echos
Pag. 28
(diffusione:118722, tiratura:579000)
ASSURANCE : Generali détient désormais 100 % de Generali PPF Holding (GPH), une société qui opère en
Europe centrale et de l'Est, après l'acquisition des 24 % du capital qui lui manquaient. Cette dernière part a
été acquise au prix déjà convenu de 1,245 milliard d'euros, a indiqué vendredi l'assureur italien, dont l'Europe
centrale et de l'Est est le quatrième marché. Generali avait annoncé début 2013 sa volonté de prendre seul
les rênes de GPH. Ceci en rachetant au tchèque PPF Group sa part de 49 % du groupe en deux étapes pour
un total de 2,5 milliards d'euros. GPH sera rebaptisée Generali CEE Holding.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Generali finalise la prise de contrôle de 100 % de GPH
19/01/2015
Les Echos
Pag. 30
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Pierrick Fay
Gare aux élections en Grèce, au Portugal, en Espagne et au Royaume-Uni. Les incertitudes et la montée du
vote protestataire sont sources de stress. En 2014, le risque politique lié aux élections fut un thème majeur
dans quelques pays émergents (Inde, Turquie, Brésil...). S'il demeure pour 2015, il s'est déplacé en Europe.
Pour Yves Maillot, chez Natixis Am, « il y a une montée certaine du risque politique. De nombreuses
élections auront lieu dans des pays sensibles, comme l'Espagne ou le Royaume-Uni. Ces échéances
brouillent l'environnement de marché avec un regain de stress dans la zone euro ». La montée de stress est
perceptible depuis plusieurs semaines à l'approche des élections du 25 janvier en Grèce. Le Premier ministre
Antonis Samaras agite le spectre d'une sortie de la zone euro en cas de victoire du parti anti-austérité Syriza.
Ce dernier a beau démentir, les marchés sont troublés comme en témoigne des taux à 10 ans grecs
scotchés au-dessus de 9 %. Pour l'agence de notation Fitch, qui a abaissé à négative la perspective de la
dette du pays, « l'actuelle période d'incertitude politique a augmenté les risques pesant le sur le financement
de la Grèce ». Le calendrier électoral sera aussi chargé au Portugal et surtout en Espagne avec des scrutins
régionaux et nationaux. La gronde contre l'austérité prend de l'ampleur, avec la montée dans les sondages
du Parti de gauche Podemos. « Si, au Portugal, l'opposition radicale paraît encore insuffisamment structurée
pour représenter une menace, ce n'est pas le cas avec Podemos en Espagne », note Aurel BGC, qui
souligne son « pouvoir de nuisance important. Or Podemos apparaît plus vindicatif que Syriza. Il n'envisage
pas de négociation sur la dette, mais un référendum pour décider d'un moratoire ». En ce sens, les propos
fermes, vendredi, du ministre des Finances allemand Wolfgang Schäuble, excluant une nouvelle
restructuration de la dette publique grecque, semblaient autant s'adresser aux électeurs grecs qu'aux
espagnols tentés par le vote protestataire. En attendant, pour Patrick Legland de la Société Générale, « à
moyen terme, une augmentation de l'autonomie des régions et le risque d'un ralentissement du rythme des
réformes après les élections pourraient nuire à la soutenabilité de sa dette ». L'Ukip, un risque pour les
marchés Autre dossier chaud, le Royaume-Uni avec la tenue d'élections générales le 7 mai. L'enjeu ? La
nomination d'un nouveau Premier ministre, alors que l'actuel, David Cameron a promis d'organiser un
référendum sur l'appartenance à l'Union européenne à l'horizon 2017. « Un Brexit [pour British exit, NDLR]
pourrait être très dommageable pour le Royaume-Uni, en coupant le potentiel de croissance de 0,5 % »,
selon Patrick Legland. La montée en puissance du parti anti-européen Ukip constitue aussi un risque pour les
marchés. « La possibilité d'un parlement éclaté pourrait être une source de forte volatilité pour les actifs
anglais », selon la Société Générale, qui rappelle que lors des précédentes législatives en 2010, les actions
britanniques avaient chuté de 10 %. Enfin, l'Italie pourrait aussi revenir sous les radars du marché après la
démission du président Napolitano qui « déclenche une période d'incertitude en Italie, car les partis politiques
vont devoir s'entendre sur le nom du candidat », selon Aurel BGC. Un nom pourrait rassembler, celui de
Mario Draghi. Mais pas sûr qu'un départ du président de la BCE, soit de nature à rassurer les investisseurs.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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2015, une année électorale qui va stresser les marchés
19/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 1.4
By Simon Nixon
The moment the markets have been waiting for has arrived: Six years after the U.S. Federal Reserve and the
Bank of England launched their quantitative easing programs and two years after the start of Abenomics in
Japan, the European Central Bank is expected Thursday to embark on its own government bondbuying
program. Its aim: to head off the threat of deflation in an economy where prices fell by 0.3% in December and
where inflation expectations are deteriorating.The market is certainly priced for action. Eurozone government
bonds-with the exception of those of Greece-are trading at record lows with German government bond yields
negative for maturities up to five years. The euro has fallen 12% against the dollar since its recent peak and
last week the Swiss National Bank humiliatingly abandoned its efforts to cap the value of the Swiss franc
rather than fight the ECB. Further instability seems inevitable: The euro is still trading 40% above its longterm lows.Inevitably, the market will focus on the details of the program. Is it large enough? Are sovereigncredit risks being pooled or will they be retained on national central-bank balance sheets, as some German
policy makers have urged?But in economic terms, these are second-order issues: The size of the program
can easily be increased, as it was in other countries. And any decision to ring-fence sovereign risks can be
reversed. The SNB offers a reminder that the word of a central banker isn't always to be trusted.The big
question is whether quantitative easing will prove to be the magic bullet for the eurozone that many have
come to believe. Will it help revive the economy, as it has apparently done in the U.S. and U.K.? Or fail, as it
has so far done in Japan?The ECB is counting on a boost to confidence and asset prices. But the success of
the policy hinges on the financial system's ability to fund a robust recovery.That may be asking too much.
True, the eurozone banking system is in better health following last year's ECB stress tests of the largest
banks. But even as the ECB is trying to encourage banks to boost their lending, banks must grapple with
other factors that may encourage them to continue to shrink their balance sheets, restricting the supply of
credit.Some of this pressure is coming from the ECB itself in its new role as the eurozone's bank supervisor.
The ECB was obliged to conduct last year's stress tests on the basis of national legal frameworks that
included numerous national loopholes in the way capital was calculated. Now the ECB is pledged to use its
new discretionary powers to create common standards-a process that is bound to lead to some banks facing
demands to improve the quality and quantity of capital. Last week, Santander surprised the market with a
€7.5 billion ($11.20 billion) cash call, although the Spanish banking giant denies pressure from the
ECB.Banks are also under pressure from markets to boost capital ratios, partly in anticipation of higher
regulatory demands. U.S. and U.K. regulators are already demanding that banks hold core capital well above
the minimum 3% of total assets required under the Basel rules, raising concerns of a global "race to the top"
on leverage ratios. At the same time, a number of jurisdictions, including the U.S. and U.K., are demanding
that banks ring-fence capital and liquidity in local subsidiaries, pushing up overall capital ratios for crossborder groups.Bank funding costs are also likely to rise in response to global regulatory initiatives, partly
offsetting ECB efforts to drive costs down. For example, new liquidity rules will force banks to issue costly,
longer-dated bonds; and the Financial Stability Board's proposals to tackle the problem of "too big to fail"
banks will require banks to issue large quantities of expensive bonds that convert into equity in times of
stress.This pressure on long-term returns on equity is forcing the industry to adapt, recognizing that some
activities that used to be profitable are no longer viable. In future, banks are likely to be simpler, focused on
core lending products to less risky customers.Some banks have started to adapt, cutting back on riskier
investment-banking business. Banks in Spain, Ireland and Greece have consolidated to cut costs and boost
profitability.But the process of change has a long way to run: The Italian banking system still strongly
resembles that of 2007, notes Alastair Ryan, an analyst at Bank of America-Merrill Lynch.This wouldn't matter
if the eurozone had deep capital markets able to fill the financing gap left by shrinking banks. But the
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Does ECB President Mario Draghi have the magic bullet?
19/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 1.4
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
286
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
European corporate-bond market is just 34% the size of the U.S. market as a proportion of gross domestic
product, according to London-based think tank New Financial. The European leveraged loan and
securitization markets are 19% and 17% the size of their U.S. counterparts relative to GDP, and the venturecapital market just 15%. If European capital markets were as deep as those in the U.S., they would have
provided an extra $5 trillion of funding between 2008 and 2013.The challenge for European policy makers is
to find ways to deepen capital markets, increasing the chances that ECB action reaches the real economy.
The European Commission has responded with an initiative under the banner of "Capital Markets Union." But
national governments have so far shown surprisingly little interest in this agenda.While there has been a lively
debate in the U.K. involving the government, the industry, thinktanks and the press, there has been virtually
no debate or policy proposals emanating from the eurozone, according to commission officials.This is
worrying because only national governments can make capital-markets union a reality. The commission has
so far identified a number of initiatives that would improve the efficiency of markets. But the biggest obstacles
to deeper capital markets such as weak insolvency rules and poorly designed tax regimes lie outside the
commission's competence. Previous attempts to introduce Europe-wide reforms in these areas have run into
fierce national resistance.Failure to take capital-markets union seriously may ultimately harm the eurozone
more than the ECB can help it.
19/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 16
BY TOM FAIRLESS
BRUSSELS- Amazon.com Inc.'s "cosmetic" tax arrangements in Luxembourg may give the U. S. online
retailer an illegal advantage over competitors, European Union regulators said Friday, marking the latest
phase of a crackdown on alleged sweetheart tax deals for multinationals.Amazon is one of four companies
whose tax affairs are being scrutinized by the European Commission, the EU's top antitrust authority, amid
concerns that they constitute illegal aid from governments. Other targets of the investigation are Apple Inc.,
Starbucks Corp. and Fiat SpA, all of which face sizable back-tax demands if the regulator's suspicions are
confirmed. All of the companies have denied receiving special treatment.In Amazon's case, the back- tax bill
could reach hundreds of millions of euros, a person familiar with the matter said. The probes represent a
groundbreaking move by the commission to combat tax avoidance in the absence of an agreement among
the bloc's 28 governments. The commission has no authority to weigh in on national tax policies, but is
empowered to police EU state- aid rules that prohibit selective subsidies.In its preliminary decision Friday on
Amazon, running 23 pages, the commission criticized a 2003 tax agreement, which is still in force, that
establishes the taxes payable by Amazon in Luxembourg.Central to the case is a royalty fee, estimated at
about € 500 million ($ 578 million) annually, which Amazon's European head office in Luxembourg, Amazon
EU Sarl, pays to another subsidiary in the country. The royalty, for use of the group's intellectual property
rights, reduces Amazon's tax bill in Luxembourg because the second subsidiary isn't subject to local
corporate tax.The commission questioned the methodology used to calculate that royalty, which it described
as "cosmetic," and said Luxembourg's tax calculations didn't appear to comply with international
guidelines.Luxembourg's authorities may not have properly assessed the 2003 deal given they approved it
within "a very short period" of 11 working days, the regulator said. It also expressed concern that the deal was
still in force after more than a decade "without any revision."Amazon EU Sarl had revenue of € 13.6 billion in
2013. Luxembourg estimates its profit at between €60 million and € 70 million, a person familiar with the
matter said. Luxembourg's corporate tax rate is about 28%.In a statement, Luxembourg said it was "confident
that the allegations of state aid in this case are unsubstantiated and that it will be able to convince the
commission in due time of the legitimacy of the tax ruling."A spokesman for Amazon said the company had
received no special tax treatment from Luxembourg. "We are subject to the same tax laws as other
companies operating here," he said.At issue are the prices that multinational companies charge for goods or
services sold by one subsidiary to another, known as transfer-pricing arrangements. These could be used to
shift profits away from high-tax jurisdictions, so international guidelines require that they be determined at
"arm's length," reflecting transactions that would take place between independent companies.The
commission said Amazon's internal royalty fee was "not related to output, sales, or to profit." It asked
Luxembourg to explain the nature of the intellectual property for which internal fees are paid, and to detail the
scale of royalties over the past 10 years.The rule for calculating the fee "seems to contain a cosmetic
arrangement for how to present the royalty and has no bearing on the amount of the royalty," it said.Amazon
and other interested parties have several weeks to provide feedback before the commission announces its
final decision.Margrethe Vestager, the EU's top competition official, has said she hopes to wrap up all four tax
investigations by June.Luxembourg's tax practices have come under a fierce spotlight in recent months after
leaked documents revealed details of hundreds of highly favorable deals it has granted to companies
including PepsiCo Inc. and FedEx Corp.The Grand Duchy had until recently resisted the commission's
requests for tax documents, and was fighting the case in court. But last month Xavier Bettel, the country's
prime minister, agreed to share information on tax deals secured by multinational companies, after the
commission also asked other EU countries to share their tax rulings.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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EU Regulators Press Amazon on Taxes
19/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 28
- Richard Barley
The European Central Bank's date with destiny is fast approaching.With headline eurozone inflation running
at negative 0.2% and expectations of future inflation sliding, the market's belief that ECB President Mario
Draghi will announce on Thursday a program of sovereign- bond purchases is now almost universal. The risk
is that this ultimately proves disappointing.So far, Mr. Draghi has worked wonders with words. But investors
now expect him to write a check to match. Certainly, the Swiss National Bank's shock decision to scrap its
currency cap is seen by many as a sign that the ECB is about to open its wallet in an effort to push its
balance sheet-currently at €2.17 trillion ($ 2.52 trillion)- back toward € 3 trillion.If Mr. Draghi doesn't announce
government bond purchases, markets are likely to take it badly. Even if he does, investors might not get all
the details they want.It isn't clear that the ECB has yet solved the thorny practical problems involved with
buying government bonds in the eurozone, or even how well quantitative easing works. Some argue that the
U.S. and U.K. recoveries have been helped by QE. Both have averaged nominal economic growth of 3% a
year since embarking on bond purchases, while the eurozone has managed 1.1%, Berenberg Bank points
out.Yet conditions in the eurozone today are quite different from when those two countries ventured into QE.
Government yields were higher back then, and the U. S. and U.K. fiscal deficits were much wider than in the
eurozone, implying that budgetary stimulus was being provided along with monetary firepower.The eurozone
financial system relies much more on banks than capital markets, making the efficacy of a market-based
approach questionable. And the eurozone still suffers from structural barriers to higher growth.In the
eurozone, the mystery of QE is complicated by questions around its design. What does the ECB buy and in
what quantities? How should credit risk be managed? One suggestion is that national central banks will buy
bonds at their own risk. That might be acceptable to markets now but could cause problems in the longer
term if a fiscal crisis re- emerges. Another option is to buy only triple- Arated bonds, but that might hand
unwarranted power to credit- rating firms. The risk remains of a compromise program that falls short of
expectations.There could yet be political ructions, too. The ECB will say that sovereign QE is a pure
monetary-policy operation. But skeptics can argue it represents pooling of fiscal risk, something that the
eurozone isn't ready for politically.At least one thing appears certain. In August 2011, when the ECB
reactivated its now moth balled Securities Markets Program, a crisis- era bond- buying facility, then-President
Jean-Claude Trichet only alluded to purchases obliquely. This time, if the ECB is going to buy government
bonds, the message should be delivered loud and clear.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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For ECB, It's Crunch Time
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:581000)
Il petrolio sperimenta il libero mercato
Leonardo Maugeri
Il 2015 si apre con un mercato del petrolio profondamente diverso da come lo abbiamo conosciuto per oltre
150 anni, affidato alle leggi della domanda e dell'offerta e non a ripetuti tentativi di controllo e
addomesticamento. I tentativi cominciarono con la nascita stessa dell'industria petrolifera, nella seconda metà
dell'Ottocento. Ci provò per primo John D. Rockefeller con la sua Standard Oil, convinto che il futuro del
greggio non potesse essere abbandonato al libero gioco delle forze economiche. L'osservazione di quanto
avveniva ai suoi tempi sembrava dargli ragione. I boom delle scoperte petrolifere provocavano eccessi di
produzione, che a loro volta facevano crollare i prezzi, gli investimenti e alimentavano catene di fallimenti.
Pochi anni e il petrolio veniva a mancare, i prezzi tornavano alle stelle, e il film ripartiva dall'inizio, con lo
stesso finale. Il successo di Rockefeller nel controllare le repentine montagne russe del petrolio fu tale che la
Standard Oil divenne oggetto della prima grande sentenza antitrust della storia, che portò allo
smembramento della società in oltre trenta entità da cui presero vita compagnie come Exxon, Mobil,
Chevron. Ma la maledizione che aveva spinto Rockefeller a perseguire il controllo monopolistico del mercato
continuò a dominarlo. segue a pagina 10 segue dalla prima Apiù riprese, per tutto il XX secolo, grandi
scoperte inattese di giacimenti fecero crollare i prezzi, riproponendo la trama già sperimentata da Rockefeller.
A partire dagli anni Trenta, spettò in successione alle autorità del Texas (per quasi quarant'anni il più grande
produttore mondiale), poi alle Sette Sorelle e infine all'Opec il compito di imporre meccanismi di controllo a un
mercato per sua natura volatile. Ma il tentativo di renderlo più prevedibile e stabile, in modo da poter
affrontare immensi investimenti a lungo termine senza il rischio di rimanere con un pugno di mosche in mano,
ebbe fortune alterne. Le fasi storiche di prezzi alti alimentarono sempre una feroce competizione, aprendo la
strada a innovazioni tecnologiche e rendendo possibili scoperte di nuovi giacimenti. La combinazione di
questi elementi provocò nuove ondate di offerta che nessuno pensava possibili, distruggendo i prezzi, com'è
successo negli ultimi sei mesi del 2014. Ed è qui che si è innestato il cambiamento. Convinta che l'Opec non
sia più in grado di esercitare alcun controllo sul sistema petrolifero mondiale, l'Arabia Saudita ha voltato le
spalle all'organizzazione dei grandi esportatori di petrolio che contribuì a fondare. Invece di cercare un
accordo per tagliare la produzione e sostenere i prezzi, Riad ha deciso di lasciare tutti al proprio destino,
lanciando l'industria petrolifera in un esperimento di libero mercato senza restrizioni. In realtà, qualche
restrizione i sauditi l'hanno in mente. Segretamente, per oltre un anno hanno stimato gli effetti sui conti del
Regno di prezzi del greggio a 60 e a 45 dollari: nel primo caso, si sono convinti di poter sostenere la propria
spesa corrente per almeno quattro anni senza intaccare le ricche riserve di valuta accumulate (900 miliardi di
dollari); nel secondo hanno calcolato di dover attingere alle riserve a un ritmo di circa 10 miliardi di dollari al
mese, un sacrificio sostenibile per almeno un anno, secondo i circoli che contano di Riad. Alcuni nel paese
ritengono disastrosa una simile prospettiva, ma non osano dirlo perché essa è stata tracciata e condivisa con
Re Abdullah dai due uomini di cui il sovrano saudita si fida di più: il ministro del petrolio e quello delle finanze.
Solo il futuro saprà dirci chi ha ragione. Perché i sauditi hanno scelto questa strada? La loro logica sembra
stringente. Lasciando il mercato privo di controlli i prezzi non possono che scendere a causa della troppa
produzione. Tuttavia, parte della produzione è troppo costosa per sopravvivere a prezzi bassi, e quindi
dovrebbe scomparire. I sauditi sono certi che non ci vorrà molto, e che a pagare il fio della loro strategia
saranno in primis gli Stati Uniti, il Canada, e altri paesi che negli ultimi anni avevano visto lievitare le loro
produzioni grazie agli alti prezzi del petrolio. Questo modo di ragionare e gli obiettivi che delinea presentano
molti punti deboli. Fino a pochi mesi fa Riad pensava che già a 75 dollari a barile buona parte della
produzione americana sarebbe stata cancellata insieme a quella del Canada. In generale, i sauditi ritenevano
che tutte le produzioni di greggio non convenzionale nel mondo sarebbero entrate in crisi. Così non è stato a
causa di continui miglioramenti di tecnologia e abbattimento di costi che hanno reso quelle produzioni meno
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
[ IL COMMENTO ]
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:581000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
care. Nonostante la caduta dei prezzi del greggio americano sotto i 45 dollari a barile, nelle prime settimane
di gennaio la produzione statunitense è cresciuta. Gli investimenti già fatti per sviluppare capacità produttiva
stanno rilasciando risultati fatali, che arrivano sul mercato mentre la domanda rimane asfittica. Né è detto che
bastino bassi prezzi del petrolio a far rimbalzare i consumi mondiali. Le legislazioni ambientali e di efficienza
energetica riducono l'elasticità della domanda ai prezzi, e in molti Paesi i giovani aspirano a modelli di
consumo che non prevedono più l'auto come oggetto del desiderio. Dove tutto questo porterà è ancora
incerto. Ma è difficile che i sauditi rinuncino al loro obiettivo almeno per il 2015, sperando che nel corso
dell'anno i produttori a più alto costo inizino a crollare come birilli. Con loro, però, potrebbero crollare i conti di
molte società petrolifere e la stabilità di paesi critici per l'ordine internazionale, a partire da alcuni percorsi da
brivido del fondamento islamico. Benvenuti nel nuovo mondo temerario del mercato libero del petrolio.
[email protected] rd.edu
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:581000)
Il dilemma di Draghi
Stefano Micossi
La Bce non può più rinviare la decisione di acquistare titoli a lungo termine dell'eurozona in gran quantità (
quantitative easing , o QE): perché l'inflazione mensile e annua in dicembre è diventata negativa, sta sotto l'1
per cento da ottobre 2013 ed è prevista scendere ancora; perché il suo bilancio si sta sgonfiando, invece di
aumentare; perché il nuovo strumento di rifinanziamento delle banche 'mirato' alle imprese, il Tltro, non sta
funzionando per la scarsa domanda di prestiti dall'economia. segue a pagina 3 segue dalla prima La
credibilità della Banca Centrale Europea è a rischio, le misure usuali delle attese d'inflazione nei principali
paesi dell'eurozona puntano a zero. Se vuol esser creduta sull'obiettivo d'inflazione - il due o 'vicino al' due
per cento - la Bce dovrà indicare un programma di acquisti adeguato. Può adottare un programma mensile
open - ended - dunque potenzialmente illimitato - legato alla realizzazione dell'obiettivo d'inflazione, oppure
continuare gli interventi fino al raggiungimento del target sulla dimensione del bilancio della Bce (i due 'trilioni'
già decisi dal Consiglio direttivo). Se gli acquisti si fermassero a 500 miliardi, come qualcuno lascia trapelare,
la credibilità dell'annuncio sarebbe in questione. Data la dimensione limitata del mercato delle obbligazioni
private, inevitabilmente, gli acquisti dovranno includere ammontari consistenti di titoli pubblici. Nell'intenso
fuoco di sbarramento in atto contro il QE, molte voci ne negano l'efficacia, ma i loro argomenti non sono
convincenti. L'intervento sosterrà l'attività economica sia spingendo al ribasso il cambio dell'euro (come già
sta avvenendo per l'effetto annuncio, finalmente!), sia facilitando la riduzione dell'eccesso di debito (
deleveraging ) pubblico e privato attraverso la riduzione dei tassi a lunga - che a tal fine devono restare per
molto tempo al di sotto del tasso di crescita nominale del pil. La discesa dei tassi sui debiti pubblici trascinerà
al ribasso anche quelli sulle obbligazioni e i prestiti privati, dato che nelle condizioni attuali di segmentazione
dei mercati finanziari il costo dei primi agisce come un 'pavimento' per quello dei secondi. Gli effetti espansivi
saranno più intensi se finalmente la Commissione allenterà i vincoli del patto di stabilità per gli investimenti,
come già indica la nuova comunicazione sulla 'flessibilità' pubblicata martedì scorso. Due questioni cruciali da
risolvere riguardano la scelta sui titoli da acquistare e la gestione dei rischi per il bilancio della Bce. Ogni
acquisto di titoli da parte della banca centrale modifica anche lo spread tra i rendimenti dei titoli dei paesi
dell'eurozona. Il processo di convergenza degli spread sarebbe più rapido se la Bce concentrasse i suoi
acquisti sui titoli dei paesi più indebitati, ma avverrebbe anche se la Bce comperasse solo Bund tedeschi.
Infatti, la nuova liquidità finirebbe comunque per affluire sul mercato dei titoli più rischiosi, che garantiscono
rendimenti più elevati. Nella visione della Bundesbank, però, la riduzione degli spread è fonte di azzardo
morale, attenuando l'incentivo a correggere gli squilibri di bilancio nei paesi spendaccioni; ma una politica
monetaria espansiva che non modifica i prezzi relativi delle attività finanziarie semplicemente non esiste. La
soluzione più lineare e meno controversa per la Bce è di acquistare i titoli dei paesi dell'eurozona in
proporzione data da una chiave non controversa, come le quote dei paesi membri nel capitale della Bce o nel
pil aggregato dell'Eurozona. È importante che allo stesso tempo i paesi indebitati mantengano l'acceleratore
pigiato sulle riforme economiche, che resta il miglior viatico per la capacità di Draghi di convincere i colleghi
del Consiglio direttivo a espandere. La Bce ha gli strumenti per aumentare la pressione su chi eventualmente
perdesse la direzione (Grecia post-elezioni inclusa). La seconda questione cruciale è come gestire possibile
perdite della Bce sul suo portafoglio titoli. Nel caso di una banca centrale nazionale, il rischio degli interventi
di mercato aperto ricade automaticamente sul bilancio pubblico, che è il garante ultimo dell'offerta di moneta
e delle passività della banca centrale. Nel caso della Bce, invece, un back-stop fiscale non esiste; peggio, se
la Bce assumesse tali perdite a seguito dell'insolvenza di un debitore sovrano dell'eurozona, ciò
configurerebbe secondo alcuni una violazione del divieto di bail out previsto dall'articolo 125 del Trattato di
Lisbona. La soluzione logica sarebbe di guardare per questa funzione di back-stop al bilancio del
Meccanismo europeo di stabilità, che già costituisce il nucleo di una futura capacità fiscale dell'eurozona, ma
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
291
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[ L'ANALISI ]
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
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per i tedeschi per ora questa è una bestemmia. Se ogni stato garantisse le perdite sui suoi titoli, l'effetto sui
tassi dei paesi indebitati potrebbe attenuarsi fino a scomparire; superare il problema facendo acquistare da
ogni banca centrale i titoli del suo paese equivarrebbe ad annunciare la fine della politica monetaria comune.
In pratica, il problema è meno intrattabile di quel che sembra: con ogni probabilità all'inizio la Bce registrerà
consistenti guadagni in conto capitale sui titoli acquistati, man mano che i tassi scenderanno. Questi
guadagni costituiranno un cuscinetto più che adeguato per coprire eventuali perdite su alcuni dei titoli in
portafoglio. In effetti, già in occasione della ristrutturazione del debito greco, nell'estate del 2011, la Bce
compensò le sue perdite con guadagni realizzati in precedenza. MERRIL LYNCH S.DI MEO
19/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:581000)
Generali, Greco e la luce dell'Est
Adriano Bonafede
Èuno dei business più redditizi del gruppo. Dislocato in paesi che crescono al 3% all'anno con ottime
possibilità di espansione. All'indomani dell'acquisizione per 1,2 miliardi dell'ultima tranche (24%) di Gph, la jv
di Generali con Petr Kellner nei paesi dell'Est Europa, le strategie del ceo Mario Greco diventano più chiare.
segue a pagina 15 L'Europa dell'Est non è più soltanto un business in mezzo agli altri ma quello dove le
possibilità di crescita sono migliori di tutti gli altri. Certo, sono pur sempre mercati rischiosi: «Più che altro
sono complicati», dice Greco. «Ma anche per questo la soddisfazione è stata grande». Basti pensare che, a
fronte del 5% dei premi di tutto il gruppo, la Cee (Europa dell'Est, appunto) ha consentito di portare a casa a
fine 2013 ben l'11% del risultato operativo. Neanche l'Italia che pure è la migliore in Europa per redditività ha fatto meglio in termini percentuali: di fronte al 30 per cento dei premi ha fatto incamerare al Leone il 42 per
cento del risultato operativo. «Non c'è dubbio - è il commento di Gianluca Ferrari di Mediobanca Securities -.
Per Generali l'Est Europa è la killer application , quella che la distingue dai competitor e che questi non
hanno. Axa e Prudential possono vantare una forte presenza in Asia, Allianz in America con la sgr Pimco, ma
solo Generali ha questa presenza nell'Europa orientale». Generali è ben radicata in ben dodici paesi
dell'Europa dell'est con un ranking tra il primo (Repubblica Ceca) e il nono posto (Romania) di ogni singolo
mercato. A ben guardare, però, il grosso del business è concentrato nella "ricca" Repubblica Ceca, dove si
trova quasi il 50 per cento del giro d'affari con 1,506 miliardi di premi su un totale di 3,107 dell'intera area. Un
bel posizionamento anche in Polonia, altro mercato relativamente ricco, a cui fanno capo 529 milioni di premi,
ma dove il Leone è soltanto al settimo posto e quindi può in prospettiva crescere di più. Certo, ci sono anche
delle posizioni incagliate, come il 38,5 per cento nella russa Ingosstrakh, di cui ha dovuto svalutare parte
degli avviamenti ma che soprattutto non serve a nulla visto che è sfumata per ora la possibilità di arrivare alla
maggioranza assoluta. Complessivamente, però la posizione di Generali nell'area è buona. E il merito di
questa presenza è, paradossalmente, dell'ex ad Giovanni Perissinotto, con cui ci sono ancora pendenze
legali, ma che nel 2007 varò l'accordo di joint venture con il finanziere Petr Kellner. Ovviamente non tutto
andò liscio negli anni successivi e una buona parte dell'esito favorevole dell'operazione è da accreditarsi
all'opera di Mario Greco. Nel 2009, per quanto riguarda la struttura della joint venture, Generali aveva
rinegoziato gli accordi per la completa acquisizione della società definendo un complesso sistema di put e
call con il partner. Gli accordi avevano originato però incertezza sul prezzo di acquisto e, negli anni
successivi, dubbi da parte del mercato sulla possibilità di far fronte all'investimento senza ricorrere a risorse
esterne. Si era ventilata a un certo punto, nel 2012, anche la possibilità di fare un aumento di capitale per
pagare quei 2,5 miliardi che servivano. Qui è entrato all'opera Greco che è riuscito a chiudere l'operazione
con i soli mezzi propri di Generali. Ciò grazie al turnaround del gruppo impresso dal Greco con il
rafforzamento del capitale e le dismissioni di asset non core concluse già nel 2013: Migdal (700 milioni); 12%
Banca Generali (200 milioni); Generali Usa Re (700 milioni); minoranze in Messico (600 milioni). Archiviata
felicemente l'operazione Kellner, Generali ora si concentra sui target del piano industriale, in gran parte già
realizzati (il prossimo sarà presentato il 27 maggio a Londra). In particolare, scrive Jp Morgan Cazenove nel
report del 12 gennaio scorso, il Solvency 1 pro forma del dicembre 2014 è salito, grazie alla vendita della
svizzera Bsi, al 166 per cento rispetto al 141 della fine del 2013. Un aumento che lo mette quasi al pari dei
concorrenti (mentre nel momento peggiore della crisi italiana, con i tassi dei Btp saliti oltre il 7 per cento, era
sceso fin sotto il 120 per cento). «Il downgrade che ci ha dato Standard & Poor's è esclusivamente motivato
con il fatto che risediamo in Italia». Il turnaround di Greco è quasi completato. Il ceo ha agito su diversi fronti
contemporaneamente. Da una parte ha completamente rinnovato la linea del management con molte
immissioni di executive stranieri. Dall'altra ha agito sui diversi segmenti di business e sulle articolazioni
territoriali: in Francia, ad esempio, ha cambiato il mix di prodotti venduti nel vita, che erano troppo spostati
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[ IL CASO ]
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La Repubblica - Affari Finanza - N.2 - 19 gennaio 2015
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sulla fascia più ricca, mentre nel danni c'erano troppi portafogli non redditizi che sono stati via via ceduti.
L'Italia è invece redditizia ma il fatturato si restringe di anno in anno per la deflazione, costringendo il ceo a
puntare molte carte sul taglio dei costi, e la riduzione da quattro a un solo marchio ne è stata l'architrave.
L'Estremo Oriente - presentato a volte dall'esterno come una via salvifica - in realtà ha bisogno di tempo e di
grossi investimenti per vedere un ritorno in termini di redditività. La Cina, comunque, dove Generali ha 700
milioni di premi fra vita e danni, è considerata prospetticamente il mercato più interessante. Recenti
acquisizioni sono state fatte in Malesia, in Indonesia, Vietnam, mentre il Leone è già presente a Hong Kong e
Singapore e in India aspetta che le leggi consentano agli stranieri di passare al 26 al 49%. Gli occhi degli
analisti - per ben l'82% divisi tra "buy" e "hold" - sono adesso puntati sui dividendi. Greco ha nei mesi scorsi
strizzato l'occhio al mercato, lasciando intendere che il payout sarà più elevato del solito. «Noi - dice Matteo
Ghilotti, head of Italian Equity Research di Equita - ci aspettiamo 56 cent per azione, con un dividend yield ai
prezzi attuali intorno al 3%, a meno che non ci siano delle sorprese positive perché Greco aveva lasciato
intendere che potrebbe essere vicino al 4, in linea con quello dei diretti concorrenti». S.DI MEO
Foto: Nei grafici a sinistra, la distribuzione geografica della raccolta premi e del risultato operativo di Generali,
la presenza nei vari paesi dell'Europa dell'Est e il combined ratio di queste aree Qui sopra, il ceo di
Assicurazioni Generali, Mario Greco Secondo alcuni analisti, l'Est Europa è la killer application del Leone di
Trieste nel contesto competitivo
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Messina: "Aumentiamo il credito da Intesa 35 miliardi nel 2015"
Marco Panara
Nel 2016 gli azionisti di Intesa Sanpaolo potrebbero scoprire che i 5 miliardi dell'aumento del capitale del
2011 sono stati in realtà una sorta di prestito. «Abbiamo capitale in eccesso e se i requisiti patrimoniali non
saranno inaspriti, la parte che non sarà assorbita da eventuali acquisizioni sarà restituita agli azionisti». Carlo
Messina è amministratore delegato della prima banca italiana da 14 mesi e si trova nella invidiabile posizione
di avere troppi soldi in cassa: dopo gli stress test effettuati della Bce circa 13 miliardi. Il Santander invece
aumenta il capitale. «E molti altri lo faranno nei prossimi mesi». segue a pagina 2 segue dalla prima Cosa
glielo fa pensare? «L'esito dell'esercizio di valutazione di Francoforte spingerà molti istituti a rafforzare il
patrimonio, e chi non riuscirà a farlo sul mercato si accorperà con istituti più robusti. Intesa Sanpaolo si trova
nella situazione opposta, in Europa è ai primissimi posti per i requisiti patrimoniali». Accorpamenti ci saranno
anche in Italia e voi avete capitale in eccesso da investire. «Nell'area retail non faremo acquisizioni né in Italia
né all'estero». Quindi niente Mps o Carige. «Niente Mps o Carige. Cercheremo invece anche la crescita
esterna nei settori del private banking e dell'asset management». Nel private banking sembra siano entrate
nel vostro mirino la Banca Cesare Ponti e la britannica Coutts. «La Cesare Ponti è una piccola realtà che non
cambierebbe la nostra struttura, diverso invece è il caso di Coutts, che è un marchio globale importante. Ma
la Royal Bank of Scotland, che la possiede, ha messo in vendita solo la parte internazionale volendo
conservare la casamadre londinese e il marchio. A queste condizioni non ci interessa». Cosa cercate? «Un
marchio internazionale forte a prezzi corretti, e guardiamo a Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera e Asia».
Perché avete deciso di crescere in questo settore? «Perché in Italia ci sta dando molte soddisfazioni e
pensiamo di poter giocare un ruolo importante anche a livello internazionale. In Italia abbiamo Intesa
Sanpaolo Private Banking e Fideuram, che cominceranno ad operare anche a Londra per la clientela italiana,
e riteniamo che questa attività possa crescere in misura rilevante». Pensate di unire le due società? «Stiamo
valutando se costituire una holding con due società distinte oppure due società giuridiche diverse all'interno
di una stessa divisione. Quello che è certo è che i marchi resteranno in vita e i bankers con i loro clienti
resteranno sotto i rispettivi marchi. Il prossimi passi saranno la creazione di una nuova area per i patrimoni
più elevati all'interno di ISP Private Banking o con un muovo marchio e la crescita esterna attraverso
acquisizioni soprattutto all'estero». La seconda area dove volete crescere è l'asset management. «Vogliamo
aumentare le dimensioni e internazionalizzare questa attività, lo faremo scegliendo il partner giusto ma
conservando il 51%: la precondizione di tutto è che non cederemo il controllo del risparmio degli italiani.
L'obiettivo è crescere, e sia per il private banking che per l'asset management sono pronto a considerare la
possibilità di quotare le due società se può rendere più facile questo processo di crescita». Il terzo pilastro
sono le assicurazioni, ma in quel settore di acquisizioni lei non ha mai parlato. «Siamo diventati i primi in Italia
come produzione nel vita con una forte crescita interna. Non ci dispiacerebbe investire all'estero anche in
questo settore ma i mercati sono presidiati da operatori forti e realisticamente è difficile che si creino
opportunità davvero interessanti». Private banking, asset management, assicurazioni: state cambiando il
vostro dna? «Noi siamo una banca e continueremo ad esserlo. Da giugno 2011, quando lo spread era
schizzato a 500 punti base, a due settimane fa, abbiamo erogato 120 miliardi di euro a medio e lungo
termine, nel solo 2014 abbiamo erogato 28 miliardi, più delle erogazioni di tutte le altre banche messe
insieme. Nel 2015 erogheremo 35 miliardi. Siamo quindi una banca perché facciamo essenzialmente credito.
Poi abbiamo avuto l'intuizione di diversificare nel settore del risparmio e dell'investment banking, che con i
loro profitti ci hanno consentito di andare avanti in questi anni nei quali le sofferenze si mangiavano tutti i
margini da intermediazione». Come spiega questa crescita della redditività nel settore del risparmio? «E' il
duplice effetto della propensione al risparmio delle famiglie indotta dal clima di incertezza e della discesa dei
tassi sugli investimenti più tradizionali. Le famiglie hanno più liquidità e cercano nel risparmio gestito una
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INTERVISTA
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redditività maggiore rispetto a quella offerta dai titoli di Stato». Questa incertezza è destinata a continuare?
«Ci sono segnali positivi. Le imprese orientate all'export sono in recupero anche nella domanda di credito,
per quelle rivolte alla domanda interna la grande selezione è già avvenuta. Ce lo dicono le sofferenze e i
crediti problematici la cui crescita si sta attenuando, che il picco su quel fronte è stato chiaramente superato.
Quelli che hanno retto sono pronti a cogliere il miglioramento della congiuntura, che potrebbe essere
stimolato da due fattori macroeconomici straordinariamente favorevoli, come la flessione dell'euro e la caduta
dei prezzi del petrolio. Noi prevediamo per il 2015 una crescita del pil tra lo 0,4 e lo 0,6%, ma l'effetto euro e
l'effetto petrolio potrebbero aggiungere più di qualche decimo di punto a questa previsione. Infine vorrei
aggiungere l'Expo, che può dare una ulteriore spinta». Ora probabilmente arriverà anche il Quantitative
Easing. Che effetto si aspetta? «Nella sostanza il Quantitive Easing è già in corso dal maggio scorso. Il vero
obiettivo nella mia percezione è la svalutazione dell'euro, perché è la sola cosa che nel breve periodo può
avere un effetto sull'economia reale. In questa accezione è già in essere e l'impatto è significativo. Ritengo
ragionevole che partirà anche l'acquisto di titoli e mi aspetto una compressione degli spread e una ulteriore
riduzione del tasso di cambio». A parte il cambio quali vantaggi può trarne l'economia reale? «La riduzione di
spread e tassi crea uno scenario favorevole per altre tipologie di investimento, l'importante è che le aziende
colgano questa opportunità facendo aumenti di capitale per riequilibrare la propria struttura patrimoniale e per
investire. Se questo accadesse il quantitative easing avrebbe un effetto particolarmente virtuoso». Il vostro
piano industriale dedica particolare attenzione alla banca dei territori. Qual è il problema? «E' il cuore della
banca. Aveva fondamentali forti, i migliori clienti e il miglior posizionamento sul mercato, ma non guadagnava.
Due anni fa, quando mi è stata affidata quella responsabilità mi sono chiesto perché e ho scoperto che il
problema era la cura delle persone, la chiarezza della linea di comando. Coinvolgendo i capi delle aree
regionali in pochi mesi abbiamo messo a punto un piano di azione che puntava a una semplificazione
operativa rendendo esplicita la catena di comando, prevedeva investimenti sulle funzioni più redditizie e
interventi sul credito e sugli incagli. I risultati si sono visti presto». Lei ha cambiato tutta la prima linea, era lì il
problema? «No, noi abbiamo riorganizzato l'intera struttura e abbiamo deciso di fare due cose: affidare le
leve del gruppo, non solo nella banca dei territori, a uomini e donne che hanno 10-15 anni di carriera davanti
e creare percorsi per far crescere la classe dirigente del domani, con grande attenzione alla motivazione di
tutti». Questa ristrutturazione cambia anche il perimetro del gruppo? «Ovviamente abbiamo fatto un forte
investimento sulla multicanalità integrata ( la banca on line, ndr ) dove contiamo già 4,5 milioni di clienti, ma
riteniamo che il rapporto personale sia per i nostri clienti ancora fondamentale. Abbiamo quindi razionalizzato
la rete che è già scesa da 6.300 a 3.800 sportelli e scenderà fino a 3.300, ma abbiamo allo stesso tempo
deciso di tenere nel gruppo i 4.500 esuberi che erano previsti in precedenza perché la nostra linea non è
ridurre il personale ma puntare sui ricavi, e i risultati ci stanno premiando». Sulla banca dei territori il grosso
del lavoro sembra fatto, perché ha conservato la delega? «Abbiamo fatto la parte più importante, ora resta
quella "politicamente" più delicata, l'integrazione di 11 delle sedici banche del gruppo. E' un passaggio che
tocca interessi e situazioni complesse ed è bene che se ne faccia carico l'amministratore delegato». A quali
marchi rinuncerete? «Non abbiamo ancora deciso. Abbiamo fatto un sondaggio presso i nostri clienti e
abbiamo scoperto che per loro sono più importanti le persone che il marchio. Le aggiungo che la
razionalizzazione è inevitabile». In questa specie di rivoluzione avete ristrutturato anche l'area investment
banking. «Abbiamo riorganizzato la struttura per settori industriali, per valorizzare le persone e le loro
competenze in vista del grosso lavoro che ci sarà da fare soprattutto negli aumenti di capitale delle imprese
nostre clienti. E abbiamo avviato anche qui il passaggio generazionale nominando il nuovo amministratore
delegato di Banca Imi, mentre Gaetano Miccichè resterà al vertice della divisione fino alla scadenza del
consiglio di gestione di Intesa SanPaolo del quale è membro». All'investment banking è stata sottratta però la
gestione delle partecipazioni, passata a una nuova divisione che avete chiamato Capital light bank. Cosa fa?
«E' l'unità di business alla quale è stata affidata la gestione di tutte le attività che devono essere valorizzate e
dismesse. Quindi crediti in sofferenza da recuperare o da cedere, prestiti internazionali sindacati cedibili e
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tutte le partecipazioni non strategiche da vendere». Tra queste ce ne sono alcune che, se non strategiche per
voi, lo sono per i sistemi di potere del paese, da Telecom a Rcs. Che indicazioni ha dato per la loro cessione?
«L'unico criterio è il risultato economico, non quello delle logiche di potere. Appena si creano le condizioni per
guadagnarci o, in alcuni casi, per perderci il meno possibile, si vendono. Tutto qui». Lei ha cambiato
praticamente tutte le prime linee della banca, quanto hanno pesato nelle scelte le Fondazioni azioniste? «Non
ho avuto nessuna interferenza. La governance attuale con il presidente del consiglio di sorveglianza Giovanni
Bazoli e il presidente del Comitato di gestione Gian Maria Gros Pietro mi ha consentito di gestire la banca in
totale autonomia». Quindi il duale non è per lei un problema? «Le confesso che la questione non mi
appassiona. Quello a cui sono molto interessato sono i poteri dell'amministratore delegato e non transigo sul
fatto che debba avere tutti i poteri necessari per gestire la banca. Ora c'è una commissione del consiglio di
sorveglianza che sta esaminando gli aspetti di governance per individuare la soluzione migliore per il
gruppo». I primi nove mesi dell'anno hanno visto una notevole crescita delle redditività, qual è la situazione a
fine 2014? «Sui risultati finali non commento. Confermo che quest'anno distribuiremo un miliardo di dividendi
e confermo l'impegno a distribuire 10 miliardi di qui alla fine del piano». Intesa Sanpaolo S.DI MEO
Foto: Carlo Messina , ceo di Intesa Sp
Foto: A destra, l'ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina : "Abbiamo ridotto le filiali senza esuberi. Puntiamo
sull'aumento dei ricavi " Il presidente del Consiglio di sorveglianza Giovanni Bazoli (1), del Comitato di
gestione Gian Maria Gros Pietro (2) e il numero uno della divisione Corporate Investment Banking Gaetano
Miccichè (3)
Foto: A sinistra, Intesa Sanpaolo è la banca più patrimonializzata in Europa in relazione ai requisiti di Basilea
3 Qui sopra, la crescita in Borsa del titolo Intesa Sanpaolo dal settembre 2013 ad oggi: la banca italiana è al
primo posto fra i grandi istituti internazionali
19/01/2015
Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
Pag. 1.11
Sud Melfi e Pomigliano valgono il 10% del Pil
RINALDO GIANOLA
A pagina 11
Vent'anni fa, mentre uscivano i primi modelli della Punto dalla fabbrica di Melfi, l'amministratore delegato
Cesare Romiti spiegò che la «Fiat scende al Sud perché l'industria è il collante dell'unità del Paese». Oggi il
sindaco della città lucana, Livio Valvano, iscritto al Psi, «l'unico vero partito socialista», rimarca l'interessato,
ha altre sfide da affrontare dopo che Sergio Marchionne ha promesso 1.500 nuovi posti di lavoro. Problemi
ben più impegnativi rispetto ai pregiudizi leghisti o alle critiche sulla produttività dei lavoratori del
Mezzogiorno. Il polo industriale della Basilicata, che comprende anche la Barilla e la filiera agroalimentare, è
troppo importante, così come gli altri impianti dell'auto al Sud: la piana di San Nicola e lo stabilimento di
Pomigliano d'Arco, con la rete dell'indotto, sono in grado di rappresentare fino al 10% del Pil del
Mezzogiorno, come avvenne negli anni d'oro.
«Melfi si deve confrontare con gli Stati Uniti, il Messico, il Brasile. Questa per noi è una ripartenza: vogliamo
cogliere l'occasione per rendere la fabbrica e la città competitive con gli altri centri produttivi di Fiat-Chrysler,
sappiamo che Marchionne continuerà a investire qui solo se avrà risultati positivi», avverte. E allora via l'Imu
sulla prima casa, incentivi ai proprietari che affittano e aiuti ai lavoratori di Pomigliano e Cassino che saranno
trasferiti a Melfi: il comune concederà un assegno di 250 euro al mese per tre anni. Una sorta di welfare
municipale per l'occupazione.
Prototipo
Ma questo sforzo non deve sorprendere. Nella città di Federico II di Svevia, Fiat Sata, che oggi occupa 5.916
dipendenti diretti (circa 12mila con l'indotto), è sempre stata, fin da quando venne ideata alla fine degli anni
Ottanta, un paradigma flessibile capace di cambiare, un prototipo di organizzazione, di contratti, di tempi,
ritmi e condizioni di lavoro originale per l'Italia di allora. Con ritocchi e correzioni, si è protratto fino a oggi. Per
ringiovanire e rinnovare gli occupati e le produzioni, nonché per superare il modello fordista delle grandi
cattedrali metalmeccaniche, la Fiat scelse la via del Mezzogiorno e la filosofia del «prato verde» convinta che
un terreno sociale vergine, immune dalle influenze del conflitto dell'industrializzazione, e dunque permeabile
alle indicazioni e alle sollecitazioni della nuova «fabbrica integrata», potesse garantire il pieno controllo e il
successo del polo produttivo.
In un intervento sulla rivista Meridiana , che fece molto discutere, il portavoce della Fiat di quei tempi, Cesare
Annibaldi, spiegò che Torino preferiva«aree fondamentalmente agricole, dove la manodopera si adatta più
facilmente al lavoro industriale; è il ruolo del lavoro agricolo che, di sua natura, non è contestativo». Per la
verità anche i dipendenti lucani hanno poi imparato a farsi sentire, ma certo la Fiat a Melfi ha potuto
sperimentare e rafforzare un modello produttivo efficace, con il significativo contributo iniziale dello Stato e la
benevolenza dei sindacati confederali che, già vent'anni fa e dunque ben prima della cura Marchionne,
accettarono tutte le condizioni poste dal gruppo torinese pur di ottenere l'investimento al Sud: produzione
continua su tre turni di otto ore al giorno, per sei giorni alla settimana compreso il sabato, lavoro notturno
anche per le donne.
Se oggi i dipendenti Fiat devono misurare la loro efficienza con i parametri del World class manufacturing, a
Melfi hanno sperimentato a lungo le condizioni della «fabbrica integrata», o del «consenso» si disse, perché
agli operai e ai tecnici organizzati nelle Ute (acronimo di Unità tecnologiche elementari) che superavano le
vecchie squadre operaie, si chiedeva di essere «polivalenti e funzionali», più responsabili, di lavorare in team
e di «diffondere la cultura del miglioramento continuo».
Un'altra era
Agnelli e Romiti guardavano al Sud per rafforzare la Fiat in un mercato dove, dopo l'acquisto dell'Alfa Romeo,
il gruppo manteneva una quota di mercato superiore al 50%. Oggi, da Detroit, Marchionne punta su Melfi con
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Rilancio Fiat
19/01/2015
Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
Pag. 1.11
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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la Jeep Renegade e la nuova 500X per combattere sul fronte planetario dell'auto e mantenere un posto tra i
grandi produttori mondiali. In effetti, la battaglia per difendere le quote di mercato nel cortile di casa oggi si è
trasformata in una guerra per la sopravvivenza.
Forse ci sono segnali di una pagina che cambia. La Fiat Sata fu il più importante e coraggioso investimento
industriale nella stagione della politica dei redditi, dopo la drammatica crisi del 1992: l'accordo Ciampisindacati salvò il Paese, rilanciò l'industria e, pur a fatica, portò l'Italia in Europa. Melfi fu un'iniezione di
fiducia nel corpo di un Paese malato. Si può replicare?
In coincidenza con il Jobs Act e le esenzioni contributive per i neoassunti decise dal premier Matteo Renzi,
arrivano gli investimenti Fca e i nuovi posti di lavoro in Italia. Che le due cose siano legate e conseguenti
conta poco. Però qualche cosa si muove: accanto a Melfi, il governo si è impegnato per la riapertura di
Termini Imerese e nel piano di reindustrializzazione dell'ex Irisbus di Avellino, due impianti chiusi dalla stessa
Fiat. Il rafforzamento della vocazione manifatturiera fa bene all'Italia e al Sud in particolare, dove tante
speranze sono svanite.
«Investire a Melfi con 1.500 nuovi occupati è un affare per la Fiat», sostiene Nino D'Agostino, economista
originario di Melfi che ha passato una vita a studiare politiche per il lavoro al Sud. «In Basilicata ci sono 50
mila giovani che non fanno nulla. Marchionne ha una platea tra cui scegliere: diplomati, laureati, ragazze e
ragazzi capaci e disponibili a molto pur di avere un'occupazione. È un'occasione per ripartire». Tutto a posto,
dunque? «Purtroppo anche oggi manca un disegno pubblico di garanzie e formazione, di infrastrutture
moderne e nuovi centri urbani. E il sindacato - conclude l'economista - conta poco, sempre meno da quando
ha deciso di litigare e dividersi».
rinaldo gianola
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Fca Sergio Marchionne Ieri & Oggi Volti Livio Valvano, sindaco di Melfi Due epoche Sopra, la linea di
montaggio della Fiat Punto a Melfi negli anni Novanta (la produzione iniziò nel 1994). A sinistra, come è oggi
la fabbrica lucana che impiega 5.900 addetti con un indotto che assicura lavoro a circa 12 mila persone. Fca
vi ha portato la Renegade e la 500X
19/01/2015
Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
Pag. 1
Euro e franco svizzero: una cattiva consigliera chiamata paura
DANIELE MANCA
Non facciamoci illusioni. Anche se Mario Draghi riuscirà a convincere i suoi colleghi banchieri centrali a
varare un programma di immissione di liquidità forte sui mercati, il cosidetto Quantitative easing , gli effetti
non saranno né chiari né immediati. Le mosse della Banca centrale svizzera che a sorpresa ha deciso di
sganciare il corso del franco dall'euro hanno contribuito a rendere ancora più complicata la scelta della Bce.
L'euro si è fortemente indebolito. Ma soprattutto si è aggiunto un elemento di volatilità, quindi di incertezza, a
quelli già esistenti. Aiuta poco cercare di individuare paralleli con quanto fatto in passato sia dalla Fed
americana sia dall'istituto centrale giapponese. I tempi sono diversi, e la decisione di Draghi si applicherà a
un'Unione europea la cui coesione è un obiettivo molto lontano. Sarebbe però un errore far prevalere i timori
per quanto verrà deciso. L'azione della Banca centrale europea non si limita alle scelte che ha preso in
passato o prenderà il prossimo 22 gennaio. La decisione di Berna influirà sicuramente, ad esempio, non solo
sull'annuncio del varo del Qe ma anche sui tempi che potrebbero non essere immediati, o scadenzati in
maniera diversa. Parallelamente continuerà l'opera di pressione nei confronti dei Paesi che compongono
l'Europa e che sono più restii ad avviarsi su sentieri di riforme e crescita. La voce della Bce si è fatta sentire in
modo molto netto in passato nei confronti di Spagna, Italia, Irlanda. Le lettere inviate al nostro Paese, così
come la corrispondenza tra Jean Claude Trichet e il primo ministro irlandese, sono cosa pubblica. C'è da
pensare che alla stessa maniera si stia seguendo con attenzione quanto sta accadendo e accadrà in Grecia.
Il voto per il Parlamento di Atene è previsto domenica prossima. Una certezza c'è: a Francoforte non si
improvvisa. L'origine di eventuali paure va cercata altrove.
@daniele_manca
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IL PUNTO
19/01/2015
Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
Pag. 1.12
Industria Modello Carpi per dare un calcio alla crisi
L'economista Mosconi: «Si è formata una nuova elite di medie imprese». I casi, da Twin-Set a Manila Grace
Carlo Pambianco: «Sono decisivi i tempi di risposta al mercato»
dario di vico
Moda Il distretto rinato dopo il terremoto Made in Italy Le Zara italiane? Sono già nate. Tutte a Carpi DI
DARIO DI VICO E ROBERTA SCAGLIARINI Carpi, città del modenese famosa per la maglieria, è stata
protagonista negli ultimi anni di una rivoluzione silenziosa che solo oggi comincia ad emergere. Ad accendere
i riflettori è stato un evento esterno al business, la cavalcata del Carpi Calcio in serie B. Mentre a Bologna il
low cost di Imperial vince con le produzioni a chilometro zero. A PAGINA 12 didascalia: Twin-Set Simona
Barbieri
Forse dovremo studiare tutti il modello Carpi. La piccola città del Modenese, famosa per la maglieria, è stata
protagonista negli ultimi anni di una rivoluzione silenziosa che solo oggi comincia ad emergere. Come spesso
capita ad accendere i riflettori è stato un evento esterno al business, la cavalcata del Carpi Calcio in testa alla
classifica della serie B. La provincia modenese è terra di sorprese nel football (Sassuolo non è lontana) e a
Carpi risiede non solo l'azionista del team locale (Stefano Bonacini) ma anche il presidente dell'Hellas Verona
(Maurizio Setti).
La rivoluzione silenziosa di cui parliamo però non è stata fatta a colpi di goal bensì grazie alla trasformazione
del modello di business che ha portato il vecchio distretto della maglieria a diventare una piccola capitale del
pronto moda italiano. Lo studio Pambianco ha stilato una classifica delle aziende dell'abbigliamento che
potrebbero quotarsi nel giro di poco tempo. Ebbene ben 4 sono di Carpi. I nomi sono quelli di Twin-Set,
Blumarine, Liu Jo e Manila Grace. Con l'eccezione della prima, controllata dal fondo Carlyle, sono aziende di
famiglia che hanno saputo rinnovarsi e curare meticolosamente i propri brand.
Tutto questo fa dire a Carlo Pambianco che i carpigiani hanno messo in atto un'operazione à la Zara. Spiega
il consulente milanese: «Ormai sono in grado di sfornare e consegnare subito ogni 2-4 settimane una nuova
mini-collezione da 10-20 prodotti. Non si tratta di grossi volumi ma è decisiva la tempistica di risposta al
mercato. Non servono più i venditori e il negozio non ha più tempi morti, è rifornito quasi in continuazione.
Naturalmente questo modello ha il suo completamento naturale nella rete di punti vendita monomarca che
funzionano in andata come sensori dei gusti del mercato e in ritorno come il miglior meccanismo distributivo».
Contesto
Per apprezzare ancora di più questa trasformazione vale la pena sottolineare come sia avvenuta in condizioni
di contesto decisamente sfavorevoli che possiamo sintetizzare in tre fattori: a) la Grande Crisi; b) il terremoto
che ha squassato l'Emilia nel 2012; c) l'invasione di micro-aziende cinesi che a un certo punto ha fatto dire a
molti che Carpi avrebbe fatto la fine di Prato.
Proviamo a vedere qualche numero e qualche nome della rivoluzione carpigiana. Nella classifica di
Pambianco in testa troviamo Twin-Set, 700 dipendenti, un fatturato 2013 pari a 177 milioni di euro, un ebitda
del 23% e una rete che tra boutique monobrand e franchising conta 60 negozi. Twin-Set è stata fondata da
Simona Barbieri e Tiziano Sgarbi ma dal 2012 ha come socio di maggioranza il fondo Carlyle. Dietro di loro si
intravede la sagoma di Liu Jo, nata a metà degli anni '90 ad opera dei fratelli Vannis e Marco Marchi e
cresciuta fino a un fatturato 2013 di 278 milioni. I negozi monomarca sono 320 e l'ebitda è del 18%.
Blumarine è forse la decana delle imprese di abbigliamento di successo del distretto e ha avuto addirittura
Carla Bruni come mannequin. È di proprietà della famiglia Tarabini ed esporta al 70%. Chiude la fila delle
quotabili Manila Grace il cui presidente è Maurizio Setti.
Punta dell'iceberg
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Fenomeni La città del modenese, ha portato la sua squadra di football al vertice della serie B. Ma dietro c'è il
successo di un intero distretto
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Corriere Economia - N.19 - gennaio 2015
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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«Sono la punta dell'iceberg di un distretto che vale 1,4 miliardi di euro - commenta Franco Mosconi,
economista, carpigiano d'adozione e attento osservatore del modello emiliano -. Le prime quattro-cinque
imprese sono oggi responsabili di quasi la metà del fatturato distrettuale e, più in generale, prosegue il
processo di concentrazione che ha portato alla formazione di una nuova élite di medie imprese, una
quindicina, tutte dotate di un marchio proprio». Una di queste è la Gaudì, di proprietà di Stefano Bonacini che
tre anni fa si è preso in carico anche la squadra di calcio locale e l'ha portata prima in B e ora in testa alla
classifica con il rischio di andare in A. Il Carpi Calcio ha come sponsor la Blumarine e nella compagine
societaria ci sono altri imprenditori dell'abbigliamento come Claudio Cajumi.
«Non so onestamente come potrà fare il Carpi in serie A perché lo stadio ha bisogno di interventi radicali dice Florio Magnanini, direttore del settimanale locale Voce - ma è chiaro che i successi calcistici stanno
alimentando la competizione con Modena. Ovviamente i veri cambiamenti sono altri: una volta Giorgio Bocca
ci descrisse come i cinesi d'Europa oggi invece da Carpi escono marchi di grande prestigio». L'approdo in
Borsa però è ancora visto in maniera più problematica, «tranne in una o due eccezioni manca ancora una
cultura finanziaria alla milanese» chiosa Magnanini.
P.S. Quanto ai cinesi di oggi sembra sfatata la profezia di Carpi come la Prato dell'Emilia: in città assicurano
che non sta andando così e che gli asiatici fanno parte della filiera produttiva locale. Insomma non giocano
contro.
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Dati in milioni di euro *A valore negativo corrisponde un guadagno, al contrario, un valore positivo significa
un indebitamento Ricavi Ebitda Ebitda sui ricavi Valore Pos. finanziaria netta* Antress Industry 2011 2012
2013 55 5 8,3% 55 3 5,6% 52 4 7,6% 9 21 Brand Manila Grace, Sonia de Nisco Amministratore delegato
Marco Marchi Tiziano Sgarbi Gianguido Tarabini Maurizio Setti Ricavi Ebitda Ebitda sui ricavi Valore Pos.
finanziaria netta* Blufin 2011 2012 2013 Brand Bluemarine, Blugirl, Anna Molinari 79 6 8,1% 71 8 10,7% 64 6
8,9% 24 -9 Ricavi Ebitda Ebitda sui ricavi Valore Pos. finanziaria netta* Brand Twin-Set Simona Barbieri,
Scee Twin-Set 2011 2012 103 26 25% 144 36 25% 177 40 23% 162 61 2013 Brand Tutte le linee Liu Jo
Ricavi Ebitda Ebitda sui ricavi Valore Pos. finanziaria netta* Liu Jo 2011 2012 257 54 21,1% 272 55 20,3%
278 50 18% 235 -30 2013 Export 23% Export 70% Export 30% Expo Fonte: Pambianco
Foto: In campo Stefano Bonacini (Carpi calcio)
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Sarà uno a uno?
Massimo Brambilla
Tra poco un euro varrà come un dollaro: questo si aspetta il mercato. Ha ragione? E cosa succede ai vostri
soldi? $1=€1 di Massimo Brambilla L'incertezza politica sulla Grecia, che andrà alle urne il 25 gennaio, e
l'adozione ormai certa di un Quantitative easing in piena regola anche da parte della Bce, che si riunirà
giovedì 22, non hanno lasciato scampo alla Snb, la Banca centrale svizzera: a partire dall'11 dicembre
scorso, quando il premier greco Samaras ha anticipato le elezioni presidenziali andate poi a vuoto anche
nella terza e ultima votazione parlamentare sancendo il ritorno alle urne, i capitali in cerca di sicurezza sono
tornati con decisione all'acquisto di franchi svizzeri e dollari Usa. Da allora la soglia di 1,20 franchi svizzeri per
un euro, che il 6 settembre 2011 è stata dichiarata come il livello al di sotto del quale sarebbero scattati gli
acquisti di euro da parte della Swiss National bank per impedire l'eccessivo rafforzamento della propria
valuta, è stata messa quasi costantemente sotto pressione, perfino violata il giorno di Natale quando il
cambio è giunto a 0,988 prima che intervenisse la Snb. Analogamente, nello stesso periodo il dollaro è
passato da un cambio di 1,25 per un euro su cui viaggiava a metà dicembre, fino a quota 1,18-1,17
approcciata nelle sedute immediatamente precedenti l'abbandono della difesa della propria divisa da parte
dell'istituto centrale di Zurigo, compiendo subito dopo un nuovo rafforzamento fino a 1,15. Ancora franchi.
Impossibile per la Banca centrale elvetica, dato un simile flusso internazionale di capitali che muove
complessivamente 5 mila miliardi di dollari al giorno, continuare a difendere la linea Maginot posta a
protezione di un apprezzamento del franco svizzero giudicato eccessivo nei confronti della competitività del
proprio export, visto che dal settembre 2011 sono stati stampati franchi, con cui comprare titoli di Stato con
rating tripla A (due terzi, di cui gran parte tedeschi) e doppia A (un terzo, francesi ma anche olandesi)
dell'Eurozona acquistando implicitamente la moneta unica cui fornire sostegno, per un ammontare che
supera il 70% del pil. L'abbandono della difesa, annunciato giovedì 15 mattina poco prima delle 11, ha
provocato un'immediata discesa del cambio euro/franco svizzero (e quindi un rafforzamento) da quota 1,20
fino a 0,8597, stabilizzandosi poi poco sopra la parità (quota 1). Il giorno successivo gli sportelli bancari erano
sovraffollati di persone che chiedevano euro in cambio di franchi, convinti di fare un buon affare visto il
cambio diventato improvvisamente così favorevole, dal momento che fino due giorni prima ci volevano 1,2
franchi svizzeri per avere un euro mentre ora un solo franco è sufficiente. La domanda è: hanno fatto davvero
un buon affare?A osservare GRAFICA MF-MILANO FINANZA GRAFICA MF-MILANO FINANZA il grafico del
dollaro, l'altra valuta- rifugio capace anch'essa di apprezzarsi nei momenti di maggiore incertezza
internazionale, sembrerebbe di no. Nel senso che la moneta elvetica sarebbe destinata a rivalutarsi ancora di
più: seguendo la strada percorsa dal cambio euro/dollaro dal 6 settembre 2011, passato da 1,40 a 1,15,
applicando la medesima rivalutazione al franco svizzero si ottiene un cambio con la moneta unica che va da
0,985 a 0,903, a seconda che si consideri, nel primo caso pari a 0,985, la quotazione del 6 settembre 2011
dove il franco si è risollevato a 1,20 per effetto della dichiarazione di intervento espressa dalla banca centrale,
oppure, nel secondo caso che porta a 0,903, la quotazione delle sedute immediatamente precedenti il 6
settembre 2011, quando il franco si era spinto mediamente fino a quota 1,10 convincendo la Snb a scendere
in campo. Ma non finisce qui: visto che la valuta Usa è destinata ad apprezzarsi ancora nei confronti
dell'euro, almeno fino a 1,08 (ma qualche analista pronostica un cambio uno a uno a breve), la proporzione
appena applicata porterebbe in questo scenario il cambio euro/franco svizzero in una fascia compresa tra
0,925 e 0,848. In pratica la divisa elvetica ha tutte le probabilità di ripercorrere con più lucidità, in un'ottica di
medio termine, l'intera escursione compiuta giovedì 15, dove il minimo della giornata si è spinto fino a 0,8597.
Le incertezze sull'esito elettorale greco, su cui pesa la probabile vittoria del partito Syriza contrario alla Troika
(che ha condotto in Grecia all'assalto degli sportelli bancari di questi giorni, dove gli ingenti prelievi di euro
hanno obbligato le banche a richiedere precauzionalmente 3 miliardi di liquidità straordinaria all'istituto
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GUERRE VALUTARIE Così come è successo improvvisamente con il franco svizzero
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centrale), assieme alla crisi russo-ucraina non fanno altro che alimentare la richiesta di franchi svizzeri, tanto
più che l'apprezzamento dell'altro rifugio europeo per eccellenza, ovvero il Bund tedesco, ha raggiunto
quotazioni talmente elevate (il rendimento del decennale è sceso fino al nuovo minimo storico dello 0,38%,
vicino ai minimi giapponesi segnati allo 0,225%) da Janet Yellen (continua a pag. 10) (segue da pag. 9)
lasciare pochi spazi per nuovi apprezzamenti. Ancora dollari. La mossa a sorpresa della Snb di Thomas
Jordan è di fatto una dichiarazione tra banche centrali che il Qe di Mario Draghi è in arrivo, rendendo
insostenibile lo stop all'apprezzamento del franco svizzero dal momento della dichiarazione. Quindi è lecito
prevedere un nuovo indebolimento dell'euro, contro dollaro in testa: tra le principali valute, il biglietto verde è
infatti l'unica che non sia ancora sotto un programma allentamento quantitativo (come invece lo sono la
sterlina inglese e lo yen pilotato dal governatore della BoJ, Haruhiko Kuroda) e soprattutto è l'unica su cui
esistano aspettative certe di un primo rialzo dei tassi, che secondo la Federal Reserve di Janet Yellen
dovrebbe avvenire nel corso dell'estate. In sintesi, la Fed è l'unica banca centrale che si sta muovendo in
senso diametralmente opposto alla Bce, ovvero con una politica monetaria che in termini relativi risulta
restrittiva sostenendo l'apprezzamento del dollaro nei confronti della moneta unica, con l'appoggio di uno
sviluppo del pil e di attese inflative superiori a quelle previste per l'Eurozona. Nel medio termine, ovvero entro
la fine dell'anno, l'analisi grafica individua la fascia compresa tra 1,08 e 1,05 come punto di approdo della
discesa, dove il semaforo verde è giunto con il cedimento dell'importa livello compreso tra 1,19 e 1,165
tracciato sui minimi dell'ultimo decennio. Al di sotto c'è la parità vista nel '99 e nel 2002, nonché i minimi
segnati nel biennio 2000-2001 poco sotto quota 0,84. Nel breve l'andamento dipenderà dalle dichiarazioni
della Bce del 22 gennaio e dall'esito elettorale greco di domenica 25: nel primo caso l'annuncio di un Qe
inferiore a 500 miliardi di euro, o peggio un generica dichiarazione di fattibilità senza la specificazione di
dettagli, procurerebbe un immediato rimbalzo dell'euro almeno fino a quota 1,19, così come se ad Atene non
dovesse prevalere la sinistra Syriza. Ma sarebbe solo un rimbalzo in attesa degli eventi. (riproduzione
riservata)
L'ANALISI TECNICA DEL CAMBIO EURO/DOLLARO
L'ANALISI TECNICA DEL CAMBIO EURO/FRANCO SVIZZERO
Foto: Thomas Jordan Mario Draghi
Foto: Haruhiko Kuroda
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Guido Salerno Aletta
L'economia europea non cresce, mentre i prezzi al consumo tendono a ridursi, nonostante ogni azione fin qui
adottata dalla Bce per sostenere la ripresa. Ha tagliato il tasso di riferimento ai livelli più bassi mai registrati:
da settembre, è stato portato allo 0,05% mentre il rifinanziamento marginale è allo 0,30%. La penalizzazione
dei depositi ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria è stata inasprita, al -0,20%. Le iniziative non
convenzionali, le T-Ltro a quattro anni volte a fornire il sistema bancario fino a 400 miliardi di euro di liquidità
da destinare al credito aggiuntivo, hanno portato alla erogazione di appena 130 miliardi di euro nelle due aste
fin qui effettuate: il mercato se ne attendeva il doppio. Nel frattempo, il sistema bancario ha rimborsato in
anticipo ben 720 miliardi della liquidità ottenuta con le Ltro effettuate tra fine 2012 ed inizio 2013. Il credito
bancario totale, che comprende quello erogato al settore privato dell'economia e alle Pubbliche
amministrazioni, denota una progressiva contrazione sin da marzo 2012, quando arrivò a 16.530 miliardi di
euro: a novembre scorso, si era ridotto a 16.072 miliardi (-458 miliardi). Il credito ai privati, in particolare,
scendeva già novembre 2011: da 13.348 miliardi di allora, a novembre scorso è arrivato a 12.534 miliardi (814 miliardi). Il maggior credito alle Pa è stato di 263 miliardi di euro, crescendo dai 3.256 miliardi di marzo
2012 ai 3.538 miliardi di novembre 2014. Il deleveraging del debito privato ha portato l'Eurozona alla
recessione, ripercorrendo esattamente il paradigma illustrato già nel 1933 da Irving Fischer, secondo cui la
Grande Recessione americana del '29 era stata causata dalla debt-deflation, sinonimo di credit-crunch o
deleveraging. Le misure di consolidamento fiscale e la contrazione del credito hanno stretto l'economia reale
europea in una morsa mortale: la formazione del capitale fisso nell'Eurozona è scesa dai 1.990 miliardi di
euro del 2008 ai 1.693 miliardi del 2013 (-297 miliardi), mentre i disoccupati sono aumentati di 2,5 milioni,
passando dall'11,6% della popolazione attiva nel maggio del 2007 al 18,4% di novembre scorso. L'esercizio
straordinario di vigilanza prudenziale svolto dalla Bce nel corso del 2014 sulle banche di rilievo sistemico,
così come la introduzione di più elevati coefficienti di capitale sulla base degli asset pesati in base al rischio,
hanno ulteriormente disincentivato la erogazione di nuovo credito. Il sistema economico europeo non ha
reagito alla riduzione dei tassi di riferimento, mentre quello bancario non ha acceduto con l'ampiezza attesa
alla liquidità offertagli dalla Bce per erogare nuovo credito. Ci si interroga, ora, sugli effetti di un consistente
Qe mediante l'acquisto di titoli di Stato. È necessario trovare le ragioni profonde di quanto sta accadendo,i
motivi per cui la politica monetaria nell'Eurozona non è stata in grado di riattivare il circuito virtuoso creditoinvestimenti-crescita economica-nuova occupazione. C'è innanzitutto il comportamento rinunciatario dei
consumatori, che risentono ancora dell'effetto di impoverimento indotto dalla caduta dei corsi borsistici
rispetto ai livelli pre-crisi e, soprattutto in Italia, dalla tassazione patrimoniale che ha colpito gli immobili. Non è
casuale che la Fed, nell'ambito del Qe3, abbia acquistato abs immobiliari al fine di ricostituire le disponibilità
degli operatori finanziari necessarie a far riprendere quanto prima il ciclo dei mutui edilizi che contribuisce a
sostenere il valore delle costruzioni. Solo quando i loro valori saranno tornati al livello al quale erano stati
erogati e garantiti i mutui subprime, le famiglie debitrici e le istituzioni finanziarie si sentiranno finalmente al
sicuro. In secondo luogo, essendo stata immiserita la remunerazione dei depositi bancari in parallelo alla
riduzione dei tassi sui prestiti, i risparmiatori hanno investito altrimenti. La pressione esercitata dalle banche
sui buoni debitori, affinché rientrassero dalle esposizioni, si è coniugata con la tendenza a ridurre i depositi: si
è avvitato il ciclo della debt-deflation che porta alla recessione, descritto da Irving. C'è stata una variante
sistemica, l'adozione della «banca universale», che ha ridotto ulteriormente l'efficacia delle politiche
monetarie: a parità di ogni altra condizione, oggi il sistema bancario può scegliere liberamente come
impiegare la raccolta, erogando credito oppure investendo in asset finanziari. Di fronte ad una raccolta
sempre meno cospicua e più liquida, le banche hanno prudentemente preferito investire in titoli negoziati sul
mercato, e quindi facilmente smobilizzabili, piuttosto che impegnarsi nella erogazione di crediti a medio-lungo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Se la banca resta universale inutile sognare la ripresa
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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termine. Anche la liquidità messa a disposizione delle banche centrali sarebbe utilizzabile per operare sui
mercati finanziari: per evitare questi impieghi, sia la Banca di Inghilterra con il programma Funding for lending
sia la Bce con le T-Ltro l'hanno vincolata alla erogazione di credito. Infine, ci sono le asimmetrie tra impieghi
creditizi e finanziari introdotte di recente per valutare la sufficienza del capitale bancario: non c'è un limite alla
leva, al rapporto con gli impieghi, ma un meccanismo che comunque sfavorisce il credito. In conclusione, pur
perseguendo l'obiettivo di migliorare la qualità del credito e di avere banche più capitalizzate per sostenerne i
rischi, si è giunti al risultato opposto: per un verso si fa meno credito e più finanza; per l'altro, ci sono meno
depositi bancari e meno capitale fisso lordo investito. Il risparmio si è finanziarizzato, privilegiando il trading.
Le aziende di credito, nel regime bancario tradizionale, sia quello americano risalente al Glass-Steagall Act
del 1933 sia quello italiano definito dalla legge bancaria del 1936-1938, erano le uniche istituzioni che
potevano beneficiare della possibilità di accedere alla Banca centrale, quale prestatore di ultima istanza, ma
avevano correlativamente il vincolo di impiegare i depositi e la liquidità nel credito commerciale. Nel sistema
odierno, fondato sulla banca universale, gli impieghi sono invece assolutamente liberi, con le negative
conseguenze già ben note: se la Germania ha dovuto spendere ben 247 miliardi di fondi pubblici per i
salvataggi bancari, è a causa degli asset tossici in cui erano stati investiti i depositi dei risparmiatori. Il Qe si
avvicina, e la Bce rischia di immettere altra liquidità in secchio bucato: invece di rimanere a disposizione per il
credito all'economia, potrebbe uscire dai bilanci delle banche per essere impiegata in asset che non hanno
niente a che vedere con i nuovi investimenti, né con la modernizzazione del sistema produttivo europeo. Altra
fatica, e tanti rischi per nulla. Occorre contrastare la debt-deflation, facendo arrivare nuove risorse
all'economia: si dovrebbero comprare titoli pubblici detenuti dalle banche, ma solo a fronte di nuovi
investimenti, oppure sottoscrivere le obbligazioni emesse dalla Bei per finanziarli. Non è il debito pubblico che
oggi può smuovere l'economia, ma l'iniziativa privata, sostenuta dal sistema finanziario e dalle banche:
devono tornare a fare il loro mestiere. Per tornare ai livelli pre-crisi, l'Eurozona deve recuperare 840 miliardi di
minore credito ai privati e un gap di 297 miliardi nella formazione del capitale fisso. Il vero ostacolo alla
politica monetaria, ora, è il modello della «banca universale»: dopo aver affossato l'intero sistema finanziario
occidentale, ora non ha più convenienza ad investire nell'economia reale. Per andare avanti, stavolta
dobbiamo tornare indietro. (riproduzione riservata)
Foto: L'Eurotower
17/01/2015
Milano Finanza - N.12 - 17 gennaio 2015
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Più colomba che falco
Andrea Cabrini
«Il prezzo del petrolio è basso, i tassi di interesse ai minimi, e i cambi favorevoli per l'esportazione. È il
momento giusto per tentare la ripresa. E quello che ci farà ripartire sono le riforme strutturali». Jyrki Katainen,
vicepresidente della Commissione europea ha appena concluso la tappa italiana del road show per
promuovere il nuovo Fondo Europeo di Investimenti Strategici che dovrebbe essere il motore del piano
Juncker. E dopo due giorni fitti di incontri, dal governo ai sindacati, dagli imprenditori agli studenti della
Bocconi, smette i panni del falco rigorista e spiega in questa intervista esclusiva concessa a Class Cnbc, che
impatto avrà per il nostro Paese la svolta sulla flessibilità in Europa. Domanda. Vicepresidente Katainen, qual
è il bilancio della sua missione? Risposta. Molto buono, incoraggiante. L'Italia è uno dei Paesi che sta
promuovendo più investimenti e il nostro piano consiste in tre punti: raccogliere investimenti, creare una lista
trasparente di progetti e di soggetti privati pronti a investire, e convogliare gli investimenti verso aree come il
digitale, l'energia, il mercato dei capitali. Questo tipo di approccio comprensivo può portare a un cambiamento
vero. Non può cambiare tutto, ma sicuramente rappresenterà un forte contributo. D. Molti restano scettici.
Secondo la Banca d'Italia, la crescita nel 2015 sarà solo dello 0.4%. Che cosa serve per ripartire? R. Serve
un'azione sia da parte del governo di Roma che della Ue, oltre che della Bce. Con le riforme strutturali si
potrà incrementare la competitività e creare più posti di lavoro. Abbiamo a che fare con problemi che per la
maggior parte riguardano carenze strutturali, e non dovute al ciclo economico. E, come ho detto, il momento
è quello giusto. D. Quali riforme conteranno di più? R. Sia la riforma della giustizia che del mercato del lavoro
possono garantire un grande cambiamento positivo se vengono implementate in maniera corretta. L'Italia ha
avuto un problema con il sistema giudiziario che ha bloccato gli investimenti privati. Ora una riorganizzazione
più responsabile complessiva sarebbe d'aiuto. Per quanto riguarda il Jobs Act, poi, sono sicuro che aiuterà i
giovani a trovare lavoro. Insomma, sia la flessibilità nel mercato del lavoro che un sistema giudiziario
rinnovato sono due cose molto positive. D. Pensa che Renzi abbia la forza politica per mantenere le
promesse di cambiamento che ha fatto? R. Non voglio valutare nessuno personalmente perché non ho motivi
di dubitare che ciascun leader europeo stia facendo meno del proprio meglio per arrivare al completamento
delle riforme. Da parte della Commissione voglio augurare tutte le fortune al governo perché possa arrivare
alla fine di questo cammino. D. E quello che ha visto qui può aiutare l'Italia a superare l'esame di marzo sulla
legge di stabilità? R. È presto per dirlo. Dobbiamo ancora analizzare le previsioni economiche. E comunque
sia Pierre Moscovici che Vladis Dombrovskis sono incaricati di questo esame. Voglio insistere però sul fatto
che la Commissione darà molto più peso, ora rispetto a prima, alla componente delle riforme strutturali.
Perché non si tratta solo di valutare i rallentamenti del ciclo economico. Le sfide con le quali si confronta
l'Italia sono presenti da decenni. Ecco perché è importante concentrarsi su queste riforme. D. È questo il
senso delle norme sulla flessibilità che avete annunciato nei giorni scorsi? R. Uno dei cambiamenti introdotti
dalla Commissione riguarda la velocità con la quale verrà richiesto il consolidamento dei conti. Se un Paese è
sotto il 3% e rischia l'apertura di una procedura di infrazione europea, la procedura di consolidamento può
essere un po' più lenta di quanto non fosse richiesto in passato. Questo può aiutare i paesi a risolvere questo
tipo di situazioni perché fornisce un po' più di flessibilità. Insisto però sul fatto che non si tratta di un
cambiamento delle regole, ma solo di un utilizzo più flessibile delle norme esistenti. D. Un compromesso o
una svolta? R. Ripeto: una delle cose che cambia è la velocità del consolidamento. E se un Paese è in
condizioni difficili diamo più peso alle riforme strutturali. Se vengono portate a termine, sarà possibile evitare
eventuali sanzioni. D. Si può considerare una vittoria di Renzi? R. Molti primi ministri hanno chiesto maggiore
chiarezza sul patto di stabilità. L'anno scorso era stato deciso che non lo avremmo cambiato, ma che
andavano chiarite, per quanto possibile, le regole esistenti. Penso questo sia stata fatto e recepito in maniera
positiva. D. Che cosa finanzierà in concreto il nuovo Fondo Europeo di Investimenti Strategici? Ha trovato dei
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METAMORFOSI Intervista
17/01/2015
Milano Finanza - N.12 - 17 gennaio 2015
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progetti in Italia? R. È importante ricordare che molti progetti possono essere finanziati con soldi pubblici dai
governi. Ma se ci sono progetti più rischiosi, come quelli pilota sulle tecnologie, le energie rinnovabili o nel
settore del bio-fuel, e i privati non riescono a sostenere questi costi, il fondo se ne può accollare una parte.
Se ci sono delle perdite il fondo perderà per primo. Ecco gli esempi di progetti che possono chiedere fondi:
progetti rischiosi. È importante in questo momento che possano prendere vita anche progetti innovativi, e
quindi rischiosi. D. Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan sembra ancora riluttante sulla partecipazione
italiana al Fondo Europeo. Come vi siete lasciati? R. Padoan ha detto che non è stata ancora presa una
decisione da parte del governo, ma che verrà presa a breve. Abbiamo parlato diffusamente della natura del
fondo. Non ci sono ancora state promesse di alcun tipo. D. Per rilanciare gli investimenti serve stabilità, ma il
25 gennaio la Grecia torna alle urne e l'Europa ha paura del voto. Si rischia una nuova crisi? R. Penso che la
scelta della moneta unica, e la partecipazione della Grecia all'Unione Europea, sia irreversibile. L'Europa ora
è più forte di qualche anno fa, e non mi aspetto alcun contagio. Le persone hanno il diritto di scegliere il
proprio governo. Voglio però ricordare che i greci hanno dei doveri verso gli altri cittadini europei. Quando
hanno chiesto soldi, hanno promesso, anche ai disoccupati italiani, di restituirli. Quindi, qualsiasi risultato
emerga dalle urne, i soldi presi devono ritornare. D. Ma con la Troika vi preparate a negoziare un
consolidamento del debito greco? R. No, questo non sarebbe corretto. La Grecia ha degli obblighi e bisogna
che si pongano tutte le condizioni per far ripartire la loro crescita. D. La linea della austerità in Europa ha
colpito l'economia e fatto moltiplicare i movimenti che contestano l'euro. Pensa che li vedremo crescere nei
test elettorali del 2015? R. I movimenti che criticano l'Unione, in realtà, sono solo contrari a tutto. L'Ue è un
denominatore comune, ma loro si mostrano contrari per definizione: a una politica fiscale responsabile,
all'establishment attuale, al sistema partitico. I loro leader offrono solo problemi, senza soluzioni. Dobbiamo
invece ascoltare la gente che vota per questi movimenti populisti. Il nostro compito è capire di cosa hanno
bisogno i loro elettori. D. Alla fine di questi due giorni sembra difficile definirla un falco del rigore, come era
stato fino a pochi mesi fa, quando criticava aspramente l'Italia e il governo. Cosa l'ha trasformata in colomba?
R. La situazione ora è diversa. Quando ho incontrato i ministri delle Finanze a settembre a Milano stavamo
negoziando il percorso dell'Italia per arrivare ai suoi obbiettivi, e volevo incoraggiarli a mantenere le promesse
fatte. Eravamo nel pieno del negoziato e io ho spinto molto per le riforme. Adesso abbiamo un accordo base
sul cosiddetto Mto, l'obiettivo di bilancio a medio termine, e le riforme sono arrivate. Non c'è mai stato niente
di specifico contro l'Italia, il mio lavoro era semplicemente assicurarmi che tutti facessero il proprio. D. Quindi
potrebbe tornare falco? R. Penso di no, spero che l'Italia continui a fare ciò che è giusto e che ha promesso
di fare. (riproduzione riservata)
Foto: Jyrki Katainen
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Milano Finanza - N.12 - 17 gennaio 2015
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Francesco Colamartino
Nell'ultima settimana il bitcoin ha perso il 67% del valore, il livello più basso dalla primavera del 2013.
Guadagnandosi così un triste primato: quello di peggiore moneta del mondo. Da più di 1.000 dollari, ora una
singola criptomoneta ne vale meno di 200, tanto che molte piattaforme hanno temporaneamente sospeso gli
scambi. Sembrano lontanissimi i tempi del boom, che ha reso il bitcoin la moneta virtuale più famosa della
storia. Era il 18 agosto del 2008, quando sul web comparve un nuovo dominio: bitcoin.org. Dopo qualche
mese, nel gennaio del 2009, arriva il primo blocco di btc, che apre la strada alla prima transazione in moneta
virtuale. Mittente Satoshi Nakamoto (inventore del sistema) destinatario Hal Finney. A ottobre dello stesso
anno venne fissato il cambio con il dollaro, a 1,309 btc. Nel 2010 fu aperto il primo mercato di cambi ufficiali, il
Bitcoin Market (seguito di lì a poco dal tristemente noto MtGox). In quel momento iniziò l'ascesa del btc. Nel
gennaio 2011 fu effettuata la transazione più onerosa nell'ancora giovane storia della criptomoneta, per un
controvalore di 100 mila miliardi di dollari dello Zimbabwe, e pochi giorni dopo il btc raggiunse lo stesso
valore del dollaro. Ciò determinò la fioritura di un gran numero di luoghi di scambio tra btc e monete nazionali
(sterlina, real brasiliano, zloty polacchi) e presto il tasso di cambio con il dollaro superò quello tra dollaro ed
euro e dollaro e sterlina. Ma fu proprio allora che ebbe inizio una vertiginosa fluttuazione del cambio, che
prima salì a 10 dollari per btc, poi raggiunse 31,91 dollari e poco dopo crollò di nuovo a 10 dollari. Da qui
iniziò una serie di problemi e, forse, anche la parabola discendente della moneta virtuale. A giugno avvenne il
primo furto di btc. Il bottino è 25 mila monete (375 mila dollari) e non molti giorni dopo fu violato il database di
MtGox. I dati di 60 mila utenti finirono in mano a truffatori e nello stesso giorno un hacker si introdusse
nell'account amministrativo di MtGox e inviò migliaia di btc falsi, provocando così un crollo del cambio, da
17,5 dollari a 1 centesimo. E nello stesso giorno furono rubate migliaia di monete dai conti degli utenti btc e le
negoziazioni su MtGox furono sospese per una settimana. Nel 2012 la falla nel sistema di sicurezza del btc si
allargò sempre di più. A marzo si verificò il più grande furto di btc (circa 50 mila) sulla piattaforma di hosting
Linode. Ciononostante, pochi mesi dopo il bitcoin ottenne la licenza bancaria in Europa. Il btc risalì un po' la
china e nel novembre 2013 raggiunse un cambio mai visto prima: 1.000 dollari per la singola moneta
vurtuale. Era il momento della grande svolta: la Germania riconobbe il btc come valuta legale, mentre la Cina
ne proibì l'utilizzo, ma solo per qualche mese. I problemi, però, tornarono prepotentemente alla ribalta. Dopo
il furto di altri 100 milioni di dollari dai conti degli utenti btc fu arrestato Charlie Shrem, vicepresidente della
Bitcoin Foundation, con l'accusa di riciclaggio. Il panico si diffuse tra gli utenti e il cambio crollò a 40 dollari.
Neanche un mese MtGox chiuse tutte le transazioni a causa di sospetti attacchi di hacker. Con un effetto
domino tutti gli altri mercati btc furono contagiatie il cambio con il dollaro, risalito dopo l'arresto di Shrem, si
assestò attorno a 600 dollari. Ma perché oggi la criptomoneta vale meno di 200 dollari? Sono state fatte tante
ipotesi. Anzitutto per i problemi di sicurezza, sempre in agguato. Il 4 gennaio un hacker ha rubato 5 milioni di
dollari in btc da uno dei portafogli gestiti da Bitstamp, società slovena con sede in Gran Bretagna, ma non va
dimenticato che il btc è sempre più utilizzato per i traffici di droga e materiale pedo-pornografico su
piattaforme come Silk Roade le altre del cosiddetto dark web. Questo ha fatto crollare la popolarità del btc,
perché l'utente medio ha paura di averne anche solo una piccola quantità sul computer per paura di essere
controllato e magari invischiato in qualche losco affare. Ma l'ondata di sfiducia, che ha indotto tanti investitori
in btc a disfarsene prima di vedere annullati del tutto i guadagni, è stata scatenata anche dalla Russia, che ha
di recente bandito alcuni siti che fanno transazioni in btc. Ma la moneta virtuale è davvero spacciata? Stando
alla media di transazioni per settimana si direbbe di no. Nel quarto trimestre 2014 gli scambi di btc hanno
toccato nuovi massimi storici A novembre sono passati di mano circa 17 milioni di monete, circa il 20% degli
scambi annuali. E sempre nel quarto trimestre 2014 sono stati investiti 130 milioni di dollari in start-up legate
alla moneta virtuale, il doppio rispetto allo stesso periodo del 2013. Tuttavia, anche se il 2014 ha visto il più
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 19/01/2015
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Crolla il bitcoin, de profundis annunciato ma forse non ancora definitivo
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alto numero di grandi società che hanno iniziato ad accettare pagamenti in bitcoin (tra queste Microsoft, Dell,
Expedia e Time Co), non va dimenticato che nell'ultimo trimestre il totale degli esercenti che li accettano è
sceso del 50% rispetto allo stesso periodo del 2013. (riproduzione riservata)
SI RAFFREDDA L'ENTUSIASMO PER IL BITCOIN Numero di nuove aziende che accettano bitcoin in
pagamento F GRAFICA MF-MILANO FINANZA 4° trim 2013 1° trim 2° trim 2014 3° trim 4° trim 0 5.000
10.000 15.000 20.000 13.903 16.800 12.936 10.360 6.000
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Milano Finanza - N.12 - 17 gennaio 2015
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Quando l'anonimato diventa intollerabile
MAURO MASI
Itragici eventi della scorsa settimana hanno sollevato con forza la voglia di cambiare alcuni meccanismi della
società che, oggettivamente, favoriscono il terrore e le barbarie. In questo quadro, molto si è detto sulla
necessità di intervenire anche su Internet; ma, ci si chiede, al punto in cui siamo arrivati è possibile realizzare
interventi efficaci senza modificare l'architettura stessa del sistema web? Internet è stato creato in modo da
poter sopravvivere a un attacco nucleare; la struttura originaria della Rete viene direttamente da un sistema
costruito dall'Advanced Research Projects Agency del Pentagono e noto col nome di Arpanet. L'idea di base
del sistema era quella di un'architettura sullo schema di una rete da pescatori in cui tutti i nodi erano uguali
agli altri nel senso che non c'era nessun nodo centrale che controllava il traffico della Rete. Su questa i
messaggi venivano divisi in piccole parti che potevano viaggiare indifferentemente su percorsi diversi
passando attraverso diversi nodi ed essere poi comunque riassemblati quando giunti a destinazione. Se uno
o più nodi venivano distrutti, il traffico poteva continuare utilizzando gli altri. Arpanet a sua volta era la
versione militare di un sistema elaborato nei primi anni 60 basato sull'idea forte di come armonizzare un
gruppo senza un'autorità centralizzata. Il meccanismo si è poi sviluppato nel tempo costruendo un web la cui
architettura rende difficile non solo qualunque forma di controllo ma anche individuare il percorso di un
messaggio attraverso i vari nodi della Rete. A questo sistema si è aggiunto un ingrediente dirompente
(certamente non previsto all'epoca da Arpanet) che è l'anonimato. Da questo cocktail è nato Internet, un
sistema non solo privo di un autorità centrale di controllo, verifica e autenticazione (il che, per certi aspetti,
può essere anche un bene) ma ormai del tutto privo di qualunque regola. I meccanismi che garantiscono
l'anonimato su Internet sono anche serviti a garantire la difesa degli attivisti dei diritti umani e della
democrazia nei Paesi totalitari. Ma qui il tema è diverso: anonimato e mancanza di controlli non possono
divenire il sipario che protegge il lato oscuro del web. Tentativi sono stati fatti e altri sono in corso per rendere
la Rete più trasparente; i risultati non sono stati incoraggianti ed è giunto il tempo che tutti (settore privato,
istituzioni) uniscano gli sforzi per creare un Internet parallelo in grado di offrire meno anonimato e una chiara
possibilità di identificazione e di verifica dall'identità agli user nonché dell'origine dei messaggi. *delegato
italiano alla Proprietà Intellettuale
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IL PUNTO di MAURO MASI