la mia esperienza in una scuola media - CISADU

Transcript

la mia esperienza in una scuola media - CISADU
Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolastica
Federica Parente Contributi antropologici per una didattica interculturale. Un'esperienza in una scuola media
romana
Tesi di laurea
Università degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in Lettere
a.a. 2001/2002
Relatore: prof. Laura Faranda - Correlatore: dott. Mauro Geraci
Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il 12 luglio 2004 http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html
Capitolo quarto
LA MIA ESPERIENZA IN UNA SCUOLA MEDIA
LA SCUOLA MEDIA STATALE “A. G.”
La scuola “A. G.” si trova in un quartiere di Roma, non certo tra i più
ricchi, il Trullo. È un edificio molto grande rispetto alle poche classi che lo
compongono. È di colore arancione, circondato da un grande cortile asfaltato
ed il recinto non è altro che un muro, alternato ad un’inferriata completamente
arrugginita1. Si presenta come una costruzione a due piani, ma sia il piano
terra che il secondo piano sono praticamente inutilizzati dai ragazzi. Il piano
terra infatti è quasi sempre occupato il pomeriggio dagli adulti e dagli
stranieri, mentre il terzo è, per lo più, riservato ai ragazzi disabili ed ai loro
assistenti.
Questa è una scuola molto attiva su diversi fronti, sia per quanto riguarda la
formazione dei minori del carcere “Casal del Marmo”, sia per quanto riguarda
l’inserimento e l’integrazione degli stranieri.
All’ingresso della scuola e lungo i corridoi è possibile osservare una mostra
realizzata con i lavori dei detenuti del carcere minorile, lavori bellissimi, con
1
Vedi Appendice 2 (Fotografie).
168
disegni, poesie e frasi molto toccanti, che parlano di amicizia e di amore. Ciò
che più traspare è il loro senso di fratellanza, il loro modo energico di darsi
forza per andare avanti, di sentirsi uniti. I disegni più frequenti rappresentano
delle mani: mani che si toccano, che si stringono, che si sfiorano, mani che
chiedono aiuto. Due in particolare sono i cartelloni che mi hanno colpito: in
uno compaiono delle mani, una finestra luminosissima e la scritta: “Libertà
sono mani che si incontrano”; l’altro due mani unite e parzialmente colorate,
che sembrano voler richiamare, in qualche modo, le sembianze della terra e
sul lato di questa foto c’è scritto: “Le tue mani sono piccole come le mie e
quando sono unite diventano una sola mano.. Insieme possiamo conquistare
il mondo, non lasciare mai le mie mani.. perché potrei sentire la tua
mancanza e soffrire molto..”2.
In questa scuola c’è anche la sede del C.T.P. (Centro Territoriale
Permanente) che si occupa della formazione degli adulti e degli stranieri,
organizzando corsi di alfabetizzazione per stranieri, licenza di scuola media,
lingue straniere e informatica. Quest’anno, come credo anche quelli passati,
sono stati attivati anche altri corsi, raggruppati in sei aree:
- area tecnico artistica: “Colori della città”, “Itinerari romani 1/2”, con un
orario suddiviso tra la teoria e delle uscite organizzate; “Laboratorio graficopittorico”, 1°/2° liv.; “Laboratorio del fumetto”; “Laboratorio creativo”;
- area letteraria: “Favole del mondo”; “Laboratorio di poesia”; “Il piacere del
racconto”;
- area storica: “Luoghi della storia”; “Storia della religioni”; “Storia del ‘900
attraverso gli audiovisivi”;
- area scientifica: “Infoscienze”; “Colture e culture”; “Geoscienza”;
- area musicale: “Coro polifonico”; “Danzeze greche”; “Danze popolari”;
- area giochi: “Elementi di bridge”; “Scacchi”.
2
Ibidem.
169
Ecco perché poco fa parlavo di una scuola attiva; in questa scuola culture
diverse si incontrano, si aiutano, si conoscono, si scambiano conoscenze,
studiano insieme. È facile incontrare per i corridoi persone di tutte le
nazionalità: sudamericani, albanesi, cinesi, romeni e persino rom. Per scuola
si intende la preside, gli insegnanti e tutti coloro che sono la scuola, tutti
coloro che lavorano affinché la scuola non sia solamente un luogo dove si
insegna italiano, matematica, ecc., ma perché sia un luogo di scambio, di
crescita, di incontro e dove è l’insegnante stesso che, a contatto con culture e
persone diverse, vuole imparare, vuole crescere con l’allievo. È chiaro che di
problemi ce ne sono tanti, non solo organizzativi, ma anche metodologici,
soprattutto riguardanti il modo di rapportarsi a queste persone, insegnandogli
il prima possibile a parlare e a scrivere in italiano e fornendogli gli strumenti
per poter affrontare la vita in Italia.
Un pomeriggio ho incontrato la preside della scuola che si rammaricava per
non essere riuscita a far capire a molti degli insegnanti del C.T.P., persone
validissime, che insegnare ad uno straniero adulto l’italiano non doveva
consistere nel fargli capire le varie “regolette” della nostra grammatica, ma
doveva consistere in uno scambio più maturo, più adulto; tutto doveva
nascere dalla comunicazione, magari dal racconto di qualche fatto della sua
vita, di qualche sua esperienza, di qualche consiglio sulle difficoltà incontrate
in Italia, da uno scambio continuo e paritario. Raccontare di sé, parlare
liberamente (magari in italiano come esercizio), permette inoltre allo straniero
di manifestare dubbi, problemi, gli permette di sentirsi parte di un gruppo, di
sentirsi valorizzato, di non essere solo, ma di sentire che ci sono persone
interessate a lui come persona. Non deve esistere il docente che insegna, che
quindi si trova sul gradino più alto, e il discente che impara. In questo caso il
discente è particolare. È un uomo con una sua storia, con tante cose da
170
insegnarci e da trasmetterci; è una ricchezza, una risorsa che nessuno può
permettersi di mandare perduta.
“I MIEI BAMBINI”
Chi è Carlo?
La prima volta che ho visto Carlo sono rimasta colpita dai suoi bellissimi
occhi azzurri e dal suo sorriso. È un ragazzo molto magro, alto, con i capelli
corti, qualche lentiggine sul viso e l’orecchino. Arriva dalla Romania,
precisamente dalla Transilvania, e frequenta la seconda media; è il secondo
anno che è in Italia e, a parte uno strano accento e il suo orgoglio di “essere
romeno”, tutto si può pensare guardandolo tranne che non sia italiano, anzi
“romano”, visto le numerose parole in dialetto che i compagni gli hanno
insegnato. Anche l’orecchino può essere visto come un simbolo identificativo,
un simbolo di appartenenza ad un gruppo per il quale questo oggetto
rappresenta la norma.
Il mio rapporto con lui non è mai stato diretto; non sono mai riuscita ad
avvicinarmi e ad instaurare una conversazione personale; lo conosco grazie
alla mediazione dell’insegnante di lettere, dai suoi temi, da cosa lei mi ha
raccontato di lui e da come lui si è raccontato ai compagni in classe più volte
in diverse occasioni.
L’insegnante di lettere mi ha aiutato molto nella mia ricerca, è molto
sensibile ai temi dell’integrazione e dell’intercultura. Chiama spesso Carlo
per farlo parlare della Romania e di come viveva lì, creando anche interesse
da parte dei suoi compagni, che spesso gli fanno delle domande. Lui è
orgoglioso delle sue origini; quando deve raccontare qualcosa prima
171
arrossisce e si vergogna, ma basta un piccolo incoraggiamento per fargli
prendere coraggio.
La prima volta che l’ho rincontrato, dopo essere stata presentata a tutti
durante il laboratorio del cantastorie, mi è venuto incontro chiamandomi “la
cantastorie”; è un ragazzo molto vivace e sveglio.
Chi è Carlo? Lasciamo che a parlare di sé sia lui, come fa in un suo tema3:
“Mi chiamo S. Carlo I. Sono nato in Sibiu una città di Romania il (...) 1988.
Sono cresciuto là tutto il tempo. I miei genitori mi hanno raccontato che devo
essere un buon giocatore di calcio. In scuola elementare mio [mi sono] fatto i
amici. A scuola sono stato buono, o avuto i votti buoni. O giocato [a] calcio,
sono stato un buon giocatore in Romania come mi anno raccontato i miei
genitori (...) In II elementare mio padre e andato in Germania, ce stato un
anno. Quando e tornato mi a comprato un gioco sul TV. I tutti i miei amici
sono venuti a giocare a mia casa. Celo un fratello con quale mi giocamo tutto
giorno. Si chiama I. ed a 5 anni. Dopo un anno i miei genitori sono andati in
Italia, a rimasto con mio fratelo solo con miei noni per tre anni. I miei genitori
sono venuti in ogni Natali e in ogni estate. In estate passata sono venuto in
Italia solo io e miei genitori, il mio fratello ce rimasto in Romania con miei
noni. Sono venuto in Italia da 5 mesi. O imparato la lingua, sono andato alla
scuola, mio fatto [mi sono fatto degli] amici e sono agiunso in presente”. Per
essere solo da cinque mesi in Italia, è molto bravo a scrivere; ho preferito
riportare il più possibile del suo tema, con tutti gli errori, poiché credo che
leggere testualmente ciò che Carlo racconta sia importante. La sua calligrafia
è molto chiara ed è ordinatissimo; pare che in Romania, infatti, a scuola ci
tengano molto sia alla scrittura che all’ordine, almeno così lui racconta.
3
Vedi Appendice 1, “Compiti di Carlo”, a. s. 2000-01, “Immagina di presentarti al tuo nuovo amico diario con una
breve storia della tua vita”.
172
Da questo tema viene fuori molto della sua vita. La sua famiglia non è
completa, manca il suo fratellino, rimasto in Romania; ci racconta che però
presto verrà anche lui in Italia, prima della prossima estate, e sarà forse lo zio
ad accompagnarlo. Del suo fratellino racconta (Diario di classe, 03.04.2002)
“ha 7 anni, ma non va a scuola, poiché la scuola [in Romania] è iniziata a
settembre e lui a settembre non aveva ancora sette anni (li aveva compiuti a
gennaio)”4 e poi aggiunge “arrivando in Italia adesso, l’anno prossimo (a 7
anni e mezzo) frequenterà la scuola italiana”5, mentre nei mesi intercorrenti
tra il suo arrivo e l’inizio della scuola, precisa, “inizierà un po’ a capire ed a
parlare italiano”6. Il resto della sua famiglia è composto dai suoi genitori, che
lavorano tutti i giorni esclusa la domenica. Infatti, “parlando con la sua
professoressa vengo a sapere che lei aveva parlato con la mamma di Carlo
per organizzare una festa multietnica con la partecipazione delle famiglie
della classe, ma la mamma le aveva risposto che non era possibile perché sia
lei che il marito lavoravano tutta la settimana, compreso il sabato”7. Il padre
lavora in un cantiere navale a Fiumicino, mentre non sono riuscita a sapere
cosa fa la madre (non lo sa neanche l’insegnante); so solo che svolge un
lavoro non adatto al suo titolo di studio, diploma di ragioneria (anche il padre
è diplomato), in quanto tale titolo, non appartenendo all’Unione Europea, in
Italia non viene riconosciuto.
Già prima di partire per l’Italia, il padre aveva cercato invano fortuna in
Germania e poi, in Italia, aveva sperato in un futuro migliore per la sua
famiglia; il cuore di Carlo, però, sembra essere rimasto in Romania; ne parla
sempre e racconta del suo Paese appena se ne presenta l’occasione.
4
Diario di classe, 03.04.2002.
Ibidem.
6
Ibidem.
7
Diario di classe, 26.03.2002.
5
173
Grande ruolo, nella sua vita, lo ha anche il calcio. Sia in Romania, che qui
in Italia, il calcio rappresenta per lui, come per la maggior parte dei ragazzini
della sua età, un elemento aggregante: saper giocare bene a calcio ti rende
leader di un gruppo, ti rende integrabile, inserito, apprezzato. Un giorno
(Diario di classe, 20.03.2002), durante un’ora di supplenza, la classe viene
portata in aula d’informatica e la supplente li lascia liberamente giocare con il
computer. Carlo “comincia a disegnare e il soggetto preferito da lui e dai suoi
compagni è il lupetto, la Roma e gli unici colori usati sono il giallo e il rosso.
Chiedo a Carlo se anche quando era in Romania era tifoso di qualche squadra
e lui mi dice: - Non come lo sono ora! -”8. Anche l’appartenenza e il tifo per
una determinata squadra per lui è un mezzo di unione al gruppo. Tifare per la
squadra giusta determina l’essere parte di un gruppo. In più, lui sa giocare, è
bravo e ciò gli permette di inserirsi nella classe, di farsi accettare dai
compagni maschi. Come hanno del tempo libero, per esempio durante la
pausa pranzo, l’unico divertimento della sua classe è giocare a pallone, non
gli importa se è inverno e fa freddo, con il pallone ai piedi vincono tutto, dal
freddo al caldo. In inverno, durante le partite, tra tutti spicca Carlo che,
provenendo da un paese non noto per il suo clima clemente, senza giaccone e
con i jeans arrotolati a metà coscia corre e gioca con gli altri. Per loro è così
importante giocare che curano tutti i particolare e molti di loro, infatti, si
portano le scarpe da calcio.
Per un compito di geografia (Diario di classe, 15.05.2002) assegnatogli
dall’insegnante di lettere, lui doveva preparare una ricerca sulla Romania,
oltre che sulla Moldavia e la Bulgaria. La professoressa voleva un lavoro un
po’ diverso dalla semplice ricerca, soprattutto da lui, romeno, che doveva
preparare la Romania e da Lory, albanese, che doveva preparare l’Albania. Il
suo scopo era, ed è tuttora, far parlare i ragazzi immigrati della loro terra per
8
Diario di classe, 20.03.2002.
174
diverse ragioni: affinché i loro compagni possano conoscere notizie vere e
concrete da chi, in quei posti, c’è vissuto e cresciuto, notizie diverse dalle
“solite” e a volte stereotipate che si leggono sui libri scolastici; per permettere
loro, in qualche modo, di parlare di sé, dell’“essere romeno” orgoglioso Carlo
e dell’“essere albanese” Lory; per farsi conoscere anche in relazione alla
cultura di cui sono portatori, affinché i compagni e loro stessi possano
valorizzare la propria origine.
La professoressa stimola i ragazzi a preparare le ricerche con l’aiuto dei
genitori, avvalendosi dei loro ricordi, delle loro esperienze; vorrebbe che con
queste ricerche potesse concretizzarsi uno scambio di conoscenze. Loro,
stranieri, portatori di conoscenze e di ricchezze culturali da trasmetterci.
Le notizie che Carlo riporta durante la sua discussione in classe non
riguardano ciò che ha realmente scritto nella ricerca, ma ricordi vari e
frammentari; ed è la professoressa che, con domande, lo stimola a parlare e a
raccontare di sé. “Racconta di venire da un paesino a 47 Km da Sibui
[scopriamo quindi qualcosa di più, rispetto a ciò che aveva scritto l’anno
prima], dal nome Arpasu de Jios”9. Poi come per voler in qualche modo
collegare il suo paese con l’Italia, con Roma, riporta un racconto singolare;
“racconta la storia di un rumeno che partendo dalla Romania con vestiti da
antico romano, è arrivato, a piedi, in Italia e precisamente a Roma, alla
colonna Traiana; si racconta che gli italiani, quando lo videro, si
spaventarono, pensando che fosse un Dacio <uscito> dalla colonna stessa”10.
Nel suo quadernone, dove ha scritto la ricerca, ha attaccato numerose
cartoline di Sibiu, portategli dal nonno, che era venuto in Italia per due
settimane ed era già ripartito. La professoressa, in quest’occasione, lo
rimprovera per non aver portato il nonno a scuola, poiché sarebbe stato bello
9
Diario di classe, 15.05.2002.
Ibidem.
10
175
farlo conoscere alla classe, e magari farsi raccontare delle cose dalla sua viva
voce. Fa passare il suo quadernone per i banchi per mostrare ai suoi compagni
da dove viene, ed è orgoglioso di parlargli del suo paese e di rispondere alle
loro numerosissime domande. Proprio quella sana e proficua curiosità che la
professoressa voleva far nascere con questo lavoro.
Sempre per la sua ricerca ha trascritto la ricetta e la preparazione di un
piatto tipico romeno: “ingredienti: 700 gr. carne macinata di suino, 300 gr.
Riso, un cucchiaio di biovegetal (un brodo liofilizzato vegetale), una cipolla,
2 cucchiai di passata di pomodoro, una foglia di uva, un uovo, un cucchiaio di
farina di mais, sale; (...) procedimento di preparazione: si mette al fuoco in
una padella con poco olio il riso con cipolla tagliata in piccoli pezzi. Poi si
mette il biovegetal, si spegne il fuoco e si lascia la padella coperta finché si
gonfia il riso. Dopo che si raffredda, si mette la carne macinata, l’uovo e la
farina di mais. Dopo si mischia e si mette un po’ su ogni foglia di uva e la
chiude. Poi si mette a bollire nell’acqua, fino a quando non è cotta”11. Vista la
singolare preparazione gli chiedo se poi si mangia anche la foglia e lui mi
risponde: “- Come vuoi, si può anche mangiare, è buona! -”12.
Nel suo racconto un po’ confuso arriva a parlare della Pasqua. “Racconta
che il Sabato, la Domenica e il Lunedì di Pasqua in Romania si canta tutto il
giorno, che la Domenica si fa la comunione, ma non come qui in Italia con
l’ostia, in Romania si usa un pezzo di pane”13.
Carlo è di religione cattolica ortodossa e a scuola, infatti, non frequenta
l’ora di religione, ma esce dalla classe e svolge delle ore in più con la
professoressa, che lo hanno aiutato ad imparare abbastanza celermente quello
che ha appreso fin ora d’italiano. Proprio per il molto tempo passato fin dal
suo arrivo nella nuova scuola con la sua insegnante di lettere, Carlo ha trovato
11
Ibidem.
Ibidem.
13
Ibidem.
12
176
in lei non solo un’insegnante, ma anche un’amica; il loro è un rapporto un po’
speciale, speciale come quello che la stessa insegnante ha con ognuno dei
suoi alunni. In lei ha trovato una confidente, un punto di riferimento in un
luogo estraneo, una persona su cui contare, che gli ha insegnato non solo a
scrivere in italiano, ma soprattutto che lo ha aiutato ad ambientarsi. È molto
importante per questi bambini sentirsi a loro agio, sentirsi tutelati, protetti
soprattutto all’inizio, quando per loro è tutto nuovo: le persone, l’ambiente, la
lingua, le consuetudini. Sta al bravo insegnante cercare di essere un buon
intermediario tra loro e la classe, tra la loro cultura e la cultura che li accoglie,
farli sentire uguali agli altri e diversi come tutti nella loro individualità.
Spesso quando viene interpellato dalla professoressa, Carlo “arrossisce e
dice: - No, professore’, chiama un altro! -”14 ma basta che lei lo aiuti un po’,
lo incoraggi, lo sproni, che prende coraggio e, malgrado qualche errore nel
pronunciare alcune parole, partecipa attivamente alla lezione e risponde bene
alle domande. Spesso “non trovando il corrispettivo tra ciò che pensa e le
parole italiane, dice: - Va be’, non so come si chiama! -”15. Un giorno “la
professoressa gli domanda quali pesci ci sono nei mari dell’Europa del Nord e
lui: - Non lo so come si chiama, è con la <a>. Con un po’ d’aiuto, però, riesce
a dire: - ..si.. le aringhe -”16. Ha tanta voglia di imparare, non si arrende mai e
sorride spesso con i suoi compagni degli errori; un giorno (Diario di classe,
20.02.2002), al posto di <Inghilterra>, ha detto <Ingliterra>, scatenando
l’ilarità di tutti, anche quella propria. Ottimo è il clima che l’insegnante è
riuscita a creare, talmente buono che Carlo, anche se sbaglia non se ne
vergogna, ma ne sorride con i compagni ed è spesso corretto da loro che si
improvvisano insegnanti per un momento. Gli insegnano tutte le parole
14
Diario di classe, 30.01.2002.
Ibidem.
16
Ibidem.
15
177
italiane, non facendo eccezioni, anche espressioni dialettali e parolacce, che
gli permetteranno di diventare un vero ragazzo italiano.
Carlo poi affronta anche argomenti molto complicati per un ragazzo della
sua età: la politica, per esempio. Racconta ai suoi compagni ciò che lui ha
capito e ciò che ha sentito dire dai suoi genitori del periodo comunista, della
famosa rivoluzione del 1989 e di un uomo chiamato Ceausescu. “Dice: - Il
Presidente della Romania era un po’ duro, hanno fatto la rivoluzione e
l’hanno ucciso. A Bucarest i soldati hanno ammazzato la gente che si
ribellava a Ceausescu. I rivoluzionari hanno preso Ceausescu e la moglie e li
hanno ammazzati - Poi racconta che ora a capo della Romania c’è Iliescu che
fa parte del PDSR, cioè del Partito Democratico Socialista Romeno, e
aggiunge: - Era meglio Ceausescu, perché avevi il posto dove lavorare, ti
davano più soldi e il terreno. Ora i salari sono gli stessi, i prezzi come qui in
Occidente e c’è tanta disoccupazione -. Racconta che il salario medio era di
un milione di lei [moneta rumena] e che un pezzo di pane costava 15000
lei”17. Non sembrano pensieri e parole spontanee di un ragazzo ma, per lo
più, pensieri e parole ascoltate dai genitori e poi interiorizzati.
Con rammarico “poi afferma: - Ora in Romania rimangono solo i
vecchi! -”18, riferendosi all’alto tasso di emigrazione; la professoressa cerca
di rincuorarlo, dicendogli che “se la Romania riuscirà a superare le difficoltà
che l’affliggono, poi chi vorrà potrà tornare nel suo paese e lui: - Mio padre
torna, io no!! -”19, poi la professoressa continua dicendogli che “fra tre anni la
Romania dovrebbe entrare nell’Unione Europea e lui, con tono ironico,
ribatte: - Si, lo dicono da 50 anni!! -”20. Sia da quello che dice, che da come si
comporta sembra non voler tornare in Romania, anche se l’amore per il suo
17
Op. cit. nota 9.
Ibidem.
19
Ibidem.
20
Ibidem.
18
178
paese è grande ed è grande anche l’orgoglio di essere romeno. In
un’occasione (Diario di classe, 30.01.2002), durante un discorso della
professoressa sulle valutazioni di fine quadrimestre, lei comunica alla classe il
dispiacere che prova a dare dei voti bassi e che invece per lei è di grande
soddisfazione vederli migliorare, perché suo dovere e suo obiettivo è dargli
una buona preparazione, così da poter essere un domani ricordata, “poi
aggiunge: - Così poi mi verrete a trovare, magari finite le medie!! - e Carlo
risponde: - Si, da Romania! - e sorride”21. Forse inconsciamente, anche se a
parole non lo ammette, vorrebbe tornare o vorrebbe riprendere a vivere la vita
che ha interrotto per motivi “più grandi” di lui, o forse questo è il progetto
della sua famiglia e lui, anche contro il suo desiderio, dovrà accettarlo.
Fa di tutto per adattarsi al suo nuovo ambiente: porta l’orecchino, parla
dialetto e anche lui dice le parolacce. La professoressa mi dice che si è così
inserito che è cambiato tantissimo rispetto all’anno passato; è cambiato o
meglio, come dice lei, si è omologato al gruppo dei suoi coetanei, tanto da
non essere a volte riconoscibile. Molti ragazzi, per essere accettati dal
gruppo, si omologano ad esso e mentre per un ragazzo italiano la cosa non
crea problemi ed anzi è considerata come la normalità, per un ragazzo
straniero l’omologazione comporta cambiamenti che potrebbero anche essere
molto significativi nella sua crescita, soprattutto se si tratta di un ragazzo le
cui origini sono molto lontane come usi e costumi del paese che lo accoglie
(esempio un ragazzo africano in un paese industrializzato dell’Occidente). Si
cambia anche se non si vuole, si deve cambiare, prima o poi, per diventare al
più presto italiani, per poter vivere al meglio in un paese al quale non
appartieni. Ciò crea non pochi problemi, soprattutto di relazione sia con la
famiglia, che quasi sempre cerca di conservare le tradizioni del suo paese, sia
con i parenti che continuano a vivere nel paese d’origine.
21
Op. cit. nota 14.
179
Anche se abbastanza inserito, Carlo non riesce ancora ad apprezzare il
cibo, o almeno quello della mensa che, da quanto dicono le insegnanti, non è
male. “La professoressa gli chiede perché non mangia mai (...) quello che
danno a scuola e lui le risponde: - Non mi piace! - e lei: - Ma non lo assaggi
neanche! Come fai a dire che non ti piace! - Poi mi dice che i genitori, visto
che sanno che lui non mangia quello che gli viene dato a scuola, gli fanno tutti
i giorni del tempo prolungato un panino. La professoressa gli chiede come
faceva in Romania e lui gli dice che mangiava a casa quello che gli preparava
la nonna”22. In Romania forse non mangiava a scuola e la nonna gli preparava
sempre quello che gli piaceva.
Nella sua ricerca così singolare non può mancare certo di raccontare
l’ambiente più frequentato da lui in Romania e cioè la scuola. In una
precedente occasione (Diario di classe, 30.01.2002), mentre la professoressa
parlava delle valutazioni (sufficiente, buono, ottimo), aveva raccontato alla
classe che in Romania il sistema di valutazione era diverso ed era espresso in
numeri, su una scala da 1 a 10. “Racconta che alle 8 andava a scuola e che
dopo ogni ora, che era di 40-45 minuti, c’era una ricreazione di 25-30 minuti.
La professoressa si stupisce e gli chiede: - Facevate pochissime ore? - e lui: Là facevamo lezione, non è come qui. Lavoravamo 50 minuti e 50 minuti
erano di lavoro -. Prosegue raccontando che - durante l’ora di storia, per
esempio, non dovevi solo leggere, ma dovevi pure scrivere -”23. Non solo
Carlo, ma anche Lina come vedremo, si stupiscono di come la scuola italiana
sia diversa da quella romena; la scuola italiana è molto meno dura, è più
permissiva, c’è meno disciplina. “La professoressa un po’ ironicamente gli
chiede: - Non c’era nessuno tipo Emilio [un suo compagno, uno dei più
vivaci], che è impossibile tenerlo fermo, che si alza dalla sedia e va in giro
22
23
Diario di classe, 13.02.2002.
Op. cit. nota 9.
180
per la classe ? - e lui: - Gli zingari - (...) Poi racconta che durante le
ricreazioni uscivano liberamente fuori e giocavano a pallone nei prati intorno
alla scuola”24. Sarebbe stato utile capire cosa ne pensano i suoi genitori della
scuola italiana rispetto a quella lasciata in Romania. Sarebbe interessante
capire se vedono nella scuola un modo per migliorarsi, per inserirsi, se la
considerano un luogo di formazione, dove il proprio figlio possa crescere,
studiare e prepararsi per un futuro che sperano sia migliore del loro, oppure
se per loro la scuola è solo un luogo dove “parcheggiare” i figli, dove lasciarli
quando sono a lavoro, non credendo che possa in qualche modo contribuire a
migliorare la loro situazione, o magari pensano che sia un luogo di transizione
in attesa di poter tornare quanto prima nella propria patria e lì riprendere o
perfezionare gli studi lasciati.
“Racconta che durante l’estate andava tutto il giorno in giro con la
bicicletta e alle 12 andavano, lui e i suoi amici, a fare i tuffi in un torrente
dove l’acqua era molto fredda, tornava per mangiare e poi riusciva; era molto
libero e non c’erano pericoli dove viveva lui”25. Vivere in un paesino di
montagna, sentendosi liberi di muoversi, e ritrovarsi poi all’improvviso in una
grande città straniera dove il traffico sta alla base della vita quotidiana, per un
ragazzo abituato nel verde è indubbiamente un’altra difficoltà. Deve cambiare
tutte le sue abitudini, deve imparare a districarsi in un quartiere grande quanto
il suo paesino, deve rinunciare ad essere indipendente o quasi, ed essere
accompagnato da un adulto quando si allontana da casa. Dovrà passare del
tempo prima che possa riconoscere il quartiere nel quale viene a vivere come
suo, sempre che ci riesca prima o poi.
“Spesso quando racconta e non gli vengono le parole dice: - Professore’..
non so parlaà!! -”26, ma non si arrende, la sua voglia di raccontare è troppo
24
Ibidem.
Op. Cit. nota 9.
26
Ibidem.
25
181
forte e termina il suo lavoro sulla Romania con un’altra storia che riguarda un
lago vicino al suo paese. “- La storia racconta che un uomo ha buttato un
bastone in questo lago e lo ha ritrovato nel Danubio - e aggiunge: - Come se
ci fosse un buco.. professore’! -”27.
Anche se, da quel che dice, non intende in futuro tornare in Romania, non
fa che manifestare quando può l’amore per il suo paese, e anche in un altro
suo tema28 è possibile leggerlo tra le righe. Carlo scrive “Io da piccolo
desideravo di essere un pilota da aereo da guerra. O scelto questo lavoro
perché mi piace l’avventura e volare. Questo lavoro è molto pericoloso e per
questo mi piace. Devo allenarmi per diventare un pilota. Spero che i miei
genitori mi aiteranno a fare l’Accademia di Aereonautica. Mi ricordo da
piccolo che ho visto un film su aeri di guerra e da la mi piace questo lavoro.
Dopo che finisco le scuole superiore faccio la Accademia dove studierò e mi
allenerò per diventare un pilota da guerra. Un aerio di guerra e dottato delle
armi nucleari e molto pericolose e una velocità molto alta. È un lavoro
stresante, la mia famiglia si preoccuperà pensando a me. Al di fuori mi
occupo de i miei figli da mia famiglia. E anche delle mie macchine che mi
piacono molto. Spero che diventerò un bravo pilota da guera per difendere il
mio paese” (corsivo mio). Il sogno di diventare piloti di aerei è molto diffuso
tra i ragazzi della sua età. Essi sono affascinati dall’idea di poter volare nel
cielo liberi. L’idea della libertà che scaturisce dalla possibilità di poter volare
ha sempre incantato tutte le generazioni. In più per lui c’è la possibilità,
essendo pilota, di poter difendere il suo paese. È difficile leggere in un tema
di un ragazzo italiano lo stesso desiderio, forse perché i nostri ragazzi non
hanno (per fortuna!) mai conosciuto cosa vuol dire la guerra, le rivoluzioni, o
forse perché la scuola italiana e le famiglie italiane non sono mai riuscite ad
27
Ibidem.
Vedi Appendice 1, “Compiti di Carlo”, a. s. 2000-01, “Ti sarà capitato di pensare quale lavoro vorresti
intraprendere da grande. Spiega perché vorresti fare questo mestiere e in che cosa consiste”.
28
182
imprimere nella mente dei ragazzi quell’amore e quel patriottismo che sono
invece parte integrante della mentalità e dell’educazione di altri paesi. In
questo caso molto ha influito sicuramente il periodo di dittatura di Ceausescu,
la sua politica, la sua concezione quasi “militaresca”, se vogliamo, della
scuola. Una scuola in uniforme, rigida, dove “è compito degli insegnanti
forgiare il carattere e la personalità [degli alunni], ammaestrarli [o meglio
ancora addestrarli] su ciò che è lecito e ciò che non lo è”29, basata sulla
“sottomissione totale dell’allievo”30, dove “l’insegnante [è visto come il]
padrone assoluto”31, dove esistono limitazioni alla libertà intellettuale e
spirituale, dove anche i più piccoli, i bimbi delle scuole materne, indossano
divise e sono chiamati “falchi” della Patria. La rivoluzione del 1989 ha dato
inizio ad un cambiamento non solo a livello politico, ma che coinvolge tutti
gli aspetti del vivere civile, anche quello scolastico, che si è dimostrato più
formale che sostanziale o, meglio, che necessita di molto più tempo per dare
dei risultati tangibili. Infatti, se è difficile cambiare le regole, è molto più
difficile cambiare le abitudini, le consuetudini e soprattutto il modo di pensare
di un popolo.
Sicuramente ritrovarsi all’improvviso in un paese straniero può generare
delle insicurezze ed alcune Carlo le esprime in un altro suo tema32 dove
scrive: “in questi mesi ho avuto paura di compiti in classe e di interrogazioni
e [da] quando sono venuto in Italia. Ho paura anche del film “L’esorcista” e
quando dormo dopo un film di “L’esorcista”. Quando prendo un brutto voto.
Ho avuto paura quando sono caduto con la bicicletta. Ho avuto paura quando
sono caduto e ho sbattuto la testa. Ho avuto anche delle insicurezze: quando
sono venuto in Italia e non sapevo la lingua Italiana e quando io ero in
29
Cfr. cap. III , L’educazione scolastica in Romania.
Ibidem.
31
Ibidem.
32
Vedi Appendice 1, “Compiti di Carlo”, a. s. 2000-01, “Parla delle insicurezze e delle paure che vivi in questo
periodo della tua vita. Se vuoi puoi anche raccontare degli episodi autobiografici”.
30
183
Romania e la mamma e il papà erano in Italia. Mi piace una ragazza ma non
sono sicuro che lei mi piace [io piaccio a lei]. Non sono sicuro quando sono
interogato: lo so quella parola ma non sono sicuro che va bene come dico io.
Un episodio autobiografico. In estate di luglio mio padre e mia madre sono
venuti in Romania. Sono venuti per andare in Italia con me. Mi è piaciuto
venire in Italia pero mi è dispiaciuto lasciare la Romania, lasciare anche mio
fratelo, lasciare mio nonno e mia nona e i miei amici e andare in un paese
sconosciuto come Italia. Quando sono arrivato in Italia mi è piaciuto ma non
sapevo la lingua Italiana. Quando sono andato scuola non sapevo dire una
parola e non avevo amici. Dopo un mese lo so parlare meglio. Mi sono fatto
degli amici”. Prima, lasciato dai genitori in Romania, soffre per la lunga
separazione, poi partito con loro soffre per la lontananza del fratello, dei
nonni, per una vita che abbandona e per un mondo che va avanti anche se non
gli appartiene più e se un domani vi tornerà, numerose cose saranno cambiate,
i luoghi e suoi stessi amici saranno diversi, forse anche irriconoscibili come lo
sarà lui per loro. Carlo ama il suo paese e soffre per la distanza dalle persone
a cui vuole bene e soprattutto della separazione dal fratellino; come può, parte
e va a trascorre le vacanze in Romania; anche quest’anno, per esempio,
durante le vacanze di Natale, è partito ed è rimasto a lungo, mancando anche
per diverso tempo da scuola.
Fin ora tutti i temi riportati ed analizzati fanno parte dei compiti in classe
svolti l’anno scorso, quindi nel primo anno di soggiorno di Carlo in Italia.
Anche quest’anno non sono mancate per Carlo occasioni di scrivere di sé e
della sua famiglia. In un suo tema33 scrive: “ io ho un cugino che è più grande
di me di un anno. Noi abbiamo un rapporto di amicizia, siamo come fratelli.
Giocavamo insieme, uscivamo con tutti i miei amici, andavamo in giro,
33
Vedi Appendice 1, “Compiti di Carlo”, a. s. 2001-02, “La gelosia è un sentimento molto comune fra fratelli e può
essere anche molto forte. Hai esperienza di questo sentimento? Racconta qualche episodio significativo che riguarda te
o qualcuno che conosci”.
184
giocavamo a calcio. Io sono venuto in Italia è non lo visto [l’ho visto] un
anno, solo parlavo con lui al teleffono. Dopo in estate quando sono ritornato
in Romania ero felice di vederlo, ma ho scoperto di essere geloso, perché
tutto che faceva lui, faceva meglio di me. Era più libero, io invece ero coperto
[controllato] dai miei nonni. Per esempio quando sono andato a scuola a
vedere i miei amici e come va a scuola mio cugino, ho visto che aveva più
amici era più al centro [dell’attenzione]. Giocava pure meglio a calcio di me,
perché [mentre] prima di venire in Italia giocavo meglio di lui. Ma pure se ero
geloso siamo rimasti buoni amici e abbiamo passato una bella vacanza”. Se
qui in Italia il gioco del calcio ha rappresentato il passaporto per inserirsi
nella sua classe, anche in Romania aveva il suo rilievo in campo di
aggregazione. Quando Carlo torna per le vacanze in Romania e trova suo
cugino diverso, più bravo di lui a calcio, ammette di esserne geloso. Carlo
soffre nel tornare a casa sua e sentire che quel luogo non gli appartiene più, o
almeno non gli appartiene più come una volta. Molte cose sono cambiate, lui
è cambiato ed a Sibiu la vita è andata avanti anche senza di lui.
Carlo è un ragazzo molto sensibile, attento e partecipa molto alle lezioni
svolte in classe; molti sono gli argomenti che vengono trattati, ma uno in
particolare lo ha colpito, un argomento che quest’anno ha colpito
numerosissimi ragazzi e non solo, soprattutto per la drammaticità e per le
conseguenze: l’attentato dell’11 settembre e la guerra tra Stati Uniti e
Afghanistan34; lo ha talmente colpito da scriverne in un tema35. “La
discussione che mia più colpito e la guerra fra i Stati Uniti e l’Afghanistan che
e condotta da Bin Laden. Io penso che in questa guerra Bin Laden è un uomo
che voleva che morissero tante persone nel atentato di New York e [al]
34
Argomento su cui si basa anche il Laboratorio del cantastorie (vedi il relativo paragrafo).
Vedi Appendice 1, “Compiti di Carlo”, a. s. 2001-02, “Quale fra le discussioni e le conversazioni stimolate e
condotte in classe dalla tua insegnante di lettere dall’inizio dell’anno ad oggi ti ha più colpito e quale hai partecipato
di più, in quale ti sei sentito più coinvolto emotivamente e affettivamente. Parlane e spiega il tuo punto di vista”.
35
185
Pentagono. Secondo me Bin Laden era arabiato su i [con gli] americani
perché tratava male i popolo Afghano. Il popolo Afghano scambiava petrolio
su [con] i soldi e le armi con i [degli] americani; ma dopo un po i americani
non pagavano piu e i afghani hanno cominciato la guerra e gli atentati. Il
popolo afghano e [è] victima ai [dei] talebani che hanno un sistema dittatura
che le donne erano coperte di un lungo vestito su tutto il corpo e si vedeva
soltanto i occhi e che non potevano uscire senza il marito, e i bambini non
potevano giocare. I americani devono trovare Bin Laden che si nasconde chi
e riccho e a tante armi. Caturare i talebani e i afghani che hanno amazato i
giornalisti che vanno là a far vedere a tutto il mondi che si sucede e quanti
uomini muoiono. La cestano anche tante mine anti uomo che amazano ogni
giorno tante persone e tanti bambini. Io spero che questa guerra finisca bene
(la professoressa scrive: una guerra non può mai finire bene, perché
comunque ha già causato tanta disperazione, morti, distruzione. Forse volevi
dire “presto”)”.
Chi è Lina?
Se mi chiedessero di descrivere in poche parole chi è Lina direi che è una
ragazzina deliziosa, che ha legato subito molto con me, forse perché è
femmina o forse perché ha trovato in me qualcuno che sa ascoltare. È molto
affettuosa e chiacchierona, mi sommerge di pensieri e parole, a volte anche
molto fantasiosi. Ha un carattere estroverso ed è tanto bisognosa d’affetto e di
attenzioni, tanto che visto che è spesso sola a casa, mi chiede, quasi tutte le
volte che la vedo: - Quando vieni a casa mia? -. Quando ci sono andata una
volta, per la strada, mi ha inondato di domande e racconti; credo che le
piaccia molto la mia compagnia. È molto precisa in tutto quello che fa, forse
186
anche troppo; è maniaca dell’ordine e della pulizia, è cocciuta ed ostinata,
non si arrende mai, è molto volenterosa e adora gli animali.
Piange spesso a scuola, è molto emotiva; in classe i suoi compagni dicono
<permalosa>, ma io la incoraggio e quando la rimproverano perché piange
sempre, le dico che anch’io piango spesso e lei mi sorride.
La nostra amicizia è cresciuta giorno dopo giorno, confidenza dopo
confidenza. Mentre con Carlo non sono mai riuscita a creare un vero rapporto
personale, di scambio, di dialogo, con Lina è stata lei a cercarmi, a volere in
me qualcuno con cui parlare, con cui confidarsi; io ho dovuto solo
assecondarla e aprirle il mio cuore. Poco posso ricostruire della sua storia di
vita dai compiti in classe, prima di tutto perché in prima media (la classe da
lei frequentata) non ne hanno fatti molti, e poi perché a farlmela conoscere
bene sono state le nostre numerose chiacchierate. Lei in me ha trovato
qualcuno pronto ad ascoltarla, a consolarla quando era triste, a darle
coraggio nei momenti difficili. Non so se mi vedeva come un’amica, una
sorella maggiore, ma so che mi voleva tanto bene, infatti non perdeva
occasione per dirmelo e scrivermelo. Numerose sono le pagine del suo diario
strappate e ragalatemi con una scritta colorata che diceva: “Fede
T.V.U.K.D.B. by Lina” e cioè nel loro gergo: “Fede ti voglio un kasino di
bene da Lina”36.
All’inizio, nella sua classe, come anche in seconda media, sono stata
presentata dalle insegnanti come una laureanda di lettere che doveva
frequentare le lezioni per imparare ad insegnare; ero per loro una “futura
professoressa”. Erano tutti molto sospettosi e allo stesso tempo incuriositi.
Con il passare del tempo sono entrata in confidenza con buona parte di loro e
tutti, chi più e chi meno, si sono affezionati a me e quando per un motivo o
per l’altro non mi vedevano arrivare chiedevano alle insegnanti notizie.
36
Vedi Appendice 1, “Scritti di Lina”.
187
Il mio occhio di riguardo per Lina e per la sua storia, scopo della mia
ricerca, non si è manifestato subito; all’inizio ho cercato prima di tutto di
farmi accettare dalla classe ed è stato allora che, per pochissime attenzioni in
più datele, lei si è “attaccata” a me e mi ha “scelto” come sua amica. Il suo
primo gesto, dal quale è scaturita la nostra sempre maggiore vicinanza, è
avvenuto proprio il primo giorno della mia ricerca (Diario di classe,
18.12.2002). “Il mio orario sarebbe finito, quando accompagnando la
professoressa di musica in prima, per aiutarla a portare lo stereo, trovo Lina
che ripulendo il posto vicino a lei da fogli e dallo zaino che occupava la sedia,
mi chiede o meglio mi prega di rimanere un’altra ora e di sedere vicino a
lei”37. “(...) Le chiedo come mai è al banco da sola e se la sua compagna è
assente, ma lei mi dice che è da sola poiché le piace star da sola. Mi chiede
se sono una professoressa e le dico: - Non ancora! -. Malgrado mi abbia
voluto lei lì vicino e malgrado queste poche parole scambiate, per il resto
della lezione non mi ha dato molta confidenza”38. Questo è stato il nostro
primo contatto: lei era sola ed io ero disponibile e da quel giorno, per tutti i
giorni della mia ricerca, il posto al suo fianco era il mio, sempre libero.
Sapendo che aveva piacere ad avermi accanto, l’ho quasi sempre
accontentata.
In un momento in cui la professoressa di lettere si era allontanata dalla
classe “le chiedo come passa il tempo e lei mi dice che di solito gioca con il
suo criceto. Poi mi dice che desidererebbe tanto una tartaruga e un cane”39.
Approfitto di questa affermazione e del suo amore per gli animali, che
ritornerà come caratteristica costante per tutta la mia ricerca, per poter
cominciare a parlare un po’ con lei e “le dico che io ho un cane e le faccio
vedere la foto (che porto sempre dietro) del mio Cocker, Argus. Come vede
37
Diario di classe, 18.12.2002.
Ibidem.
39
Op. cit. nota 14.
38
188
la foto Lina dice: - Com’è bello, piccolo! -, - Quanti anni ha? -; io le rispondo
che è anziano perché ha 13 anni, che è un po’ sordo e che non vede più tanto
bene. Lei mi dice come devo fare per far in modo che Argus veda meglio. Mi
racconta che un giorno la mamma le ha portato a casa il cane del padrone (il
datore di lavoro) e che questo cane la mattina aveva dei problemi ad aprire gli
occhi; allora lei con un batuffolo di cotone imbevuto di acqua molto calda gli
ha bagnato e pulito gli occhi e lui, così, li ha potuti riaprire e vedere bene. Mi
consiglia di farlo; le spiego che Argus non ci vede perché è anziano e non
perché ha dei problemi agli occhi, ma lei continua e mi dice: - Sei fai così poi
lui vede bene! -; non insisto”40. Come è possibile notare basta poco, la foto di
un cane in questo caso, perché Lina mi racconti una storia, un avvenimento
della sua vita. La cosa che più nel racconto mi ha colpito è l’epiteto utilizzato
per il datore di lavoro della mamma e cioè “padrone”; credo che questo sia il
modo in cui lo chiama sua madre e lei per imitazione fa’ lo stesso. Non so
perché ma quell’epiteto è stonato alle mie orecchie. Forse perché indica un
rapporto di “servilismo” a cui la nostra società non è abituata.
Una mattina “apre (...) la sua agenda nuova del 2002 (della Banca del
Credito Italiano, mi sembra) e mi fa vedere che alla fine delle pagine c’è una
cartina del mondo e una dell’Europa. Le chiedo di dirmi da dove viene e lei
risponde dalla Romania e precisamente da una città di cui, però, non capisco
il nome (...) Le chiedo se sulla cartina c’è, lei la guarda attentamente e mi
dice di no; lì non si vede. Poi mi chiama e mi dice: - Professore’, sembra un
pesce la Romania? - e io le rispondo: - Si, sembra un pesce rosa!! - (dal
momento che nella cartina politica a nostra disposizione era stata colorata di
rosa), lei mi guarda e sorride (...) Lina vuol far vedere alla professoressa la
40
Ibidem.
189
cartina con la Romania, ma lei è distratta (...) Ci rimane male e chiude
bruscamente l’agenda”41.
All’inizio credevo che fosse una ragazzina che aveva difficoltà a parlare di
sé spontaneamente, ad aprirsi, ma presto mi sono dovuta ricredere.
L’occasione che ancor più ha cambiato il nostro rapporto, oltre al suo bisogno
di attenzioni e di affetto, non è tardata ad arrivare; difatti, un giorno “(...) mi
dice: - E ora con le vacanze io come faccio? Che faccio a casa? - (la scuola
chiude per una settimana perché ha totalizzato 205 giorni effettivi di lezione
al posto dei 200 previsti dalla Legge; per questo la Preside ha deciso di
concedere ai ragazzi una settimana di vacanza tra il primo e il secondo
quadrimestre, cioè dal 4 all’8 febbraio). Chiedo ad Lina se ha fratelli o sorelle
e lei mi dice che è sola; la mamma lavora tutto il giorno e il papà non c’è mai
perché lavora fuori Roma (...) Mi siedo vicino a lei e le dico che, se durante le
vacanze vuole un po’ di compagnia, potremmo vederci e passare un po’ di
tempo insieme. Lei tutta contenta mi dice di si. Le chiedo il numero del
telefono e lei mi dice che non ha il telefono a casa, che il suo telefonino ha la
scheda bloccata e che quindi mi da’ il numero del telefonino della mamma; le
raccomando però di dire alla mamma che martedì (rimaniamo d’accordo per
martedì) sarei andata a casa a farle compagnia. Comunque le dico che l’avrei
sicuramente chiamata anch’io per parlarle, presentarmi, avvertirla e chiederle
se è d’accordo. Lina mi dice: - Va bene, tanto mamma è contenta! -. Mi da’ il
suo indirizzo, ma non il numero civico, non se lo ricorda (mi riserverò di
chiederlo alla mamma). Poi dice: - Anch’io devo avere il suo! - e vedo che
sull’agenda, malgrado mi chiami sempre “professore’”, scrive, ricordandosi il
mio nome, Federica. Le domando: - E che facciamo? I compiti, no eh..!! - e
lei: - Giochiamo alla Playstation e mangiamo patatine! -. Poi le chiedo se ha
foto della Romania perché mi piacerebbe sapere qualcosa del suo paese; lei,
41
Ibidem.
190
felicissima, mi risponde di si e che altre foto gliel’hanno portate da poco degli
amici, perché lei non può andare in Romania. Le chiedo il motivo e lei: - Non
ho ancora i documenti a posto! -”42. Lina spesso a casa si ritrova sola e per lei
la scuola oltre che un luogo dove apprendere l’italiano, la storia, la
matematica, ecc., è un luogo che le permette di stare con gli altri, di non
sentirsi sola.
Come avevo detto a Lina, prima di andare a casa sua, “ho contattato
telefonicamente la mamma e le ho detto che, dal momento che Lina era triste
per le vacanze, se per lei andava bene, sarei andata da loro una mattina per
farle compagnia. Lei mi ha chiesto se volevo stare solo con Lina o anche con
lei, io le ho risposto che mi avrebbe fatto molto piacere conoscerla, ma lei mi
ha detto che purtroppo doveva lavorare tutta la settimana fino alle 20. Se
volevo, però, potevo vedere Lina e mi ha ringraziato per questo”43. Non
sapendo dove abitava, ci siamo date appuntamento a scuola, “dal momento
che né Lina, né la mamma sapevano il numero civico della loro abitazione, ho
aspettato qualche minuto e alle 13:05 ci siamo viste. Lina mi ha portato una
bellissima rosa rosa e dandomela mi ha abbracciata”44. Era come se mi avesse
conosciuta da sempre e mentre andavamo verso casa, io le facevo delle
domande e lei mi ha cominciato a raccontare di sé. “Mi ha raccontato che il
papà (che lavora fuori Roma) era in Italia da 5 anni (come suo zio Gigi), la
mamma da 2 e lei solo da 9 mesi. Le faccio i complimenti per come ha presto
imparato l’italiano e lei mi dice: - Mi piace tanto l’italiano! -. Mi racconta che
quando la mamma è venuta in Italia, lei è rimasta in Romania con la nonna”45.
Era in Italia soltanto dall’estate scorsa. “Lungo il cammino (buoni 15 min.)
passiamo davanti alla casa di un ragazzo (del quale non mi ricordo il nome)
che Lina conosce e mi dice: - Prima o poi gli spacco la testa! -; le chiedo
42
Ibidem.
Diario di classe, 05.02.2002.
44
Ibidem.
43
191
perché, e lei: - Una volta mi ha spillato il quaderno di scienze e io gli ho
detto: spillati il cervello, non il mio quaderno di scienze!! -”46. Avvenimento
che evidenzia l’attaccamento di Lina alle proprie cose, che devono sempre
essere in perfetto ordine.
“Abita in un quartiere, il Trullo, dove le case sono tutte basse e le strade
strette; nella sua strada non ci sono i marciapiedi ma solo dei tubi ritorti
nell’asfalto che delimitano la strada dallo spazio pedonale. La sua palazzina è
di 3 piani e la sua casa sta al primo. Quando entriamo, trovo solo Mirko, suo
cugino, un ragazzo di 23 anni che quando non lavora (fa il parquettista) sta a
casa e, come dice lui: - Guardo i film! -. Mi prepara il caffè; io mi scuso per
l’intrusione e lui si siede in “salottino” con noi a chiacchierare; mi chiede
l’età, che faccio nella vita e se sono sposata. Io rispondo alle sue domande e
noto in Lina un certo fastidio. Lina parla con Mirko in romeno e, quando le
chiedo cosa ha detto, Mirko la rimprovera dicendo: - Non devi parlare
rumeno, Federica non lo conosce e quindi non è educazione! -, ma lei non lo
ascolta e continua. Lui gli risponde in rumeno, riferendomi ogni tanto cosa si
sono detti (non so se poi mi diceva tutto). Lina è infastidita dalla presenza del
cugino. Prima di arrivare mi aveva detto che era un po’ matto, che era tutto
scemo, e che gli piaceva fare i scherzi e tenerla per i piedi a testa in giù.
Non faceva che ripetergli qualcosa e lui le diceva: - Lina, ma quando cresci! -.
Poco dopo se n’è andato nella sua camera a vedere la TV. Rimaste sole, le
chiedo che cosa aveva e lei mi dice: - Mirko, quando porta a casa le sue
amiche, mi caccia sempre dalla camera e quindi deve andare via! -”47. È
gelosa di me, per lei io sono una sua amica e non vuole condividere la mia
compagnia con nessuno.
45
Ibidem.
Ibidem.
47
Ibidem.
46
192
“Mentre prendo il caffè, Lina si toglie le scarpe per mettersi le pantofole e
va in bagno. Intanto io ho il tempo di guardarmi un po’ intorno. La sua casa
sarà grande 30 mq., forse anche meno. Entrando ci si trova subito in una
cameretta, che ho chiamato prima “salottino” dal momento che ci sono due
poltroncine (mal ridotte) e un piccolissimo tavolo di legno da salotto; oltre a
questo c’è anche un letto da una piazza e mezza, due piccole credenze e,
sopra una di queste, un televisore vecchissimo (che prende pochi canali e ogni
volta che cambi stazione devi sistemare l’antenna altrimenti non si vede
nulla). Collegati a questa stanzetta-corridoio ci sono 3 locali [molto piccoli].
Uno è la cucina, piccolissima, senza finestra, con quattro pensili (alcuni
malridotti) e un frigorifero, all’interno della quale c’è anche un lettino dove
dorme lo zio. Un altro è il bagno e il terzo è una camera con un altro letto
matrimoniale, un armadio e una TV (la stanza dove stava il cugino). Lina mi
dice che nel letto del “salottino” dorme lei con la mamma e nella camera
Mirko con il papà. Quindi una casa da 30 mq. ospita cinque persone. Poi mi
fa vedere il piccolo balcone dove la mamma tiene le sue piante; mi mostra le
piante grasse che le ha regalato lei e mi dice: - Quando torno da scuola e ho
un po’ di soldi compro sempre una piccola pianta per mamma! -. Poi mi
presenta i suoi amici criceti “Gipsi” e “Tripsi”. Tripsi è solo da tre giorni che
ce l’ha, mentre Gipsi è un bel po’. Passiamo molto tempo a dare da mangiare
a Gipsi (l’unico criceto che mangia cioccolata) ed a giocare con lui. Faccio
anche delle foto a lei con Gipsi e le prometto di regalargliele, così potrà
portarsele a scuola e tenere sempre Gipsi con lei”48. La casa è veramente
piccola e malridotta, per non parlare del quartiere composto da tutte case
basse, poco curate e dove per prendere un autobus bisogna fare almeno un
chilometro a piedi.
48
Ibidem.
193
A scuola mi aveva detto che quando ci saremmo viste avremmo giocato
alla Play Station, ma non ce l’ha; forse me l’ha detto perché a scuola
qualcuno la possiede e, per un attimo, il far finta di poterci giocare davvero
l’aveva fatta sentire come tutti gli altri.
“Le chiedo di insegnarmi qualcosa in rumeno, così quando conoscerò la
sua mamma potrò sorprenderla. Quindi prendo dei fogli, le scrivo ciò che per
ora desidererei imparare e lei sotto ogni parola scrive la traduzione e poi me
la legge (vedi Appendice 1, “Scritti di Lina”). Io tento di pronunciare, lei mi
corregge e quando dico esatto, con un bel sorriso esclama: - Brava! -; le piace
molto insegnarmi il rumeno e credo che mi farò insegnare altre parole, per ora
ho imparato: ciao; arrivederci; come stai?; io bene; buon giorno; buona sera;
buona notte”49. La volta successiva che ci siamo viste “Lina (...) mi corre
incontro ed io la saluto dicendo: - Buongiorno - in rumeno. Subito mi chiede
anche le altre frasi che mi ha insegnato e, vedendomi preparata, esclama
sorridendo: - Brava, hai studiato! -”50. Per lei il fatto che esistesse qualcuno
interessato alla sua lingua era una cosa strana, ma molto piacevole; era felice
di insegnarmela.
“Poi propongo di disegnare un po’. Il primo disegno consiste nel
raffigurarci l’un l’altra e il secondo è un autoritratto (vedi Appendice 1,
“Scritti di Lina”). Mentre disegnamo, approfitto per parlare un po’ con lei del
suo passato. Mi racconta che viene da Piatra Neamz [in Moldavia] e che
quando era in Romania e viveva con la nonna (visto che la mamma e il papà
erano già in Italia) stava molto bene e che la nonna la faceva sempre pulire
bene prima di entrare in casa. Le chiedo se le manca e lei mi dice di si, ma
che la sente quando può per telefono. Mi confessa: - Sto’ meglio in Italia
perché qui c’è la mia mamma! - e mi dice di aver chiesto più volte alla
49
50
Ibidem.
Op. cit. nota 22.
194
mamma un fratellino perché a lei piacciono tanto i bambini”51. Dalle sue
parole trapela un gran bisogno di affetto e di compagnia e anche se dice che
stava bene con la nonna vedremo più avanti quanto strano sia il suo rapporto
con questa persona.
“Le chiedo se preferisce la Romania o l’Italia e lei mi dice senza rifletterci
con un tono un po’ malinconico: - Meglio la Romania, lì c’è la neve! -; poi le
chiedo se conosce i progetti della famiglia e se rimarrà a lungo in Italia; lei
non lo sa, ma alla mia domanda: - Vuoi tornare in Romania presto? -,
risponde: - Si! -”52. È felice di essere in Italia con la mamma, ma non ha dubbi
quando esprime il desiderio di voler tornare nel suo Paese, mentre, come
abbiamo visto, Carlo è molto più incerto. Forse per lui, che è da più tempo in
Italia e quindi inserito meglio, entrambe le possibilità andrebbero bene; per
Lina, invece, la vera e unica casa è, per il momento, ancora la Romania.
“Mentre lei disegna, disegno anch’io e pare che lei gradisca molto. Poi le
dico che vado un attimo al bagno e lei mi dice: - Il bagno è un po’ sporco! -.
Il bagno è molto piccolo, i servizi sono di porcellana marrone e
completamente attaccati dal calcare; non ci sono mobiletti dove riporre le
cose, ma solo cassette di legno e saponi e spazzolini sparsi un po’ ovunque.
Torno da Lina che sta’ ancora disegnando e lei mi offre delle caramelle, che
mangiamo insieme (...) Stanche di disegnare mi fa un gioco53: da sei numeri
detti da me a caso da uno a dieci, mi fa il ritratto. Poi mi mostra le sue
agende: una l’ha trasformata in un libro sugli animali; ha attaccato tante foto e
sopra ognuna ha scritto il nome (a volte in italiano, altre in inglese)
dell’animale rappresentato e l’altra è dedicata “al suo amore per Leonardo Di
Caprio”. Le ho portato una piccolissima foto di Leonardo trovata su una
rivista, lei mi ringrazia con un abbraccio e l’attacca subito. In quel momento
51
Op. cit. nota 43.
Ibidem.
53
Vedi Appendice 1, “Scritti di Lina”.
52
195
torna Mirko che la prende in giro perché lei ha scritto sull’agenda: “Leonardo
ti amo”. Le dice in romeno (poi tradottomi) - Ma se non sai neanche che
significa amare!! -. Lei si arrabbia e gli risponde in italiano: - Vaffanculo! -.
Lui la rimprovera e dice: - Sei una ragazzina, continua così e non imparerai
mai niente! -, e se ne va”54. Il tono del cugino è severo, non scherza, non so
perché la tratti così, ma lei si difende abbastanza bene.
“Mi fa vedere dove tiene le cose per la scuola. È una piccola credenza (una
delle due del salottino), dentro non ci sono ripiani e non ci sono libri, ma solo
due o tre quaderni e diverse agende (una del Credito Italiano, una della Saba
ed altre). Prende quella della Saba; è nuova e mi dice: - Bella vero! La vuoi,
io ne ho tante? -, le dico di tenerla per sé perché io ne ho già una”55. Il fatto
che lei non abbia né quaderni, né libri mi ha colpito fin dall’inizio; è assurdo
che una ragazzina che deve andare a scuola, perché è un suo diritto, non
possa avere quello che tutti i suoi compagni hanno. Come può sentirsi come
gli altri, quando non ha i libri su cui studiare? “Poi mi chiede quanto avevo
pagato i colori che avevo portato con me e io le dico: - 4.80 euro -, e lei:
- Così poco! -, poi continua: - Io mi devo comprare tutto, non ho più niente
da quando sono venuta qui! -”56.
“Sentiamo suonare alla porta; Lina va ad aprire. È lo zio, che mi saluta e
conosce già il mio nome; forse Lina gli ha parlato già di me; poi va di là da
Mirko e non lo vediamo più fin quando mi saluta prima di andarsene”57.
“Facciamo un altro gioco proposto da Lina e cioè “Nomi, cose, città,
animali e colori” (vedi Appendice 1, “Scritti di Lina”). Si prende un foglio, si
tracciano cinque colonne, si scrive il titolo di ogni colonna (rispettivamente
nomi, poi cose e così via); poi si estrae una lettera e bisogna scrivere con
54
Op. cit. nota 43.
Ibidem.
56
Ibidem.
57
Ibidem.
55
196
quell’iniziale un nome, una cosa, una città, un’animale e un colore. Poi, per
ogni parola diversa trovata dai partecipanti al gioco, si assegnano 10 punti,
per ogni parola uguale 5 punti, per ogni risposta non data 0 punti. Decidiamo
ad un certo punto di non estrarre più la lettera, ma di seguire l’ordine
alfabetico. Le difficoltà maggiori per Lina sono nel trovare i nomi delle città,
così le permetto di cercarli su una cartina che ha nella sua agenda, e quando
anche la mia memoria non mi aiuta guardo (spesso con il suo aiuto) anch’io;
cerchiamo insieme, a volte la trovo io per lei, a volte lei per me. Le piace
aiutarmi. Anche i nomi la mettono un po’ in difficoltà, così le propongo di
scrivere anche nomi rumeni e se vuole inglesi e francesi, ed ecco che lei
approfittando delle sue conoscenze scrive colori e animali in tutte e tre le
lingue. Ride e si diverte da morire quando mi lamento, scherzando, e dico:
- Questo gioco non mi piace tanto, sono troppo svantaggiata perché tu
conosci tre lingue, io solo l’italiano ed a mala pena l’inglese! -. Spesso cerca
di sbirciare sul mio foglio, ma sorpresa sul fatto sorride e fa finta di niente;
cerca di copiare, ma a volte scrive qualcosa intendendo qualcos’altro, es.
copia <ermellino> e non sapendo cos’è lo scrive sotto “colori”; quando le
spiego l’errore ride, corregge e proseguiamo il gioco. Quando fa la somma
dei punti, spesso sbaglia e dice: - Dieci, trenta, quaranta - ed io esclamo:
- Come?? Sbaglio o stai rubando qualcosa? -; allora accortasi dell’errore si
corregge e ride (ride di cuore). Arrivate alla “r” interrompiamo e lei propone
“Il gioco dell’impiccato”; le raccomando di usare parole che conosce bene,
altrimenti non avrei mai potuto indovinarle. Malgrado questo, lei è sempre più
brava di me e vince ogni volta.”58. Giochiamo come due amiche e il suo voler
giocare e cambiare gioco continuamente mi fa riflettere sul suo gran bisogno
di giocare, di giocare con qualcuno, non più da sola o con il criceto, come
forse è abituata a fare; mi convinco sempre di più che ha bisogno di affetto,
58
Ibidem.
197
ha bisogno di giocare come le bambine della sua età, ma purtroppo il lavoro
dei genitori non le permette di avere la compagnia che desidera.
“Poi va in cucina e si prepara uno strano cioccolato, fatto con acqua calda
e cacao. Per pranzo, mi racconta che, essendosi alzata alle 11, ha mangiato
solo latte e biscotti. Non mangia altro; le chiedo se per stasera glielo
preparerà la mamma, lei mi risponde di si e io le dico: - A che ora torna
mamma? -, e lei: - Non lo so! -”59. Anche all’ora dei pasti, quindi, Lina spesso
è sola; in cucina si muove bene, come una donnetta, ma come può una
ragazzina di 12 anni prepararsi da sola da mangiare e soprattutto avere la
capacità di nutrirsi come necessita, vista l’età, per crescere? Non mangia
molto, anche a scuola; non fa mai merenda e spesso la regala; ho notato di
frequente che “Lina (...) chiede a Desirè se ha la merenda e se vuole la sua
che a lei non va. Desirè le chiede: - Che c’hai? - e lei le fa vedere che ha un
fagottino al cioccolato. Desirè lo prende dicendo: - Va be’! -”60. In un’altra
occasione “Lina non fa merenda, ma la regala ad Alex”61. E poi un altro
giorno “suona la campanella e inizia la prima ricreazione; tutti escono dalla
classe con la propria merenda. Lina non mangia; le chiedo sa ha portato
qualcosa da mangiare e lei dice di si, ma ora non ne ha voglia”62. E ancora
pochi giorni dopo, “suona la ricreazione e, come al solito, noto che lei non
mangia; le chiedo se ha la merenda, lei mi dice di si, ma che non le piace. Le
chiedo perché si porta una cosa che non le piace e lei mi dice che la compra
la mamma e che le dice: - Devi imparare a mangiare anche questa! -”63.
Questa frase è di lezione per me e non solo, lo è per tutti, per tutti quei
ragazzi che mangiano solo quello che vogliono e rifiutano il resto dicendo:
“mi fa schifo!”. Mi colpisce molto sentire una mamma che insegna a sua figlia
59
Ibidem.
Op. cit. nota 14.
61
Diario di classe, 13.03.2002.
62
Diario di classe, 03.04.2002.
63
Diario di classe, 10.04.2002.
60
198
ad apprezzare tutto ciò che si mangia; infatti non sempre è possibile scegliere
cosa mangiare o meglio purtroppo non per tutti lo è, bisogna imparare ad
accontentarsi.
Inoltre, il fatto di regalare sempre la propria merenda può essere visto in
relazione al gran bisogno della bambina di essere accettata e di sentirsi “utile”
nell’ambito di una micro-società già formata, una società in cui Desirè e Alex,
come vedremo, hanno un ruolo dominante. La merenda, in questo contesto, è
uno strumento di relazione, uno dei pochissimi che lei possiede.
“[Poi] (...) propongo io un gioco inventato da me sul momento: Il gioco
dell’intervista, che consiste in domande fatte e risposte date da entrambe. Da
questo gioco viene fuori che il suo piatto preferito è la pizza; il suo colore è il
nero; che i ragazzi le piacciono biondi, occhi blu e sensibili; che la musica
che gli piace è quella dei “Backstreet Boys”; che ama tutti gli animali; che la
città che preferisce è quella di Leonardo Di Caprio (l’ha vista una volta in TV
e dice che è tanto bella); che da grande vuole fare la studiosa degli animali;
che le piace la scuola e la materia che preferisce è la matematica. Quando poi
le chiedo il compagno più simpatico, lei mi risponde: - Nessuno! - e mi dice
che in Romania aveva tanti amici, che però ora non sente più. Alla mia
domanda se qui ne ha, mi risponde di no”64. Le mancano molto i suoi amici
della Romania e infatti ad alcune domande del nostro gioco del
questionario65, un altro gioco inventato da me per avere più notizie sulla sua
storia (che non è altro, poi, che un foglio con delle domande che ci facciamo
reciprocamente), ricorre spesso la sua nostalgia: - Cosa ti ricordi della
Romania? - e lei: - Io mi ricordo la casa di mia nonna, il posto dove ni
abbiamo visto x l’ultima volta e miei amici -, - Cosa ti manca della
Romania? -, - Miei amici -, Cos’è per te l’amicizia? -, risponde: - x me
64
65
Op. cit. nota 43.
Vedi Appendice 1, “Scritti di Lina”.
199
l’amicizia è una cosa che ti tiene la compagnia e qualche volta quando ti
sucede qualcosa e ai qualcosa da dire (come un segreto) un amico ti po
aiutare -, poi le richiedo: - Hai tanti amici? - e lei stavolta risponde: - Si. Ho
tanti -. Soffre della lontananza dagli amici lasciati in Romania; qui non ne ha
o almeno non ancora.
Anche se in realtà il questionario completato da Lina è stato uno solo, ho
notato che a lei facevano piacere le domande. Un giorno infatti “Lina mi vede
e mi chiede sorridendo: - Un altro questionario? -; le faccio segno di si; non
so perché, ma le piace molto questo gioco; devo però sempre ricordarmi di
firmarli sotto, altrimenti è lei che mi ricorda di farlo [Singolare e per me
inspiegabile è il fatto che io li debba sempre firmare!]. Spesso ci scrivo anche
qualche frase affettuosa, tipo “T.V.U.K.D.B”, molto usata da lei e dai suoi
compagni”66. Probabilmente il suo interesse per questo gioco proviene dal
fatto che le domande (e quindi il mio interesse per lei e per ciò che ha da dire)
la fanno sentire importante e al centro dell’attenzione, quell’attenzione che
forse non trova nemmeno all’interno del nucleo familiare.
“Arrivata l’ora di andar via, lei mi chiede se può accompagnarmi alla
fermata dell’autobus; io accetto volentieri e subito corre a prepararsi. Arriva
Mirko a salutarmi; gli chiedo se Lina può uscire e lui mi risponde: - Lei fa
come vuole, non sono io che devo dirle se può uscire o no! -. Ci salutiamo e,
uscendo, Lina gli dice qualcosa in rumeno; gli chiedo cosa ha detto e lui:
- Solite stupidaggini! -. Per le scale le domando cosa aveva detto e lei: - Gli
ho detto che alle ragazze si bacia la mano! -. Sorridendo le spiego che oggi
non si usa più. Lungo la strada, mi chiede se mi piacciono i bambini e se
voglio sposarmi; le rispondo di si e lei, guardandomi, mi dice: - Sei molto
bella! -”67.
66
67
Diario di classe, 08.05.2002.
Op. cit. nota 43.
200
“Le chiedo come ha imparato l’italiano e se all’inizio gliel’ha insegnato un
po’ la mamma, ma risponde che ha imparato da sola, cercando le parole sul
vocabolario. Mi racconta che appena arrivata, quando guardava la TV,
chiedeva: - Cosa significa questa parola, mamma? - e lei gliela spiegava. Una
volta doveva andare a fare la spesa e la mamma le aveva detto di comprare il
pane di grano duro. Per la strada non faceva che ripetere - Pane di grano duro,
pane di grano duro .. - ma che poi, arrivata lì, se l’era dimenticato e così era
dovuta tornare a casa a chiederlo alla mamma; mentre un’altra volta, usando
la stessa tecnica, era riuscita a comprare da sola delle patate”68. Malgrado le
difficoltà di imparare una lingua nuova siano molte, Lina escogita diversi
metodi per apprendere quella che potremmo definire la lingua italiana
strumento, cioè quella che le consente di comunicare con gli altri
quotidianamente, la lingua per comprare, appunto, il pane o il latte; ed ecco
che, in mancanza di altro, essendo da poco arrivata e non avendo ancora
iniziato la scuola, utilizza la TV come un insegnante e quando non ha l’aiuto
della mamma, non si arrende ed usa il vocabolario; è molto caparbia e, con la
sua ostinazione, riesce ad apprendere molto velocemente.
Molto curiosa “poi le chiedo com’è la scuola in Romania e lei: - mmh.. non
è come qui. Tutti portano divise bianche, è tutto bianco e pulito: banchi, sedie
e muri. Anche le lavagne attaccate al muro sono pulite e si può cancellare
solo per lungo (e mi fa un cenno con la mano a significare che si poteva
cancellare solo verticalmente). Le ragazze devono portare i capelli legati e
tirati (e mi mostra come, legati con la coda), e i ragazzi devono tenere i
capelli corti, non come qui che i ragazzi li portano lunghi. Tutto più pulito, e
se sporchi e butti la carta per terra ti prendono e ti fanno fare le pulizie dei
bagni per una settimana, come le bidelle -. Io le racconto un po’ di quando
andavo a scuola: che alle elementari indossavamo tutti il grembiule, le
68
Ibidem.
201
bambine bianco ed i bambini blu e che alle medie non tutti i professori
gradivano i capelli lunghi, le minigonne e l’orecchino al naso per esempio.
Lei mi interrompe e aggiunge: - Se avevi l’orecchino al naso, quello tondo, ti
prendevano così (mi fa cenno che prendevano il “colpevole” per l’orecchino)
e ti cacciavano fuori! -. Le chiedo se le materie che studiava in Romania
erano le stesse che studia qui in Italia e lei risponde di si, ma oltre a quelle
c’erano anche l’inglese e il francese”69. Non solo in quest’occasione, ma
spesso quando chiedo (Diario di classe, 03.04.2002) ad Lina com’è la scuola
romena lei mi risponde: - Cattiva!! -. Anche nel gioco del questionario70 alla
domanda: - Come era la scuola in Romania? - Lina risponde: - + bella
dell’mondo -, poi prosegue: - Cosa pensi della scuola italiana? - e lei: - È una
scuola stranissima con proffessori strani. Non è una scuola normale. Tutti
mancano. I professori non vengono coasi mai a scuola - e quando le chiedo:
- Vorresti tornare in Romania? E perché? -, scrive: - Si, xchè avevo tanti
amici e la scuola -. “Racconto all’insegnante di lettere della seconda media
qualcuno dei ricordi di Lina della scuola in Romania e lei mi dice che l’anno
scorso (durante l’ora alternativa a religione) anche Carlo le parlava della sua
scuola e della sua dura disciplina. Malgrado questo il particolare dell’edificio,
delle aule, dei banchi e delle sedie tutti bianchi non le risultava. Entrambi i
ragazzi ricordano una scuola severa, molto diversa da quella italiana”71. La
scuola romena risulta, almeno dai ricordi dei due ragazzi, molto più dura e
severa, ma nonostante questo ad entrambi manca, gli manca il loro paese, la
loro realtà.
Quando siamo arrivate alla fermata, Lina mi ha salutato con un forte
abbraccio, un bacio e mi ha ringraziato. Credo che la mia compagnia per lei
sia stata un po’ come una festa ed io ho imparato a conoscerla di più vedendo
69
Ibidem.
Vedi, Appendice 1, “Scritti di Lina”.
71
Op. cit. nota 22.
70
202
dove abita e come vive. Oggi io ero stata lì per lei, per giocare, per farle
compagnia. Anche se non era sola, il cugino non si occupava affatto di lei. È
una bambina molto dolce ed estroversa; basta farle delle domande e lei
risponde; non si chiede quale fine tu abbia, lei ha piacere a risponderti, a
raccontarti di sé, della sua vita, della sua famiglia, forse molto più di
qualsiasi membro della sua famiglia che cerca nelle domande sempre una
motivazione; è semplice, innocente, spontanea, come la maggior parte dei
bambini alla sua età.
La famiglia di Lina, come abbiamo visto, è composta principalmente da
quattro persone: la mamma, il papà, lo zio, il cugino, ma come vedremo,
durante l’anno scolastico, il loro numero aumenterà, poiché arriveranno dalla
Romania una zia e una cugina.
In un compito in classe72, dell’8 marzo 2002, del quale non riesco a capire
il titolo, Lina propone prima di tutto lo schema che vuole seguire per il suo
svolgimento: “la descrizione, mio rapporto, come si comportano con me
(bene), non mi dicono quasi mai no, mi perdonano sempre, dopo che mi
menano (qualche volta) vengono da me e mi dicono quanto mi vogliono
bene”, e poi, nel tema, scrive: “miei genitori sono più bravi del mondo. Il mio
rapporto con loro è bello (in nel senso di volerci bene). Dopo che mi menano
vado da loro e gli chiedo scusa e gli mi ci diciamo guanto ci vogliamo bene e
in fondo gli voglio bene a tutti e due”.
Una mattina Lina “mi chiede se posso aspettare fino alle 14:30, perché
dovrebbe venire la sua mamma e vorrebbe farmela conoscere. Il giorno prima,
infatti, tutti i genitori erano andati a prendere le schede del primo
quadrimestre, ma la sua mamma non aveva potuto per problemi di lavoro e
così oggi le aveva detto che avrebbe cercato di prendersi due ore di
permesso. Ma così non è stato, non è venuta. Lina è stata tutto il tempo fissa
72
Vedi, Appendice 1, “Compiti di Lina”.
203
con lo sguardo sul cancello e ad un certo punto, con un tono triste, mi ha
detto: - Non è venuta! -, ed io: - Non ti preoccupare, prima o poi la
conoscerò! -”73. La volta successiva mi dice: “- Hai visto mia madre, è venuta
a scuola? -. L’avevo vista, ma non aveva immaginato che era la sua mamma;
era venuta a prenderle lo zaino, così più tardi sarebbe potuta tornare a casa
senza peso. È una signora alta con i capelli rosso scuro, robusta e con gli
occhi azzurri. Chiedo se la mamma poi aveva preso la sua pagella, Lina mi
dice di si e che aveva tutti sufficiente e buono. Le faccio i complimenti e le
chiedo se la mamma e il papà erano rimasti contenti. Lei mi dice di si e mi fa
vedere una maglia e il giacchetto nuovo che le aveva regalato il papà,
precisandomi il prezzo, rispettivamente 7 e 20 euro”74. Anche in questa
occasione si può capire la difficile situazione economica di questa famiglia.
Durante la mia ricerca ho quasi sempre visto Lina indossare più o meno gli
stessi indumenti (una tuta bianca e sotto una maglietta di cotone) ed ecco che
come premio, per essere stata brava a scuola, le viene regalato non un oggetto
qualunque, ma qualcosa di utile. In diverse occasione si potrà notare come la
famiglia di Lina cerchi di insegnarle il valore dei soldi, il sacrificio e il più
possibile la rinuncia al superfluo. In un mondo dove lo spreco è all’ordine del
giorno, può sembrare ingiusto che una ragazzina debba fare delle rinunce, ma
se si pensa al fine dei suoi genitori, cioè insegnare alla figlia a vivere serena
anche con il minimo indispensabile, non si può che lodarli; in fondo si impara
presto a vivere nella ricchezza, è a vivere nella povertà che non ci si adegua
facilmente. Un pomeriggio, sempre sedute sullo scalino di scuola che ci fa da
panchina, “mi racconta di aver litigato con la mamma e che sono tre giorni
che non si parlano. Mi dice che si è arrabbiata perché si era comprata Cioè,
un giornalino. Lo aveva comprato perché c’era il poster dei ragazzi di
73
74
Op. cit. nota 22.
Diario di classe, 20.02.2002.
204
Saranno Famosi, che a lei piacciono tanto. La mamma le ha detto che quei
soldi servivano ad altro, poi le ha chiesto: - Ora che preferisci la maglia o la
gita? - (forse se non avesse comprato quel giornaletto, non avrebbe dovuto
scegliere!). Lei risponde: - La gita! - e la mamma: - Invece compreremo la
maglia perché ti serve! -. Così mi dice che forse domani non verrà in gita,
perché non sa se la mamma le darà i soldi per i biglietti dell’autobus, [dal
momento che] per la gita di domani servono solo quelli. Potrei darglieli io, ma
preferisco non intromettermi”75. Poi i soldi la mamma glieli darà comunque e
Lina sarà presente alla gita. La madre cerca, ogni volta che ne ha la
possibilità, di far capire alla figlia quanto sia importante pensare prima di
spendere, senza buttare i soldi in giornalini quando possono servire per cose
più utili.
Decido in qualche modo di parlare ad Lina della mia ricerca e “le dico:
- Lina ho bisogno di te, mi devi aiutare!.. - e lei: - Si io aiuto, io aiuto! -, e
continuo: - Sto facendo una ricerca sulla Romania e tu puoi aiutarmi; quando
hai qualche ricordo scrivimelo, descrivimi com’è la Romania, la tua casa, non
so.. per esempio le case sono come le nostre? -, e lei: - No! Sono molto più
belle! -. - Poi avrò bisogno anche di mamma, per sapere cosa ricorda lei e
come si è trovata all’inizio in Italia e tante altre cose! - e Lina: - Si lei
aiuta! -”76. In realtà poi molto poco è stato l’aiuto della famiglia di Lina; con
la mamma ho avuto occasione di parlare solo poche volte al telefono e per
suoi motivi di lavoro è sempre stato difficile incontrarla.
Un giorno “poi mi racconta che da una settimana è arrivata in Italia sua
cugina (sorella del cugino, questi due ragazzi non sono figli dello zio che vive
con lei, ma figli di una sua sorella), che ha 23 anni e che ha intenzione di
rimanere per tre mesi. Mi racconta, rispondendo alle mie domande, che lei
75
76
Op. cit. nota 9.
Op. cit. nota 22.
205
vivrà a casa con loro e dormirà a letto con il cugino. Le domando allora dove
dormirà suo padre e lei mi risponde che lui ora dorme in un lettino che la
mattina richiude e ripone (...) Mi dice: - Lei però non ha voglia di fare niente.
Non vuole lavorare, quella! Mio zio le ha detto di pulire almeno la casa, ma
lei non vuole fare le pulizie! -. Poi aggiunge: - Non conosce niente d’italiano,
dice solo “avanti” e “indietro”, le ho detto: <Guarda la televisione, come ho
fatto io, se vuoi ti scrivo delle parole!, come faceva mamma con me, così io
ho imparato>, ma lei niente. Mi viene sempre dietro e mi dice come si dice
questo, come si dice quello.. -. (...) Le dico di avere pazienza e di aiutarla, ma
lei è un po’ infastidita dalla nuova arrivata”77. In un’altra occasione mi parla
ancora della cugina e “poiché questa non conosce l’italiano, mi dice: - Lei
non sa fare niente, poverina! -”78. Mentre, un giorno, “andiamo in aula
d’informatica e mi dice: - Mia cugina non lavora!! Quella o lavora con i
bambini o niente!! -”79. Lina è indispettita dalla poca volontà di Dina, la
cugina; per lei e per l’esempio che riceve dai suoi genitori, non si può non
lavorare, non si può non cercare di imparare subito la nuova lingua ed essere
al più presto indipendenti. Poi, finalmente, racconta che Dina, “- Ha trovato
lavoro con i bambini (fa la baby-sitter, credo) e ha imparato un po’ a parlare
italiano. Le dico: - Almeno così quando non c’è mamma lei ti fa un po’ di
compagnia!- e lei mi dice di no, perché la cugina torna solo il sabato e la
domenica, come il papà, in quanto la signora dove lavora “vola” (credo che
faccia l’hostess)”80.
Una mattina, “mentre sistema il registro, la professoressa mi racconta
qualche cosa sull’arrivo di Lina. Mi dice che all’inizio non mangiava quasi
mai e tutto quello che mangiava lo vomitava sempre. Lei non ha mai avuto
77
Diario di classe, 06.03.2002.
Op. cit. nota 8.
79
Diario di classe, 17.04.2002.
80
Op. cit. nota 9.
78
206
molto chiaro il ruolo dello zio nella famiglia, del padre di cui Lina parla, ma
che nessuno ha mai visto e di questo cugino che Lina racconta che la notte fa la pipì a letto -, di una mamma sempre assente per lavoro fino alla sera, di
una bambina a casa sola con questi due uomini e che vomita in continuazione.
Tutto questo l’ha sempre insospettita molto. Poi ha smesso di vomitare, ma la
professoressa non ha smesso di stare in allerta”81. “Mi riporta poi uno strano
racconto di Lina che un giorno le aveva detto che, una sera, lo zio l’aveva
cacciata dal letto dove lei dormiva con la mamma e la mattina, quando si era
alzata, aveva visto la madre sporca di sangue; lei poi aveva fatto cadere il
discorso, non le aveva dato tanta importanza agli occhi di Lina. La
professoressa [non esita a farmi capire che] ha dei dubbi sul ruolo di questo
zio e mi chiede cosa so sul padre; le racconto che vive con loro e lavora fuori
Roma, ma che la sera torna a casa”82 [almeno questo era quello che avevo
capito dai racconti di Lina]. Sul papà le notizie che ho acquisito sono vaghe,
frammentarie e, a volte, contrastanti; Lina mi aveva detto che viveva con loro
e che dormiva con il cugino nell’unica camera da letto. Poi “finalmente riesco
a sapere qualcosa di più su questo padre; non vive con loro, torna solo il
sabato e la domenica, - Vive lontano, dove lavora, in un’altra casa con le
persone con cui lavora e non può andarsene -, almeno così sa Lina, - perché
altrimenti perde il posto -. Il 1 maggio è andata a Ponza con il padre (che ci
doveva andare per lavoro) e la moglie del cugino della madre; si è divertita
tanto, ha fatto anche il bagno nel mare e mi dice: - Lì l’acqua è pulita! -. [E
quello stesso giorno] scopro che lo zio che vive con lei è il fratello della
madre”83. Lina è molto attaccata al padre, forse anche perché non lo vede
molto spesso. L’ultimo giorno della mia ricerca, il giorno dello spettacolo a
scuola, “in un momento di tranquillità, dico ad Lina che oggi sarebbe stato
81
82
Op. cit. nota 66.
Op. cit. nota 61.
207
l’ultimo giorno in cui ci vedevamo e che però l’anno prossimo sicuramente
sarei andata a trovarli, ma lei non dà molta importanza alle mie parole.
All’improvviso la vedo correre incontro ad un uomo gridando: - Papà!! -, lo
abbraccia e lo bacia. Il padre è un bell’uomo, alto, capelli chiari, carnagione
scura. Non si avvicina né agli insegnanti, né agli altri ragazzi, né agli altri
genitori (anche nel teatro dove ci sarà lo spettacolo, rimane in disparte,
completamente isolato), ma Lina non lo lascia mai. Io guardo Lina, lei mi
sorride, ma non mi fa nessun cenno che mi possa permettere di capire se
posso avvicinarmi o no. Mi piacerebbe farlo, vorrei conoscere suo padre, ma
lei non fa niente e sta solo abbracciata a lui, niente e nulla più la interessa.
Provo ad avvicinarmi, ma lui si allontana, e così rinuncio rimanendo vicino
all’insegnante di lettere di Lina, con la speranza che prima o poi si avvicini di
sua iniziativa. - C’è il papà di Lina, ha visto? -, chiedo all’insegnante e lei mi
dice: - No, dov’è, io non l’ho mai visto! Meno male.. Lina era così dispiaciuta
che non sarebbe venuto nessuno! -”84.
La famiglia aumenta sempre di più. Infatti Lina “mi racconta che è arrivata
la moglie del cugino di sua madre e che la mamma le ha trovato lavoro; fa le
pulizie anche lei”85. “Poi (...) [aggiunge] che tra due settimane dovrebbe
arrivare sua nonna, ma non è molto contenta e mi dice: - Lei è cattiva!! -”86.
Qualche tempo dopo chiedo alla professoressa di lettere “se poi la nonna di
Lina è venuta in Italia, in quanto Lina me ne aveva parlato nei giorni passati.
Lina non era contenta di quest’eventualità e anche la mamma, mi dice la
professoressa, era contraria. Mi dice di aver capito che i rapporti non sono dei
migliori, anche se non conosce la storia. Poi lo chiedo ad Lina e lei mi dice:
- No, per fortuna, nonna è cattiva!! -”87. Anche se Lina aveva passato molto
83
Op. cit. nota 9.
Diario di classe, 29.05.2002.
85
Op. cit. nota 62.
86
Op. cit. nota 79.
87
Op. cit. nota 66.
84
208
tempo da sola con la nonna quando la mamma era partita per l’Italia, in fondo
non si era creato un vero rapporto d’affetto con questa donna, direi anzi che
Lina era spaventata dalla nonna, la rispettava molto perché in realtà ne aveva
timore. Ciò è dimostrabile da come ne descrive la casa88 (dove aveva abitato
anche lei) e da come la disegna89. In un questionario infatti alla domanda:
- Descrivi la tua casa in Romania? -, Lina scrive: - Era una casa con tre
stanze, a piano n° 8 (una casa stregata, la casa di mia nonna), che ogni volta
quando si meti a strilare fo una faccia di strega cattiva -. Nel disegno,
intitolato La casa stregata di mia nonna, a confermare ciò che mi aveva
scritto, fa un edificio molto tetro, dove domina il colore nero e grigio, con nel
cortile numerose lapidi e sul lato della casa un uomo impiccato al quale è
stata staccata una mano e un fumetto con scritto: “Ho, ho sangue fresco!!”.
Sul retro del foglio mi disegna il ritratto della nonna di per sé non brutto, anzi,
ma sopra con una freccia che indica il volto della nonna, Lina scrive: - Un po’
cattiva! -. Non so se credere che in qualche modo questa donna fosse
veramente molto severa (e quindi per Lina cattiva) o se invece tutto ciò deriva
dalla fantasia di una bambina lasciata alla nonna, che si è sentita abbandonata
dai suoi genitori ed ha vissuto questa convivenza come una costrizione,
trasformando la nonna, che la tratteneva in qualche modo lontano dalla
mamma, come la cattiva della “storia”.
Molto diversi invece sono i sentimenti che prova o meglio provava per il
nonno, ormai scomparso. In un suo compito in classe dal titolo “Il mio sogno
nel cassetto”90 (di cui conservo sia la bella che la brutta copia) scrive: “Il mio
sogno da piccola è di vedere ancora mio nonno. Lui era un uomo buono. A lui
i piacevano tanto i bambini e da questa quando stava male e non poteva
parlare mi prendeva la mano. Mi ricordo che il più bello regalo chi mi ha fatto
88
Vedi Appendice 1, “Scritti di Lina”.
Ibidem.
90
Vedi Appendice 1, “Compiti di Lina”.
89
209
e stata un bicicleta nera e gialla. Lui aveva un carattere buono. Mi ricordo che
ogni volta quando lo incontravo lui mi regalava un giocattolo. Io i volevo
tanto bene e ancora i voglio bene. La stella più bella che splende è lui”. In
fondo al foglio poi c’è disegnato un cielo di colore blu notte con delle stelle e
al centro una luna di colore giallo, mentre sulla brutta troviamo il titolo e la
scaletta da seguire per il tema colorati con i suoi colori preferiti, il giallo, il
rosso e il blu: i colori della bandiera romena; mostrandomelo esclama:
“-Vedi.. i colori della Romania! -”91. Vivo nel suo cuore è l’amore per il suo
paese, come vivaci ed accesi sul suo foglio sono i colori della sua bandiera;
nulla Lina lascia al caso e cura il suo compito nei minimi particolari, tanto che
non può mancare un bel disegno.
Un pomeriggio durante la pausa pranzo “mi siedo su un marciapiede vicino
ad Lina e chiacchieriamo un po’ come due vecchie amiche. Lei è sempre
molto loquace, ma oggi forse lo è anche di più e non serve che io le faccia
delle domande, come spesso accade; oggi è lei che mi vuole raccontare delle
cose senza, però, seguire un filo logico preciso, è come un fiume in piena di
pensieri e fatti. Mi racconta del suo viaggio di arrivo in Italia. È venuta in un
camioncino, con un’altra decina di persone, lei era la più piccola. Un uomo,
che la nonna non conosceva, era andato a prenderla; la nonna le aveva
preparato una borsa e le aveva dato due chili di prosciutto crudo, del
formaggio e del pane per il viaggio. Tutte le provviste (che non le piacevano,
lei preferisce per esempio il prosciutto cotto) le aveva date poi a dei cani
randagi incontrati a Bucarest. Mi racconta che lì è pieno di branchi di cani
randagi e aggiunge che - Sono tutti magri con delle grandi pance.. poverini! -.
Mi dice che il viaggio è durato tre giorni e, a parte Bucarest, non si ricorda
altro; ha mangiato patatine e qualcosa agli autogrill. In macchina si cantava.
Poi, arrivati in Italia, l’uomo che guidava il camion aveva lasciato ad una
91
Diario di classe, 27.03.2002.
210
stazione alcuni di loro e poi aveva telefonato alla sua mamma dicendo: - Se
non te la vieni a prendere, la lascio qui da sola dove siamo! -. Lei mi dice che
la mamma è corsa, con il padre, a prenderla. Mi racconta di essere scesa dalla
macchina mentre ancora camminava, per la gioia di rivederli e di
riabbracciarli; mi dice che entrambi piangevano tanto, ma che lei non è
riuscita a piangere”92. A nessuno aveva mai raccontato il suo viaggio e, senza
che io glielo avessi chiesto, si era confidata con me; mentre racconta è triste,
per lei non è un bel ricordo, anche se quel viaggio con quello sconosciuto le
ha permesso di ricongiungersi alla mamma. Precedentemente Lina mi aveva
detto che non poteva tornare in Romania perché non aveva “i documenti a
posto”; solo ora ne capisco il motivo. Penso anche alla grande disperazione di
quei genitori che pur di riavere la loro figlia e non avendo la possibilità di
farla arrivare per vie legali, si affidano ad un uomo che nemmeno conoscono
sperando in bene. Il rischio è stato grande soprattutto se si pensa al giro di
prostituzione minorile esistente in Romania, per non parlare del traffico di
organi ecc.. Lina è stata fortunata ed è arrivata a destinazione, ma non si può
non pensare che forse qualcuno come lei si è perso lungo la strada. Per avere
la possibilità che un figlio ti raggiunga nel paese ospite seguendo
regolarmente la legge vigente e la lunga burocrazia, ci vuole molto tempo,
passano anni.. sempre che, poi, la famiglia possa dimostrare di avere un
lavoro buono ed un tenore di vita soddisfacente, compresa una casa decorosa
che possa accogliere il bambino. Non so se i genitori di Lina abbiano tentato,
magari all’inizio, questa strada, ma avendo visto la casa in cui vivono, credo
che il tentativo sarebbe stato comunque vano.
Un altro pomeriggio “Lina si siede vicino a me sullo scalino della scuola, la
nostra panchina delle confidenze. Mi racconta di essere stata domenica al
92
Op. cit. nota 9.
211
mare, a Fregene, con la mamma, il papà e lo zio e di aver fatto anche il
bagno”93. È felice di essere stata insieme con tutta la sua famiglia.
“Poi [un giorno] la professoressa mi racconta che le è stato detto che in
Romania il regime esistente ora aveva perseguitato i rom e li aveva costretti a
vivere in appartamenti e non più nei campi. Il suo sospetto era che la famiglia
di Lina appartenesse a questi rom e che, arrivati in Italia, avessero proseguito
a vivere in un appartamento”94. Ma da alcune affermazioni fatte da Lina in
due occasioni escludo l’ipotesi dell’insegnante. Un pomeriggio, infatti, “alla
fine del laboratorio [Lina] mi aspetta, vuole accompagnarmi all’autobus come
sempre. Mentre scendiamo al piano terra, vediamo un gruppo di ragazze rom
che salgono al primo piano accompagnate da un’operatrice e mi dice: - Come
sono strane quelle! -”95. E ancora, in un’altra occasione, “Lina (...) mi
accompagna all’autobus e mi racconta che quella mattina erano andate in
classe loro tre nuove ragazze rom, che però (...) [sono di un’altra sezione]; le
chiedo se c’erano rom nella scuola romena e lei mi dice: - Si, c’erano e
rubavano!! -”96.
“Lina mi svela che la mattina fa colazione con latte e biscotti, che il primo
ad alzarsi ed a fare colazione è lo zio e che l’ultima ad uscire è la mamma.
Poi mi racconta come si lava i denti: prima con il sale, grosso o fino che sia, e
poi con la pasta dentifricia”97. Per lei l’igiene e la pulizia in generale sono
molto importanti, forse anche troppo, tanto da risultare a volte anche un po’
patologiche.
Un giorno, infatti, mentre la professoressa di lettere le corregge un compito
fatto a casa, “ad un certo punto (...) legge la parola fidanzamento e chiede ad
Lina se ne conosce il significato e, in questo caso, di spiegarglielo. Lina
93
Diario di classe, 22.05.2002.
Op. cit. nota 61.
95
Op. cit. nota 62.
96
Op. cit. nota 63.
97
Op. cit. nota 9.
94
212
spiega che - È quando una ragazza sta insieme ad un ragazzo per un po’ di
tempo per vedere se sta bene o male con lui e se lui si lava i denti -; la
professoressa sorridendo mi guarda e sottolinea di nuovo l’importanza della
pulizia per Lina. Poi Lina ci racconta una strana storia: la storia di un ragazzo
che stava con una ragazza che si diceva fosse sporca, e questo ragazzo era
andato a casa di lei e aveva messo il suo cappello sotto il letto per vedere se
c’era della polvere. Ripreso il cappello, questo era pulito, e quindi il ragazzo
aveva provato che le voci sulla sua ragazza non erano vere”98. Un altro
racconto che mi ha sbalordito è stato quello fattomi dalla sua insegnante.
Riguarda “il dramma dell’arrivo di Lina nella scuola a causa dell’igiene. Lina
era ossessionata dalla pulizia; la professoressa mi spiega che forse in
Romania frequentava una scuola molto rigida e tutta bianca e mi suggerire di
approfondire più in là con Lina questo argomento per capire questo suo
pallino per la pulizia. Continua raccontandomi che in classe puliva tutto
continuamente e poi mi dice con un sorriso: - Vedi i vetri? Sono così puliti,
perché li ha puliti Lina - e ancora: - Un giorno si è presentata in classe con la
carta da pacchi per incartare [dopo che li aveva puliti] banchi e sedie -”99. Per
tentare di capire questo suo atteggiamento, potremmo pensare anche al fatto
che, nel dire comune, il romeno (o rom.. come spesso viene confuso) non è
certo sinonimo di pulizia e ordine! Probabilmente dalla paura di essere
fraintesa o accomunata (come i rom) all’idea di “non” igiene, nasce la sua
estremizzazione.
È molto attenta anche alla cura del quaderno sul quale scrive, forse uno
degli unici che possiede. Oltre ad essere ordinata è anche estremamente
precisa e meticolosa, quasi all’estremo. Un giorno osservo che “Lina scrive
sul suo quadernone a matita [forse, ho pensato all’inizio, per correggere più
98
99
Diario di classe, 16.01.2002.
Ibidem.
213
facilmente, visto l’alto numero di volte che cancella!].
precisa, ha una
bellissima calligrafia ed è molto attenta all’aspetto estetico della sua scrittura.
Cerca di tenere il foglio il più possibile pulito, cancella tutti i segni neri (...)
[anche dove secondo me non ce ne sono]. La professoressa distribuisce dei
fogli protocollo a quadretti per fare un compito, ma Lina rifiuta il foglio che le
viene offerto, forse perché a quadretti, e ne strappa uno dalla parte centrale
del suo quadernone a righe facendo una riga doppia sul lato sinistro. Su
questo foglio i ragazzi devono rispondere alle domande dello schema di storia
appena fatto (guardando il libro). Lina sbaglia a scrivere la prima riga, ma non
soddisfatta di come cancella la gomma di una compagna (una gomma che a
mio avviso cancellava benissimo!), butta il foglio di nascosto dall’insegnante,
facendomi segno di non dirle nulla, altrimenti si sarebbe arrabbiata, e ne
prende uno nuovo”100. Qualche tempo dopo confido all’insegnante “di aver
notato che ogni volta che scrive e sbaglia, cancella, ma ogni gomma per lei
sembra cancellare male o non abbastanza e, a quel punto, strappa il foglio.
Lei conferma e dice che erano arrivate ad un compromesso e, per evitare che
buttasse continuamente fogli su fogli senza a volte riuscire a completare i
compiti, le aveva permesso di scrivere con la matita per poter cancellare e
correggere, ma anche così, viste le mie osservazioni, il problema non si era
risolto. Ora mi spiego perché l’altro giorno, quando aveva buttato più volte il
foglio, lo aveva fatto di nascosto facendomi cenno di mantenere il segreto.
Per lei l’ordine, la pulizia, conta al di sopra di ogni cosa. La professoressa mi
dice che, praticamente, non ha quaderni, perché non fa che strappare fogli su
fogli e li finisce tutti con pochissimi compiti”101.
Un altro fatto che dimostra bene quanto Lina sia precisa in tutto quel che fa
e soprattutto quanto sia cocciuta è accaduto un giorno, ma le sue conseguenze
100
101
Diario di classe, 09.01.2002.
Op. cit. nota 98.
214
si sono prolungate anche nei successivi. Tutto inizia una mattina. “Mentre gli
altri continuano il compito e Lina ripassa geografia, Aldo porta alla
professoressa il quadernone facendole notare che al precedente compito di
casa aveva preso Bravissimo e non gli aveva messo la stelletta, così lei,
ammettendo la dimenticanza, tira fuori dalla sua agenda una busta da lettere
con dentro diversi adesivi tra cui delle stellette dorate, ne stacca una e
l’attacca vicino al voto sul quaderno. Fatto ciò, Aldo torna al suo posto
soddisfatto facendo vedere a tutti la sua stelletta. Lina subito tira fuori il suo
quadernone e, nascondendosi dietro il libro di geografia, cerca di finire e
correggere il suo compito di casa (...) Lina, finito il compito di casa, lo
consegna all’insegnante che comincia a correggerlo. Prima di chiamarla per
farle vedere dove ha sbagliato, la professoressa guarda al centro del
quadernone e mi fa notare che aveva strappato un altro foglio. Anche per fare
questo compito non era mancato il suo rito dello strappo. Poi chiama Lina e
le spiega gli errori, ricordandole di controllare quando scrive sempre due
regolette, che le ha scritto in rosso sul quadernone: -are, -ere, -ire l’h va a
dormire, -ito, -ato, -uto l’h va in aiuto. Mentre la professoressa le fa notare gli
errori, lei le sta accanto e le poggia un braccio sulle spalle (a mio avviso un
segno di confidenza, affetto, fiducia). Prima che le potesse spiegare tutti gli
errori, Lina le prende il quadernone di mano e, correndo al suo posto,
esclama: - Professore’ (come dice lei) lo faccio ancora perché non voglio sul
quadernone il rosso! -. Lo rifà di nuovo perché anche lei vuole la stellina e, da
come tutti sorridono, capisco non solo il valore della stellina, ma soprattutto
l’importanza che avrebbe per lei prenderne finalmente una. Lina non fa
ricreazione, non mangia il suo Bondì, per rifare il suo compito. Una volta
finito, lo riconsegna e finalmente mangia. Prima ancora di correggerlo, la
professoressa le attacca la stellina e le dice di essersela meritata almeno per la
buona volontà. Lina è molto contenta e tutti le fanno i complimenti per il
215
successo (anche una ragazza della III che era entrata durante la
ricreazione)”102. Sembra finita qui e invece “vengo a sapere che Lina ha
rifatto per la quarta volta (...) [quel] compito di casa (...) Un suo compagno le
chiede il perché e Lina risponde che vuole che sia perfetto, senza errori.
Consegna il quadernone alla professoressa, che lo poggia sulla cattedra
sperando di correggerlo più tardi insieme agli altri. Stando seduta alla cattedra
posso leggere indisturbata e sfogliare tranquillamente il quadernone di Lina
senza destare tanta curiosità. Aperto alla pagina del compito, noto che Lina
ha di nuovo strappato un foglio prima di completare il suo lavoro e che ha
scritto in stampatello e con la penna (lei alterna l’uso della penna a quello
della matita e scrive a volte in stampatello e a volte in corsivo) (...) Durante la
spiegazione, Lina si alza, viene alla cattedra (dove c’è ancora il suo
quadernone) e richiama l’attenzione dell’insegnante; vuole che le sia corretto
il compito (è molto impaziente). Ma il suo richiamo non ha esito favorevole e
torna al suo posto (...) Poi riprova a farselo correggere (...), ma la
professoressa non ne ha il tempo. Tutti le dicono di smetterla; - Tanto non sei
capace! - le ripetono. Allora riprende il quadernone e tornando al suo posto lo
sbatte sul banco. L’insegnante, vedendo la sua reazione, la chiama per la
correzione interrompendo quello che stava facendo. Guarda il compito e
rivolgendosi a me dice: - Stavolta non glielo tocco [non le fa le correzioni che
andrebbero fatte], altrimenti lo rifà, le metto molto brava e basta! -; poi la
chiama e le riconsegna il quadernone. Quando Lina torna al banco tira fuori
dall’album da disegno F2 un foglio e comincia a scrivere. Mi avvicino curiosa
e scopro che sta di nuovo copiando il compito di casa con la penna e questa
volta lo scrive in corsivo (come se avesse voluto scrivere la definitiva bella
copia)”103.
102
103
Ibidem.
Diario di classe, 23.01.2002.
216
Numerosi sono gli episodi che testimoniano la precisione, la diligenza e
l’estrema buona volontà di Lina. Una mattina, all’ora di geografia, “si parla
del Piemonte e la classe comincia a rispondere alle domande dello Schema di
geografia su un foglio. Lina precede tutta la classe, comincia subito a
lavorare seriamente. È avanti nel compito quando all’improvviso si
interrompe e dice: - Ora comincio un altro foglio! -, e prendendo un foglio
nuovo comincia a copiare quello che aveva scritto fino a quel momento. Poco
prima della fine dell’ora, Lina porta alla professoressa la sua agenda dove
aveva fatto degli altri compiti (di storia questa volta), ma l’insegnante ora non
ha proprio tempo e Lina protesta e mostrando il lavoro dice: - Che ho fatto a
fare.. per scherzo!? -”104. In un’altra occasione, poiché mancava l’insegnante
di lettere, la professoressa di sostegno li ha portati a lavorare in aula
informatica e Lina, appena acceso il computer, “comincia a cercare in
“clipart” delle immagini o delle foto da inserire nel suo foglio, sceglie prima
un mappamondo con dei bambini o adulti che tenendosi per mano formano un
cerchio, poi lo cancella e inserisce un cuore rosa con all’interno un cherubino
con arco e frecce (tipo Cupido). Arriva l’insegnante che comincia a dettare le
domande e tutti scrivono, chi più chi meno, velocemente. Lina fa numerosi
sbagli, scrive <quagli> al posto di <quali>, <capitoni> al posto di
<capoluoghi>, <actività> al posto di <attività> (Non so però se gli errori sono
dovuti alla difficoltà di scrivere in italiano sotto dettatura o alla difficoltà di
scrivere per mezzo della tastiera, ma vista la ripetività di tali errori mi sento di
poter avallare la prima ipotesi). Cura molto l’estetica della pagina sulla quale
lavora e non si preoccupa di rispondere subito alle domande; mentre gli altri
cercano di sbirciare nel libro di testo, lei cambia tipo e colore ai caratteri”105.
Durante un’altra ora di supplenza “arrivati in aula [d’informatica], la
104
105
Ibidem.
Op. cit. nota 37.
217
professoressa gli fa scrivere un piccolissimo tema (5 righe) dal titolo “La mia
aula”106; tutta la classe, infatti, sta ripulendo l’aula (...) Tutti sono molto
orgogliosi del lavoro fatto”107. Lina, nel compito, scrive: “Giovedì abbiamo
pulito l’aula. Abbiamo scartavetrato i muri e gli armadi. Tutti abbiamo
lavorato per pulire i banchi, la lavagna, i muri e gli armadi. I ragazzi che
hanno fato la pulizie sono: Alex, Simone, Desirè, Valeria, Lina, Carlos, e la
professoressa [di lettere]” ed in fondo inserisce l’immagine di un uomo che
con lo spazzolone pulisce un pavimento.
Una mattina “la professoressa assegna un compito da fare in classe:
descrivere una foto presa dal libro di storia. Lina, finito il compito, lo porta
dall’insegnante per correggerlo; lei le dice che non va bene e come deve
correggerlo. Lina si scoccia, ma si mette a lavorare (si innervosisce quando
non riesce in qualcosa!!). Una volta corretto glielo riporta e accende la luce
per permettere alla professoressa di vedere meglio il suo compito. Lei le
corregge i soliti errori di ortografia ed Lina, nel frattempo, si mette le mani nei
capelli. Lina scrive le domande in rosso e le risposte in blu, cura molto anche
i colori nei suoi compiti; anche in sala d’informatica, finito il compito, in
fondo introduce quasi sempre un’immagine colorata. La professoressa le dice
di trascrivere, ora, in bella copia il compito corretto. Simone [un suo
compagno] chiede quante sono le domande, gli viene detto 5 ed Lina precisa:
- 5 domande e 4 descrizioni - e lui le risponde: - Come sei pignola!! -”108. E lo
è veramente, tanto che in un’altra occasione una sua compagna la chiama:
- Malata! -. “Accanto a lei [per citare l’episodio in questione] siede Valeria
che, essendo una tra le più irrequiete della classe, non sta mai né ferma e né
attenta alla lezione. Ad un certo punto prende un colore e fa un segno sul
quaderno (uno dei pochi che ha, infatti è nuovo) di Lina che si trova sotto al
106
107
Vedi Appendice 1, “Compiti di Lina”.
Op. cit. nota 79.
218
libro. Lei, molto scocciata ed arrabbiata, le dice: - No!! Ora devo strappare la
pagina! -. Senza neanche tentare di cancellare il segno, strappa la pagina e
Valeria le dice: - Ah, Li’, tu sei malata!! -. Lina poi chiude il quaderno e lo
ripone per il terrore che lei glielo sporchi di nuovo”109. Tutta questa
precisione portata all’eccesso potrebbe essere una conseguenza della severità
della scuola romena? Credo che in parte sia da attribuire a quello ma, come
già detto in precedenza, non solo visto il grado di fissazione quasi maniacale
di Lina.
“Tutti [i ragazzi] lasciano i libri a scuola in un armadio, ordinati uno
sull’altro. Su ogni ripiano dell’armadio sono attaccati dei nomi e ad ogni
nome corrisponde una pila di libri; ogni alunno è proprietario della pila
sovrastante il suo nome. Da ciò vengo a conoscenza del fatto che Lina non
possiede i libri. Infatti Alex (suo compagno) le rimprovera di prendere sempre
i libri degli altri. Poi mi racconta che l’altro giorno l’insegnante di lettere ha
rimproverato tutta la classe perché dal suo libro erano state strappate delle
pagine e cerca di far ammettere ad Lina la sua colpevolezza, che lei invece
nega. Così chiedo ad Alex perché potrebbe essere stata solo lei e lui mi dice
che è l’unica alla quale la professoressa presta i libri. Lina continua a negare e
afferma che, a confermare la sua tesi, c’è sua madre che quel giorno aveva
fatto i compiti con lei, ma Alex non è convinto e insiste, con l’appoggio di
Desirè, che si è inserita nella discussione. Lina ha gli occhi un po’ lucidi e
cerca di portare avanti la sua tesi, ma tanto Alex che Desirè hanno un
carattere forte e un po’ prepotente; lei risulta la più debole. Desirè poi
cancella la lavagna e stampa un cerchio di gesso sulla guancia di Lina che,
ancora seduta al suo posto, diversamente da tutti gli altri, si pulisce senza
protestare, mentre Desirè le dice di non piangere. Desirè le rimprovera di
108
109
Ibidem.
Op. cit. nota 63.
219
piangere spesso e le dice che se piange non la intenerisce, ma anzi la fa
arrabbiare (così facendo rischia di essere presa in giro, dal momento che
Desirè è il capo, in negativo, della classe). Lina non risponde, ma i suoi occhi
dicono molte cose: è arrabbiata, ma non esprime a parole quello che sente”110.
Complicato è il rapporto che Lina ha con i suoi compagni, anzi più
precisamente che ha con Desirè, ma su questo ci soffermeremo più in là. Ciò
che qui è importante sottolineare è il fatto che Lina non ha i libri ed è
costretta o a farseli prestare dall’insegnante o ad andare a casa di qualche sua
compagna per fare i compiti. Un giorno infatti “Lina è fuori dalla classe, è al
piano superiore, la incontro, mi abbraccia e mi dice che non può venire in
classe perché non ha fatto i compiti e mi fa promettere di non dirlo alla
professoressa. Mi racconta che il giorno prima non era potuta andare a casa di
Valeria per fare i compiti [visto che lei non ha i libri] e che Valeria le aveva
detto che li avrebbero fatti insieme a scuola l’indomani. Oggi Valeria non era
venuta ed Lina quindi non aveva i compiti svolti”111.
In un altra occasione, “finita la lettura, la professoressa dice a tutti di
rispondere alle domande che ci sono sul libro. Lina non può fare l’esercizio
(non avendo il libro) e comincia a mangiarsi le unghie. Poi l’insegnante, presa
a seguire altri alunni, si accorge che Lina non ha il libro e la unisce a due sue
compagne, una delle quali lo possiede (...) In mancanza della proprietaria [del
libro], Lina avvicina a sé il testo e cerca di completare gli esercizi (con
difficoltà), finché questo non le viene sottratto bruscamente dall’altra
compagna (con la quale lo condivide) che lo compila con molta semplicità,
facendole vedere come andava fatto. Rimasta di nuovo sola, continua a
tentare di capire come debbano essere fatti quegli esercizi”112. È tenace e
molto volenterosa. Anche la professoressa, in un messaggio mandato alla
110
Op. cit. nota 100.
Op. cit. nota 74.
112
Op. cit. nota 62.
111
220
mamma, tramite il suo diario, sottolinea le grandi difficoltà che Lina incontra
non avendo i testi sui quali studiare; “Gentile Signora, la informo che la
ragazza segue le lezioni, ma ancora non ha raggiunto gli obiettivi minimi sia
per quanto riguarda la grammatica che la composizione dei testi scritti. Lo
studio della storia e della geografia è ancora molto scarso. Forse molte delle
difficoltà di Lina sono dovute alla mancanza dei libri di scuola, quindi non
riesce a studiare con serenità perché sta sempre a cercare sui testi miei e dei
compagni”113. Per risolvere questo problema, l’insegnante consiglia ad Lina
di fare le fotocopie di parte dei libri, almeno delle parti sulle quali è sicura che
lavoreranno, e così “la professoressa [le] ricorda di fare le fotocopie del libro
di grammatica e di riportare il libro ad Sandra che gliel’ha prestato”114.
Spesso il fatto che Lina non ha i libri è fonte di discussione in classe. “Alex
porta a far vedere alla professoressa un libricino allegato al libro di narrativa e
Lina esclama: - Io non ce l’ho quello! - e Alex: - Se non te compri il libro, non
ce l’hai no, questo!! -. Lina non risponde e Alex insiste (con tono ironico): Invece di comprare colori e stupidaggini, compra i libri che ti servono! -. La
professoressa guarda questo libricino e dice a tutti di fotocopiare le prime
dieci pagine perché al ritorno dalle vacanze dovranno lavorarci. Alex dice: Io ad Lina non jelo do’! - e lo presta a Cristiano. Poi dice: - Tu Lina come
fai? -, ma lei non risponde; l’insegnante allora esclama: - Glielo do’ io! - e
Alex in coro con Desirè: - ..e lo riprendi startranno e tutto rotto!! -”115. Anche
se con le fotocopie qualche problema si risolve, le difficoltà non cessano di
esistere. Una mattina “tutti prendono il libro di grammatica per correggere gli
esercizi del giorno ed Lina prende le sue fotocopie (finalmente le ha fatte!).
Le fotocopie sono su fogli grandi; sono state fatte due pagine per volta e lei è
molto impegnata a riordinarle come può, cercando le pagine dove ha svolto
113
Op. cit. nota 103.
Op. cit. nota 14.
115
Ibidem.
114
221
gli esercizi”116. In un’altra occasione “la professoressa assegna (...) [ai
ragazzi] degli esercizi da svolgere in classe, perché ha da fare con il registro.
Tutti si mettono a lavorare e Lina cerca tra le sue fotocopie le pagine relative
agli esercizi assegnati, ma non le trova; tra le tante fotocopie dei vari libri,
non trova quelle che le servono, così si siede vicino ad Sandra”117. Il fatto che
Lina non avesse libri mi ha colpito e mi ha portato ad informarmi
sull’esistenza o meno di un aiuto economico alle famiglie che non possono
permetterseli. Ho così scoperto che il modo esiste (comprare il libro; tenere lo
scontrino; farselo rimborsare successivamente tramite domanda) ma che la
trafila è troppo lunga e poco realizzabile, soprattutto se ripensiamo al fatto
che Lina (e tanti altri come lei) non è in ordine con i documenti e che la
famiglia non dispone dei soldi necessari per anticipare le spese dei testi.
Un giorno, la professoressa di lettere assegna un tema molto utile alla mia
ricerca: “Quest’anno ho incontrato dei nuovi compagni di classe. adesso te ne
parlo”118. Ciò mi permette di capire sia cosa i compagni di Lina pensano di
lei, sia cosa lei pensa di loro e potermi fare un quadro dei rapporti interni alla
classe, delle amicizie e delle antipatie. “Desirè descrive l’aspetto fisico di
Lina e dice di lei: - A volte è antipatica, quando ride da sola. Ogni volta che
prende la nota o sufficiente si mette a piangere. Però anche se è così gli
voglio bene -. Aldo scrive che Lina non gli piace perché - piange
costantemente. Un altro compagno scrive - Lina ha 12 anni, è alta, ha gli
occhi color marroni chiari, è gentile, è anche buona ed educata, è magra, ha i
capelli marroni e mesciati -. Sandra dice che: - Lina viene dalla Romania e
non parla molto bene l’italiano. Lina nella classe non è simpatica, lei ha gli
occhi verdi e i capelli marroni con dei colpi di sole -”119. Noto, avendole
116
Op. cit. nota 62.
Op. cit. nota 66.
118
Vedi Appendice 1, “Compiti di Lina”.
119
Op. cit. nota 98.
117
222
entrambe, che Lina nella bella copia del suo tema stranamente scrive cose
diverse dalla brutta copia o meglio depura la brutta di alcune frasi, come se la
brutta l’avesse scritta di getto, mentre la bella l’avesse in qualche modo
pianificata. Nella bella scrive: “Io sono Lina. Ho 12 anni e sono in classe I.
Adesso vi voglio presentare i miei compagni di classe. Alessio è un ragazzo
molto bravo quando lo capisci. Ma la problema è che tutte le proffesore
quando sentono qualcosa i metono nota ad Alessio. Per comincio quando
sono venuta qua mi ha datto fastidio, ma adeso ho visto e ho capito che lui
aveva ragione, perché io ho stata sempre sola in banco e da questa i dico
grazie perché lui ha detto una volta qualcosa: - Che si tu stai sempre sola non
puoi avere amici? -”. Nella brutta però Lina scrive diversamente di Alex e
dice: “Alex è un ragazzo molto bravo quando lo capisci, ma non si puo sapere
perché tutte le proffesoresse i metono notte solo a lui. A scuola e bravo e lui
sa farsi amici da xtutto dove va. Per comincio era un puo fastidioso con me e
io credo che lui ha avuto ragione perché io sono stata in banco con Milena. E
adeso e la stesa cosa. Adeso lui e amico con me perché ha visto che non mi
meto più con Milena. Ma la grande problema e che la proffesoresa dice che io
devo stare solo con lei. Quela che a nessuno non i piace di stare sempre con
Mili in banco e di non essere amica-amico con nessuno”. Poco prima
dell’inizio del compito, infatti, era accaduto un episodio che può in qualche
modo spiegare perché Lina ha scritto queste cose: “sono tutti seduti in una
sola fila, anche perché oggi sono solo sette. Solo Lina è in un’altra fila e
quando la professoressa le dice di spostarsi e di mettersi vicino a Milena, lei lì
per lì accetta e si sposta, poi come l’insegnante si distrae sbuffa, manda gli
occhi al cielo e protesta con i gesti. Poco dopo arriva sulla cattedra, davanti
agli occhi della professoressa, un foglio dove Lina scrive: (in stampatello) PERCH
IO MI DEVO METERE SEMPRE VICINO A MILENA? SOLO
223
IO. SONO ANCHE ALTRI -120. E poco dopo torna al suo posto e scrive il
titolo del tema su un pezzetto di carta: (in stampatello) <CIAO. QUESTANO
O INCONTRATO DEI NUOVI COMPANI DI CLASSE. ADESO TE NE
PARLO> (...) Finito di scrivere il tema, vedo che comincia a copiarlo in bella
copia. Stranamente oggi scrive con la penna e la professoressa mi dice che
forse oggi si sente più sicura. Sul foglio della bella, completamente bianco,
senza righe e senza quadretti, fa una piega sul lato sinistro prendendo bene la
misura e tenendo come riferimento la riga del bordo del foglio del suo
quadernone. Oggi non fa la riga doppia; forse non ha la riga”121.
Prosegue il suo tema (nella brutta scrive): “Simone è fastidioso. Sandra e
buona al cuore e lei sa apprezzare l’amicizia. A lei non i piace quando vede
un amico sofrendo e da questa lo aiuta”, anche se con parole a volte diverse,
più o meno, la descrizione di questi due compagni combacia con ciò che
scrive sulla bella. Ecco che quando parla degli altri ragazzi di nuovo modifica
delle cose dalla brutta alla bella. (Brutta copia) “Cristiano e fastidioso perché
quando vede che hai qualcosa da mangiare e da bere e tu i dici che non i puoi
dare o non hai quel coso che ti dice, lui insista (ma fine quando i do un
schiafio)”; mentre nella bella copia scrive solamente: “Cristiano è come
Simona”. E ancora su Desirè scrive: (brutta copia) “Desirè e la mia migliore
amica e una ragazza bravissima e a me non me frega che dicono le
proffesorese (in speciale quella brutta, cattiva, che non si sa controllare le
parole, tecnica, S.) e dice che e la colpa di Desirè (va be. Non e verò)”; nella
bella copia scrive: “Desirè e la mia migliore amica. Ma la problema e che lei
non sta bene con S. (BRUTTA) e quando sucede qualcosa e la colpa de
Desirè (non e vero)”. Anche in questo caso Lina si riferisce ad un fatto
accaduto l’ora prima durante la lezione di educazione tecnica. Infatti “mentre
120
121
Vedi Appendice 1, “Scritti di Lina”.
Op. cit. nota 98.
224
la professoressa di tecnica riprendeva Valeria (una sua compagna) perché era
spesso assente, Desirè si era alzata per difenderla e quando l’insegnante le
aveva detto di non intromettersi perché non erano affari suoi, lei le aveva
risposto in modo poco educato. Leggo testualmente dal registro sotto <Note
disciplinari>: - Desirè manda a fanculo la professoressa di educazione tecnica
la quale propone una sospensione -”122. Nella bella scrive: “Aldo = bravo.
Valeria = Io mia migliore amica”; nella brutta invece scrive: “Aldo e un
ragazzo bravo quando vuole. Valeria a gli ochi belli, e la mia amica migliore,
i piaciano gli animali e lei e tanta carina”. Il fatto che a Valeria piacciano
tanto gli animali è sicuramente uno degli elementi che più scatenano la
simpatia che Lina prova nei suoi confronti. Anche lei infatti li adora, alla una
domanda del questionario123: - Cosa vuoi fare da grande? -, Lina risponde: - Il
veterinario - e credo che visto quanto ama gli animali non sarebbe una cattiva
scelta. Non passa giorno che non mi chieda come sta il mio cane o che non mi
aggiorni sulle condizioni di salute e sulle ultime dei suoi criceti.
Come è possibile capire dal tema, Alex giustifica il fatto che Lina fatichi a
farsi delle amicizie perché o sta al banco sempre sola o con Milena (una loro
compagna disabile). Lina però ha sempre manifestato una grande sensibilità
verso i ragazzi portatori di handicap della sua classe; con loro è molto dolce,
gli dà molte attenzioni, anche se a volte, poi, sentendosi esclusa dalla classe,
si ribella e non vuole più stare seduta accanto a Milena, prendendosela con
l’insegnante che ce l’ha messa. Un giorno in aula d’informatica “Lina
avvicina a sé il passeggino di Renzo e, tenendogli la mano, gli fa ascoltare
della musica tramite un programma del computer. Poi mi chiama
(“professoressa”) facendomi notare come Renzo gradisca quella musica e
cambia brano per capire e accontentare i suoi gusti”124. Un altro giorno “Lina
122
Ibidem.
Vedi Appendice 1, “Scritti di Lina”.
124
Op. cit. nota 37.
123
225
(...) [mentre] torna al suo posto, (...) va al banco di Carlos e prepara un
compito, come fa la professoressa di lettere: scrive una frase (es. <io sono
Carlos>) e poi ritaglia le singole parole. Carlos dovrà poi incollare sul suo
quaderno le parole nell’ordine giusto e leggere la frase composta. Quando
poi, durante l’ora di geografia, la professoressa spiega l’Emilia Romagna,
Lina non è molto attenta; è presa a far scrivere qualcosa a Milena, che ora le
siede accanto spontaneamente, senza nessun tipo di protesta di Lina (...) Le fa
scrivere <Milena>, poi [la stessa] Milena porta il foglio alla professoressa,
che le dice: - Brava! -”125. E ancora un altro giorno, “mentre la professoressa
spiega ciò che si è letto, Lina si volta a guardare Renzo, che si trova nel
banco alle sue spalle con l’insegnante di sostegno; gli sorride, si sporge dal
banco per arrivare a dargli la mano e ci riesce (...) All’improvviso Milena
comincia a piangere, apparentemente senza un motivo. Lina si gira verso di
lei, la guarda e le fa battere il cinque; con questo gesto le strappa un sorriso e
la tranquillizza”126. Durante una lezione di tecnica “la professoressa, a fine
lezione, si rivolge a Carlos e gli dice con tono forte della voce: - Hai
lavorato?.. Rispondi? - ed Lina interviene dicendo: - Professore’ non c’è
bisogno che strilli, ci sente benissimo!! -. La professoressa grida nel parlare
con Carlos, non perché pensa che sia sordo, ma perché crede, ingenuamente,
che avendo lui difficoltà a capire l’italiano (sia cognitive, sia linguistiche), se
lei grida forse lui la comprende meglio. È un po’ l’errore che tutti facciamo
quando incontriamo qualcuno che per un motivo o per l’altro fatica a capirci;
tendiamo ad alzare la voce”127. Lina è sempre pronta a porgere un sorriso e a
fare una carezza ai suoi compagni meno fortunati e spesso, avendo dei
rapporti un po’ difficili con gli altri ragazzi normali, preferisce la compagnia
125
Op. cit. nota 98.
Op. cit. nota 103.
127
Op. cit. nota 66.
126
226
di coloro che non la vedono diversa o meglio di coloro che non la fanno
sentire tale.
Lina è una grandissima fan di Leonardo di Caprio. Dove può, scrive il suo
nome e, in realtà, lo fa anche dove non potrebbe, come per esempio sui fogli
dei compiti in classe. Diciamo che dopo il suo nome, è l’altro suo segno di
riconoscimento. Una mattina “Lina è molto presa a disegnare cerchi e cuori, a
ritagliarli, ad incollarli ed a scriverci sopra <Lina e Leonardo Di Caprio per
sempre> oppure <Lina ama Leonardo>; il suo diario è pieno di sue foto e mi
confida il suo amore per lui”128. Anche le sue agende sono piene di ritagli di
giornali, di foto, tutte di <Leo> (come lo chiama lei).
È sempre molto attenta in classe e partecipa molto, “ogni volta che la
professoressa chiede a qualcuno di leggere, Lina si propone e al [suo] rifiuto
(...) sbuffa. Quando arriva il suo momento ne è molto lieta. Legge benino, si
avvicina molto con la testa al libro e segue il testo con il dito indice (...)
Quando [poi] la professoressa fa leggere un compagno e non lei, si
spazientisce”129. Spesso “Lina è l’unica che segue la lezione, mentre gli altri
sono distratti: c’è chi continua a giocare e chi gira per la classe. Lei scrive
alla lavagna quello che la professoressa detta e subito corre al banco per
scrivere anche sul suo quadernone. Si sbriga per poter di nuovo essere lei a
scrivere alla lavagna e infatti esclama: - Ho finito professore’!! Vengo!! -.
Tocca di nuovo a lei dal momento che gli altri non hanno alcuna intenzione di
(...) [seguire la] lezione”130.
Lina comincia piano piano a difendersi, a piangere meno ed a non
sottostare agli insulti e ai dispetti dei suoi compagni, anche se di qualcuno,
Desirè in particolare, ha molto timore. Un giorno “Aldo (...) prende il diario
di Lina e comincia a strapparle delle pagine; Lina si arrabbia, si riprende il
128
Op. cit. nota 14.
Op. cit. nota 66.
130
Op. cit. nota 91.
129
227
diario e Aldo la insulta dicendo: - Paraplegica! - e poi - Schizofrenica! -, lei
gli risponde chiamandolo <deficiente> e <stronzo>”131. In un’altra occasione
“mi siedo vicino ad Lina che con voce dolce, quasi malinconica, mi dice: - Ti
voglio tanto bene! -. Lo stesso me lo dice Alex. Spesso discutono per me, per
le mie attenzioni. Se Alex mi dimostra dell’affetto, Lina non tarda a dirgli: Federica è mia!! -. (...) [Un giorno che] la professoressa di lettere (...) non c’è
(...) in sua sostituzione viene la professoressa di sostegno, che li porta in sala
informatica. Alex libera, per me, la sedia vicino a lui, e altrettanto fa Lina;
così, per non creare discussioni, mi metto in mezzo tra i due. Alex spesso
quando si rivolge ai suoi compagni lo fa in modo un po’ duro, oppure li
insulta. Loro ormai lo conoscono e lo lasciano stare. Lina, con mia sorpresa,
comincia a difendersi. Infatti lui le dice non so per quale motivo:
- Deficiente! - e lei gli risponde molto prontamente: - Cretino! - e così
continuano per un bel po’. Mi stanco di sentirli litigare e cosi gli dico: - Se
continuate a comportarvi così, non sto più vicino a voi!! -”132. Un pomeriggio,
durante il laboratorio del cantastorie, Lina “passa tutto il tempo a scrivere o
meglio a scarabocchiare un pezzo di carta ed è molto silenziosa. Manuele e
Giorgio [due ragazzi della seconda media] spostano il banco sul quale lei sta
scrivendo, lei (aggrappandosi al banco) lo riavvicina a sé e ciò avviene una
decina di volte. Loro ridono e si divertono; lei non si arrende; è molto
cocciuta e continua a scrivere malgrado le difficoltà. Io non intervengo, mi
limito ad osservare le sue reazioni. Interviene un’insegnante e, stranamente,
invece di rimproverare i disturbatori, dice ad Lina di smetterla di ostinarsi,
visto che loro continuano. Le toglie il foglio sul quale lei sta scarabocchiando
e le dice di seguire quello che la classe sta facendo. Lei smette, ma si vede
131
132
Ibidem.
Op. cit. nota 93.
228
che è molto contrariata e secondo me avrebbe voluto piangere, ma trattiene le
lacrime”133.
È molto ostinata e tanto desiderosa di integrarsi, di farsi tanti amici, di
essere accettata; per realizzare questi suoi obiettivi farebbe di tutto. Lo
dimostra un fatto accaduto durante la pausa pranzo poco prima dell’inizio del
laboratorio del cantastorie: “Lina gioca a pallavolo con altri ragazzi, la
maggior parte della III. Il loro gioco consiste nel passarsi la palla e chi sbaglia
e la fa cadere prende come punizione uno schiaffo. Seguo il gioco per un po’
e scopro che lo scopo nascosto del gioco è far in modo che Lina sbagli per
darle lo schiaffo. Dopo venti minuti di gioco Lina ha entrambe le guance
rosse, ma continua a giocare; pur di stare con gli altri accetta anche di
prendere gli schiaffi. La professoressa mi dice che Lina è molto migliorata
anche nelle relazioni con i compagni. Aver cominciato a padroneggiare
meglio l’italiano le da’ più sicurezza e l’aiuta nei rapporti sociali; lei poi ha
tanto bisogno di amicizia e di affetto. Alex grida ad Lina: - Li’ smetti de
giocà, sei l’unica che prende sempre gli schiaffi! -, lei continua e anzi, quando
sbaglia, è lei che va incontro a chi le deve dare lo schiaffo. L’insegnante fa
notare [ad Alex] come Lina sia corretta e rispetti le regole del gioco e lui: - Se
ero io col cavolo che piavo tutti quei schiaffi! -”134.
È molto generosa con i suoi compagni, divide con loro tutto quel poco che
ha; quando può gli fa dei regali, ne ha fatti alcuni anche a me (un braccialetto
di plastica e un porta chiavi rotto a forma di cuore, colorato e smaltato con su
scritto <Mi corazòn se alegra al verte>). Un giorno “fa vedere i suoi
braccialetti ad Alex che le dice: - Che bello questo! - (indicandone uno in
particolare), Lina gli dice: - Tienilo! -, e lui: - No, è da donna! -, poi glielo
ridà”135.
133
Op. cit. nota 77.
Op. cit. nota 8.
135
Op. cit. nota 61.
134
229
Un giorno “al rientro in classe [dalla pausa pranzo] hanno cominciato a
colorare delle fotocopie. Tutti chiamavano Lina, tutti la volevano vicina,
finalmente era lei stavolta ad avere tutte le attenzioni e il motivo era semplice:
i suoi colori [dei pennarelli, gli stessi con i quali avevamo lavorato a casa sua
quel giorno che ci eravamo incontrate]. Cristiano [le] dice: - Che belli questi
colori? - e Sandra: - Dove li hai comprati? - , Lina mi guarda, io le sorrido e le
faccio l’occhietto e lei, rispondendo al mio sorriso, dice: - Me li ha comprati
mia madre, non so dove! -. Con uno sguardo avevamo fatto un patto: lei
aveva capito che poteva decidere cosa rispondere ai suoi amici, poteva
scegliere. Aveva scelto di non dire che glieli avevo regalati io ed io non
l’avrei tradita”136. Sono bastati dei pennarelli, per renderla felice, per sentirsi
per un po’ ammirata da tutti.
Lina non è mai appariscente nel suo modo di vestire, ma anzi è molto
semplice, predilige il colore bianco, “si pettina continuamente, non fa che
togliersi e rimettersi il mollettone, poi mi guarda e con i capelli sciolti mi dice:
- Li lascio così? -, io le faccio cenno di si, ma lei se li lega comunque (molto
tirati)”137. Un’altra volta “ha caldo e così si toglie il giacchetto nero; sotto
indossa una maglia di cotone con dei buchi allo scollo; noto che la maglia è al
contrario, ma dal momento che non voglio distrarla dalla lezione non le dico
niente. (...) [Più tardi, durante la pausa del pranzo] mi avvicino (...) e
finalmente (visto che siamo sole) le dico che ha la maglietta al contrario; lei
subito grida: - Oh, no!! - e corre a cambiarla, ma prima la fa vedere a tutti
quelli che incontra (per lei, precisina e sempre in ordine, avere la maglietta al
contrario è un vero dramma). Una volta sistemata, torna e mi ringrazia”138.
Un’altra mattina “guardo Lina attentamente com’è vestita (...) indossa una
maglietta di cotone bianca sporca (ha delle macchie che sembrano di caffè,
136
137
Ibidem.
Op. cit. nota 14.
230
anche se lei non ne beve) con dei buchi e dei pantaloni della tuta bianca
(sempre gli stessi dall’inizio dell’anno)”139.
Quando arriva la Pasqua, “saluto Lina, le chiedo cosa fa per Pasqua e lei
mi dice che domenica va a Ponza con il papà da un vecchio padrone. Le
chiedo se anche in Romania si usano le uova di cioccolato e la colomba, lei
mi dice: - No gli uovi li facciamo noi, li dipingiamo e la colomba, come il
panettone, si fa in casa -”140. Al rientro dalle vacanze, avuta l’occasione di
sentire, sempre telefonicamente, la mamma di Lina, quando le ho chiesto “se
avevano trascorso bene la Pasqua, lei mi ha risposto: - Bene, anche se per noi
la Pasqua è il 5 maggio [essendo cattolici ortodossi], però abbiamo
festeggiato comunque la Pasqua co’ italiani! -”141.
Un altro avvenimento ha messo a dura prova l’irascibilità e la
sopportazione di Lina; troppo spesso, infatti, su di lei vengono dette cattiverie
e malignità. Una mattina “la professoressa di sostegno mi racconta che la
settimana scorsa tutta la classe è andata a fare una visita dal medico per il
controllo dei pidocchi e mi dice che tutti i ragazzi si erano coalizzati contro
Lina e sostenevano che lei avesse i pidocchi. Lina ha sofferto di questo e ha
pianto molto. La professoressa ha spiegato alla classe che se veramente Lina
avesse avuto i pidocchi, prima di tutto non era una cosa grave in quanto i
pidocchi si debellano con degli shampoo e poi la scuola avrebbe mandato un
comunicato a tutte le famiglie e tutti avrebbero dovuto usare uno shampoo
speciale”142. Come si sa le voci girano e si diffondono molto in fretta, così un
pomeriggio “mi allontano per un momento e quando torno la trovo triste con
le lacrime agli occhi, le chiedo cosa è successo, lei mi dice: - Niente! - ed io
le rispondo: - È da un bel po’ che ti conosco ormai e quel musetto non mi
138
Op. cit. nota 63.
Op. cit. nota 93.
140
Op. cit. nota 91.
141
Op. cit. nota 62.
142
Op. cit. nota 9.
139
231
inganna più! -. Mi sorride e mi dice che Federica, una ragazza della III, la
prendeva ancora in giro per quella voce che Valeria, una sua compagna di
classe, aveva messo in giro e cioè che lei aveva i pidocchi. Le dico di non
prendersela, che spesso a quell’età gira un virus che si chiama scemenza ed è
molto contagioso. Lei mi guarda perplessa, non so se ha capito la mia battuta,
ma forse il tono si e infatti mi sorride, mi abbraccia e sembra ormai tutto
passato”143. Visto che spesso è poco curata nel vestire ed ha la carnagione più
scura (agli occhi dei ragazzini può sembrare anche sporca), diviene facile per
i compagni credere che possa avere i pidocchi e utilizzare tale fatto come
altro motivo di scherno, oltre al suo strano modo di parlare, di leggere, ecc.
Per quanto abbia fatto il possibile, durante la mia ricerca, per non far capire
ad Lina che chi veramente osservavo, oltre la classe, era lei, il suo sguardo
sveglio spesso mi ha colta in fragrante. Infatti un giorno “(...) la
professoressa mi consegna i suoi compiti in classe, per fare le fotocopie (sono
pochissimi). Li prendo ed esco dalla classe, ma noto che Lina mi sta
guardando; riconosce che sono i suoi e mi sorride chiedendo: - Che ci fai? -.
Io le sorrido e le dico che poi le spiego”144. E ancora una mattina, “incuriosita
dal mio scrivere, mi chiede: - Che scrivi? -; poi sbircia un po’ e mi dice: Scrivi di me? - ed io: - Di tutti -, ma lei non convinta mi chiede: - Mi fai
vedere? - e allunga la mano per prendere il mio quaderno. In un attimo mille
pensieri mi hanno attraversato: ed ora? Se legge qualcosa che l’offende?
Qualcosa che le dispiace o le fa cambiare idea su di me ed anzi la fa dubitare
della mia buona fede? Spero che il mio timore non sia trasparito dal mio
sguardo o dalla mia espressione; comunque sperando nel meglio le ho dato il
mio quaderno. Lei ha cominciato a leggere, aggrottando le ciglia quando
faticava a capire la mia scrittura (a volte orribile, dovuta alla velocità e
143
144
Op. cit. nota 93.
Op. cit. nota 66.
232
dall’urgenza di scrivere le mie impressioni ed osservazioni) ed ogni tanto
sorrideva. Non so se ha letto e capito ciò che avevo scritto; fortunatamente
era una pagina strettamente descrittiva e forse le ha fatto anche piacere vedere
quanto fosse vivo il mio interesse per quello che lei dice e fa. Credo che, in
fondo, non le importi se scrivo di lei!”145.
Questo è tutto quello che sono riuscita a sapere e a capire di Lina, una
ragazzina come tante, con dei sogni, delle speranze e soprattutto tanta voglia
di essere felice e di essere amata qui o in Romania.
LA PRIMA MEDIA
Questa è una classe molto particolare; i ragazzi che la compongono, e che
frequentano la scuola quotidianamente, sono pochi e quasi tutti hanno una
storia e una realtà difficile.
La classe è composta da sei rom, che non vengono quasi mai tranne due,
Amedeo e Mirko; da tre ragazzi portatori di handicap, Milena e Carlos
(peruviano) con problemi cognitivi e Renzo con problemi sia cognitivi che
fisici, e da altri otto ragazzi: Sandra con problemi di dislessia, Desirè, una
ragazza molto sveglia, ma con difficoltà di socializzazione e di relazione, poi
c’è Alex, Simone, Valeria, una ragazzina che non viene molto a scuola,
Cristiano, peruviano, Aldo e Lina (romena). Conosciamo un po’ meglio
ognuno di loro.
I due ragazzi rom, che sono più presenti, sono Amedeo e Mirko; gli altri
per un motivo o per l’altro a scuola non vengono mai. Per un po’ era venuta
anche una ragazza, Ramona che però, essendosi sposata, aveva poi
abbandonato la scuola. Sono più grandi dei loro compagni, “hanno anche la
barba”; vengono a scuola con un pulmino e li accompagnano i ragazzi
145
Op. cit. nota 63.
233
dell’ARCI (Associazione Ricreativa Culturale Italiana), che li vanno a
prendere al campo, bussano alle roulotte e poi chi vuole, o a chi i genitori lo
permettono, viene a scuola. La maggior parte dell’orario scolastico lo passano
fuori dalla classe, con un’altra insegnante che li segue individualmente o a
piccoli gruppi. La loro conoscenza dell’italiano è molto scarsa, tranne
Amedeo che, frequentando più assiduamente la scuola, è bravo sia nel capire
che nello scrivere e leggere l’italiano. Quando Mirko è in difficoltà copia ed
imita ciò che il suo amico e compagno fa. La pratica di copiare e prendere
insegnamento da chi è più grande è una delle caratteristiche riscontrate in
un’altra ricerca fatta presso una comunità rom. Anche se, nel nostro caso, non
si tratta di una differenza anagrafica, i due ragazzi interagiscono tra loro
avendo come differenza la capacità o meno di capire l’italiano, avendo o
meno le conoscenze linguistiche necessarie; si può quindi affermare che per la
migliore e più completa preparazione Amedeo è “più grande” di Mirko, ha
più conoscenze, è colui che può insegnargli qualcosa. In questa ricerca,
Esperienze di scolarizzazione dei bambini sinti: confronto tra differenti
modalità di gestione del quotidiano scolastico146, svolta da A. M. Gomes,
vengono analizzate due differenti esperienze: da un lato quella sulla
scolarizzazione dei bambini zingari, condotta a Bologna presso una comunità
di Sinti, i cui bambini frequentano regolarmente le scuole pubbliche
elementari della regione (Gomes, 1998); dall’altro un’esperienza di due
sezioni di scuola provinciale dell’infanzia all’interno di campi sosta, condotta
presso altre comunità di Sinti del nord Italia. Alcuni contrasti, e anche alcuni
similitudini, tra le due esperienze, hanno suscitato l’interesse per un confronto
analitico tra di esse.
146
Ricerca pubbl. in F. Gobbo, A. M. Gomes (a cura di), Etnosistemi. Etnografia nei contesti educativi, periodico
annuale, anno VI, n. 6, gennaio 1999, pagg.119-133.
234
In questa ricerca, infatti, l’autrice descrive una situazione che, se si realizza
a scuola, risulta un po’ singolare e cioè il permettere a due fratelli, di età
diversa, di frequentare insieme la scuola, magari lasciando che il più piccolo
segua il più grande. In un ambiente nuovo, il più piccolo interagisce
attivamente con l’ambiente e contemporaneamente si appoggia alla presenza
del fratello come punto di riferimento e fonte d’aiuto, senza che però ciò
implichi una sua totale dipendenza dell’altro nell’agire, così come l’altro
porta avanti la propria attività senza che la presenza del fratello piccolo sia
ostacolo a ciò che intende fare.
Così Mirko, anche se non fratello di Amedeo, trova in lui il suo punto di
riferimento, colui che gli spiega nella sua lingua cosa succede intorno quando
si verificano situazioni per lui strane, colui che fa, se ce n’è bisogno, da
mediatore tra lui e gli insegnanti, colui che diviene un esempio da imitare. È
capitato che un giorno, rimanendo in classe, abbiano partecipato alla dettatura
di uno specchietto da utilizzare per studiare la geografia e mentre Amedeo
scriveva speditamente ciò che la professoressa di lettere dettava, Mirko, non
capendo la maggior parte delle parole, cercava di copiare il più possibile dal
suo compagno senza disturbarlo. Tentava così di imparare e di migliorare
quel po’ di italiano che sapeva. “La situazione di interazione descritta [nella
ricerca di Gomes] è insolita rispetto all’ambiente dove avviene. A scuola, non
si sta quasi mai tra fratelli, o più semplicemente tra bambini di differente età a
svolgere insieme delle attività. Una scena come quella descritta [il più piccolo
segue il più grande e lo imita in tutte le attività che quest’ultimo svolge,
apprendendone le modalità] è invece molto comune nell’ambiente della
comunità. A partire dall’età attorno ai quattro anni, i bambini e le bambine si
trovano liberi di esplorare l’ambiente del campo e spesso si trovano a seguire
i fratelli più grandi nei loro giochi, così come ad osservare un adulto che
svolge una qualche attività. Il bambino tenta o meno di partecipare, a seconda
235
delle sue iniziative ed intenzioni, e viene accolto da chi gli sta vicino senza
che questo interrompa l’attività che si sta svolgendo. È caratteristica della vita
della comunità questa mediazione delle situazioni attraverso i differenti gruppi
di età ed è possibile osservare innumerevoli occasioni in cui qualcuno più
grande si prende a carico qualcuno più piccolo, ossia situazioni in cui la
partecipazione del più piccolo nelle situazioni sociali viene mediata dalla
presenza del più grande”147.
Un giorno a scuola (Diario di classe, 30.01.2002), oltre a Amedeo e a
Mirko, è venuto anche Daniele, un altro ragazzo rom, più piccolo di loro,
forse coetaneo dei ragazzi della classe. Quando entro in classe, la trovo
completamente “spaccata” in due parti: da una parte la classe, dall’altra i tre
ragazzi rom, impegnati in attività diverse. La professoressa di lettere, al suo
arrivo, si dimostra molto contenta del nuovo arrivato e gli chiede, sorridendo,
di presentarsi. Daniele, sembra oltre che disorientato anche molto timido; così
Amedeo, più loquace e sicuro, fa le presentazioni. Vista la separazione
evidente tra i rom e il resto della classe, la professoressa cambia la
disposizione dei banchi e, dal momento che i ragazzi non sono mai tanti,
forma un grande tavolo intorno al quale tutti si ritrovano. Malgrado questo
una certa separazione rimane comunque. L’insegnante spesso rivoluziona
l’assetto della classe, per permettere un’integrazione tra i vari ragazzi. Oltre
al fatto che ci possano essere delle simpatie ed antipatie, è importante cercare
di far in modo che i ragazzi piano, piano, si conoscano e si uniscano in un
nucleo scolastico, più o meno unito (inoltre stiamo parlando di una prima,
composta da ragazzi che ancora non si conoscono) .
Poi, ad un certo punto, arriva l’insegnante di sostegno che si occupa di
loro. È però venuta a prendere solo i più grandi e non porta Daniele perché
sostiene che essendo più piccolo e poco scolarizzato, avrebbe dovuto fare con
147
Ivi, pag. 126.
236
lui un altro lavoro, più specifico, diverso da quello ormai iniziato con Amedeo
e Mirko. Mirko, lì per lì, non l’avrebbe voluto lasciare, perché Daniele
doveva stare con lui visto che era piccolo, ma la professoressa di lettere lo
tranquillizza dicendo che sarebbe rimasto in classe, lì con lei, e che dopo li
avrebbe raggiunti; così a malincuore lo lascia.
Daniele, rimasto solo, sembra molto spaventato e guarda continuamente
verso la porta, come se sperasse che qualcuno, in particolare Mirko o
Amedeo, torni a prenderlo. Non prende mai parte alla lezione, per quanto la
professoressa cerchi di richiamare più volte la sua attenzione e di
coinvolgerlo; il suo sguardo è vuoto, triste, distratto, spaesato. Appena
rientrano in classe i suoi amici, il suo sguardo riprende vigore e tranquillità, lo
vedo anche sorridere. Questa situazione mi fa riflettere sull’utilità dell’averlo
lasciato “isolato”; forse sarebbe stato meglio tenerlo con Amedeo e Mirko,
così che, anche poco, imitandoli qualcosa avrebbe imparato e sicuramente
non avrebbe sofferto di quella separazione. Un altro dato risulta dalla ricerca
di Gomes utile per poter affermare che forse aver separato Daniele dagli altri
non era stato tanto proficuo. Nella scuola attivata nel campo nomadi è stato
osservato che “non esisteva un momento di preparazione con l’intero gruppo,
come spesso vediamo succedere nelle [nostre] scuole, cioè la maestra dà le
istruzioni verbali prima di iniziare l’attività ed in seguito la classe inizia a
lavorare. Infatti, ciò è stato confermato dalla descrizione che ci ha fatto la
maestra sul suo modo di introdurre una nuova attività quando aveva
l’intenzione che tutto il gruppo si coinvolgesse: prima la iniziava
individualmente con uno dei bambini più grandi; questo movimento di per sé
attirata l’attenzione di altri bambini che chiedevano di “fare anche loro”. In
questo modo, l’attività ai “allargava”, fino a “contagiare” tutto il gruppo”148.
Il suo soggiorno in classe non gli ha portato nulla. Non aveva seguito la
148
Ivi, pag. 130.
237
lezione svolta, non era riuscito a capire cosa gli diceva l’insegnante visto che
parla solo romeno; forse se avesse seguito i suoi amici più grandi qualcosa
avrebbe assimilato. Per lui, forse più che per altri, essendo completamente
nuovo nell’ambiente scolastico, avere qualcuno che conosce e che capisce la
sua lingua, lo avrebbe aiutato a sentirsi meno diverso ed estraneo.
Altra caratteristica che accomuna questi ragazzi rom a quelli studiati nella
ricerca di Gomes è il loro bisogno di “scappare” dalla scuola, il loro bisogno
di libertà. Spesso infatti Amedeo e Mirko, aiutandosi l’uno con l’altro, sono
riusciti a distrarre il custode ed a lasciare la scuola prima della fine dell’orario
scolastico. Nella ricerca, infatti, la scolarizzazione effettuata nel campo
nomadi ebbe degli ottimi risultati proprio grazie alla possibilità che avevano i
ragazzi di abbandonare le lezione quando volevano; erano liberi di entrare in
classe e di uscire liberamente.
L’insegnante di sostegno, in una conversazione con i ragazzi rom, gli ha
rivelato la sua età, più di 40 anni (non ricordo precisamente), e loro l’hanno
definita “nonna”. Per loro avere 40 anni è essere già nonna, visto che le
ragazze si sposano intorno ai 12-14 anni (come Ramona). Ramona, una volta
sposata, ha smesso di studiare, poiché i doveri di una “donna sposata” non le
permettono più di frequentare la scuola. Deve occuparsi della casa e dei figli
che arrivano anche loro molto presto. Il matrimonio era stato celebrato nel
campo dal capo dello stanziamento, ma più che un vero matrimonio,
corrispondeva ad una promessa o meglio ad un accordo civile, anche se
festeggiato, con danze e musiche, come se fosse una vera cerimonia.
L’insegnante mi racconta che le hanno raccontato che il vero matrimonio
verrà celebrato quando ritorneranno nel loro paese, solo lì potranno
regolarizzare legalmente la loro unione.
Sono dei ragazzi molto aperti, almeno Amedeo e Mirko, e raccontano
spesso cosa fanno durante il giorno. Il padre di Amedeo, fino a qualche tempo
238
fa, lavorava presso una ditta ed aveva uno stipendio fisso (L. 500000 al
mese). Già questo, più il fatto che spingano o abbiamo spinto all’inizio il
figlio ad andare a scuola, li diversifica da quei rom che invece preferiscono
mandare i loro figli in giro a chiedere l’elemosina, senza pensare alla loro
formazione. Amedeo è un ragazzo molto sveglio ed intelligente, in più gli
piace la scuola; dopo le medie forse, se segue il suggerimento degli insegnanti
che provano a convincerlo, potrebbe proseguire con una scuola professionale
di due o tre anni ed imparare un mestiere. Lui è indeciso, ma tentato dalla
possibilità. A Mirko invece non va molto di venire la mattina a scuola ma,
come racconta lui, se non viene la mamma “lo picchia con la scopa”; anche
lui quindi ha una madre che crede nella formazione scolastica o almeno prova
ad aprire al figlio più possibilità per permettergli magari un giorno di
scegliere.
L’insegnante, inoltre, gli ha spesso profilato la possibilità di trovare magari
un lavoro dopo aver terminato la scuola, ma Amedeo le ha detto sinceramente
che lui guadagnava già 70 euro tutti i pomeriggi in cui andava a suonare la
fisarmonica nella metropolitana e che quindi, per lui, quello era il suo lavoro
(tra l’altro molto più proficuo di quello del padre, che con un mese di lavoro
arrivava a guadagnare solo 500000 lire).
Certo, la migliore strategia di insegnamento nel loro caso è difficile da
tracciare; di una cosa però sono sicura: l’impossibilità di una programmazione
fissa e la necessità di molta flessibilità.
I ragazzi portatori di handicap sono tre: Milena è una ragazza con problemi
cognitivi, ogni tanto esce dalla classe e va con l’assistente che la segue e
Renzo al terzo piano, dove hanno delle aule predisposte per loro, con giochi,
colori, ecc., ma per la maggior parte del tempo rimane in classe, al suo banco
o alla cattedra della professoressa, disegnando e colorando. Le piace stare
con i suoi compagni e segue con lo sguardo le situazioni che si creano, spesso
239
sorride, gioca e scherza con loro, mentre altre volte, invece, diventa l’oggetto
di scherzi, scherni e prese in giro. Spesso qualcosa la disturba, per esempio le
poche attenzioni dell’assistente che deve suddividere il suo tempo tra lei e
Renzo, che viste le sue condizioni, ne ha sicuramente più bisogno. Diventa
gelosa e scatta: comincia prima a piangere e poi, volgendosi all’assistente, le
prende le mani e fa forza spingendola all’indietro. In queste situazioni,
spesso, sono proprio i suoi compagni gli unici che riescono a calmarla, a
distrarla, a farla sorridere ed ad allentare la tensione. È strano come a volte
siano molto dolci con lei, mentre altre invece la infastidiscano fino a farla
piangere.
Renzo è costretto su un passeggino, non controlla alcuna parte del corpo,
non capisce ciò che accade intorno a lui, è completamente affidato alle cure
dell’assistente che lo cambia e lo imbocca quando deve fare merenda.
Poi c’è Carlos, arriva dal Perù, parla molto poco italiano; al suo arrivo
quest’anno non conosceva neanche una parola e gli insegnanti, per
comunicare con lui, si facevano aiutare sia da Cristiano, altro ragazzo
peruviano, sia da Aldo, italiano, ma con il padre argentino che gli ha
insegnato a capire e a parlare lo spagnolo. La sua passione sono gli orologi:
guarda continuamente l’ora, ne ha sempre due in tasca e li confronta
continuamente. Spesso ti chiede l’ora e poi controlla se anche i suoi due
orologi confermano l’orario.
Un giorno (Diario di classe, 13.03.2002) sono arrivata molto in anticipo a
scuola. La prima media entrava alle 11, poiché gli mancava un’insegnante, ma
Carlos era arrivato lo stesso presto, perché essendo stato assente il giorno
precedente nessuno lo aveva avvertito. Così, per non lasciarlo solo, sono
andata con Carlos al terzo piano e abbiamo colorato e disegnato un po’ e lui
mi ha parlato di sé.
240
“Carlos mi parla della sua famiglia: della sua mamma che fa le pulizie, di
suo padre che pulisce le scale e di suo fratello che si chiama Jan, è più grande
di lui e va ad una scuola spagnola. Lui mi dice che gli piace tanto la scuola e
che in Perù non ci andava”149; la professoressa precedentemente mi aveva
raccontato che, per i suoi problemi di apprendimento, in Perù frequentava una
scuola “speciale”.
Mi fa un disegno e me lo regala (una sua mano, tutta colorata), poi mi
regala anche una cassetta di musica peruviana; lui adora la musica del suo
paese. Porta sempre con sé le cassette e, se può, chiede alla professoressa di
musica di metterle. Oggi è molto contento poiché con sé ha portato il
walkman, anche se la professoressa non vuole perché ha paura che i suoi
compagni glielo rompano o rubino per dispetto. Il suo italiano è misto allo
spagnolo e in più, a complicare il tutto, parla molto svelto, con il risultato che
spesso molte parole se le “mangia”, altre le modifica a modo suo; è quindi
molto difficile capirlo.
Quello stesso giorno, a scuola, arriva anche il papà di Renzo (o “Lollo”,
come lo chiamano tutti) per spiegare alle assistenti come mettere il figlio su
una specie di seggiolone che gli permetteva di stare dritto in piedi. “Gli altri
ragazzi [Carlos e Alessandro (un altro ragazzo handicappato)] non hanno mai
tolto gli occhi di dosso a quest’uomo che non faceva che coccolare, baciare,
accarezzare e parlare dolcemente con il suo “Ciccio” (così lo chiamava) (...)
Carlos mi chiedeva continuamente se quel signore era il papà di Renzo, poi
mi guardava e diceva: - È buono il papà di Renzo! - ed io: - Tutti i papà sono
buoni - e lui: - Il mio, no!! -. Così gli chiedo: - E la tua mamma? - e lui: - Lei è
buona! -. Parlando poi con l’insegnante di sostegno vengo a sapere che il
padre di Carlos è molto severo”150.
149
150
Op. cit. nota 61.
Ibidem.
241
Spesso è preso di mira dalla classe che gli fa dispetti e lo picchia, a volte
anche violentemente; lui cerca protezione dalle insegnanti, ma non reagisce.
Non si sa difendere o forse sceglie di non difendersi. All’inizio veniva
accompagnato e preso a scuola tutti i giorni dai suoi genitori, a turno, a
seconda delle esigenze di lavoro; alla fine dell’anno finalmente riesce a venire
e a tornare da solo, ma arriva sempre un po’ più tardi degli altri e va via
quando tutti ormai sono usciti. Non capivo il motivo, poi ho scoperto che solo
così si sentiva sicuro, perché aveva la certezza di non incontrare nessuno;
nessuno che lo potesse infastidire o magari picchiare.
Poi c’è Cristiano, il peruviano di cui ho già parlato, è un ragazzo molto
dolce, sempre disponibile con i compagni; Sandra, anche lei molto
disponibile, con problemi di dislessia; Valeria, che viene molto poco a scuola
e spesso mette in giro chiacchiere poco carine sui compagni; Simone,
tranquillo; Alex, altro chiacchierone, al quale piace fare le coppie e spesso
crea discussioni, poiché gli piace riferire ciò che ha detto quello alle spalle di
quell’altro, parlare di quello a quell’altro e creare situazioni di
incomprensioni, che portano a litigi e discussioni a volte anche inutili. Poi c’è
Aldo, un ragazzo molto robusto, intelligente; e infine Desirè.
Raccontare chi è Desirè non è un’impresa facile. Desirè è la più grande
della classe in quanto è stata bocciata sia alle elementari e già una volta in
prima media; è una bella ragazza, robusta, con i capelli lunghi, un’andatura
sicura e molto mascolina; anche il suo abbigliamento richiama il maschile e
infatti indossa sempre i pantaloni e accentua il tutto tenendo sempre i capelli
legati con un mollettone. Spesso l’ho sollecitata a vestirsi in modo più
femminile, a truccarsi e a sciogliersi i capelli, ma lei niente. Un giorno, infatti,
“le chiedo perché non si scioglie i capelli, perché non cerca di essere un po’
più femminile, ma lei tira su le spalle e mi dice che non le piacciono i capelli
sciolti. Le dico che sempre legati i capelli si rovinano e lei: - Che me frega, se
242
rovinano loro, mica io! -”151. Lei è l’elemento forte della classe; insieme ad
Aldo, Simone ed Alex, forma il gruppo forte. È una ragazza molto difficile sia
per il carattere che per il suo passato. Mi hanno raccontato le insegnanti che
sua madre ha un passato di tossicodipendenza molto complicato; lei da
piccola era stata affidata alla nonna, mentre la mamma era in comunità. Da
bambina, alle elementari, si era fatta bocciare due volte di seguito con
l’intento di far credere agli assistenti sociali che la nonna non era in grado di
seguirla, per poter quindi tornare con la mamma. Quest’anno Desirè è tornata
con la mamma e, dopo aver vissuto tanto tempo lontano da lei, deve imparare
a conoscerla e questo non fa che sconvolgere il suo stato emotivo già molto
instabile. Ha tanta rabbia dentro di sé e basta poco per farla esplodere; non si
controlla, non rispetta nessuno e gli insegnanti non sanno come fare, cercano
di parlarle, di farla ragionare, ma lei si chiude “a riccio” e ripete: - Io sono
così, non posso cambiare! -. La mamma non la segue molto o forse fa quello
che può, non riuscendo però, suo malgrado, a dare alla figlia ciò che in questi
anni le è mancato: affetto, ma soprattutto la sua presenza. Quando in classe
litiga con qualcuno arriva molto spesso alle mani, per non parlare degli
scambi verbali (parolacce, minacce, bestemmie, ecc.); non fa differenza se il
suo interlocutore è un compagno o un’insegnante. Quando, però, viene
rimproverata da qualche insegnante, subito i suoi compagni la difendono, si
coalizzano per difenderla, anche quelli che spesso “le prendono da lei” sono
pronti a difenderla. È una sorta di mafia scolastica: lei, la più forte e la più
temuta, viene difesa per paura delle ritorsioni o di entrarle in antipatia, o
anche per farsela “alleata”. Allo stesso tempo, quando ad essere rimproverata
o ad essere in difficoltà è un “suo/a amico/a”, subito reagisce dicendo: - È un
amico/a mio/a e nessuno lo pò tocca’! - e lo difende con tutta se stessa. È una
ragazza bisognosa di attenzioni e di affetto. A me si è subito affezionata,
151
Ibidem.
243
scherza e ride con me e abbiamo un buon rapporto, forse perché non si sente
minacciata, forse perché sa che io non sono lì, a scuola, per giudicarla o
metterle il voto; quando la rimprovero per le numerosissime parolacce che
dice, sorride e subito ne dice qualcuna. “- Ma tu ce voi un po’ de bene? -, le
dico di si, che a forza di passare del tempo con loro, mi ci sono affezionata, e
poi aggiunge: - Ma l’anno prossimo torni? -, ed io le dico: - Non credo! - e
lei: - Te pare! -”152. Si affeziona molto e presto alle persone; un giorno “mi
alzo dal banco per andare a prendere la penna che ho nella borsa e Desirè,
con aria dispiaciuta, mi chiede: - Do’ vai? - ed io: - Prendo una penna -, e lei:
- Ambè! -”153. Spesso mi difende. Un giorno, infatti, “mi avvicino a loro e
chiedo cosa stanno facendo; Alex mi dice: - Che te frega! - e Desirè subito
interviene dicendo: - Non je risponne così a Federica, capito?!! Non me fa
incazza! -”154. Mi racconta le sue vicende amorose, i suoi dubbi e mi chiede
consiglio su come si deve comportare con i ragazzi. Una mattina “(...)
all’improvviso mi grida: - A Federi’ lo sai che me so’ messa con Mattia!! -, la
professoressa la guarda e lei: - A professore’, è ‘na cosa tra me e Federica! -,
le sorride e continua il suo lavoro”155. E così affezionata a me che dopo
quindici giorni che non ci vedevamo, poiché c’erano state delle vacanze, un
giorno “mi corre incontro, mi abbraccia forte, mi bacia e mi dice: - Federi’
quanto tempo!! -”156.
Numerosi sono gli episodi di discussioni e di botte che hanno come
protagonista Desirè come soggetto forte e quasi sempre Lina o Carlos come
soggetti deboli.
Infine c’è Lina, che abbiamo già conosciuto dalla sua storia di vita e da
quello che lei mi ha raccontato di sé.
152
Ibidem.
Op. cit. nota 91.
154
Ibidem.
155
Op. cit. nota 66.
156
Ibidem.
153
244
Spesso entrando in questa classe mi sono domandata quali siano stati i
criteri seguiti per formarla. Le difficoltà di seguire una classe del genere non
sono solo degli insegnanti, ma anche di quei ragazzi che inseriti in un tal
contesto ne escono penalizzati.
Dinamiche di classe
La prima è una classe dalla composizione un po’ speciale come già mi
sono soffermata ad osservare nel paragrafo precedente. Sono tutti ragazzi
molto vivaci e non sempre facili da controllare. Il centro della classe è Desirè:
lei è l’elemento forte, lei è il capo, nel senso buono, quando interviene per
difendere una compagna e nel senso cattivo, quando invece attacca, picchia o
lascia che venga picchiato qualcuno dal resto della classe, che il più delle
volte cerca di conquistare la sua approvazione e quindi la sua amicizia.
Desirè, come ho già detto, non è una ragazza cattiva, ma il suo linguaggio,
soprattutto quando è in disaccordo con qualcosa o qualcuno, è un linguaggio
che va dalla violenza verbale alla violenza fisica. Già il primo giorno della
mia osservazione nella prima, mi sono trovata ad affrontare una situazione
difficile, soprattutto dal momento che ancora non conoscevo i ragazzi, né
immaginavo i loro problemi, i loro caratteri, se non quello che mi era stato
raccontato di sfuggita da qualche insegnante. Arrivo in classe e “trovo una
situazione molto tesa e la professoressa di educazione musicale agitata per
quello che era accaduto in mia assenza. Desirè, una ragazza [che scoprirò
solo dopo] con delle serie problematiche alle spalle, soprattutto tanta rabbia
inespressa, aveva picchiato Carlos, il ragazzo peruviano con un ritardo
cognitivo (...) per screzi passati e, una volta ripresa dall’insegnante, le si era
rivolta in modo maleducato e inaccettabile. L’insegnante stanca di tutto ciò
aveva chiamato il vicepreside per discutere dell’accaduto con Desirè. C’è chi
245
difende Desirè, chi si limita ad ascoltare (si decide poi di convocare sia la
mamma di Desirè che il papà di Carlos) (...) Finito il rimprovero e cominciata
la lezione (...) Lina strappa un foglio dal diario e scrive qualcosa. Riesco a
leggere solo l’ultima riga, c’è scritto <T.V.U.K.D.B.> e cioè nel loro gergo,
<ti voglio un casino di bene>. Poi accartoccia il foglio e lo tira a Desirè.
Accortasi del mio interesse per i suoi movimenti, mi guarda e mi dice che
Desirè è sua amica e con lei va d’accordo. Desirè le risponde, ma non riesco
a leggere nulla”157. Nel leggere ciò sembrerebbe che Lina e Desirè siano
amiche, ed anche Desirè nel suo tema sui suoi nuovi compagni, quando parla
di Lina dice: “- A volte è antipatica, quando ride da sola. Ogni volta che
prende la nota o sufficiente si mette a piangere. Però anche se è così gli
voglio bene -”158, ma in realtà spesso sarà Lina l’obiettivo degli scherni e
delle violenze di Desirè. Lina e Carlos sono spesso sue vittime. I due ragazzi
infatti sono i più deboli della classe, quelli più attaccabili, sia perché stranieri
(e vedremo più avanti l’ostilità di Desirè verso gli stranieri, trasmessale dalla
famiglia) e poi perché fra tutti sono quelli che più faticano ad integrarsi;
Carlos per i suoi problemi di cui abbiamo già parlato, Lina per un carattere un
po’ particolare, permaloso e non molto duttile; lei infatti, in tutte le sue cose,
risulta molto rigida. Una mattina “mentre aspetto la professoressa di lettere,
che è in ritardo, assisto a scene per le quali difficilmente si può rimanere
impassibili. Desirè [senza motivo apparente] comincia a picchiare Carlos e
anche Alex la imita dandogli degli schiaffi. Aldo prende la rincorsa e si butta
in terra scivolando sulle gambe di Carlos nel tentativo di farlo cadere e lui
non reagisce. Cerco di farli calmare, ma non mi ascoltano e continuano ad
infastidirlo. Carlos mi chiede il permesso di andare al bagno, ma non fa in
tempo ad arrivarci che i tre lo rincorrono e lo picchiano ancora. Rientro un
157
158
Op. cit. nota 37.
Op. cit. nota 98.
246
momento in classe e quando esco trovo Desirè che [lo] tiene per il collo (...)
contro la parete, cerco di toglierle la presa e con fatica, dal momento che
usava molta forza, ci riesco. La rimprovero e lei ridendo, come mi allontano
da Carlos, lo riprende con forza per il collo e lui: - Professoressa, aiuto! -, lo
libero ancora dalla presa di Desirè, ma come mi allontano o lei o Alex o Aldo
ne approfittano per picchiarlo. Gli prendono le sue cose, gli aprono lo zaino e
lui non reagisce mai. Alex ha insegnato a Milena (la ragazza handicappata) a
dare gli schiaffi a Carlos. Lui le prende la mano, le fa colpire Carlos e poi le
dice: - Brava!! -, gli batte le mani e le sorride. Lei, su istigazione, come passa
vicino a Carlos gli da’ uno schiaffo (molto delicato rispetto a quelli che
prende dagli altri) e il fatto che tutti poi si complimentano con lei, la induce a
farlo di nuovo. Cerco di farle capire che non si fa, ma non so quanto contino
le mie parole in confronto a quelle dei suoi compagni. Desirè picchia ora
anche Simone, e gli dice: - Perché hai detto in giro che ci siamo baciati! -”159.
Un altro giorno “accompagno in classe Carlos e Aldo, come lo vede entrare,
gli viene incontro e lo prende a cazzotti (come se gli avesse detto
buongiorno!)”160. Spesso in questa classe, anzi potrei dire tutti i giorni, ci
sono casi di violenza più o meno espliciti, soprattutto quando non c’è
l’insegnante, ma nessuno dei ragazzi della classe sembra ribellarsi a ciò e,
anzi, anche chi è spesso il bersaglio delle botte tace, forse per paura. Desirè
non da’ molta importanza alle “botte” che da’ e a quelle che prende (anche se
poche!); è come se picchiarsi fosse “normale”, come se per giocare non ci
fosse altro modo che prendere qualcuno di mira. Desirè è sicuramente
l’anello forte della classe, gira tutto intorno a lei e tutti cercano la sua
approvazione.
159
160
Op. cit. nota 74.
Op. cit. nota 61.
247
Così come è spesso lei a scatenare liti e discussioni, molto spesso è lei che
interviene, a modo suo, per difendere e proteggere una sua compagna da
quella che per lei è un’ingiustizia. Così una mattina, durante un rimprovero
che l’insegnante di educazione tecnica stava facendo a Valeria, Desirè si era
intromessa per difenderla ed era finita per prendere a male parole
l’insegnante, tanto da meritarsi una nota sul registro. L’insegnante di lettere,
che era arrivava all’ora successiva, “cercava di capire che cos’era successo e
voleva delle spiegazioni da Desirè, che raccontava che lei aveva solo difeso
una sua amica, e che - ..Se qualcuno è amica sua, nessuno gliela doveva
toccà.. -. Come Desirè aveva difeso Valeria, così Lina difende Desirè e
quando l’insegnante le domanda lei cosa c’entra, Lina risponde che Desirè è
sua amica. La professoressa cerca di far capire a Desirè che non è certo
aggredendo o prendendo a parolacce le persone che si può vivere civilmente,
ma Desirè risponde che lei è così e certo non cambia (- Io so’ così, so’
sempre stata così e non posso cambià -); l’insegnante afferma che tutti
cambiano prima o poi, ma Desirè non ne è affatto convinta”161. Di nuovo Lina
afferma di essere amica di Desirè, la difende. Forse cerca la sua approvazione
perché la vede al centro della classe e, tramite lei, spera di inserirsi e di essere
accettata dal gruppo, oppure tiene veramente a quella che per ora considera
un’amicizia, ma che presto si tramuterà in qualcos’altro difficile da gestire.
Un pomeriggio, “subito dopo pranzo, incontro la professoressa di lettere
della prima, che mi chiede se ho sentito quello che è successo (...) all’ultima
ora, durante la supplenza dell’insegnante di musica: Desirè, per ragioni
ancora non molto chiare, ha schiaffeggiato Lina (...) Poco dopo vedo uscire
dalla mensa in giardino i ragazzi, così esco anch’io e vedo Lina venirmi
incontro, con gli occhi rossi e gonfi. Le chiedo che cosa le è successo e lei mi
risponde (con un filo di voce): - Niente! -, ed io: - Hai pianto? -. Lei mi dice:
161
Op. cit. nota 98.
248
- No! -. Allora insisto: - E che sono quegli occhi rossi? - e lei: - Niente! -. - Ti
hanno fatto arrabbiare? - le chiedo e lei: - No! -”162. Trovo impressionante il
clima di terrore e intimidazione che crea Desirè, tanto da indurre Lina a tacere
o meglio a non voler parlare a nessuno dell’accaduto. Poi, vedendo che la
professoressa porta con sé Desirè per parlarle, [Lina] le segue da lontano.
Mentre l’insegnante parla a Desirè in sala professori con la porta aperta, Lina
da dietro una colonna ascolta. Poi mi si avvicina Alex [loro compagno] (...);
io e lui abbiamo avuto, fin dall’inizio, sempre un buon rapporto, così colgo
l’occasione e gli chiedo di raccontarmi, nei dettagli, cos’è successo. Tutto
sarebbe iniziato per colpa di un biglietto scritto [da lui] (...) per far fare
amicizia a Amedeo (il ragazzo rom) con Lina. Alex ha firmato il biglietto a
nome di Amedeo, ma Lina ha capito chi era il vero autore. Così si è alzata, è
andata da Alex e gli ha detto una parolaccia (non si sa quale, non me l’ha
voluto dire). Poi Desirè si è intromessa e, per difendere Alex (suo amico),
l’ha schiaffeggiata. Questo sarebbe stato l’accaduto, almeno per quanto
racconta Alex”163. Singolare è come Alex, che tenta di comporre delle coppie
all’interno della classe, non abbia esitato a collegare Lina, romena, a
Amedeo, rom. Molti infatti pensano, sbagliando, che i romeni siano tutti rom;
ed ecco che, sapendo ed avendo interiorizzato quale sia la concezione dei
rom qui in Italia (persone sporche, di cattiva reputazione, che quasi sempre
rubano), simile a quella presente in Romania (come già Lina ha espresso una
volta, diario di classe, 10.04.2002), Lina reagisce male quando Alex la
accomuna ad Amedeo.
Una mattina arrivo in classe, ma Lina è assente; questo un po’ mi stupisce,
poiché lei dall’inizio dell’anno non si era mai assentata, ma non chiedo nulla,
visto che in fondo può capitare. “Entro in classe, ma c’è una strana aria. La
162
163
Op. cit. nota 14.
Ibidem.
249
professoressa dice ad Alex, che siede vicino a Desirè, di cambiare posto.
Desirè non c’è, è in bagno. Quando rientra subito si scalda per il
cambiamento e dice: - Da quando ho fatto quella cosa, non po’ sta più
nessuno vicino a me? Oh, ma fate come cazzo ve pare - e aggiunge: - Dovrò
menà pure alle prof...! -. La professoressa le dice: - Non stiamo esagerando! e Desirè: - No! Tanto oggi viè mi’ madre. Mi’ madre vole pure la madre di
Lina! -. Continuo a non capire, doveva essere successo qualcosa nei giorni
precedenti (...) Mentre tutti ripassano, (...) chiedo [all’insegnante] che cosa è
successo con Desirè e lei: - Ce n’è sempre una con Desirè, non so più cosa
fare. Ha rimenato ad Lina! -. Le chiedo di spiegarmi cosa era successo
precisamente. Lei mi racconta che tutto era successo il giorno prima e che era
già da un po’ che le due ragazze avevano dei problemi (Desirè qualche tempo
fa l’aveva schiaffeggiata). Lina era seduta accanto a Desirè. - Sedendole
accanto cercava - mi racconta la professoressa - di appianare le divergenze -,
poi Desirè l’aveva offesa o infastidita in qualche modo ([lei] (...) non mi ha
saputo dire come) e Lina le aveva detto: - Mortacci tuoi! -. Si era alzata ed
era uscita dalla classe, ma Desirè l’aveva rincorsa per il corridoio, l’aveva
strattonata e spinta e proprio una di quelle spinte, più forte della precedenti, le
aveva fatto perdere l’equilibrio e l’aveva fatta cadere. Nella caduta aveva
sbattuto la testa ad un muretto e subito le si era gonfiata, si era arrossato
l’occhio e lei si lamentava di non vedere bene. Immediatamente era stato
chiamato il vicepreside e tutti cercavano di calmare Desirè che non faceva che
dire: - Tornatene in Romania, zozza romena! -, e ancora - Da quando sei
entrata qui dentro t’ho sempre odiato! - , - La odio dal primo giorno che
l’ho vista -. La professoressa mi dice che non si era affatto pentita per come
si era comportata e che pretendeva e pretende tutt’oggi di avere ragione”164.
Ecco la prima volta che esplicitamente Desirè manifesta ed esprime l’odio per
164
Diario di classe, 27.02.2002.
250
Lina, ma bisogna soffermarsi non solo sulle sue parole, che risultano essere
l’antitesi di quello che Desirè ha scritto sul suo tema, ma sui suoi gesti e sul
momento dell’accaduto. Desirè viene insultata da Lina, è arrabbiata, è furiosa
e perde il controllo non solo fisicamente, ma anche il controllo delle parole ed
esagera. Oppure Desirè in fondo pensa davvero quello che ha detto, mentre
nel tema ha mentito, e quindi non sopporta Lina, non sopporta il fatto che ad
insultarla sia una ragazza straniera che non ha alcun diritto di essere nel suo
paese. Sinceramente non so cosa pensare, ma sono sicura che la violenza che
Desirè sfoga all’esterno non sia provocata da avvenimenti presenti o da insulti
che gli vengono fatti, ma da uno stato di rabbia repressa che basta poco per
far esplodere ed è difficile da controllare. “Chiedo alla professoressa cosa
pensa la mamma di Desirè dei comportamenti della figlia e lei mi racconta
che la mamma è una bravissima persona da poco uscita dalla droga e che ha
molto sofferto. Lei non conosce la figlia, perché per molto tempo non ha
potuto crescerla, stando in comunità; sono vissute lontane e forse non si rende
ancora conto della gravità dello stato psichico della figlia, del suo
disadattamento, della rabbia che Desirè ha dentro; o forse se ne rende conto,
ma non sa cosa fare, non sa come prenderla. Ad un certo punto entra un
ragazzo di un’altra classe, si avvicina a Desirè e le dice qualcosa che non
capisco, ma capisco cosa lei gli risponde: - Se voi ce penso io, je meno come
a Lina? -, l’insegnante subito mi dice: - Vedi come c’è da fare a botte
chiamano lei! -. Desirè è un leader nella sua classe e nella sua scuola, ma un
leader “negativo”. La sua forza è nella violenza, nel timore che incute a
tutti, lei si fa giustizia da sola (forse crede che la giustizia non esista, visto
che con lei la vita non è stata giusta), si fa rispettare con le minacce. In II un
ragazzo la chiama la malata, per le sue reazioni violente, per la sua
imprevedibilità. Quando parla con i professori il suo è sempre uno sguardo di
sfida, ma in realtà, secondo me, è più uno sguardo pieno d’odio. Un odio
251
dovuto al suo passato, alla sofferenza, ai vuoti della sua vita (...) Come la
professoressa si allontana un attimo dalla classe lei esclama: - Se dice
qualcosa a mi’ madre, come torna (Lina), l’ammazzo! -. Nota che l’ho
ascoltata, ma non mi dice nulla (...) Oggi le stanno tutti un po’ lontani. È
come se li avesse spaventati un po’ troppo, ma sembra non importarle”165.
Pochi giorni dopo l’incidente ha luogo l’incontro tra la mamma di Desirè e le
insegnanti della prima. L’insegnante di musica mi ha raccontato che già al suo
arrivo la donna manifestava una strana agitazione ed era molto tesa. Subito
con tono di sfida cominciò a dire: - Chi mi incontra per strada mi dice: tu’ fia
ha menato a questo o a quello -. Poi sostiene che i professori ce l’hanno con
Desirè e riprendono sempre lei; che l’hanno presa un po’ di mira e che lei, per
reagire a queste ingiustizie, se la prende con i compagni. È nel modo di porsi
molto aggressiva. Poi all’improvviso esclama: - A sta’ straniera di merda! -.
L’insegnante di musica, con molta calma, le risponde che le ragazze dovranno
stare insieme almeno ancora per tutto l’anno e che lei non doveva dire quelle
cose davanti alla figlia, non doveva mandare alla figlia quel tipo di messaggio.
Desirè non doveva diventare amica di Lina, ma avrebbe dovuto solo cercare
di convivere (anche se io ricordo che all’inizio della mia ricerca più volte
avevo sentito che Desirè ed Lina avevano studiato insieme a casa di Valeria,
forse perché prima erano amiche? Forse perché Desirè aveva i libri? Forse
perché essendo il punto forte della classe, essere accettata da lei era come
essere accettata dalla classe?). La mamma continuava ad essere aggressiva ed
ad avere uno sguardo di sfida (come quello della figlia) nei confronti dei
professori. L’insegnante di musica poi, furbescamente, vista la tensione,
aiutata dalle altre colleghe, aveva incominciato ad elogiare Desirè, dicendole,
che era una ragazza molto intelligente e che poteva essere molto brava, anche
la prima della classe; la prima della classe non in senso “negativo” (colei che
165
Ibidem.
252
incute timore), ma la prima della classe per il profitto. A quelle parole la
donna si era tranquillizzata, come se non si sentisse più minacciata. La
professoressa mi racconta che sia la mamma che Desirè sono seguite da un
assistente sociale e che, ad ogni problema, se Desirè non si comporta bene,
rischia di essere tolta di nuovo alla mamma, rischia di andare in istituto. È
solo da settembre che Desirè vive con la mamma, è cresciuta con la nonna a
suon di botte a quanto pare, ed ecco forse perché è così violenta e perché
qualsiasi cosa la risolve con le mani. La mamma racconta alle professoressa
che lei è seguita da uno psicologo dell’ospedale “Forlanini” e più volte ha
chiesto a Desirè di andare con lei, ma la figlia si è sempre rifiutata. Le
insegnanti le dicono che, se vuole provare a recuperare la figlia, deve prima di
tutto cercare di dire le stesse cose che a scuola dicono i professori; non deve
dire nulla di discriminante sugli stranieri almeno davanti alla ragazza e che
sia lei che loro devono lavorare affinché Desirè si convinca ad andare dallo
psicologo. Viene chiesto alla mamma perché poi non aveva giustificato
l’assenza del venerdì passato e si scopre che Desirè (con altre compagne)
aveva fatto sega per andare all’Eur. La mamma, la stessa mattina, le aveva
viste alla fermata dell’autobus ad uno strano orario e aveva chiesto loro come
mai non erano a scuola; le era stato risposto che dovevano entrare più tardi.
Le professoresse dicono alla donna che ogni qual volta c’è un cambiamento
dell’orario scolastico le famiglie vengono avvertite con un avviso a casa che
poi prevede una firma come presa visione dello stesso (da qui si può dedurre
che forse la mamma di Desirè non la segue molto, non si interessa molto su
cosa fa la figlia a scuola e che sicuramente non gli controlla il diario per
vedere se ci sono degli avvisi importanti). Sicuramente Desirè non ha un
carattere semplice, ma certo che le condizioni che hanno caratterizzato la sua
vita fino ad oggi non l’hanno aiutata certo a migliorarlo.
253
La volta successiva che incontro Lina “le chiedo poi come va la testa e di
farmi vedere dove si era fatta male e lei me lo indica. Quando poi le chiedo
cosa è successo mi risponde: -
stata Desirè, la solita!! -. Poi le domando
com’è successo e lei non me lo sa spiegare; mi dice che i compagni le hanno
detto qualcosa, lei si è arrabbiata e se l’è presa con lei. Ma la sua spiegazione
è vaga, non chiara, si mangia le parole nel parlarmi. -
tutto chiarito? Avete
fatto pace? -, lei mi dice di sì, ma non ne è affatto convinta. Poi mi fa vedere
il diario con le foto di Leonardo, si sofferma su una di queste e mi dice con
tono di rammarico: - Questa me l’ha data Desirè! -. La mia sensazione è che
lei sia dispiaciuta di come siano andate le cose e di non riuscire ad essere del
tutto amica di Desirè”166.
Qualche tempo dopo Desirè litiga anche con Alex, uno dei compagni al
quale è più legata. “(...) Comincia la lezione, ma nell’aria c’è qualcosa.
Desirè ha discusso con Alex (suo cugino, o almeno loro a me hanno
raccontato così, anche se la professoressa non me lo conferma, anzi mi dice
che non è vero). Lui oggi le sta lontano, come un po’ tutti. Desirè gli dice: - A
me me stai sul cazzo quanno fai così, quanno davanti me fai ‘na faccia e
dietro n’antra! -. Simone, l’unico un po’ più vicino a Desirè (credo che gli
piaccia! Anzi ne sono sicura), sorride e Desirè gli dice: - Voio vede’ che te
ridi quando vedrai er sangue! -, - L’ammazzo quello! - e ancora, - Poi se je
metto le mani addosso a quello, guai a chi me ferma! -. Alex siede accanto ad
Lina e si comporta come se fossero sempre stati grandi amici; è molto strano
che si sia avvicinato a lei proprio adesso; forse vuole far ingelosire Desirè;
forse vuole farla arrabbiare dal momento che lei non nutre molta simpatia per
Lina. Desirè si siede vicino a me alla cattedra e tutti la fissano, non le
staccano mai gli occhi di dosso. Milena guarda Desirè e le fa cenno con la
testa e Desirè la manda a quel paese con tanto di braccio. Alex parla con Lina
166
Op. cit. nota 77.
254
e le dice: - Io non c’ho paura! -. Lina [oggi ha cambiato il suo abbigliamento],
forse si è vestita bene per lui (o forse per un altro motivo di cui parleremo più
tardi), fa cenno di legarsi i capelli e gli chiede come sta e lui le dice: - Meglio
sciolti - e lei, che da quando la conosco porta i capelli legati, li scioglie. Alex
fa i complimenti ad Lina per come è vestita; è la prima volta che la vedo
senza tuta, con pantaloni e camicetta alla moda. Lina poi chiede a Desirè se è
arrabbiata con lei, ma lei le risponde che ce l’ha con Alessio. Desirè continua
a fare dei gestacci a Milena, che la guarda solamente e al gesto ti taglio la
gola, Milena alza le spalle come per dire non importa. La professoressa poi
dedica un po’ di tempo ai chiarimenti tra Desirè ed Alex. Tutto era iniziato
(pare!) dal fatto che Alex aveva scritto su un foglio Desirè mignotta ed aveva
dato la colpa poi a Simone. Lei poi aveva scoperto la verità sull’autore della
scritta e, in più, (pare) che lui le parlava male alle spalle. Simone offre una
caramella a Desirè e, stranamente, contemporaneamente Alex ne offre una ad
Lina. Alex cerca di discolparsi dicendo che non era vero che lui parlava male
di lei, ma tutti lo confermano e Aldo aggiunge: - Ma se l’altro giorno hai detto
ad Lina di lasciar perdere Desirè che la portava sulla cattiva strada e che non
potranno mai essere amiche! - e lui si difende dicendo che l’aveva detto la
professoressa. L’insegnante spiega ad Alex che forse lui ha travisato le sue
parole e che lei aveva cercato di far capire ad Lina che non doveva cercare di
imitare Desirè in tutto quello che faceva (infatti Lina l’imitava nel vestire fino
a poco tempo fa, sempre in tuta e con i capelli legati; forse aveva cambiato il
suo look dopo il suggerimento della professoressa e non per piacere di Alex,
come avevo supposto prima) e che era giusto che lei si facesse conoscere per
come era realmente, senza voler per forza somigliare a qualcun altro. Aldo
s’intromette e dice: - Se qua c’è qualcuno che vuole imitare Desirè, quello sei
tu! -. La professoressa vuole che Alex ripeta alla classe cosa si erano detti a
ricreazione, ma Alex non se lo ricorda. Allora lei lo ridice a tutti. Gli aveva
255
detto che l’altro giorno, quando lui era stato assente, erano stati molto bene,
erano riusciti a fare una bella lezione senza liti e discussioni. Gli dice che il
suo modo di fare (definito da radio serva) non faceva che creare tensioni,
discussioni, motivi di vendette varie. Doveva cercare di trattenersi dal fare
inutili chiacchiere, che non facevano altro che mettere gli uni contro gli altri
(...) Mentre mi avvio per andare a mangiare il mio pranzo, faccio un pezzo di
strada con la professoressa, che mi racconta altri fatti con Alex protagonista.
La stessa mattina aveva telefonato a casa di Sandra [un’altra sua compagna]
dicendo alla mamma che non era andata a scuola. Poiché aveva già fatto sega
altre volte, la mamma preoccupata aveva telefonato a scuola e si era fatta
passare la sorella che frequenta la III per avere la conferma. Qualche giorno
fa invece aveva scritto, insieme ad altri suoi compagni, un avviso sul
quaderno di Milena, facendo anche la firma falsa della professoressa,
chiedendo alla nonna di Milena (lei ha solo la nonna e il nonno) di telefonare
al numero scritto poiché la professoressa le doveva parlare, ed avevano
scritto il numero del cellulare della mamma di Lina. La nonna aveva
chiamato, scambiando la mamma di Lina per l’insegnante, creando
fraintendimenti, disturbo e arrabbiature inutili. La professoressa mi dice che
Alex è un ragazzo molto immaturo, uno con cui non si riesce a parlare perché
tira su un muro e non ascolta, a differenza di Desirè che, malgrado i suoi
problemi e il suo carattere, non si rifiuta di comunicare. Lei crede che sia
anche il numero dei ragazzi della classe a creare tanti problemi, sono troppo
pochi: - Non c’è scelta - mi dice - guarda Desirè! Quello lo esclude perché è
rom, quello perché è straniero ed ecco che la scelta è sempre più ridotta.
Quando con colui che hai scelto non vai d’accordo, non hai nessun altro con
cui legare -. Mi racconta che Alex chiacchiera tanto, cerca di formare coppie,
256
mette in giro voci, fa la spia e tutto questo non fa che creare problemi ed ecco
che se tocchi Desirè lei cerca la vendetta, la liti e spesso arriva alle mani”167.
Durante la pausa pranzo dello stesso giorno “la professoressa di francese
non vuole che [i ragazzi] stiano fuori; infatti mancano le insegnanti e lei non li
può guardare perché deve stare a mensa. Poco dopo sento la voce di Desirè
che grida: - Ma c’è Federica, ce guarda lei! -. Escono di nuovo e Desirè mi
urla: - Ce guardi? -, faccio cenno alla professoressa che ci avrei pensato io e,
dopo aver chiuso il libro che, nell’attesa stavo leggendo, mi avvicino a loro
che stavano giocando a pallavolo e Desirè mi dice: - Giochi pure te?! -. Al
mio assenso, abbiamo cominciato a giocare tra bestemmie, parolacce, cazzotti
e schiaffi, quasi interamente dette e dati da Desirè. Giocavano tutti insieme e
solo Carlos era escluso. Era come se tutti avessero fatto pace. Ho chiesto poi
ad Alex: - Hai fatto pace con Desirè? - e lui: - Si! - ; allora faccio la stessa
domanda a Desirè: - Hai fatto pace con Alex? - e lei: - No! -, ma sembrava
proprio il contrario. Desirè è così: litiga, discute, ma poi dimentica presto e
presto perdona”168. Non contenta della giornata “Desirè litiga con Aldo e gli
dice molte cose piuttosto cattive; lo insulta e insulta sua madre. Aldo non ha
più la mamma, ma questo non impedisce a Desirè di utilizzare anche questo
per ferire il compagno. Aldo si mette in un banco a parte, lontano da Desirè; è
offeso”169.
Ai dispetti sono soggetti tutti, soprattutto i più deboli, e quindi arriva anche
il turno di Milena. Un giorno infatti “Desirè cancella parte di una nota sul
registro e precisamente cancella il suo nome; poi comincia ad infastidire
Milena, le dà degli schiaffetti sulle guance e lei si mette a piangere; poi arriva
Alex che complica le cose cominciando a prenderla in giro per come piange e
a farle il verso. Desirè allora la guarda ed esclama: - Mamma mia quanto sei
167
Op. cit. nota 61.
Ibidem.
169
Ibidem.
168
257
brutta! -”170. Ma, allo stesso tempo, quando uno meno se lo aspetta, si
dimostrano nei suoi confronti dolci e affettuosi. “Desirè racconta alla
professoressa che Milena, quando vuole, parla. Tutti i compagni confermano;
quando gli dicono di ripetere una parola, lei, che quasi sempre dice cose
incomprensibili, la ripete. Oggi sono tutti piuttosto dolci con Milena. Alex le
ha aggiustato la penna e Simone le siede accanto (...) La professoressa
[durante la pausa pranzo] mi racconta che tutti i ragazzi, dopo che io me ne
sono andata, hanno fatto parlare Milena. Le dicevano di ripetere una parola e
quando lei lo faceva, come premio, le davano un bacetto”171.
Una mattina “arriva Federico, il ragazzo rom che ora dovrebbe frequentare
la scuola per adulti, avendo compiuto 16 anni. Lui cattura completamente
l’attenzione di molti ragazzi (Desirè, Valeria, Alex, Aldo, Simone), che sono
tutti molto interessati al tipo di vita che fa lui, non solo perché è più grande,
ma soprattutto perché è un rom. Desirè gli chiede se la bambina, che ha visto
l’altro giorno in braccio alla sua ragazza, è sua e lui risponde di no; poi gli
domanda quanti anni ha e se va all’asilo; lui le dice che ha 2 anni e che non
va all’asilo. Federico è molto gentile con loro e risponde alle domande; fa
battute, li prende in giro e loro si divertono. Poi apre un pacchetto di gomme,
ne dà una a Desirè, una a Valeria, gliene chiede una pure Alex e lui gli dice
sorridendo: - Non sono un tabacchi! - , ma gliela dà”172. Così, come Desirè è
incuriosita dalla vita di Federico e, in certo senso, anche affascinata dalla sua
maggiore età e dal suo aspetto (infatti è un bel ragazzo), allo stesso tempo i
pregiudizi nel quale è cresciuta ne hanno influenzato i giudizi. Un giorno
infatti “entra l’insegnante di sostegno con un ragazzo rom per vedere se i rom
della I sono presenti. Desirè allora chiede a questo ragazzo se conosce
Alessio, lui risponde di si e poi lei aggiunge: - Conosci Alessio.., l’ho visto
170
Op. cit. nota 91.
Op. cit. nota 8.
172
Op. cit. nota 91.
171
258
sull’autobus, era proprio bono!! Ma me posso mette co ‘no zingaro che
puzza? So’ belli, ma poi se rovinano! -. Alex le risponde: - Non conta la
razza, se te piace te piace! - e lei: - Se è negro non me ce metto, me fa
schifo! -”173. Questo atteggiamento di Desirè non deve, secondo me, essere
scambiato per razzismo vero e proprio. Si tratta più che altro di un riflesso
dell’educazione familiare. Lei ripete senz’altro ciò che sente dire a casa, ma
rimane condizionata dai suoi stereotipi quando deve giudicare un rom solo
perché tale. Non conta più che sia un bel ragazzo o meno in quel caso, perché
poi comunque.. se rovina. Da una parte nutre un certo interesse per Alessio
ma, dall’altra, il suo pregiudizio si rifiuta di prendere in considerazione questa
eventualità.
Spesso Lina, pur di essere accettata da Desirè e da Alex (i due leader della
classe, o meglio Desirè, leader, e Alex, suo braccio destro), si sottomette; è
estremamente servizievole, anche se tutto quello che fa non viene
riconosciuto. “Durante [una] (...) lezione di tecnica, Desirè va alla lavagna
per scrivere il riassunto di quello che avevano letto poco prima. Lina si offre
di scriverglielo sul quaderno e Desirè le dice: - Ma de che, non provà a toccà
er quaderno mio! -, poi dopo un po’ ci ripensa e le dice: - Va be’ Li’ scrivi te!
-. Lina prende il quadernone di Desirè e comincia a scrivere, lasciando da
parte il suo. Dopo un po’ arriva anche Alex (non so dove era andato) e la
professoressa gli dice: - Dai Alex sbrigati a copiare! -. Lui non ha molta
voglia, mi guarda e mi dice: - Scrivimelo te! L’altra volta ad Lina gliel’hai
scritto te! - ed io: - Ma Lina era alla lavagna; tu ora non hai nulla da fare, ti
manca solo la voglia di scrivere! -. Così, rassegnato, scrive due righe, ma poi
visto che Desirè ha finito di scrivere alla lavagna, la raggiunge al suo banco
per fare un test di Cioè. La professoressa chiede: - Alex hai scritto!? - e lui:
- No, professore’ non me va!! - e Lina allora gli chiede: - Vuoi che te lo
173
Op. cit. nota 8.
259
scrivo io? - e lui, tutto contento, le porta il quadernone. Lina però, per
scrivere sui quadernoni dei compagni, non scrive sul suo e la professoressa le
chiede poi lei come farà. Alex allora interviene dicendo che poi glielo presta
lui il quadernone per copiarselo a casa”174.
LA SECONDA MEDIA
Altra classe difficile, molto vivace e spesse volte indisciplinata è la
seconda media. I ragazzi che la compongono non riescono mai a stare attenti
e fermi per più di cinque minuti. Questa è più numerosa della prima, anche
qui ci sono delle pecore nere: Emilio, Giorgio e Manuele, tre uragani, che
insieme diventano inarrestabili; non c’è modo per controllarli, l’unica che ha
una certa influenza su di loro è l’insegnante di lettere. Due sono i ragazzi
stranieri: Lory, albanese e Carlo, romeno.
Entrare in quella classe, soprattutto nelle ore di musica, vuol dire
immergersi nel caos. Solo durante le ore di lettere e in quelle di matematica e
di lingua (così mi hanno raccontato) si può assistere ad una lezione
abbastanza decente; nelle altre ore è difficile controllarli e mantenere un
minimo di disciplina. Loro infatti pensano che solo quelle tre materie contano,
mentre le altre non hanno importanza; non si tratta solo di quanto polso abbia
un’insegnante piuttosto di un’altra, ma quale materia insegna. Sicuramente
conta molto anche il numero delle ore trascorse con loro, ed ecco che allora
l’insegnante di lettere, che li vede quasi tutti i giorni della settimana, assume
un ruolo di primo piano ed instaura un rapporto speciale rispetto alle altre. La
loro vivacità non cessa mai, ma l’insegnante di lettere ha escogitato un modo
per tenerli tranquilli il più possibile; se stanno attenti e seguono la lezione, lei
per premio li fa scendere in giardino durante le ricreazioni (ce ne sono due:
174
Op. cit. nota 84.
260
una alle 9:50, l’altra alle 11:50) e la pausa pranzo (essendo una classe, come
la prima, a tempo prolungato, mangiano a scuola ed il lunedì, mercoledì e
venerdì hanno il pomeriggio; così dopo pranzo, prima di riprendere le attività,
hanno un po' di tempo libero tra le 14:00 e le 14:30) e permette ai maschi di
giocare a pallone (loro unico interesse). Ogni volta che in classe si agitano,
basta che lei minacci di non farli scendere e subito si calmano. Per questa
classe, in maggioranza composta da ragazzi, il gioco del calcio è
determinante; come lo è la Roma; sono tutti romanisti. Quando devono
scendere, prima di tutto corrono in bagno a cambiare chi le scarpe (per
indossare quelle adatte) e chi il completino della Roma; non può mancare il
pallone, rigorosamente da calcio, riposto e conservato premurosamente
nell’armadio della classe, chiuso a chiave con un lucchetto.
Durante le lezioni di musica soprattutto, spesso mi ritrovo davanti a dei
ragazzi irriconoscibili rispetto a come si comportano con l’insegnante di
lettere. La loro idea è che educazione musicale come materia non conti
niente, mentre lettere è importante. Al mio arrivo in classe vengo presentata,
per ovvi motivi, non come un’antropologa interessata all’osservazione
dell’integrazione dei bambini rumeni in classe, ma come una laureanda in
lettere che frequenta le lezioni per imparare ad insegnare; come una futura
insegnante che cerca di apprendere il mestiere. I ragazzi, oltre alle solite
domande sul perchè della mia scelta, mi chiedono anche che materia mi
piacerebbe insegnare ed io, studiando lettere, rispondo “lettere”; qualcuno di
loro molto spontaneamente esclama: - E certo, guadagnano de più (gli
insegnanti di lettere)!! -. L’insegnante di musica interviene spiegandogli che
gli stipendi degli insegnanti non dipendono dalla materia che insegnano, ma
dall’anzianità e cioè da quanto tempo insegnano; non esiste una materia più
importante per la quale ci sia uno stipendio più alto ed una meno importante
con uno stipendio minore. La loro convinzione di una certa gerarchia tra le
261
materie è così radicata che pensavano, e secondo me pensano ancora, che chi
insegna materie più importanti (lettere, matematica, ecc.) guadagna di più di
chi insegna materie meno (ed. tecnica, ed. musicale, ed, fisica, ecc.).
Diverse sono le situazioni in cui, nell’ora di musica, l’insegnante fa mille
tentativi per attirare la loro attenzione ed avere un po’ di silenzio, ma mille
sono i fallimenti; non c’è modo di fargli seguire una lezione, se non lo
vogliono. Non servono grida, intimidazioni o note. Un giorno (Diario di
classe, 06.03.2002), durante un’ora di musica, basata sull’ascolto di alcune
ballate di Franco Trincale, noto cantastorie siciliano, “Emilio, Giorgio e
Manuele giocano con le figurine dei calciatori e non sono affatto interessati
alla lezione, la professoressa li riprende spesso, ma senza risultati”175; cerca
di levargliele anche con la forza ed alcune gliele toglie, ma loro con le
rimanenti continuano imperterriti a giocare, a ridere e scherzare. “Manuele si
alza senza chiedere il permesso e, mentre la professoressa tenta di spiegare,
passeggia per la classe”176, mentre “Giorgio [ormai annoiato dalle figurine]
comincia ad infastidire Carlo [che era attento alla lezione] e lo prende per il
collo. Quando la professoressa li separa, Giorgio le dice: - Vòi le botte!? -;
contemporaneamente Emilio si alza dal suo banco, va allo stereo, lo accende
e alza il volume”177. Nella minaccia di Giorgio non manca cattiveria ed
aggressività. “La professoressa, stanca di riprenderli continuamente e non
riuscendo a fare lezione per le continue interruzioni, mette la nota ad entrambi
e Giorgio la insulta dicendo: - Perché non te tagli i capelli, che in testa ciai un
casco de banane?! -. L’insegnante disperata esce dalla classe per andare a
chiamare la vicepreside. Giorgio esclama: - Sta a arriva’ la piccoletta! -, - Ha
chiamato la nana! -. Ripetono più volte una frase che, a sentir loro, viene
spesso detta dalla vicepreside: - Mi guardi in faccia quando parlo! - La
175
Op. cit. nota 77.
Ibidem.
177
Ibidem.
176
262
professoressa rientra in classe da sola; non so se sia veramente andata dalla
vicepreside o se lo ha detto solo per spaventarli, comunque non c’è riuscita e
tutti continuano con il loro menefreghismo. Quando riprende di nuovo
Giorgio, lui, molto scocciato, esclama: - Ma che vòi? - e le fa il verso”178.
Non conoscono cosa sia il rispetto per l’insegnante, né quello per una persona
più grande; non temono note, sospensioni. “L’insegnante fa sentire la ballata
Il picconatore di Franco Trincale ed Emilio, Giorgio e Manuele reclamano,
perché non la vogliono ascoltare. Chiacchierano tra loro, non interessandosi a
quello che la professoressa dice e spiega e Giorgio passeggia nella classe.
Distrae Carlo, gli si siede accanto e gli parla, gli chiede di raccontargli delle
barzellette e lui non si fa pregare (...) Al suono della campanella la classe si
alza ed esce dall’aula, incurante del fatto che la professoressa non ha dato il
consenso. (II Ricreazione 11:50-12:00) Emilio discute con due ragazze della
sua classe, si scambiano pizze, l’insegnante interviene per separarli e lui, per
la rabbia, sposta un banco e prende a calci lo zaino di una delle ragazze. La
professoressa gli dice: - Guarda che chiamo tua madre! - e lui: - E
chiamala! -”179. Si muovono per la classe come se non ci fossero delle regole
da seguire; ignorano il ruolo del professore e non temono neanche i genitori
quando la professoressa minaccia di chiamarli.
Non mancano, nelle discussioni generate in classe, insulti ed offese rivolte
al ragazzo romeno e alla ragazza albanese; in particolare un giorno (Diario di
classe, 06.03.2002), a Carlo, qualcuno rompe il portachiavi; “Manuele, che
viene accusato da Carlo del danno, si difende offendendolo: - A’ cosetto
buffo!.. A spastico!.. Sto romeno de merda! -”180. Loro hanno un qualcosa in
più, qualcosa che alcuni dei compagni considerano la caratteristica ideale per
attaccarli e insultarli. Carlo, con il tempo, ha imparato a difendersi e, se
178
Ibidem.
Ibidem.
180
Ibidem.
179
263
infastidito, insulta anche lui. Così accade il giorno (Diario di classe,
20.03.2002) in cui si trova a discutere con Manuele. Lui, infatti, lo chiama
frocio e Carlo risponde con un altro bell’insulto: maiale. Diversi sono gli
aggettivi, oltre che quelli già menzionati, utilizzati a scopo d’insulto: porco,
castoro, sorcio, scucchiona, ma il più quotato è cinghiale. Ognuno di questi
viene utilizzato in base alla persona al quale è diretto e alla sua
conformazione fisica; per esempio i denti incisivi pronunciati di Carlo, nelle
discussioni, gli valgono l’appellativo di sorcio o castoro. Spesso, quando
qualche insegnante li riprende per il cattivo comportamento, diverse sono le
risposte che i ragazzi, soprattutto i più vivaci, danno: dall’insulto alle smorfie.
Anche in seconda, come in tutte le classi e in tutti i gruppi esistenti, c’è il
debole o meglio, nel nostro caso, un ragazzo remissivo, tranquillo, che
proprio per il suo carattere poco esuberante è stato preso di mira più volte da
coloro che di esuberanza ne hanno da vendere. Un giorno (Diario di classe,
03.04.2002), durante l’ora di musica, mentre l’insegnante cercava di far
intonare alla classe la ballata da loro composta La barba di Bin Laden si
verifica un fatto significativo. “In quest’ora la professoressa ha cercato di far
cantare i ragazzi (...), dico ha provato perché è stata continuamente disturbata
da Emilio, Manuele e Giorgio che tutto hanno fatto tranne cantare. Giorgio
ogni tanto cantava e devo dire che cantava molto bene; era intonato e già
aveva fatto propria l’intonazione giusta delle strofe, ma purtroppo la sua
voglia e la sua attenzione venivano meno ogni cinque minuti. Emilano e
Manuele invece non avevano alcuna intenzione di cantare e l’unica idea che
hanno avuto è stata quella di prendere in giro e picchiare Alessio, un ragazzo
molto timido e remissivo che non reagisce, ma subisce solamente.
L’insegnante ha cercato di separarli e di catturare la loro attenzione in tutti i
modi, ma sembravano davvero ingovernabili”181.
181
Op. cit. nota 62.
264
Anche in un’altra occasione (Diario di classe, 10.04.2002) ho riscontrato
l’irascibilità di questa classe. Nel diario, infatti, scrivo: “Oggi è stata una
giornata terribile; la professoressa [di musica] ha tentato di fare lezione, di
calmarli, di parlarci in tutti i modi, ma loro non hanno voluto sentire ragioni,
non c’è stato modo di fargli cantare nemmeno un verso; quel po’ che hanno
cantato (meno della metà della classe ha cantato), poi, lo hanno cantato
cambiando le parole, introducendo qua e là il mio soprannome (...) Ad un
certo punto mi sono fermata ad osservarli: due si picchiavano, uno ballava sul
tavolo, uno evidenziava qualcosa su un foglio, uno guardava fuori della
finestra, una ragazza sedeva dando le spalle alla professoressa e giocava,
rideva e scherzava con la sua compagna di banco e con quelle del banco di
dietro, un altro girava per l’aula, altri due si insultavano gridando. Davanti a
tutto questo l’insegnante non ha avuto altra scelta che mettere una nota a tutta
la classe (una nota, che tra le tante, non credo che abbia, per i ragazzi, molta
importanza). In attesa della professoressa d’italiano, due ragazze prendono il
registro e cominciano a contare le varie note: alcuni ragazzi hanno più note
che presenze!!”182. A volte dire che sono irrequieti è veramente un
eufemismo.
“Anch’io, come quasi tutte le insegnanti, ho un soprannome datomi da
Giorgio e da Emilio per le mie orecchie. Sono infatti soprannominata:
RECCHIA”183. Ciò mi ha da una parte lusingato poiché voleva dire che in
qualche modo li avevo colpiti e che, a modo loro, si stavano affezionando a
me. Giorgio, quello che più degli altri ci teneva a chiamarmi RECCHIA,
aveva, attraverso il soprannome, costruito una sorta di ponte tra me e lui; lui
che fino ad allora non aveva dato alcuna importanza alla mia presenza, ma
anzi trovava sempre il modo di sfidarmi con sguardi ed atteggiamenti. Solo
182
183
Op. cit. nota 63.
Ibidem.
265
ora, dopo quattro mesi di conoscenza, cominciava a creare un qualche
rapporto, anche se strano e completamente gestito da lui. Una mattina (Diario
di classe, 08.05.2002) “come entro in classe Giorgio (...) mi grida: - Ecco
Recchia, è tornata. Ciao Recchia!! -. Io sorridendo gli dico che non mi
offendo se mi chiama Recchia e aggiungo: - Di una persona, l’importante è
che se ne parli, bene o male che sia!! -. Lui mi guarda e mi sorride; credo che
questa frase gli sia piaciuta e subito mi corre vicino e mi parla all’orecchio,
come se fossi stata un suo compagno. Mi dice di dire ad alta voce “a panza”,
gli chiedo il perché e lui: - Tu dillo!! -, lo accontento e tutti ridono”184. Quel
bisbigliarmi all’orecchio aveva cancellato la distanza che c’era sempre stata
tra noi; lui si era avvicinato e scherzava con me come con una sua amica. Non
solo io, ma tutte le insegnanti, come dicevo, hanno un soprannome: c’è chi lo
deve alle orecchie, chi ai capelli (la professoressa di musica per i suoi capelli
ricci viene chiamata FUSILLO), chi al naso (la professoressa di lettere,
secondo i ragazzi, ha un naso che la fà assomigliare all’indiano che fa la
pubblicità del condizionatore Delonghi, e così viene chiamata PINGUINO
DELONGHI). Un giorno (Diario di classe, 03.04.2002) ho assistito ad uno
strano saluto dell’insegnante di lettere alla classe, un saluto voluto ed
acclamato da tutti: - Professore’ facce il saluto! - e lei con il braccio alzato
aveva risposto: - Tutti vogliono il Pinguino Delonghi!! - Durante il campo
scuola aveva scoperto il suo soprannome e, a gran richiesta, ogni tanto li
accontentava mimando il gesto e ripetendo la battuta della pubblicità. Un
giorno, “all’improvviso, Giorgio dice: - Professore’ ce fai il saluto? -, ma per
lei quella è una giornata dura (prima di venire a scuola era andata a prendere
la mamma che era stata dimessa, quella stessa mattina, dall’ospedale) e gli
risponde che non ne ha voglia. Allora Giorgio le dice: - Avevi detto che lo
184
Op. cit. nota 66.
266
facevi pure quanno eri di cattivo umore!! -”185. Lei allora acconsente e l’ilarità
della classe, seguita al suo gesto, le strappa un sorriso; forse l’unico della
giornata. Sono irrequieti, ma anche, a volte, molto sensibili e dolci. Giorgio
aveva capito che la professoressa era giù, stanca, provata e con la sua
richiesta era riuscito a rasserenarla.
La loro professoressa di lettere è una persona speciale, “ha un ottimo
rapporto con loro e non è un’insegnante comune; cerca la loro complicità e,
per calmarli quando litigano, spesso abbraccia il più rissoso, lo allontana
tenendolo abbracciato, tanto che alla fine a lui gli viene da ridere”186. Non
cerca di fare la solita lezione tradizionale, è flessibile nel programma e cerca
di essere il più possibile sensibile alle esigenze dei ragazzi, alle loro richieste,
alle loro curiosità. È l’unica che li porta a giocare a pallone nel cortile durante
gli intervalli; è riuscita, tramite un accordo (se si comportano bene si scende,
altrimenti si resta in classe), ad ottenere attenzione e disciplina anche in
situazioni dove altri insegnanti rinunciano o cercano la soluzione nella
tradizionale, ma in questo caso inutile ed inefficace, nota. Una mattina, per
esempio, li trova particolarmente irrequieti e “(...) capendo che non è
possibile neanche fare lezione, gli fa attaccare dei cartelloni che avevano fatto
i giorni precedenti e poi li porta in cortile a giocare. Mentre attaccano i
cartelloni, (...) chiede alla classe se stanno lavorando alla ricerca di geografia;
poi cerca di parlare con Carlo, che però è distratto da Giorgio e da Emilio che
gli cantano una strana canzone accompagnandola con dei gesti. Lei, invece di
sgridarli o di mettergli una nota (come avrebbe fatto qualche altro
insegnante), gli chiede con interesse: - Che canzone è, mi fate capire anche a
me? -”187. Non si pone mai ad un gradino superiore, perché lei è l’insegnante,
ma al contrario cerca di conoscere i gusti, gli interessi, cerca di essere una
185
Op. cit. nota 63.
Ibidem.
187
Ibidem.
186
267
di loro. Molto spesso i ragazzi le danno del “tu” e lei gli ricorda: - Lo sapete
che io non mi offendo, ma ricordatevi che alle insegnanti e alle persone più
grandi si deve dare del “lei” -. Il loro rapporto è aperto ed i ragazzi non si
sentono minacciati, tanto da sentirsi a volte anche in confidenza; una
confidenza che però non dimentica e non trascura il rispetto che tutti hanno
per lei come insegnante. Secondo me, però, quest’ultimo è superato dal
rispetto che essi hanno per lei come persona.
L’ultimo giorno della mia ricerca, prima di andare via, saluto solo alcuni
dei ragazzi, quelli che incontro per i corridoi. Sono convinta che mi
mancheranno, come mancherò io a loro, perché in un certo modo credo che
un rapporto seppur strano si sia creato. Ciò è dimostrato da uno brevissimo
scambio tra me e Giorgio. “(...) Mi chiama come al solito: - A Recchia!! -, ed
io: - Ciao ci vediamo l’anno prossimo! - e lui: - Perché non vieni più!? -, - No,
ho finito, ma l’anno prossimo torno a trovarvi - e lui per concludere in
bellezza mi risponde: - Va be’ sti cazzi! Ciao -”188. La notizia lo aveva
distratto dal gioco che stava facendo con i suoi compagni, lo aveva
interessato, forse anche dispiaciuto, visti i suoi occhi e il suo sguardo ma poi,
riportata l’attenzione sui suoi compagni, aveva cambiato subito atteggiamento
tornando il Giorgio di sempre, scontroso e menefreghista.
Una didattica all’insegna dell’interculturalità
Non è sempre facile fare dell’intercultura in classe e non è sempre facile
cercare sempre strade nuove per interessare i ragazzi ad argomenti diversi dai
soliti previsti dai programmi tradizionali. Però bisogna provarci anche se a
volte i ragazzi non sembrano apprezzare gli sforzi degli insegnanti.
188
Op. cit. nota 84.
268
L’insegnante di lettere della seconda è un esempio di come sia possibile
rendere delle lezioni tradizionali, in particolare quella di narrativa e quella di
geografia, interculturali e di come si possa sfruttare al meglio la ricchezza di
avere in classe dei ragazzi immigrati. È molto sensibile ai temi
dell’integrazione e dell’intercultura. Chiama spesso Carlo per farlo parlare
della Romania e di come viveva lì, cercando di creare dell’interesse da parte
dei suoi compagni che spesso gli fanno delle domande. Cerca di fare lo stesso
con Lory, ma ha più difficoltà perché lei si vergogna di essere albanese, non
parla mai del suo paese e se qualcuno le fa notare la sua provenienza, si
offende.
Invece di studiare i vari stati dell’Europa sul libro, trova un modo diverso e
più interessante. “Vuole assegnare ad ognuno di loro uno o più Stati, loro
dovranno preparare una ricerca su la parte assegnatagli e poi dovranno
spiegarla alla classe. La ricerca consiste anche nel cercare informazioni sulla
cultura, sulle tradizioni, sulla cucina, sulla musica, e portare delle foto del
paese in questione”189. Vuole stimolarli a cercare di conoscere del paese da
lei assegnatole non solo le solite notizie che si trovano nei vari libri ed
enciclopedie. Anche l’assegnazione dei vari stati crea non poche discussioni.
A Carlo assegna la Romania, con la Moldavia e la Bulgaria, a Lory l’Albania,
oltre alla Macedonia e alla Grecia. Interviene anche Giorgio che,
confondendosi, afferma: “- Ma la Romania non fa parte dell’Europa! - e la
professoressa gli spiega che lui si confonde con l’Unione Europea, (...) la
Romania non fa parte ancora dell’Unione Europea (forse ne farà parte nel
2004), ma fa parte dell’Europa geografica”190.
“Carlo si gira [verso Lory] e le fa un “gestaccio”. La professoressa lo
riprende e gli chiede perché lo ha fatto e lui: - Perché lei non parla mai
189
190
Op. cit. nota 74.
Ibidem.
269
dell’Albania -, e lei gli risponde: - Non è vero, con me ne parla! -”191. Per
Carlo è ingiustificato il fatto che la sua compagna non riconosca e non accetti
di essere albanese, visto che per lui essere romeno è un vanto. Lory soffre del
fatto che molti italiani, e non solo loro, associno l’essere albanese al
“delinquente”, al “ladro”, allo “sfruttatore della prostituzione” e così rifiuta
le sue origini.
L’insegnante chiede in particolare a Carlo ed a Lory, vista la loro origine e
dicendo, non solo a loro, ma a tutta la classe, di farsi aiutare dai genitori per
curare questa ricerca alla quale lei tiene molto. Gli altri, non potendo contare
sull’aiuto dei genitori, avrebbero avuto il suo aiuto. “La professoressa poi (...)
parla con Carlo della sua ricerca sulla Romania e gli dice di farsi spedire dal
nonno cartoline e altro materiale; lui scocciato esclama: - Perché io devo fare
più degli altri? -. Lei risponde che non è così e che per tutti vale la regola di
portare del materiale visto che non è sufficiente una semplice ricerca presa da
qualche libro e scritta al computer; lei vuole immagini, usanze, cibi e tutto
quello che si riesce a trovare. In più sottolinea la fortuna dei suoi compagni
per avere la possibilità, grazie alla sua presenza, di conoscere molto della
Romania. Presenta Carlo a se stesso come una risorsa per la classe; lui, lì per
lì, non ne è molto convinto, ma poi accetta e dice che visto che verso la fine
di aprile dovrebbe venire lo zio ad accompagnare il fratellino, gli chiederà di
portargli delle cartoline delle sue parti”192.
Ben riuscita risulta la ricerca di Carlo193 basata principalmente sui suoi
ricordi. Anche Lory “(...) ha fatto un ottimo lavoro anche se per l’Albania non
si è fatta aiutare affatto dal padre. La professoressa infatti le aveva detto di
lavorare con il papà e di farsi raccontare i costumi, le tradizioni, i piatti tipici
albanesi. Lory ha risposto che non aveva avuto tempo visto che il padre
191
Ibidem.
Op. cit. nota 63.
193
Cfr. paragrafo “Chi è Carlo?”.
192
270
lavora dalle 6 della mattina alle 10 della sera, ma l’insegnante non ha creduto
che non avesse trovato neanche qualche ora la domenica da dedicare alla
figlia. Era più facile che lei non glielo avesse nemmeno chiesto, poiché Lory
[come ho più volte ripetuto] si vergogna di essere albanese e non ha mai
avuto tanta voglia di parlarne, soprattutto davanti alla classe. Comunque,
rispetto all’inizio dell’anno in cui l’ho vista offendersi ogni volta che si
alludeva alla sua origine, va già meglio adesso. Il fatto di dover parlare
dell’Albania per un compito scolastico la può aver aiutata, almeno in parte, ad
accettare di essere albanese e a far conoscere ai suoi compagni aspetti
dell’Albania che dalle cronache televisive non vengono mai fuori”194.
“Sembra contenta di parlare del suo paese; quando poi la professoressa le
chiede delle principali città, lei le elenca in italiano e anche se l’insegnante le
chiede di pronunciarle in albanese, lei si rifiuta. La professoressa le racconta
di essere stata in Albania e che qualche parola la conosce, ma che ne
vorrebbe imparare delle altre”195. Cerca in questo modo di spronarla e
stimolarla a mostrarsi albanese non solo per sentito dire, ma a parlare
albanese. Dal momento che il suo tentativo fallisce tenta per un’altra strada,
un po’ diversa e divertente. Cerca di coinvolgere tutta la classe mettendo al
centro dell’attenzione la sua lingua, mostrandogliela non come un qualcosa
che la discrimina, ma come un qualcosa che la rende protagonista in
positivo di una lezione di geografia. Così “chiede alla classe: - Per esempio
chi sa cosa vuol dire in italiano la parola lule? -. Tutti cominciano a gridare
qualsiasi parole a caso e Lory è molto divertita; fino a quando Giorgio, sotto
suggerimento di Lory, dice: - Fiore! - e la professoressa gli dice: - È giusto,
ma come hai fatto!! - e lui sorridendo le risponde: - Così.. a istinto -”196.
L’albanese diventa un quiz, divertente e lei, Lory, resta l’unica, oltre alla
194
Op. cit. nota 84.
Ibidem.
196
Ibidem.
195
271
professoressa, a conoscere il significato della parola sconosciuta. La
ragazzina si ritrova davanti tutta la sua classe scatenata, interessata e
divertita, che cerca di risolvere il quiz; anche Giorgio partecipa.
Durante la sua relazione, stimolata dall’insegnante, spesso prende coraggio
e parla di sé e della sua Albania; “Lory racconta che quando va in Albania
tutti gli anni a trovare i nonni, ritrova i suoi vecchi amici, gioca con loro e
spesso loro gli chiedono di parlare in italiano; poi aggiunge che molti di loro
lo conoscono attraverso la tv”197. Ma basta poco perché lei si richiuda nel
suo riccio, infatti quando “Carlo poi le chiede come si chiama suo nonno, lei
non vuole dirlo. Emilio chiede a Carlo: - Tu’ nonno come se chiama? - e lui: Nellu -; in molti sorridono, e si continua la lezione”198. Non si può non notare
come lei fatichi ancora ad esprimersi nella sua lingua d’origine.
La strana lezione di geografia continua e termina con l’ascolto di alcune
musiche degli Stati trattati. La professoressa scarica da Internet, man mano
che si va avanti con le ricerche alcune canzoni, alcune musiche di tutti i paesi
studiati ed i ragazzi le ascoltano, a volte criticandole per la loro diversità con i
ritmi ai quali sono abituati, altre volte cercando delle somiglianze con alcune
canzoni a loro note. Quindi anche stavolta “la professoressa accende lo
stereo, mette delle musiche albanesi e Lory reclama: - A professore’ ma
queste so de mille anni fa! - e lei: - Lory, vi ho detto che vi faccio ascoltare
musica tradizionale! -”199. Ma poi ballano ugualmente e si lasciano andare al
ritmo, con il permesso anzi la sollecitazione dell’insegnante che ogni volta li
invita a ballare. É chiaro che attraverso il ballo cerchi di metterli in relazione
più stretta tra loro.
Chi più di tutti non riesce a stare fermo è Carlo che “si alza e fa vedere
[alla classe] un passo di una danza romena, che consiste in alcuni passi fatti
197
Ibidem.
Ibidem.
199
Ibidem.
198
272
incrociando i piedi finché, ad un certo momento, tenendo il ritmo, si sbattono
i piedi con più forza. Sono tutti molto divertiti”200 e tentano di ripetere quello
che fà lui.
Ancor di più si evidenza il piacere per il ballo e per il ritmo di Carlo
quando ad essere ascoltate sono note di musica romena. La Romania è
sempre stata famosa per la sua tradizione musicale e per le sue danze e Carlo
è l’esempio di come anche i giovani abbiano interiorizzato tale caratteristica
culturale.
Durante una lezione di geografia infatti l’insegnante “va a prendere uno
stereo e dice alla classe che ora ascolteranno un cd. È un cd di un gruppo Rap
rumeno molto famoso, gli “L.A.” (pron. “elle ei”), scaricato da Internet”201.
“Alberto esclama: - Ma oggi non c’è geografia? - e la professoressa gli
risponde: - Anche questa è geografia? -”202. Ascoltare un cd per loro non è
fare una lezione di geografia, ma come vedremo a volte, per fare della
geografia, non serve sempre e solamente un libro ed una cartina, anzi spesso
sono insufficienti. “Come inizia la musica, Carlo esclama: - Noo.. questa è
romena! -, ma si vede che è molto contento che la si ascolti. La professoressa
chiede a Carlo di scrivere alla lavagna le parole, almeno le prime; lui scrive le
prime due (...) (OCHI TAI) e aggiunge: - Professore’ no, ho dimenticato
come si scrive in romeno! -. La professoressa lo incoraggia e lui, ascoltando il
cd, scrive i primi due versi:
OCHI TAI MI-AM MINTESC / CAT DE MULT NE IUBEAM”203.
Ecco che, come era stato per Lory, ora al centro dell’attenzione della
classe, l’argomento della lezione è il romeno, o meglio una canzone romena
moderna, che a parte la lingua lontana dall’italiano più per la pronuncia che
200
Op. cit. nota 66.
Op. cit. nota 14.
202
Op. cit. nota 77.
203
Op. cit. nota 14.
201
273
per l’origine, esprime pensieri e temi universali come in questo caso l’amore.
Carlo sicuramente vive il momento del protagonismo della sua lingua in un
modo più esplicitamente gioioso di quanto non abbia fatto Lory. Lì per lì
sembra aver dimenticato come si scrive, ma basta un piccolo incoraggiamento
perché tutto riaffiori alla memoria. “Mentre si ascolta la musica, la
professoressa invita i ragazzi a ballare. Subito, spiritosamente, Emilio invita
Carlo a ballare come una coppia (tipo tango); un altro ragazzo balla con le
mani come un egiziano. Carlo balla, ma ad un certo punto si ferma e si
vergogna; poi riprende. È orgoglioso di conoscere quelle canzoni e balla, ma
poi si interrompe, si avvicina e ci dice che la canzone diceva <io canto per le
donne>, poi si riallontana ballando”204. I ragazzi cominciano ad apprezzare il
ritmo; è una musica che anche se con parole strane, si avvicina al loro genere,
alla musica dei loro tempi. Essendo un Rap, una musica moderna, il loro
approccio è diverso rispetto a quello che avrebbero avuto per una musica
tradizionale di qualsiasi provenienza. È ballabile, la sentono loro, anche se è
romena.
“La professoressa vuole aumentare i bassi e con il tasto sound mode
troviamo alcune alternative: semplice, rock, pop, classic: scegliamo rock.
Dopo un po’ Carlo mi si avvicina e mi dice: - Rock non va bene! -, lo
togliamo e lui afferma: - Ora è meglio -”205. La musica è del suo paese. Lui la
sente talmente propria, che vuole decidere in quale modo è meglio ascoltarla.
“Gli chiedo di tradurmi quello che ha scritto, ma fatica a trovare le parole
italiane adatte (...) [poi], la traduzione risulta: GLI OCCHI TUOI MI
DICONO / CHE TI VOGLIO MOLTO BENE. Carlo dice: - Professore’,
sono belle queste canzoni! - e aggiunge di averne tante altre di questo gruppo
e che adesso ne hanno fatta un’altra intitolata “Seno rita”. Manda avanti
204
205
Ibidem.
Ibidem.
274
continuamente il cd, è impaziente, le vuole ascoltare tutte”206. Poi la
professoressa assegna a Carlo un compito speciale “dovrà scrivere tutta la
canzone e poi dovrà anche tradurla. Il suo obiettivo è che, alla fine dell’anno,
tutta la classe la conosca e la sappia cantare. Carlo pronuncia i primi due
versi e tutti tentiamo dopo di lui, compresa la professoressa. Lui ci corregge
attentamente e comunque le prove non vanno tanto male”207. I ragazzi sono
molto incuriositi e si divertono a ripetere parole per loro incomprensibili e
strane, senza accorgersene imparano a conoscere di più non solo la musica,
il romeno, ma soprattutto il loro compagno, che diventa anche ai loro occhi
fonte di altre conoscenze a volte sottovalutate.
“Carlo balla benissimo, è molto sciolto. Esegue un passo strano e la
professoressa gli chiede di insegnarlo alla classe.
un passo di danza
popolare romena e lui, senza farsi pregare più di tanto, lo fa rivedere. Quasi
tutti, compresa la professoressa, ci provano (qualcuno dei ragazzi più
terribile non perde l’occasione di prendere in giro l’insegnante e di ridere alle
sue spalle). È molto bello vederli tutti insieme al centro dell’aula a ballare. Un
compagno chiede a Carlo dove ha imparato e lui gli risponde: - Mica sono
andato a scuola, ho visto gli altri ballare! -. Poi si avvicina a me e alla
professoressa e ci fa vedere come invece ballano le donne romene (muove
molto di più i fianchi ora, poi sorride, si vergogna e smette). La lezione
finisce tra passi di danza, salti, capriole ecc. (come al solito esagerano
sempre!)”208. Tutti ballano, tutti imitano i passi strani di Carlo e si divertono
nel farlo; oltre alla musica, imparano anche come sono alcuni passi di danza
romena. Anche l’insegnante partecipa a questa lezione, ma non è lei ad
insegnare stavolta, sono state invertite le parti; è Carlo che insegna, è Carlo
che conosce cose che neanche l’insegnante sa. È bastata l’idea di far
206
Ibidem.
Ibidem.
208
Ibidem.
207
275
ascoltare il cd, poi tutto è venuto da sé: la curiosità della classe per il
significato delle parole, l’entusiasmo di Carlo, che si è sentito, parlando di
Romania, chiamato a raccontare, mimare movimenti e ritmi forse nascosti
nella sua memoria, che qualche nota ha risvegliato. Ma la strana lezione non
termina qui, viene ripresa qualche tempo dopo, una volta pronto il testo della
canzone209 e la sua parziale traduzione. I ragazzi non scrivono tutto il testo,
ma solo una parte per motivi di tempo e trascrivono solo la traduzione del
ritornello. “Mentre Carlo scrive alla lavagna le parole della canzone, i suoi
compagni non fanno altro che chiedergli: - Che c’è scritto lì? E lì? -. Per loro
quell’insieme di lettere e parole non hanno alcun significato e perciò si fanno
venire mille dubbi su ciò che è scritto sulla lavagna: - Ma quella e una “e” o
una “i”, ecc.? -. Lory esclama: - Meno male che l’albanese io non lo so’
scrive’! -”210. L’intento dell’insegnante non è solo cercare di fare una lezione
un po’ diversa; forse solo così i suoi ragazzi potranno capire com’è difficile
imparare a scrivere una lingua che non è quella del proprio paese; se si
fermeranno a riflettere, potranno forse anche immaginare quali furono e quali
sono state e sono, anche se molto diminuite, grazie alla buona volontà, le
difficoltà che Carlo ha dovuto affrontare e affronta tutt’oggi per scrivere in
italiano. Porre, anche se per un attimo, tutti coloro che hanno spesso preso in
giro Carlo per la sua pronuncia, per i suoi errori ad essere loro stessi in
difficoltà forse li farà riflettere e li renderà consapevoli dei grandi sforzi svolti
dal loro compagno.
“La professoressa poi chiede a Carlo di tradurre almeno il ritornello per far
capire ai suoi compagni cosa canteranno, e lui tra - mm... come si dice - e non mi ricordo - riesce nel suo compito:
209
210
Vedi Appendice 1, “Ochi Tai”.
Op. cit. nota 77.
276
R.
GLI OCCHI TUOI MI RICORDANO QUANTO CI AMAVAMO
E COME DEI BAMBINI ABBRACCIATI CI STRINGIAMO
MI RICORDO QUANDO MI DICEVI CHE MI AMAVI TANTO
MA NON CAPISCO ADESSO PERCH
MI LASCI
VIVO CIRCONDATO SOLTANTO DA UOMINI CATTIVI
E TUTTO QUELLO CHE MI RICORDO SONO GLI OCCHI TUOI.
L’insegnante fa ascoltare la canzone e tutti provano a cantarla con
difficoltà sia a pronunciare le parole sia a seguire la musica che risulta essere
molto veloce [essendo un rap]. Per cercare di migliorare la pronuncia, ognuno
legge i primi due versi e Carlo lo corregge. Emilio allora esclama:
- Professore’ vòi che così stavolta sia Carlo a ridere? -, facendo riferimento al
fatto che spesso quando Carlo legge qualcosa in classe sbagliando degli
accenti, tutti ridono di lui e secondo Emilio questa volta sarebbe stato Carlo a
ridere dei loro errori”211. Proprio questo è un altro scopo di questa lezione,
cioè, in qualche modo, capovolgere le parti e far sentire tutta la classe
straniera. “Emilio legge il primo verso e Carlo lo corregge due volte, la
seconda lettura è corretta. Poi dopo di lui fanno lo stesso anche gli altri”212.
Dopo qualche tempo (Diario di classe, 03.04.2002) “si prova a cantare [di
nuovo] la canzone romena Ochi tai. Carlo legge un verso alla volta e tutti lo
ripetono e quando lui vede che qualcuno ha difficoltà, con molta naturalezza,
dice: - Basta che lo leggi com’è scritto! -. Imparando un po’ a leggere in
romeno, la classe si è accorta che, dal momento che la “a” di Carlo ha lo
stesso accento di alcune parole della canzone e si pronuncia come una “e”
chiusa, il suo nome ha un suono diverso da quello che di solito loro usano per
chiamarlo e provano a correggersi, a chiamarlo pronunciando in modo
211
212
Ibidem.
Ibidem.
277
corretto il suo nome”213. Nel provare a cantare o quantomeno a leggere il
testo della canzone i ragazzi scoprono suoni nuovi, li scoprono nel
pronunciare soprattutto alcune parole; tutti si impegnano, gli piace parlare in
una lingua così diversa dalla loro. Dopo qualche tempo (Diario di classe,
15.05.2002), poco prima della fine della lezione, la professoressa ha messo di
nuovo il cd con la canzone e sorprendentemente tutti hanno canticchiato, a
memoria, il ritornello, la parte un po’ meno complicata del testo da
pronunciare, visto che la musica che l’accompagna non è velocissima,
diversamente da quella delle strofe.
Nello stesso giorno l’insegnante comunica alla classe che ha intenzione di
fare lo stesso lavoro anche con una canzone in albanese “subito Lory
esclama: - No!! - e la professoressa le dice che sua madre le ha promesso che
un giorno sarebbe andata a scuola ad insegnare alla classe una canzone del
suo paese e che se Lory non voleva, era libera di non venire a scuola quel
giorno”214. Anche qui è quindi possibile evidenziare il diverso comportamento
di un ragazzo come Carlo orgoglioso delle sue origini, che cerca, tra i suoi
ricordi, le parole e la traduzione di una canzone del suo paese per insegnarla
ai compagni, e quello di una ragazza come Lory, che rifiuta l’idea di dover
anche solo assistere ad una lezione fatta da sua madre che ha come
argomento l’Albania.
Non solo per le lezioni di geografia la professoressa cerca delle novità che
possano un po’ variare ed arricchire a livello interculturale i suoi ragazzi, ma
fa lo stesso anche per quel che riguarda la narrativa. Un giorno “mi fa vedere
cosa gli sta facendo leggere al posto della solita narrativa: si intitola Il
razzismo raccontato a mia figlia. Per educare al rispetto dell’altro. È un
213
214
Op. cit. nota 62.
Ibidem.
278
libro scritto da Tahar Ben Jelloun215, un marocchino trasferitosi in Francia. Mi
dice che la lettura però procede lentamente perché sono tante le tematiche su
cui fermarsi a riflettere”216. Questo piccolo libricino (in tutto 62 pagine) “è
stato scritto ricostruendo un dialogo nel quale lo scrittore ha avuto come
interlocutrici tre ragazzine: sua figlia Merièm e due sue amiche, delle quali
Merièm è portavoce. Scopo del colloquio è quello di chiarire nel modo più
semplice e lineare la profonda ingiustizia del razzismo e la necessità di
vigilare perché non si possa affermare. Alla domanda di una ragazzina di
dieci anni: - Dimmi, babbo, cos’è il razzismo? - non si può rispondere
ricapitolando ponderosi resoconti storici, richiamando temi teorici complessi
e concettose distinzioni morali, ma soltanto riferendosi a questioni ed esempi
tratti dal quotidiano: la casa, la scuola, la televisione. Ne viene fuori un
discorso serrato che potrebbe avere luogo in qualsiasi famiglia [o classe] in
un pomeriggio [o in una mattina] qualsiasi. Ma leggerlo può lasciare qualcosa
di indelebile nella memoria dei ragazzi e, per tutti i genitori [e gli insegnanti],
può costituire una traccia utile perché possano, a loro volta, affrontare
l’argomento come si deve”217.
Di temi ne abbiamo incontrati e trattati tanti durante l’anno, alcuni hanno
riscontrato più interesse presso i ragazzi per la loro riscontrabilità nella vita di
tutti i giorni, altri un po’ più astratti, anche se spiegati, gli sono rimasti meno
chiari e meno impressi. “Nel libro si parla [pagg. 17-18] dell’incontro di due
famiglie: una famiglia marocchina invita a casa propria un’altra francese e si
ritrovano entrambe a mangiare del cuscus”218. Alla parola cuscus nasce
l’interesse della classe su cosa fosse, sapevano che era qualcosa che si
215
Tahar Ben Jelloun è nato a Fès (Marocco) nel 1944. Vive a Parigi ed è padre di quattro figli, dei quali Merièm è la
più grande. Poeta, romanziere e giornalista, è noto in Italia per i suoi numerosi romanzi, pubblicati soprattutto da
Bompiani e da Enaudi, e per i suoi acuti e attenti articoli di osservazione internazionale che appaiono frequentemente
su “La Repubblica”.
216
Op. cit. nota 14.
217
E. Volterrani, in T. B. Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Mi, Bompiani, 1998.
218
Op. cit. nota 74.
279
mangia, ma ignoravano in cosa consistesse questo piatto, come si preparasse
e la sua provenienza. La professoressa, felice di tali curiosità, ne ha
approfittato per fare una lezione di culinaria, visto che il cuscus era uno dei
suoi piatti preferiti e quello che in cucina le riusciva meglio. Dopo “ciò, parte
una lunga conversazione [o meglio, discussione] su varie cucine (cinese,
giapponese, inglese, francese, tedesca, ecc.) e i ragazzi espongono le loro
preferenze in fatto di piatti stranieri”219. Per molti di loro quello che non è
cucina italiana fa schifo. Al suono di tale affermazione la professoressa cerca
di fargli capire che nessun tipo di cucina fa schifo, può non piacere, a
secondo dei gusti e dell’abitudine a mangiare piatti con sapori diversi, ma
cerca anche di evidenziare che proprio l’assaporare altri piatti ti permette di
conoscerne il sapore e il gusto, e magari di apprezzarne anche la differenza.
Non si può dire a priori: - Che schifo! -. Prima di dare un opinione bisogna
conoscere, bisogna provare, assaggiare e chissà che invece quello strano
piatto non diventi uno dei nostri preferiti!!
Sempre riprendendo il brano letto in cui il padre dice alla figlia: “- È
l’ignoranza ad alimentare la paura. Io non so chi sia quello straniero, e
nemmeno lui sa chi sono io. Guarda per esempio i nostri vicini di casa. Per
molto tempo si sono mostrati diffidenti verso di noi, fino al giorno in cui li
abbiamo invitati a mangiare il cuscus. È stato allora che si sono resi conto che
vivevamo come loro. Ai loro occhi abbiamo smesso di apparire pericolosi,
anche se siamo originari di un paese diverso, il Marocco. Invitandoli abbiamo
tolto di mezzo la loro differenza. Ci siamo parlati, ci siamo conosciuti un po’
meglio. Abbiamo riso insieme. E ciò vuole dire che eravamo a nostro agio, tra
noi, mentre prima, quando ci incontravamo per le scale, a mala pena ci
dicevamo buongiorno -. La figlia: - Dunque, per lottare contro il razzismo,
bisogna invitarsi gli uni con gli altri!. E lui: - È una buona idea. Imparare a
219
Ibidem.
280
conoscersi, a parlarsi, a ridere insieme, cercare di condividere i momenti
piacevoli, ma anche le pene, fare vedere che spesso si hanno le stesse
preoccupazioni, gli stessi problemi, è questo che potrebbe fare regredire il
razzismo”220. “Alla fine della lettura la conclusione alla quale si arriva è che
“per poter non aver paura, bisogna conoscersi”, “invitarci l’uno con
l’altro””221 ed anche assaggiare delle diverse e nuove pietanze.
Nel testo si arriva ad una parte un po’ complicata da far comprendere ai
ragazzi e cioè “la differenza dell’agire secondo natura, quindi seguendo
l’istinto, senza riflessione, e dell’agire secondo cultura, quindi seguendo il
ragionamento, il raziocinio, quello che deriva dall’educazione, dalla scuola,
ecc. Emilio fatica a capire questa distinzione e la professoressa prova a
spiegarglielo con un esempio. Gli dice di provare ad immaginare di essere
sull’autobus, quando ad un certo punto salgono degli zingari, poi gli
domanda: - Tu cosa fai? - e lui: - Me scanzo, perché puzzano! -. Poi lo fa
riflettere e gli fa capire che, in quel momento, ha agito d’istinto e che invece,
se si riflette sul fatto che in un campo con trenta o quaranta container spesso
c’è solo una fontana per lavarsi, li si giustifica, quindi si ragiona e ci si può
comportare diversamente (secondo cultura stavolta). L’insegnante gli dice che
spesso ci si scansa per paura che possano rubare qualcosa, dal momento che
molti rubano. E lui: - Federico, no però!? -. Federico era un loro compagno
rom, che da qualche giorno non andava più a scuola, perché avendo 16 anni
aveva cominciato a frequentare la scuola per adulti per prendere il diploma di
terza media. La professoressa gli ricorda quando l’anno scorso facevano i
giochi interculturali: erano tutti al centro della classe, lei faceva
un’affermazione, chi era d’accordo con quanto detto si metteva da una parte,
chi non lo era dall’altra, dando in entrambi i casi le relative motivazioni. Alla
220
221
T. B. Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Mi, Bompiani, 1998, pagg. 17-18.
Op. cit. nota 43.
281
frase: tutti gli zingari rubano, i ragazzi avevano preso ognuno la propria
posizione e Federico si era schierato dalla parte di chi era contrario a questa
definizione, dicendo che non tutti erano così (...) Gli ricorda delle loro
preoccupazioni quando avevano saputo che in classe sarebbe arrivato un
ragazzo rom ed Emilio anche oggi conferma dicendo: - Io ho avuto paura
quando è venuto - e la professoressa: - Perché non lo conoscevi -. Tutta la
classe è affezionata a Federico, lo stimano e raccontano diversi episodi in cui
Federico li ha aiutati (es. una volta Emilio era rimasto senza benzina nel
motorino e Federico lo aveva aiutato a spingerlo fino ad un benzinaio,
ecc.)”222.
Proseguendo nella nostra lettura “(...) siamo alla pag. 18 del libro di T. B.
Jelloun e precisamente dove l’autore parla di Montaigne e della sua teoria
dell’imparare ad osservare le differenze. L’insegnante di lettere fa notare ai
ragazzi come anche il linguaggio dei gesti sia diverso da un paese all’altro e
racconta che in Giappone, per esempio, è sconveniente soffiarsi il naso. Lei
ha molti amici giapponesi e questi non si soffiano il naso, ma tirano su”223.
L’idea che in qualche paese sia normale ciò che qui è sconveniente fare, li
interessa e diverte; subito, la cosa stimola la loro curiosità. Chiedono alla
professoressa come si era comportata lei in Giappone e lei gli risponde che
quando ne aveva sentito il bisogno si era soffiata il naso, e loro: - E i
giapponesi che hanno detto? -, e lei: - Niente, hanno rispettato degli usi
diversi dai loro, come ho fatto io in altre occasioni -.
Su diversi argomenti ci si ferma e si riflette ed anche su diverse parole,
delle quali i ragazzi non conoscono il significato, o che magari li hanno colpiti
perché già note da articoli di giornale (vedi più avanti: clonazione). “Ad
esempio la parola pulsione (andare verso), il controllare le pulsioni e da
222
223
Op. cit. nota 22.
Op. cit. nota 77.
282
questa alla parola repulsione (respingere qualcuno o qualcosa)”224. Al termine
della lettura, prevista per la mattinata, “la professoressa gli chiede cosa li ha
interessati di più e loro rispondono il concetto di ghetto”225. Sul testo si legge:
“La parola ghetto è il nome di un’isoletta di fronte a Venezia, in Italia. Nel
1516, gli ebrei di Venezia furono riuniti su quell’isola, separati dalle altre
comunità. Il ghetto è una forma di prigione. In ogni caso è una
discriminazione”226. “Alberto [uno dei ragazzi della classe] conclude dicendo:
- Quindi il ghetto è una prigione dove venivano radunati gli ebrei? -, la
professoressa gli spiega che il termine ghetto nasce dall’isola veneta di cui
parla anche l’autore (...), ma che poi il concetto si è esteso fino a significare
ogni luogo di separazione. Gli fa l’esempio che se nella loro scuola ci fosse
una classe formata da solo ragazzi rom, quella sarebbe una classe ghetto e
Emilio commenta: - Saremmo razzisti! -”227.
Altro argomento che riscuote interesse e successo è quello della
clonazione; nel testo infatti, ad un certo punto, “si parla dell’ereditarietà
genetica, del fatto che ognuno di noi è unico, della clonazione e della pecora
Dolly. Su questo la professoressa si ferma e cerca di farli riflettere chiedendo
loro se è giusto che la scienza faccia queste scoperte e se poi sia giusto che le
applichi sull’uomo. Carlo risponde: - È bene che hanno capito come si fa, ma
non lo devono fare! -; una sua compagna afferma: - Non frenare l’opera della
scienza, ma non devono usare gli uomini come cavie! -. L’insegnante poi
porta l’esempio della bomba atomica, per fargli capire che non sempre chi è
l’autore delle scoperte poi è colui che le utilizza. Infatti, nel caso
dell’atomica, furono gli scienziati ad inventarla, ma fu il governo americano a
224
Ibidem.
Ibidem.
226
Op. cit. nota 220, pag. 21.
227
Op. cit. nota 77.
225
283
decidere di utilizzarla e di lanciarla su Hiroshima. Cerca di fargli capire che la
situazione è più difficile e complicata di quanto sembri”228.
Gli argomenti da trattare diventano sempre più complicati e “sono: gli
estremismi religiosi, il fanatismo, il razzismo. Una ragazza chiede alla
professoressa: - Sharon è razzista? - e lei cerca di spiegargli con parole
semplici che tipo di politica fa Sharon, accennando anche qualcosa della
questione palestinese. Manuele le chiede: - Arafat, chi è? - e lei gli risponde
che è il capo dei palestinesi. Allora lui esclama: - È un infame!! -. Lei gli
domanda perché pensa questo e lui le risponde: - Perché se mette le bombe
addosso!! -, lei gli spiega che non è lui che spinge i terroristi ad essere tali e
che, se uno è palestinese, non è vero che è anche un terrorista. Gli ricorda
un discorso fatto a settembre sui musulmani e sul fatto che se Bin Laden
aveva fatto quello che aveva fatto, ciò non significava che tutti i musulmani la
pensavano come lui. Ma Manuele, non convinto, esclama: - Vabbè! È
comunque un infame, perché è la gente sua che lo fa!! -”229.
“Si continua a leggere e si parla delle crociate. Ad un certo punto un’altra
ragazza interrompe la lettura e chiede all professoressa: - Bin Laden è
razzista? - e lei le risponde: - Tu che dici!? È un fanatico che usa la religione
per i suoi fini politici -. Un’altra ragazza esclama: - Anche Milosevich è
razzista!! -. Poi [vista l’esigenza] si passa a spiegare il profilo del fanatico ed
Emilio esclama: - Allora i professori so’ tutti fanatici! Le professoresse so’
fanatiche perché dicono che c’hanno sempre ragione!! -. L’insegnante di
lettere interviene dicendo che lei non ha mai detto di avere sempre ragione;
che lei insegna e poi valuta, ma non ha mai detto di possedere la verità
assoluta, come fanno i fanatici. Poi domanda: - Chi mi fa un esempio di
fanatico? - e Manuele esclama: - Sgarbi! -. Tutti concordano con questo
228
229
Op. cit. nota 62.
Op. cit. nota 63.
284
esempio. Poi la professoressa aggiunge: - Non è che uno non possa avere le
proprie opinioni, ma bisogna sempre mettersi in discussione, a confronto con
gli altri; in qualcosa si può cambiare, crescere, fare un percorso in
avanti -”230.
L’ultimo degli argomenti, trattati dal testo, sul quale ci si ferma a riflettere
è “dei bambini e del razzismo e come i bambini che nascono non razzisti,
possano diventarlo per il cattivo insegnamento. Durante la lettura sono attenti,
sembrano interessati, anche se alla fine, quando la professoressa gli chiede se
ci sono dubbi e se c’è qualcuno che vuol dire qualcosa, nessuno parla”231.
Non solo l’insegnante di lettere cerca alternative alla lezione tradizionale e
tematiche utili per avvicinarsi ad un tipo di educazione interculturale, ma
anche l’insegnante di educazione musicale. Un giorno infatti “la professoressa
fa ascoltare una canzone di A. Branduardi, Piccola canzone dei contrari, una
canzone che l’autore dedica ad una donna che ama. Carlo tiene il tempo con
la testa, non riesce a stare fermo, batte anche le mani. Poi l’insegnante fa
individuare ai ragazzi gli opposti che vengono nominati nella canzone:
bianco/nero, alto/basso, pace/guerra, sano/malato, vino/pane, verde/rosso,
vero/bugiardo, fermo/animato, tutto/nulla, donna/fanciulla, bello/brutto,
uovo/gallina, lepre/lumaca. (...). [Poi] li fa (...) ragionare su quello che per
loro potrebbe essere il significato della canzone, ne viene fuori che l’amore
tra due persone riesce a far tutto, ad equilibrare i contrasti, a trovare la
giusta via di mezzo”232.
Non si può dire quale sia il modo giusto per fare intercultura. Secondo me
non esiste un solo modo per fare intercultura. Ogni insegnante, soprattutto
coloro che hanno in classe ragazzi stranieri, devono vivere e crescere con
loro; dedicare molta attenzione a tutte le dinamiche che si creano tra i ragazzi,
230
Ibidem.
Op. cit. nota 84.
232
Op. cit. nota 74.
231
285
agevolare gli scambi, i confronti, il dialogo. Devono cercare il più possibile
di essere duttili nella didattica e molto fantasiosi.
IL LABORATORIO DEL CANTASTORIE233
Il laboratorio nasce come collaborazione tra la scuola media statale “A.
G.” e la Cattedra di Etnologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. È un
progetto che mira ad evitare di svolgere nella classi a tempo prolungato le
tradizionali lezioni anche durante il pomeriggio, per cercare di far lavorare ed
interessare i ragazzi con attività alternative, che siano allo stesso tempo
stimolanti e, soprattutto, divertenti. Le classi che hanno partecipato a questo
laboratorio sono tre: una prima, una seconda ed una terza media, a tempo
prolungato per l’appunto. Il laboratorio del cantastorie prevede la
composizione di una ballata seguendo la tecnica dei cantastorie siciliani. “I
testi poetici dei cantastorie sono quasi sempre frutto di un esame diretto e
premeditato di una data realtà storica e sociale. Sono storie in quanto narrano,
riportano, ipotizzano, progettano, quindi rappresentano fatti passati, presenti
o futuri, in cui un gruppo di uomini, di individui sociali, di personaggi, si
comportano gli uni verso gli altri, intenti come sono a condividere una rete più
o meno vasta di rapporti interpersonali, interessi comuni, conflitti, coattività”234.
Il tema, che viene scelto dai ragazzi, è il pensiero di Bin Laden; certo non è
un argomento molto semplice, è facile cadere in ovvietà che potrebbero
banalizzarne il significato.
233
Per il testo integrale della ballate vedi Appendice 1.
M. Geraci, Le ragioni dei cantastorie. Poesia e realtà nella cultura popolare del Sud, Roma, Il Trovatore, 1996,
pagg.135-136.
234
286
Pensare che delle classi di scuola media possano da sole comporre una
ballata è certamente utopia; ad aiutarli infatti ci sono stati sia i loro insegnanti
che un vero e proprio cantastorie, Mauro Geraci.
“Come ogni forma di rappresentazione anche quella dei cantastorie ha a
che fare con la realtà di riferimenti empirici (...) I cantastorie alternano,
secondo le circostanze, l’osservazione diretta degli eventi così come si
manifestano nella vita sociale, al reperimento di dati informativi dalla stampa
(quotidiani, libri e riviste), dalle fonti radiotelevisive o da informatori
appositamente interpellati”235. I ragazzi che hanno partecipato al laboratorio,
frequentando le classi medie, come ho già sottolineato, ancora non sono
molto abituati a leggere i giornali, ed in particolare il quotidiano, e così quale
migliore fonte d’informazione possono utilizzare se non la televisione (e
quindi i numerosi telegiornali trasmessi), visto il grande numero di ore passato
a guardarla durante la giornata?
- La ballata - spiega l’insegnante - dev’essere scritta in ottonari -. Ogni
frase, quindi, deve poter essere divisa in otto sillabe, cioè musicalmente in
otto battute; e semplifica il concetto aiutandosi con il battito delle mani (batte
otto tempi con otto battiti di mani) .
La prima strofa sulla quale hanno lavorato i ragazzi è la seguente:
Bin Laden ha una barba
una barba molto lunga
tu la vedi tutta grigia
non si sa dove si trova
Presa come base dalla quale partire, tale strofa viene poi modificata e
corretta. Il primo elemento, che si analizza e che più a colpito i ragazzi di Bin
Laden, è una caratteristica fisica: la barba. La barba viene spesso considerata
287
simbolo di saggezza e anche per i talebani lo è; però, viene fatto notare ai
ragazzi, che: - anche se possiedono questa barba saggia in realtà non sono
altro che terroristi criminali -. La strofa viene poi così modificata:
Bin Laden ha una barba
una barba lunga e grigia
sembra fatta di bambagia
......................................
Finché non si giunge alla stesura definitiva della I strofa che risulta così:
Bin Laden ha una barba
ma non è una barba saggia
l’Occidente non gli garba
la sua testa è assai malvagia
In uno dei primi incontri, per documentare al meglio il laboratorio, subentra
una novità: la mia telecamera. E riprendo tutto l’incontro. Ciò suscita
interesse, ilarità, curiosità; come muovo la telecamera tutti cercano di farsi
inquadrare e salutano, e non manca chi fa gesti poco carini. Sono molto
naturali, non si sentono a disagio e ben presto dimenticano di essere ripresi e
si comportano come sempre. Chiacchierano all’infinito, gridano, trascinano
sedie, tanto che l’audio della ripresa non è certo dei migliori.
L’insegnante di musica elenca le caratteristiche di Bin Laden, che nei primi
incontri avevano tracciato insieme, dividendole in fisiche e psicologiche. Le
prime sono: barba lunga e brizzolata (segno di appartenenza religiosa),
carnagione scura, rughe e abbigliamento da guerrigliero; le seconde sono:
egoista, fondamentalista, famoso (grazie soprattutto ai media e alle TV),
235
Ivi, pagg. 137-138.
288
miliardario (arricchitosi con diversi traffici). Poi spiega la rima alternata della
I strofa, per cercare di crearne delle altre per le strofe successive. Così si
inizia e si lavora alla creazione e alla correzione della II strofa:
Lui per questa guerra santa
delle torri non lascia traccia
e la gente tutta quanta
si domanda cosa faccia
La strofa definitiva risulta questa:
Lui ha fatto un attentato
con l’aiuto talebano
quattro aerei ha dirottato
sullo stato americano
Poi si prosegue per la III strofa:
A New York le due torri
da due aerei abbattute
corri! corri!
L’ultimo verso viene scartato poiché secondo molti non da’ molto l’idea
della tragedia, della strage verificatasi; tende, infatti, a scivolare nell’ironico e
ciò non deve succedere. Viene quindi sostituito con:
han causato tanti orrori
289
e ancora modificato e completato così:
han causato tanti morti
dopo che sono cadute
Quindi la III strofa in versione definitiva risulta essere la seguente:
A New York le due torri
da due aerei abbattute
han causato tanti morti
dopo che sono cadute.
“La ballata è (...) frutto di una preliminare, attenta osservazione della realtà
storica, che viene messa in poesia, in musica, oggettivata sulle scene
pittoriche dei cartelloni per essere portata di piazza in piazza al fine di
suscitare una riflessione pubblica, il più possibile estraniata e dialettica sui
fatti, sui valori morali, e per sollecitare le folle a essere promotrici di storia,
non solo passive fruitrici di versioni ormai ingiallite sulla carta patinata dei
libri di testo”236. Infatti al terzo incontro si è deciso di dividere le tre classi
che partecipano al laboratorio in due parti: una si sarebbe occupata di
cominciare a creare i disegni per il cartellone e gli altri avrebbero dovuto
continuare a creare nuove strofe, per completare la ballata. E così è stato
fatto. I ragazzi incaricati alla creazione dei bozzetti per il cartellone cercano,
ritagliano e conservano alcune delle foto apparse sui giornali da utilizzare
come esempi; altri invece si affidano alla fantasia e cercano di immaginare
come poter rappresentare in modo esemplificativo la guerra in Afghanistan,
Bin Laden e l’attentato alle Torri Gemelle. Si disegna, si gettano sulla carta
290
delle idee che poi saranno votate dai ragazzi ed i bozzetti237 che piaceranno di
più o che rappresenteranno di più, a parere loro, la realtà, verranno scelti e
riportati fedelmente sulla tela238. “Oltre a costituirne reclame, il cartellone di
tela, le cui dimensioni talvolta raggiungono i tre metri di altezza e due di
larghezza, è parte integrante dell’atto spettacolare del cantastorie. Esso
raffigura, suddivise per file orizzontali di quadri spesso numerati in
progressione, le scene principali della storia che così possono essere viste in
successione dal primo riquadro a sinistra all’ultimo in basso a destra.
Similmente a quelli del teatro dei pupi, e contrariamente alle pitture a olio dei
carri, i cartellonisti dei cantastorie utilizzano pittura a tempera o ad olio”239.
“Il cartellone risponde all’urgenza di oggettivare e trasmettere la storia
mediante un’intesa visiva”240. I disegni, e quindi il cartellone, vengono
eseguiti molto bene ed i colori accesi, quanto basta, danno risalto ai
particolari. Su uno sfondo giallo compaiono le sei scene che rappresentano,
leggendole nel giusto senso, la prima Bin Laden, come i ragazzi lo hanno
visto sui giornali per diverse settimane, anche se loro l’hanno rappresentato
con un’espressione un po’ troppo bonaria, cercando comunque di mettere in
risalto la sua crudeltà aggiungendo sul suo vestito delle macchie di sangue, il
sangue della povera gente morta negli attentati. La sua figura spicca su uno
sfondo azzurro che richiamerà negli altri riquadri l’azzurro del cielo. La
seconda scena rappresenta l’attentato dell’11 settembre e quindi la
distruzione, ad opera di due aerei di linea, delle Twin Towers; il colore che
risalta di più è il rosso, che in questo caso può avere una doppia
interpretazione, può essere identificato con il fuoco o in modo più simbolico
con il sangue e quindi con la morte. Le altre quattro scene si riferiscono per lo
236
M. Geraci, “I cantastorie siciliani e la realtà che diventa fiaba”, in V. Ongini (a cura di), Chi vuole fiabe, chi
vuole? Voci e narrazioni di qui e d’altrove, Campi Bisenzio (Fi), Idest, 2002, pagg.41-42.
237
Vedi Appendice 2 (Fotografie).
238
Ibidem.
239
Op. cit. nota 234, pag.189.
291
più alla guerra degli americani in Afghanistan: la terza rappresenta l’offensiva
per via aerea e cioè i bombardamenti aerei americani, la quarta l’offensiva via
terra e quindi i carri armati che sparano sulla gente afghana. La quinta
rappresenta Bin Laden ed i suoi nascosti nelle interminabili caverne scavate
nelle montagne e l’ultima conclude cercando di far capire come poi alla fine il
vero scopo di una guerra sia sempre l’interesse economico ed ecco quindi gli
americani che gettano dagli aerei dei dollari che vengono poi raccolti a terra
dai talebani che in cambio gli consegnano dei bidoni di petrolio.
L’aver diviso le classi in due parti ha reso il lavoro più proficuo soprattutto
perché i ragazzi erano molti di meno e si riusciva a controllarli meglio.
Giunti alla IV strofa si vuole ora sottolineare che, dopo il crollo delle torri,
Bin Laden si nasconde. Alcuni dei ragazzi obiettano dicendo che Bin Laden é
morto. La professoressa di lettere della prima gli spiega: - Forse è così, ma
che al momento della strage si è pensato per un bel po’ che lui si fosse
nascosto. E il dubbio sussiste ancora; non si sa dove sia o se sia vivo -.
L’insegnante sottolinea che, nel descrivere la vicenda, bisogna seguire
esattamente l’ordine cronologico degli avvenimenti. Un ragazzo sottolinea
che Bin Laden ha paura e propone: - Bin Laden è impaurito -. Il dott. Geraci
chiede perché è impaurito e sottolinea che ancora non era stato detto che cosa
si è pensato dopo la strage in America (cioè che il responsabile era Bin
Laden). E subito vengono proposti i primi due versi
In America si pensa
che Bin Laden sia stato
ora si doveva fare rima con -ensa; il verso suonava così:
240
Ivi, pag. 188.
292
non avendo più pazienza
e ora bisognava parlare della reazione americana e proposto.
i marines hanno mandato
ma, riflettendoci bene, il dott. Geraci gli fa notare che i marines vengono
mandati dopo parecchi giorni e che la prima offensiva è fatta con delle bombe
e quindi il verso viene trasformato così:
tante bombe hanno sganciato
quindi tutta la IV strofa risulta la seguente:
In America si pensa
che Bin Laden sia stato
non avendo più pazienza
tante bombe hanno sganciato
Nella V strofa bisogna sottolineare, invece, il luogo in cui gli americani
hanno deciso di sganciare le bombe e che in tale territorio, cioè l’Afghanistan,
vive tanta povera gente, donne e bambini innocenti; e che, per gli americani,
questa doveva essere una guerra intelligente, con bombe dirette solo sugli
obiettivi militari. La V strofa risulta essere questa:
In Afghanistan la gente
ora scappa disperata
non è proprio intelligente
293
questa guerra disgraziata.
Anche nell’incontro successivo, e tale pratica perdurerà fino alla fine degli
incontri, i ragazzi vengono separati in due gruppi ; alcuni hanno continuato i
disegni per il cartellone e gli altri hanno proseguito la composizione della
ballata.
La maggior parte delle volte precedenti nessuno dei ragazzi si ricorda di
portare il testo già composto, così ad ogni incontro dobbiamo perdere molto
tempo per riscriverlo e i ragazzi per copiarlo.
Uno dei ragazzi più grandi voleva dare già un titolo alla ballata, ma gli è
stato detto che il titolo è l’ultima cosa, come per i romanzi.
Nella nuova strofa da comporre bisogna descrivere il fatto che Bin Laden si
nasconde, dopo l’attentato, in un territorio, quello dell’Afghanistan, impervio,
pieno di montagne e di grotte. E quindi si poteva dire:
Or Bin Laden si è nascosto
nei rifugi sotterranei
in un posto molto losco
...................................
per problemi di rima (e cioè non si riesce a trovare una parola adatta, che
facesse rima con “sotterranei”), il secondo verso viene modificato e la strofa
completata in questo modo:
Or Bin Laden si è nascosto
nei rifugi sotto terra
in un posto molto losco
per fuggire a questa guerra
294
Ora andavano introdotti dei versi sul pensiero di Bin Laden in questa
situazione e il dott. Geraci cerca di far riflettere i ragazzi ponendogli alcune
domande: - Secondo voi è stato lui? Si è pentito? È possibile che una persona
sola, anche con un’organizzazione terroristica, riesca a fare tutto quello che
ha fatto lui? Come mai la grande America non è riuscita ad evitarlo? -. I
ragazzi sono tutti convinti della colpevolezza di Bin Laden e del fatto che non
si sia mai pentito della strage commessa, ma che anzi ha continuato a
fomentare il terrorismo; inoltre pensano che tutto ciò sia potuto accadere
perché - Lui c’ha aiutanti dappertutto, anche negli aeroporti americani -.
Per evitare di ripetere sempre Bin Laden, si cercano delle alternative; c’è
chi propone Il terrorista, ma è troppo lungo, chi confondendosi sul suo vero
nome dice Omar invece di Osama. Alla fine si decide per Osama e la nuova
strofa comincia così:
Ma Osama non si pente
del conflitto scatenato
.................................
.................................
La strofa deve continuare mettendo in evidenza che Bin Laden cerca di
reagire, ma l’America riesce comunque a scacciare il governo talebano.
Il dott. Geraci fa notare ai ragazzi che la ballata sta venendo troppo
filoamericana e uno di loro afferma: - Mejo, deve essere filoamericana.
L’America ha fatto benissimo -. La professoressa di lettere della seconda gli
fa notare che nell’attacco americano è morta anche tanta povera gente che
non aveva nessuna colpa e una ragazza esclama: - L’America, per farsi
giustizia, non doveva però uccidere altra gente! -. L’insegnante dice:
295
- Ragazzi, bisogna aver chiaro questo fatto, importantissimo, che Bin Laden
ha diretto un attentato terroristico e che l’America ha scatenato un conflitto
che ancora non si sa quanti paesi coinvolgerà; adesso stanno, per esempio,
andando in Somalia; c’è il Pakistan, c’è tutta l’area dell’Iran e dell’Iraq
coinvolta -.
Sempre per problemi di rima si è cambiato il secondo verso e si termina la
strofa così:
Ma Osama non si pente
del conflitto disumano
e l’America potente
scaccia ogni talebano.
Il dott. Geraci fa notare che nelle prossime strofe si dovrà parlare del fatto
che Bin Laden è sparito, che non si sa se lo cercano ancora, che TV e giornali
non ne parlano più. Dice: - Che fine ha fatto, è ancora nascosto, è morto?
Dopo tanti morti, tanta guerra, tante discussioni, scompare così dalla scena? -.
Sostiene che bisogna far notare che per ora è stata una guerra contro nessuno,
ma che i morti ci sono stati.
Anche se la ballata ancora non è finita si alternano alla composizione delle
strofe mancanti alcune prove di canto e di intonazione. La professoressa di
musica cerca di far capire alla classe che non si deve vergognare di cantare,
che devono stare dritti e che si devono concentrare. Per capire come cantare e
come usare il diaframma, gli insegna la respirazione e gli fa fare qualche
vocalizzo. Gli dice di tenere giù le spalle e di rimanere morbidi. Si esercitano
a prendere aria, riempiendo i polmoni e poi a soffiarla fuori. Poi l’insegnante
gli dice di fare lo stesso e nel momento di buttare fuori l’aria, questa volta,
devono intonare la sillaba: - Moo!..... -. Tutti, chi più e chi meno, provano; la
296
cosa li diverte. Più volte provano a cantare una strofa alla volta, prima la
canta il dott. Geraci, da solo, e poi loro. Il dott. Geraci fa inoltre ascoltare alla
classe la musica scelta per accompagnare la ballata, che è per lo più ripetitiva,
solo alla quarta e ottava strofa rallenta il suo ritmo per essere più incisiva. “Il
vero cantastorie è rozzo, dev’essere rozzo e semplice (...) La musica del
cantastorie a ogni strofa dev’essere sempre uguale (...) Articolazioni musicali
variabili e complicate oscurerebbero l’intelligibilità delle parole, finirebbero
per appesantire e assorbire completamente l’attenzione degli ascoltatori
sviandola dagli altri canali espressivi previsti dal progetto narrativo. Inoltre
finirebbe per sottolineare acusticamente alcune movenze e interpretazioni
della storia a discapito di altre, contravvenendo all’esigenza propria dei fatti e
dei contrasti morali in una forma oggettiva che li vuole in primo luogo
appiattiti nelle uniformi ricorrenze dei quadri metrici e musicali (...) I
cantastorie avvertono l’esigenza di attenersi a una cantilena (...) Insomma, per
essere funzionale al progetto narrativo la musica dei cantastorie deve
sostanzialmente ricalcare uno schema ritmico, armonico e melodico ripetuto,
di andamento uniforme”241.
I ragazzi, soprattutto all’inizio, hanno molta difficoltà a seguire la melodia,
ognuno va un po’ per conto suo. Poi si prova a farli cantare da soli, gli viene
dato solo l’attacco. Risultato: un vero disastro. Molti non cantano e si
vergognano. Si decide, allora, di farli cantare due per volta, per capire anche
che tipo di voci hanno e per seguirli meglio, spiegandogli in che tonalità
devono cantare, facendogli ripetere più volte la prima strofa. Cantare da soli li
stimola a tirar fuori la voce, gli fa superare le timidezze e quando si trovano,
di nuovo, a ricantare tutti insieme sono molto migliorati. Ora seguono il
tempo, sono più attenti, più presi dalla situazione, più divertiti, mentre prima,
241
Op. cit. nota 234, pagg. 180-181.
297
durante la composizione delle strofe, faticavano a mantenere l’attenzione e
spesso si annoiavano.
Un pomeriggio, poi, è stato dedicato, per decidere, tramite votazione, quali
disegni tra i vari bozzetti dovessero far parte del cartellone. I bozzetti scelti
da rappresentare, seguendo attentamente ciò che viene cantato nelle strofe
della ballata, sono i seguenti:
1) faccia di Bin Laden con la barba in evidenza;
2) attentato alle torri gemelle;
3) bombe che cadono sull’Afghanistan;
4) carri armati e la gente che scappa;
5) nascondigli sulle montagne in Afghanistan;
6) scene di guerra con pioggia di soldi che finiscono nelle borse dei
fabbricanti di armi e piramidi di barili di petrolio.
In più, si era pensato all’inizio di aggiungere una specie di slogan da
gridare, che però poi verrà soppresso. Lo slogan era :
Fermiamo questa guerra
che distruggerà la terra!”
Il laboratorio continua e negli incontri successivi si è soprattutto cercato di
sistemare il testo seguendo la musica composta dal dott. Geraci. La IV e VIII
strofa cambiano musica, è più lenta rispetto a quella che accompagna il resto
della ballata. Si cerca così di variarne il ritmo e renderla più movimentata. Per
motivi ritmici, viene modificato il primo verso della IV strofa che era
In America si pensa
e diventa
298
In America la gente pensa
ma viene cambiato ancora, in quanto non è la gente che prima fra tutti pensa
che il responsabile dell’attentato sia stato Bin Laden, bensì il governo, le
forze armate americane; così il verso si trasforma in
Ed al Pentagono ora si pensa
viene poi aggiunta una <e> al terzo verso e la strofa completa suona così
Ed al Pentagono ora si pensa
che Bin Laden sia stato
e non avendo più pazienza
tante bombe hanno sganciato
Si decide poi di modificare l’ottava strofa. Ne viene scritta una che possa
introdurre in qualche modo il pensiero di Trilussa sulla guerra che verrà
cantato nell’ultima strofa. Si cerca di evitare la voce esterna che avrebbe
dovuto dire <Così diceva Trilussa> e che non avrebbe fatto altro che
interrompere la musicalità della ballate. L’ottava strofa quindi appare così
Per questa storia calza a pennello
ciò che Trilussa scrisse in poesia
contro la guerra questo suo appello
lo diffondiamo con la melodia
299
Nella IX si cerca di evitare di creare una ballata troppo filoamericana,
come sottolineato poco fa, e si sottolinea invece come, malgrado il suo
operato, l’America continui ad avere l’approvazione della maggior parte delle
persone e dei paesi.
E nel mondo ancora oggi
per tante infamie e tanti guai
l’America ha gli elogi
di chi coscienza non ha mai
Nella X ed ultima ballata viene riportato, come annunciato nell’XIII strofa
il pensiero di Trilussa. E l’ultima fatica suona così
A noi sembra che la guerra
“sia un gran giro de quattrini
che prepara le risorse
pe li ladri delle borse”
Il dott. Geraci e la professoressa di musica la cantano tutta e la registrano
su una cassetta per poter avere una base sulla quale far lavorare la classe
magari durante le ore di musica mattutine.
Viene, finalmente, anche deciso il titolo della ballata e, a gran richiesta, si
decide per La barba di Bin Laden, e, inoltre, si decide come e quali disegni
esporre sul telone.
In un altro incontro la professoressa di musica scrive alla lavagna alcune
regole da rispettare per cercare di cantare al meglio:
1) non dovete urlare;
2) tenete il fiato sulle sillabe finali;
300
3) scandite bene le sillabe di ogni parola;
4) non accelerate.
Poi gli fa eseguire, come di consuetudine, prima di iniziare a cantare, la
respirazione. Cantano bene, riescono a tenere bene le finali, hanno imparato
un po’ ad usare il diaframma. Pensano a ciò che stanno facendo, sono
concentrati. Sembra che questa volta, molto più di altre, siano interessati a
cantare bene e ci riescono. Eseguono una strofa per volta, con pazienza, e la
ripetono più volte. Sono irriconoscibili. Spesso l’insegnante li interrompe, per
correggere qualche stonatura o sfumatura e loro l’ascoltano, non reclamano,
ma riprovano diligentemente. Sembrano altre classi. La seguono, sono attenti
ai suoi consigli, provano e riprovano e cantano molto bene. Tutti rimangono
sorpresi per il loro impegno, non solo io, ma tutte le insegnanti.
Durante uno degli incontri fotografo i bozzetti fatti dai ragazzi per il
cartellone, anche se alcuni non sono completi. Molti, infatti, devono ancora
essere colorati, ma credo che si passerà direttamente a riprodurli sulla tela,
visto che il tempo non è molto.
Con questa ballata parteciperanno alla manifestazione “Intermundia”, a
Piazza Vittorio. Questa è una manifestazione annuale, organizzata dal
Comune di Roma, e precisamente dall’Assessorato alle Politiche Educative,
XI Dipartimento e dal CIES (Centro Informazione e Educazione allo
Sviluppo), alla quale partecipano classi di tutte le scuole, dalle materne alle
superiori. Il suo scopo è ritrovarsi per una settimana all’anno, o più, tutti
riuniti in una piazza, su un palco a rappresentare, cantare, suonare; e cioè a
condividere con gli altri il risultato dei vari progetti intrapresi dalle scuole
romane per educare all’interculturalità.
Questo laboratorio non sempre ha interessato i ragazzi, o meglio il loro
interesse è andato altalenando. Sicuramente però hanno avuto la possibilità
attraverso un modo un po’ diverso, cioè attraverso la composizione di una
301
ballata, di riflettere su un episodio molto importante per la storia del mondo.
Hanno avuto la possibilità di porsi alcune domande, di rispondere ad alcune
di esse e non ad altre; di capire, o almeno provare a farlo, una situazione
politica molto complicata anche per i grandi. Si è cercato di trasformare
alcune ore pomeridiane in ore di lezione alternativa che riassume in sé: la
storia, la musica, il disegno, ma soprattutto la critica e la discussione.
302