Emanuele Banfi

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Emanuele Banfi < [email protected] > Morfologie a confronto: lessico cinese vs. lessico italiano. Questioni di tipologia morfologica e processi acquisizionali di lessico italiano da parte di sinofoni La lingua cinese viene tradizionalmente descritta quale esempio paradigmatico di lingua isolante, caratterizzata da morfologia strutturalmente povera, poco articolata e organizzata intorno a un (relativamente poco complesso) sistema sillabico. In realtà, se è vero che il (dia-­‐)sistema cinese, còlto nella sua fase moderna, esibisce scarsissimi fenomeni di morfologia flessiva, è pure vero che numerosi e importanti vi ricorrono, invece, fenomeni di morfologia derivazionale. Essi sono particolarmente evidenti nell’ambito della formazione di parole, là ove, comunque, i confini tra le sillabe appaiono ben definiti e là ove le singole sillabe risultano, tutte e singolarmente, ‘trasparenti’ dal punto di vista semantico. Ne consegue che, in forza di tali caratteristiche strutturali, la parola cinese appare veicolare un (tendenzialmente) alto livello di trasparenza semantica. Di contro, il sistema lessicale dell’italiano – proprio di una lingua, dal punto di vista morfologico, tipicamente flessivo-­‐fusiva – risulta caratterizzato da strutture i cui elementi essenziali sono catene di morfi (lessicali, derivazionali, flessivi) rinvianti ciascuno a precisi morfemi. Il riconoscimento di tali morfi/morfemi è poi generalmente di non facile processazione a causa dei fenomeni di sensibile erosione dei confini interni tra morfi, di una conseguente, vistosa allomorfia e di una, ugualmente conseguente, limitata trasparenza semantica. Rispetto al mono-­‐/bi-­‐sillabismo della tipica parola cinese ‘media’, l’italiano esibisce infatti parole formate da un potenzialmente alto numero di sillabe. Nella percezione di un sinofono la parola tipica italiana appare pertanto come una realtà fono-­‐acusticamente ‘pesante’, non facile da ‘processare’ anche per la presenza di nessi consonantici estranei al modello della organizzazione segmentale dei morfi cinesi: le parole italiane sono per i sinofoni spesso troppo ‘lunghe’; quindi, difficili da gestire ‘in sé’, tanto più in quanto governate da sequenze di accenti (primario, secondario; talvolta addirittura terziario) ugualmente estranei alle abitudini fonologiche dei sinofoni. Oltre a ciò, mentre il componente sillabico dell’italiano è notoriamente a-­‐semantico, per un sinofono, invece, ogni sillaba del continuum fonico-­‐acustico della sua L1 deve avere sempre un significato. In cinese ogni singola sillaba – coincidente con un preciso morfo – è infatti e in sé un’unità semantica pienamente realizzata e caratterizzata da un alto livello di trasparenza semantica. Tale proprietà è evidente non solo nelle parole cinesi monosillabiche ma, anche, nelle più frequenti parole bi-­‐sillabiche e nelle meno frequenti parole tri-­‐sillabiche nonché nei (per altro numericamente più limitati) derivati. Va da sé che l’abitudine – attivata meccanicamente da parte dei sinofoni in quanto da loro profondamente interiorizzata – di segmentare in sillabe il materiale fonico-­‐acustico collide con l’obbligo, nel caso della processazione di materiale lessicale dell’italiano, di procedere invece attraverso l’individuazione delle basi lessicali e il successivo riconoscimento di affissi: prefissi e suffissi (derivazionali e grammaticali), veicoli di informazioni indispensabili alla interpretazione del significato di una qualsiasi parola italiana. Tale operazione è resa poi ancora più complessa per il fatto che gli affissi presenti in una parola italiana, oltre che spesso poco salienti dal punto di vista fonico-­‐acustico, risultano caratterizzati anche da una serie di sequenze morfologiche dal significato astratto, frutto in diacronia di processi di grammaticalizzazione: si tratta di sequenze tendenzialmente ‘opache’ (e tali sono – va detto – non solo per gli apprendenti sinofoni ma, anche, in buona misura per gli stessi italofoni…). Gli apprendenti sinofoni hanno così e normalmente scarsa sensibilità nei confronti dei processi derivazionali e flessivi dell’italiano/L2 e, analizzando il materiale lessicale di italiano/L2 da loro prodotto, si osserva infatti lo scarso peso che nei corpora delle loro interlingue di italiano/L2 hanno le parole derivate: se esse pure ricorrono, si ha a che fare per lo più con forme di citazione, assunte direttamente dall’input e non analizzate. Se mai, più frequenti sono le parole composte e ciò pare dovuto al fatto che le strategie composizionali – particolarmente produttive in cinese e ben radicate nella coscienza linguistica dei sinofoni – facilitano la creazione, spesso mediante la tecnica del calco linguistico, di unità lessicali di italiano/L2 strutturalmente analizzabili come ‘composti’. Riferimenti bibliografici ABBIATI, Magda, 2008, Guida alla lingua cinese, Roma, Carocci. ANDERSON, Stephen R., 1985, Typological distinctions in word formation. In: T. SHOPEN (ed.), Language Typology and Syntactic Description. III: Grammatical Categories and the Lexicon, Cambridge, Cambridge University Press: 3-­‐56. ANDORNO, Cecilia, 2001, Banca Dati di Italiano L2. Progetto di Pavia, CD Rom, Università di Pavia, Dipartimento di Linguistica. ANDORNO, Cecilia, 2010, Lo sviluppo della morfosintassi in studenti cinesi. In: S. RASTELLI (a cura di), Italiano di Cinesi, italiano per Cinesi. 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