Pagine estratte stalking

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CAPITOLO 1
LE MODIFICHE AL CODICE PENALE
SARA FARINI (PAR. 1-5) E PLACIDO PANARELLO (PAR. 6-6.9)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le modifiche al codice penale. – 3. Le modifiche apportate all’art. 576 c.p. Le aggravanti dell’omicidio. – 3.1. L’aggravante sessuale di cui
all’art. 576 n. 5 c.p.p. – 3.2. L’aggravante prevista dall’art. 576 n. 5.1. c.p. per l’autore del delitto di atti persecutori. – 4. Il nuovo delitto di atti persecutori (art. 612bis c.p.). Cenni. – 4.1 Lo stalking. Inquadramento generale. – 4.2. Un fenomeno
in preoccupante aumento. – 4.3. L’identikit dello stalker. – 4.3.1 In particolare: il
profilo psicologico dello stalker. – 4.4. Le molestie assillanti. – 4.5. La vittima dello stalking. – 4.5.1. L’impatto dello stalking sulla vittima. – 4.6. La difficoltà di
distinguere ciò che è lecito e ciò che integra lo stalking. – 4.7. Lo stalking negli altri Paesi. – 4.7.1. Lo stalking negli Stati Uniti. – 4.7.2. Lo stalking nella legislazione europea. – 4.7.2.1. Lo stalking in Gran Bretagna. – 4.7.2.2. Lo stalking in
Belgio. – 4.7.2.3. Lo stalking in Olanda. – 4.7.2.4. Lo stalking in Germania. –
4.7.2.5. Lo stalking in Austria. – 4.8. Lo stalking in Italia prima del d.l.
11/2009. – 4.8.1. Il reato di molestie. – 4.8.2. Il reato di violenza privata. – 4.8.3.
Le proposte di legge anteriori ed il d.l. 11/2009. – 5. Lo stalking nel d.l. 11/2009.
– 6. L’analisi del delitto di atti persecutori. L’oggetto giuridico. – 6.1. Il soggetto attivo. – 6.2. L’elemento oggettivo. – 6.2.1. La condotta tipica. – 6.2.2. La reiterazione delle condotte persecutorie. – 6.2.3. Le conseguenze sulla vittima delle condotte
persecutori.– 6.2.3.1. Il perdurante e grave stato di ansia o di paura. – 6.2.3.2. Il
fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva. – 6.2.3.3. Il costringimento all’alterazione delle abitudini di vita. – 6.3. L’elemento soggettivo – 6.4. Il perfezionamento ed il tentativo. –
6.5. Le circostanze aggravanti. – 6.6. La procedibilità. – 6.7. Il rapporto con altri
reati. – 6.8. Il trattamento sanzionatorio ed i primi problemi applicativi. – 6.9.
L’ammonimento.
1. Premessa. – I fatti di cronaca che negli ultimi mesi sono stati posti all’attenzione dell’opinione pubblica dai mezzi di informazione hanno fatto gridare
da più parti all’emergenza stupri imprimendo un’accelerata ad interventi normativi già segnati nell’agenda del legislatore ed ispirandone altri ancora dettati dalla necessità di porre un argine al fenomeno della violenza contro le
donne.
Di fronte all’emergenza sicurezza, si avvertiva quindi il bisogno di offrire una
risposta subito, una risposta immediata – non importa se poco meditata o giu-
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ridicamente imperfetta – purché fosse forte ed esemplare nel declamare la volontà di perseguire con rigore e severità gli autori delle violenze1.
Si spiegano così le disposizioni contenute nel testo normativo in discorso
che prevedono un inasprimento sanzionatorio in caso di uccisione della vittima di violenza sessuale o di atti persecutori e l’introduzione del nuovo reato di
stalking; esse vanno ad incastonarsi in una cornice procedurale che vede potenziati gli strumenti di indagine e soprattutto di tutela della persona offesa, attivabili nel torno di tempo che va dalla denuncia alla sentenza che chiude il percorso processuale.
Si tratta di novità legate da un unico filo: potenziare la risposta repressiva nei
confronti degli autori delle violenze.
Inoltre, in un sistema giuridico che predica sul piano dei valori primari il
rispetto della persona e della sua dignità è apparsa non più tollerabile l’assenza
nel codice penale di una fattispecie diretta a sanzionare i comportamenti persecutori: da qui la nuova figura di reato scolpita dall’art. 612-bis c.p., che rappresenta senz’altro la novità più significativa del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11.
Sono state quindi le esperienze della vita reale, le esigenze di ordine pratico ed un bisogno impellente di giustizia e sicurezza ad ispirare il testo del provvedimento oggetto del nostro esame, un corpus normativo ad hoc che, in sede di
primo commento, non si è esitato a qualificare come pensato e voluto per offrire tutela al c.d. sesso debole2, nell’ottica di una tutela sempre più efficace contro quei crimini che colpiscono soprattutto le donne nella loro sensibilità e dignità.
Non è quindi un caso se nella relazione illustrativa e nella premessa al decreto legge si afferma che la sua adozione “è legata alla straordinaria necessità ed
urgenza di introdurre misure per assicurare una maggior tutela della sicurezza della collettività a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al controllo di tali fenomeni e l’introduzione del
reato di atti persecutori”.
2. Le modifiche al codice penale. – L’art. 1 c.1 lett. a) d.l. 11/2009, convertito sul
punto senza modifiche dalla l. 23 aprile 2009, n. 38, riformula l’aggravante del
reato di omicidio doloso prevista dall’art. 576 n. 5 c.p., comminando la pena
dell’ergastolo con riguardo all’ipotesi in cui l’uccisione della vittima avvenga in
occasione della commissione dei reati di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.), violenza sessuale di gruppo (art.
609-octies c.p.).
1
Nella versione originaria del decreto legge, era prevista l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere per i delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale, atti sessuali con minorenni,
violenza sessuale di gruppo; l’arresto obbligatorio in fragranza per violenza sessuale e per violenza sessuale di gruppo, con conseguente possibilità di procedere con rito direttissimo; la limitazione dell’applicazione dei benefici penitenziari con riguardo ai condannati per delitti di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, violenza sessuale di gruppo; la possibilità per i sindaci
di avvalersi della collaborazione di associazioni di cittadini non armati in grado di segnalare casi
di disagio sociale o che rechino pregiudizio alla sicurezza (cd. ronde); la possibilità di protrarre nei
CPA fino a sei mesi il trattenimento di stranieri irregolari.
2
VIRGILIO, Stalking: profili normativi e psicologici, in SADPP 2/2009, p. 23.
Capitolo 1 – Le modifiche al codice penale
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L’art. 1 c. 1 lett. b) d.l. 11/2009, modificato in sede di conversione dalla l.
38/2009, prevede invece l’estensione del regime massimo di pena anche all’omicidio commesso dall’autore del delitto di atti persecutori, laddove sia cagionata la morte della medesima persona vittima del delitto di cui all’art. 612bis c.p.
L’art. 7 d.l. 11/2009, che non ha subito modifiche a seguito della conversione ad opera della l. 38/2009, introduce infine il nuovo reato di atti persecutori, mediante l’innesto all’interno del codice penale dell’art. 612-bis.
Si colma così una profonda lacuna che aveva visto quasi sempre le forze di
polizia e l’autorità giudiziaria assenti sul piano dell’intervento e del contrasto
in tutte quelle gravi situazioni catalogate con il nome “letterario” di stalking, fenomeno oggetto già da tempo di numerosi studi in diversi Stati esteri e recentemente posto all’attenzione anche delle scienze psichiatriche e criminologiche.
Si legge infatti nella relazione illustrativa al disegno di legge (A.C. 1440) che,
nonostante il fenomeno delle molestie insistenti sia in costante aumento, “l’ordinamento non è attualmente in grado di assicurare un presidio cautelare e sanzionatorio efficace. Gli atti di violenza, in specie quelli di natura sessuale, spesso sono preceduti da atti persecutori che sfuggono ad ogni sanzione e che, con il disegno di legge in esame, potranno essere finalmente perseguiti”.
Ciò detto, tramite l’art. 7 d.l. 11/2009 prende forma un nuovo delitto doloso che, da una punto di vista sistematico, viene collocato tra quelli contro la
libertà morale, punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni, la cui fattispecie ha ad oggetto condotte reiterate di minaccia e molestia che determinano nella persona offesa uno stato di disagio fisico e psichico, di vera e propria
soggezione, ovvero un giustificato timore per la propria sicurezza o per la sicurezza di persona vicina e che possono essere prodromici a gravi atti di aggressione, anche mortale.
3. Le modifiche apportate all’art. 576 c.p. Le aggravanti dell’omicidio. – L’art. 1 d.l.
11/2009, rubricato modifiche al codice penale, convertito con modificazioni dalla
l. n. 38/2009, prevede che “all’art. 576, primo comma del codice penale, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il n. 5) è sostituito dal seguente: «5) in occasione della commissione di taluno dei
delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies;»;
b) dopo il numero 5) è inserito il seguente: «5.1) dall’autore del delitto previsto dall’art. 612-bis nei confronti della stessa persona offesa;»“.
3.1. L’aggravante sessuale di cui all’art. 576 n. 5) c.p. – La modifica operata con il
d.l. 11/2009 realizza finalmente l’adeguamento dell’art. 576 n. 5 c.p. alla diversa collocazione sistematica dei reati sessuali operata dal legislatore del 1996,
consentendo così di risolvere definitivamente quei dubbi interpretativi che attanagliavano dottrina e giurisprudenza già all’indomani della riforma realizzata dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66.
Come noto, infatti, il legislatore del 1996 si era mosso in una duplice direzione: da un lato abrogando l’intero Capo I del Titolo IX del Libro II del codice penale, relativo ai delitti contro la libertà sessuale e costituito dagli artt.
519–527 c.p., “trasferendo” le figure di reato in esso contenute all’interno del
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più consono e connaturale Titolo XII (in particolare, appunto, nella Sezione II
del Capo II, relativa ai delitti contro la libertà personale), mediante l’introduzione degli articoli da 609-bis a 609-decies c.p., e dell’altro riformulando alcune fattispecie, modificandone la struttura, ovvero creando nuove ipotesi criminose (la violenza sessuale di gruppo: art. 609-octies c.p.).
Al cambio di etichetta non aveva tuttavia fatto seguito l’adeguamento dell’art. 576 n. 5 c.p., che continuava a prevedere l’applicazione dell’ergastolo nel
caso in cui l’omicidio fosse commesso “nell’atto di commettere taluno dei delitti preveduti dagli articoli 519, 520 e 521”, tanto da indurre taluni a dubitare della persistente vigenza dell’aggravante in discorso.
Così, secondo un primo orientamento, il novum legislativo avrebbe comportato una netta rottura rispetto alla disciplina precedente, con la conseguenza di determinare una tacita abrogazione dell’art. 576 n. 5 c.p., dal momento
che, per poter fare applicazione della disposizione di cui si discorre, l’interprete avrebbe dovuto di volta in volta isolare all’interno delle nuove fattispecie il
nucleo di fatti riconducibili ai “vecchi” artt. 519, 520 e 521 c.p., ricorrendo così, in spregio al principio di stretta legalità, ad un’operazione ermeneutica non
consentita3.
Di contrario avviso invece quella dottrina4 che, argomentando sulla scorta
della ritenuta continuità tra vecchie e nuove previsioni – e nei limiti in cui una
tale continuità fosse ravvisabile –, riteneva comunque applicabile l’aggravante
in parola anche in corrispondenza dei nuovi reati di violenza sessuale.
Ad analoghi risultati approdavano infine quegli autori5 per i quali gli artt.
519 ss. c.p. sarebbero stati implicitamente sostituiti dalle nuove fattispecie di cui
agli artt. 609-bis ss. c.p.
Anche la giurisprudenza si allineava alle posizioni da ultimo esposte, mostrandosi fin da subito compatta nel predicare la ricorrenza di un fenomeno di
mera successione di norme penali e non di abolitio criminis, e nel ritenere applicabile l’aggravante in esame anche ai delitti di cui agli artt. 609-bis ss. c.p.: in
sostanza, il mancato adeguamento dell’art. 576 c.p. avrebbe dovuto ascriversi ad
un semplice difetto di coordinamento legislativo6 ed il rinvio compiuto da tale norma agli artt. 519 ss. c.p. avrebbe dovuto essere qualificato in termini di
rinvio “mobile” o “formale” e non “recettizio”7.
Nonostante l’orientamento pretorio fosse così uniforme, la dottrina non era
tuttavia convinta circa la bontà di siffatta soluzione interpretativa per quanto riguarda la violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.), trattandosi di fattispecie criminosa del tutto nuova ed estranea, fino alla riforma del 1996, al compendio codicistico. Secondo la suddetta impostazione, lo ius superveniens, in questo caso, evidenziava una netta rottura rispetto al passato, tanto da rendere inapplicabile il regime della successione di leggi nel tempo.
3
MARINI, Delitti contro la persona, Torino, 1995, p. 50; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale–parte speciale, vol. I, Milano, 1996, p. 44; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale-parte speciale, vol. II, tomo I, Bologna, 2008, p. 15.
4
RAMACCI, I delitti di omicidio, Torino, 1997, p. 187.
5
MANTOVANI, Diritto penale-parte speciale. Delitti contro la persona, Padova, 2005, p. 100.
6
Cass. pen., sez. I, 22 febbraio 2005, n. 6775, in CP 2005, p. 1505 con nota di NUZZO.
7
Da ultimo Cass. pen., sez. I, 15 gennaio 2008, n. 2120, RV 238638.
Capitolo 1 – Le modifiche al codice penale
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La Suprema Corte, ancora una volta, ha superato le suddette riserve, osservando che la struttura portante della violenza sessuale di gruppo mutua il nucleo centrale dell’art. 609-bis c.p., dal quale si differenzia unicamente per l’elemento specializzante del concorso di persone. Il trattamento sanzionatorio più
severo, che si giustifica in ragione della particolare lesività delle condotte – indice di una maggiore aggressività e foriera di un maggiore allarme sociale – non
toglie che il comportamento incriminato, nella sua essenza, fosse già tale sotto
la vigenza degli artt. 519 e 521 c.p. In sostanza, nonostante la novella, si tratterebbe pur sempre delle medesime condotte che precedentemente risultavano
incriminate a titolo di concorso in uno dei reati di cui alle disposizioni in esame8.
Merito dunque del legislatore del 2009 è quello di aver risolto una volta per
tutte le incertezze ermeneutiche di cui si è appena detto, specie per quanto riguarda la violenza sessuale di gruppo, mediante il richiamo esplicito alle fattispecie di cui agli artt. 609-bis, 609-quater e 609-octies c.p., positivizzando in tal
senso gli approdi cui era giunta la giurisprudenza prevalente.
Quanto detto non deve tuttavia indurre a ritenere che l’art. 1 c. 1 lett. b) d.l.
11/2009 abbia una portata esclusivamente ricognitiva del precedente orientamento pretorio; in realtà, tale disposizione innova sensibilmente il contenuto
dell’aggravante de qua, dal momento che muta l’entità del vincolo di connessione tra la condotta omicidiaria e quella a sfondo sessuale.
L’art. 576 n. 5 c.p., nella sua versione originale, prevedeva infatti l’irrogazione dell’ergastolo ogniqualvolta l’omicidio fosse avvenuto “nell’atto di commettere” un fatto di violenza sessuale.
La littera legis deponeva dunque a favore di quell’interpretazione giurisprudenziale che richiedeva soltanto l’estremo della contestualità cronologica tra la
condotta di violenza sessuale e l’omicidio, a prescindere da qualsiasi connessione finalistica tra i due illeciti9.
La formulazione dell’art. 576 n. 5 c.p. autorizzava pertanto la contestazione
dell’aggravante in parola senza che al riguardo fosse necessario compiere ulteriori indagini volte a rintracciare un nesso ideologico unitario; ciò che la norma esigeva era soltanto che il delitto contro la libertà sessuale fosse in corso di
consumazione o quantomeno avesse raggiunto lo stadio del tentativo nel momento in cui si perfezionava il delitto più grave. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, il ricorso all’espressione “nell’atto di commettere” consentiva di leggere in
termini ampi la disposizione in esame, tanto da ritenerla applicabile anche in
presenza di un tentativo di violenza sessuale e non necessariamente di una violenza sessuale consumata. In sostanza la norma, per il suo tenore letterale, era
ritenuta idonea ad abbracciare ogni fase penalmente rilevante dell’iter criminis,
compreso il tentativo.
Vi è poi da osservare che la “contestualità” tra i due illeciti veniva intesa dalla Suprema Corte in termini alquanto elastici, non escludendosi l’aggravamento di pena tutte le volte in cui, in concomitanza con gli atti di violenza sessuale, fossero stati posti in essere anche atti diretti in modo non equivoco a cagio-
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9
Cass. pen., sez. I, 22 febbraio 2005, cit.
Cass. pen., sez. I, 15 gennaio 2008, cit.
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nare la morte della vittima, ancorché il decesso della stessa si fosse verificato in
un momento di poco successivo10.
In ossequio alla regola sul reato complesso, inoltre, ogniqualvolta si verificava la situazione prevista dall’art. 576 n. 5 c.p. si escludeva il concorso formale
tra omicidio e reato sessuale, rimanendo quest’ultimo assorbito nel primo, sub
specie – appunto – di aggravante11. Viceversa, la regula iuris dell’art. 84 c.p. non
poteva essere invocata laddove sussisteva una connessione finalistica tra i due
episodi criminosi, venendo in rilievo, in ipotesi di tal fatta, l’aggravante teleologica dell’art. 576 n. 1 c.p.; laddove, infine, non poteva dirsi sussistente alcuna
connessione, neppure cronologica, ad essere applicabile era la disciplina sul concorso materiale di reati.
Nel dettaglio, e per quanto attiene ai rapporti tra l’aggravante di cui si discorre e quella “teleologica”, sebbene la dottrina sia sempre stata in parte contraria12, si riteneva che la circostanza in esame fosse tale da assumere nello schema generale della connessione tra reati un ruolo residuale, risultando integrata
soltanto laddove non potesse trovare applicazione, per difetto del vincolo finalistico, quella di cui al numero 1 dell’art. 576 c.p.: l’effetto era dunque quello di
fare ricorso a quest’ultima tutte le volte in cui lo stupro costituiva il mezzo per
cagionare la morte della vittima. Sul punto, tuttavia, la giurisprudenza non
escludeva la possibilità di un concorso tra le anzidette aggravanti: ed invero, “la
circostanza aggravante del delitto di omicidio prevista dall’art. 576 comma primo, n. 5 è
compatibile con l’aggravante teleologica prevista dal precedente n. 1 dello stesso articolo
che sia stata contestata con riferimento a uno di tali delitti, in quanto l’assorbimento di
essi in quello di omicidio in funzione di inasprimento sanzionatorio per quest’ultimo non
cancella la loro autonomia ai plurimi e diversi effetti che vengono in rilievo per l’ordinamento giuridico”13.
Sotto il diverso profilo psicologico, la morte della vittima doveva essere voluta dall’agente, posto che, nel caso in cui questa non fosse stata oggetto di una
specifica volizione, avrebbe trovato applicazione l’art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto) e non la figura criminis dell’omicidio volontario aggravato.
Si imponeva dunque la necessaria ricorrenza di due distinti atti volitivi, contestuali dal punto di vista cronologico, aventi ad oggetto la violenza sessuale e
la morte della vittima.
Orbene, il nuovo art. 576 n. 5 c.p. edifica in maniera più blanda il rapporto
tra i due illeciti, esprimendosi in termini di occasionalità (“in occasione della commissione”) e non più in termini di contestualità (“nell’atto di commettere”).
10
Cfr. Cass. pen., sez. I, 16 aprile 1997, n. 3536, in CP 1998, p. 1117, secondo la quale “in materia di delitti contro la persona, pur essendo richiesto per la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 576 n.
5) c.p. il requisito della contestualità, nel senso che gli atti di violenza sessuale devono essere contemporanei
alla uccisione della vittima, non può escludersi la sussistenza della aggravante in parola, allorché l’agente,
contemporaneamente agli atti di violenza sessuale, ponga in essere atti idonei diretti in modo non equivoco
a cagionare la morte della vittima, anche se il decesso della stessa si sia verificato non contestualmente agli
atti di violenza sessuale, ma poco dopo”.
11
Cass. pen., sez. I, 15 aprile 1992, n. 4690, in CP 1993, p. 1435. Da ultimo si veda Cass. pen.,
sez. I, 29 gennaio 2008, n. 12680, RV 239365.
12
MARINI, Delitti contro la persona, cit., p. 47.
13
Cass. pen., sez. I, 22 febbraio 2005, cit.
Capitolo 1 – Le modifiche al codice penale
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Pertanto, se da un lato gli indirizzi pretori più sopra riportati appaiono ancora validi, dal momento che la nuova norma appare più ampia della precedente, ciò che risulta alterato è soltanto il vincolo di connessione, che si attenua – quantomeno – nella sua rigidità “cronologica”.
Nella relazione illustrativa del decreto legge si giustifica la diversa formulazione della norma in esame argomentando sulla scorta del fatto che attraverso
una siffatta modifica risulterebbe sempre “applicabile la pena dell’ergastolo nel caso
in cui dalla commissione dei reati di cui trattasi derivi la morte della vittima”. Tale affermazione, nella sua perentorietà, sembra essere imprecisa e soprattutto fuorviante, posto che l’applicazione dell’aggravante de qua esige comunque che
l’evento morte sia voluto dall’agente e che lo stupro non costituisca il mezzo
per commettere l’omicidio: la mutatio legis operata dal d.l. 11/2009, ad avviso di
scrive, non pare avere una portata tale da stravolgere gli approdi cui era giunta
la giurisprudenza da oltre un ventennio.
Quanto detto non esclude ovviamente che il ricorso ad un criterio di connessione occasionale tra gli illeciti consentirà di fare ricorso più agevolmente
all’aggravamento di pena previsto dall’art. 576 n. 5 c.p., che pare adesso venire
in rilievo anche nel caso in cui non vi sia coincidenza tra vittima dello stupro
e vittima dell’omicidio (es.: uccisione del testimone che ha assistito alla violenza sessuale)14, o manchi la contestualità tra la condotta di violenza sessuale e
quella omicidiaria.
Se quella sopra proposta sarà l’interpretazione che si consoliderà in giurisprudenza, dovrà allora essere rivisto quell’orientamento (consolidato) di cui si
è detto più sopra e che, in ossequio allo schema del reato complesso ex art. 84
c.p., riteneva la violenza sessuale assorbita nell’omicidio ogniqualvolta fosse ravvisabile un’unicità di azione tra i due crimini15.
3.2. L’aggravante prevista dall’art. 576 n. 5.1. c.p. per l’autore del delitto di atti persecutori. – L’art. 1 c. 1 lett. b) d.l. 11/2009, modificato in sede di conversione dalla l. 38/2009, introduce all’art. 576 c.p. una nuova circostanza aggravante, prevedendo la pena dell’ergastolo se l’omicidio è commesso “dall’autore del delitto
previsto dall’articolo 612-bis nei confronti della stessa persona offesa”.
Preliminare è innanzitutto l’osservazione relativa all’eccentrica collocazione
del disposto normativo in esame. L’aggravante in parola risulta infatti inserita nel
medesimo ambito di quella sessuale (di cui si è detto supra), pur discostandosi da
questa per la numerazione autonoma (5.1.). Appare dunque ambiguo e di difficile decifrazione il collegamento esistente tra le norme appena richiamate, tanto da indurre la dottrina a ritenere che la catalogazione dell’art. 576 n. 5.1. c.p.
fuoriesce dagli schemi ordinari tradizionalmente usati nel codice penale16.
Nella versione originaria del d.l. 11/2009, il legislatore si era limitato a prevedere l’ergastolo per l’omicida che si fosse reso in precedenza responsabile del
delitto di atti persecutori, senza null’altro specificare in ordine ad un’eventuale
collegamento tra i due illeciti che potesse giustificare l’inasprimento sanziona14
PISTORELLI, Il reato di stalking e le altre modifiche al codice penale nel d.l. n. 11/2009 conv. in l. n.
38/2009, in www.penale.it in data 11 giugno 2009.
15
PISTORELLI, Il reato di stalking e le altre modifiche al codice penale, cit.
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PISTORELLI, Il reato di stalking e le altre modifiche al codice penale, cit.
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torio. Ed in ragione di una tale formulazione, in sede di prima lettura, pareva
lecito ritenere applicabile la pena massima nei confronti di qualsiasi omicida che
in qualsiasi momento del passato avesse posto in essere atti persecutori nei confronti di un qualsiasi soggetto.
La scelta di edificare l’aggravante in parola unicamente sul solo legame
astratto fra i due reati era apparsa fin da subito infelice, ed infatti anche i commentatori non avevano mancato di evidenziare che “se ciò è vero, sarebbe opportuno valutare la ragionevolezza (oltre che la determinatezza) della previsione in esame”17. In tal senso si era quindi proposta una lettura correttiva che, illuminata
dai lavori preparatori, consentisse di ricondurre l’aggravante in discorso entro i
binari del “giuridicamente ragionevole”, fungendo da ostacolo ad un’applicazione “indiscriminata” della norma, tale da ricomprendere anche i casi in cui
l’omicidio risulti il frutto di una scelta autonoma ed ulteriore, del tutto avulsa
ed estranea dai precedenti rapporti intercorrenti tra gli attori della vicenda.
E difatti, dando uno sguardo alle precedenti versioni della disposizione de
qua, non è casuale che costantemente sia richiesto un qualche tipo di collegamento tra il fatto degli atti persecutori ed il fatto dell’omicidio.
Così, il testo unificato della scorsa legislatura prevedeva che l’ergastolo si applicasse quando l’omicidio era conseguenza degli atti persecutori; il testo approvato dal Consiglio dei ministri nella legislatura in corso (A.C. 1440) prevedeva che l’ergastolo si applicasse quando l’autore dell’omicidio aveva già posto
in essere atti persecutori nei confronti della medesima vittima; infine, il testo
approvato dalla Commissione giustizia della Camera (A.C. 1440-A) prevedeva
che l’ergastolo si applicasse quando l’omicidio era commesso in occasione del
compimento di atti persecutori18.
Punire più severamente l’omicidio ha un senso e si giustifica in considerazione della sua maggiore gravità soltanto laddove il medesimo rappresenti l’epilogo dello stalking; detto in altre parole, l’omicidio è più grave e pertanto va punito con la pena massima se costituisce l’atto finale di una condotta persecutoria posta in essere nei confronti di una stessa vittima. Diversamente opinando
si arriverebbe infatti a contestare l’omicidio aggravato soltanto perché l’autore
ha uno specifico precedente penale, finendo per appuntare il maggiore disvalore del fatto unicamente sulle condizioni soggettive del reo. Insomma, per tale
via, si sarebbe introdotta una circostanza aggravante prettamente soggettiva, legata esclusivamente all’evenienza che l’autore dell’omicidio fosse stato in passato anche autore del reato di stalking.
A seguito dei malumori palesati dai primi commentatori del d.l. 11/2009
ed in conseguenza del vivace dibattito che si è sviluppato in sede di conversione alla Camera, è intervenuta sul punto la l. 38/2009, che ha aggiunto alla originaria formulazione della disposizione in esame l’inciso “nei confronti della stessa persona offesa”.
In conseguenza dell’opportuno correttivo l’aggravante dell’art. 576 n. 5.1.
c.p. potrà trovare applicazione soltanto qualora vi sia identità tra la vittima degli atti persecutori e quella dell’omicidio, continuando comunque a prescindersi da un qualsiasi collegamento oggettivo o ideologico tra gli illeciti.
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PISTORELLI, Il reato di stalking e le altre modifiche al codice penale, cit.
PISTORELLI, Il reato di stalking e le altre modifiche al codice penale, cit.
Capitolo 1 – Le modifiche al codice penale
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Non occorre pertanto che la morte della vittima costituisca l’ultimo e letale atto della condotta persecutoria, inserendosi in uno specifico e preordinato
programma criminoso, potendo la stessa essere frutto anche di circostanze occasionali prive di effettiva connessione con l’attività illecita pregressa19.
Se ciò è vero, non si può però neppure negare che il richiesto requisito dell’identità della vittima dei due reati finisce per tradire la volontà del legislatore
di punire più gravemente l’omicidio soltanto se effettivamente connesso ai precedenti atti persecutori; probabilmente tale voluntas è stata sottaciuta ed è rimasta inespressa all’interno del testo normativo per evitare di esplicitare rigidi
vincoli di condizionamento tra i due fatti, come tali difficilmente accertabili in
sede giudiziale.
Non è comunque da escludere che, in sede di concreta applicazione, la giurisprudenza interpreti in questo senso la disposizione in esame20, richiedendo
un quid pluris rispetto al collante rappresentato dalla mera identità della vittima.
Da ultimo, vale la pena osservare che le modifiche apportate in all’atto della conversione in legge non consentono comunque di risolvere tutti i dubbi
che la norma suscita, permanendo ancora evidenti perplessità cui soltanto una
prassi applicativa virtuosa potrà dare risposta. In particolare, resta aperto l’interrogativo circa la ragionevolezza di una scelta legislativa che consente di contestare l’aggravante di cui si discorre anche nel caso in cui il collegamento tra gli
illeciti sia ormai sbiadito, ovvero nell’ipotesi in cui gli atti persecutori siano stati posti in essere in un’epoca molto antecedente rispetto all’omicidio.
4. Il nuovo delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.). Cenni. – L’art. 612-bis c.p.,
rubricato “atti persecutori” recita: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia
o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura
ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di
una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3
della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della
querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di
un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992,
n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere
d’ufficio”.
Il legislatore introduce il reato in discorso all’interno della sezione dei delitti contro la libertà morale, tratteggiando una fattispecie modulata secondo lo
schema del reato a forma libera – “minaccia o molestia” – di natura abituale –
19
È stato invece respinto l’emendamento proposto dall’On.Vietti diretto a vincolare l’aggravante unicamente all’ipotesi in cui l’omicidio fosse consumato all’atto di commettere il reato di atti persecutori.
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PISTORELLI, Il reato di stalking e le altre modifiche al codice penale, cit.