Da S. "Mercadante voleva punire l`uomo che insidiava sua moglie"
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Da S. "Mercadante voleva punire l`uomo che insidiava sua moglie"
Giovanni Mercadante. A fianco, Vito Ciancimino con il figlio Massimo “IO, MIO PADRE E QUELL’INCONTRO CON BINU AGLI ARRESTI DOMICILIARI” MASSIMO CIANCIMINO RACCONTA DI ESSERE STATO PRESENTE A DUE FACCIA A FACCIA FRA DON VITO E PROVENZANO: IN UN CASO L’EX SINDACO DI PALERMO SI VIDE COL SUPERBOSS MENTRE ERA RECLUSO IN CASA di Riccardo Lo Verso N on solo la presunta trattativa fra Cosa nostra e lo Stato, i rapporti fra il padre e Bernardo Provenzano, gli affari del gas, le barche di lusso e i conti all’estero. I racconti di Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, toccano altre vicende e finiscono 22 S - IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA anche per ingrossare il fascicolo del processo a Giovanni Mercadante, il radiologo accusato di mafia. Ciancimino jr avrebbe fornito ai magistrati una conferma sugli stretti rapporti fra Mercadante e la mafia corleonese della stagione targata Bernardo Provenzano. Rapporti tali, secondo Gaetano Paci e Nino Di Matteo, pubblici ministeri del processo, da consentire a Mercadante di chiedere una punizione esemplare per Enzo D’Amico, la persona che gli aveva insidiato la moglie. Il primo a parlarne era stato Angelo Siino, l’uomo che per conto dei corleonesi gestiva gli appalti. Un cartello illegale che gli era valso il titolo di ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra. Il 18 giugno 2008 Ciancimino jr si presenta davanti ai pubblici ministeri Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Domenico Gozzo. Inizia il suo racconto: “Mi ricordo della vicen- da Mercadante che l’ho vissuta in prima persona perché ero da poco fidanzato con la figlia del dottor Mercadante... e mio padre mi raccontò di questa lite che c’era stata tra il Pino Lipari e Cannella... mio padre mi ha raccontato che la situazione l’ha dovuta mediare lui nella villa di Mondello per un mese di seguito, decretando che il D’Amico andava per due anni in Brasile”. Dunque D’Amico ha uno sponsor d’eccezione, Pino Lipari, il consigliori di Provenzano, uno di quelli che avevano consentito al boss di nascondere il suo patrimonio. Non uno qualunque, dunque, ma uno che meritava rispetto. E alla fine D’Amico pagò per il suo torto. Il prezzo fu salato, ma niente a confronto con la vita. Chi lo voleva morto, secondo l’accusa, alla fine dovette accontentarsi di una punizione. Ancora Ciancimino: “Mio padre mi raccontò che c’era stata una discussione in quanto il Lipari aveva accreditato per vendere forniture ospedaliere al Mercadante Enzo D’Amico che aveva una società di rappresentanze medicinali; da questa era nata una storia con la moglie di Mercadante... il D’Amico su consiglio di mio padre anziché arrivare a soluzioni, insomma l’avevano convinto che fosse mandato in Brasile e questa frattura fu mediata da mio padre”. “Un esilio in Brasile al posto di quale provvedimento?”, gli chiedono i pm, e Ciancimino precisa: “Penso forse di dargli botte, non so, altre misure più estreme, sicuramente era stato fatto un torto”. Il professore Mercadante ha sempre negato di conoscere Ciancimi- Francesco Nania. A sinistra, lo skyline di New York IL FIGLIO DEL SINDACO DEL SACCO DI PALERMO PARLA AL PROCESSO CONTRO IL DEPUTATO GIOVANNI MERCADANTE. CHE AVREBBE VOLUTO UNA PUNIZIONE CONTRO UNA PERSONA CHE AVREBBE INSIDIATO SUA MOGLIE: “FORSE DI DARGLI BOTTE, NON SO, ALTRE MISURE PIÙ ESTREME, SICURAMENTE ERA STATO FATTO UN TORTO” no, Lipari e Provenzano. Lui quegli ambienti non li frequentava. Eppure la Procura ha depositato un altro verbale reso da Vincenzo Alessi, ex primario di radiologia dell’ospedale Civico di Palermo. Emergerebbe che Mercadante, candidato ad un vecchio concorso in un altro ospedale palermitano, il Maurizio Ascoli, era appoggiato da Angelo Siino, oggi pentito, che a sua volta aveva parlato di una raccomandazione dall’alto. La segnalazione sarebbe giunta da Provenzano in persona. Secondo la direzione distrettuale antimafia di Palermo, sarebbe un’ulteriore conferma, ancora tutta da dimostrare in dibattimento, che il professore faceva parte di quella rete d’insospettabili grazie alla quale la latitanza di Provenzano sarebbe durata mezzo secolo. A proposito di rete di protezione, anche su questo punto Ciancimino ha reso dichiarazioni ai pm. È IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA - S 23 “MIO PADRE HA SEMPRE SOSTENUTO CHE PROVENZANO SI MUOVESSE ALL’INTERNO DELLA COSIDDETTA ALTA BORGHESIA PALERMITANA. DICEVA MIO PADRE COME IL PROVENZANO VANTASSE ALL’INTERNO DI GROSSE BUROCRAZIE, DI GROSSI PROFESSIONISTI, UNA FORTE RETE DI PROTEZIONE, QUASI DI STIMA” il 9 luglio 2008, ore 12.20: “Mio padre ha sempre sostenuto che Provenzano si muovesse all’interno della cosiddetta alta borghesia palermitana. Questo rendeva a Provenzano molto più snello e più facile il compito di adombrarsi. Diceva mio padre, poi ho anche appurato personalmente, come il Provenzano vantasse all’interno di grosse burocrazie, di grossi professionisti, una forte rete di protezione, quasi di stima, che ne faceva un elemento di diversità nei confronti del Riina che non era mai riuscito in questo intento di collocarsi. Ricordo di avere accompagnato mio padre in una riunione per problemi che riguardavano la zona di Alcamo, a una riunione presso un hotel di Mazara del Vallo dove lì dentro l’unica persona che sono stato capace di conoscere è il Lo Verde (così era chiamato Provenzano ndr), c’erano altri due soggetti che non conoscevo. C’era Pino Lipari. A Mazara del Vallo, era una costruzione bianca di cemento, molto sotto il sole proprio. Sarà stato estate ’91”. Non è l’unico incontro tra Provenzano e don Vito a cui Massimo Ciancimino dice di avere assistito. Come quella volta in cui “mio padre è dovuto correre a Palermo due volte per incontri con Provenzano”. E non solo, a volte 24 S - IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA Bernardo Provenzano. A fianco, Vito Ciancimino era lo stesso Zio Binu ad andare in casa dell’ex sindaco di Palermo, quando quest’ultimo era agli arresti domiciliari. E parlavano di tutto, perché i due si conoscevamo da tempo, erano vecchi amici, da quando il padre gli dava lezioni di matematica a Corleone. Don Vito si confrontava con il superboss e poi, secondo il racconto di Massimo Ciancimino, faceva un resoconto della discussione al figlio. E don Vito si apriva: “Alla fine il ritorno di Provenzano un po’ a reggere quello che erano le fila, non so, avrebbe garantito questo momento di grande... perché era uno diciamo dalla visione non stragista e avrebbe riportato un po’ di tranquillità e che secondo mio padre era cioè doveva essere un accordo a monte che garantiva il tutto, perché mio padre mi disse: non ti scordare che nel momento in cui vorrà si consegnerà lui; perché mio padre mi disse poi una frase che era importante perché mi disse, un uomo, mi disse, quando non riesce ad andare al bagno perché era quello che capitava a mio padre perché non era autonomo, perde proprio, non ha più senso niente, difatti, dice, mi aveva detto che aveva parlato di questo col Provenzano”. “Dunque lei ha visto Provenzano, incontrava suo padre mentre era agli arresti domiciliari?”, chiedono i pm: “Io l’ho visto, tra il ’99 e il 2002. Di pomeriggio”. L’ex sindaco del Sacco di Palermo veniva tenuto informato, aveva notizie di prima mano anche quando si trovava agli arresti in casa. Sono gli anni, secondo il racconto di Ciancimino, successivi alla trattativa tra la mafia e lo Stato. Una trattava avviata, sospesa e “PROVENZANO ERA UNO, DICIAMO DALLA VISIONE NON STRAGISTA E AVREBBE RIPORTATO UN PO’ DI TRANQUILLITÀ E SECONDO MIO PADRE ERA, CIOÈ DOVEVA ESSERE, UN ACCORDO A MONTE CHE GARANTIVA IL TUTTO, PERCHÉ MIO PADRE MI DISSE: NON TI SCORDARE CHE NEL MOMENTO IN CUI VORRÀ SI CONSEGNERÀ LUI” poi ripresa. Prima ci fu il papello di Totò Riina, le richieste che il capo dei capi presentò allo Stato. Una dozzina di punti, una serie di favori per i boss in cambio di alcuni latitanti e della pax mafiosa. Richieste folli, “inaccettabili” come lo stesso Vito Ciancimino le avrebbe bollate leggendo quel pizzino, il papello, che si ritrovò fra le mani. Tanto folli che la trattativa saltò. Salvo poi riprendere successivamente con un nuovo referente. Non più Totò Riina, ma Provenzano. Non più la cattura dei latitanti come contropartita, ma la cattura del latitante numero uno: Totò Riina in persona. La trattativa ci fu veramente? L’arresto di Totò Riina ne fu il risultato concordato? Vito Ciancimino diede una mano agli uomini che gli davano la caccia? La frase oggi pronunciata da Ciancimino junior (“Doveva essere un accordo a monte che garantiva il tutto, perché mio padre mi disse: non ti scordare che nel momento in cui vorrà si consegnerà lui”) conferma quella che finora è solo un’ipotesi? Domande ancora senza risposta che contribuiscono ad infittire uno dei grandi misteri d’Italia. IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA - S 25