- Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa

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- Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa
Associazione
per lo Sviluppo
degli Studi di
Banca e Borsa
Università Cattolica
del Sacro Cuore
ETIENNE ANHEIM
“IL FINANZIAMENTO DELLA PITTURA
ALLA CORTE DEI PAPI”
(SECOLI XIII-XV)
Introduzione
GIUSEPPE VIGORELLI
Ciclo di conferenze e seminari
“L’Uomo e il denaro”
Milano 9 novembre 2009
QUADERNO N. 40
Associazione
per lo Sviluppo
degli Studi di
Banca e Borsa
Università Cattolica
del Sacro Cuore
ETIENNE ANHEIM
“IL FINANZIAMENTO DELLA PITTURA
ALLA CORTE DEI PAPI”
(SECOLI XIII-XV)
Introduzione
GIUSEPPE VIGORELLI
Ciclo di conferenze e seminari
“L’Uomo e il denaro”
Milano 9 novembre 2009
Sede:
Segreteria:
Cassiere:
Presso Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano, Largo A. Gemelli, n. 1
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Giuseppe VIGORELLI,
Presidente Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa
Introduzione
Riprendiamo in questa breve introduzione, il filo
avviato nello scorso incontro di ottobre, con l’Enciclica di
Benedetto XVI, della quale avevamo riletto insieme l’introduzione e il primo capitolo.
Ora prendiamo in considerazione il secondo ed il terzo capitolo, riservando i rimanenti ai successivi incontri.
Nel secondo, Benedetto XVI tratta dello “sviluppo
umano del nostro tempo”. Rifacendosi alla definizione di
sviluppo data da Paolo VI: “L’uscita dei popoli dalla fame,
dalla miseria, dalle malattie endemiche e dall’analfabetismo,
mediante partecipazione attiva e in condizioni di parità al
processo economico internazionale”, il Papa si chiede quanto le aspettative di Paolo VI siano state soddisfatte dal
modello di sviluppo adottato negli ultimi decenni. Ribadisce
che il profitto è utile se orientato ad un fine che gli fornisca
un senso, tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo, e questo fine è e deve essere la crescita reale per tutti, e
concretamente sostenibile.
La crisi odierna è un occasione di discernimento e di progettualità di una nuova sintesi umanistica (num. 21).
Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma
aumenta la disparità, infatti continua lo scandalo di disuguaglianze clamorose. La corruzione e l’illegalità, sono
purtroppo presenti sia nel comportamento di soggetti economici e politici nei Paesi ricchi, vecchi e nuovi, sia negli stessi Paesi poveri (num.22).
Dunque non è sufficiente progredire solo da un punto di vista
economico e tecnologico, bisogna che lo sviluppo sia anzitutto vero e integrale.
Lo aveva denunciato Giovanni Paolo II che, nel 1991, dopo
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gli avvenimenti del 1989, chiese che alla fine dei “blocchi”
corrispondesse una riprogettazione globale dello sviluppo
(num. 23).
Oggi, poiché i pubblici poteri dello Stato sono impegnati direttamente a correggere errori e disfunzioni, sembra
più realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del
loro potere (num. 24).
I sistemi di protezione e previdenza faticano a perseguire gli
obiettivi di vera giustizia sociale, e le nuove forme di competizione tra Stati, hanno comportato la riduzione delle reti
di sicurezza sociale, che possono perdere la capacità di assolvere il loro compito, sia nei Paesi emergenti, sia in quelli di
antico sviluppo, oltre che nei Paesi poveri (num. 25).
E’ necessario che maturi una coscienza solidale che consideri il rispetto della vita, l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza
distinzioni né discriminazioni (num. 27).
Il Pontefice ricorda a questo punto non solo gli alti tassi di
mortalità infantile, dovuti alla situazione di povertà, ma
anche le pratiche di controllo demografico da parte di Governi, che spesso diffondono la contraccezione e giungono a
imporre anche l’aborto. Vi è fondato sospetto che gli stessi
aiuti allo sviluppo vengano collegati a determinate politiche
sanitarie implicanti, di fatto, l’imposizione di un forte controllo delle nascite.
Benedetto XVI ribadisce che l’apertura alla vita è al centro
del vero sviluppo. Quando una società si avvia verso la
negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi al
servizio del vero bene dell’uomo (num. 28). Ma un altro
aspetto della vita di oggi collegato in modo molto stretto con
lo sviluppo, è la negazione del diritto alla libertà religiosa.
Spesso si uccide nel nome sacro di Dio. Le violenze frenano
lo sviluppo autentico e impediscono l’evoluzione dei popoli
verso un maggior benessere socio economico e spirituale.
Ciò si applica specialmente al terrorismo a sfondo fonda-
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mentalista che genera dolore, devastazione e morte, blocca il
dialogo tra le Nazioni e distoglie grandi risorse dal loro impegno pacifico e civile (num. 29).
Sul piano culturale, la possibilità di interazione sono
aumentate, ma le culture sono semplicemente accostate e
considerate come sostanzialmente equivalenti e interscambiabili, per cui viene perduto il significato profondo della cultura delle varie Nazioni (num. 26).
Occorre impegnarsi per fare interagire i diversi livelli del
sapere umano in vista della promozione di un vero sviluppo
dei popoli.
Le varie discipline devono collaborare mediante una interdisciplinarietà ordinata.
La carità non esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove
e lo anima dall’interno.
Il fare è cieco senza il sapere e il sapere è sterile senza
l’amore. C’é l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza
piena di amore (num. 30).
Questo, significa che le valutazioni morali e la ricerca scientifica devono crescere insieme e che la carità deve animarle
in un tutto armonico interdisciplinare, fatto di unità e distinzione. La dottrina sociale della Chiesa ha una dimensione interdisciplinare: consente alla fede, alla teologia, alla
metafisica e alla scienza di trovare il loro posto entro una collaborazione al servizio dell’uomo (num. 31).
Le grandi novità dello sviluppo dei popoli impongono soluzioni nuove alla luce di una visione integrale dell’uomo.
L’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento
deve riconoscersi come la priorità principale. Una strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane. I costi umani sono sempre
anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani (num. 32).
Dopo quarant’anni dalla Populorum Progressio, il tema di
fondo, resta ancora aperto, reso più acuto ed impellente dalla
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crisi economico finanziaria in atto.
La novità principale è stata l’esplosione dell’interdipendenza
planetaria, la cosiddetta globalizzazione, per alcuni motore
per l’uscita dal sottosviluppo. Tuttavia, senza la guida della
carità nella verità, questa spinta planetaria può concorrere a
creare rischi e danni sconosciuti finora, e di nuove divisioni
nella famiglia umana. Si tratta di dilatare la ragione e di
renderla capace di conoscere e di orientare queste imponenti
nuove dinamiche, animandole nella prospettiva di quella
civiltà dell’amore, il cui seme, Dio ha posto in ogni popolo
e in ogni cultura (num. 33).
Nel terzo capitolo dell’Enciclica: “Fraternità, sviluppo economico e società civile”, Benedetto XVI entra nel
cuore della stessa, e afferma così che “la carità nella verità
pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del
dono. L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime e
ne attira la dimensione di trascendenza. Talvolta, prosegue,
l’uomo moderno è erroneamente convinto d’essere il solo
autore di sé stesso, della sua vita e della società, presunzione
invece che deriva soltanto dal peccato originale. Ma ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di
gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi. Infatti ha indotto l’uomo a fare
coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di
benessere materiale e di azione sociale”.
Con ciò, si toglie alla Storia la speranza cristiana, potente
risorsa sociale, perché incoraggia la ragione e le dà la forza di
orientare la volontà, suscitata dalla fede nutrita dalla carità.
Come la carità, anche la verità è dono, non prodotto da noi,
ma sempre trovato, o, meglio, ricevuto, che s’impone, in un
certo senso, all’essere umano. La carità nella verità è una
forza che unifica gli uomini. Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente
umano, di fare spazio al principio della gratuità come
espressione di fraternità (num. 34).
Secondo la dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente, nel
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mercato, la giustizia commutativa, si deve applicare anche la
giustizia distributiva e la giustizia sociale. Senza forme
interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non
può pienamente espletare la propria funzione economica.
Ed oggi è questa fiducia che è venuta meno, perdita grave.
E’ interesse del mercato promuoverne l’emancipazione, ma
per fare ciò, deve attingere energie morali da altri soggetti
capaci di generarle (num. 35).
“L’attività economica deve essere finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica”. Guai quindi a separare l’agire economico, cui spetterebbe solo produrre ricchezze, dalla
responsabilità politica, cui spetterebbe perseguire la giustizia
mediante la redistribuzione.
Infatti, il mercato non esiste allo stato puro, esso è indirizzato da ideologie, per cui può orientarsi in modo negativo, non è
quindi lo strumento a dover esser chiamato in causa, ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e
sociale. La sfera economica non è né eticamente neutrale né
di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all’attività dell’uomo, e proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente (num.36).
La giustizia, prosegue Benedetto XVI, riguarda tutte le fasi
dell’attività umana: ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale. I canoni della giustizia devono
essere rispettati sin dall’inizio, mentre si svolge il processo
economico, e non già dopo. La vita economica ha senz’altro bisogno del contratto, per regolare i rapporti di scambio
tra valori equivalenti. Ma ha anche bisogno di leggi giuste
e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica e inoltre, di
opere che rechino impresso lo spirito del dono (num. 37).
Nell’epoca della globalizzazione, l’attività economica non
può prescindere dalla gratuità, che dissemina e alimenta la
solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti attori. Si tratta, in definitiva, della
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forma concreta e profonda di democrazia economica
(num. 38).
Quando la logica del mercato e quella dello Stato si accordano tra loro per imporre il monopolio nei rispettivi ambiti di
influenza, alla lunga vengono meno sia la solidarietà nelle
relazioni fra i cittadini, sia la loro partecipazione e quindi
l’agire gratuito. Il binomio esclusivo “mercato-Stato” corrode la socialità, mentre le forme economiche solidali, che
trovano il loro terreno migliore nella società civile senza
ridursi ad essa, creano socialità.
Il mercato della gratuità non esiste, e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti, però, sia il mercato sia la
politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco
(num. 39).
Anche nel campo dell’impresa Benedetto XVI precisa la
necessità di profondi cambiamenti. La sua gestione, sottolinea infatti, non può tener conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le
altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di
produzione, la comunità di riferimento, l’ambiente naturale.
Investire non è solo un fatto tecnico ma anche umano ed
etico. Bisogna evitare che il motivo per l’impiego delle risorse finanziarie sia speculativo e ceda alla tentazione di cercare solo profitto di breve termine, e non anche la sostenibilità dell’impresa a lungo termine.
Sebbene il lavoro e la conoscenza tecnica siano un bisogno
universale, non è lecito “de localizzare” solo per godere di
particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento,
senza apportare alla società locale un vero contributo per la
nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore
imprescindibile di sviluppo stabile (num. 40).
L’imprenditorialità ha e deve sempre più assumere un significato plurivalente. Non solo l’imprenditore privato contrapposto al dirigente statale, ma è importante offrire ad ogni
lavoratore l’opportunità di lavorare in proprio, perché ogni
lavoratore è creatore.
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Al fine di realizzare un’economia che nel prossimo futuro
sappia porsi al servizio del bene comune è opportuno tenere
conto di questo significato esteso di imprenditorialità. Questa concezione più ampia favorisce lo scambio e la formazione reciproca tra le diverse tipologie di imprenditorialità, con
travaso di competenze dal mondo no-profit a quello profit e
viceversa, da quello pubblico a quello proprio della società
civile, da quello dell’economie avanzate a quello di Paesi in
via di sviluppo.
Anche l’autorità politica ha un significato plurivalente sia a
livello locale, sia nazionale e internazionale (num. 41).
“Infine, a proposito della globalizzazione, il Pontefice ricorda che essa non è solo un processo socio-economico, ma l’occasione per cui l’umanità diviene sempre più interconnessa.
A priori essa non è né buona né cattiva. Sarà invece ciò che
le persone ne faranno. E’ un fenomeno multidimensionale e
polivalente che esige d’essere colto nella diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica.
Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione
dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di
condivisione” (num. 42).
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Gianluca POTESTÀ
Presentazione
Nel nostro ciclo di conferenze dedicato a L’uomo e il
denaro gli incontri con gli storici ci permettono di conoscere
autori e ricerche in corso nei centri europei più avanzati,
offrendoci nel contempo la possibilità di intendere quali rapporti intercorrano, ai più vari livelli, tra finanza e lavoro, in
questo caso finanza e produzione pittorica.
Già allievo della École normale supérieure e membro
della École française de Rome, attualmente docente all’università di Versailles/Saint-Quentin-en-Yvelines, Etienne
Anheim gode del faticoso privilegio di far parte dei comitati
di redazione di due delle più antiche e prestigiose riviste
storiche correnti: la “Revue de Synthèse” e le “Annales”.
La prima, fondata nel 1900 da Henri Berr (si chiamava allora “Revue de Synthèse historique”), si qualificò
inizialmente come promotrice di studi delle realtà locali
francesi.
La rivista si volse in tale direzione, allora nuova, non
soltanto per quella volontà di “democratizzazione” della
ricerca storica spesso evocata a proposito del suo fondatore.
Berr voleva in realtà muovere dal particolare per giungere a
sintesi sempre meno parziali dei grandi fatti della società
civile e politica francese. In tale prospettiva la rivista si propose fra le prime l’obiettivo di oltrepassare gli steccati delle
discipline e di rendere fluidi i confini fra storia, storia della
letteratura, storia dell’arte e soprattutto geografia.
La connessione stretta con la geografia indicava una
pista feconda per la ricerca storica, il cui territorio appariva
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fin da allora minacciato dalla crescita impetuosa della nuova
scienza sociologica. Di fatto, la collaborazione dava forza e
sostanza all’idea humboldtiana della collaborazione interdisciplinare, nella prospettiva di “comprendere piuttosto che
innovare: invece di voler essere Sé, occorre sforzarsi di
essere tutti”, diceva Berr. Occorre reagire contro gli eccessi
dello specialismo, lottare “contro la morte lenta della routine,
del meccanismo”, aggiungeva nel 1910.
Da questa apertura interdisciplinare nasceva l’ideale
di una rivista destinata a rinnovarsi e a ringiovanire continuamente per aprirsi a sfide metodologiche sempre nuove e alla
pluralità dei linguaggi in divenire, all’incrocio fra storia,
filosofia e scienze sociali.
In questo spirito Lucien Febvre fondò nel 1929, con
Marc Bloch, le “Annales”, inizialmente “Annales d’histoire
économique et sociale”, dal 1994 “Annales, Histoire, Sciences
Sociales”: una rivista più volte rinnovatasi nel titolo e nella
redazione, composta oggi da cinque membri fra cui Etienne
Anheim, ma nella cui direzione siedono tuttora alcuni grandi
maestri fra cui Jacques Le Goff, Emmanuel Le Loy Ladurie,
François Revel e Marc Ferro.
Le “Annales” si sono caratterizzate e tuttora si caratterizzano per l’apertura interdisciplinare, come luogo di dialogo ragionato tra le differenti scienze dell’uomo, al di fuori di
ogni orizzonte angustamente specialistico ed eurocentrico.
Ma le prerogative che le hanno rese forse uniche nel panorama delle riviste sono state forse altre: fondamentalmente, la
capacità degli studiosi di non lavorare come singoli, ma di
fare gruppo (benché non mancassero divergenze personali
anche notevoli), e così facendo di affermarsi in Francia e di
affermare la propria proposta storiografica nel mondo (la
Scuola delle “Annales”) grazie a strategie istituzionali pragmatiche e flessibili, dimostratesi capaci di sorreggere e consolidare la posizione del gruppo sul piano istituzionale.
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Grazie soprattutto a Febvre, Morazé e Braudel, le
“Annales” hanno fortemente influito sulla politica scientifica
della Francia prima e dopo la guerra, in misurata ma esplicita rivalità con riviste storiche concorrenti, in primo luogo
tedesche. Inizialmente presenti nella École pratique des
hautes études (VIe section), il gruppo ebbe poi un ruolo decisivo nella nascita della Ecole des hautes études en sciences
sociales.
Con il prof. Anheim siamo ormai giunti, se calcolo
bene, alla quinta generazione degli “Annalisti”. Tanto più,
quindi, la sua relazione sarà per noi interessante, in quanto
potrà rappresentare un’occasione per conoscere le tendenze
attuali di questa grande tradizione storiografica nel prisma
delle ricerche di uno dei suoi esponenti più giovani e promettenti. Queste riguardano principalmente le forme della culture savante alla fine del Medio Evo.
Partito da questioni di storia intellettuale e di teoria
musicale, Anheim dedicò la sua tesi di dottorato alla cultura
di corte avignonese durante il pontificato di Clemente VI,
papa dal 1342 al 1352. Attualmente sta preparando uno studio sulla storia economica e sociale dei cantieri di pittura dei
papi, con l’edizione dei documenti contabili riguardanti il
XIV secolo. Ha inoltre in preparazione un saggio, a partire
dalla sua thèse, sul mecenatismo alla corte di papa Clemente
VI, imperniato sulle connessioni fra mecenatismo musicale,
pittorico e letterario.
Nella conferenza tratterà delle grandi linee dei meccanismi economici e finanziari in vigore sui cantieri di pittura
dei papi dalla fine del XIII secolo (quando i papi erano ancora a Roma) agli inizi del XV. L’idea di fondo è che per comprendere la produzione pittorica alla corte papale occorra
tenere conto delle istituzioni finanziarie pontificie e in special
modo dello sviluppo delle pratiche contabili. Si deve anche
allo sviluppo e alla messa a punto delle pratiche contabili,
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profondamente innovate dai papi avignonese, il progressivo
affermarsi di una nuova forma di dipendenza dei pittori dalla
corte. Già artigiani indipendenti, essi furono progressivamente integrati nell’amministrazione curiale, fino a diventare
un vero servizio permanente del Papato.
Tale esperienza del XIV secolo resta a fondamento
anche dei grandi cantieri d’affresco romani del secolo XV: un
elemento dunque di continuità fra l’Avignone papale del ‘300
e la Roma papale della seconda metà del ‘400, dopo la fine
del Grande scisma.
Prospettive di ricerca come quella praticata da Etienne Anheim sono importanti per gli studiosi non solo della storia della Chiesa romana e del Papato, ma anche della storia
della finanza e della stessa storia dell’arte, i cui sviluppi sono
condizionati da fattori economici più di quanto talvolta si
pensi; e non solo in virtù dell’antico e ben noto fenomeno del
mecenatismo, bensì anche in forza dello sviluppo della nuova
contabilità finanziaria, che dal Tardo medioevo contrassegna
e permea tutti i mondi vitali, compresi quelli artistici e religiosi.
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Prof. Etienne ANHEIM
Maître de Conferénces all’Università di Versailles/Saint-Quentin-en-Yvelines
“Il finanziamento della pittura alla corte dei papi (sec.
XIII-XV)”
Alla fine del Medioevo i papi sono tra i più importanti
committenti artistici in Occidente, all’origine di realizzazioni
come gli affreschi del Sancta Sanctorum del Laterano, gli
affreschi avignonesi o quelli del Palazzo vaticano del Quattrocento. Se queste opere sono state studiate dagli storici dell’arte, la gestione economica e finanziaria della committenza
è rimasta però ancora poco analizzata. Dal mio punto di vista,
l’organizzazione economica della committenza pontificia
consente di porre tre quesiti di rilievo, che meriterebbero
delle risposte.
Il primo riguarda il ruolo delle questioni economiche e
finanziarie nella storia della cultura, in questo caso della pittura: vorrei mostrare in quale misura questo tipo di studio può
contribuire a spiegare la prassi del primo Rinascimento,
nonché l’emergere del moderno artista di corte.
Il secondo quesito riguarda un problema economico. In
questa economia della pittura, si tratta di sapere se la posta in
gioco è prima di tutto quantitativa, avendo a che fare con il
settore della pittura e i suoi mutamenti in termini di peso economico, o se non sia piuttosto qualitativa, circoscrivendosi
alla gestione, alla ripartizione e al controllo del denaro.
Infine, il terzo problema è più generale. Si tratta della
continuità nei rapporti tra la Curia e i pittori, particolarmente
nel contesto del cosiddetto esilio avignonese e del ritorno
successivo a Roma: è lecito chiedersi se Avignone abbia
veramente rappresentato una rottura o meno nella storia della
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committenza pontificia, e interrogarsi sulla causa di tale rottura - o assenza di rottura.
Presenterò queste riflessioni in tre punti: dapprima
l’eredità romana alla fine del Duecento, poi il sistema avignonese sotto Giovanni XXII, Benedetto XII e Clemente VI,
dunque nella prima metà del Trecento, infine la questione del
ritorno a Roma (fine Trecento/inizi Quattrocento).
L’eredità romana alla fine del Duecento
La conoscenza che abbiamo della committenza pittorica alla corte dei papi del Duecento è molto parziale, principalmente per due ragioni.
La prima è ovviamente la scomparsa al tempo stesso
delle fonti e delle opere, in molti casi. Così, è quasi impossibile dare un’immagine vera e completa della committenza
curiale in materia pittorica per i due primi terzi del secolo
tredicesimo, e non è più possibile descrivere le modalità di
finanziamento, né il peso economico della committenza stessa. Se è vero che si conosce piuttosto bene un certo numero
di opere, come gli affreschi della cappella S. Silvestro della
Chiesa dei Quattro Santi Coronati, gli elementi sono però
troppo sporadici per dar luogo a una vera analisi.
La situazione cambia nell’ultimo terzo del Duecento, in
particolare a partire del pontificato di Nicolò III Orsini, che
segna una svolta nella documentazione, ma apparentemente
anche nelle pratiche. Tra il 1277 e l’inizio del Trecento è conservata una serie abbastanza notevole di opere eseguite su
ordinazione di papi come Nicolò III o Nicolò IV, o di cardinali, anche essi molto impegnati nella committenza artistica,
come Jacopo Stefaneschi, Jacopo Colonna o Napoleone Orsini, che portarono a Avignone, grazie alla loro longevità, il
ricordo delle chiese romane.
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Di più, bisogna aggiungere l’immenso cantiere della
basilica di Assisi, i cui legami con la Curia sono ben
conosciuti. Quest’abbondanza di opere conservate consente
di sottolineare un primo punto: lo sviluppo, soprattutto a partire da Nicolò III, di una pratica collettiva molto ampia all’interno della Curia, quella della committenza pittorica, in parallelo alla mosaicistica o alla scultura. È qui che si rivela
l’importanza dello studio materiale delle opere: in effetti,
nello stesso momento in cui la pratica della committenza
cresce, la tecnica di realizzazione subisce un cambiamento
radicale. Nei cantieri romani di Cavallini, a Santa Cecilia in
Trastevere così come ad Assisi, si osserva non solo la comparsa d’una nuova estetica, ma anche d’una nuova organizzazione tecnica ed economica che la sostiene. Vediamo la
comparsa di «équipes» numericamente importanti, che permettono di risparmiare tempo, denaro e materiale, con pittori
che lavorano in parallelo secondo una ripartizione specializzata dei compiti, e tutto ciò dà luogo a un incremento della
produttività e della qualità.
Questa «nuova pittura» diventa quasi una forma obbligata d’investimento economico per i papi e i grandi cardinali.
Tuttavia i documenti d’archivio mancano quasi completamente, soprattutto quelli riguardanti la stessa committenza
pontificia. Grazie ad alcuni testimoni sparsi, ci si può fare
un’idea del denaro in gioco, il più delle volte tra qualche
centinaia e una o due migliaia di fiorini per cantiere. Ma è
quasi impossibile sapere di più sulla ripartizione dei costi,
sulle forme concrete del finanziamento o ancora sui meccanismi di controllo.
Queste difficoltà conducono a mettere in evidenza la
seconda ragione che spiega la nostra conoscenza ristretta dell’economia della pittura nell’ambiente del papato duecentesco. Non è soltanto perché le fonti sono sparite; è anche
perché, in una certa misura, non sono mai esistite. In effetti
bisogna pensare che la camera apostolica che si è largamente
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sviluppata nel corso del secolo quattordicesimo, assumendo
la funzione di gestire il denaro del papato, rimane ancora alla
fine del Duecento un’istituzione allo stato piuttosto embrionale. I frammenti di contabilità conservati, in particolare
sotto Bonifacio VIII, mostrano i limiti dell’organizzazione
finanziaria e della tecnica contabile. Fuori della casa del
papa, che costituisce un ambito tradizionalmente gestito dai
chierici della camera, le spese sono effettuate grazie alla tecnica del mandato (mandatum), di modo che sono registrati
solo pagamenti puntuali fatti a una persona che doveva
eseguire una spesa precisa. Di più, dobbiamo tener conto del
fatto che, a quest’epoca, la camera apostolica non ha il personale né la tecnica necessaria, e che la contabilità, di fatto, è
subappaltata a tre famiglie di banchieri toscani, Mozzi, Spini
e Chiarenti. In queste condizioni, si capisce che risulti così
difficile ricostruire l’economia della committenza – e
quest’impossibilità è già, in se stessa, un’informazione. In
effetti, si può dedurre dalla situazione della camera apostolica che molto probabilmente, come lasciano pensare i documenti riguardanti la committenza dei cardinali, le operazioni
fossero trattate una dopo l’altra. Gli artisti figurano come
imprenditori esterni al mondo curiale, e in questo la Curia
non faceva altro che conformarsi al modello normale che
dominava l’Occidente medievale nel campo della produzione
artistica, come testimoniano i più vecchi documenti notarili a
proposito della pittura, per esempio i contratti senesi di Duccio di Buoninsegna.
Insomma, l’eredità romana nel campo della committenza pittorica dei papi si caratterizza per tre aspetti:
1. Una tradizione d’investimento nella pittura e un peso
economico preponderante in questo campo, all’interno dello
spazio romano.
2. Una relativa debolezza dell’organizzazione finanziaria
e una gestione «contrattuale» della committenza.
3. Una collaborazione con «équipes» di pittori organizzati in una maniera moderna, sul modello della bottega
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giottesca.
È quindi necessario serbare in mente questa eredità
romana per capire meglio il papato avignonese, che nello
stesso tempo recupera e trasforma queste pratiche. Insisto su
questo punto perché il problema mi sembra notevole da un
punto di vista storiografico. I francesi hanno avuto l’abitudine eccessiva di considerare il papato avignonese come
un’unità completamente chiusa e separata, senza confrontarla sufficientemente con la situazione romana. Ma da un altro
lato la storiografia italiana ha esagerato l’idea della parentesi
avignonese, spesso senza mostrare a che punto Avignone sia
stato un vero «trait d’union» tra Duecento e Quattrocento. La
committenza papale lo dimostra chiaramente: mentre la
partenza della Curia segna la fine della grande produzione
pittorica romana (il che mostra come il mercato della pittura
fosse dipendente della presenza della Curia), ad Avignone si
sviluppa una committenza che è diretta conseguenza dell’installazione dei papi.
Avignone sotto Giovanni XXII (1316-1334) e
Benedetto XII (1334-1342)
Il primo papa avignonese, Clemente V, non è stato
molto impegnato nel campo della committenza, anche se vi
sono eccezioni. In questi casi, il papa ha seguito le pratiche
romane, incluso il sistema finanziario. La camera apostolica
ha conosciuto una sola trasformazione, l’abbandono dei
banchieri fiorentini in vista di un controllo diretto; ma un
controllo sempre troppo debole per essere qualcosa di più che
episodico; la camera è quindi rimasta di fronte ai pittori in
posizione di cliente.
È sotto il pontificato di Giovanni XXII che questa situazione evolve radicalmente. Eletto nel 1316, è lui il vero
responsabile dell’installazione avignonese della Curia.
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Riprende la tradizione romana quanto alla pittura, poiché nei
mesi successivi alla sistemazione nel palazzo vescovile di
Avignone, divenuto in effetti la sede apostolica, lancia un
grande programma di decorazione pittorica del palazzo.
Qui interviene un altro cambiamento decisivo, introdotto da Giovanni XXII. La sua prima riforma, appena eletto alla
cattedra apostolica, è stata la trasformazione completa della
struttura della camera apostolica. Nel tempo stesso in cui
Giovanni XXII promulga le bolle per rafforzare la centralizzazione dell’attribuzione dei benefici, dunque aumentando
molto le entrate pontificie, questo papa dota la Curia di una
camera dei conti estremamente moderna, servita da professionisti della contabilità, che costituiscono poco a poco una
vera burocrazia. L’effetto di tale riforma è non solo la forte
crescita della quantità di denaro disponibile, ma soprattutto la
sua gestione in un modo molto più preciso.
Sarebbe troppo lungo descrivere i dettagli del funzionamento di questa nuova camera apostolica, per questo faccio
solo un breve riassunto. Il principio generale è l’uso di un
sistema piramidale dei registri dei conti. Al livello più basso,
il denaro pontificio speso da un qualunque ufficiale deve
essere registrato in un quaderno, e questi quaderni sono regolarmente riconsegnati a un superiore gerarchico per essere
controllati. Dopo di che, gli stessi risultati sono riportati nella
contabilità intermedia, per giungere infine al vertice della
gerarchia, negli uffici della camera apostolica centrale, dove
sono controllati e registrati sotto forma di riassunto nei cosiddetti grandi libri della camera, che contengono i conti annuali delle entrate e delle uscite, organizzati in rubriche tematiche.
Il sistema del mandato, controllato da poche persone,
lascia il posto a un nuovo sistema di resa dei conti e di controllo, che necessita di un numero di scrittori e di notai molto
più rilevante, ma consente una trasformazione completa dei
22
rapporti finanziari tra il papato e i suoi interlocutori. Questa
riforma del 1316 ha una incidenza notevole su tutti i settori,
e anche sulla pittura, in primo luogo perché provoca un
enorme aumento delle fonti, grazie a queste procedure scritte
di controllo, in secondo luogo perché modifica la situazione
dei pittori di fronte alla camera apostolica: questi non sono
più solo artigiani esterni, ma si integrano progressivamente
nella struttura curiale attraverso questo controllo che registra
le spese di giorno in giorno.
Il pontificato di Giovanni XXII mostra un primo stadio
di questo sistema. Così, già nel 1317 si trova una serie continua, fino al 1322, di conti settimanali concernenti il lavoro
pittorico nel palazzo vescovile di Avignone, come si vede per
esempio qui di seguito1 :
[f. 77v] Item die 16 julii [1318] solvi Mundono
pictoris pro 14 pannis de foliis dauratis de stagno 3 s. 6 d.
Item solvi pro 14 libr. de aurpimento quas emerat
pro picturis de capella de sancto stefano 15 s. 2 d.
Item solvi pro ovis 10 s. 5 d.
Item solvi pro uno panno de stagno albo 2 d.
Item solvi pro aqua cocta 11 s.
Item solvi pro candelis 4 d.
Item solvi pro uno cartayrono de quintalo de ocra
3 s.
Item solvi pro repo pro ligando pinsellis 3 d.
Item solvi Petro Gaudrani pro 5 jornalibus quos
fecit ad pingendum ad Sanctum Stefanum pro jornali 5 s. summa 25 s.
Item solvi tribus aliis magistris pro 17 jornalibus
pro jornali 4 s. 6 d. summa 76 s. 6 d.
1
Archivio Segreto Vaticano, Fondo della Camera Apostolica, Introitus et Exitus 18.
23
[f. 78] Item solvi tribus aliis pro 14 jornalibus
quos fecerunt ad pingendum capellam de Sancto
Stefano pro jornali 4 s. et valent 56 s.
Item solvi duobus aliis pro 12 jornalibus quos
fecerunt idem pro jornali 3 s. 6 d. summa 42 s.
Item solvi duobus aliis pro 12 jornalibus quos
fecerunt ad pingendum molendum coloras (sic)
pro jornali 2 s. summa 24 s.
Item solvi cuidam garsiono pro 6 jornalibus quos
fecit idem pro jornali 18 d. faciunt 20 s.
Appaiono qui alcuni tratti caratteristici del finanziamento della committenza pittorica. I conti settimanali si dividono in due parti: le spese per il materiale e il colore e il
pagamento dei salari. Riguardo al materiale, possiamo notare
la precisione nelle quantità, nel prezzo unitario o nel peso di
riferimento, così come l’indicazione del totale. Circa i salari,
l’aspetto più interessante è la menzione sistematica del
numero di giorni lavorati e del salario per giorni, ciò mostra
che l’unità economica vera del lavoro nel cantiere è la giornata. Si noti infine chi è il responsabile della redazione del
conto: Guillaume de Cucuron, il soprintendente del cantiere,
che usa la prima persona singolare. Si rivolge alla camera
apostolica, cui rende conto, spiegando a chi ha pagato che
cosa.
Questa organizzazione, evidente nella contabilità di
Giovanni XXII e stabile durante tutto il suo pontificato, suscita parecchie osservazioni.
1. La struttura del conto dimostra bene che da un punto
di vista economico la pittura è assimilata ai lavori artigianali,
in particolare a quelli dell’artigianato dell’edilizia, che costituisce il modello di riferimento per l’organizzazione.
2. I pittori lavorano all’interno di un’équipe, diretta da
Pierre du Puy, chiamato pictor pape o più spesso solo pictor,
che suddivide il lavoro. Però, si nota che i salari sono versati
24
ai pittori direttamente dal supervisore del cantiere, e non dal
capo dei pittori.
3. I pittori non hanno dunque un rapporto diretto con la
camera apostolica: lavorano per un supervisore, che rende
conto di persona alla camera. Ma non si può più parlare di un
legame contrattuale, sul modello dei contratti italiani della
fine del Duecento o del Trecento: i pittori avignonesi sono
nella situazione di salariati regolari.
4. Dal punto di vista del controllo contabile, questi documenti conservati non sono il livello di base del sistema. In
effetti, per fare questi conti settimanali bisognava esercitare
un primo controllo giornaliero sulla presenza dei pittori e sul
pagamento del materiale, grazie alle ricevute. Ma di questo
livello non si sa quasi nulla, perché questi documenti in
genere non sono stati conservati – ho avuto la fortuna di
trovare un bigliettino di 5 centimetri per 11, nella legatura del
registro del’Archivio Segreto Vaticano Introitus et Exitus 18,
al folio 82, che era un conto preliminare di spese per i colori
e il materiale, a partire dalle ricevute.
Lo studio paleografico dei registri conferma che rappresentano già un livello intermedio di registrazione dei conti.
Nel registro Introitus et Exitus 26 lo scriba che registra è
sempre lo stesso, ma si vedono piccole variazioni nella
dimensione della scrittura e soprattutto nell’inchiostro, che
fanno pensare che il conto fosse tenuto progressivamente.
Bisogna immaginare ogni settimana lo scriba e il pittore – o
il suo aiuto – che stabiliscono il conto settimanale a partire da
documenti precedenti. Nel registro Introitus et Exitus 30
vediamo anche che parecchie settimane sono ricopiate
insieme, l’una dopo l’altra senza pausa, di modo che ogni
tanto il conto conservato è molto posteriore all’esecuzione
del lavoro. Possiamo invece notare che lo scriba è sempre lo
stesso per i lavori d’edilizia, pittura compresa, ciò che lascia
intuire una specializzazione del personale della camera apostolica, fatto che doveva facilitare il controllo.
5. Infine, ultima osservazione, la continuità dell’investi-
25
mento finanziario, rispetto alle pratiche romane o italiane,
sembra grande. I salari, che coincidono con quelli del livello
superiore dell’artigianato senza distaccarsene, sono paragonabili a quelli che s’incontrano per esempio a Orvieto, e l’investimento economico globale, dell’ordine di parecchie
centinaia di libbre per anno e per cantiere, sembra vicino a
ciò che si conosce per Roma, Assisi o Orvieto.
I cantieri di Giovanni XXII sono dunque caratterizzati
dall’eredità delle pratiche di committenza papale della Roma
della fine del Duecento, ma dimostrano una notevole trasformazione, con l’introduzione di un nuovo sistema contabile
che integra i pittori all’interno della cerchia dei salariati dell’edilizia in generale, al servizio della camera apostolica in
maniera relativamente permanente.
Il pontificato di Benedetto XII (1334-1342) prolunga
quello del suo predecessore. Il nuovo papa lancia un nuovo
grande cantiere, distruggendo il vecchio palazzo vescovile e
iniziando la costruzione del palazzo apostolico come lo
conosciamo oggi. In questo ampio progetto, la pittura tiene
un posto importante (si dipinge, per esempio, l’attuale
«Camera del Papa» del Palazzo dei Papi), ciò che conferma
che l’impulso dato dopo Nicolò III è stato perseguito con
continuità.
Il sistema di finanziamento del cantiere di pittura si è un
po’ trasformato negli anni 30 del Trecento, ma conserva le
principali linee che ho descritto2:
[f. 111] Anno domini 1336 prima septimana mensis marcii yey Peyre Peysso fi obrar alacapelha
de nostre senehor le pape ayssi co<m> se fiet.
[f. 119] La terssa seumana de marst alacapelha
[f. 120] maystres penheyres
maystre Joh. Delbon per 6 j. 24 s.
2
Archivio Segreto Vaticano, Fondo della Camera Apostolica, Introitus et Exitus 148.
26
maystre Phelip
per 6 j. 24 s.
Docho de Senha
per 6 j. 15 s.
P. Boyer
per 6 j. 12 s.
Symonet de leo
per 6 j. 12 s.
Robi de Romas
per 6 j. 15 s.
Gr. Rayssa
per 6 j. 12 s.
Joh. Lecog
per 2 j. 3 s.
Peyro Fiyat
per 6 j. 4 s.
[f. 122] Item per 3 libras docra 6 d.
Item per draps abs ad endrapar alacapelha 4 s.
Item per 4 saxs de gip obs alacapelha 3 s. 5 d.
Item per 3 libras daygua cueyta 1 s. 6 d.
Item per carbo 6 d.
Item per huous 2 s. 1 d.
Item per 7 libras de blanquet a 12 d. la libr. 7 s.
Item per 6 libras e mieya de vernis 10 s. 10 d.
Item per mieya libras de verdet 18 d.
Item per fuelha vert e per laca 2 s.
Item per una libras de carmeni 8 s.
Item per una libr. doli de linos 12 d.
Item a Gocho Specier per 2 libras dazur gros a 16
s. la libras 32 s.
Item mays per 2 libras dazur fi a 20 s. la libras 40 s.
Ci sono due differenze rispetto all’epoca di Giovanni
XXII: mentre Guillaume de Cucuron era un chierico e solo
un supervisore contabile delle opere, Pierre Poisson (Petrus
Piscis), il nuovo intermediario, è un artigiano che dirige il
cantiere da un punto di vista tecnico – e questo fatto spiega
probabilmente la seconda differenza, la tenuta dei conti in
vernacolare, e non più in latino.
Malgrado queste differenze, possiamo considerare gli
anni 1310-1340 come caratterizzati da una grande omogeneità. La struttura di registrazione, con la divisione tra
salari e materiale, è sempre la stessa, così come lo sono la
principale unità di valutazione, il peso del materiale o la gior-
27
nata lavorativa. La registrazione rimane settimanale e presuppone un controllo quotidiano. I pittori formano sempre
un’équipe sotto la direzione di un capo, ormai Jean Dalbon, e
l’équipe integrata nella contabilità dell’edilizia (pro operibus
et edificiis). Infine, il controllo è sempre indiretto, poiché i
pittori sono controllati da un maestro delle opere, Pierre Poisson, maestro che rende conto alla camera.
Clemente VI (1342-1352)
L’economia della committenza, pero, è destinata ad
essere stravolta nel successivo decennio. Il sistema di Giovanni XXII e di Benedetto XII lascia posto a una nuova
forma d’organizzazione dei rapporti economici tra Curia e
pittori. Questa evoluzione non riguarda soltanto la pittura, ma
l’intero cantiere edilizio: la gestione organizzata attorno alla
figura di Pierre Poisson sparisce con la sua disgrazia.
Di fronte a questa situazione, la camera apostolica
sviluppa due tipi di relazione con gli artigiani. In alcuni casi,
siccome non c’è più un maestro delle opere, il titolare del
mestiere, per esempio il maestro carpentiere, tratta direttamente con la camera. In altri casi, la camera usa il sistema
molto classico del prefaggio, ossia un contratto preliminare,
per un compito specifico, e dunque un pagamento forfettario.
I pittori rientrano in questo secondo caso e riprendono
il loro lavoro a partire dal 1343, quando un nuovo programma di affreschi comincia ad essere eseguito nella nuova ala
del palazzo dei papi costruita per Clemente VI, così come
nel suo palazzo di Villeneuve-lès-Avignon, dall’altro lato
del fiume Rodano. Quindi la procedura è apparentemente
molto diversa. Quando una stanza o una sala deve essere
affrescata, è fatto un contratto davanti a un notaio della
camera apostolica (ce ne sono solo uno o due conservati per
quest’epoca), un prezzo è fissato (ciò spiega il nome: precio
28
facto, in francese prix-fait) e le spese sono registrate nella
contabilità sotto una sola voce3 :
[17 marzo 1344] Facto precio cum Robino de
Romanis de pingendo cameram, in qua habitat
dominus de Cambornio in hospitio pape Ultra
Rodanum apud Villam Novam : 16 flor.
Questo sistema genera un’organizzazione parcellizzata,
in cui la camera tratta in parallelo con parecchie piccole
équipes di pittori che sembrano indipendenti. Ciò può
apparire come un ritorno all’indietro, al tempo dei contratti
italiani della fine del Duecento, con pittori completamente
esterni alla Curia.
Invece non è così, non solo perché adesso c’è ormai un
rapporto personale tra i pittori e i responsabili della camera,
cosa che non esisteva nel sistema precedente, ma soprattutto
perché a quest’epoca si sviluppa un’altra pratica contabile,
che viene a rafforzare la regolarità dei legami economici tra
la camera apostolica e i pittori: si tratta del pagamento
anticipato, a più riprese. Nella contabilità della camera
questi anticipi sono chiamati «mutua», ma in effetti non corrispondono al loro nome – nel senso che si tratta di denaro
dato in anticipo per pagare i salari e il materiale, senza rimborso, ma con omissione del pagamento finale. Questa differenza tra anticipo e mutuo è molto importante, e mi fermo
un attimo su questo punto. All’inizio del Trecento, quando si
faceva un prefaggio, il pittore, di solito, doveva prendere a
suo carico le spese del cantiere fino alla sua fine. Per questo
il pittore direttore di una bottega riceveva ogni tanto un
anticipo, ma soprattutto doveva o usare la cassa della bottega
o ricorrere al mutuo, attraverso un notaio. Questo caso molto
Archivio Segreto Vaticano, Fondo della Camera Apostolica, Introitus et Exitus 220,
f. 142v = K.-H. SCHÄFER, Die Ausgaben der Apostolischen Kammer, Paderborn,
1914, III, p. 254.
3
29
classico si trova per esempio con Giotto e un altro pittore nel
1309 ad Assisi, come mostra questo testo4:
Restitutio Palmerini et Iocti. Die 4 mensis ianuarii
(…). Iolus Iuntarelli per se et suos heredes fecit
finem et refutationes etc. Palmerino Guidi stipulante pro se et Iocto Bondoni de Florentia de 50
libris denariorum cortonensis quos sibi dare et
solvere tenebatur causa mutui (…).
Ma i contratti di pittura degli anni 1342-1344 alla corte
di Clemente VI seguono un funzionamento diverso. Se apparentemente sembrano prefaggi normali, è perché gli storici
hanno utilizzato come fonte la contabilità finale, annuale, in
cui effettivamente, questi lavori appaiono come contratti
pagati in una sola volta. Ma i livelli di contabilità inferiori
(per esempio la contabilità mensile), che sono poco usati
come fonti, ci danno un altro punto di vista. Nel registro Collectorie 449 sono conservate le tracce dei pagamenti anticipati fatti a Robin de Romans per un prefaggio di 20 fiorini
nell’autunno 1343. Si vede chiaramente che quando il pagamento finale di 20 fiorini fu effettivamente registrato nella
contabilità annuale, 19 fiorini erano già stati pagati, in tre
volte. Altri testimoni, come il registro mensile Introitus et
Exitus 211, lasciano pensare che la pratica fosse generale.
Questo fatto ha un significato ovvio: il prefaggio e la
sua registrazione contabile nascondono un sistema
finanziario regolare, che assomigliava molto a una forma di
salariato, con una certa somma data a intervalli quasi fissi
dalla camera apostolica direttamente a un pittore che doveva
gestire il funzionamento normale del cantiere.
La comparsa nelle fonti di tale sistema d’anticipo è
molto importante per capire l’integrazione dei pittori nella
struttura economica governata dalla camera apostolica. Fa
del pittore un responsabile economico con un cantiere rego-
30
larmente alimentato con denaro della camera.
Un’ultima evoluzione segna la conclusione del sistema
e il sorgere definitivo della nuova dimensione della committenza pittorica alla corte dei papi. All’inizio dei lavori di pittura, nel 1343, un nuovo pittore appare sul cantiere avignonese, Matteo Giovannetti da Viterbo, studiato da Enrico
Castelnuovo in un libro famoso. All’inizio, anche lui lavora
secondo il sistema del prefaggio, ma a partire dall’anno 1345
conquista poco a poco il ruolo di direttore nel campo pittorico. Questa posizione è caratterizzata non solo dal controllo
delle scelte estetiche, ma anche da una concentrazione dei
mezzi finanziari nelle mani di Matteo e da un nuovo tipo di
rapporto con la camera. Un pagamento del 3 gennaio 1346,
relativo all’anno 1345, dà così un idea del cambiamento5:
[21 novembre 1346] Compotus redditus per
magistrum Matheum Iohanneti de Viterbio, pictorem pape, de diversis picturis factis per eum in
palacio Apostolico, prout sequitur et prout in
libro rationum suarum per eum camere assignato plenius continetur: computat incepisse operari
in opere porte capelle magne palacii Apostolici
Avinione et in choro eiusdem capelle 6 aprilis et
finivisse 22 maii 1346, pro quo siquidem opere
computat sibi deberi tam pro se ipso quam suis
operariis 15 libr. 3 s. 6 d. parve ; pro opere consistorii et tabularum altaris pape computat
operasse a 29 maii usque ad 10 novembris 1346,
tam pro dietis suis quam operariorum 263 lib. 7
s. parve.
4
V. MARTINELLI, "Un documento per Giotti ad Assisi", Storia dell’Arte, 19, 1973,
p. 193-208.
Archivio Segreto Vaticano, Fondo della Camera Apostolica, Introitus et Exitus 247,
f. 101v = K.-H. SCHÄFER, Die Ausgaben der Apostolischen Kammer, Paderborn,
1914, III, p. 350, ed. parz., = IE 248, f. 116v-117 = IE 243, f. 117v.
5
31
Item computat soluisse et expendisse in
diversis coloribus ad opus dictorum operum per
eum emptis contentis plenius et specificatis in
dicto libro suarum rationum preter tamen azurio
sibi per nos tradito in summa 72 lib. 2 s. 8 d.,
[totale] 292 flor. 5 s. 2 d. (1 flor. = 24 s.).
La cosa più importante e la precisazione prout in libro
rationum suarum, che a partire da questo momento figura in
ogni pagamento registrato nella contabilità. Questo vuole
dire che Matteo non conclude più un contratto per ciascuna
camera decorata. Il prefaggio sparisce, ormai il cantiere funziona in modo permanente, e a intervalli regolari, Matteo, che
tiene i conti o li fa tenere da uno scriba, rende alla camera il
suo libro di conti, per farlo verificare e fare registrare le sue
spese nella contabilità generale.
Uno di questi libri di conti è stato casualmente conservato, rilegato all’interno di un volume di lettere della cancelleria, il Registro Avignonese 97, pubblicato da Henrich Denifle alla fine dell’Ottocento. Il documento è molto interessante
perché dà l’occasione di avvicinarsi al funzionamento
finanziario e economico dell’équipe di pittori sotto la
direzione di Matteo. Conserva le spese per i lavori effettuati
tra il 12 luglio e il 26 ottobre 1347, nel concistorio e nella
cappella di San Giovanni.
Questo quaderno cartaceo, il cui formato è di un
mezzo folio standard della camera, cioe 140x220 millimetri, incomincia con l’enumerazione di ogni giorno feriale, e
la lista dei nomi dei pittori e del loro salario giornaliero. Il
nome di Matteo chiude sistematicamente la lista. In fondo a
ogni pagina si trova la somma totale dei salari. Accanto a
questa somma, un’altra mano ha scritto ap., per approbatum, ciò che testimonia della procedura di controllo. Dopo
il totale dei giorni di lavoro, la seconda parte del conto registra tutte le spese per i colori, i materiali e gli utensili. Alla
32
fine del conto è fatta la somma generale delle spese,
anch’essa da approvare.
Ma il conto non si esaurisce così. Dopo le spese si trova,
all’ultimo folio, la ricapitolazione dei pagamenti anticipati
ricevuti da Matteo durante il tempo del cantiere. Infine, in
fondo a quest’ultimo folio, la mano che ha scritto le registrazioni d’approvazione ha riportato un riassunto di tutte le
spese presentate da Matteo in questo quaderno, reso alla
camera il 27 ottobre 1347. Il 14 novembre successivo questa
registrazione è ricopiata tale e quale nel grande libro di conto
annuale, a conclusione della procedura contabile.
Questo sistema di rendiconto, che la camera apostolica
usava spesso per gestire i rapporti con gli ufficiali pontifici, è
dunque applicato alla pittura, e dà una forma stabile alla
gestione economica della committenza papale.
Bisogna segnalare che questo sistema, come l’abbiamo
visto con il quaderno, conserva la pratica degli anticipi. Sono
in particolare conservati due registri di pagamenti anticipati,
i registri Introitus et Exitus 239 e 245, che dimostrano come
tutti i cantieri gestiti non più da prefaggi, ma da rendiconti,
continuano a riposare, da un punto di vista finanziario, su
questi pagamenti regolari. Non ci sono più i contratti, i pittori
lavorano ormai regolarmente in tutti i cantieri pontifici, ad
Avignone come a Villeneuve les Avignon o all’abbazia della
Chaise Dieu, sempre sotto la direzione di un capo unico, Matteo Giovannetti, che a partire dal 1346 porta il titolo ufficiale
di pictor pape.
Alla metà del Trecento l’economia della committenza
papale dipende dunque da un sistema complesso, che usa
ampiamente le procedure scritte, soprattutto rendiconti e
anticipi registrati. In quest’ambito, Matteo s’impone come
figura non soltanto di capo dell’équipe e di ideatore del programma iconografico, ma anche come soprintendente delle
33
opere pittoriche. Paga i salari, sovraintende alle spese di
materiale e di colori, anche le più preziose, come l’acquisto
di lapislazzuli per il colore blu, che costa più o meno il prezzo dell’oro. La sua indipendenza finanziaria risulta non da
mutui o dalla sua personale tesoreria, ma dalle anticipazioni
regolari pagate dalla camera apostolica, anticipazioni che
creano una specie di retribuzione fissa, più o meno mensile,
del pittore. Questo sistema permette al papato di conservare
alla corte un’équipe fissa di pittori, che lavorano senza interruzione nei cantieri, oltre a trattare con un solo intermediario
tutte le questioni legate alla pittura. Dal punto di vista di Matteo, la costruzione di questo sistema fa di lui, più che un
imprenditore, un vero ufficiale papale, che gode di una certa
autonomia per essere controllato solo alcune volte nell’anno,
che dispone del controllo completo della produzione, e che è
l’unico interlocutore della camera, a differenza di tutti i suoi
predecessori che dovevano sottoporsi a un supervisore o un
maestro delle opere.
La prima metà del Trecento vede dunque la comparsa di
questo nuovo rapporto tra i pittori e la Curia: se il papato avignonese ha seguito le tracce del papato romano della fine del
Duecento, ha sviluppato nuovi mezzi di controllo e di organizzazione economica della produzione pittorica alla corte.
A questo punto, vorrei presentare due osservazioni,
prima di chiudere. La prima riguarda la natura esatta della
mutazione. L’analisi economica quantitativa, tenendo conto
dell’evoluzione generale dei prezzi e dei problemi di conversione monetaria, dimostra che l’investimento nella committenza pittorica è un po’ cresciuto in valore assoluto, ma
questo non è l’elemento principale. L’elemento principale è
l’organizzazione contabile, e le sue conseguenze sociali ed
economiche sulla pittura di corte. In questa prospettiva
bisogna sottolineare che la vera rivoluzione avignonese nel
campo della pittura non è tanto economica in generale, quanto finanziaria e contabile in particolare.
34
Seconda osservazione, questa rivoluzione finanziaria
non si limita al papato avignonese, ma sembra toccare più
ampiamente il mondo delle grandi corti del Trecento. È difficile precisare dettagliatamente questo punto, perché i documenti contabili spesso scarseggiano per la prima metà del
Trecento, per la corte francese o angioina, per esempio, ma
possiamo almeno confrontare la registrazione finale del
quaderno di Matteo Giovannetti con una registrazione della
contabilità angioina riguardante Giotto, nel 13316 :
Pro pretio calcis gissi sottilis coriorum asinorum
colle certe quantitatis auri fini eris pumbli zinnoneri panni linei petiotiorum argenti et stagni
deaurati otree olei lini carbonum et certarum
aliarum rerum emptarum et receptarum per eum a
diversis personis ac conversarum in opere dicte
magne capelle ac complemento picture dicte
secrete capelle dicti castri nec non pictura unius
cone depicte de mandato nostro in domo Magistri
Zotti Prothomagistri operis dicte picture nec non
salagio seu mercede diversorum magistrorum tam
pictorum quam manualium et manipulorum laborantium certis diebus in opere dicte picture computato pretio vini exhibiti predictis laborantibus
pro potu ipsorum, nec non gagiis exhibitis uni
scriptori scribenti dictas (sic) ipsarum personarum
ac compilanti dictum quaternum ad diversas
utique rationes in dicto quaterno distinctas, facta
summa, uncias trigintaquinque tarenos decem et
novem grana duodecim et medium.
L’analogia è chiara: è molto probabile che la menzione
C. MINIERI-RICCIO, "Genealogia di Carlo II d’Angio Re di Napoli", Archivio
storico per le provincie napoletane, VII, 1882, p. 676 e R. FILANGIERI, "Rassegna
critica delle fonti per la storia di Castel Nuovo, I", Archivio storico per le provincie
napoletane, LXI, 1936, p. 320.
6
35
di Giotto corrisponda alla registrazione di un rendiconto, ed
abbiamo qui un modello napoletano molto vicino al modello
avignonese. Si può anche aggiungere che a Napoli, come si
vede, Giotto diventa ufficiale della corte, con un titolo.
Questi elementi documentano la nascita d’un sistema
economico e finanziario nell’ambito delle corti del Trecento:
appare una vera differenza tra la committenza privata, organizzata da contratti notarili, e una committenza diciamo pubblica, nella quale gli artisti sono integrati all’interno della
economia di corte, ciò che annuncia le carriere curiali degli
artisti del Quattrocento e del Cinquecento.
Il ritorno a Roma
Arrivo all’ultimo punto, il problema del ritorno a Roma.
In effetti, se è importante sottolineare l’eredità romana ad
Avignone, è anche necessario lo studio inverso. L’economia
della committenza papale dopo il ritorno a Roma sembra
direttamente il risultato dell’evoluzione avignonese.
Un primo esempio è quello del cantiere di pittura ordinato da Urbano V al Vaticano nel 1369, durante il suo breve
ritorno a Roma. In quest’occasione, il papa fa affrescare due
cappelle del suo palazzo da un’équipe di pittori riuniti per la
circostanza, con Giovanni da Milano, Giottino e i fratelli
Giovanni e Agnolo Gaddi, i figli di Taddeo Gaddi. Oltre al
fatto che questo gruppo fiorentino sembra prolungare le
scelte estetiche fatte da quasi un secolo, bisogna anche notare
che, a livello economico e finanziario, la continuità non è
meno forte.
La contabilità di questo cantiere è stata conservata, e se
ci sono piccole differenze comprensibili, per esempio nel
vocabolario o per le monete, che sono legate al nuovo
ambiente romano, i grandi princìpi fissati ad Avignone al
36
tempo di Matteo Giovannetti sono sempre in uso. I salari e i
materiali sono contabilizzati a parte, l’unità di registrazione è
la settimana, ma la vera unità di conto dei salari è la giornata
lavorativa, il cantiere è gestito da un pittore che ha un rapporto diretto con il rappresentante della camera apostolica, e
il gruppo gode apparentemente di una certa autonomia finanziaria, dal momento che il rendiconto si fa dopo tre mesi,
ossia un tempo rispondente al sistema di Matteo Giovannetti.
Questa somiglianza potrebbe però essere imputata al
fatto che nel 1369 il cantiere è certo romano, ma rimane sotto
la tutela di una camera apostolica avignonese. Prendiamo
dunque un ultimo esempio, quello dell’economia della committenza sotto Martino V, dopo il ritorno definitivo a Roma
della Curia. Questo salto di mezzo secolo potrebbe sembrare
pericoloso, particolarmente perché durante questo periodo di
Scisma il problema dell’economia della pittura passò certamente in secondo piano nelle preoccupazioni del papato.
Eppure si osserva una continuità delle pratiche finora
alquanto sottovalutata. Quando Martino V lancia il suo programma iconografico, lui e poi il suo successore Eugenio IV
chiamano artisti dell’Italia centrale o settentrionale, come
avevano fatto Urbano V nel 1369 o Clemente VI nel 1343.
Ma soprattutto, contrariamente all’interpretazione di Eugène
Müntz, che ha pubblicato questi documenti alla fine dell’Ottocento, il sistema di finanziamento non è molto cambiato7:
1431. 18 aprile. Item die 18 dicti mensis flor.
auri d. c. 40 solutos magistro Pisanello pictori
pro picturis per eum factis et fiendis in ecclesia
sancti Johannis Lateranensis pro parte suae
provisionis. Mand. 1430-1434, f. 14v.
7
E. MÜNTZ, Les arts à la cour des papes pendant le XVe et le XVI siècle. Recueil
de documents inédits tirés des archives et des bibliothèques romaines, volume 1,
Paris, 1878, p. 47.
37
27 novembre. Provido viro magistro Pisano pictori in ecclesia lateranensi florenos auri de camera 50, in deductionem sui salarii et mercedis
ratione picturae dictae ecclesiae. [marg.] : pro
Pisanello. Ibid., f. 33.
1432. 28 febbraio. Circumspecto viro magistro
Pisano pictori ecclesiae sancti Johannis lateranensis pro complemento provisionis et salarii sui
ratione dictae picturae flor. auri d. c. 75. Ibid., f. 42.
Müntz parla di salari annuali o mensili pagati a Gentile
da Fabriano o a Pisanello, ma l’analisi dei documenti
dimostra che questi salari sono in effetti anticipi (provisiones,
poi deductiones), all’interno di un lavoro controllato dalla
camera apostolica attraverso rendiconti. I princìpi avignonesi funzionano dunque ancora e danno la struttura generale
entro cui si sviluppa la committenza papale del Quattrocento.
Questo non significa che il sistema sia bloccato: c’è
un’evoluzione progressiva verso il pagamento d’un vero
salario mensile o annuale, ogni tanto con una rendita, ma
quest’evoluzione è soltanto l’ultima tappa d’un sistema di
regolarizzazione dei rapporti tra Curia e pittori, reso possibile
dalla coppia rendiconto/anticipo, che rappresenta senza dubbio il crogiolo del salario mensile del pittore principale.
Per concludere in maniera provvisoria, vorrei sottolineare tre punti che mi sembrano importanti.
1. Il primo punto è l’importanza di lavorare sul periodo
completo Duecento/Quattrocento per la storia della Curia, e
non solo nel campo della pittura. Le forti cesure simboliche
costituite dalla partenza per Avignone e il Grande Scisma
tendono a nascondere la profonda continuità dell’istituzione
e della sua organizzazione, come dimostra il caso particolare
della pittura. In questo campo, come probabilmente in molti
altri, colpisce l’unità d’un solo movimento, dal Sancta Sanc-
38
torum di Niccolò III fino al cantiere della cappella Sistina
sotto Giulio II. Durante questo arco di tempo, il papato, avignonese o romano, è un attore preminente nella storia economica della pittura occidentale.
2. Nel corso di questa evoluzione molto omogenea, il
principale contributo del papato avignonese nel campo economico si rivela più qualitativo che quantitativo. Grazie alla
nuova camera apostolica di Giovanni XXII, il papato avignonese pone le fondamenta del sistema finanziario che permette la realizzazione dei grandi programmi di affreschi del
primo Rinascimento.
3. Infine, questo sistema economico-finanziario, che il
papato condivide con altre grandi corti della fine del
Medioevo, è un elemento centrale nella storia dell’arte e
degli artisti. Spiega il ruolo privilegiato delle corti nella
attività artistica, ruolo dimostrato da Martin Warnke nel
suo libro Hofkünstler, ma spiega anche la costruzione dell’opera artistica come valore, attraverso la valorizzazione
economica dell’artista, e fornisce la base per la comparsa
della sua figura moderna, nell’ambito dello sviluppo di un
mercato che non è tanto un mercato delle opere quanto un
mercato dei lavoratori.
Etienne Anheim
Università di Versailles/Saint-Quentin-en-Yvelines
39
Struttura del finanziamento della pittura alla corte
dei papi (sec. XIII-XIV)
40
Bibliografia indicativa
R. ANDRÉ-MICHEL, « Le Palais des papes. Documents inédits »,
Annales d’Avignon et du Comtat Venaissin, 1917, p. 3-124, e 1918,
p. 3-42.
E. ANHEIM, « L’artiste et l’office : financement et statut des producteurs culturels à la cour des papes au XIVe siècle », Offices,
écrit et papauté (XIIIe-XVIIe s.), sotto la direzione di A. JAMME e
O. PONCET, Roma, 2007, p. 393-406.
E. ANHEIM e V. THEIS (dir.), Les comptabilités pontificales.
Mélanges de l’Ecole française de Rome – Moyen Âge, 118/2, 2006,
p. 165-268.
G. ARIAS, « I banchieri toscani e la Santa Sede », Archivio della r.
Società romana per la storia patria, 24, 1901, p. 497-504.
Aux origines de l’Etat moderne. Le fonctionnement administratif de
la papauté d’Avignon, Roma, 1990.
F. BAETHGEN, « Quellen und Untersuchungen zur Geschichte der
päpstlichen Hof- und Finanzverwaltung unter Bonifaz VIII. »,
Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 20, 1928-1929, p. 114-237.
C. BAUER, « Die Epochen der Papstfinanz », Historische
Zeitschrift, 138, 1928, p. 457-503.
E. CASTELNUOVO, Un peintre à la cour d’Avignon. Matteo Giovannetti et la peinture en Provence au milieu du XIVe siècle, Paris,
1996 (edizioni italiane nel 1962 e 1991).
41
ID., « Avignone e la nuova pittura : artisti, pubblico, committenti »,
Aspetti culturali della società italiana nel papato avignonese, Todi,
1981, p. 389-414.
ID., La cattedrale tascabile. Scritti di storia dell’arte, Livorno,
2000.
M. D’ONOFRIO, « Le committenze e il mecenatismo di papa Niccolo III », Roma anno 1300, p. 553-565.
« Des sources à l’œuvre. Etudes d’histoire de l’art médiéval réunies
par Dany Sandron », Bibliothèque de l’Ecole des Chartes, t. 162/1,
gennaio-giugno 2004.
Duccio. Alle origini della pittura senese, sotto la direzione di A.
BAGNOLI, R. BARTALINI, L. BELLOSI, M. LACLOTTE, Milano, 2003.
F. ENAUD, « Les fresques du Palais des papes d’Avignon. Problèmes techniques de restauration d’hier et d’aujourd’hui », Les
Monuments Historiques de la France, n°2-3, aprile-settembre
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M. FAUCON, « Les arts à la cour d’Avignon sous Clément V et Jean
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J. FAVIER, Les finances pontificales à l’époque du Grand Schisme
d’Occident (1378-1409), Paris, 1966.
V. FRANCHETTI PARDO (a cura di), Arnolfo di Cambio e la sua
epoca. Costruire, scolpire, dipingere, decorare, Roma, 2006.
L. FUMI, Statuti e regesti dell’opera di Santa Maria di Orvieto. Il
Duomo di Orvieto e i suoi restauri, Orvieto – Perugia, 2002.
42
J. GARDNER, « Patterns of Papal Patronage circa 1260-circa 1300 »,
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G. GUERZONI, Apollo e Vulcano. I mercati artistici in Italia (14001700), Venezia, 2006.
B. GUILLEMAIN, La cour pontificale d’Avignon (1309-1376). Etude
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L.-H. LABANDE, Le Palais des papes et les monuments d’Avignon
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G. LADNER, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters,
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intérieur », Cahiers de Fanjeaux, 26, 1991, p. 345-366.
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papes », Cahiers de Fanjeaux, 28, 1993, p. 291-311.
P.-Y. LE POGAM, De la « Cité de Dieu » au « Palais du Pape ». Les
résidences pontificales dans la seconde moitié du XIIIe siècle,
Roma, 2005.
43
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Roma, 1966, Aggiornamento scientifico e bibliografico di
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F. PIOLA CASELLI, La costruzione del Palazzo dei Papi di Avignone,
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V. THEIS, « Décrire ou écrire le chantier ? Titres et offices dans les
comptes de construction pontificaux de la première moitié du XIVe
siècle », Offices, écrit et papauté (XIIIe-XVIIe s.), sotto la direzione
di A. JAMME e O. PONCET, Roma, 2007, p. 643-666.
44
A. TOMEI, « La pittura e le arti suntuarie : da Alessandro IV a Bonifacio VIII (1254-1303), Roma nel Duecento, p. 321-403.
D. TORACCA, « Sinopie et dessins de Matteo Giovannetti (13441353), Monument de l’Histoire. Construire, reconstruire le Palais
des Papes (XIVe-XXe siècle), Paris, 2002, p. 78-81.
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D. VINGTAIN, Avignon. Le palais des papes, La Pierre-qui-Vire,
1998.
ID., « Rapide aperçu du développement chronologique du Palais
des Papes », Monument de l’Histoire. Construire, reconstruire le
Palais des Papes (XIVe-XXe siècle), p. 23-28.
M. WARNKE, L’artiste et la cour. Aux origines de l’artiste moderne,
Paris, 1990 (edizione tedesca 1985).
S. WEISS, Die Versorgung des päpstlichen Hofes in Avignon mit
Lebensmitteln (1316-1378). Studien zur Sozial- und Wirtschaftsgeschichte eines mittelalterlichen Hofes, Berlin, 2002.
ID., Rechnungswesen und Buchhaltung des Avignoneser Papsttums
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D. WOOD, Clement VI. The Pontificate and Ideas of an Avignon
Pope, Cambridge, 1989.
B. ZANARDI, Giotto e Pietro Cavallini. La questione di Assisi e il
cantiere medievale della pittura a fresco, Milano, 2002.
45
Archivio Segreto Vaticano, Fondo della Camera Apostolica,
Introitus et Exitus 18.
1
Archivio Segreto Vaticano, Fondo della Camera Apostolica,
Introitus et Exitus 148.
2
Archivio Segreto Vaticano, Fondo della Camera Apostolica,
Introitus et Exitus 220, f. 142v = K.-H. SCHÄFER, Die Ausgaben der
Apostolischen Kammer, Paderborn, 1914, III, p. 254.
3
V. MARTINELLI, « Un documento per Giotti ad Assisi », Storia dell’Arte, 19, 1973, p. 193-208.
4
Archivio Segreto Vaticano, Fondo della Camera Apostolica,
Introitus et Exitus 247, f. 101v = K.-H. SCHÄFER, Die Ausgaben der
Apostolischen Kammer, Paderborn, 1914, III, p. 350, ed. parz., = IE
248, f. 116v-117 = IE 243, f. 117v.
5
C. MINIERI-RICCIO, « Genealogia di Carlo II d’Angio Re di
Napoli », Archivio storico per le provincie napoletane, VII, 1882,
p. 676 e R. FILANGIERI, « Rassegna critica delle fonti per la storia di
Castel Nuovo, I », Archivio storico per le provincie napoletane,
LXI, 1936, p. 320.
6
E. MÜNTZ, Les arts à la cour des papes pendant le XVe et le XVI
siècle. Recueil de documents inédits tirés des archives et des bibliothèques romaines, volume 1, Paris, 1878, p. 47.
7
46
47
48
ADERENTI ALLA ASSOCIAZIONE
PER LO SVILUPPO DEGLI STUDI DI BANCA E DI BORSA
Allianz Bank Financial Advisors, S.p.A.
Anima SGR S.p.A.
Asset Banca S.p.A.
Associazione Nazionale per le Banche Popolari
Banca Agricola Commerciale della Repubblica di San Marino
Banca Agricola Popolare di Ragusa
Banca Aletti & C. S.p.A.
Banca Antoniana - Popolare Veneta
Banca di Bologna
Banca della Campania S.p.A.
Banca Carige S.p.A.
Banca Carime S.p.A.
Banca Cassa di Risparmio di Asti S.p.A.
Banca CRV - Cassa di Risparmio di Vignola S.p.A.
Banca della Ciociaria S.p.A.
Banca Commerciale Sammarinese
Banca Esperia S.p.A.
Banca Fideuram S.p.A.
Banca del Fucino
Banca Imi S.p.A.
Banca di Imola S.p.A.
Banca per il Leasing - Italease S.p.A.
Banca di Legnano S.p.A.
Banca delle Marche S.p.A.
Banca Mediolanum S.p.A.
Banca del Monte di Parma S.p.A.
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.
Banca Nazionale del Lavoro S.p.A.
Banca Network Investimenti S.p.A.
Banca della Nuova Terra S.p.A.
Banca di Piacenza
Banca del Piemonte S.p.A.
Banca Popolare dell’Alto Adige
Banca Popolare di Ancona S.p.A.
Banca Popolare di Bari
Banca Popolare di Bergamo S.p.A.
Banca Popolare di Cividale
Banca Popolare Commercio e Industria S.p.A.
Banca Popolare dell’Emilia Romagna
Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio
Banca Popolare di Garanzia S.p.A.
Banca Popolare di Intra S.p.A.
Banca Popolare Lodi S.p.A.
Banca Popolare di Marostica
Banca Popolare del Mezzogiorno S.p.A.
Banca Popolare di Milano
Banca Popolare di Novara S.p.A.
Banca Popolare di Puglia e Basilicata
Banca Popolare Pugliese
Banca Popolare di Ravenna S.p.A.
Banca Popolare di Sondrio
Banca Popolare di Spoleto S.p.A.
Banca Popolare Valconca S.p.A
Banca Popolare di Verona - S. Geminiano e S. Prospero S.p.A.
Banca Popolare di Vicenza
49
Banca Regionale Europea S.p.A.
Banca di San Marino
Banca di Sassari S.p.A.
Banca Sella S.p.A.
Banco di Brescia S.p.A.
Banco di Desio e della Brianza
Banco di Napoli S.p.A.
Banco Popolare Scpa
Banco di San Giorgio S.p.A.
Banco di Sardegna S.p.A.
Barclays Bank Plc
Carichieti S.p.A.
Carifermo S.p.A.
Cariromagna S.p.A.
Cassa Lombarda S.p.A.
Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A.
Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A.
Cassa di Risparmio di Cento S.p.A.
Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A.
Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A.
Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A.
Cassa di Risparmio di Foligno S.p.A.
Cassa di Risparmio Friuli Venezia Giulia S.p.A.
Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A.
Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia S.p.A.
Cassa di Risparmio di Prato S.p.A.
Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A.
Cassa di Risparmio della Repubblica di S. Marino
Cassa di Risparmio di Rimini S.p.A.
Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.
Cassa di Risparmio di Savona S.p.A.
Cassa di Risparmio della Spezia S.p.A.
Cassa di Risparmio del Veneto S.p.A.
Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A.
Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A.
Cedacri S.p.A.
Centrobanca S.p.A.
Cerved S.p.A
Credito Artigiano S.p.A.
Credito Bergamasco S.p.A.
Credito Emiliano S.p.A.
Credito di Romagna S.p.A.
Credito Siciliano S.p.A.
Credito Valtellinese
CSE - Consorzio Servizi Bancari
Deutsche Bank S.p.A.
Eticredito Banca Etica Adriatica
Euro Commercial Bank S.p.A.
Federazione Lombarda Banche di Credito Cooperativo
Federcasse
Findomestic Banca S.p.A.
Intesa SanPaolo S.p.A.
Istituto Centrale Banche Popolari Italiane
Mediocredito Trentino Alto Adige S.p.A.
SEC Consorzio Bancario Servizi Informatici
Sedicibanca S.p.A.
SIA-SSB S.p.A.
UBI Banca Scpa
UBI Banca Private Investment S.p.A.
UBI Pramerica SGR S.p.A.
50
UGF Banca S.p.A.
Unicredit Banca S.p.A.
Unicredit Credit Management Bank S.p.A.
Unicredit Banca di Roma S.p.A.
Unicredito Italiano S.p.A.
Veneto Banca Holding Scpa
Amici dell’Associazione
Arca SGR S.p.A.
Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
Banca Intesa a.d. Beograd
Casse del Centro S.p.A.
Centro Factoring S.p.A.
Finsibi S.p.A.
Fondazione Cassa di Risparmio di Biella S.p.A.
Kpmg S.p.A.
51
QUADERNI PUBBLICATI
N.
1
Dionigi Card. Tettamanzi
“ORIENTAMENTI MORALI DELL’OPERARE
NEL CREDITO E NELLA FINANZA”
Introduzione di G. Vigorelli - F. Cesarini - novembre 2003
N.
2
G. Rumi - G. Andreotti - M. R. De Gasperi
“UN TESTIMONE DELL’APPLICAZIONE DELL’ETICA
ALLA PROFESSIONE: ALCIDE DE GASPERI”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2004
N.
3
P. Barucci
“ETICA ED ECONOMIA NELLA «BIBBIA» DEL CAPITALISMO”
Introduzione di G. Vigorelli - aprile 2005
N.
4
A. Ghisalberti
“IL GUADAGNO OLTRE IL NECESSARIO: LEZIONI
DALL’ECONOMIA MONASTICA”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2005
N.
5
G.L. Potestà
“DOMINIO O USO DEI BENI NEL GIARDINO DELL’EDEN?
UN DIBATTITO MEDIEVALE FRA DIRITTO E TEOLOGIA”
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2005
N.
6
E. Comelli
“IL RUOLO DELLA DONNA NELL’ECONOMIA:
LA TRADIZIONE EBRAICA”
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2005
N.
7
A. Profumo
“L’IMPRENDITORE TRA PROFITTO, REGOLE E VALORI”
Introduzione di G. Vigorelli - ottobre 2005
N.
8
S. Gerbi
“RAFFAELE MATTIOLI E L’INTERESSE GENERALE”
Introduzione di G. Vigorelli - novembre 2005
N.
9
A. Bazzari
“ASPETTI ECONOMICI DELLA CARITÁ ORGANIZZATA”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2005
N.
10
L. Sacconi
“PUÒ L’IMPRESA FARE A MENO DI UN CODICE MORALE?”
Introduzione di G. Vigorelli - febbraio 2006
N.
11
S. Piron
“I PARADOSSI DELLA TEORIA DELL’USURA NEL MEDIOEVO”
Introduzione di G. Vigorelli - aprile 2006
N.
12
A. Spreafico
“MERCATO, GIUSTIZIA, MISERICORDIA: riflessione biblica”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2006
52
N.
13
L. Castelfranchi
“IL DENARO NELL’ARTE”
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2006
N.
14
D. Tredget
“I BENEDETTINI NEGLI AFFARI E GLI AFFARI COME VOCAZIONE:
L’EVOLUZIONE DI UN QUADRO ETICO PER LA NUOVA ECONOMIA”
Introduzione di G. Vigorelli - ottobre 2006
N.
15
G. Forti
“PERCORSI DI LEGALITÀ IN CAMPO ECONOMICO:
UNA PROSPETTIVA CRIMINOLOGICO-PENALISTICA”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2006
N.
16
V. Colmegna
“ASPETTI ECONOMICI E NON DI UNA FONDAZIONE:
L’ESPERIENZA DELLA CASA DELLA CARITÀ”
Introduzione di G. Vigorelli - gennaio 2007
N.
17
I. Musu
“CRESCITA ECONOMICA E RISORSE ESAURIBILI: LA SFIDA
ENERGETICO-AMBIENTALE”
Introduzione di G. Vigorelli - gennaio 2007
N.
18
G. Cosmacini
“LA QUALITÀ DELLA MEDICINA TRA ECONOMIA ED ETICA:
UNA VISIONE STORICA”
Introduzione di G. Vigorelli - febbraio 2007
N.
19
D. Antiseri
“LA «VIRTÙ» DEL MERCATO NELLA TRADIZIONE
DEL CATTOLICESIMO LIBERALE”
Introduzione di G. Vigorelli - marzo 2007
N.
20
N. Kauchtschischwili
“DOSTOEVSKIJ E IL DENARO”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2007
N.
21
E. Reggiani
“BEAU IDÉAL. HARRIET MARTINEAU
E UNA RAPPRESENTAZIONE DEL CAPITALIST”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2007
N.
22
P. Cherubini
“STUDIARE DA BANCHIERE
NELLA ROMA DEL QUATTROCENTO”
Introduzione di G. Vigorelli - luglio 2007
N.
23
C. Casagrande
“IL PECCATO DI AVARIZIA NEL MEDIOEVO”
Introduzione di G. Vigorelli - ottobre 2007
N.
24
A. Varzi
“IL DENARO È UN’OPERA D’ARTE (O QUASI)”
Introduzione di G. Vigorelli - novembre 2007
53
N.
25
L. Ornaghi
“INTERESSE E ANTROPOLOGIA INDIVIDUALISTA:
IL POSSESSIVISMO ‘MODERNO’”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2007
N.
26
R. Rusconi
“MONTE DI DENARO E MONTE DELLA PIETÀ
PREDICAZIONE, PRESTITO A USURA E ANTIGIUDAISMO
NELL’ITALIA RINASCIMENTALE”
Introduzione di G. Vigorelli - marzo 2008
N.
27
A. Perego
“IL CITTADINO-CONSUMATORE E IL MERCATO:
VITTIMA O PROTAGONISTA?”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2008
N.
28
G. Vaggi
“DALLA MONETA IN ADAM SMITH AI DERIVATI,
OVVERO LA FINANZA E LA PRODUZIONE DI RICCHEZZA”
Introduzione di G. Vigorelli - maggio 2008
N.
29
F. Botturi
“LA RICHEZZA DEL BENE COMUNE”
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2008
N.
30
G. Ceccarelli
“DENARO E PROFITTO A CONFRONTO:
LE TRADIZIONI CRISTIANA E ISLAMICA NEL MEDIOEVO”
Introduzione di G. Vigorelli - luglio 2008
N.
31
S. Natoli
“IL DENARO E LA FELICITÀ”
Introduzione di G. Vigorelli - dicembre 2008
N.
32
D. Rinoldi
“CORRUZIONE PUBBLICA E PRIVATA, UNITÀ DEL MONDO, SOCIETÀ LIQUIDA”
Introduzione di G. Vigorelli - gennaio 2009
N.
33
G. Costa
“GUGLIELMO RHEDY, HOMO ECONOMICUS”
Introduzione di G. Vigorelli - gennaio 2009
N.
34
A. Cova
“BANCHIERI E BANCHE NELL’EUROPA MODERNA E CONTEMPORANEA:
GIOVANNI ANTONIO ZERBI E JOHN LAW”
Introduzione di G. Vigorelli - febbraio 2009
N.
35
P. Giarda
“LA FAVOLA DEL FEDERALISMO FISCALE”
Introduzione di G. Vigorelli - marzo 2009
N.
36
E. Fehr
“ON SELF-INTEREST AND COMMON INTEREST NEUROECONOMIC
REFLECTIONS”
Introduzione di G. Vigorelli - luglio 2009
54
N.
37
R. Lambertini
“IL DIBATTITO MEDIEVALE SUL CONSOLIDAMENTO
DEL DEBITO PUBBLICO DEI COMUNI”
L’intervento del teologo Gregorio Da Rimini (†1358)
Introduzione di G. Vigorelli - giugno 2009
N.
38
A. Varzi
“IL FILOSOFO E I PRODOTTI DERIVATI”
Introduzione di G. Vigorelli - luglio 2009
N.
39
M. Onado
“CRISI FINANZIARIA E REGOLE”
Introduzione di G. Vigorelli - ottobre 2009
55
Per ogni informazione circa le pubblicazioni ci si può rivolgere alla Segreteria
dell’Associazione - tel. 02/62.755.252 - E-mail: [email protected] - sito web: www.assbb.it
Finito di stampare novembre 2009
56