Comportamenti di confine. Cattolici e valdesi nell`età della
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Comportamenti di confine. Cattolici e valdesi nell`età della
Istituto di Politica, Amministrazione, Storia, Territorio - PAST PAST Monografie n. 1 Novembre 2012 Comportamenti di confine. Cattolici e valdesi nell'età della confessionalizzazione Marco Battistoni UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e Sociali Marco Battistoni Comportamenti di confine. Cattolici e valdesi nell'età della confessionalizzazione ISBN 978-88-907893-0-4 Tutti i manoscritti pubblicati in questa collana sono sottoposti a peer review Istituto di Politica, Amministrazione, Storia, Territorio – PAST Via Cavour 84 15121 Alessandria http://past.unipmn.it MARCO BATTISTONI Comportamenti di confine. Cattolici e valdesi nell’età della confessionalizzazione. Indice Ringraziamenti Introduzione III 1 I. La costruzione di un confine confessionale 16 Dalla tolleranza al genocidio: le Valli valdesi nella seconda metà del Seicento I valdesi di Faetto tra abiura e resistenza (1664-1686) L’inchiesta del 1725 Le conversioni durante il secolo XVIII 16 18 23 26 II. Regimi demografici a confronto 30 La popolazione nelle Valli Valdesi tra la fine del secolo XVII e l’inizio del secolo XIX Consistenza e andamento demografici Composizione religiosa della popolazione I cattolici della parrocchia di Trossieri e i valdesi della chiesa di Villasecca nel secolo XVIII Una demografia differenziale? 30 30 35 36 48 Appendice. Alcuni Approfondimenti 50 I limiti delle fonti Andamenti secolari e stagionali delle nascite, delle morti e dei matrimoni Indici demografici dalla ricostruzione nominativa delle famiglie a) Mortalità b) Nuzialità e natalità 50 50 52 53 57 III. Terra e credito in una società confessionale 58 Un mercato di antico regime Presenza delle colture sul territorio e nelle transazioni Il mercato della terra e il credito Credito e confessione religiosa: propaganda e realtà Vendite, condizioni di pagamento e indebitamento 58 63 67 69 71 IV. Parenti e correligionari: scambio economico e distanza sociale 78 I Ambiti di circolazione delle tipologie produttive Acquirenti e venditori: catene di transazioni Sviluppi congiunturali Dimensioni e bilanci delle compravendite Le forme del credito Dal 1760: gli effetti di una crisi 79 81 91 94 97 101 V. Credito, solidarietà e coesistenza religiosa 104 I creditori: eredità materiali e simboliche Il mondo dei debitori Circuiti valdesi Famiglie cattoliche sulla via dell’emarginazione? Il capitale di un’élite 105 109 109 114 118 Appendice. Credito e carità: il testamento Barus 120 Conclusioni 122 Opere citate 127 II Ringraziamenti Questo libro è frutto di un lungo percorso, più volte ripreso e interrotto. Ora, nel momento di congedarlo, ricordare tutte le persone che vi hanno in qualche modo contribuito è compito quasi impossibile. L’idea stessa della ricerca all’origine del libro si deve a Sandro Lombardini, che è stato inoltre costantemente presente, con la sua ispirazione, i suoi insegnamenti e il suo incoraggiamento, lungo tutte le fasi dell’analisi e dell’esposizione dei suoi risultati. Senza il suo sostegno, questo lavoro non sarebbe mai giunto a compimento. Chi avrà la pazienza di leggere queste pagine si accorgerà poi facilmente dell’enorme debito contratto nei confronti della lezione di Giovanni Levi. Le conversazioni intrattenute con lo stesso Giovanni Levi, con Mauro Ambrosoli e con Osvaldo Raggio hanno inoltre direttamente contribuito a indirizzare il cammino della ricerca soprattutto durante le prime, cruciali, fasi del suo svolgimento. Quando si è infine trattato di concluderla, determinante è stato l’aiuto di Luciano Allegra. Gli devo, tra molte altre cose, la preziosa opportunità di discuterne i risultati al seminario interdisciplinare sull’integrazione delle minoranze da lui coordinato. Nel ringraziare tutti i partecipanti al seminario per l’attenzione con la quale hanno accolto il mio intervento, non posso fare a meno di menzionare singolarmente almeno i contributi critici straordinariamente penetranti ricevuti da Marco Buttino e dallo stesso Luciano Allegra. Gran parte della mia attività di ricerca si è svolta sotto la guida di Angelo Torre e, nei suoi esiti meno insoddisfacenti, credo ne riveli l’impronta. Confido che sia così anche in questo caso. Devo inoltre ad Angelo Torre numerosi contributi puntuali per meglio definire l’inquadramento concettuale e storiografico del tema qui affrontato. La mia intensa ammirazione per l’opera di Giacomo Todeschini e la mia gratitudine per gli insegnamenti e i consigli che ho avuto la fortuna di ricevere personalmente non trovano certamente adeguata espressione nel presente lavoro; ritengo tuttavia se ne possa rinvenire una traccia, nella misura in cui esso si allontana da una lettura dicotomizzante del rapporto fra cultura e agire socioeconomico. A Matthew Vester e Sarah Alyn Stacey sono grato, oltre che per i ricchissimi stimoli intellettuali che traggo dal nostro rapporto, per la possibilità di aver potuto discutere di tematiche riguardanti l’interazione fra cattolici e riformati nei colloqui internazionali sulla storia dei territori sabaudi da loro organizzati. Da ultimo, vorrei ricordare due amici della Società di Studi Valdesi. Daniele Tron mi ha spesso fornito indicazioni indispensabili per questa ricerca, ma soprattutto ne ha segnato la via attraverso i suoi studi pionieristici di storia sociale delle popolazioni valdesi, che costituiscono per chiunque voglia addentrarsi nella materia un punto di riferimento irrinunciabile. Gabriella Ballesio, grazie alla sua inesauribile competenza e dimestichezza con le fonti, è sempre stata un’interlocutrice perspicace e di grande aiuto dal punto di vista archivistico e bibliografico. III Fig. 1. Faetto e la Val San Martino. Carta di localizzazione. IV Introduzione 1. I protagonisti di questo libro sono gli abitanti di un territorio alpino del Piemonte del secolo XVIII, popolato da cattolici romani e da valdesi, questi ultimi eredi di una dissidenza religiosa medievale, mutatasi in chiesa calvinista intorno alla metà del secolo XVI.1 Lo studio si incentra dunque sulle transazioni economiche e politiche che contribuirno a plasmare il profilo sociale dei due gruppi e le modalità della loro coesistenza. Il trattamento concesso ai valdesi dal contesto istituzionale e legale dello stato sabaudo consisteva in una limitata tolleranza dell’esercizio pubblico della loro religione entro limiti territoriali definiti, inaugurata, grazie al trattato di Cavour, nel 1561, cioè all’indomani stesso della reintegrazione della dinastia sabauda nei suoi domini dopo venticinque anni di occupazione francese. Questi limiti territoriali comprendevano alcune vallate alpine (la designazione cumulativa “Valli valdesi” s’imporrà molto più tardi) prossime alla città provinciale di Pinerolo, situata poche decine di chilometri a ovest di Torino.2 All’interno dei confini fissati, i valdesi, piccola minoranza a livello dello stato, rappresentavano spesso la maggioranza della popolazione. In alcuni casi, la popolazione cattolica era concentrata territorialmente (ad esempio nei borghi di Luserna e Perrero); più spesso viveva accanto a quella valdese negli stessi villaggi e borgate. La nozione di “tolleranza” va ovviamente intesa nel senso restrittivo che le era comunemente attribuito nella cultura politica prevalente in antico regime, cioè di forzata accettazione per motivi contingenti di una soluzione lontana da quella tenuta per idealmente soddisfacente: in questo caso, l’universale osservanza dell’ortodossia cattolico romana. Il parziale riconoscimento concesso all’esistenza legale del culto valdese si accompagnava alla proibizione della conversione al protestantesimo o del ritorno a esso da parte di convertiti al cattolicesimo (considerati crimini punibili con la morte). Al contempo, le Valli valdesi erano teatro di un concentrato sforzo missionario da parte di ordini religiosi quali cappuccini e gesuiti, attivamente sostenuto dalla politica ducale. Il trattato di Cavour fu infine cancellato con un tratto di penna nel 1686 dal duca Vittorio Amedeo II, allineatosi con la politica religiosa del potente alleato francese all’indomani della revoca dell’editto di Nantes. Questa drastica iniziativa, che portò all’imprigionamento, alla deportazione o all’esilio di pressoché tutta la popolazione valdese, si rivelò temporanea e già nel 1690 fu a 1 Su questo passaggio storico cfr. Cameron, 1984; Cameron, 2000; Audisio, 1989; Paravy, 1993; Biller, 2001. Si tratta della Val Luserna (odierna Val Pellice), della Val Perosa (bassa Val Chisone: tra il 1631 e il 1696 in mano alla Francia, con Pinerolo) e della Val San Martino (Val Germanasca). Al di fuori dello stato sabaudo, una nutrita popolazione valdese, nella prima età moderna integrata nella Chiesa Riformata di Francia, viveva da secoli in varie zone del Delfinato e della Provenza. Queste zone comprendevano la Val Pragelato (alta Val Chisone) e l’alta Val di Susa, territori del Delfinato ceduti dalla Francia allo stato sabaudo in seguito al trattato di Utrecht del 1713. Inoltre, fino al terzo decennio del secolo XVII, prima di essere cancellata attraverso l’esilio e le conversioni forzate, la presenza valdese era notevole anche nelle Valli Po e Maira, come più in generale diffusa era quella riformata nel resto del Marchesato di Saluzzo, occupato dai Savoia nel 1588 e definitivamente incorporato nel 1601. Sui limiti e sulle contrastanti rappresentazioni del territorio delle “Valli valdesi” in antico regime cfr. Tron, 2001; Fratini, 2007. 2 1 sua volta revocata, ma determinò egualmente quello che oggi non esiteremmo a definire un genocidio,3 causando la perdita da un terzo alla metà degli abitanti delle Valli valdesi. Anche dopo l’abbandono delle misure cruente di soppressione della minoranza religiosa sperimentate nel secolo XVII, la conversione di valdesi al cattolicesimo continuò a essere attivamente promossa dallo stato e dalla chiesa attraverso un apparato istituzionale specializzato, con incentivi materiali, quali elemosine, prestiti agevolati, sistematica concessione di sgravi fiscali ai convertiti e, più in generale, alla popolazione cattolica delle comunità delle Valli valdesi. Ancora più sostanziali erano probabilmente gli incentivi negativi costituiti dalle inabilità civili imposte ai valdesi, che, ad esempio, precludevano loro la via degli uffici, restringevano l’accesso a professioni come il notariato e sottoponevano a misure speciali ogni permanenza al di fuori dei limiti territoriali in cui era loro consentito di risiedere. Si delinea, dal 1690, una situazione a prima vista paradossale: quella di una minoranza religiosa la cui esistenza, nel contesto ostile di uno stato intensamente confessionale e tendenzialmente assolutistico, riposa su ragioni ed equilibri di politica internazionale. In queste condizioni, sebbene decimata, essa riuscirà nuovamente a imporsi quale interlocutrice delle autorità politiche sabaude. La storiografia sul valdismo della prima età moderna si è spesso occupata dei rapporti dei suoi aderenti con le autorità politiche ed ecclesiastiche, specialmente nel quadro degli episodi più intensi di persecuzione e conflitto e dei negoziati intervenuti susseguentemente. Assai minore attenzione ha ricevuto invece la quotidianità dei rapporti locali. Fallito lo sradicamento manu militari, si inaugura infatti un’epoca segnata dal ripristino di un regime di tolleranza discriminatoria, che rimarrà in vigore fino all’emancipazione del 1848, dopo la parentesi di liberazione sotto il governo napoleonico. In parte, la tendenza a privilegiare in maniera esclusiva gli episodi di guerra di religione deriva dall’impianto fattualistico (e talvolta apologetico) delle opere maggiori della storiografia dedicata ai valdesi nell’età moderna, ormai tutte piuttosto datate, che non consente di registrare le fasi di calma o di stallo se non come vuoti fra picchi di alta concentrazione narrativa.4 D’altro canto, tuttavia, queste opere partecipano di una tendenza intellettuale di lunga durata assai più generalizzata a cogliere i rapporti fra gruppi religiosi 3 A oggi l’unica definizione legale internazionale di genocidio è quella datane dall’articolo II della Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948 con la risoluzione 260 (III) (riprodotto dall’articolo VI dello Statuto di Roma della Corte internazionale criminale adottato il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1 luglio 2002), che elenca una serie di atti “commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso” (corsivo mio). Questi atti comprendono: l’uccisione di membri del gruppo; l’infliggere loro gravi danni fisici o mentali; la deliberata imposizione di condizioni di vita intese a provocare la totale o parziale distruzione fisica del gruppo; l’imposizione di misure intese a prevenire le nascite nel gruppo; il trasferimento forzato dei bambini del gruppo a un altro gruppo. Tutti questi atti rientrano fra quelli commessi fra il 1686 e il 1689 a danno della popolazione valdese. Le interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali hanno sensibilmente esteso l’elenco del 1948. Quanto all’intento, c’è diffuso consenso sul fatto che sia sufficiente un intento “generale” a caratterizzare il crimine, ossia una sorta di dolo eventuale, la consapevolezza (postulabile come effettiva o anche solo moralmente ineludibile) che le azioni intraprese avrebbero causato le conseguenze di fatto provocate (cfr. Jones, 20102; Morton, Singh, 2003). 4 Una notevole eccezione è rappresentata dall’ampia ricerca di storia sociale e culturale di Daniele Tron (Tron, 1987) e dai numerosi studi pubblicati dallo stesso autore. 2 e, in particolare, fra quelli nati dalla Riforma e dalla Controriforma, soprattutto attraverso la metafora dello scontro e nella contrapposizione.5 Un tratto della storiografia recente è la concentrazione sulle espressioni simboliche della differenza tra cattolici e protestanti della prima età moderna. In questo filone di studi, i materiali storici, siano essi verbali, iconografici o comportamentali, si ritrovano spesso unificati entro una prevalente concezione ‘testuale’ dei fenomeni sociali.6 Nella prospettiva adottata, ad esempio, da alcuni celebri lavori di Natalie Zemon Davis, idee, motivazioni e comportamenti si saldano in pratiche culturali integrate da significati coerenti che costituiscono ed esprimono identità. Essere cattolici o protestanti consiste in una essenziale divergenza di orientamenti cognitivi, valoriali e normativi, che condiziona tutte le situazioni di interazione.7 Questo approccio non postula necessariamente immobilismo o impermeabilità alle influenze tra identità distinte, essendo compatibile con processi di scambio e cambiamento che si realizzano nella forma del “meticciato” e della “ibridazione” culturale.8 Si tratta però di una polarità che, in quanto tale, non può considerarsi esaustiva, specialmente quando si tratta di spiegare le situazioni in cui la dissonanza culturale, senza dissolversi, non impedisce una robusta cooperazione tra i soggetti che ne sono portatori. Rispetto allo studio dei rapporti tra gruppi confessionali in chiave di interazione simbolica, l’uscita, nel 1993, del libro di Gregory Hanlon Confession and Community in Seventeenth-Century France segna uno spostamento di prospettiva teorica e un rinnovato interesse per le situazioni di pacifica coesistenza religiosa.9 Riflettendo, in particolare, su un classico saggio della Zemon Davis, Hanlon sottolinea il carattere problematico del rapporto delle credenze e dei simboli religiosi con il comportamento sociale. Il problema, a un tempo semantico e psicologico, riguarda anzitutto la stabilità e la coerenza del contenuto della fede e del simbolismo a essa associato. Hanlon si richiama qui alle osservazioni di Roger Chartier sulla pluralità e ambiguità di significati come caratteristica inevitabile del segno e di qualunque formazione “discorsiva”. In secondo luogo, rifacendosi questa volta a Paul Veyne, si interroga sulla natura e sul grado dell’adesione dei credenti al credo 5 Tra gli esempi più noti: Estèbe Garrison, 1968; Zemon Davis, 1980; Crouzet, 1990. Una concezione talvolta ispirata al concetto di cultura “essenzialmente semiotico” proposto dall’antropologia simbolica di Clifford Geertz, in particolare nell’ormai classico Geertz, 1973b, parole tra virgolette a p. 5 (per quanto riguarda più specificamente l’interpretazione dei sistemi religiosi, vd anche Geertz, 1973c). Per una critica di applicazioni semplicistiche di suggestioni geertziane in storiografia cfr. Levi, 1985a. Alcune osservazioni critiche sulla riduzione del significato degli spazi sacri a ‘messaggi’ in Coster, Spicer, 2005, specialmente p.15. 7 La centralità del concetto di identità nell’opera di Natalie Zemon Davis è sottolineata da Diefendorf, Hesse, 1993. Uno dei temi principali affrontati nell’opera di questa grande studiosa è tuttavia l’intersezione piuttosto che la reciproca estraneità delle culture. Si tratta di una fenomeno che si realizza attraverso la compresenza di molteplici identità nell’individuo, derivanti dalla sua partecipazione a forme di socialità governate da sistemi di valori divergenti. La concorrenza o il conflitto fra tali sistemi consente inoltre agli individui stessi di fabbricare o manipolare consapevolmente la propria identità a partire dalle opzioni culturali disponibili (cfr. ibid., in particolare, pp. 3 e 8). 8 Zemon Davis, 2001. Sul “meticciato”, cfr. Amselle, 1999. 9 Hanlon, 1993, pp. 9-11. Il saggio dal quale prendono avvio le considerazioni di Hanlon è Zemon Davis, 1981. Sul piano di una storia intellettuale attenta al rapporto “fra sentimento religioso ed esigenze sociali… fra idee ed azione politica”, le tendenze ireniche al tempo delle guerre di religione sono naturalmente l’oggetto del fondamentale studio di Corrado Vivanti (Vivanti, 1963; citazione a pp. 11-12). 6 3 professato. È realistico ipotizzare che gli individui cerchino sempre di conformare la loro condotta allo “spirito e alla lettera” delle dottrine religiose alle quali sottoscrivono? Il nesso motivazionale tra credenze, idee, e comportamento viene messo radicalmente in dubbio e Hanlon afferma di volerlo “relegare alla periferia” nell’economia della sua argomentazione. L’analisi si apre quindi alle forme di legame interpersonale e di solidarietà (locale, di parentela, di vicinato, di corpo, di classe) che, attraverso la mediazione di miriadi di decisioni individuali, si intrecciano e interagiscono con i vincoli creati dall’appartenenza confessionale. A una prospettiva che individua nella conformità ai dettami religiosi la matrice dei comportamenti succede così un modello processuale, imperniato sul frequente “pragmatismo” delle scelte compiute dai singoli e sui loro effetti aggregati. A partire dalla pubblicazione del libro di Hanlon, un modello interpretativo assai influente, quello della “confessionalizzazione” viene radicalmente decostruito e contestata la sua implicita teleologia. “Adattamento” e “negoziazione” si sostituiscono all’immagine di un percorso ineluttabile, precoce e prevalentemente governato ‘dall’alto’, verso la fissazione delle identità confessionali.10 L’incontro-scontro tra confessioni, ad esempio, è alla base del “modello di costruzione del confine confessionale” proposto da Keith Luria per rendere conto della sorprendente variabilità delle situazioni locali incontrate nella Francia dell’Editto di Nantes – dalla larga e pacifica integrazione di cattolici e protestanti entro forme di socialità comunitaria e di buon vicinato alla cristallizzazione di due gruppi antagonisti in ogni sito di potenziale interazione.11 Si tratta in effetti di un modello generativo, dal quale scaturisce una tipologia articolata in tre poli principali. Anzitutto, una varietà “indistinta” e altamente fluida di confine confessionale che nasce dalla presenza di molteplici attività e interessi condivisi fra i membri di due gruppi religiosi.12 Segue un tipo più definito e pervasivo di confine, non esente da tensioni, ma che ancora si accompagna a una misura sostanziale d’intesa e collaborazione tra i due gruppi. Alla base, troviamo qui la puntuale negoziazione, spesso con l’intervento di autorità esterne, della condivisione o separazione degli spazi pubblici e degli ambiti di potere locale. Il terzo e più stridente tipo di coesistenza-divisione confessionale è quella autoritaria imposta dai commissari regi. Nel modello di Luria, non diversamente che nell’interpretazione di Hanlon, le possibilità di convivenza, l’antagonismo confessionale o le scelte assimilazionistiche dipendono in ultima analisi dal bilancio fra interessi e lealtà differenti – da un lato, affiliazione religiosa, dall’altro, famiglia, luogo, nazione, o altri gruppi di riferimento. Luria propone in tal modo una storicizzazione delle nozioni di fede e di conversione religiosa nell’Europa dell’età del 10 Per una rassegna di temi e letteratura concernente il paradigma della confessionalizzazione cfr. Reinhard, 1994 e Boettcher, 2004. 11 Luria, 2005, in particolare pp. 1-3. Nella recente storiografia, la nozione di “adattamento” sembra sostituirsi progressivamente a quella di “confessionalizzazione” come immagine dei processi socioculturali connessi alla diffusione della Riforma e della Controriforma: cfr. ad esempio Jones, 2002. 12 Così come da un’enfasi sull’identità civica. Una possibilità alternativa è però che in questi casi l’apparente armonia si a dovuta al basso profilo adottato dal gruppo più debole in una situazione di grande squilibrio delle forze. 4 confessionalismo che rende conto dell’evidente “incorporazione” degli “interessi sociali e politici dei credenti”.13 L’approfondimento delle condizioni della coesistenza dimostra la possibilità storica di identità religiose multiple e situazionali, nelle quali a una convinta identificazione in termini rigorosamente confessionali si accompagna il riconoscimento di un comune patrimonio ideale e pratico cristiano come valido terreno d’intesa interconfessionale.14 Su questo piano è anzi stata avanzata qualche critica a espressioni come “tolleranza della razionalità pratica”, coniata da Robert Scribner,15 o “pragmatismo” in relazione alla convivenza confessionale, in quanto sembrano istituire una contrapposizione anacronistica fra religione e razionalità.16 Se i presupposti teorici appaiono non di rado discordanti e problematici, la ricerca sta comunque ottenendo importanti risultati nel delucidare il significato e il posto della tolleranza delle minoranze (in senso numerico e/o di rapporti di potere) religiose nell’Europa della prima età moderna e del confessionalismo. Si tratta di un tipo di tolleranza assai diverso e limitato rispetto alla variante postilluministica e liberale, ma di cui ora si sottolinea la diffusione e l’efficacia nel garantire livelli accettabili di pace civile e di ‘governabilità’ della differenza. L’interesse degli studiosi non si limita agli aspetti propriamente giuridici della tolleranza,17 volgendosi all’esperienza quotidiana degli aderenti a confessioni diverse e rivali che si trovavano a dover convivere. Nell’esperienza degli europei della prima età moderna, la tolleranza fa parte di un idioma che non ha soverchie difficoltà ad “accomodarla” accanto al suo opposto, l’intolleranza, e all’esclusivismo confessionale, in un continuum di sfumature. L’intransigenza confessionale, la pretesa al monopolio dello spazio pubblico, possono così articolarsi con altre, contraddittorie, percezioni e tradizioni che consentono l’“accomodamento” e la “negoziazione” tra visioni e modi di vita concepiti in linea di principio come alternativi. Ne deriva sul piano cognitivo e delle emozioni un campo di possibilità che consente ai singoli individui di muoversi fra tolleranza e intolleranza in momenti e sfere differenti della loro esistenza senza che le loro attitudini subiscano alterazioni permanenti.18 13 Luria, 1996, in particolare, p. 26; vd. anche Luria, 2009, che inquadra le concezioni alternative di conversione religiosa come trasformazione “volontaristica” e come effetto di conformità esteriore imposta attraverso la coercizione (entrambe discusse e in diversa misura legittimate dalla teologia sia cattolica sia protestante della prima età modena), in un quadro che postula comunque la deferenza della coscienza individuale a un’autorità esterna (“libertà di coscienza” significa soltanto libertà di scegliere fra autorità ecclesiastiche concorrenti). 14 Cfr., ad esempio, Spohnholz, 2011. 15 Scribner, 1996. 16 Ad esempio in Spohnholz, 2011, p. 223. 17 Su questi, in riferimento alla situazione dei valdesi, cfr. Zwierlein, 2008. 18 Le manifestazioni di ostilità rivolte ai sostenitori della fede tollerata appaiono spesso innescate da trasgressioni reali o immaginarie nei confronti di un assetto di convivenza che resta di norma distintamente ineguale. Queste infrazioni vengono misurate soprattutto in riferimento a uno schema categoriale che classifica ciò che costituisce rispettivamente la sfera pubblica (riservata alla chiesa dominante, alle sue dottrine e ai suoi rituali) e la sfera privata, secondo criteri molto distanti dai nostri (cfr. Dixon, 2009, dal quale sono tratte le espressioni tra virgolette nel testo; Kaplan, 2007; Safley, 2011). 5 In questa vena, le relazioni confessionali pragmatiche, plasmate più dalle contingenze storia religiosa “concerne più la percezione e attraverso forme di appropriazione, dialogo convivenza quotidiana e ai suoi spazi.20 possono essere descritte come “ambigue e che dai superiori principi della fede”.19 La l’agentività che strutture e idee” e si dipana e negoziazione intorno ai significati della 2. Lo sviluppo della tendenza storiografica sopra delineata appare per molti aspetti parallelo alla più generale “svolta verso la pratica” che negli ultimi due decenni del Novecento si è affiancata e in parte sostituita nelle scienze sociali alla precedente svolta linguistica e culturalistica.21 “Pratica”, per come è spesso usata nella letteratura storiografica e sociologica, è però un concetto che appare come sospeso tra il riferimento a modelli culturali e all’interazione concreta.22 Nel complesso, per la storiografia sociale e culturale nata dalla crisi del paradigma della confessionalizzazione, l’accomodamento al pluralismo religioso, se da un lato allude necessariamente a potenzialità inscritte nell’orizzonte culturale dell’epoca, dall’altro, rimanda inequivocabilmente all’oggettività degli esiti scaturiti dalla Riforma e dai tentativi di reciproco adattamento messi in atto dagli attori sociali che ne sono stati diversamente toccati e trasformati. È questo confronto propriamente creativo con una realtà in larga misura inattesa a rendere intelligibile l’apparente paradossalità dell’accettazione della diversità religiosa in presenza di forti pressioni (e passioni) ideologiche in direzione dell’intolleranza confessionale. Il pragmatismo invocato dagli autori che abbiamo preso in considerazione si apparenta alla concezione di “pratica come azione collettiva” avanzata da Barry Barnes. Per Barnes, nessuna regola potrà mai prescrivere un comportamento con esattezza sufficiente ad assicurarne una riproduzione stabile; le regole sono infatti troppo astratte e indefinite. Le “pratiche condivise” sono quindi “azioni socialmente riconosciute” entro un dato universo culturale non perché incarnino in maniera trasparente una qualche norma. La norma si realizza solo grazie agli sforzi coordinati di attori sociali interdipendenti che, inizialmente guidati dal significato idiosincratico che ciascuno le attribuisce, nel corso della loro interazione aggiustano mutualmente i loro comportamenti. È questa progressiva convergenza e precisazione di intenti ad assicurare la riconoscibilità delle pratiche, non il fatto che seguano direzioni prefissate.23 Per Barnes le norme e i valori culturali sono dunque il risultato più che il presupposto dell’azione collettiva. Tuttavia, nella sua visione, realizzarli rimane il movente di fondo che 19 Dixon, 2009, p. 1. Frijhoff, 2009. Fra le tattiche della convivenza religiosa che gli storici vengono riscoprendo rientrava anche il deliberato oblio, in specifici contesti e in vista di specifici scopi, delle rispettive appartenenze confessionali. Su questo innovativo tema di ricerca, cfr. Karremann et al., 2012. 21 Shatzki et al., 2001. 22 In molte applicazioni, indica anzi un corso di azione in un dato ambito sociale che risponde a schemi normativi preesistenti, sebbene non del livello altamente astratto e dottrinale privilegiato dalle più tradizionali prospettive idealistiche. Per un’esposizione e una critica di queste tendenze sia nella recente storiografia giuridica e culturale sia nell’influente teorizzazione della pratica proposta dalla sociologia di Pierre Bourdieu, cfr. Torre, 1995b. 23 Barnes, 2001. 20 6 orienta il comportamento collettivo. In alternativa, le pratiche possono essere pensate come azioni strategiche mosse da intenzionalità anche molto differenti che si incontrano grazie a un mutuo riconoscimento interessato. La “legittimazione” (o il “riconoscimento sociale”, per dirla con Barnes), che in tal modo ottengono riguarda dunque fasci di azioni interrelate, non è esente da tensioni e, di solito, non lascia immutato il contesto culturale in cui ha luogo, comportando la manipolazione di elementi rituali e codici normativi.24 Concepire le dinamiche fra gruppi religiosi o etnici in termini di azione collettiva fra soggetti diversi guidati da un certo grado di razionalità strategica, ancorché condizionata culturalmente e da limiti cognitivi, comporta un rifiuto del determinismo culturale soggiacente al discorso identitario. Le identità culturali non possono essere interpretate se non come un esito eminentemente pragmatico e provvisorio di processi di interazione sociale.25 Marshall Sahlins ha formulato chiaramente la questione dei processi di “improvvisazione semantica” o “rivalutazione funzionale” dei vecchi significati, che intervengono alla luce di nuove esperienze (ma soprattutto nel contatto con “ordini” culturali alieni). Per Sahlins, una cultura si rinnova attraverso gli eventi, le “congiunture” imprevedibili dell’azione, che “mettono a rischio” i significati invalsi, ma attingendo, in fondo, a riserve generative precodificate, cioè a un “modo di produzione storica” dei significati che le è proprio e la distingue da tutte le altre.26 Come tuttavia osserva Anthony Paul Cohen, una cultura non viene solitamente vissuta come “un sistema coerente di idee”, ma si realizza nella ininterrotta negoziazione fra ciò che è sentito e vissuto da ciascun individuo e forme simboliche che emergono e diventano condivise appunto perché si accomodano a una latitudine di significati e di usi individuali.27 La lettura in chiave di identità etnica o religiosa di fenomeni culturali decontestualizzati non è però solo un abbaglio interpretativo, ma anche una procedura strumentale che risponde a logiche di potere e di interesse.28 In termini molto generali, l’“etnicità” può essere definita come un tipo di rilevanza sociale acquisita selettivamente da certi tratti culturali diffusi in una popolazione a preferenza di altri, in dipendenza di variabili contestuali. I tratti selezionati diventano così un criterio per caratterizzare in modo 24 Torre, 1995b, in particolare pp. 818-824. Una critica demolitrice del discorso identitario in Remotti, 1996 e Remotti, 2010. In campo storiografico, una visione radicalmente costruzionistica dell’identità culturale-religiosa è rappresentata da Allegra, 1996. 26 Muovendo da una nozione di cultura come “ordine significante” precedente, per molti aspetti, l’esperienza e le attività pratiche dei suoi portatori, altrimenti prive di senso, Sahlins è condotto a interrogarsi sul problema dell’incommensurabilità dei significati culturali con la loro estensione, ossia con il loro riferimento al mondo delle cose: i primi sono infatti allo stesso tempo troppo generici e troppo ristretti per rispondere adeguatamente alla concretezza delle seconde nei differenti contesti in cui le si incontra (cfr. Sahlins, 1986, in particolare pp. IX-XX]; Sahlins, 1992, specialmente pp. 9-15 e 49-108). 27 Rinvio, in particolare, ai seguenti lavori di Anthony Paul Cohen: Cohen, 1982; Cohen, 1985; Cohen, 1986. 28 La costruzione delle ‘etnie’ africane a opera dell’etnografia e dell’amministrazione coloniali rappresenta un caso esemplare di come la nozione statica e classificatoria di cultura come “universo delle regole, cioè della fissità delle prescrizioni” sia spesso il frutto dell’isolamento arbitrario di insiemi di pratiche da un più ampio contesto dinamico di relazioni, economiche e/o politiche per esempio, di cui sono in realtà l’espressione. Riformulate come attributi ‘essenziali’ di una collettività umana discreta esse acquistano una coerenza fittizia (cfr. Amselle, 1999, citazione a p. 68). Lo stesso si potrebbe dire di molti comportamenti sociali di cui si è indicata spesso la ‘causa’ in un credo religioso. Una classica contrapposizione teorica alla concezione essenzialistica delle culture in Leach, 2011. 25 7 stereotipato e distinguere quella popolazione nei confronti di altri gruppi umani, pertinente in tutti o in alcuni dei loro ambiti di interazione.29 La frequente connessione dell’etnicità con la competizione per le risorse materiali e il potere è un fatto alquanto scontato, ma ha forse trovato la sua asserzione più radicale nei lavori di Abner Cohen.30 Nella sua visione, strutture culturali e strutture mentali non sono la stessa cosa, ma a far problema non è come le motivazioni e gli appetiti individuali possano produrre scelte collettive. L’esperienza soggettiva è per definizione “caotica” e perlopiù inconscia. Ciò che conta realmente è l’“esistenza oggettiva” dei simboli e dei modelli culturali ai quali si ancora. Questi ultimi sono sì “socialmente creati”, ma una volta in circolazione vengono interiorizzati dagli individui “attraverso un processo continuo di socializzazione”. La loro fissazione e la loro permanenza come contrassegni di etnicità non appartengono tuttavia a una sfera autonoma di attività sociale; si devono, infatti, alla loro funzionalità, contingente ma altrettanto oggettiva, rispetto agli interessi che un gruppo deriva dalla sua posizione entro una determinata struttura sociale. Quando le circostanze lo richiedono, l’identità etnica fornisce infatti una forma di organizzazione “informale” a gruppi di interesse potenziali, offrendo loro le basi per la coesione interna e la delimitazione verso l’esterno.31 Abner Cohen insiste inoltre sul potere cogente ed emotivamente carico dei modelli culturali incorporati nell’identità etnica, respingendo esplicitamente una concezione più ‘debole’ delle categorie etniche come espedienti epistemologici individuati dagli attori sociali per orientarsi dal punto di vista cognitivo e del comportamento in situazioni di pluralismo culturale. Questa concezione, proposta da antropologi quali Max Gluckman, James Mitchell o Fredrik Barth,32 contiene infatti l’idea che i comportamenti apparentemente influenzati dall’etnicità non siano tanto dettati da un modello normativo interiorizzato e dalla spinta di interessi di gruppo spontaneamente e uniformemente condivisi, ma piuttosto siano in larga parte il risultato di manipolazioni strategiche da parte di individui guidati da motivazioni proprie.33 29 Questa definizione ricalca quella proposta da Barth, 1994, sulla quale torneremo più ampiamente in seguito. Cohen, 1994, da cui sono tratte tutte le citazioni letterali fino in corrispondenza della nota seguente. 31 Nella posizione di Abner Cohen sono presenti in tal modo sia una dicotomia fra due entità egualmente collettive sia una loro stretta corrispondenza funzionale: le strutture sociali all’interno delle quali gli interessi si determinano e i sistemi di rappresentazioni culturali che li veicolano sono distinte ma speculari. Cfr. a questo proposito la critica rivolta in Sahlins, 1982, in particolare pp. 55-124, a un tipo di analisi “che mira a far precipitare la struttura concettuale di un codice di oggetti in un messaggio funzionale, come se le cose della cultura non fossero altro che versioni concretizzate di solidarietà sociali”, seguendo in questo una “logica di tipo utilitario”. Sahlins vede la matrice di questa impostazione teorica nella “fatale separazione di Durkheim tra morfologia sociale e rappresentazione collettiva” (ibid., p. 119). 32 L’approccio cognitivistico all’etnicità trova un cardine fondamentale nella nozione di “categorizzazione etnica” o “etichettatura etnica”, formulata da James Mitchell. Con questa espressione Mitchell denota il processo per mezzo del quale gli attori sociali stessi strutturano la loro percezione della distanza sociale che li separa, classificandosi reciprocamente in categorie definite attraverso una selezione di tratti culturali socialmente identificabili e associando a ciascuna di esse determinate aspettative di comportamento (cfr. Mitchell, 1974; Mitchell, 1994). 33 Semplificando, si può parlare di un’ottica contrapposta a quella di Abner Cohen, nella quale l’esistenza sociale del gruppo non è un presupposto dell’esperienza individuale ma è vero semmai il contrario. In ogni caso, se la si adotta, la mobilitazione e il coordinamento in forme di azione collettiva su base etnica delle esperienze e dei fini dei singoli possono essere concepiti solo come problematici, processuali e dipendenti in misura significativa dall’iniziativa imprenditoriale dispiegata da alcuni. 30 8 Questa prospettiva teorica sull’etnicità è in effetti parte di una reazione più generale all’idea che i modelli di regolarità rilevabili nei concreti atti degli individui si possano analizzare soddisfacentemente come “semplici omologhi di macrostrutture della società”, si tratti di strutture di status e ruoli o di sistemi di categorie mentali.34 La ormai celebre concezione di “gruppo etnico” proposta da Fredrik Barth è quella di una pura forma organizzativa svincolata da ogni preciso contenuto culturale. Si tratta cioè di una “categoria di attribuzione e identificazione” elaborata dagli attori sociali stessi e utilizzata per organizzare la loro reciproca interazione. I contenuti culturali sono frutto di una selezione operata nel corso di tale interazione e possono cambiare, sia nel tempo sia in dipendenza della varietà delle condizioni ambientali; allo stesso modo, le persone possono mutare la loro affiliazione. Necessaria e sufficiente è la permanenza di una distinzione culturale percepita come socialmente rilevante dagli attori stessi rispetto ad altre entità analoghe con cui il gruppo entra concretamente in relazione (ossia, non stabilita dallo studioso in rapporto a una tassonomia astratta di unità culturali). In altre parole, è necessaria la permanenza di un confine sociale, che regoli i rapporti fra i diversi gruppi prescrivendo i ruoli che possono assumere i loro membri gli uni nei confronti degli altri. 35 A prima vista, una concezione formalistica e soggettivistica del rapporto fra le identità collettive e le loro basi culturali può sembrare paradossale se applicata alla storia religiosa europea. Cattolicesimo e protestantesimo, nella prima età moderna come in parte ai nostri giorni, erano ovviamente sistemi comprensivi, altamente strutturati e distinti, di dottrine 34 Idea apparentata allo strutturalismo o perlomeno a certe sue varianti (cfr. Barth, 1981e, citazione a p. 35). Barth, 1994. Una concezione soggettivistica, per certi aspetti simile, dei confini culturali come “intrinsecamente contrastivi” e privi di significato obiettivo, “costrutti mentali che condensano simbolicamente le teorie sociali dei loro portatori sulla somiglianza e la differenza”, in Cohen, 1986 (cfr. specialmente p. 17). Nella letteratura antropologica e storiografica è ormai da tempo vivo l’interesse per i confini (territoriali e/o metaforici), visti come siti di interazione rivelatori delle strategie o delle caratteristiche dei soggetti collettivi che si confrontano dalle due parti. Cole, Wolf, 1993, ad esempio, è diventato un classico di esplorazione antropologica dell’etnicità che integra significativamente la dimensione storica (con alcuni limiti, comprensibili dato il carattere pionieristico della ricerca: cfr. le osservazioni in Viazzo, 2000, pp.133134). Nelle due comunità confinanti, una trentina e l’altra sudtirolese, studiate dai due autori negli anni Sessanta del secolo scorso, la “frontiera nascosta” ha preso forma tra adattamenti microecologici e integrazione delle due società locali nelle più vaste costruzioni politiche che le inglobarono storicamente. L’applicazione rigorosa di norme divergenti inscritte nelle rispettive culture, in particolare quelle successorie, è sacrificata alla necessità di definire risposte adattative efficaci a un ambiente comune, ma le ideologie sottostanti restano nettamente distinte e si riflettono in modelli differenti di esercizio e di distribuzione dell’autorità nei e fra i nuclei domestici. Questi modelli, a loro volta, si riproducono nella sfera pubblica, nutrendo i simboli di identificazione etnica che interpretano e trasfigurano le strategie adattative impiegate nell'immediato contesto del villaggio (e consentendo così il mantenimento del confine etnico nonostante le interazioni che quotidianamente lo attraversano). La loro efficacia storica deriva dal collegamento che operano tra la competizione locale per le risorse e il più ampio confronto fra sistemi di rapporti politici sovralocali dominati da élite concorrenti. Sahlins, 1989 (un esempio invece di incontro fra antropologia e indagine storica che procede dal versante storiografico), presenta un caso paradigmatico di come processi di identificazione nazionale divergenti pervengano a radicarsi in una regione caratterizzata da una cultura ampiamente comune, facendo leva sul perseguimento di interessi strettamente locali. Tra gli studi sull’età della Riforma e della Controriforma, Feheleison, 2010, richiamandosi a Fredrik Barth, incardina sulla descrizione di confini religioso-territoriali a lungo instabili e costantemente rinegoziati a livello locale una proposta interpretativa di mutamento religioso a scala regionale irriducibile al modello di ridefinizione confessionale degli spazi imposta dalle grandi istituzioni sovralocali. 35 9 cosmologiche e morali, di pratiche giuridiche, di rituali, di maniere e piccoli gesti quotidiani. Erano culture sorrette da apparati istituzionali pervasivi. Punto innegabile nel paradigma della confessionalizzazione, la conformità era perseguita attraverso un’opera caparbia e sistematica di indottrinamento fin dalla prima infanzia, accompagnata dalla coercizione. Inoltre, si trattava di sistemi non solo distinti ma in accesa (e non di rado sanguinosa) competizione. Vero è che gli argomenti teologici così come i simboli o i comportamenti valorizzati dalle parti per dar espressione alle loro differenze dovevano essere attivamente selezionati tra i molti egualmente eleggibili; non erano cioè imposti da una gerarchia automatica di rilevanza. Il fatto che in una data situazione emergesse un particolare tratto a caratterizzare i due gruppi a confronto non era dato dalla sua intrinseca centralità nella cultura religiosa cui apparteneva, ma dalla precisa contingenza storica in cui si trovavano le relazioni tra i gruppi, sulla quale influivano anche profonde divisioni e tensioni interne. Larghe aree di comune eredità culturale cristiana venivano lasciate sullo sfondo, per tornare ‘pragmaticamente’ utili, come si è detto, nelle situazioni in cui si trattava di articolare idiomi di tolleranza e convivenza pacifica. Non credo quindi che le interazioni tra cattolici e protestanti nella prima età moderna si possano concepire come interamente determinate da ingiunzioni morali e gabbie cognitive inscritte nei rispettivi sistemi di credenze, né da interessi materiali di cui queste costituirebbero, in fondo, solo una proiezione ‘sovrastrutturale’, ma piuttosto come sensibili a un confine religioso continuamente alterato dalle vicissitudini stesse dell’interazione. Occorre dire che la definizione di gruppo e di confine etnico formulata da Barth è stata criticata come puramente descrittiva o circolare: il processo di categorizzazione che definisce l’etnicità ne sarebbe allo stesso tempo una manifestazione.36 Tuttavia, per Barth, l’evidente “incongruità” tra gli interessi e tra i diversi “livelli” in cui si articola una collettività impone di attribuire rilievo analitico alla soggettività degli individui e alla loro disposizione al perseguimento strategico dei propri fini.37 Il concetto di struttura sociale non viene lasciato cadere, ma riformulato come insieme di regolarità comportamentali emergenti dalle attività condotte in proprio dagli individui. Spiegare come si generano tali regolarità è materia di un modello che riproduca i processi di “aggregazione” delle “scelte sottoposte a vincoli” compiute dai singoli.38 L’azione individuale è cioè concepita da Barth fondamentalmente come scelta e non come passiva conformità a determinazioni strutturali, ma la sua latitudine è limitata dalle restrizioni e dalle opportunità che emanano dall’ambiente in cui essa ha luogo.39 36 Cfr., ad esempio, Cohen, 1994, pp. 138-141. In Barth, la correlazione tra l’etnicità e gli altri fenomeni di ordine culturale e socioeconomico che intervengono nella riproduzione di una collettività umana non avviene direttamente al “livello rarefatto” delle corrispondenze interne fra sistemi normativi, ma nel contesto dell’agire e dell’esperienza dell’individuo. In alternativa a una concezione della società come “sistema morale”, Barth opta per una dialettica tra valori culturali e utilità pragmatica alla base dei comportamenti (cfr. Barth, 1981d, p. 3). 38 “Model of choice under constraint”: tra i diversi testi in cui il modello è discusso, cfr., ad esempio, Barth, 1981b, specialmente p. 21. 39 Nei primi lavori di Barth, il tramite fra queste due polarità, scelta e costrizione, era distintamente ecologico e imperniato sul concetto di “nicchia” e altre metafore biologiche. Barth introdusse il concetto di nicchia ecologica nello studio antropologico dell’etnicità in un articolo comparso nel 1956 (Barth, 1956), per indicare il rapporto specifico instaurato da un gruppo umano con le risorse disponibili nell’ambiente naturale globale e 37 10 L’aspetto utilitario delle interdipendenze tra le scelte operate dagl’individui si esprime nel concetto di “transazione” con il quale Barth indica un’interazione condizionata da reciproche aspettative di reciprocità in cui il guadagno atteso non è inferiore al valore investito nella relazione. In opposizione ad esse si definiscono le relazioni di “incorporazione”, che non sono invece sistematicamente governate da un esatto principio di reciprocità, anche se prevedono spesso un limite ai costi che chi vi si impegna è disposto a sopportare. In questo secondo tipo di relazione, il beneficio ricercato è infatti collettivo piuttosto che strettamente personale. La concezione barthiana dell’etnicità implica che i rapporti tra membri di gruppi differenti avvengano prevalentemente secondo modalità di tipo transazionale.40 Transazione e incorporazione non costituiscono tuttavia modalità semplicemente parallele di interazione.41 Il ruolo principe spetta in questo proprio alle transazioni, perché il principio di reciprocità che le guida conduce a una estesa comparazione degli standard di valore applicati negli scambi (intesi non in senso strettamente economico ma anche politico), che così diventano più conosciuti e più compatibili. L’imprenditorialità (anche qui, non solo economica) ha un ruolo cruciale in questo processo, poiché mette in comunicazione sfere di scambio e ambiti relazionali in precedenza separati, perciò retti, fino al suo intervento, da parametri di valore incommensurabili.42 Quali conclusioni trarre da questa rapida rassegna di posizioni? In primo luogo che, a fini analitici, non è utile postulare un’autonomia della dimensione religiosa dalle relazioni gli eventuali competitori presenti. La proposta di Barth contiene un’enfasi sull’interdipendenza economica e funzionale fra gruppi il cui assetto organizzativo e culturale, legato a “requisiti ecologici” differenti, rende sotto certi aspetti complementari, come base per la loro convivenza. In mancanza di complementarità e di dipendenza dalle stesse risorse, un principio di esclusione competitiva. prevede invece l’espulsione del gruppo più debole. Il principio di esclusione competitiva, coniato dal biologo Garrett Hardin nel 1959 (Hardin, 1960) recita che “competitori completi non possono coesistere” (in un’altra, più recente, formulazione, che n specie non possono coesistere con meno di n risorse: cfr. Armstrong, McGehee, 1980). Anche un lieve vantaggio riproduttivo porta in ultima analisi all’espulsione e all’estinzione della specie svantaggiata. Il principio è stato tuttavia discusso e messo in dubbio soprattutto a partire dal decennio 1980 e sono stati proposti vari aggiustamenti che vanno dalla negazione o attenuazione della centralità della stessa competizione per spiegare le dinamiche evolutive delle specie a soluzioni che insistono sulla disomogeneità e discontinuità delle nicchie ecologiche o sulla compatibilità di usi differenziati delle medesime risorse (cfr. Sommer, Worm, 2002). Anche se i temi e il linguaggio dell’ecologia culturale (in particolare, appunto, il concetto di “nicchia”) continuano a essere presenti, nelle opere successive di Barth, il determinismo naturalistico è evitato, poiché in primo piano sono le interazioni fra le persone, che mediano il rapporto con le risorse e la riproduzione della vita materiale. Già in un successivo contributo del 1964 (Barth, 1981c) troviamo una maggiore enfasi sull’alterazione indotta dai fattori culturali nel determinismo dei meccanismi di controllo di natura ecologica. 40 Barth torna spesso sul concetto di “transazione”; sulla distinzione con le relazioni di “incorporazione” cfr., ad esempio, Barth, 1981e, p. 38. 41 Questo punto non viene reso esplicito da Barth, ma seguendo la logica del suo discorso, mi sembra si possa dire che tra il primo e il secondo tipo di relazioni esista un legame di tipo generativo. Forzando, credo, solo la lettera dei testi barthiani, la loro correlazione può essere avvicinata alla dialettica che vediamo intervenire nei processi di integrazione delle culture. Con una mossa analitica solo apparentemente paradossale, Barth collega infatti l’integrazione dei valori culturali alle relazioni interpersonali di tipo transazionale. In tal modo, egli si propone di superare sia le spiegazioni idealistiche (meccanismi logici interni ai sistemi culturali o psicologico-introspettivi nella mente) sia quelle funzionalistiche (rapporto con il soddisfacimento dei bisogni umani) dei processi di integrazione, in favore del ruolo svolto dalle attività sociali concrete. 42 Sui processi di integrazione culturale, cfr. Barth, 1981f, in particolare, p. 56, sul ruolo degli imprenditori. 11 sociali in cui essa si esprime, comprese ovviamente quelle che veicolano anche un significativo contenuto economico o politico.43 Neppure possiamo confonderle in una relazione di totale isomorfismo, in una direzione o nell’altra: i comportamenti sociali come espressione di un’identità religiosa o le credenze e pratiche religiose come espressione di un’identità socioeconomica.44 Da un lato, sembra molto dubbio che il significato di un’azione si definisca solo in rapporto a una norma, in qualunque modo la si possa rintracciare all’interno della testualità, verbale o di altra natura, di un sistema culturale (perché formulata in modo esplicito? perché derivabile da altri principi secondo il giudizio informato dell’osservatore?).45 Inoltre, non ci possiamo affidare alla testimonianza dei soggetti studiati, anche quando questa è presente, perché esiste normalmente una “sistematica profonda differenza” tra ciò che le persone dicono quando riflettono in generale sulle caratteristiche del mondo in cui vivono (e quindi della loro cultura) e quando guardano a questo stesso mondo dal punto di vista delle opportunità di azione che può loro fornire.46 D’altra parte, sarebbe egualmente errato ridurre in linea di principio le motivazioni religiose a mascheramento, più o meno consapevole, di strategie economiche o politiche. Il presente lavoro indaga il rapporto tra cultura e azione nel contesto di una particolare vicenda storica. Si propone di studiare alcune delle interazioni pragmatiche attraverso le quali i membri di due popolazioni religiose della prima età moderna hanno strutturato la loro esistenza collettiva e la loro convivenza in un misto di intesa e competizione. Ciò che interessa non è sondare il fervore di quegli individui o il grado d’intensità e sincerità dell’eventuale sforzo di conformarsi nel corso di queste interazioni a quelli che essi intendevano come i dettami della loro fede – interpretati verosimilmente non da tutti allo stesso modo. Mi limito perciò a osservare che le culture religiose si formano, perpetuano e trasformano attraverso le interdipendenze, anche economiche, intrattenute dai loro membri con i correligionari e con gli altri. A questo proposito, una rigida distinzione tra relazioni di 43 Brambilla, 1984. L’approccio di Abner Cohen all’etnicità, ad esempio, sembra appunto postulare una relazione di “isomorfismo” tra culture e strutture sociali, spesso riproposta anche dalla letteratura sociologica e storiografica sui movimenti religiosi, quando cioè le scelte e i comportamenti religiosi vengono direttamente attribuiti all’origine sociale di coloro che le compiono. Natalie Zemon Davis si è interrogata su questa ipotetica correlazione e, per quanto riguarda cattolici e ugonotti nella Francia del Cinquecento, è giunta alla condizionata negazione di un suo carattere sistematico – in particolare, nel caso dei tumulti religiosi, per lo meno in ambiente urbano (cfr. Zemon Davis, 1980, pp. 232-235; “isomorfismo” è il termine usato dall’autrice nel contesto di questa discussione). Un’influenza più mediata dell’esperienza dei rispettivi retroterra sociali l’autrice ritrova tuttavia nel “linguaggio” (testi, simboli e riti) con cui cattolici e ugonotti rappresentano lo spazio e il tempo urbani così come nelle loro immagini di comunità, accanto al ruolo strutturante più decisivo svolto “dalla dottrina e dal quadro delle relazioni sociali-spirituali tra laici e clero” (Zemon Davis, 1981, citazione a p. 67). 45 Sulle svariate accezioni di “norma” e sulla problematica relazione tra la sua rappresentazione mentale e il modo in cui funziona per influenzare effettivamente il comportamento, cfr., ad esempio, Wright, 1989; Conte, 1991. In una certa misura, il rapporto tra norme o valori culturali e azione è inoltre presumibilmente esso stesso culturalmente (e storicamente) specifico. Cfr. Sabean, 1982 per un’interpretazione dei meccanismi motivazionali dell’azione in un mondo culturale in cui, secondo l’autore, le opinioni e motivazioni dei soggetti individuali nascono da un “discorso” collettivo che riproduce la matrice delle relazioni sociali e di potere nella quale essi si trovano inseriti. 46 Barth, 1981d, in particolare, p. 5. 44 12 natura propriamente transazionale, rette da aspettative di benefici tangibili, e relazioni di incorporazione, fondate sull’identificazione con valori transpersonali, non mi sembra realmente adeguata. 3. Il campo di osservazione di questo studio è costituito in larga parte dalla popolazione di una comunità amministrativa della Val San Martino (Val Germanasca), Faetto, nel corso del secolo XVIII. Il testo si articola nel modo seguente. Nel primo capitolo si cerca di illuminare il contesto politico in cui si definì la composizione religiosa della popolazione di Faetto tra la metà del secolo XVII e quella del secolo successivo. Nel secondo capitolo, facendo ricorso alle liste nominative disponibili e ai registri parrocchiali, mi sono anzitutto proposto di fornire un’immagine dell’entità della popolazione locale e della sua composizione religiosa nel corso del Settecento. Inoltre, sebbene la qualità delle fonti non consenta d’intraprendere uno studio approfondito di demografia storica, tenterò di tracciare un quadro comparativo sommario delle tendenze avvertibili dietro la dinamica degli eventi demografici riguardanti, rispettivamente, la componente cattolica e quella valdese. Il terzo e quarto capitolo si concentrano sulle alienazioni di terra (compravendite e cessioni in pagamento) intervenute fra abitanti della stessa Faetto e fra questi e abitanti di altre comunità fra il 1731 e il 1775 registrate negli atti notarili, cercando di chiarirne il significato, a mio parere cruciale, per i rapporti fra i due gruppi confessionali. Il quinto e ultimo capitolo sviluppa questa linea d’indagine, nel tentativo di arrivare, sulla base dei risultati dell’analisi prevalentemente quantitativa condotta fino a quel punto e di frammenti prosopografici ricavabili dagli atti notarili (oltre alle alienazioni stesse, testamenti, costituzione di dote, emancipazioni), a una rappresentazione più concreta della logica delle transazioni. Ciò consente, in particolare, di avanzare alcune ipotesi intorno al ruolo svolto dalle élite valdesi nell’arena locale e alla sua centralità per la sopravvivenza e il radicamento della minoranza religiosa nel contesto dello stato sabaudo, sulle quali tornerò nelle conclusioni. Alla base del presente lavoro c’è una scelta ispirata a una delle implicazioni metodologiche più caratteristiche della microstoria (soprattutto di quella praticata in Italia): che cioè lo studio ravvicinato di un caso particolare, attraverso un uso intensivo delle fonti, permetta di porre domande su spiegazioni e concetti di tipo più generale, messi alla prova di una ricostruzione insolitamente concreta degli oggetti ai quali (in maniera perlopiù indiretta o implicita) quelle generalizzazioni si riferiscono.47 L’obiettivo del presente studio non sarà pertanto la ricostruzione il più possibile esaustiva di un microcosmo nei suoi nessi di natura ecologica, sociale e culturale. L’analisi verrà condotta su una documentazione attinente a una situazione locale, ma riguarderà un tema a un tempo più limitato e d’interesse potenzialmente più generale, quello, appunto, della particolare configurazione di rapporti socioeconomici che sorregge un’identificazione e un tipo di coesistenza su base confessionale. La recente storiografia sulle relazioni tra gruppi religiosi in Europa, di cui abbiamo sopra citato qualche esempio, è giunta a una revisione dei paradigmi prevalenti 47 Impossibile discutere qui a fondo i significati di questa pratica storiografica, né ricordare anche solo i diversi interventi teorici che l’hanno accompagnata. Mi limito perciò a rimandare al breve ma lucido riepilogo in Fazio, 2004, e ai contributi raccolti in Lanaro, 2011. 13 fino a poco tempo fa, precisamene grazie ad indagini di scala locale e regionale, grazie alle quali è stato possibile smontare precedenti interpretazioni di carattere teleologico.48 D’altra parte, la società locale che fa da sfondo a questo studio, al pari di tante altre di oggi come di ieri, non solo non era chiusa alle forze del mondo esterno, ma, per molti aspetti, il rapporto necessario istituito con tali forze plasmava i rapporti al suo interno, generando ruoli cerniera e punti di mediazione politica e culturale. In questo, come nel suo pluralismo interno, non si differenziava troppo, strutturalmente, da altre situazioni rilevabili in antico regime. Lo stesso si può dire quanto al fatto che la più vasta realtà si presentasse spesso sotto la forma di poteri in competizione o comunque tra loro dissonanti.49 L’inserimento delle Valli valdesi dell’età moderna in più estese aree di scambio economico e politico appare tuttavia più profondo e articolato che in molte altre zone rurali; basti pensare ai rapporti intrattenuti, da una parte, con governi e chiese protestanti d’Europa, dall’altra, con la corte sabauda o la chiesa cattolica, ciascuna di queste entità intervenendo con propri agenti, istituzioni o iniziative destinati specificamente al ‘problema’ valdese. L’esperienza di ciò che stava fuori dalle valli era diretta, personale, per molti dei loro abitanti. L’élite pastorale concludeva la propria formazione con lunghi anni trascorsi presso le università di Ginevra, della Svizzera o delle Province Unite (o anche, più limitatamente, in Inghilterra). I commercianti e gli imprenditori valdesi trattavano con i loro omologhi ginevrini, francesi o piemontesi; concludevano contratti con l’apparato delle Regie gabelle o fornivano servizi all’esercito sabaudo. Il clero e i notabili cattolici locali (segretari di comunità, giudici, la maggior parte dei notai) provenivano in genere dalla vicina pianura e da altre zone del Piemonte. Una storia ambigua, fatta tanto di stretti rapporti economici legati al commercio e alla transumanza quanto di risentimenti e conflitti a tratti sanguinosi, univa i centri delle Valli valdesi ai limitrofi territori del Delfinato, come il Queyras. Soprattutto, forse, in gran parte delle famiglie che vissero nel Settecento, valdesi o exvaldesi, sopravviveva la memoria della prigionia e della deportazione in luoghi estranei del Piemonte e dell’esilio in terre ancora più lontane. Le espulsioni e l’esilio di valdesi continuarono in effetti fino al 1730 e, almeno per qualche tempo, i rapporti tra chi restava e i profughi anche in luoghi distanti come il Württemberg non si interrompevano del tutto.50 Tutto questo non fa però altro che confermare un motivo caro alla pratica microstorica: l’esperienza e l’azione di ogni attore sociale, individuale o collettivo, partecipa di processi storici che avvengono a differenti livelli di scala.51 Ho preferito perciò restringere l’ambito della ricerca alla ricostruzione di un sistema locale di transazioni, nella consapevolezza che esso rappresenta solo un anello in una 48 In questo campo di studi, Fehleison, 2010 rappresenta un esempio particolarmente convincente di studio dell’azione di forze di mutamento religioso di livello globale esplorate attraverso l’unicità di contesti locali. 49 La storiografia più aggiornata sottolinea come le comunità di antico regime costituissero spesso spazi intensamente pluralistici dal punto di vista politico e religioso, segmentati da aggregazioni fazionarie e clientele rivali come dalla concorrenza dei luoghi e delle forme di culto. Tra gli esempi più interessanti in area italiana, cfr. Raggio, 1990; Grendi, 1993; Torre, 1995; Torre, 2011. Una rassegna ancora utile in Tocci, 1997. 50 Nel 1698-1699 furono espulsi e partirono i valdesi sudditi francesi che dal 1690 si erano rifugiati nelle Valli valdesi sabaude; nel 1730, molti fra i valdesi abitanti nella Val Pragelato, in seguito alla proibizione del culto protestante, oltre a centinaia di abitanti nelle altre valli, indiziate come colpevoli di ritorno al protestantesimo dopo una conversione o dopo il battesimo nella chiesa romana da parte di genitori convertiti (cfr. Armand Hugon, 1974, pp. 207-208 e 217-222). 51 Levi, 2003b; Revel, 2006. 14 catena più vasta, ma che tuttavia sembra manifestare una logica che gli è propria e che ci si poteva proporre di mettere a fuoco solo nel terreno in cui prendeva forma. Ciò ha comportato individuare nominativamente i contraenti di oltre un migliaio e mezzo di transazioni che intercorsero in un periodo di circa mezzo secolo, ricostruendone, per quanto possibile, l’affiliazione religiosa e i legami di parentela. Senza queste informazioni, le nostre fonti sarebbero rimaste mute. Da questa focalizzazione dell’indagine, il ruolo di fattori che potevano garantire un accesso differenziale a risorse esterne, come la distribuzione dei ruoli di élite fra i due gruppi, non è uscito occultato. Del resto, tali ruoli facevano, a loro volta, potentemente leva su una ricchezza locale. Quanto agli apporti di tipo assistenziale di cui beneficiavano rispettivamente le due componenti della popolazione, essi grosso modo si bilanciavano. Credo che l’affondo portato su casi e temi circoscritti sia in grado di assicurare una base solida di conoscenza sia a scopo comparativo (e quindi in vista di formulare generalizzazioni fondate)52 sia in vista della ricerca di connessioni a più vasto raggio.53 Le due prospettive, dunque, locale e globale, non si escludono, ma sono complementari; semplicemente spesso non si può pretendere di praticarle adeguatamente insieme. Ingrandire la scala comporta infatti necessariamente una moltiplicazione delle caratteristiche rappresentabili del nostro oggetto di studio (come succede in una mappa topografica rispetto alla carta geografica a scala minore), anche se lo dobbiamo pensare inserito in una rete di rapporti in ultima analisi globale.54 Il problema del tutto e delle sue parti si ripropone del resto a scale diverse, ogniqualvolta la percezione dei contemporanei, il punto di osservazione dello storico o la struttura stessa delle fonti spingono a istituire discontinuità nella trama dei rapporti tra i fenomeni che interessa indagare.55 La scomposizione analitica e il provvisorio isolamento dei nostri oggetti di studio ha un parallelo, oltre che un fondamento, nella settorializzazione, parzialità e discontinuità dell’esperienza e della comunicazione quotidiana, la nostra come quella degli attori sociali di cui studiamo le azioni. 52 Il problema della generalizzazione nelle scienze umane è recentemente tornato a suscitare interesse: cfr. Fabiani, 2007; Passeron, Revel, 2005. 53 Il mutamento di scala è di per sé legittimo e utile, come lo è nella cartografia. Se manca tuttavia l’ancoraggio a oggetti molto concreti (di cui cioè siano stati sufficientemente indagati i rapporti interni), il ‘globale’ rischia, per così dire, di restare nel vago. Una trama narrativa intessuta di approssimative astrazioni non può poi non veicolare discorsi fondamentalmente ideologici. La funzionalità dell ricostruzioni microanalitiche in vista della comparazione è sottolineata in Trivellato, 2011; cfr. anche Trivellato, 2011, pp. 119-132. Per altro verso, la comparazione, non una generalizzazione diretta e incontrollata da modelli costruiti su casi singoli, costituisce l’unico strumento conoscitivo adeguato a testare la rilevanza delle situazioni studiate in chiave microstorica (cfr. Allegra, 2011). Avverto che mi è sembrato preferibile conservare il significato che “grande” e “piccola scala” hanno nella terminologia cartografica, per cui “grande” si riferisce alla scala con un livello maggiore di dettaglio, contrariamente all’uso metaforico più comune. 54 Sull’insostenibilità della pretesa di fondere in una visione totalizzante la prospettiva locale e quella globale cfr. Chartier, 2001. 55 Sul posto della discontinuità nella pratica storiografica, in particolare, sulla necessità, da parte degli storici, di interpretare la discontinuità delle attestazioni documentarie, come spia delle diverse configurazioni sociali che le hanno prodotte cfr. Torre, 1999. 15 I. La costruzione di un confine confessionale Dalla tolleranza al genocidio: le Valli valdesi nella seconda metà del Seicento La popolazione di Faetto attraversò un momento di ridefinizione della sua fisionomia religiosa nel corso degli eventi politici sconvolgenti che investirono le Valli valdesi nella seconda metà del Seicento.1 Gli anni che vanno dal 1655 al 1690 sono contrassegnati da due violenti tentativi di revoca delle concessioni che, con il trattato di Cavour del 1561 e la successiva legislazione, avevano condotto al riconoscimento e alla regolamentazione di un’enclave protestante negli Stati sabaudi. Entrambi si conclusero, dopo sanguinose vicende militari, con la riconferma delle condizioni precedentemente garantite ai valdesi, per cui il quadro giuridico fondamentale dell’esistenza di questa minoranza religiosa nello stato si mantenne sostanzialmente inalterato sino all’Emancipazione del 1848, fatta eccezione per la momentanea liberalizzazione apportata dalla parentesi rivoluzionaria e napoleonica. Esso prevedeva la tolleranza dell’esercizio del culto riformato e il diritto accordato alla popolazione protestante di detenere e acquisire liberamente proprietà, all’interno di limiti territoriali rigidamente fissati e nel contesto di varie misure discriminatorie a livello sociale, fiscale e simbolico.2 Sollecitata da frizioni lungo i confini dell’area di insediamento dei valdesi, la prima campagna di aperta persecuzione si scatenò nella primavera del 1655 e, dopo strascichi di guerriglia, si concluse definitivamente con la concessione delle patenti di grazia del 1664.3 Essa ebbe comunque una proiezione incruenta nel dispiegarsi, durante gli anni successivi, di un grandioso impegno conversionista che si realizzò soprattutto mediante il rafforzamento della rete missionaria insediatasi nelle Valli valdesi a partire dalla fine del XVI secolo.4 L’iniziativa della corte, secondata da altre istituzioni e da eminenti privati, 1 Per la ricostruzione degli eventi politici che riguardarono le Valli valdesi nel XVII e nel XVIII secolo cfr. Augusto Armand Hugon, 1974; Pascal, 1937-1968. Una sintesi e un inquadramento storico generale delle vicende del 1686-1690 e della politica di Vittorio Amedeo II nei confronti dei valdesi in Symcox, 1985; Symcox, 1990. 2 I limiti territoriali assegnati alla popolazione valdese comprendevano: la Valle di Luserna o Val Luserna (odierna Val Pellice), comprendente le comunità di Angrogna, Bobbio, Luserna (interdetta ai valdesi), Rorà, San Giovanni (dove i valdesi potevano risiedere, ma non esercitare il loro culto), Torre, Villar; l’Inverso Val Perosa (la sponda destra dell’odierna bassa Val Chisone), con le comunità di Inverso Pinasca, Inverso Porte, Pomaretto, Pramollo, S. Germano, Villar; la Val San Martino (odierna Val Germanasca), con le comunità di Bovile, Chiabrano, Faetto, Maniglia, Massello, Perrero (il centro amministrativo e giudiziario della valle, interdetta ai valdesi), Prali, Riclaretto, Rodoretto, Salza, San Martino, Traverse; le comunità di Prarostino, Roccapiatta e San Bartolomeo, nel mandamento di San Secondo (cfr. il compendio degli editti concernenti i valdesi, s. d. [ma dopo il 1730], in Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 100, fasc. s. n., ai capi sgg.: Limiti per detta R. P. R., Abitazione di detta Religione con Cattolici e Luoghi in cui sono tolerati li Religionarj, cc. s. n.). 3 Cfr. il testo delle patenti, emanate da Carlo Emanuele II il 14 febbraio, in Borelli, 1681, parte III, lib. XV, tit. II, pp. 1281-1283. Altre disposizioni relative agli eventi del 1655-1664 sono raccolte ibid., pp. 1276-1281 e Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 195-219. 4 Sull’attività delle missioni cattoliche nelle Valli valdesi dell’età moderna cfr. Povero, 2006. Dal 1653, inoltre, l’apparato istituzionale delle conversioni poteva contare sull’Ospizio dei catecumeni fondato a Torino 16 sostenne l’impresa con la destinazione a favore dei valdesi convertiti al cattolicesimo di sovvenzioni, doti per le giovani, misure di remissione fiscale.5 Il secondo tentativo di conquista cattolica delle Valli si intrecciò con la questione della posizione internazionale del Ducato di Savoia e seguì le sorti del progressivo ritrarsi di quest’ultimo, nel clima diplomatico della Guerra della Lega d’Augusta, dall’iniziale protettorato francese.6 Intrapreso, sulla scorta della revoca dell’editto di Nantes, con la proibizione, nel gennaio del 1686, del culto riformato nelle Valli valdesi,7 diede presto luogo a un progetto di espulsione della popolazione dissidente. A chi rifiutò di convertirsi al cattolicesimo fu infine consentito l’esilio grazie ad accordi intervenuti con i paesi protestanti europei, mentre coloro che durante la prigionia seguita alle ostilità si erano piegati all’abiura furono deportati nella pianura malsana e spopolata del Vercellese. Le Valli valdesi, ‘svuotate’ in tal modo di gran parte della loro popolazione originaria, furono destinate alla ricolonizzazione cattolica.8 Decretati, nel maggio del 1686, la confisca dei beni dei valdesi e, nei primi mesi dell’anno successivo, l’esilio per coloro che non intendevano abbandonare la fede protestante e la deportazione dei nuovi convertiti,9 si procedette a organizzare la colonizzazione. Il programma originario intendeva privilegiare, pur con qualche incertezza, una minuta assegnazione delle proprietà valdesi a piccoli coloni, amministrata direttamente dallo stato, soprattutto attraverso concessioni enfiteutiche. Tuttavia, nella pratica, il ripopolamento e la redistribuzione fondiaria furono demandate all’iniziativa di privati che, all’incanto, ottennero spesso grandi estensioni e talvolta le terre di un’intera comunità. Il clima ideologico e una situazione da ‘frontiera’ aperta alle manovre speculative promossero forme di valorizzazione delle risorse locali, come la privatizzazione delle presso l’arciconfraternita dello Spirito Santo, benché esso non fosse specificamente destinato ai valdesi (cfr. Allegra, 1990). 5 Alcuni lasciti e donativi privati destinati alla propagazione del cattolicesimo nelle Valli – insieme a proventi assicurati dall’Ordine mauriziano, dalla Compagnia di San Paolo, dall’arcivescovo e dai canonici della cattedrale di Torino – contribuirono alla dotazione di un’istituzione caritativo-assistenziale destinata ai valdesi convertiti: il Rifugio stabilito nel 1679 dalla reggente Maria Giovanna Battista presso l’Albergo di virtù a Torino e posto sotto la cura particolare dell’Ordine mauriziano. Al Consiglio del Rifugio fu specialmente affidata la distribuzione di doti alle giovani convertite. Questa istituzione cessò di esistere nel 1746, quando le quaranta persone che vi erano ricoverate e i suoi redditi furono trasferiti all’Ospizio dei catecumeni da poco fondato a Pinerolo (cfr. gli atti istitutivi del Rifugio e del suo Consiglio, datati 10 febbraio 1679, in Borelli, 1681, parte III, lib. I, tit. VII, pp. 224-227. Cenni sulla storia del Rifugio si trovano in Duboin, 1818-1869, tomo XIII, vol. XV, lib. VII, tit. XX, capo VIII, sez. I, nota 1, pp. 217-218; Bernardi, 1864, pp. 5-9). 6 Oresko, 1990, pp. 251-278. 7 Cfr. l’editto 31 gennaio 1686 in Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 240-242. 8 Sereno, 1989. 9 Queste misure erano state precedute da un editto, datato 9 aprile 1686, che intimava ai valdesi di cessare, entro otto giorni dalla sua pubblicazione in Luserna, ogni resistenza all’applicazione del precedente editto, promettendo il perdono a chi avrebbe obbedito (cfr. Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 243245). L’editto del 26 maggio successivo dichiarava tutta la popolazione valdese colpevole di ribellione e lesa maestà e conseguentemente ne decretava la confisca dei beni (cfr. ibid., pp. 247-248). Il 31 gennaio 1687, infine, si permetteva e si disciplinava la partenza per l’esilio dei valdesi detenuti. A quelli tra loro che si erano nel frattempo convertiti o avessero scelto di farlo allora si consentiva la permanenza nello stato, disponendone la deportazione nella provincia di Vercelli (cfr. ibid., pp. 249-251). 17 migliori comunaglie, portatrici di una profonda alterazione del modello d’uso del suolo, deviato ora verso modalità di sfruttamento estensivo. A questa alterazione contribuirono del resto gli aspetti che assunse l’adattamento dei coloni (in gran parte di origine savoiarda) alle opportunità offerte dal nuovo ambiente. Piuttosto che risolversi in un trasferimento definitivo, esso in effetti tese a inquadrarsi entro un modello molto particolare di emigrazione stagionale a carattere agricolo che consentisse di usufruire nell’area di emigrazione di un raccolto complementare a quello disponibile nelle più elevate zone di provenienza, perciò mai completamente abbandonate. Di conseguenza, il ripopolamento delle Valli valdesi risultò assai disomogeneo nella sua distribuzione, complessivamente inferiore alla capacità di carico programmata e fortemente instabile. Un flusso ininterrotto di ritorni, temporanei o definitivi, verso i luoghi d’origine dell’immigrazione assottigliò infatti la presenza dei coloni e causò un mancato assestamento delle strutture familiari.10 Questa la situazione quando, nel 1690, le clausole segrete stipulate con le potenze protestanti avversarie di Luigi XIV (le Province Unite e l’Inghilterra di Guglielmo III) nel quadro del primo rovesciamento di alleanze del Ducato di Savoia nel corso della guerra, imposero a Vittorio Amedeo II di permettere il ritorno dei valdesi superstiti nelle loro terre d’origine e di ripristinare un regime di tolleranza. Il ritorno dei valdesi era stato anticipato dall’infiltrazione di un’avanguardia armata di fuoriusciti, che aveva resistito validamente alle truppe franco-sabaude – un evento subito celebrato sotto il nome di “glorieuse Rentrée”. La reintegrazione di esuli e deportati nei loro possessi, ufficialmente sancita solo con l’editto di ristabilimento del 1694, provocarono la partenza definitiva dei coloni.11 A parte alcuni brevi, anche se importanti, contributi di ricerca, non stati ancora adeguatamente studiati gli effetti e le trasformazioni non effimeri che la breve ma sconvolgente parentesi della persecuzione e della colonizzazione indusse nel sistema demografico, insediativo e agrario delle Valli.12 Del resto, anche solo la valutazione dell’impatto demografico di quelle vicende appare assai problematica. Esaminerò in dettaglio i dati demografici disponibili nel prossimo capitolo; qui mi limito ad anticipare che una diminuzione attorno al 30 o anche al 40% della popolazione complessiva delle Valli valdesi costituisce probabilmente una stima attendibile. I valdesi di Faetto tra abiura e resistenza (1664-1686) Il territorio di Faetto, dal 1928 aggregato al comune di Perrero, ospita tradizionalmente un insediamento di tipo policentrico e sparso, attualmente distribuito tra i 747 e i 1505 metri di altitudine. Esso si estende in corrispondenza del corso inferiore del torrente 10 Sereno, 1989, pp. 432-455. Cfr. il testo dell’editto di ristabilimento (26 maggio 1694) in Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 257-259. Questo provvedimento dava in effetti attuazione a un impegno internazionale assunto dal duca, inserito nel menzionato “articolo segreto” del trattato di alleanza stipulato all’Aja il 20 ottobre 1690 con l’Inghilterra e le Province Unite (cfr. Armand Hugon, 1974, pp. 199-200 e 205-206). Sulla lunga e contrastata gestazione dell’editto di ristabilimento e del significato di quest’ultimo per gli assetti politici dello stato sabaudo cfr. Storrs, 1999, pp. 293-311. 12 Sereno, 1990; Tron, 1990. 11 18 Germanasca, parte alla sua sinistra, ma prevalentemente sulla sua sinistra orografica, lungo entrambi i versanti di un vallone trasversale orientato in direzione nord-sud. Gli alpeggi, situati ai limiti meridionali del territorio, raggiungono quote massime tra i 1821 e i 2157 metri. L’insediamento era nell’età moderna e resta ai nostri giorni di tipo policentrico, costituito da piccole borgate e da aggregazioni minori di case. Politicamente, nel secolo XVIII, Faetto era sottoposta alla giurisdizione feudale (apparentemente poco incisiva sul territorio) esercitata in forma paritetica da due lignaggi comitali: i Vagnone, residenti a Pinerolo, e i Verdina, abitanti a Torino.13 Per buona parte del XVII secolo, Faetto sembra offrire l’immagine di un territorio quasi interamente protestante. Le informazioni sono rare, ma concordanti. Una relazione sulle Valli valdesi a opera di frate Teodoro da Belvedere, destinata alla Congregazione de propaganda fide e pubblicata a Torino nel 1636, segnalava a Faetto 52 “case” protestanti contro appena 6 cattoliche.14 Molto più avanti nel secolo, nel 1679, in una memoria inviata al nunzio apostolico in Torino, l’intendente generale di giustizia nelle Valli, Beraudo, riferiva la presenza nella comunità di 130 famiglie valdesi, 6 cattoliche native e 18 “cattolizzate” (ossia convertite).15 Una distribuzione non soltanto molto lontana dal tendenziale equilibrio demografico settecentesco fra i due gruppi religiosi, ma ancora differente in misura significativa da quella esistente alla vigilia della persecuzione, ricostruita dallo Stato delle Valli redatto pochi mesi dopo il suo inizio: 80 famiglie valdesi, 32 famiglie cattoliche e convertite.16 Per quanto la natura di queste descrizioni sia tale da rendere incerto qualsiasi tentativo di quantificazione e di precisa localizzazione temporale dei mutamenti intervenuti, un’incrinatura religiosa della comunità sembra essersi prodotta approssimativamente nel quindicennio precedente l’ultima persecuzione, come testimoniato dal concentrarsi in quegli anni di numerose conversioni operate dai missionari cappuccini, amministratori del Monte domenicale di Perrero, istituzione eretta da Carlo Emanuele II nel 1661 e finanziata con l’alienazione a suo favore di quote dei tributi statali dovuti dalle comunità della Val San Martino. Essa era destinata a promuovere l’attività conversionistica dei missionari nella Val San Martino, attraverso la distribuzione di elemosine e sovvenzioni ai convertiti, in particolare per finanziare l’acquisto o il riscatto di terre vendute ai valdesi, oltre che per l’istruzione religiosa.17 A proposito di essa scriveva l’intendente Beraudo nella sua memoria: 13 Asto, Sezioni riunite, II archiviazione, capo 79, Statistica Generale, fasc. 12, Provincia di Pinerolo (1753), tabella. 14 Ibid., p. 68. 15 Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 95, fasc. s. n., Memorie rimesse dall’Ill.mo et Ecc.mo S.r Conte Presidente et Intendente Generale di Giustitia delle Valli di Luserna Beraudo a Mons. Ill.mo et Rev.mo Nontio Apostolico in Torino, c. 272v. 16 Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 557, m. 2, Stato delle Valli in aggionto al già mandato li 16 giugno corrente secondo le notizie indi havutesi, 6 settembre 1686. 17 Missionari cappuccini si erano stabiliti a Perrero nel 1595 e vi erano rimasti sino al 1658. Pochi anni dopo, come si è visto, l’istituzione del Monte domenicale ne segnò il ritorno. Essi si ritirarono definitivamente in seguito agli eventi del 1689 (cfr. Caffaro, 1893-1903, vol. VI, pp. 10-26). Le patenti di erezione del Monte (1 febbraio 1661) gli assegnavano 41 sacchi di frumento, da prelevarsi annualmente dal “comparto dei grani” dovuto dalla comunità di Perrero. L’anno successivo (patenti del 17 giugno 1662), il duca gli destinava per quindici anni l’intero contingente di imposte (“il comparto dei grani, sussidio, e qualsivoglia altra debitura 19 Doppo la fondazione di detto Monte e con detta dote si sono acquistate più di 300 Anime, e circa novanta lire di registro. La famiglia ordinaria di questo Monte è composta di 25 persone la maggior parte de figliuoli Cattolizzati, quali sono educati sotto la disciplina d’uno di detti Padri, ivi mantenuto per insegnare le cose necessarie per la salute dell’anima, e per le scienze humane. In detta Missione vi sono cinque Religiosi Cappuccini tutti celebranti tre de quali sono Predicatori. Questa Missione è il riffugio de poveri, massimamente de’ cattolizzati quali sendo debitori degli 18 heretici vengono da quelli continuamente molestati. Le informative inviate dai missionari allo stesso intendente Beraudo ci restituiscono i nomi di 125 convertiti di Faetto tra il 1670 e il 1681:19 19 sono individui isolati, mentre il resto appare raggruppato in 25 aggregati parentali (cfr. tab. 1); i cognomi presenti sono 18, tutti appartenenti allo stock onomastico che ritroviamo nella documentazione settecentesca, comune a cattolici e valdesi. La ripartizione per genere dell’insieme dei convertiti è la seguente: maschi: 69 (55,2%); femmine: 56 (44,8%). La prevalenza maschile appare più che ribaltata ove si considerino soltanto i casi di conversione di individui singoli: i maschi sono 6 (31,6%) e le femmine, 13 (68,4%). singoli (femmine) 13 padre con figli 11 coppia di coniugi con figli 8 singoli (maschi) 6 madre (vedova) senza figli 4 nucleo di tipo non identificato 1 totale 25 Tab. 1. Conversioni presso la Missione cappuccina di Perrero (1670-1681). Distribuzione per tipo di nucleo di familiari. L’incidenza dei due generi sull’insieme delle conversioni è assai simile a quella registrata fra i “calvinisti” e valdesi accolti all’Ospizio dei catecumeni di Torino nel ducale, e militare”) di cui era gravata la medesima comunità. Le patenti del 7 ottobre 1664 stabilivano infine che un’annualità di duemila lire, a carico del “tasso” pagato dalle comunità di Faetto, Riclaretto, Rodoretto, San Martino e Traverse, concorresse in perpetuo alla sua dotazione. Nel triennio 1673-1676, i redditi annuali risultano ammontare a 7200, contro una spesa totale ascendente nello stesso periodo a 8974 lire (Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 584, fasc. non num., Conto che rende il P. Girolamo da Pamparato Missionaro Capuccino nella Valle di S. Martino per li rediti del Monte Dominicale, per l’anno 1673, 1674, 1675, 6 febbraio 1676, cc. s. n.). Sul Monte domenicale cfr. Povero, 2006, pp. 311-312. 18 Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 95, Memorie, cit., c. 272r. 19 Ibid., fasc. s. n., Nota delle persone catolizate dall’anno 1667 sino all’anno 1676 li 11 Giugno, 3 novembre 1679, cc. 114v-117; ibid., fasc. s. n., Nota delli Catolizati nell’anno 1676 nella Valle di S. Martino, s.d., c. 118; ibid., fasc. s. n., Nota di Catolizati nella Val di S. Martino nel tempo che l’Ill.mo Sig.r Senador Beraudo ha l’Intendenza Generale di Giustizia nelle Valli dal 4 Giugno 1676 sin al presente, 4 agosto 1677, c. 119; ibid., fasc. s. n., Nota de Catolizati da PP. Missionarij Capuccini nella Val di S. Martino dall’anno 1679 sin al presente, 3 maggio 1681, cc. 127-130. 20 periodo 1720-1902: 53,8% maschi e 46,2% femmine, ma nel contesto di una frequenza assolutamente differente delle conversioni collettive di parenti; all’Ospizio queste ultime interessano infatti una minoranza, pari al 25,3% dei convertiti, mentre nel nostro caso i gruppi parentali arrivano a comprendere l’84,8% dei convertiti.20 Gli elenchi compilati dai missionari non ci consentono una caratterizzazione sociale dei convertiti e non dicono nulla sulle loro motivazioni. Alcuni sembrano recare nella loro scelta il segno della debolezza, della precarietà delle loro condizioni: quattro vedove con figli, tredici donne probabilmente ai margini del mercato matrimoniale... Tuttavia, la maggioranza dei convertiti, di cui ignoriamo tra l’altro anche l’età, appartiene a gruppi familiari composti dal solo padre e dai figli. Quest’ultimo dato fa pensare che la conversione sia un’iniziativa prevalentemente incentrata attorno a una figura maschile di capofamiglia. Del suo retroterra economico troviamo forse un’eco nelle parole dell’intendente Beraudo citate più sopra, quando si riferiscono all’indebitamento dei convertiti nei confronti dei loro ex-correligionari. L’aggressiva politica conversionistica sabauda ha cominciato a rendere sostenibile una presenza cattolica in aree altrimenti abitate massicciamente da valdesi. In queste condizioni, è possibile immaginare che alcuni cogliessero questa nuova possibilità e si convertissero di fronte a insuccessi ed esclusioni nel proprio ambiente relazionale, alla difficoltà per alcuni nuclei più deboli di rimanere nei circuiti di reciprocità e di cooperazione.21 Altri potrebbero aver agito sotto la spinta di un’urgenza di aiuto. In ogni caso, l’identità confessionale così acquisita appare non di rado instabile e la via del ritorno non sembra fosse invariabilmente preclusa. Ci sono addirittura indizi, per quanto riguarda le conversioni che avvennero nel secolo XVIII, che un eventuale ritorno alla fede primitiva fosse spesso programmato prima della conversione al cattolicesimo.22 All’epoca degli eventi del 1686, lo Stato delle Valli rivela, come si è visto, la presenza a Faetto di 32 famiglie cattoliche; altre tre fonti contemporanee censiscono rispettivamente: 37 nuclei domestici cattolici comprendenti 162 individui, 43 nuclei con 178 individui, 34 nuclei con 135 individui.23 Le ostilità seguite allo scatenamento della persecuzione non sembrano scompaginare gli schieramenti religiosi delineatisi negli anni precedenti, anche se non mancano di rivelare 20 Allegra, 1990, tab. 3, p. 525 e tab. 8, p. 538. Fino al 1743, la categoria “calvinisti” annovera anche i valdesi ospitati nell’istituzione. 21 Mi rifaccio qui a un “modello di conversione” che situa le motivazioni del cambiamento di appartenenza confessionale nelle tensioni interne alle famiglie, in particolare, negli scompensi in termini di opportunità di realizzazione sociale ed economica fra i membri di una famiglia o di una parentela; più in generale, nelle caratteristiche dei reticoli relazionali di coloro che decidono di convertirsi: cfr. Allegra, 1991, pp. 901-915 e, dello stesso autore, Allegra, 1996. 22 Allegra, 1990, pp. 513-573, in particolare pp. 531-533. Nell’ambito delle scienze sociali una recente letteratura ha insistito sul tema dell’ambiguità e del mimetismo nell’identità di frontiera per preservare condizioni di esistenza normali di fronte ai conflitti di culture promossi da centri di potere esterni in competizione: cfr., ad esempio, Cocco, 2007. 23 Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 567, fasc. s. n., Consegna delle Famiglie delli Cattolici, Cattolizati, & Sottomessi in tempo habile delli Luoghi, et luoro territorij della Valle di S. Martino, fatto li 14, 15, & 16 Luglio 1686; ibid., fasc. 18, Consegna di tutti li Cappi di casa di caduna delle Communità della Valle S. Martino col numero delle persone e luogo, 5 ottobre 1686, Faetto habitanti vecchij; ibid., fasc. s. n., Stato delli habitanti di Prali, Macello e Faetto nella Valle di S. Martino, 1687. 21 l’ambiguità di alcune delle scelte di conversione allora effettuate; fra gli otto cattolizzati di Faetto tradotti prigionieri a Luserna nel luglio del 1686 per connivenza con la resistenza valdese, accanto a tre individui convertiti dopo la proibizione del culto protestante figurano altri cinque convertiti di più vecchia data: i fratelli Giacomo e Pietro Bertalmio, rispettivamente di 25 e 18 anni, convertiti nel 1680, arrestati “per esser restati in tempo de moti prossimi passati, come dalla luoro admissione, nelle Valli insieme con gl’altri relliggionarij rebelli”; Giacomo Macello, di 35 anni, convertito da dieci anni, “per aver preso le armi con li relliggionarij et esser restato nella valle”; Maria, vedova di Guglielmo Marco, 32 anni, convertita nove anni prima, “per esser ritornata al prece diverse volte, richiesto il Ministro Leggiero darli la Cena, et anche sposarla con un heretico, et donna di mala vita”; Giovannina Marco, 44 anni, vedova di Pietro Macello, convertita nel 1677, “per non esser vissuta da buona Cattolica, et di mala vita”.24 Fra i valdesi troviamo censiti nel gennaio 1687, nei loro luoghi di detenzione – Bene (oggi: Benevagienna), Cherasco, Fossano, la Cittadella di Torino – coloro che optarono per l’abiura; si tratta di 86 individui di Faetto, suddivisi in 32 nuclei parentali. Ne ritroviamo 57, in 17 nuclei, nel marzo dello stesso anno, fra i deportati, dispersi in varie località della pianura vercellese.25 Le terre confiscate nella comunità divennero, come nel resto delle Valli valdesi, obiettivo della colonizzazione; vi si insediarono, secondo tre rilevazioni un po’ difformi, rispettivamente, 29 nuclei familiari comprendenti 145 individui, 27 nuclei con 113 individui, 25 nuclei con 109 individui – tutti provenienti dalla Savoia.26 La precarietà del loro insediamento è testimoniata dalla penuria di scorte e di bestiame rilevata in una di queste consegne, introdotta e punteggiata dalle considerazioni moralistiche ma anch’esse rivelatrici avanzate dal suo estensore a proposito della scarsa laboriosità dimostrata dai coloni.27 Di questi ultimi non rimane più alcuna traccia nella documentazione posteriore; anche qui la colonizzazione si è rivelata un fenomeno effimero. Non è possibile seguire le connessioni genealogiche tra gli abitanti di Faetto al tempo della persecuzione di cui conosciamo il nome e i ceppi che la presenza, molto più tarda, dei registri parrocchiali permette di individuare. Alcune vicende familiari sono però riconoscibili e ci fanno intuire il complesso e spesso drammatico retroterra delle scelte religiose di individui o famiglie: così, ad esempio, all’origine di una delle più cospicue discendenze contadine cattoliche ritroviamo i due fratelli Bertalmio, cattolizzati schieratisi con la resistenza valdese e per questo incarcerati nella Cittadella di Torino; oppure, fra gli 24 Ibid., Consegna delle Famiglie, cit., Notta delli particolarij della Valle di S. Martino, quali sono stati arrestati, et condotti priggionieri nel luogo di Luserna, per esser stati Cattolizati fuori di tempo, overo per esser stati restati nella Valle, et nelle Montagne della medema insieme con gl’altri relliggionarij rebelli al tempo de moti prossimi passati, hoggi li sedeci Luglio mille sei cento ottanta sei, pp. 34-35. 25 Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 584, fasc. s. tit., s. n., contenente rilevazioni effettuate tra il 14 gennaio e il 17 marzo del 1687, cc. 1-68. 26 Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 567, Consegna di tutti li Cappi di casa, cit., Faetto habitanti novi, cc. s. n.; ibid., fasc. s. n., Stato delli habitanti di Prali, Macello e Faetto nella Valle di S. Martino, 13 agosto 1687; ibid., Stato delli habitanti, cit. (questi due ultimi fascicoli, recanti lo stesso titolo, contengono, come si vede, rilevazioni leggermente differenti della popolazione immigrata, la sola censita inoltre nel primo di essi) 27 Ibid., Stato delli habitanti, cit. (il primo citato con questo titolo nella nota precedente). Su questo documento cfr. le considerazioni svolte in Sereno, 1989, pp. 450-451. Il suo estensore è il castellano della Val San Martino, Gio. Giacomo San Martino 22 anziani della chiesa protestante negli anni Quaranta del Settecento, troviamo Giovanni Reforno,28 che è sopravvissuto con i figli alla deportazione nel Vercellese, subita insieme agli altri che preferirono l’abiura all’esilio nei paesi protestanti; Francesco Poetto, un altro deportato, morirà cattolico nel 1731.29 L’inchiesta del 1725 Nel corso del Settecento, l’apparato istituzionale conversionistico e la presenza cattolica nelle Valli è oggetto di alcune importanti misure di potenziamento e di riorganizzazione,30 in particolare: la decisione, nel 1748, che le congrue per il mantenimento dei sacerdoti officianti nelle chiese delle Valli fossero a carico del pubblico tesoro;31 la fondazione, nel 1739, della Regia opera dei prestiti, a beneficio dei cattolici e dei convertiti delle Valli;32 il trasferimento della competenza sui valdesi dall’Ospizio dei catecumeni di Torino a un’omologa istituzione decentrata, stabilita in Pinerolo nel 1743;33 l’erezione, infine, nel 1748, del vescovado di Pinerolo.34 28 ACV, Livre où sont registrés les mariages, baptêmes de l’Eglise de Villesèche commencé en avril 1730 par David Léger P. (1730-1775), 2 maggio 1740: “Mariage – Jacques Bounous Garin de Jean a épousé Judith fille de Pierre Refourn ancien”. 29 APT, Liber mortuorum ab anno 1712 usque ad annum 1743, 9 marzo 1731. 30 Settecento religioso, 2001. 31 Caffaro, 1893-1903, vol. I, p. 386. Lo stesso anno, una somma di 46593 lire fu devoluta dalle regie finanze alla costruzione e al ripristino di edifici ecclesiastici nelle parrocchie di patronato regio (costituenti oltre la metà delle parrocchie delle Valli) e un contributo annuo, tratto dai fondi dei benefici vacanti, fu assegnato con la medesima finalità alle parrocchie di libera collazione (cfr. ibid.). 32 Nel 1739, il re faceva consegnare nelle mani del teologo Pietro Manfredo Danna, vicario di Cavoretto (poi canonico nella cattedrale di Pinerolo), 10000 lire, provenienti per metà dalle regie finanze e per l’altra metà dalla cassa dei benefici vacanti, con la facoltà di concedere prestiti ai cattolici e ai convertiti delle Valli, a un tasso di interesse non superiore all’1-1,5%. L’anno seguente, altre 13600 lire, derivanti dai redditi dei benefici vacanti, furono affidate al Danna per essere impiegate nelle Valli in elemosine, prestiti, acquisti di beni stabili, doti alle giovani convertite, sovvenzioni alle chiese, ai parroci e all’istruzione cattolica (cfr. Bernardi, 1864, pp. 11-13;. Caffaro, 1893-1903, vol. III [1897], p. 164 e vol. V [1900], pp. 298-299). In Duboin, 18181869, tomo XIII, vol. XV, lib. VII, tit. XIX, capo X, nota 1, pp. 356-357, la fondazione dell’Opera è fatta risalire a regie patenti del 1749, non rinvenute dal compilatore. Sull’attività di Pietro Manfredo Danna e l’Opera dei prestiti cfr. anche Canavesio, 2004. 33 L’Ospizio dei catecumeni di Pinerolo fu aperto per decreto regio nel 1743. Alla congregazione che lo amministrava, composta da varie autorità civili ed ecclesiastiche pinerolesi, i regolamenti approvati dal sovrano nel 1752 affidavano anche competenze in materia di distribuzione di elemosine, doti, sussidi per la riparazione delle chiese e per il loro arredo, letteratura religiosa da diffondere nelle Valli valdesi (cfr. Bernardi, 1864, pp. 21-31). La dotazione dell’Ospizio era costituita in parte da redditi dei benefici vacanti, in parte dai fondi dell’ex Rifugio presso l’Albergo di virtù, in parte da lasciti privati e da un contributo assegnatogli nel 1747 dal pontefice Benedetto XIV (cfr. ibid., pp. 35-45). Sull’attività dell’ospizio cfr. anche Povero, 2007. 34 Il vescovato fu eretto con la bolla di Benedetto XIV del 23 dicembre 1748. La nuova diocesi comprendeva territori in precedenza spettanti alla giurisdizione dell’arcivescovo di Torino – come la Val Luserna – o dell’abate di Santa Maria in Pinerolo (sede vacante dal 1735) – come la Val Perosa, il suo Inverso e la Val San Martino. Primo vescovo di Pinerolo, dal 1748 al 1794, fu il savoiardo Giovanni Battista d’Orlié dei marchesi di Saint-Innocent, già prevosto di Oulx (cfr. Caffaro, 1893-1903, vol. I, pp. 445-450). La giurisdizione sulla Val San Martino, a lungo contesa area di confine, era stata infine riconosciuta 23 Non mancò inoltre, verso la fine del regno di Vittorio Amedeo II, un momento straordinario di controllo e di riaffermazione esplicita di tutte le inibizioni giuridiche connesse al riconoscimento della minoranza valdese. Esso scaturì da un problema sollevato di fronte alla corte da personaggi rappresentativi del valdismo stesso, con il sostegno diplomatico dell’Inghilterra. Il nuovo quadro normativo generale delineato dalle Costituzioni emanate dal re nel 1723, non contemplando esplicitamente la tolleranza accordata valdesi, rischiava infatti di metterne in forse la base giuridica. La questione si risolse con la riconferma nell’editto del 20 giugno 1730 delle condizioni precedentemente riservate ai valdesi,35 ma fornì intanto l’occasione (o il pretesto) per ordinare un’ampia inchiesta sul rispetto della legislazione, pletorica e in gran parte ormai vetusta, emanata fino a quel momento sulla materia. La conduzione dell’inchiesta fu affidata dal sovrano, sul finire del 1724, al Senato di Pinerolo,36 cui fu demandata l’assunzione di testimonianze locali e la sollecitazione di risposte e giustificazioni in merito alle violazioni riscontrate a quegli stessi personaggi che erano ricorsi alla corte sul problema creato dalle Costituzioni o ad altri notabili valdesi da individuarsi a giudizio degli inquirenti. I punti cruciali sottoposti all’attenzione del Senato erano i seguenti: il ritorno alla fede protestante da parte di individui convertiti (nella terminologia canonistica: “relapsi”) o battezzati nella chiesa cattolica (“apostati”) da genitori cattolizzati in epoca precedente al 1686 e perciò esclusi dal condono accordato dall’editto di ristabilimento del 1694 a coloro che, essendosi convertiti durante la persecuzione, avevano nel frattempo rinnegato quella scelta, riconosciuta come forzata e non valida; la presenza nelle Valli valdesi di rifugiati protestanti francesi o provenienti dalla Val Perosa (bassa Val Chisone), ceduta dalla Francia ai Savoia nel 1696 con la clausola di non tollerarvi la ripresa del culto riformato; l’immigrazione nelle Valli stesse e l’utilizzo delle loro strutture religiose da parte di protestanti della Val Pragelato (alta Val Chisone), ottenuta al termine della Guerra di successione spagnola a condizioni analoghe.37 L’inchiesta ebbe luogo nel gennaio-febbraio del 1725; in genere, per ogni località o gruppo di località vicine delle Valli valdesi furono convocati due testimoni, citati dal sostituto avvocato fiscale generale presso il Senato; sulle violazioni segnalate dalle dall’arcivescovo di Torino all’abbazia di Santa Maria in uno strumento di transazione del 7 settembre 1688 (cfr. ibid., p. 383). 35 Cfr. il testo dell’editto, emanato da Vittorio Amedeo II, in Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 264-266. Cfr. inoltre i due interventi di Carlo Emanuele III (le patenti del 12 agosto 1730 e il biglietto del 12 maggio 1731) che vi apportarono alcuni chiarimenti ed esplicitazioni, ibid., pp. 267-269. Sulla legislazione concernente i valdesi tra l’espulsione del 1686 e le misure del 1730 cfr. Viora, 1930; Soffietti, 1990. 36 Su questa magistratura, istituita dai francesi nel 1631 e funzionante dotto il dominio sabaudo fino al 1729,con giurisdizione sulle Valli valdesi, cfr. Viora, 1927, nel quale sono inoltre riprodotti i provvedimenti relativi all’istituzione, emanati dai sovrani francesi e da Vittorio Amedeo II. Questi ultimi si trovano anche in Duboin, 1818-1869, tomo III, parte I, lib. III, tit. III, capo V, pp. 420-425. 37 L’editto permetteva ai francesi di stabilirsi nelle Valli, prestando giuramento di fedeltà, “indifferentemente pendente la presente guerra, e dopo fatta la pace [...] solo a favore di quelli, li quali saranno usciti di Francia a causa della loro Religione, e non vi si saranno ristabiliti dappoi” (Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 258-259). Un successivo editto del 1698, recependo il disposto di un articolo del trattato di pace con la Francia siglato nel 1696, intimava però a tutti i sudditi del re di Francia di lasciare le Valli entro due mesi dalla sua pubblicazione (ibid., tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 262-263, 267 e 269). Sulle vicende politico religiose della Val Pragelato tra la revoca dell’editto di Nantes e le misure successive all’annessione sabauda cfr. Tron, 2005. 24 deposizioni vennero poi raccolte le repliche di gruppi di notabili valdesi della valle interessata.38 Per Faetto e Riclaretto vennero ascoltati due anziani cattolizzati di Faetto: entrambi dichiarano di essere “lavoranti di campagna”, di possedere un patrimonio del valore di 200 lire e sono analfabeti. Le loro deposizioni, concordanti, rivelano la presenza a Faetto di 3 apostati (3 donne) e di 9 relapsi (7 uomini e 2 donne), cattolici prima del 1686 e passati al valdismo in anni compresi fra il 1693 e il 1710.39 L’editto del 1730 condonò la pena di morte e la confisca dei beni previste per apostati e relapsi, a condizione che essi rientrassero nella chiesa cattolica o lasciassero lo stato entro sei mesi. Sembra che questa intimazione abbia causato l’esilio nelle terre protestanti svizzere e tedesche di circa 400 persone provenienti dalle Valli valdesi.40 Non è facile valutare l’impatto sui destini individuali di momenti rigidamente assertivi della legalità sabauda nelle Valli valdesi, come l’inchiesta del 1725 e le intimazioni pronunciate dall’editto del 1730. I loro effetti dovevano probabilmente colpire in modo selettivo, filtrati dalle strutture informali della leadership locale, implicitamente riconosciute dalla quasi-ufficializzazione di un’élite valdese con legami internazionali come interlocutrice responsabile di fronte allo stato sabaudo e alle potenze protettrici della minoranza religiosa.41 Si aggiunga che lo stesso quadro normativo, oltre a essere permeabile alle contingenze politiche, poteva risultare sostanzialmente alterato da esenzioni e concessioni particolari, come quelle che i notabili della Val San Martino, interpellati dal Senato nel corso dell’inchiesta, sostennero essere state garantite ufficiosamente ai rifugiati francesi in ricompensa delle loro prestazioni militari;42 oppure poteva rivelarsi di fatto 38 Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 101, fasc. s. n., Volume d’Informazioni tolte sovra li Capi d’abusi, introduttisi, e commessi dalli Uomini della R. P. R. abitanti nelli luoghi di Prali, e Rodoretto, con l’inserzione di quattro altri volumi risguardanti quelli delli luoghi di Macello, Salza, Perero, Boville, S. Martino, Traverse, Faetto, Riclaretto, Chiabrant e Maniglie tutte Comunità di detta Valle S. Martino, 15 gennaio 1725. Gli scopi dell’inchiesta sono enunciati nel Verbale che apre il fascicolo, seguito dalla copia dei due regi biglietti istitutivi, del 29 novembre e del 14 dicembre 1724. Le risposte dei notabili valdesi interpellati dal Senato sono riferite in un altro fasc. s. n., nello stesso mazzo: Risposte datte da Ministri, et altri Religionarj a Capi d’abusi introdutisi nelle Valli S.o Martino, Luserna, Inverso Perosa, S.o Bartolomeo, Prarostino, e Roccapiatta dipendentemente dalle informazioni tuolte, 21 febbraio 1725. Per la Val San Martino furono citati il pastore Giovanni Malanot, il maggiore Malanot (zio del precedente) e il luogotenente Stefano Rostagno. 39 E’ probabilmente significativo che si tratti di anni, durante i quali le Valli furono quasi ininterrottamente teatro di eventi bellici. 40 Armand Hugon, 1974, p. 212. 41 Da un lato, come si è visto, la posizione dei valdesi nello stato aveva una base giuridica garantita dal diritto internazionale nell’articolo segreto del trattato dell’Aja, che legittimava perciò l’interessamento diplomatico delle potenze protestanti; dall’altro, nei confronti della società locale, i legami internazionali della chiesa valdese si concretavano nell’amministrazione di aiuti dispensati dal mondo protestante europeo – borse di studio presso le facoltà teologiche ginevrina, svizzere e olandesi, sussidi per il culto, per l’istruzione e per l’assistenza ai poveri –, che proprio nel corso del XVIII secolo vengono assumendo un carattere di più organizzata continuità (cfr. Armand Hugon, 1974, pp. 233-234). 42 Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 101, Risposte datte da Ministri, cit.. La storiografia ha sottolineato spesso le brillanti performance valdesi negli eserciti sabaudi, interpretandole come un’orgogliosa affermazione di ethos militare, espressa nel quadro di un lealismo un po’ ingenuo. Non è impensabile tuttavia (ma la questione è del tutto inesplorata) che, per l’élite valdese, la scelta 25 inapplicabile perché troppo violentemente in contrasto con la realtà socioeconomica locale, come le disposizioni che vietavano ai cattolici e ai valdesi di tenere presso di sé o comunque di impiegare in modo permanente servitori dell’altra confessione.43 Le conversioni durante il secolo XVIII Quale fu in queste cirocstanze il destino degli apostati e dei relapsi di Faetto? Otto non hanno lasciato tracce della loro presenza nella comunità attraverso i registri parrocchiali o il notarile: un silenzio che può far supporre un’emigrazione definitiva; tre, in anni successivi, risultano cattolici;44 una relapsa detta un testamento protestante ancora nel 1734.45 Quanto ai rifugiati, ne vengono segnalati 4: 2 (uomini), entrambi stabilitisi a Faetto nel 1704-1705, provengono dal Delfinato e dalle Cevenne; uno di loro risulta sposato a una valdese originaria dell’Inverso Val Perosa e l’altro, celibe, è servitore presso un membro della eminente famiglia di notabili e pastori Léger. Dal notarile sappiamo che tutti e due sono certamente a Faetto in anni successivi all’inchiesta: il primo, nel 1734, ma ignoriamo la sua appartenenza confessionale a quella data;46 il secondo, nel 1737, quando fa testamento e, da parte di alcuni dei suoi membri della milizia sotto le insegne del sovrano assicurasse l’opportunità di mantenere aperti preziosi canali di comunicazione con i poteri statali. 43 La risposta di Carlo Emanuele I al capo VIII del Memoriale a capo degli Eretici delle Valli di Luserna, colle risposte di S.A., concernente diversi capi, e dichiarazioni per la tolleranza della loro Religione, 29 marzo 1602, in effetti così recitava: “S.A. permette, che sia lecito servirsi per operaj, e manuali Eretici, con che però non abitino con Cattolici, né li tenghino per servizj ordinarj” (Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, p. 120). Il compendio degli editti concernenti i valdesi citato, richiamandosi a questa disposizione, la rendeva più esplicita: “Potere li Catolici delle Valli servirsi degli operaj e manuali Eretici così ancora gli Eretici dei operaj e manuali Catolici con che però non abitino insieme né si tenghino per servizj ordinarj”. L’inchiesta rivela che tre cattolici di Faetto risiedevano stabilmente presso altrettanti padroni valdesi: due ragazzi di 12 e di 14 anni e una giovane di 20 anni, quest’ultima a servizio dal ministro Léger. In proposito, un teste interrogato precisa: “sebbene li sovranominati servino li religionarj non tralasciano però soventi d’andare alla Messa”. Le caratteristiche dell’economia pastorale potevano tuttavia rendere non sempre facile il controllo dell’ortodossia religiosa della manodopera servile cattolica impiegata dai valdesi, proprio nel momento in cui essa diveniva più numerosa; lo stesso teste infatti continua: “vero è che in tempo d’estate li Religionarj tengono al loro servizio maggior numero di Cattolici per custodire li bestiami sovra l’alpi et all’ora come lontani dalla Parochia, non ponno venire alla S.a Messa, né alla Dottrina Cristiana” (Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 101, Volume d’Informazioni, cit.). 44 Maria Bertocia fu Giovanni, convertita all’Ospizio dei catecumeni di Torino il 17 febbraio 1734; Giacomo Freyria fu Giovanni, testatore cattolico nel 1739 (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 170, cc. 589-590, Testamento di messer Giacomo Freyria fu Gio., 1 aprile 1739); Tommaso Macello, morto cattolico nel 1744 (APT, Liber mortuorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 9 marzo 1744). 45 Caterina Peironella, moglie del Tommaso Macello citato nella nota precedente (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 158, c. 532, Testamento di Cattarina Peironella, 3 marzo 1734). 46 Si tratta di Giovanni Carriera, originario delle Cevenne (Asto, Sezione riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 160, c. 558, Compra per messer Gio. Carriera fu Dioniggio di Sauze da Gio., Michele, Antonio e Giacomo frattelli Peirotti fu Giacomo delli Trossieri, 29 ottobre 1734). Sua moglie, Anna Galleana di Inverso Pinasca, ormai vedova, detta un testamento cattolico nel 1752 (Asto, Sezione riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 198, cc. 258-260, Testamento d’Anna Carriera, 26 giugno 1752) e muore cattolica a circa ottant’anni nel 1764 (APT, Liber mortuorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 11 febbraio 1764). Da una testimonianza resa nel corso di un procedimento iniziato il 14 dicembre 1750 di fronte al tribunale della Val San Martino, si apprende che è ostessa (cfr. Tron 1987, Allegati, scheda 39). Le due 26 protestante, lascia una casa da destinarsi a scuola alla locale chiesa valdese, mentre nomina erede universale un nipote del suo padrone e protettore.47 Gli altri due “rifugiati” provengono dalla Val Pragelato: fratello e sorella, si sono in realtà trasferiti a Faetto in tenera età, attorno al 1695, al seguito della madre, passata a seconde nozze con uno dei principali maggiorenti valdesi della Val San Martino. Nei decenni successivi troveremo, residenti a Riclaretto, alcuni esponenti di questa discendenza immigrata, i Bert, nei ranghi dell’élite valdese. I casi di apostati e relapsi denunciati nell’inchiesta del 1725 si riferiscono a conversioni avvenute negli anni precedenti alla persecuzione, nei quali esse si concentrano in gran numero. A un ritmo certo assai più lento, un movimento di conversioni prosegue durante il secolo successivo, non esattamente quantificabile e periodizzabile, per la scarsità di informazioni dirette. Sappiamo comunque, anzitutto, che all’Ospizio dei catecumeni di Torino si registrarono, fra il 1726 e il 1742, 22 conversioni di individui provenienti da Faetto.48 La loro distribuzione per sesso e per età è riportata nella tabella 2. Gli aggregati parentali presenti sono soltanto quattro: tre madri con figli (otto individui) e una coppia di fratelli. Nei registri parrocchiali cattolici troviamo poi inseriti gli atti di abiura di un giovane di vent’anni, nel 1749, e di una ragazza quindicenne, nel 1752.49 m a sc hi 0-15 3 fe m m i ne 1 totale 4 16-30 2 5 7 31-45 6 2 8 46-60 1 1 2 oltre 60 1 0 1 totale 13 9 22 Tab. 2. Convertiti all’ospizio dei catecumenti di Torino (1726-1742). Distribuzione per genere e per età. figlie dei Carriera, Susanna e Anna, si sposano nella chiesa cattolica, rispettivamente, nel 1744 (a quella data il loro padre risulta già morto) e nel 1746 (APT, Liber matrimoniorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 29 aprile 1744 e 23 maggio 1746). Il figlio maschio Giovanni muore cattolico nel 1763 (APT, Liber mortuorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 22 febbraio 1763). Di nessuno di questi figli ho trovato gli atti di battesimo, né nei registri della parrocchia cattolica di Trossieri, né in quello della chiesa valdese di Villasecca. 47 Asto, Sezione riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 168, c. 67, Testamento di Andrea Turello, 31 dicembre 1737. Andrea Turello proviene da La Mure, nel Delfinato. 48 L’elenco dei convertiti di Faetto presso l’Ospizio dei catecumeni di Torino mi è stato gentilmente comunicato da Luciano Allegra. I registri dell’Ospizio si sono conservati soltanto a partire dal 1720 (cfr. Allegra, 1990, p. 525). 49 APT, Liber baptizatorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 8 dicembre 1749, atto di abiura di “Matthaeus Poetus filius Joannis et Mariae Frayriae in haeretica pravitate adhuc viventium”; ibid., 14 maggio 1752, atto di abiura di “Susanna filia quondam Joannis et Joannae Moratae” (di questa convertita si riferisce che “sufficienter fuit instructa in regio Pineroliensi Hospitio”). Entrambe le abiure, raccolte dal rettore della parrocchia “ex facultate scripta” del vescovo di Pinerolo, furono pronunciate nella chiesa parrocchiale “solemniter coram populo ad divina audiendum congregato”. 27 Infine, attraverso la ricostruzione nominativa delle famiglie presenti nei registri della parrocchia cattolica e della chiesa valdese, integrata dai dati provenienti dai testamenti, si possono riscontrare le tracce indirette ma inequivocabili di almeno 28 conversioni al cattolicesimo, riguardanti 14 uomini e 14 donne, avvenute a Faetto fra il 1682 e il 1785.50 Di quasi tutte è impossibile fissare la data; in molti casi tuttavia si può situare in qualche modo il momento della conversione rispetto al ciclo di vita degli individui interessati (cfr. tab. 3). La prevalenza femminile fra i convertiti non ancora sposati sembra coerente con quella riscontrata nella fascia di età 16-30 anni fra i convertiti all’Ospizio di Torino (cfr. tab. 2). A questo proposito, limitiamoci a osservare che il mercato matrimoniale e le logiche dotali devono aver svolto un ruolo decisivo nelle scelte di conversione di questa popolazione femminile. Delle abiure avvenute dopo il matrimonio, 5 (riguardanti 3 uomini e 2 donne) intervengono sicuramente in età avanzata e in presenza di figli già adulti. convertiti prima del matrimonio maschi 3 convertiti dopo il matrimonio totale convertiti femmine totale maschi femmine totale maschi femmine totale 9 12 7 5 12 10 14 24 Tab. 3. Conversioni di cui si conservano solo prove indirette (1682-1785). Distribuzione per genere e stato matrimoniale. Ci si può domandare quale connotazione queste conversioni abbiano contribuito a dare alla fisionomia religiosa della comunità. Uno sguardo alla loro distribuzione all’interno dei gruppi di discendenza mostra che esse hanno determinato la permanenza per lungo tempo di configurazioni parentali spesso complesse dal punto di vista della composizione religiosa: discendenze miste che possono ripresentarsi a vari livelli di segmentazione, differenziazioni generazionali e fra gli stessi coniugi. La presenza di queste situazioni in un’area interessata da strategie patrimoniali e, quando non all’interno stesso delle unità domestiche, in quello che spesso costituisce lo spazio primario d’integrazione produttiva e politica di queste ultime, suscita interrogativi sul ruolo del confine religioso nell’organizzazione sociale. I registri parrocchiali e gli atti notarili hanno consentito l’identificazione nominativa di un buon numero di abitanti di Faetto nel corso del secolo XVIII, della loro appartenenza religiosa, della loro posizione all’interno delle famiglie biologiche di provenienza e, almeno fino a un certo punto, delle trame di parentela in cui queste ultime s’inseriscono.51 Due 50 Riscontro la traccia di una conversione quando di un individuo, del quale il battesimo, il matrimonio, il battesimo dei figli sono annotati nel registro della chiesa valdese, scopro battesimi successivi di figli, un nuovo matrimonio o la morte registrati nel parrocchiale cattolico, oppure trovo un testamento cattolico (le invocazioni per la propria anima, le disposizioni concernenti le esequie e gli eventuali lasciti pii che aprono i testamenti dichiarano immediatamente l’appartenenza confessionale del testatore). 51 Poco discorsive e non sempre abbastanza complete da permettere di seguire e contestualizzare nel dettaglio le scelte religiose compiute dai singoli, specialmente nel caso delle figure sociali più povere e instabili, le fonti demografiche e notarili utilizzate nel presente lavoro contengono tuttavia una ricchezza insostituibile di 28 sono le caratteristiche di fondo della società locale che già s’intravedono e che cercheremo di approfondire: da un lato, una certa precarietà dell’insediamento cattolico (il quale non sembra in effetti poter fare a meno di puntelli istituzionali); dall’altro, un contesto quotidiano di rapporti intensi e pacifici tra le due componenti religiose. indicazioni che consente di far emergere lo sfondo più generale di esiti e tendenze collettivi prodotti dall’interazione sociale fra cattolici e valdesi di Faetto. 29 I. Regimi demografici a confronto La popolazione nelle Valli Valdesi tra la fine del secolo XVII e l’inizio del secolo XIX Consistenza e andamento demografici L’impatto demografico delle stragi e dell’espulsione pressoché totale della popolazione delle Valli valdesi tra il 1686 e il 1689 è difficilmente valutabile. Come vedremo, le ipotesi che si possono avanzare fanno comunque supporre perdite talmente drastiche da imprimere necessariamente un’impronta distintiva al ripopolamento e alla ripresa dopo la Rentrée. Questo stato di cose si riflette puntualmente nella produzione delle fonti, anzitutto nelle clamorose incongruenze che si manifestano tra le cifre riportate dalle successive rilevazioni della popolazione. Diverse circostanze intervengono poi a contrastare il ricupero demografico: in primo luogo, la destrutturazione del sistema insediativo e produttivo causata dall’espulsione della popolazione autoctona e dal tentativo di ricolonizzazione, gli effetti di una guerra che si protrae, quasi senza soluzione di continuità, fino al secondo decennio del secolo XVIII, ma anche la più vasta congiuntura climatica ed economica.1 Le informazioni disponibili sulla consistenza demografica delle Valli Valdesi sono scarse e assai incerte per quanto riguarda il periodo precedente la fine del secolo XVII. Da questo punto in poi esiste invece una serie abbastanza numerosa di rilevazioni periodiche della popolazione (cfr. tabelle 1a e 1b) – sebbene, appunto, con notevolissimi e peculiari problemi di attendibilità. anno Val Luserna Inverso val Perosa Val San Martino Prarostino, Roccapiatta e San Bartolomeo totale Valli valdesi 1678 1686 1698 1734 1741 1753 1774 1777 1805 7082 1242 5267 7058 7465 9073 12466 9024 10448 1972 356 1215 1456 1370 2403 2382 2627 2877 2151 679 1415 1862 1867 2336 3424 3522 3388 698 117 442 694 801 999 1633 1239 1468 11903 2394 8339 11070 11503 14811 19905 16412 18181 Tab. 1a. Popolazione delle Valli valdesi 1678-1805 (dati assoluti). 1 L’ultimo decennio del XVII secolo fu infatti, come noto, contrassegnato da deterioramento generalizzato delle condizioni climatiche e da gravi crisi di sussistenza in tutta Europa. Le regioni alpine, in particolare, conoscono fra il 1687 e il 1692 una successione di annate molto fredde e umide, rovinose per i raccolti cerealicoli (cfr. Le Roy Ladurie, 1982, p. 71). In Piemonte, “gli anni ’90 del Seicento” si possono considerare “i peggiori dal 1630” (cfr. Dossetti, 1981, in particolare, p. 549). 30 anno Val Luserna Inverso val Perosa Val San Martino Prarostino, Roccapiatta e San Bartolomeo totale Valli valdesi 1678 1686 1698 1734 1741 1753 1774 1777 1805 59,50 51,88 63,16 63,76 64,90 61,26 62,63 54,98 57,47 16,57 14,87 14,57 13,15 11,91 16,22 11,97 16,01 15,82 18,07 28,36 16,97 16,82 16,23 15,77 17,20 21,46 18,63 5,86 4,89 5,30 6,27 6,96 6,74 8,20 7,55 8,07 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 Tab. 1b. Popolazione delle Valli valdesi 1678-1805 (percentuali). Nota: i dati risalenti al 1686 si riferiscono al numero di famiglie censite; tutti gli altri al numero di abitanti. Fonti: 1686: Asto, Sezioni riunite, Camera dei conti, art. 557, n. 1, Stato presente delle Valli [...], 16 giugno 1686; 1698: Asto, Sezioni riunite, Camera dei conti, art. 531, m. 1, E-F, Consegna di bocche umane, 1698; 1734: Asto, Sezioni riunite, II Archiviazione, capo 10, nn. 9-10, Consegna delle Bocche Umane e delle Bestie, 1734; 1741: Asto, Sezioni riunite, I Archiviazione, Provincia di Pinerolo, m. 1, Stato del Personale del 1741, 1743; 1753: Asto, Sezioni riunite, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale, n. 12, 1753; 1774: Asto, Corte, Materie economiche, Materie economiche per categorie, Finanze, m. 3 di I add., n. 4, Stato generale delle anime, 1774; 1777: Caffaro, 1893-1903, vol. I, pp. 660-661; 1805: Asto, Sezioni riunite, Governo francese, m. 1734, sez. II, cat. 20, art. 1/1-6. Il confronto tra i dati del 1678 e quelli del 1698 indica una diminuzione complessiva della popolazione pari al 29,9%.2 Non è chiaro quanto questa percentuale rifletta l’impatto demografico della persecuzione; da un lato, è possibile che nel 1698 il reinsediamento di esuli e deportati non fosse ancora completo; dall’altro, che la presenza di numerosi rifugiati dai territori francesi ed ex francesi attenui l’entità reale delle perdite: la consegna censisce in effetti 237 individui provenienti dalla Val Perosa in Val San Martino, 164 oltre a 644 “francesi” in Val Luserna.3 D’altro canto, le cifre del 1698 si presentano ambigue, mentre le successive del 1734, 1741 e 1753, sono verosimilmente sottostimate.4 A proposito della consegna del 1698, l’autrice del lavoro a tutt’oggi più completo sulla demografia delle Valli valdesi nei secoli XVII e XVIII ha avanzato l’ipotesi di una sottostima “quasi inevitabile” dovuta alla disorganizzazione conseguente alla persecuzione e alle guerre. Al contrario un’attenta 2 Livelli di popolazione comparabili a quelli della vigilia della persecuzione saranno probabilmente raggiunti solo intorno al 1750 (cfr. Sereno, 1990, p. 299) o addirittura tra il 1750 e il 1770, come ipotizza Tron per la Val San Martino (Tron, 1990, p. 325). 3 Dossetti, 1981, p. 541. 4 A proposito della Consegna di bocche umane del 1698, Dossetti parla di sottostima “quasi inevitabile in un periodo in cui tutto doveva essere riorganizzato, anche i registri parrocchiali e comunali” (Dossetti, 1981, pp. 543-544). 31 critica delle fonti ha condotto Paola Sereno alla conclusione che i dati del 1698 siano notevolmente sovrastimati. La causa risiederebbe nel disegno concertato dei valdesi superstiti tornati nei loro villaggi dopo la Rentrée di nascondere la reale dimensione di vuoti provocati nella loro popolazione dalla persecuzione, nonostante l’aggravio in termini fiscali che ciò avrebbe comportato, come parte di un “tentativo di far apparire per ridistribuzione interna tutta la superficie agraria utilizzabile satura dal punto di vista dei diritti di proprietà” e difenderla così da intrusioni esterne. Tenendo inoltre conto dei nati dopo la Rentrée identificabili nella consegna (i minori di cinque anni) e della presenza dei sudditi francesi rifugiati, il calo demografico che si può attribuire agli eventi legati alla persecuzione sale al 60% o anche ai due terzi della componente valdese della popolazione presente prima del 1686, se si accetta l’ipotesi di sovrastima della popolazione adulta nella consegna del 1698. Il saggio della Sereno non considera tuttavia i dati del 1678 (che non sono distinti per affiliazione confessionale) e muove da una rilevazione, di incerta provenienza5, che situa la popolazione valdese nel 1686 intorno ai 12000 abitanti.6 Per quanto riguarda invece le rilevazioni successive, sino a quella del 1753, Giovanni Prato, in due lavori pionieristici scritti agli inizi del secolo scorso, mentre riteneva affette da sottostima sistematica di minori, esenti e miserabili le rilevazioni fatte eseguire dagli intendenti in seguito a un biglietto regio del 1742 e quelle effettuate nel quadro della Statistica Generale ordinata nel 1750, perché in entrambi i casi basate sui registri della gabella del sale, giudicava assai più attendibili i dati forniti dalla consegna del 1734, “primo atto rivolto ad accertare il numero degli abitanti, astrazion fatta da ogni dichiarato intento fiscale e militare, per quanto certamente connesso ad entrambi tali scopi”.7 Valutazioni più recenti sospettano invece che, almeno in alcune zone decentrate del Piemonte, i suoi dati siano gravemente inesatti per difetto.8 È tuttavia attorno ai dati forniti dallo Stato generale delle anime del 1774 che si addensano le maggiori perplessità. Insolitamente basato su rilevazioni ecclesiastiche (gli “stati delle anime”) e dominato da finalità di leva militare, vi sono serie ragioni per ritenere che questa rilevazione abbia condotto in molti casi a una sovrastima della popolazione.9 Infine, per quanto riguarda in particolare le Valli valdesi, esiste un problema concernente la reale datazione delle informazioni. È stata infatti riscontrata una singolare coincidenza fra i dati del 1774 e le cifre riportate in una compilazione erudita pubblicata tra 5 Tron, 1990, pp. 322-323. Sereno, 1990, pp. 296-301, cit. a p. 297. Relativamente alla Val San Martino (per la quale esistono due redazioni discordanti della consegna del 1698, il cui l’originale sembra però essersi conservato solo in un caso) cfr. inoltre l’analisi meticolosa e approfondita dei dati demografici disponibili per il periodo immediatamente precedente e successivo alla Rentrée compiuta da Tron, 1990. 7 Prato, 1906, in particolare, pp. 23 (da cui è tratta la citazione) e 41; Prato, 1908, pp. 12-13 e 25. 8 Albera et al., 1988, in particolare, pp. 123 e 155-156. L’opinione di Prato, soprattutto relativamente al giudizio positivo sull’accuratezza della consegna del 1734, è condivisa invece da Levi, 1974, p. 202; Dossetti, 1977, pp. 128-129; Dossetti, 1981, p. 546. 9 “Il consegnamento del 1774 fatto per uso militare, si basava sulle informazioni dei parroci [...]. I parroci dovettero probabilmente calcolare non solo la popolazione presente per tutto o per gran parte dell’anno, ma anche i nati nelle loro parrocchie, ma assenti di fatto definitivamente o per lunghi periodi, per evitare a chiunque di sfuggire alla leva” (Albera et al., 1988). Sulla genesi e le modalità di questa rilevazione cfr. Prato, 1906, pp. 26-29; sulla sua imprecisione e sommarietà cfr. Levi, 1974, p. 202, che ne segnala inoltre la variabile datazione (1767, 1773, 1774 e 1780) rinvenibile nelle copie conservatesi negli archivi centrali. 6 32 la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, nella quale sono datate al 1759.10 Nelle due serie, che entrambe distinguono gli abitanti delle Valli Valdesi in base alla confessione religiosa, sono in realtà identiche soltanto le cifre costantemente arrotondate riguardanti la popolazione valdese, ovviamente non presente negli stati delle anime, che manifestano un carattere semplicemente estimativo11 I dati sui cattolici appaiono invece quasi sempre divergenti, talvolta in misura non indifferente. È possibile quindi che nel 1774 si sia proceduto a un aggiornamento di questi ultimi, mentre siano state riprodotte inalterate stime della popolazione valdese risalenti a quindici anni prima, rispetto alle quali le autorità ecclesiastiche cattoliche avevano evidentemente limitate possibilità di verifica. Di fatto, l’utilizzazione di questi dati si rivela in ogni caso problematica; se infatti li si riferisce al 1759, essi danno luogo a una sequenza del tutto implausibile di tassi di incremento medio annuo fra i momenti delle diverse rilevazioni. Tuttavia, lo stesso accade se si mantiene la loro datazione al 1774, a meno di non ritenere inattendibili i dati del 1777, che, benché di origine incerta,12 sembrano più accurati, se non altro esteriormente, poiché non contengono cifre palesemente arrotondate.13 1678-1698 1698-1734 1734-1741 1741-1777 1777-1805 incremento annuo -14,7 8,16 8,04 5,28 5,25 1698-1805 1734-1805 1741-1805 6,42 5,54 5,27 anni Tab. 2. Valli valdesi 1678-1805. Tassi d’incremento medio geometrico annuo per 1000 della popolazione. Più in generale, i tassi d’incremento medio annuo determinabili in base alle cifre portate dalle varie rilevazioni appaiono spesso molto dubbi. In particolare, i livelli attribuiti alla popolazione nel 1753 e nel 1774 risultano straordinariamente elevati rispetto a quelli forniti nelle due rilevazioni precedenti, del 1734 e del 1741, e successive, del 1777 e del 1805. 10 Tron, 1987, p. 100. I dati si trovano in Caffaro, 1893-1903, vol. VI, pp. 1-52 (parrocchie della Val San Martino), 86-129 (parrocchie dell’Inverso Val Perosa), 168 (parrocchia di San Bartolomeo in Prarostino), 454-559 (parrocchie della Val Luserna). La fonte dei dati pubblicati da Caffaro è forse una documentazione funzionale agli ordinati dei direttori della congregazione dell’Ospizio dei catecumeni di Pinerolo, datati 12 febbraio 1758 e 7 gennaio 1759, concernenti la ripartizione fra le chiese delle Valli Valdesi del sussidio proveniente dal fondo dei benefici vacanti decretato in loro favore dal sovrano il 20 aprile 1740 (cfr. Caffaro, 1893-1903, vol. I, p. 387). 11 Su questa caratteristica dei dati cfr. Dossetti, 1981, p. 546; il fatto che le cifre fornite dai parroci sulla consistenza della popolazione valdese non potessero che derivare da una “valutazione approssimativa” era tuttavia già stato sottolineato da Prato: cfr. Prato, 1906, p. 75. 12 Tron, 1990, p.335, nota 40. 13 Seguendo l’ipotesi di datazione al 1759 si ottengono questi tassi di incremento annuo: 1753-1759: 43,0‰; 1759-1777: -12,2‰. Mantenendo la datazione al 1774, ma senza escludere i dati del 1777, avremmo invece le seguenti percentuali: 1753-1774: 13,5‰; 1774-1777: -59,3‰. 33 Sorprende, in primo luogo, l’entità della crescita che sarebbe avvenuta fra il 1741 e il 1753, durante cioè un periodo difficile nelle Valli valdesi come in larga parte d’Europa. Il tasso calcolabile in questo caso appare anzi decisamente anomalo, eguagliando, ad esempio, quello documentato per la Gran Bretagna della rivoluzione industriale.14 Le sequenze di incrementi che sembrano meno implausibili sono proposte nella tabella 2. Se si assumono come termini di riferimento la rilevazione del 1698, quella del 1734 o del 1741, da un lato, e quella del 1805, dall’altro, si delinea uno sviluppo secolare piuttosto sostenuto, dopo la catastrofe demografica causata dalla persecuzione – forse qui sottostimata. Tale sviluppo non sembra incompatibile con quanto le stesse fonti suggerirono a Raoul Blanchard per il complesso delle Alpi piemontesi.15 È tuttavia vero che l’incremento medio annuo dal 1698 o 1734 al 1805 appare assai superiore, invece, a quello determinabile per il versante piemontese delle Alpi occidentali durante il periodo 1734-1830 (pari infatti al 3,5‰ per le vallate poste a maggiore altitudine), così come per le Alpi italiane o francesi nel loro insieme, per quanto riguarda il secolo XVIII (rispettivamente, il 3 e il 2,6‰).16 Il rallentamento della crescita che pure si avverte nella seconda metà del secolo non corrisponde al giudizio di Prato sulla stagnazione della popolazione piemontese a partire dall’ultimo ventennio del regno di Carlo Emanuele III. Prato ipotizzò infatti una stazionarietà o addirittura un lento regresso.17 Alcune situazioni alpine, come la svizzera Törbel del classico studio di Robert Netting, nell’ultimo quarto del Settecento rivelano i prodromi della crescita ottocentesca, preceduti però da una sostanziale stabilità lungo i decenni precedenti.18 Non disponiamo di dati riguardanti gli anni tra il 1774 o 1777 e l’inizio del secolo XIX; in base alle cifre che conosciamo non sembra tuttavia profilarsi nelle Valli valdesi del Settecento un percorso di regresso o stagnazione e di successiva ripresa, quanto una sostanziale continuità della crescita, per quanto più lenta dopo gli anni Quaranta del del secolo. È ben plausibile che le conseguenze del genocidio abbiano impresso un ritmo particolare e probabilmente accelerato al recupero successivo. Quella che però appare una singolarità demografica rispetto ad altre zone della catena alpina e del Piemonte – o, più pessimisticamente, una serie di incongruenze – sembra, almeno in parte, un effetto eminentemente politico del processo di reinsediamento delle popolazioni locali e delle mutate condizioni del loro 14 Il tasso per il periodo 1741-1753 risulta pari al 16,4 ‰. In Inghilterra e nel Galles, ad esempio, tra il 1811 e il 1821, la fase di maggior sviluppo demografico nel passagio alla società industriale, l’incremento procede a un ritmo annuo del 16,7‰ (cfr. Wrigley, 1969, p. 54). Nella Francia del XVIII secolo, la crescita rivelata dai tassi d’incremento annuali compresi fra il 7,8‰ e il 10,7‰ calcolati da Louis Henry per dieci generalità relativamente agli anni 1752-1763 si può considerare “estremamente veloce” per il periodo (cfr. Reinhard et al., 1970, p. 359). 15 Blanchard, 1952-1954, vol. I, pp. 311-314. 16 Mathieu, 2000, p. 48. Una sostanziale stabilità demografica durante il secolo XVIII accomuna numerosi territori dell’arco alpino (Lorenzetti, Merzario, 2005, p. 121). 17 Prato, 1906, p. 42. A sostegno di questa vecchia ipotesi sembrano in effetti deporre i “segni di stasi o di regresso” durante la seconda metà del secolo rilevabili in alcune popolazioni del Piemonte occidentale (Dossetti, 1981, p. 139). Giovanni Levi ritenne invece che in Piemonte il reale punto di svolta negativo “dopo un cinquantennio difficile, ma che, complessivamente, aveva significato una forte crescita di produzione e di popolazione” e una “energica ripresa” negli anni Settanta, fosse diffusamente localizzabile nella crisi del 1783-1784, cui fecero seguito quelle del 1788-1789 e del 1794-1795 (Levi, 1974, pp. 236-238). 18 Viazzo, 1990, pp. 244-245. 34 incapsulamento nello stato sabaudo nel periodo che si apre con la Rentrée. Le cifre delle “consegne” sono sempre, come sappiamo, in maggiore o minore misura, il prodotto di dissimulazione o contrattazione. L’ipotesi avanzata da Paola Sereno che le perdite subite della popolazione valdese siano sistematicamente sottorapresentate dalla consegna del 1698 desta, come abbiamo visto, qualche motivo di perplessità rispetto alle dimensioni dell’occultamento. Resta nondimeno fecondo il suggerimento che i tentativi statali di censire popolazione e risorse abbiano sollecitato strategie di risposta tali da rendere più che mai problematica la relazione tra le cifre registrate e la realtà, sebbene risulti tutt’altro che agevole individuare il senso e l’entità delle distorsioni. Composizione religiosa della popolazione Tra le fonti qui utilizzate per valutare la consistenza complessiva della popolazione, ve ne sono tre in grado di restituirci anche un quadro della sua composizione religiosa: gli Stati delle Valli del 1686, lo Stato generale delle anime del 1774 e la rilevazione del 1777 (cfr. tab. 3). 1686 num. ass. % 1774 num. ass. % 1777 num. ass. % cattolici 191 15,38 2226 17,86 1934 21,43 valdesi 1051 84,62 10240 82,14 7090 78,57 Inverso val Perosa cattolici 79 22,19 532 22,33 301 11,46 valdesi 277 77,81 1850 77,67 2326 88,54 Val San Martino cattolici 149 21,94 1449 42,32 1475 41,88 valdesi 530 78,06 1975 57,68 2047 58,12 Prarostino, Roccapiatta e San Bartolomeo cattolici 6 5,13 33 2,02 46 3,71 valdesi 111 94,87 1600 97,98 1193 96,29 totale Valli valdesi cattolici 425 17,75 4240 21,30 3756 22,89 valdesi 1969 82,25 15665 78,70 12656 77,11 Val Luserna Tab. 3. Composizione religiosa della popolazione delle Valli valdesi secondo le rilevazioni del 1686, 1774 e 1777. Nel 1686 sono le famiglie a venire censite, mentre nelle altre due occasioni, si tratta di individui. Inoltre, nel 1686 e nel 1777, le unità territoriale di rilevamento corrispondono alle comunità amministrative, nel 1774 alle parrocchie cattoliche. A livello d’insieme, ciò che anzitutto colpisce è la sostanziale stabilità della ripartizione percentuale degli aderenti alle due confessioni nelle tre rilevazioni, nonostante il cataclisma della persecuzione che si scatena nel 1686 (e di cui la rilevazione compiuta in quell’anno rappresenta appunto uno degli atti preparatori). L’elemento valdese continua infatti a costituire intorno all’80% della popolazione totale. 35 Se passiamo a esaminare la situazione delle singole valli, si distinguono dalla tendenza generale i dati concernenti la Val San Martino, i quali rivelano uno sconvolgimento profondo tra la vigilia della persecuzione e la situazione testimoniata dai dati settecenteschi, con un massiccio riequilibrio, in ragione del 20%, a favore della popolazione cattolica. Tornando ai dati complessivi senza distinzione per appartenenza confessionale riportati nella tabella 1, scorgiamo tra la situazione del 1686 e quella del 1698 un deciso ridimensionamento del rilievo percentuale della stessa Val San Martino (-7,2%) quasi speculare all’incremento sperimentato dalla Val Luserna (+8,2%). La Val San Martino ha sofferto, in seguito alla persecuzione, perdite particolarmente pesanti, valutabili a oltre il 40%.19 I cattolici della parrocchia di Trossieri e i valdesi della chiesa di Villasecca nel secolo XVIII Consideriamo ora i dati concernenti la popolazione di Faetto (cfr. tab. 4). anno 1698 1734 1741 1753 1777 1805 abitanti 277 329 261 366 507 608 Tab. 4. Popolazione di Faetto, 1698-1805. Fonti: cfr. tab. 1. Il tasso d’incremento annuo calcolato su scala secolare 1698-1805 appare abbastanza simile a quello relativo all’insieme delle Valli valdesi e di poco inferiore a quello ottenuto per la sola Val San Martino (cfr. tab. 5).20 Faetto 1698-1805 1734-1805 7,37 8,69 Val San Martino 8,19 8,47 Tab. 5. Faetto e Val San Martino 1698-1805. Tassi d’incremento medio geometrico annuo per 1000 della popolazione. Per quanto attiene alla composizione religiosa della comunità (cfr. tab. 6), il gruppo valdese subisce fra il 1686 e il 1777 un ridimensionamento dello stesso ordine di quello intervenuto nell’intera Val San Martino. Sulla base di quanto si è visto nel capitolo 19 Tron, 1990, pp.322-323. Il calcolo dei tassi fra le cifre indicate dalle diverse rilevazioni presenta anche qui e semmai acentuate le difficoltà che abbimo incontrato per quanto riguarda l’insieme delle Valli valdesi. 20 36 precedente, possiamo formulare l’ipotesi che una parte consistente vada imputata alle conversioni di massa verificatesi in quest’area nell’ultimo quarto del secolo XVII – oltre che a una possibile diversa dislocazione di parte della popolazione fra i territori delle Valli valdesi. Ne deriva una ripartizione pressoché bilanciata degli abitanti fra le due confessioni, con anzi una leggera prevalenza dell’elemento cattolico. 1686 1777 numero famiglie % numero abitanti % CATTOLICI 32 28,60 263 51,87 VALDESI 80 71,40 244 48,13 totale 112 100,00 507 100,00 Tab. 6. Composizione religiosa della popolazione di Faetto secondo le rilevazioni dl 1686 e del 1777. Gli effettivi di una popolazione possono ovviamente derivare da regimi demografici molto diversi fra loro. Questa circostanza invita a un tentativo di confronto siostematico fra il movimento naturale delle due popolazioni oggetto di questo studio e fra le loro caratteristiche in termini di nuzialità, fecondità e mortalità. Le fonti utilizzate saranno le registrazioni dei battesimi, matrimoni e funerali effettuate nelle due circoscrizioni ecclesiastiche cui appartenevano, rispettivamente, i cattolici e i valdesi di Faetto nel XVIII secolo: la parrocchia di Trossieri (comprendente anche il territorio della comunità di Riclaretto) e la chiesa di Villasecca (nell’area della quale ricadevano, oltre a Faetto, le comunità di Bovile, Riclaretto, San Martino e Traverse).21 Vediamo anzitutto le caratteristiche delle serie cronologiche di nascite, morti e matrimoni rivelate dalle medie mobili triennali (cfr. grafici 1 - 2). 21 Per quanto riguarda le circoscrizioni ecclesiastiche cattoliche, fino al 1688 esisteva un’unica prepositura con giurisdizione sull’intera Val San Martino. Il preposto risiedeva ormai da secoli presso la chiesa di Santa Maria Maddalena a Perrero, benché l’antica pieve, chiesa matrice battesimale della valle, fosse quella intitolata a San Martino, sita nel territorio della comunità cui aveva dato il nome. Il 4 settembre 1688 il duca e l’abate di Santa Maria di Pinerolo decisero lo smembramento della prepositura in sette nuove parrocchie. Il parroco di Perrero mantenne, insieme al titolo di preposto della valle, le decime, le primizie, i fitti e i redditi che in tale qualità precedentemente gli spettavano; inoltre gli furono riservate alcune prerogative cerimoniali nei confronti delle altre parrocchie. Tranne quella di Perrero, tutte le parrocchie di nuova creazione erano sottoposte al giuspatronato del duca, che aveva loro assegnato una dotazione perpetua a carico della gabella del sale del Piemonte. La parrocchiale di Faetto e della vicina Riclaretto, sotto il titolo del Ritrovamento della Santa Croce, fu poi innalzata nella borgata Trossieri (cfr. Caffaro, 1893-1903, vol. I, pp. 383-384 e vol. VI, pp. 33-41 e 46). Per quel che concerne invece la chiesa valdese, nella citata inchiesta del 1725, le testimonianze parlano di un “tempio [...] che si ritrova posto nel quartiere di Villasecca Superiore fini di Faetto qual serve per li religionarj tanto di detto luogo, che di Riclaretto, S. Martino, Traverse e Boville”. Secondo le stessse testimonianze, i valdesi della zona poterono disporre inoltre, almeno in alcuni periodi, di luoghi di culto decentrati (Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 101, Volume d’Informazioni, cit.). 37 25 20 15 nascite morti 10 matrimoni (x 5) 5 1784 1780 1772 1776 1764 1768 1760 1752 1756 1744 1748 1740 1732 1736 1724 1728 1720 0 Grafico 1. Parrocchia di Trossieri (1720-1790). Nascite, morti e matrimoni: medie mobili triennali. 45 40 35 30 25 nascite 20 morti 15 matrimoni (x 5) 10 5 1767 1769 1765 1763 1761 1757 1759 1755 1753 1751 1747 1749 1745 1743 1741 1737 1739 0 Grafico 2. Chiesa di Villasecca (1737-1770). Nascite, morti e matrimoni: medie mobili triennali. Gli andamenti costituiscono indubbiamente in misura rilevante il riflesso, ciclicamente riprodotto in forma attenuata, dell’impatto duraturo prodotto sulla struttura di età delle popolazioni interessate dalla successione prolungata e ravvicinata di gravi perturbazioni demografiche verificatesi tra il 1686 e il 1710. Gli eventi collegati alla persecuzione rappresentano l’episodio localmente più sconvolgente di questo periodo. Ai suoi effetti dovettero però concatenarsi e sovrapporsi quelli indotti dalla guerra con la Francia, durata sino al 1696, dal ripresentarsi di crisi di sussistenza negli stessi anni Novanta, di intensità forse comparabile a quella del 1692-1693, dal nuovo passaggio della guerra agli inizi del secolo successivo e infine dalla crisi del “grand hiver” del 1709-1710. La similarità degli andamenti mostra che quelle vicende dovettero avere ripercussioni di entità comparabile su entrambe le comunità religiose. Le differenze maggiori riguardano i matrimoni. In contrasto con Trossieri, a Villasecca, le variazioni delle medie mobili triennali indicano che l’andamento dei matrimoni si muove 38 realmente in direzione opposta a quella seguita dall’andamento delle nascite, nel periodo leggermente posteriore in cui il primo dovrebbe proiettarvi i suoi effetti, soltanto per pochi anni attorno alla metà del decennio 1750-1759. In seguito, i due movimenti tornano a procedere in sintonia, ma con un rapporto nascite/matrimoni progressivamente più elevato. La tendenza divergente delle nascite e dei matrimoni si può spiegare soltanto con un aumento corrispondente della fecondità delle unioni o della durata delle stesse. A sua volta, ques’ultima potrebbe essere dovuta a una diminuzione della mortalità nelle età feconde, oppure – ipotesi più verisimile – a un abbassamento dell’età al matrimonio: in ogni caso, il punto di svolta è rappresentato dalle coorti di sposi del 1752-1758. Nel complesso, il rapporto nascite/matrimoni resta più basso tra la popolazione cattolica che tra quella valdese: a Villasecca, sembra dunque essersi affermata una nuzialità a un tempo più selettiva e più precoce.22 Le fluttuazioni a breve termine (annuali) degli andamenti delle nascite, morti e matrmoni (cfr. grafici 3 e 4) ci consentono di individuare la presenza di anni segnati dall’insorgere di crisi demografiche nella storia delle nostre popolazioni e di situare questi episodi in rapporto alle tendenze rilevabili su scala territoriale più ampia. 25 20 15 nascite morti 10 matrimoni 5 1784 1788 1768 1772 1776 1780 1752 1756 1760 1764 1736 1740 1744 1748 1720 1724 1728 1732 1712 1716 0 Grafico 3. Parrocchia di Trossieri (1712-1790). Nascite, morti e matrimoni (serie annuali). 22 Naturalmente, a meno che il fattore cruciale non sia costituito dalla fecondità matrimoniale, la cui incidenza, come vedremo, non è possibile valutare. 39 45 40 35 30 25 nascite 20 matrimoni 15 morti 10 5 1771 1774 1765 1768 1762 1759 1753 1756 1747 1750 1741 1744 1735 1738 1731 0 Grafico 4. Chiesa di Villasecca (1731-1775). Nascite, morti e matrimoni (serie annuali). Una crisi demografica è una congiuntura definita da una fenomenologia complessa, alla quale concorrono oscillazioni caratteristiche in tutte e tre le serie di eventi demografici.23 Vari criteri quantitativi sono stati proposti per l’individuazione e per la misurazione dell’intensità di tali crisi. Il metodo qui adottato, non implicando il ricorso a dati di stato della popolazione o assunti preliminari sulle caratteristiche della successione considerata, si presta bene al livello d’informazione disponibile nel nostro caso.24 La sua applicazione alla serie di decessi registrati annualmente a Trossieri rivela che dodici anni, sui sessantanove compresi nel periodo di osservazione, risultano interessati da crisi (cfr. tab. 7). Un incontestabile calo dei concepimenti – superiore alla proporzione di un terzo, indicata da Goubert come rivelatrice di crisi – si può osservare invece soltanto in corrispondenza di due fra questi anni di crisi: il 1775 e il 1781. Quanto ai totali dei matrimoni, essi, a causa della loro esiguità, sono troppo esposti a fluttuazioni aleatorie per consentire di trarre dalle loro variazioni indicazioni significative. Tenendo presente che la scala associata all’indice di mortalità adottato prevede sei gradi di ampiezza, le crisi rilevate 23 Oltre a una netta sovramortalità, a cui segue una caduta della nuzialità che si produce assai presto, interviene una riduzione del numero dei concepimenti imputabile a varie cause, indipendentemente dall’effetto parassita esercitato dalle rotture d’unione dovute alla mortalità e dal calo del numero delle nozze (cfr. Dupâquier, 1988, pp. 184-186). L’associazione di questi fenomeni riguardanti la nuzialità e la fecondità alla mortalità provocata dalle crisi di sussistenza fu individuata da Jean Meuvret (cfr. Meuvret, 1946, pp. 643650, in particolare, p. 645). La complessità degli elementi coinvolti rende l’espressione “crisi demografica” più adeguata di “crisi di mortalità” o “grande mortalità” (cfr. Dupâquier, 1988, p. 174). 24 Il metodo seguito qui è stato proposto da Jacques Dupâquier nel 1975 e consiste nell’elaborazione di un indice I definito dalla formula: I = D-A/2SA, dove D rappresenta il numero dei decessi registrati durante l’anno in cui si pensa possa essersi prodotta la crisi; A la media aritmetica annuale delle morti nel decennio precedente; 2SA lo scostamento quadratico medio dei totali annuali delle morti avvenute in quel decennio in relazione al loro valore medio A. L’interpretazione di tale indice diventa problematica qualora una grave crisi o una sequenza di mini-crisi ripetute rendano accidentato il profilo della mortalità nel decennio assunto come base di confronto, così come nel caso che quest’ultimo sia caratterizzato dalla mortalità eccezionalmente bassa che si verfica nei periodi di recupero post-crisi (cfr. Dupâquier, 1988, pp. 176-178). 40 appaiono d’intensità complessivamente moderata e spesso decisamente modesta, soprattutto nel periodo intermedio 1752-1775. anni indice I grado di ampiezza intensità 1729 2,9 2 MEDIA 1734 1740 1743 1752 1755 1758 1759 1775 1780 1781 2,3 2,4 3,1 1,1 1,05 1,9 1,5 1,2 3,4 4,1 2 2 2 1 1 1 1 1 2 3 MEDIA 1783 1,7 1 sovramortalità stagionale (forte concentrazione seconda metà MARZO) INVERNALE (DICEMBRE) PRIMAVERILE sovramortalità classi di età ADULTE TUTTE MEDIA MEDIA INVERNALE (GENNAIO) MINORE AUTUNNALE (OTTOBRE) TUTTE MINORE TARDO-ESTIVA (AGOSTO-SETTEMBRE) 5-9 ANNI 5-9 ANNI 5-9 ANNI 5-9 ANNI MINORE INVERNALE (GENNAIO) MINORE TARDO-ESTIVA (AGOSTO-SETTEMBRE) TUTTE MINORE PRIMAVERILE (APRILE) MEDIA TARDO-AUTUNNALE (DICEMBRE) TUTTE FORTE TARDO-ESTIVA (AGOSTO-SETTEMBRE) 5-9 ANNI MINORE ESTIVA (forte concentrazione tra fine LUGLIO-inizi AGOSTO) 5-9 ANNI Tab. 7. Parrocchia di Trossieri 1712-1790. Crisi demografiche: indice I di mortalità di Jacques Dupâquier; sovramortalità stagionale e per classi di età. Tentiamo di determinare la tipologia di queste crisi attraverso un esame più ravvicinato, che prenda in considerazione la stagionalità delle morti e le fasce di età più colpite in relazione alla norma,25 sebbene l’esiguità delle cifre non faciliti certo il compito. I risultati si possono schematizzare nel modo illustrato nelle due ultime colonne della tabella 7. Si noti come a Trossieri, analogamente, del resto, che nel complesso delle Valli valdesi,26 la successione degli anni caratterizzati da sovramortalità ricalchi la cronologia delle principali crisi di sussistenza che colpiscono il Piemonte: 1734, 1742, 1773-1774, 1783-1784. Il manifestarsi tanto puntuale degli effetti di crisi di sussistenza di ampiezza regionale negli indici demografici riguardanti la nostra area suscita interessanti interrogativi a proposito della sua economia di tipo alpino e della protezione che una maggiore differenziazione produttiva e un relativo isolamento dal mercato rispetto alle pianure a prevalente coltura cerealicola era effettivamente in grado di assicurare. Come è stato recentemente dimostrato, prima dell’introduzione della patata, l’ecosistema agrario alpino era in realtà segnato da una sostanziale mancanza di flessibilità, che non lo preservava dall’insorgere di crisi di sussistenza determinate da accidenti climatici. In particolare, il ripresentarsi frequente durante la primavera e l’estate di ondate di freddo e umidità esercitava un’azione rovinosa simultanea sui grani, sul fieno e sulla produzione casearia. In queste condizioni, picchi di mortalità legati a crisi ricorrenti costituirono un tratto endemico della demografia alpina ancora nel XVIII secolo.27 A questi rigidi determinismi ecologici 25 Assumo come ‘norma’ i quozienti di mortalità specifici per classi di età. Dossetti, 1981, p. 571. 27 Viazzo, 1990, pp. 284-285. 26 41 sfuggivano soltanto quelle comunità che potevano contare sugli introiti supplementari di una migrazione stagionale qualificata,28 assente o estremamente ridotta nel nostro caso. L’impressione che si ricava è quella di una demografia sussultante ancora nell’ultima fase del secolo, pur in presenza di un innegabile incremento tendenziale della popolazione.29 A questo proposito, il quadro sembra analogo a quello individuato da Levi per altre zone montane del Piemonte verso la fine del Settecento, in contrasto con la dinamica ormai più fluida, anche se attestata su livelli di crescita inferiori, rilevata nelle pianure investite dal progressivo affermarsi di rapporti di produzione capitalistici.30 La sottoregistrazione sistematica riguardante i decessi nelle classi di età più giovani rende illusorio il tentativo di applicare alla serie delle sepolture di Villasecca procedure statistiche di identificazione delle crisi demografiche. I dati grezzi mostrano comunque che almeno in tre anni la frequenza della morte è stata insolitamente elevata: nel 1767, nel 1772 e, a giudicare da quanto si profila nei pochi mesi in cui le registrazioni sono conservate, nel 1775. In corrispondenza del 1767 e del 1772 sembra inoltre essersi realizzata anche una sensibile riduzione dei concepimenti. Ad esclusione del 1775, come si è visto, questi anni non si ritrovano nella sequenza delle crisi individuate a Trossieri. Anche tra i valdesi, tuttavia, sebbene in maniera molto più frammentaria che non a Trossieri, si scorgono indizi di una corrispondenza tra le reazioni del sistema locale e le tendenze di scala regionale. Il fenomeno suggerisce una situazione di parziale interdipendenza, piuttosto che di isolamento, rispetto alle economie agrarie più aperte al mercato. L’esito è una dinamica apparentemente paradossale, in cui le difficoltà di sussistenza di tipo “antico” sembrano sommarsi ai contraccolpi dei progressi della mercantilizzazione. I limiti delle fonti non ci consentono di capire in quale misura si tratti di una condizione che affligge una delle componenti religose della popolazione più dell’altra, e se, in particolare, insieme con l’andamento in generale più tormentato della mortalità a Trossieri riscontrabile anche attraverso le medie mobili, costituisca il segno di una maggiore vulnerabilità economica della parte cattolica. Peraltro, come vedremo, a sostegno di questa ipotesi esistono altri indizi, demografici e di diversa natura. Soffermiamoci ora sul movimento stagionale, ossia sulla distribuzione nei vari mesi dell’anno, degli eventi demografici di cui si sono sinora considerate le serie cronologiche annuali (cfr. tabb. 8a e 8b). 28 Ibid., p. 213. Le alte valli a spiccata predominanza pastorale risultavano comunque meno vulnerabili delle zone situate ad altitudini inferiori, più legate alla cerealicoltura (ibid., p. 216). 29 Non si può escludere che l’applicazione dell’indice I di Dupâquier abbia condotto a una sottovalutazione delle crisi rilevate nel 1755, 1758 e 1759 (a causa del loro stesso ravvicinato ripresentarsi) e inoltre a non registrare crisi durante i primi anni Sessanta, soltanto a motivo del livello mediamente già piuttosto elevato della mortalità nel corso del decennio precedente. Potrebbe anche essere dovuto a questa circostanza, in particolare, il fatto che la crisi di sussistenza, di rilevanza europea oltreché regionale, del 1764 non proietti qui effetti demografici registrabili dall’indice; in ogni caso, i livelli raggiunti dalla mortalità a Trossieri nel 1765 – così come nello stesso anno e in quello precedente a Villasecca – appaiono nettamente al di sopra della media. 30 Secondo Levi, queste due diverse risposte demografiche alle difficoltà degli ultimi due decenni del secolo, rinviano a una divaricazione dei tipi di crisi: crisi di assestamento dell’agricoltura capitalistica nelle zone di intensa specializzazione colturale e di crescente commercializzazione mentre, in aree quali la nostra, crisi di tipo “antico”, riflesso degli squilibri ricorrenti in un’economia di autoconsumo (cfr. Levi, 1974, pp. 238239). 42 matrimoni concepimenti gennaio febbraio marzo aprile maggio giugno luglio agosto settembre ottobre novembre dicembre 195 157 61 106 297 64 102 61 21 10 85 41 1200 72 99 104 122 129 125 103 123 107 76 76 64 1200 femmine 104 135 132 93 91 77 55 84 129 114 77 109 1200 morti maschi 90 146 135 101 98 102 78 89 137 120 51 53 1200 totale 97 141 133 98 95 90 67 87 133 116 63 80 1200 Tab. 8a. Parrocchia di Trossieri 1712-1790. Stagionalità dei matrimoni, dei concepimenti e delle morti: indice su base 100. matrimoni concepimenti gennaio febbraio marzo aprile maggio giugno luglio agosto settembre ottobre novembre dicembre 178 70 95 282 248 85 51 6 7 13 89 76 1200 78 93 115 127 103 111 112 114 101 83 80 83 1200 femmine 150 144 153 99 91 84 69 86 94 88 62 80 1200 morti maschi 145 147 154 102 91 86 88 77 97 90 64 59 1200 totale 146 145 154 101 91 85 80 83 95 89 63 68 1200 Tab. 8b. Chiesa di Villasecca. Stagionalità dei matrimoni (1736-1774), dei concepimenti (1733-1774) e delle morti (1752-1774): indice su base 100. I concepimenti registrano sia a Trossieri sia a Villasecca, come perlopiù altrove, i valori massimi durante la primavera, ma, a differenza che in altre realtà rurali dell’antico regime, non mostrano in seguito alcuna chiara tendenza a un calo progressivo in corrispondenza delle grandi fatiche estive imposte dal ciclo agrario, né raggiungono il minimo nella fase terminale di queste ultime.31 La diminuzione, che qui si afferma netta a ottobre, si prolunga 31 Come invece accade, ad esempio, nelle comunità rurali del Piemonte occidentale studiate da Dossetti (cfr. Dossetti, 1977, appendice B, pp. 212, 216, 219 e 222) e, in genere, nelle stesse Valli valdesi (cfr. Dossetti, 1981, tab. IIIb, pp. 597-598). 43 e anzi si accentua nei mesi invernali, toccando il minimo in dicembre a Trossieri e in gennaio a Villasecca, dove le medie invernali restano comunque alquanto superiori.32 La distribuzione mensile della nuzialità si differenzia ancora più nettamente da quello che sembra il movimento normale nella demografia di antico regime, soprattutto nelle campagne. Alla concentrazione tipicamente molto intensa dei matrimoni in gennaio e in febbraio corrispondono a Trossieri come a Villasecca percentuali sensibilmente più contenute sul totale annuo dei matrimoni: rispettivamente, il 29,3 e il 20,7.33 Basti osservare che negli stessi mesi, in alcune località di pianura del Piemonte occidentale fra il XVII e il XVIII secolo, oltre il 60%;34 nella Francia rurale fra il 1740 e il 1792 si realizza oltre il 40% delle unioni celebrate nel corso dell’anno.35 Nell’area che ci interessa, le massime frequenze si verificano invece ad aprile e a maggio, quando si celebra a Trossieri il 33,6% delle unioni dell’anno e ben il 44,2% a Villasecca. La prevalente concentrazione delle nozze in questi mesi è un tratto comune alla Val San Martino, che la distingue dalle altre Valli Valdesi, dove invece gli indici massimi si registrano, come appunto perlopiù altrove, a gennaio e a febbraio.36 La tradizionale depressione dei mesi estivi è invece presente, anche più profonda, date le alte frequenze a quel punto cumulate, e parimenti si ritrova il consueto aumento di novembre, in qualche modo esaltato, soprattutto a Villasecca, dai bassissimi valori dell’estate-autunno. Il livello della flessione estiva delle nozze è comunque simile a quello che si può osservare in numerose località rurali del Piemonte occidentale.37 In quanto ai tempi proibiti della Quaresima e dell’Avvento, essi fanno sentire i loro effetti restrittivi sulla nuzialità dei cattolici più efficacemente che sui concepimenti, riuscendo ovviamente più facile alla gerarchia ecclesiastica imporne in questo caso il rispetto, ma la loro incidenza apapre comunque assai minore che in altre situazioni.38 Contrariamente a quanto si può osservare in altri casi di convivenza con una popolazione cattolica, i protestanti locali non appaiono minimamente condizionati da queste interdizioni estranee alla loro disciplina.39 32 È possibile che a Trossieri, nell’approfondire la depressione di dicembre, così come nel rallentare la ripresa primaverile a marzo, svolgano un ruolo le interdizioni religiose relative alla Quaresima e all’Avvento, ma, come vedremo, per quanto riguarda l’indice di dicembre, questo non è probabilmente l’unico fattore in gioco. 33 (cfr. Per la Francia rurale, relativamente al periodo 1740-1792, è individuabile a novembre una vera punta secondaria, l’indice di questo mese risultando pari a 158, mentre tutti gli altri indici restano inferiori a 100, tranne quelli di gennaio (188) e febbraio (318) (cfr. Dupâquier, 1988, tab. 13, p. 299). 34 È il caso di Pocapaglia e di Strambino dopo il 1650 (Dossetti, 1977, p. 140). 35 Dupâquier, 1988, tab. 13, p. 299. 36 Dossetti, 1981, p. 570. 37 Dossetti, 1977, appendice B, pp. 215, 218, 221 e 225. 38 Cfr. i seguenti indici di dicembre riferiti al periodo 1711-1790, calcolati per quattro località del Piemonte occidentale sulla base dei totali mensili dei matrimoni riportati in Dossetti, 1977, appendice B, pp. 215, 218, 221 e 225: Pocapaglia, 11; Sanfront, 37; Strambino, 7; Villanova Solaro, 20. L’indice relativo all’intera Francia rurale per il periodo 1740-1792 è eguale a 11 (cfr. Dupâquier, 1988, tab. 13, p. 299). Calcolato sul totale dei dati riguardanti le parrocchie cattoliche della Val San Martino, in riferimento a periodi di estensione variabile nelle diverse situazioni ma tutti compresi fra il 1673 e il 1800, l’indice risulta eguale a 23; per l’insieme delle parrocchie cattoliche della Val Luserna, relativamente a periodi compresi fra il 1680 e il 1800, si ottiene un valore pari a 49 (cfr. Dossetti, 1981, tab. IIIc, pp. 599-600). 39 Nelle Valli Valdesi, in generale, il grado di osservanza delle limitazioni imposte dalla loro chiesa da parte dei cattolici sembra negativamente correlato con l’esiguità della loro presenza in comunità a larga maggioranza valdese, ad esempio nella Val Luserna, dove l’elemento cattolico era più nettamente minoritario 44 Nel movimento stagionale delle morti, i livelli più elevati si collocano ormai, come altrove nel XVIII secolo, durante i mesi invernali, fra gennaio e marzo:40 a Trossieri la punta massima è raggiunta a febbraio, seguita dal livello di marzo; a Villasecca i primi tre mesi dell’anno registrano valori pressoché identici, mentre le frequenze più basse si verificano durante l’estate. A Trossieri, tuttavia, la tarda estate e l’inizio dell’autunno continuano a esigere un pesante tributo, anche in confronto ad aree di pianura solitamente ritenute più esposte ai rischi di questo periodo dell’anno, legati essenzialmente alla diffusione di infezioni gastrointestinali.41 L’apparente assenza a Villasecca di questo fenomeno potrebbe essere semplicemente dovuta alla sottoregistrazione delle sepolture di bambini, le vittime privilegiate di questo tipo di mortalità.42 Particolarmente moderati invece in entrambe le situazioni si rivelano gli indici di novembre e di dicembre.43 Le caratteristiche della distribuzione mensile dei concepimenti, dei matrimoni e delle morti rimandano al problema delle forme di mobilità stagionale praticate da queste popolazioni montane. Prendiamo nota innanzitutto di quanto riferisce a questo proposito la Statistica Generale, relativamente agli abitanti di Faetto: In tutto l’anno non escono dal territorio a procacciarsi il vitto oltre a dieci persone per la maggior parte donne a tagliare messi nell’estate, preferendo in inverno l’ozio e miseria nelle loro case e l’andar mendicando in Provincia e rubbar boschi ne’ Comuni, senza che l’utile corrisponda alla fatica gravissima con trasporto di due giornate a spalla.44 La peculiare stagionalità dei matrimoni a Trossieri come a Villasecca sembra già di per sé una traccia sufficientemente indicativa dell’esistenza di un’emigrazione invernale.45 Anche il fatto che i minimi dei concepimenti si situino nei mesi invernali ne costituisce un segno. Un confronto con i livelli corrispondenti in aree non toccate dal fenomeno dell’emigrazione stagionale mostra che questa, fra novembre e gennaio, arrivava a determinare una riduzione dei concepimenti valutabile attorno al 30% a Trossieri e al 20% a Villasecca.46 Se (cfr. Dossetti, 1981, p. 570). La tendenza ad abbandonare alcuni tratti della propria specificità religiosa in una situazione di coesistenza con un gruppo maggioritario compare nel 1658-1680 fra i protestanti di SaintSylvain (Bassa Normandia), tuttavia non molto inferiori di numero ai cattolici (cfr. Bollon, 1970, pp. 489-508, in particolare, p. 495). 40 Dossetti, 1977, appendice B, pp. 213-214, 217, 220 e 223-224; Dupâquier, 1988, pp. 239-241. 41 In relazione al periodo 1711-1790, gli indici di agosto, settembre e ottobre sono rispettivamente: a Pocapaglia, 98, 92 e 56; a Strambino, 100, 88 e 104; a Villanova Solaro, 84, 110 e 78 (Dossetti, 1977, appendice B, pp. 213-214, 217, 220 e 224). 42 Per quanto riguarda l’insieme della Francia (1740-1789) l’indice massimo (134) concernente le classi di età inferiore ai 10 anni si registra a settembre (cfr. Dupâquier, 1988, p. 240). 43 A Crulai (Normandia) nel periodo 1740-1789, gli indici di novembre e di dicembre sono rispettivamente eguali a 107 e a 103 (cfr. Gautier, Henry, 1958, p. 65); calcolati per il periodo 1711-1790, gli stessi indici a Pocapaglia risultano pari a 81 e a 100; a Sanfront, a 86 e a 89; a Strambino, a 97 e a 80 (cfr. Dossetti, 1981, appendice B, pp. 213-214, 217, 220 e 224). 44 Asto, Sezioni riunite, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale, fasc. 12, Provincia di Pinerolo (1753), tab. III. 45 Dossetti, 1981, p. 141. 46 Queste percentuali risultano da un confronto tra la somma degli indici dei matrimoni di gennaio, novembre e dicembre a Trossieri (212) e a Villasecca (241) con la media delle somme corrispondenti ottenute per le comunità di Pocapaglia, Strambino e Villanova Solaro, relativamente al periodo 1711-1790 (301) (cfr. i totali mensili dei matrimoni in queste comunità riportati in Dossetti, 1977, appendice B, pp. 215, 218 e 221). 45 prendiamo poi in considerazione la mensilità delle morti, differenziata secondo il sesso dei defunti, ricaviamo un’ulteriore prova dell’esistenza di questo flusso migratorio e allo stesso tempo abbiamo modo di constatarne il carattere maschile: la netta sovramortalità femminile nei mesi di novembre, dicembre e, in minor misura, gennaio a Trossieri, in dicembre a Villasecca, rivela che in quei mesi diminuiva la presenza degli uomini nelle comunità della zona. Nell’ampiezza della sovramortalità maschile che si registra in giugno e in luglio a Trossieri, in luglio a Villasecca, troviamo invece un indizio di una mobilità femminile in estate non rilevabile attraverso gli indici dei concepimenti e dei matrimoni. Non condizionando dunque in maniera apprezzabile l’andamento stagionale dei concepimenti, le assenze femminili sembrano sostanzialmente escludere le donne sposate e in età feconda. Quanto alla tipologia socioprofessionale e al ruolo economico da attribuire a questi movimenti, la rappresentazione proposta dalla Statistica Generale, pur riduttiva in merito al volume del flusso, potrebbe per il resto non essere infedele: se la migrazione stagionale femminile si indirizza verso la manovalanza agricola, la periodicità invernale e soprattutto la brevità della migrazione maschile rivelano il suo orientamento verso attività non qualificate e forse, più in generale, la mancanza di una netta caratterizzazione professionale.47 Le Valli Valdesi non rientrano però fra i caratteristici serbatoi alpini di mendicità stagionale gravitanti sulla capitale nel XVIII secolo, un tipo particolare di migrazione stagionale che anch’esso comporta, perlopiù, l’assenza dai luoghi d’origine per gran parte dell’anno.48 Il modello che mi sembra allora identificabile nella nostra area è quello di una mobilità tutto sommato modesta, ridotta, nella sua espressione invernale, a un vagare a corto raggio, forse orientato, almeno in parte, alla mendicità. Per quanto vitale fosse il ruolo svolto da attività marginali, è perciò poco probabile che assicurasse un apporto di risorse supplementari tale da consentire alla popolazione, da un lato, di svincolare in misura significativa la propria dinamica demografica dalla capacità di carico dell’ecosistema locale, dall’altro, di ridefinire le proprie aspettative sociali. È azzardato cercare di valutare esattamente l’impatto dell’emigrazione stagionale sulla base di tracce così povere, ma risulta se non altro indubbio il contrasto con l’influenza pervasiva da essa esercitata in altre realtà alpine.49 Se gli andamenti mensili degli eventi demografici ci mostrano comunque la presenza di questa pratica nella sua forma estiva e invernale sia fra i cattolici sia fra i valdesi, presso questi ultimi essa riguarda periodi dell’anno più brevi, almeno a giudicare dagli indici 47 Le attività qualificate legate all’edilizia praticate dagli emigranti provenienti da aree come Alagna (alta Valsesia) o il Ticino, fra il XVI e il XIX secolo, ad esempio, imponevano all’emigrazione una stagionalità primaverile-estiva e assenze prolungate, dalla Quaresima agli inizi di dicembre (cfr. Viazzo, 1983, pp. 187196 e Viazzo, 1990, pp. 237-238). Nelle comunità delle Valli di Lanzo, secondo le consegne per il sale effettuate nel 1700-1701, gli emigranti che risultano assenti per meno di sei mesi all’anno sono pastori che accompagnano stagionalmente le greggi a svernare in pianura (cfr. Levi, 1985b, p. 52). 48 Approssimativamente da settembre a maggio, anche se in alcune zone del Cuneese, ad esempio, “molti individui e intere famiglie vanno raminghi per più brevi periodi, in cui non vi sono attività agricole da svolgere” (cfr. Levi, 1985b, pp. 59-65). 49 Ad Alagna, zona di emigrazione specializzata estiva, la dimensione dei flussi era tale da determinare nel periodo 1618-1700 la concentrazione a gennaio e a febbraio di oltre i due terzi dei matrimoni celebrati annualmente; nel 1583-1612 e nel 1681-1720, la concentrazione a dicembre, gennaio e febbraio di quasi il 50% dei concepimenti dell’anno (cfr. Viazzo, 1983, pp. 190-191). 46 concernenti la mortalità, e comporta probabilmente flussi di dimensioni inferiori:50 un ulteriore indizio, dell’effettiva esistenza di un vantaggio comparativo posseduto dalla popolazione valdese o comunque di un diverso orientamento nel rapporto con le risorse localmente disponibili. Un confronto approfondito delle caratteristiche assunte dalla nuzialità e dalla fecondità delle unioni nelle due popolazioni è impedito dal fatto che né gli atti di matrimonio di Trossieri né quelli di Villasecca menzionano in alcun caso l’età degli sposi; per determinare l’abituale espressione della precocità delle nozze, l’età media al primo matrimonio, occorre perciò ritrovare le date di nascita di coloro che si sposano o quantomeno conoscerne l’età approssimativa La necessità di non alterare le probabilità di occorrenza associate a ogni singola fascia di età e di disporre nel contempo di un numero di osservazioni non eccessivamente ridotto impone di escludere dal computo della media e dall’elaborazione degli altri indici e distribuzioni concernenti l’età al primo matrimonio a Villasecca le età dai 35 anni in su, riuscendo così a conservare un periodo di osservazione almeno decennale (1764-1774).51 Al di sotto di questa soglia di età, i valori di Villasecca sono 23,6 anni per gli uomini e 20,9 anni per le donne. Le differenze che si profilano fra le due situazioni appaiono di fatto abbastanza pronunciate da rendere plausibile che non siano artificiosamente indotte dalla procedura adottata per il loro calcolo. A Trossieri (1713-1790), l’età media al primo matrimonio corrisponde a 26,9 anni per gli uomini e a 23,7 anni per le donne. Tenendo fuori le stesse classi di età escluse nel caso di Villasecca, risultano invece 26,1 anni per gli uomini e 23,2 anni per le donne. Mentre le età medie di Villasecca si collocano, per così dire, entro il campo di variazione di quelli che probabilmente rappresentano valori caratteristici nelle 50 Secondo Manuela Dossetti, l’emigrazione stagionale dalle Valli Valdesi, al pari di quella prolungata e di quella definitiva, era un fenomeno che riguardava quasi esclusivamente “i maschi cattolici delle alte valli” (Dossetti, 1981, p. 551) I valdesi erano trattenuti nelle località di origine sia dall’“ostilità” religiosa che avrebbero incontrato nel mondo esterno e dal pericolo che l’abbandono anche temporaneo delle loro terre le esponesse alle rivendicazioni dei cattolici, sia perché “le stesse lotte religiose, decimandoli, avevano permesso loro un migliore equilibrio con le scarse risorse dell’ambiente e rimandato il problema del sovrappopolamento dei territori montani, che in altre zone si poneva già in termini drammatici” (cfr. ibid., p. 569). L’idea di una sovrappopolazione diffusa nelle Alpi piemontesi sin dai primi decenni del secolo XVIII risale a Raoul Blanchard (cfr. Blanchard, 1952-1954, vol. I, p. 314) e ben si accorda con la visione di ascendenza braudeliana a lungo prevalente fra storici e geografi di una montagna tradizionalmente afflitta da un eccesso di pressione demografica, che soltanto flussi consistenti di emigrazione definitiva sarebbero riusciti in qualche modo a contenere (cfr. Viazzo, 1990, p. 55). Alla luce dei risultati emersi da ricerche più recenti, questa concezione ha finito con l’essere sostituita da quella di un regime demografico alpino “a bassa pressione” imperniato sul controllo della nuzialità, con tassi di natalità e mortalità, nell’età moderna, sensibilmente inferiori alla pianura (cfr. ibid., p. 295 e Viazzo, 2000, pp. 39-43). Conseguentemente, soprattuto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, lo studio sulle migrazioni alpine ha conosciuto una revisione radicale del precedente paradigma fondato sul presupposto di un cronico sovrappopolamento dei territori alpini (sul significato e sui risultati di questa evoluzione cfr., ad esempio, Fontaine, 1998; Radeff, 1998; Viazzo, 2000; Lorenzetti, Merzario, 2005). 51 A Trossieri le classi di età al matrimonio eguali o superiori ai 35 anni registrano una frequenza pari al 7,1% del totale fra gli sposi maschi e al 3,5% fra le donne. Ovviamente non si può validamente presupporre che il loro peso proporzionale sia identico qui e a Villasecca. 47 Alpi occidentali nei secoli XVII e XVIII,52 quelle di Trossieri appaiono più elevate, ma comunque inferiori ai livelli raggiunti, ad esempio, in località come Alagna (intorno ai 28 anni per gli uomini e ai 25 per le donne nel secolo XVIII), in Valsesia, oppure, al di fuori dell’area alpina, alle medie abbastanza simili elaborate per l’insieme della Francia relativamente ai decenni compresi fra il 1740 e il 1789.53 Come si è anticipato, a causa dei limiti posti dalle fonti alla ricostruzione delle unioni matrimoniali e della loro discendenza, non siamo in grado di valutare attendibilmente i livelli della fecondità. Possiamo però calcolare, sebbene non in maniera rigorosa, tassi generici di natalità rispetto alla popolazione censita nelle due circoscrizioni ecclesiastiche nel 1777, procedendo cioè analogamente a come si è fatto per il calcolo dei tassi di nuzialità. Otteniamo in tal modo un valore del 35,3‰ per Trossieri e del 40,6‰ per Villasecca, entrambi, ma soprattutto quello di Villasecca, alquanto elevati in confronto ai livelli prevalenti nell’area alpina piemontese.54 Una demografia differenziale?55 I livelli di mortalità appaiono relativamente moderati in entrambe le popolazioni. È vero che tra i cattolici la mortalità sembra registrare con precisione, anche se con punte non spettacolari, numerosi episodi di crisi di sussistenza, denunciando così la permanente vulnerabilità dell’adattamento conseguito. Tuttavia, sebbene la frequenza e l’ampiezza delle crisi demografiche, così come lo schema basilare di mortalità soggiacente,56 costituiscano importanti misure delle capacità di adattamento di una popolazione, la nuzialità resta il meccanismo regolatore “omeostatico” essenziale del suo sviluppo e un indice eloquente del tipo di organizzazione sociale che la caratterizza. Purtroppo, come si è visto, proprio la difficoltà di determinare i livelli di nuzialità e più ancora quelli di fecondità rappresenta uno dei maggiori punti deboli della nostra ricostruzione. Tuttavia, per quanto è possibile giudicare, sia tra i cattolici sia tra i valdesi, i livelli della nuzialità appaiono tali da 52 Alcuni esempi tratti dall’area alpina occidentale: a Entracque (Alpi Marittime, versante piemontese) nel 1730 l’età media al primo matrimonio è di 23,2 anni per gli uomini e di 20,1 anni per le donne; a Montmin (Savoia) durante il XVII e il XVIII secolo oscilla fra i 23,7 e i 26 anni per gli uomini, i 21,8 e i 24,3 anni per le donne; nell’Alta Provenza del XVIII secolo raggiunge i 25 anni per gli uomini e i 22 anni per le donne (Viazzo, 1990, p. 268). 53 Ibid., p. 206; Dupâquier, 1988, tab. 35, p. 470. 54 Eccone alcuni esempi: Pontechianale (1734 e 1774), 30-35‰ (cfr. Albera et al., 1988, p. 144); Entracque (1730), 32‰; Entracque (1780), 33,7‰; Elva (1731-1750), 31%. (Viazzo, 1990, p. 265). Nelle Alpi orientali sono frequenti valori ancora più bassi, quali il 26,2‰ della tirolese Tux (1751-1800) (ibid., tab. 8.3, p. 256). Restando in Piemonte, troviamo però una località di media montagna come Sanfront che registra lungo tutto il XVIII secolo tassi superiori al 40‰, mentre nella pianura e nella collina i tassi sembrano frequentemente superiori a quelli rilevati nelle nostre due popolazioni, mostrando durante il XVIII secolo valori quasi sempre attestati oltre la soglia del 35‰ e spesso anche del 40‰ (Dossetti, 1981, tab. 1, pp. 129-133). Risultati analoghi si possono cogliere nelle serie elaborate da Levi (Levi, 1974, appendice F, pp. 262-263). 55 Cfr. in Bigi et al., 1981 un brillante esempio di “demografia differenziale” che studia i comportamenti ed eventi demografici in una comunità di antico regime alla luce della stratificazione socioeconomica e delle configurazioni di relazioni interpersonali presenti in quella comunità. Fondatore di questo tipo di analisi, Derouet, 1980. 56 Detta anche “mortalità minima inevitabile” (cfr. Wrigley, 1978, p. 136). 48 consentire una natalità generale alquanto esuberante rispetto agli standard alpini. Nello stesso tempo, la nuzialità stessa presenta caratteri inequivocabilmente restrittivi in entrambe le situazioni, ma secondo modelli nettamente differenti: meno intensa e più precoce a Villasecca, più diffusa e insieme più tardiva a Trossieri. In conclusione, cattolici e valdesi condividono una medesima nicchia ecologica e sotto diversi aspetti attraverso i loro comportamenti demografici rivelano di essere esposti a pressioni non dissimili. Alcuni tratti distintivi sono nondimeno chiaramente discernibili, specialmente nell’area cardine della nuzialità. Il rapporto delle due popolazioni con le risorse presenti nell’ambiente fisico è evidentemente mediato dal modo in cui i rispettivi assetti sociali predeterminano, entro limiti più o meno rigidi, la quantità e le dimensioni ideali delle loro unità basilari di produzione e consumo.57 Gli indicatori demografici suggeriscono che a Trossieri l’assegnazione delle posizioni economiche indispensabili alla creazione e alla riproduzione degli aggregati domestici sia meno rigidamente programmata dalle gerarchie familiari di quanto non avvenga a Villasecca – e forse anche orientata da più modeste aspettative sulla soglia di vitalità economica delle aziende domestiche e sui livelli di vita accettabili. Le risposte adattative rimandano perciò a principi divergenti di organizzazione familiare: enfasi sulla selezione di una linea di discendenza privilegiata all’interno dei ceppi valdesi; tendenziale egualitarismo e maggiore spazio per lo sviluppo di rami collaterali fra i cattolici. Uno sguardo alle istituzioni di erede universale nei testamenti degli abitanti di Faetto conferma questa impressione: il 49,7% dei 36 testamenti valdesi schedati, relativi al periodo 1695-1775, privilegia chiaramente uno o alcuni fra quei successori dell’ereditando che, in base alla consuetudine, avrebbero avuto diritto a una eguale porzione dell’asse ereditario; la percentuale corrispondente nei 23 testamenti cattolici redatti fra il 1698 e il 1770 è invece del 30,1%. La più severa selezione e gerarchizzazione delle posizioni che le strategie familiari impongono ai ranghi della società valdese, a chi aspira a contrarre matrimonio o a dar vita a una nuova unità domestica, ha forse come prezzo inevitabile un certo numero di defezioni – nella forma di abiure da parte di esclusi e scontenti. 57 Si comprende perché le sole variazioni della mortalità non possano spiegare soddisfacentemente l’autoregolazione delle popolazioni europee tradizionali, se si pensa che l’immissione sul mercato matrimoniale di parte della riserva di potenziale riproduttivo costantemente mantenutane al di fuori dalla nuzialità solitamente restrittiva praticata in queste popolazioni era normalmente in grado di assicurare il recupero pressoché integrale delle perdite inferte da una crisi anche molto grave (cfr. Dupâquier, 1988, pp. 418-434). Dati questi presupposti, l’effettiva possibilità di contrarre matrimonio può essere vista come un criterio che regola ed esprime la posizione degli individui in rapporto a una comunità e alle risorse cui essa può attingere (cfr. Cole, Wolf, 1993, p. 251). Come ha rilevato Mary Douglas, l’operare dei meccanismi regolatori delle popolazioni umane deve essere considerato in relazione alle possibilità di accesso a vantaggi sociali limitati correlabili a una scala di prestigio, piuttosto che alla disponibilità fisica complessiva delle risorse indispensabili per la sopravvivenza. Di fatto, può accadere che la riproduzione del modello esistente di stratificazione economica e sociale fissi all’espansione della popolazione un plafond inferiore a quello che consentirebbe il livello di sviluppo delle risorse alimentari teoricamente conseguibile (cfr. Viazzo, 1990, pp. 298 e 364-365). Per una presentazione generale del concetto di “omeostasi” in demografia e della sua storia cfr. Viazzo 1990, pp. 5-6; Bengtsson, Saito, 2000. 49 Appendice. Alcuni approfondimenti I limiti delle fonti Le fonti di natura demografica a nostra disposizione presentano alcuni severi limiti, in parte, dovuti alla casualità della conservazione dei registri, in parte, alle attitudini religiose proprie della comunità riformata. Anzitutto, il periodo coperto dalle registrazioni disponibili non è lo stesso nelle due situazioni poste a confronto. Esso inizia nel 1711 a Trossieri, proseguendo per tutto il XVIII secolo e oltre. Nell’unico registro di Villasecca conservatosi per il periodo anteriore al secolo XIX secolo, l’annotazione dei battesimi ha inizio nel 1730, quella dei matrimoni nel 1736 e quella delle sepolture soltanto nel 1752. Tutte e tre le serie cessano definitivamente nel 1775, a conclusione di un’estensione temporale che appare immediatamente piuttosto ridotta (in particolare, per quanto riguarda le sepolture), se commisurata alle esigenze di un’analisi demografica condotta alla scala di una micropopolazione. Lavorando sui registri valdesi, bisogna inoltre attendersi, in primo luogo, una registrazione delle sepolture incompleta e, in ogni caso, fortemente selettiva, riservata molto spesso agli individui defunti in età adulta, soprattutto maschi. La morte non è infatti legata all’amministrazione di alcun sacramento nelle chiese protestanti e, specialmente fra i calvinisti, le esequie si svolgevano non di rado, nell’epoca che ci interessa, senza l’intervento di un pastore.58 In secondo luogo, esiste la possibilità che il numero dei battesimi sia inferiore a quello delle nascite effettive. Il battesimo, cui non la dottrina protestante non attribuisce una funzione salvifica, era infatti generalmente meno tempestivo che fra i cattolici (a Villasecca l’intervallo medio fra la nascita e il battesimo risulta di 6,6 giorni, mentre a Trossieri è di 2,1 giorni). Ciò aumentava il rischio che una mortalità infantile endogena assai elevata59 intervenisse prima della presentazione del neonato alla chiesa.60 Rispetto alle nascite, un problema – di ordine minore – si pone invero anche per le popolazioni cattoliche, rappresentato dalla sottoregistrazione frequente di neonati in evidente pericolo di vita battezzati “sotto condizione” e assai presto deceduti. In generale, essi non sembrano del resto costituire, più del 3% dei nati ed è inoltre probabile che comprendano sempre una certa proporzione di nati-morti.61 Andamenti secolari e stagionali delle nascite, delle morti e dei matrimoni Queste limitazioni non sono comunque tali da impedire uno sforzo di ricostruzione e comparazione. Per quanto riguarda i dati annuali delle nascite, la tendenza che si delinea è chiaramente in ascesa, sia a Trossieri sia a Villasecca, dove essa appare ancora più netta e l’incremento più rapido. Le fluttuazioni conservate dalle medie mobili triennali (cfr. graff. 1 e 2) sembrano configurare un andamento assai simile nel periodo in cui il confronto è possibile: depressione a cavallo degli anni Quaranta, poi lunga fase di risalita. La prima è preceduta a Trossieri da una fase di incremento che prende avvio nel 1730, a sua volta, punto culminante di un regresso iniziato almeno dal 1720. Il ricupero appare più regolare e leggermente più duraturo a Villasecca, dove si estende sino al 1765, mentre a Trossieri si smorza qualche anno prima. 58 Dossetti, 1981, p. 549; Dupâquier, 1988, p. 19. Che interviene ovviamente entro i primi giorni o comunque nelle prime settimane di vita (Pressat, 1961, pp. 77 e 86). A Crulai, nelle generazioni 1720-1759, il tasso apparente di mortalità infantile endogena è valutabile fra il 145 e il 160‰. (Gautier, Henry, 1958, pp. 168-171). 60 Dossetti, 1981, p. 549. 61 Henry, Blum, 1988, pp. 79-81. 59 50 Successivamente, a Villasecca la linea scende fin verso il 1770, punto dal quale accenna nuovamente a elevarsi. A Trossieri si registrano invece fluttuazioni più ravvicinate di quelle osservabili durante i decenni precedenti: nel complesso, a una fase orizzontale nella seconda metà degli anni Sessanta segue un veloce incremento che, verso la fine del decennio successivo, lascia spazio a una nuova, piuttosto effimera, depressione, conclusasi prima del 1785, quando la tendenza è nuovamente in salita. Le conseguenze delle crisi demografiche intervenute dopo il primo decennio del secolo XVIII, senz’altro meno gravi delle precedenti,62 e delle corrispondenti fasi di recupero post-crisi sulla natalità si inseriscono quindi e, in parte, è pensabile si confondano, in un profilo largamente predeterminato da accidenti demografici laceranti che restano al di qua del periodo di osservazione. Estrarre una tendenza dalle serie annuali delle morti e dei matrimoni attraverso un semplice procedimento perequativo meccanico o mediante ingrandimento delle classi presenta difficoltà maggiori rispetto al caso delle nascite: la mortalità è più soggetta della natalità a brusche variazioni di breve periodo e il numero dei matrimoni, in media di quattro o cinque volte inferiore a quello delle nascite, è particolarmente esposto a fluttuazioni aleatorie.63 A Trossieri, la tendenza riferita al periodo 1712-1790 è ascendente, sia per quanto riguarda i matrimoni sia, più moderatamente (anche rispetto alle nascite), nel caso delle morti. Sebbene amplificate e deformate per le cause appena menzionate, le oscillazioni principali delle medie mobili dei matrimoni appaiono nel complesso corrispondenti a quelle delle nascite, anche se, ovviamente, anticipate. Nel caso dei decessi, le condizioni del momento della mortalità introducono sfasature e frequenti intervalli in cui gli andamenti delle nascite e delle morti procedono in correlazione inversa: così, i periodi 1739-1743, 1753-1757, 1778-1781 risultano negativi per le nascite e positivi per le morti, mentre i periodi 1774-1748, 1759-1762, 1767-1769, 1783-1785 sono positivi per le nascite e negativi per le morti. Si aggiunga che il simultaneo movimento discendente che si osserva tra il 1762 e il 1767 appare assai più pronunciato per i decessi che per le nascite e che, in minor misura, la stessa differenza di proporzioni si ripresenta, con significato naturalmente opposto, nella comune fase ascensionale sperimentata fra il 1770 e il 1778. Le medie mobili triennali delle morti restano comunque costantemente al di sotto dei valori corrispettivi calcolati per le nascite.64 Nella situazione (puramente teorica) di una popolazione chiusa, cioè in assenza di movimenti migratori, ne deriva evidentemente un incremento naturale, che, con altrettanta evidenza, non è rimasto uniforme nel tempo, anche in rapporto ad aggregazioni di una certa ampiezza di dati annuali. Se infatti guardiamo alle medie mobili triennali, in particolare il periodo 1750-1760 appare contraddistinto da un aumento delle morti vistosamente più rilevante di quello delle nascite, più che bilanciato però nel decennio successivo da un forte calo. Benché non sia possibile calcolare tassi generici decennali di natalità e di mortalità per le due popolazioni separatamente,65 si può presumere che soprattutto quelli di mortalità abbiano oscillato in modo tale da determinare saldi notevolmente variabili fra le due serie. Forse anche a causa dell’incidenza delle fluttuazioni aleatorie su cifre piuttosto piccole, le maggiori scosse di questa dinamica si configurano come 62 Per quanto riguarda le crisi di sussistenza, secondo la classica distinzione stabilita da Jean Meuvret per la Francia, a un periodo 1680-1713 dominato da crisi “mortali”, succede un’epoca di crisi “larvate”, corrispondente grosso modo ai regni di Luigi XV e di Luigi XVI e, con maggior nettezza, agli anni fra il 1755 e il 1789 (Meuvret, 1946, p. 647). 63 Henry, Blum, 1988, p. 44. 64 A Villasecca, il periodo di osservazione troppo breve e la palese sottoregistrazione rendono del tutto incerto ogni tentativo di valutare l’evoluzione del numero dei decessi: apparentemente è ascensionale. 65 Gli unici stati della popolazione che forniscono gli effettivi delle due componenti religiose della popolazione separatamente essendo, come sappiamo, quella del 1759 (o 1774) e quella del 1777. 51 aspetti di una demografia strettamente locale: così, per l’appunto, la caratterizzazione particolarmente sfavorevole degli anni Cinquanta e il profilo tanto marcatamente opposto degli anni Sessanta.66 Dove le fonti consentono di ricostruire la stagionalità delle morti, ossia nella popolazione cattolica, emerge uno stretto legame con le difficoltà nella sussistenza, poiché la mortalità risulta particolarmente accentuata durante i mesi invernali e/o primaverili, cioè nel periodo critico dell’esaurimento delle scorte dopo un cattivo raccolto o, più spesso, una sequenza di cattivi raccolti. Il picco della mortalità appare tuttavia un po’ più tardivo nel 1775 rispetto alle crisi precedenti, più intense; al contrario risulta precocemente situato nella soudure durante la crisi, pur della stessa ampiezza di quella del 1775, verificatasi nel 1783.67 In quest’ultima circostanza, però, l’estrema concentrazione del in un breve spazio di giorni fa pensare all’intervento concomitante di un episodio di contagio ben delimitato. In relazione alle classi di età colpite, la mortalità in eccesso del 1734 e del 1743 si distribuisce in maniera indifferenziata, mentre nelle due crisi successive, di intensità minore, le fasce di età più deboli pagano un prezzo superiore. Le altre crisi che colpiscono la parrocchia di Trossieri sono meno facilmente caratterizzabili. La forte concentrazione delle morti del 1729 potrebbe essere imputabile alla diffusione di una malattia epidemica riguardante soprattutto gli adulti.68 Le crisi del 1755, 1759 (lievi) e 1781 (la più grave invece fra quelle registrate nell’intero periodo di osservazione) condividono una stagionalità tardoestiva e colpiscono tutte selettivamente la stessa classe di età dai 5 ai 9 anni: è possibile siano dovute a una recrudescenza delle infezioni gastrointestinali, forse in conseguenza di un peggioramento della dieta. Nel 1752 e nel 1780, la mortalità in eccesso è invece diffusa rispetto alle fasce di età colpite, mentre la sua stagionalità appare più tarda. Per questi due casi non manca una possibile corrispondenza con tendenze economiche documentate a livello regionale, poiché entrambe le crisi si collocano in un periodo di alti prezzi del frumento in Piemonte. Anche la sovramortalità dei bambini fra i 5 e i 9 anni nell’inverno del 1758 si verifica a ridosso di due annate di alti prezzi. Non lasciano tuttavia traccia anni anch’essi caratterizzati da alti prezzi del frumento in Piemonte come il 1766 o il 1767,69 anche se nel 1767 la mortalità non è tra le più basse registrate nel secolo a Trossieri. Indici demografici dalla ricostruzione nominativa delle famiglie Ci siamo occupati finora della cronologia e della periodicità stagionale delle nascite, delle morti e dei matrimoni che nel corso del secolo XVIII interessarono l’area delle due circoscrizioni ecclesiastiche prescelte. Per comprendere meglio le caratteristiche di queste serie o cicli di eventi e alcune delle loro cause – ad esempio, le crisi demografiche oppure la presenza di movimenti migratori e la loro natura –, è stato necessario prendere in considerazione l’età e/o il sesso degli 66 Si tratta infatti di caratterizzazioni congiunturali che non hanno riscontro anzitutto nel resto delle Valli Valdesi (cfr. Dossetti, 1981, tab. IIIa, pp. 580-596) né, ad esempio, in alcuna delle località del Piemonte occidentale considerate in Dossetti, 1977, appendice A, pp. 155-210. 67 Analizzando l’andamento mensile delle morti a Crulai durante gli anni-raccolto 1693 (1 agosto 1693 - 31 luglio 1694) e 1709 (1 agosto 1709 - 31 luglio 1710), Étienne Gautier e Louis Henry osservano negli anni di crisi un brusco aggravemento della situazione in dicembre e una mortalità comparativamente elevata fino al giugno seguente. In altri casi, tuttavia, la sovramortalità può manifestarsi più tardi, anche nella primavera dell’anno successivo al cattivo raccolto, oppure più precocemente, già dal mese di settembre (Gautier, Henry, 1958, pp. 66-67). 68 Simile in questo, ad esempio, alla cosiddetta febbre miliare, che però compare per la prima volta in Piemonte soltanto negli anni Cinquanta (cfr. Dupâquier, 1988, p. 247). 69 Prato, 1908, p. 161. 52 individui che morirono o si sposarono in un certo anno o durante l’intero periodo di osservazione. Possiamo tuttavia generalizzare questo tipo di approccio concentrando l’analisi non sulla distribuzione temporale degli eventi demografici, ma sulla ripartizione in termini di classi di età degli individui che nell’arco di un certo periodo furono interessati da una medesima categoria di evento demografico: il matrimonio, la nascita di figli, la morte (analisi longitudinale o apparentata a quella longitudinale).70 Lo scopo è quello di costruire alcuni indici che esprimono delle regolarità nei comportamenti demografici esibiti dalla popolazione studiata. In un contesto di antico regime, i dati indispensabili a tale operazione sono forniti alla ricostruzione nominativa delle famiglie effettuata sulla base dei registri parrocchiali. Diciamo però subito che nel nostro caso, gli ostacoli posti dai limiti delle fonti, soprattutto nel caso della chiesa valdese di Villasecca, non consentono di sfruttare appieno le potenzialità di questo tipo di analisi: in particolare, impediscono di fatto lo studio comparato della fecondità nelle due popolazioni.71 a) Mortalità La mortalità delle classi di età puerili (cfr. tabelle 9a e 9b) è quella che ha presentato minori problemi di ricostruzione, perché, pur essendo le classi più colpite dalla sottoregistrazione (soprattutto nei registri valdesi), l’analisi ha potuto estendersi su un arco più ampio di generazioni di nati durante il periodo coperto dalle registrazioni. Inoltre, limitatamente alle classi di età fino a 5 anni, sono impiegabili alcuni metodi di valutazione dei decessi perduti, ossia per qualsiasi ragione non registrati, che consentono di ridurre il rischio di una sottostima della mortalità.72 70 L’analisi longitudinale quando si applica agli eventi demografici vissuti da una medesima coorte o generazione; l’analisi trasversale riguarda invece una categoria di eventi demografici vissuti da un gruppo di coorti durante un anno o un certo numero di anni (Pressat, 1961, p. 63). Per coorte s’intende l’insieme degli individui che vivono un medesimo evento demografico durante lo stesso lasso di tempo (cfr. ibid., p. 61). L’analisi apparentata a quella longitudinale concerne invece un gruppo di generazioni che non entrano tutte in osservazione alla stessa età, quale ad esempio una coorte di individui che si sposano a età differenti (cfr. ibid., p. 125). 71 Gli indici fondamentali in questo campo sono costituiti dai tassi di fecondità legittima per classi di età della donna o di durata dell’unione coniugale, secondo l’età della donna al matrimonio. Un tasso così concepito esprime il rapporto fra il numero di nascite osservate in una data classe e il numero di anni procreativi femminili compresi in quella classe – un numero che si ottiene moltiplicando il numero di donne presenti nella classe considerata per l’ampiezza in anni della stessa (cfr. Henry, Blum, 1988, pp. 70-71). La conoscenza della data del matrimonio è molto importante poiché, oltre a una riduzione della fecondità connessa al progredire dell’età della donna, contrariamente a quanto sembravano indicare le prime ricerche svolte in questo campo, anche nelle società premalthusiane esiste una correlazione inversa significativa fra l’età della donna al matrimonio e la sua fecondità in una data classe di età: in altre parole, tra la fecondità e la durata dell’unione (cfr. Gautier, Henry, 1958, pp. 95 e 98-101; Pressat, 1961, p. 102; Henry, Blum, 1988, p. 87). Quando tuttavia queste misure sono riferite a insiemi umani ridotti, come i nostri, il rischio rappresentato dalle variazioni aleatorie nel numero delle nascite è assai notevole (Henry, Blum, 1988, p. 85; Viazzo, 1990, pp. 279-282). Tanto più insidioso esso si profila per quanto riguarda Villasecca, dove la brevità del periodo di osservazione limita severamente la base su cui si può effettuare il calcolo. 72 Henry, Blum, 1988, pp. 137-141. 53 classi di età femmine maschi totale 0-1 198 225 211 1-4 154 157 156 5-9 30 46 39 40 25 10-14 15-19 20-24 25-29 49 48 49 30-34 55 53 54 35-39 57 62 59 40-44 62 75 69 45-49 66 86 76 50-54 84 108 96 55-59 112 140 126 60-64 163 188 176 65-69 266 270 268 70-74 316 333 326 75-79 500 500 500 80 e oltre 1000 1000 1000 Tab. 9a. Parrocchia di Trossieri, sepolture 1711-1790. Quozienti di mortalità p. 1000. classi di età femmine maschi totale 0-1 192 218 205 1-4 148 150 149 5-9 44 51 47 Tab. 9b. Chiesa di Villasecca, sepolture 1752-1774. Quozienti di mortalità p. mille (classi di età 0-10 anni). Per quanto riguarda gli adulti, invece, è stato possibile calcolare quozienti di mortalità73 direttamente sulla base delle osservazioni soltanto sui registri di Trossieri e a partire dalla classe di età 25-29 anni (cfr. tabella 9). L’analisi della mortalità degli adulti sulla base dei registri parrocchiali è infatti condizionata da alcune specifiche limitazioni: intanto, essa può essere studiata solo nel caso degli individui sposati, l’unica categoria in cui risulta ben definibile l’entrata in osservazione e controllabile la presenza successiva nella parrocchia.74 Inoltre, si è dovuto ridurre ulteriormente il campione utilizzabile ai soli individui di cui fosse nota la data del decesso. Il metodo alternativo di una stima della mortalità probabile alle diverse età adulte sulla scorta dell’attribuzione di un’età minima e di un’età massima alla morte nei casi in cui si ignora la data esatta del decesso è infatti praticabile solo quando la proporzione di tali casi è modesta, il che purtroppo non corrisponde alla nostra situazione.75 Per non rendere troppo ristretto il campione si è reso necessario includervi gli individui dei quali l’età alla morte era nota soltanto grazie all’indicazione approssimativa contenuta nell’atto di sepoltura. Nel caso di Villasecca, la possibilità di determinare quozienti di mortalità osservabili è invece esclusa in radice dagli effetti cumulati di diversi inconvenienti: la sottoregistrazione delle sepolture, 73 Per la definizione del quoziente di mortalità vd. Henry, Blum, 1988, p. 123. Gautier, Henry, 1958, p. 176. 75 Henry, Blum, 1988, pp. 128-131. 74 54 l’omonimia diffusa, la brevità della serie dei battesimi che esclude in partenza la possibilità di stabilire l’età di molti degli adulti presenti durante il periodo di osservazione, infine, la mancanza generalizzata dell’annotazione di un’età approssimativa al decesso negli atti di sepoltura. femmine classi di età maschi totale 0-1 198 38,3 224 36,4 221 37,4 1-4 152 46,6 150 45,8 151 46,3 5-9 39 50,6 38 49,5 38 50,1 10-14 25 47,6 21 46,3 23 47 15-19 36 43,7 32 42,3 34 43 20-24 46 40,2 46 38,6 46 39,4 25-29 50 37 48 35,3 49 36,2 30-34 53 33,8 51 32 52 33 35-39 57 30,6 59 28,6 58 29,7 40-44 60 27,3 70 25,3 65 26,3 45-49 66 23,9 85 22 76 23 50-54 83 20,4 107 18,8 95 19,7 55-59 112 17,1 139 15,8 125 16,5 60-64 159 13,9 188 12,9 173 13,4 65-69 230 11 261 10,3 244 10,7 70-74 333 8,6 364 8 348 8,3 75-79 454 6,7 488 6,3 468 6,5 80-84 591 5,1 623 4,8 603 5 85-89 750 4 773 3,8 759 3,9 90-94 868 3,1 880 3,5 873 3,2 Tab. 10a. Parrocchia di Trossieri, sepolture 1711-1790. Tavola-tipo di mortalità; ingresso: 1q0 (maschi e femmine) per mille. 55 femmine maschi totale classi di età 0-1 192 39,1 218 37,1 205 38,2 1-4 145 47,3 144 46,3 144 46,9 5-9 38 51 37 49,8 37 50,4 10-14 24 47,9 21 46,6 23 47,3 15-19 35 44 31 42,6 33 43,3 20-24 45 40,5 45 38,9 45 39,7 25-29 49 37,3 47 35,6 48 36,5 30-34 52 34,1 50 32,2 51 33,2 35-39 56 30,9 58 28,8 57 29,8 40-44 59 27,5 69 25,4 64 26,4 45-49 65 24,9 84 22,1 74 23,1 50-54 81 20,6 106 18,9 94 19,7 55-59 110 17,2 138 15,9 124 16,5 60-64 158 14 187 13 172 13,5 65-69 228 11,1 259 10,4 242 10,8 70-74 331 8,7 362 8,2 345 8,4 75-79 452 6,7 486 6,3 466 6,5 80-84 589 5,1 621 5 602 5 85-89 749 3,9 772 3,9 758 3,8 90-94 867 3,1 880 3,3 872 3,2 Tab. 10b. Chiesa di Villasecca, sepolture 1752-1774. Tavola-tipo di mortalità; ingresso: 1q0 (maschi e femmine) per mille. L’informazione parziale che si è resa disponibile è stata perciò integrata attraverso l’elaborazione di tavole-tipo di mortalità per ciascuna delle due circoscrizioni ecclesiastiche,76 costruite scegliendo come ingresso il quoziente reale che sembrava più affidabile, quello rappresentante la mortalità infantile (cfr. tabb. 11a e 11b). Le tavole-tipo naturalmente forniscono valori centrali (i valori mediani, nel nostro caso)77 dei quozienti nell’insieme delle serie possibili che le relazioni statistiche fra gli stessi alle diverse età configurano a partire dall’ingresso selezionato. La dispersione dei valori reali possibili attorno ai valori centrali indicati dalle tavoletipo è solitamente ampia e dunque le probabilità che questi ultimi coincidano esattamente con quelli che sarebbero osservabili in una data situazione non sono alte.78 Tuttavia, dove c’è materia per un raffronto, i quozienti reali di Trossieri e di Villasecca si discostano poco da quelli teorici. Nel complesso, queste misure della mortalità indicano condizioni poco difformi nelle due popolazioni: la speranza di vita alla nascita è di 37,4 anni a Trossieri e di 38,2 anni a Villasecca, per i due sessi riuniti. A Trossieri, dove soltanto ha senso calcolarlo, data l’evidente sottoregistrazione 76 I quozienti-tipo sono stati calcolati utilizzando gli estimatori proposti in Ledermann, 1969. Le relazioni statistiche utilizzate per la costruzione di una tavola-tipo sono dunque quelle presentate da un insieme di tavole reali selezionate come base (ibid., p. 9). 77 Cfr. Ibid., pp. 39 e 51. 78 Ibid., p. 2. 56 delle sepolture a Villasecca, un tasso generico di mortalità puramente indicativo riferito alla popolazione censita nel 1777 risulta del 23,5‰. Il confronto con i livelli di mortalità del secolo XVIII riscontrati in alcune micropopolazioni rurali piemontesi si risolve favorevolmente per la nostra area. Sotto questo aspetto, essa appare al contrario in linea con altri territori della catena alpina caratterizzati da un livello medio di mortalità a lungo sensibilmente più basso che nelle pianure vicine. 79 b) Nuzialità e natalità L’obiettivo primario di uno studio della nuzialità in una data popolazione è quello di valutarne l’intensità e la precocità. Per quanto riguarda il primo aspetto, non solo la determinazione della misura più appropriata, la frequenza del celibato definitivo, è preclusa dai limiti delle fonti,80 ma anche il calcolo di un indice più rozzo, come quello rappresentato da un tasso generico di nuzialità, non è a rigore effettuabile per la popolazione di Villasecca: come sappiamo, infatti, i dati più affidabili che forniscono la consistenza rispettiva dei due gruppi religiosi all’interno delle comunità risalgono al 1777, mentre il registro valdese si interrompe nel 1775. Ipotizzando tuttavia che le dimensioni della popolazione locale non siano mutate di molto nel volgere di pochi anni, ho riferito agli effettivi pertinenti alla chiesa di Villasecca secondo i dati del 1777 la media quinquennale dei matrimoni che in quella chiesa si celebrarono nel periodo 1770-1774, ottenendo un tasso del 5,3‰. Relativamente a Trossieri, lo stesso tasso, calcolato con al numeratore la media decennale 17731782, risulta pari al 7,5‰. Sebbene neppure quest’ultimo possa propriamente dirsi elevato, in rapporto ad altre situazioni contemporanee, quello relativo a Villasecca è decisamente basso.81 Esso appare corrispondente ai valori che si ottengono, ad esempio, per le regioni montane dell’Austria, per l’appunto contraddistinte da una nuzialità caratteristicamente contenuta.82 Nel crescente sudoccidentale della catena alpina, in cui è ubicata la Val San Martino, si direbbero invece prevalere livelli di nuzialità piuttosto elevati.83 79 I tassi generici di mortalità relativi alle comunità rurali del Piemonte occidentale analizzate in Dossetti, 1977 sono, ancora nel XVIII secolo, quasi sempre superiori al 30, spesso al 35 e anche al 40‰ (tab. 1, pp. 129-132). Lo stesso vale per quanto riguarda le aree considerate in Levi, 1974 (appendice F, pp. 262-263). Tra gli esempi di valori più bassi relativi invece a località alpine piemontesi: Elva (1731-1750), 25‰; Entracque (1730), 30‰, (1780), 26,1‰; Pontechianale (1734 e 1774), 25-30‰ (Viazzo, 1990, pp. 264-265). All’interno dell’area alpina, l’altitudine sembra però costituire un importante fattore di differenziazione. La tendenza comincia a invertirsi soltanto verso la fine del XIX secolo (ibid., pp. 289 e 389-390). 80 La frequenza del celibato definitivo si misura determinando la proporzione di celibi di età eguale o superiore ai 50 anni fra i morti in un dato periodo o in un gruppo di generazioni. Poiché, negli atti di sepoltura, lo stato matrimoniale delle donne è in genere indicato più frequentemente; ci si limita spesso a rilevare il celibato definitivo femminile (Henry, Blum, 1988, pp. 49-51; Gautier, Henry, 1958, p. 74). Aia a Villasecca sia a Trossieri, la frequenza dei casi in cui non è possibile attribuire alle donne defunte un’età e/o uno stato matrimoniale è troppo numerosa per consentire una valutazione del celibato. 81 Cfr. Dossetti, 1977, tab. 1, pp. 129-133. I tassi elaborati per la Francia intera relativamente ai periodi 17401744 e 1770-1774 sono pari rispettivamente al 9,3 e al 7,5‰ (cfr. Dupâquier, 1988, p. 66). Ricordiamo anche i tassi più affidabili fra quelli che si ottengono per la comunità alpina piemontese di Pontechianale (alta Val Varaita) nel XVIII secolo: 8,3‰ (1751), 8,4‰ (1770), 10,7‰ (1790) (Albera et al., 1988, p. 144). 82 Viazzo, 1990, pp. 252-259. Ad esempio, il tasso di Tux (Tirolo) per il 1751-1800 è del 5,6‰ (ibid., tab. 8.3, p. 256). 83 Cfr. Ibid., pp. 267-268 e 295. 57 III. Terra e credito in una società confessionale Nel secolo XVIII, a Faetto come nel resto delle Valli valdesi, siamo in presenza di una società in cui si cerca di riannodare i fili spezzati dall’aggressivo conversionismo cattolico e dalla persecuzione violenta dei decenni precedenti per ricostruire i presupposti stessi della propria riproduzione, i legami cioè di cooperazione e i circuiti di scambio, matrimoniale come economico, disarticolati dalle conversioni di massa e dalle perdite umane causate dalle deportazioni. Nel locale mercato della terra, queste strategie trovano spesso uno snodo cruciale. La quasi totalità delle transazioni economiche che vedono impegnati gli abitanti di Faetto nel secolo XVIII e che hanno lasciato una traccia documentaria in atti notarili riguardano infatti il trasferimento di diritti sulle terre. Cumulativamente, i comportamenti di venditori e compratori lasciano trasparire la tensione verso un assetto di relazioni interpersonali che incorpora categorie d’identificazione su base religiosa come criterio fondamentale d’interazione, senza che ciò tuttavia faccia presagire una tendenziale segregazione. Anzi, la frequenza con cui cattolici e valdesi s’incontrano sul mercato e il modo in cui ciò avviene contraddicono ogni ipotesi di totale incomunicabilità e opposizione culturale fra di loro. Piuttosto, gli scambi sul mercato della terra manifestano una logica che appare connessa con la definizione dei rapporti di potere fra le due componenti e, come vedremo nel capitolo V, della loro rispettiva posizione di fronte allo stato sabaudo. Un mercato di antico regime La nostra base di osservazione è costituita da 1523 atti notarili di vendita o di cessione in pagamento di debiti (“dazione in paga”) di terre o edifici stipulati fra il 1731 e il 1775 tra abitanti della comunità così come tra questi e contraenti forestieri. Considereremo insieme gli atti che rivestono formalmente il carattere di compravendite e le cessioni in pagamento, in quanto, come vedremo, la realtà delle transazioni non giustifica l’attribuzione a priori di un significato differente alle due tipologie. Anche quando si presentano come vendite, i passaggi di proprietà registrati negli atti notarili si rivelano in prevalenza determinati da un indebitamento pregresso o dalla ricerca di credito. Dirimenti circa la reale natura di un atto sembrano invece le modalità di pagamento stipulate, di cui analizzeremo perciò la distribuzione in termini di frequenza e valore monetario. Ovviamente, numerose transazioni contemplano più di una modalità di pagamento; assumere come parametro la frequenza e il valore dei pagamenti piuttosto che delle singole transazioni consentirà di far emergere in maniera assai più chiara alcune determinanti fondamentali della dinamica degli scambi. Prenderemo inoltre in esame la destinazione colturale degli appezzamenti venduti e la concentrazione della domanda e dell’offerta, questa volta secondo il numero e il valore delle transazioni, oltre che secondo il numero dei contraenti. Soprattutto, cercheremo di mettere in relazione gli aspetti economici delle transazioni con l’affiliazione confessionale dei partecipanti. Come si vedrà, quest’ultima rappresenta nel nostro contesto un fattore di identificazione e un criterio di interazione socioeconomica fondamentale. Il suo ruolo non può tuttavia essere riconosciuto senza soppesare insieme quello svolto da altri tipi di 58 legame tra le persone, anzitutto i rapporti di parentela, che non di rado intersecano la divisione religiosa. Le transazioni nelle quali intervengono individui non abitanti a Faetto saranno tuttavia esaminate a parte. Si tratta di una necessità motivata non dalla constatazione di particolari restrizioni giuridiche o sociali concernenti l’attività economica e il possesso di terra legate alla non residenza nella comunità, ma dall’improponibilità di una ricostruzione sistematica sia dell’identità religiosa di buona parte dei compratori/cessionari o venditori/cedenti non abitanti a Faetto (che per comodità indicheremo come “forestieri”) sia dei loro legami di parentela con i residenti nel villaggio.1 La nostra analisi si ispira al modello applicato da Giovanni Levi allo studio delle logiche dello scambio economico e in particolare del mercato della terra in un villaggio piemontese di antico regime. Nel modello di Levi, le categorie di “parentela”, “vicinato” ed “estraneità” modulano e traducono in termini operativi un concetto di “distanza sociale” che influenza i contenuti, la durata e le ragioni di scambio delle transazioni economiche. Questa dipendenza dell’economico dal sociale si manifesta in un continuum di gradazioni differenti di reciprocità, una nozione alla base della tipologia delle forme dello scambio nelle economie primitive ideata da Marshall Sahlins. La reciprocità “generalizzata” rappresenta la polarità solidale, quella che si manifesta in prolungati flussi unidirezionali di beni e/o prestazioni ai quali corrispondono aspettative di contraccambio indeterminate, dal punto di vista temporale, quantitativo e qualitativo. All’estremo opposto si colloca la reciprocità “negativa” che si esprime in un atto predatorio, mentre il punto di mezzo corrisponde alla reciprocità “bilanciata” di uno scambio tra valori equivalenti.2 Nei modelli di Levi e di Sahlins gli scambi di beni e servizi configurano pratiche e processi socioeconomici.3 Anche se le ragioni di scambio sono espresse in termini monetari, ciò non diminuisce la loro dipendenza dai rapporti interpersonali, dalla “considerazione reciproca” tra i partecipanti alle transazioni economiche.4 La questione dell’esistenza di un “mercato della terra” nelle società preindustriali e delle sue concrete logiche di funzionamento è oggetto di interesse costante e a tratti di intenso dibattito fra medievisti e storici della prima età moderna da circa mezzo secolo.5 In alcuni 1 Le fonti che hanno permesso l’individuazione delle appartenenze confessionali dei partecipanti alle transazioni sono i registri della parrocchia cattolica di Trossieri (APT, Libri Baptizatorum, Libri Matrimoniorum e Libri Mortuorum 1711-1815) e della chiesa valdese di Villasecca (ACV, Livre où sont registrés les mariages, baptêmes de l’Eglise de Villesèche commené en avril 1730 par David Léger P., 17301775), sui quali è stata condotta la ricostruzione nominativa delle famiglie. 2 Levi, 1985c, in particolare pp. 104-112; Sahlins, 1980. Un altro esempio di applicazione dello schema di Sahlins allo studio di economie contadine europee, riguardante lo scambio di prestazioni di lavoro fra i gruppi domestici, in Cole, Wolf, 1993, pp. 172-173. Sulle diverse accezioni culturali della reciprocità e delle norme di giustizia applicabili alle transazioni cfr. Levi, 2000 e Levi 2003a. 3 Come definiti, ad esempio, dall’antropologo, allievo di Karl Polanyi, George Dalton: “Quando le norme che specificano i diritti di acquisizione o di uso di una qualsiasi [delle] componenti di un’economia sono espressioni di relazioni politiche o di parentela, la componente economica è inestricabilmente legata a quella sociale, e abbiamo delle pratiche, dei processi, delle istituzioni socioeconomiche” (Dalton, 1974, pp. 141-199, citazioni a p. 164). 4 Pitt-Rivers, 1976, p. 74. 5 Cfr. la ricostruzione proposta da Menant, 2005, pp. 195-216. Nonostante il titolo, il saggio di Menant contiene riferimenti anche alla modernistica. Gli anni Ottanta del secolo scorso segnarono un momento particolarmente proficuo per l’approfondimento di questo tema storiografico, anche in reazione alla 59 contesti, soprattutto medievali, è stato ad esempio possibile dimostrare come la circolazione della terra sul mercato, sebbene piuttosto intensa, fosse prevalentemente ristretta all’ambito della parentela e largamente incorporata nelle vicende successorie.6 Altre ricerche hanno posto in relazione gli andamenti temporali delle vendite di terre contadine a quelli demografici e alle fluttuazioni dei raccolti (attraverso i movimenti dei prezzi dei cereali);7 oppure, ispirate alla riscoperta di Chayanov, hanno visto nelle continue cessioni di piccole parcelle fra aziende contadine un meccanismo ciclico di adattamento del bilancio fra apporti di lavoro e consumi nei nuclei domestici durante le diverse fasi del loro sviluppo.8 Secondo una prospettiva ancora diversa, si sono letti i trasferimenti di diritti sulla terra in alcune situazioni essenzialmente come strumento finalizzato alla generarazione di reti sociali,9 in un quadro di continuità e interrelazione tra “economia di mercato” ed “economia del dono”.10 Nello stesso tempo, appare chiaramente inadeguato assumere un modello di mercato tratto dalla teoria economica neoclassica (o meglio, da una sua variante obsoleta) come termine di confronto in base al quale misurare la distanza degli scambi economici nelle società preindustriali (incommensurabile ad esempio nell’opera classica di Karl Polanyi). Oggi come ieri, puntualizzano contributi recenti nel campo della sociologia economica, l’intera attività produttiva o commerciale è inestricabilmente ibrida, segnata da controvesa tesi di una precoce mercantilizzazione della terra in Inghilterra fin dal basso medioevo sostenuta in McFarlane, 1978. 6 Su questa linea, ad esempio, Razi, 1981, pp. 3-36 e Razi, 1984, pp. 295-304. Per una critica del concetto di “family-land bond” come fattore largamente preclusivo dell’alienazione di terra al di fuori dell’ambito della parentela nelle società tradizionali cfr. tuttavia, ad esempio, Whittle, 1998 (concernente l’Inghilterra medievale); Boudjaaba, 2005 e Boudjaaba, 2008, in particolare, pp. 89-121 (sulla debolezza del legame e la prevalenza di motivazioni strettamente economiche nei trasferimenti di diritti fondiari nella Francia del tardo Settecento e del primo Ottocento).. 7 Ad esempio, Campbell, 1984, pp. 87-134 8 Cfr. la discussione delle idee di Chayanov nel contesto dell’analisi della strategie di riproduzione delle aziende contadine nell’Inghilterra bassomedievale e moderna proposta da Smith, 1984b, pp. 1-86, specialmente pp. 6-38. In questo modello, è l’applicazione di una strategia volta alla ricerca di un livello di reddito costante durante tutte le fasi del ciclo di vita domestico a spiegare la concentrazione degli acquisti e delle vendite di terra, rispettivamente, nelle fasi di più alta e più bassa produttività del nucleo domestico (Pfister, 1994, in particolare, pp. 1353-1355). Recenti ricerche mostrano però che tale correlazione non si può ritenere sempre valida (cfr. Lorenzetti, 2002). 9 In particolare, per l’instaurazione di rapporti di protezione o associazione tra una variegata gamma di possessori, da un lato, e grandi signori dotati di immunità o poteri territoriali, soprattutto ecclesiastici, dall’altro: cfr. Rosenwein, 1989 e Pastor et. al., 1999. Mentre Rosenwein si concentra sulla funzione di “collante sociale” (p. 202) delle donazioni o vendite di terra in favore di Cluny, i lavori del gruppo coordinato da Reyna Pastor enfatizzano maggiormente gli effetti di differenziazione socioeconomica legati alle cessioni di fondi, usualmente riottenuti in concessione, da parte di proprietari laici agli enti monastici. 10 Rosenwein, 1989, pp. 130-132. Sull’assenza di “alternativa secca” tra dono e scambio commerciale nelle società di antico regime, cfr. Zemon Davis, 2002, in particolare, pp. 62-90. La norma sono “interazioni protratte tra sistemi di dono e sistemi di vendita”, con la possibilità per i partecipanti allo scambio di muoversi alternativamente fra i due registri, pur nella consapevolezza della loro distinzione (entrambe le citazioni a p. 63). 60 discontinuità culturali che limitano la fungibilità di beni e valori economici11 e strutturata da pressioni e opportunità che emanano dalle reti di relazioni interpersonali.12 Nei casi specifici di volta in volta evidenziati dalla storiografia, la presenza del mercato della terra nelle società di antico regime non sembra riconducibile a un unico fattore motivante e il suo funzionamento a un principio omogeneo di regolazione degli scambi, ancorché altri rispetto alla massimizzazione dell’utilità economica e all’incontro fra una domanda e un’offerta del tutto impersonali. Un’immagine più realistica riconosce la pluralità dei tipi di operazioni che passano per il mercato così come degli obiettivi e delle strategie che animano i comportamenti di chi vi partecipa.13 Si può parlare di un “mercato frammentato”, non solo perché dominato dal particolarismo locale delle tipologie contrattuali, ma soprattutto perché queste riguardano ovunque una varietà estrema di oggetti e di condizioni che ne qualificano il trasferimento. Accanto a distinte categorie di diritti eminenti e diritti utili, una parte importante dei trasferimenti di possesso che si operano sul mercato concerne infatti rendite di diversa natura e altri flussi monetari o valori fiduciari in vario modo ancorati alla terra. Le strategie che presiedono ai trasferimenti di diritti sulla terra coprono una gamma che va dalle motivazioni di investimento agrario o comunque determinate dalle scelte produttive delle aziende alle sistemazioni patrimoniali tra eredi, alla collocazione del risparmio e alla costituzione di rendite stabili, alla necessità di accesso al credito.14 Credo quindi non sia anacronistico conservare l’espressione “mercato della terra” quando ci si riferisce a realtà preindustriali, a condizione che per “mercato” si intenda “qualsiasi sistema organizzato di scambio, sia esso centralizzato o decentrato, formale o informale”15 e non una replica del modello neoclassico. Con questi presupposti, il ricorso al mercato della terra può essere considerato parte a pieno titolo delle articolate “strategie di sopravvivenza” messe in atto dalle famiglie di piccoli possessori.16 11 Penso, in particolare, ai lavori di Viviana Zelizer: ad esempio, Zelizer, 1989, pp. 342-377. Granovetter, 1985, pp. 481-510. Il tema sociologico e storiografico della “embeddedness” delle economie, preindustriali o contemporanee nelle relazioni sociali concrete ha tuttavia in genere ignorato il ruolo svolto dalla secolare stratificazione dei linguaggi teologici e giuridici nell’inscrizione sociale e culturale dei fatti economici. Per la ricostruzione di questo processo non si può non rinviare alle fondamentali ricerche di Giacomo Todeschini, alle quali non sarebbe ovviamente possibile rendere giustizia con una breve citazione. Mi limito perciò a segnalare Todeschini, 2006 per alcune considerazioni sulla “radice razionale e medievale del mercato moderno, inteso come situazione-specchio della società” in una visione cristianizzata del mercato “come un insieme di relazioni inestricabilmente religiose, affettive e profittevoli”. Cfr. anche Clavero, 1991. 13 In primo luogo, la compresenza (e reciproca interferenza) di fattori legati, rispettivamente, alle esigenze di un settore agricolo già orientato alla mercantilizzazione e alle necessità di sussistenza delle aziende contadine: cfr. Levi, 1995, pp. 821-844, che delinea una importante revisione del modello di Chayanov. L’interferenza tra le divergenti strategie che si esprimono sul mercato della terra è visibile in particolare, come mostra il caso piemontese illustrato da Levi, nella dinamica dei prezzi della terra. Sulle logiche di funzionamento dei mercati della terra in epoca preindustriale cfr. gli ulteriori contributi di Levi: Delille, Levi, 1987b; Levi, 1992; Levi, 1993; inoltre, in un campo di studi in rapida espansione dagli anni Ottanta del secolo scorso, Cavaciocchi, 2004; Feller et al., 2005. 14 Béaur, 1991a; Béaur, 1991b. Fra i numerosi studi dedicati da Béaur al mercato e alla proprietà della terra nella Francia di antico regime, cfr. inoltre la rassegna tematica in Béaur, 2007, pp. 138-163. 15 Hoffman, et al., 2000, p. 11. 16 Il carattere composito di tali strategie generato dall’incertezza, o meglio, dall’aleatorietà della condizione della gente comune nelle economie preindustriali è al centro del contributo di Fontaine, Schlumbohm, 2000. 12 61 Più in generale, possiamo cogliere il rapporto con i mercati di una comunità prevalentemente contadina e insediata su terre marginali come Faetto attraverso la nozione, introdotta da Levi di “economie contadine a mercato parziale”17. Da un lato, tale nozione designa infatti un tipo di regime economico in cui l’acquisizione dei beni necessari alla sussistenza e alla soddisfazione di consumi culturalmente standardizzati si compie in gran parte al di fuori della sfera mercantile, secondo uno schema di prevalente autoconsumo. Dall’altro, riconosce pienamente il fatto che anche in queste situazioni i produttori si impegnano più o meno regolarmente sui luoghi di mercato per ottenere una certa quantità di reddito monetario da destinare essenzialmente a spese specifiche – determinate ad esempio da esigenze di consumo sociale o dal pagamento delle imposte. Si evita in tal modo di presupporre una rigida separazione tra gli scambi e i rapporti economici che si generano nell’ambito dell’autosussistenza e le attività che entrano in circuiti di carattere propriamente commerciale.18 Come in numerose società descritte dagli antropologi, questi mercati periferici di antico regime non hanno tuttavia dimensioni e importanza tali da far sì che i prezzi che vi si formano possano influenzare in maniera decisiva l’allocazione di risorse quali la terra e il lavoro tra produzioni alternative, in vista di un sistematico incremento (non parliamo di massimizzazione) dei risultati monetari. In altre parole, i prezzi di mercato dei prodotti non svolgono una funzione integrante del sistema economico nel suo complesso, poiché la maggior parte del reddito (non monetario) contadino non deriva da essi.19 È assai più probabile che in un tale contesto, elementi come la posizione sociale rispettiva dei contraenti, la storia dei loro precedenti rapporti, le altre relazioni in cui sono immersi integrino il calcolo economico individuale in un più ampio reticolo di valori sociali e culturali.20 17 Levi, 1985c, p. 113. Possiamo anche parlare di “società con mercati periferici” (Bohannan, Dalton, 1972, in particolare, pp. 34-42). 18 Un’impostazione ‘malthusiana’ del rapporto fra tendenze all’autoconsumo e spinte alla commercializzazione in Aymard, 1983. 19 Bohannan, Dalton, 1972, loc. cit.. 20 Levi, 1985c, p. 97. Per contro, Derouet, 2001 propone di distinguere nettamente tra “circolazione preferenziale all’interno della parentela” e la questione dei prezzi unitari della terra, contestando la tesi che la prima abbia sempre un effetto sui secondi. 62 Presenza delle colture sul territorio e nelle transazioni L’assortimento delle terre e degli altri beni immobili che entrano nelle transazioni è mostrato dalla tabella 1. alpi boschi campi castagneti edifici incolti muande num. appezzamenti ass. perc. 96 4,49 190 8,88 468 21,88 36 1,68 357 16,69 211 9,86 20 0,94 orti prati vigne non specificata totale num. appezzamenti ass. perc. 32 1,50 485 22,67 193 9,02 51 2,38 2139 100,00 Tab. 1. Destinazione produttiva degli appezzamenti venduti (1731-1775). Possiamo poi farci un’idea delle diverse destinazioni produttive del territorio di Faetto nel secolo XVIII e della loro consistenza attraverso i dati forniti dalla Statistica Generale del 1753 (cfr. tab. 2). alpi boschi campi incolti e pascoli prati vigne totale ha. 823,93 597,12 77,75 958,47 52,40 10,80 2520,47 perc. 32,69 23,69 3,08 38,03 2,08 0,43 100,00 Tab. 2. Destinazioni produttive nel territorio di Faetto intorno alla metà del secolo XVIII. Fonte: Asto, Sezioni Riunite, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale, fasc. 12, Provincia di Pinerolo (1753). Nella classificazione della Statistica Generale, la categoria costituita dagli incolti e dai pascoli occupa da sola quasi il 40% del territorio di Faetto. Indicati come in gran parte beni comunali, vengono qui dipinti come “rocche inutilissime e di nessun frutto”.21 Gli atti notarili testimoniano tuttavia sia di una loro frequente circolazione nelle transazioni tra privati (quasi il 10% degli appezzamenti che di queste sono oggetto) sia della ben maggiore considerazione loro attribuita dai saperi locali. L’incolto è infatti presente qui con una pluralità di termini che ne sottolinea a un tempo l’importanza economica e l’aderenza alla diversificazione estrema dell’ambiente alpino, lasciandone scorgere una possibile specializzazione interna.22 21 Il termine “pascoli” ha un referente un po’ opaco, potendo indicare sia gli alpeggi sia terreni diversi posti ad altitudini inferiori, radure nei boschi e spazi fra i coltivi, utilizzati nelle stagioni intermedie (cfr. Arbos, 1922, pp. 61-63, 196 e 408; Cole, Wolf, 1993, p. 127). 22 I lemmi più ricorrenti: broa, dal provenzale bruo: proda, margine di terreno in discesa molto inclinato, spesso ripido e cespuglioso’ ovvero ‘scarpata incolta che separa due campi sul pendio di una montagna; broasso, da bruas o bruaso, accrescitivo e peggiorativo di bruo; derupiasso, da dërüpias: sito precipite, 63 La voce alpi, corrispondente alla seconda più ampia destinazione produttiva del territorio, indica i pascoli attrezzati di alta montagna, situati al limite della zona produttiva e sfruttati durante la stagione estiva.23 Si tratta dell’ Alpe comunale della Cialancia e dell’Alpe consortile della Balma, tutte e due situate nel territorio di Faetto. Negli atti notarili, compaiono entrambe come oggetto di diritti individuali di possesso “indivisi” con gli altri detentori, sotto forma di “ragioni” non quantificate nel caso della prima e di quote espresse in moneta esattoriale per quanto riguarda la seconda. Su queste alpi così si esprime la Consegna del 1698: Sovra le fini [scil.: di Faetto] vi sono due piccole Alpi una delle quali si chiama la Balma registratta alla colonna de Particolari, et altra detta della Chialanchia commune a tutti li Particolari del luogo, e finaggio sudetto seben si paga annualmente una recognitione alli signori Conti del luogo, e sono ambe capaci per il pascolo di cento bestie bovine, et duecento circa capre, e sovra dette Alpi si possono trattenere per due mesi circa dell’anno solamente, et non havendo presentemente li Particolari comodità delle cose necessarie per il soggiorno sovra dette Alpi, quelle si sono date in affitto a Particolari forestieri, quali hanno circa cinquecento pecore, vero è che nell’anno venturo ove li Particolari siano in stato di puotersi provedere de mobili, et altre cose necessarie per il soggiorno sovra dette Alpi, e de bestiami, se ne vadano li medesimi Particolari senza darli in affitto ad altri, et sovra tali Alpi si fano formaggi a proportione di bestiami.24 La Cialancia e la Balma rappresentano dunque rispettivamente le due forme tipiche di proprietà collettiva degli alpeggi: comunale e societaria. Entrambe le forme derivano spesso storicamente da concessioni in locazione perpetua accordate da signori laici o ecclesiastici: a una comunità o a “capi di casa” nominativamente designati.25 Secondo la Consegna del 1698, come si vede, il possesso comunale della Cialancia, a differenza di quello consortile della Balma, è in effetti sottoposto al pagamento di un canone ai feudatari di Faetto o censo ricognitivo della loro proprietà eminente. Nelle parole della Statistica Generale, le alpi di Faetto sono in parte “feudali” e in parte “registrate”. Per quanto riguarda la Balma, essa, a differenza che altrove,26 non è accatastata unitariamente come proprietà corporata, ma è suddivisa nelle partite dei singoli consorziati: “registrata alla colonna dei particolari”. Dagli atti di compravendita (dove il loro rilievo appare contenuto ma non irrilevante) non dirupato; gerbido, voce piemontese indicante genericamente l’incolto; gravera, da graviëro: banco di ghiaia, terreno pietroso e sabbioso lungo il corso di un torrente; riva, da rivo o ribbo: scarpata erbosa; rivasso, da ribas o ribasso: proda scoscesa, grande scarpata, pendio di un poggio; rochiaglia, da ruciaglio: terreno disseminato di rocce; sagnasso, da sagnas: prateria acquitrinosa, palude. Per l’individuazione e la traduzione delle voci provenzali ho utilizzato, oltre al classico Mistral, 1966, Pons, 1973. La trascrizione alfabetica è quella italiana, integrata da segni diacritici, adottata da Pons. 23 Arbos, 1922, pp. 35-37; Guichonnet, 1986, p. 160; Viazzo, 1990, p. 27. La zona eminentemente pastorale costituita dagli alpeggi può nondimeno ospitare anche attività agricole: la fienagione, anzitutto, e, in secondo luogo, colture di cereali robusti (cfr. Arbos, 1922, pp. 87-91, 98-99 e 107). Le colture sono comunque tendenzialmente assenti dove uno stadio intermedio di sfruttamento agricolo si interpone fra il villaggio permanente e l’alpe (cfr. ibid., p. 502); questo, come vedremo, è appunto il caso di Faetto. 24 Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 531, m. E-F, fasc. 1, Atti di consegna di tutte le boche humane, bestie bovine, lanute e porchine fatta dalli Particolari Cappi di Casa del luogo di Faetto, 27 giugno 1698. 25 Arbos, 1922, pp. 66-68 e 73-75; Pons, 1978, pp. 136-137 e 157. 26 Viazzo, 1990, p. 209. 64 emergono evidenti limiti all’alienabilità delle quote individuali relative a entrambi gli alpeggi, neppure nei confronti dei forestieri. I boschi, la terza categoria per ampiezza sul territorio, si presentano negli atti notarili con circa la stessa frequenza degli incolti e sotto varie denominazioni secondo le specie arboree.27 I boschi di betulle, ad esempio, costituiscono il 69,9% degli appezzamenti di bosco alienati, seguiti dai querceti con il 20,3%. La Statistica Generale comprende verosimilmente tra i boschi anche i castagneti, ai quali abbiamo invece preferito riservare una categoria a parte nella nostra classificazione delle destinazioni colturali documentate nelle transazioni. Come altrove, i boschi della Val San Martino dovevano assolvere a funzioni economiche plurime. Intanto, con la fornitura di prodotti forestali destinati all’autoconsumo domestico: come legna da ardere, come frutti e foglie per integrare l’alimentazione di uomini e animali (oltre che per preparare giacigli). Era inoltre frequente in area alpina l’utilizzo per il pascolo, durante l’estate oppure nelle stagioni intermedie, a seconda delle caratteristiche climatiche della zona.28 Lo sfruttamento a destinazione protoindustriale (carpenteria e produzione del carbone di legna), infine, ha lasciato una traccia precisa nelle fonti giudiziarie della Val San Martino, attraverso diversi procedimenti originati dai tagli abusivi, talvolta massicci.29 Alpi, boschi, incolti e pascoli raggiungono insieme ben il 94,4% dell’estensione totale delle terre di Faetto. Campi, prati e, molto più limitatamente, vigne,30 occupano il restante. La leggera prevalenza dei campi sui prati non sorprende nel contesto di un’economia agrosilvopastorale prevalentemente orientata all’autosussistenza: le rese particolarmente basse delle semine dei cereali, unitamente al ricorso al maggese (presente qui, oltre che nella forma comune alle pianure, anche in quella “climatica”, tipica della fascia superiore del biotopo dei coltivi)31 privilegiano il campo nella ripartizione degli scarsi suoli produttivi disponibili fra le diverse utilizzazioni.32 Gli appezzamenti di prato e di campo sono i più presenti nelle transazioni, quasi nella stessa proporzione. Secondo la stessa Statistica Generale, le colture cerealicole più diffuse sono l’avena, la segale e il “barbariato”; la presenza del frumento puro è pressoché insignificante. La 27 Delle quali indicherò, accanto alla forma italianizzata del notarile, la corrispondente voce provenzale: bessea, dal provenzale bësé o bëséo: bosco di betulle; favuarea o fauvarea: faggeto, da fau, ‘faggio’; mallezea: bosco di larici, da malzé o malzéo, ‘larice’; rorea, da ruréo: rovereto, querceto. 28 Guichonnet, 1975, p. 155; Arbos, 1922, pp. 61-63 e 191-192; Pons, 1978, pp. 125-126. Aggiungiamo la raccolta di ramaglie da impiegare come materiale di sostegno nella viticoltura, attività praticata anche nella nostra area, alle quote più basse e sui versanti meglio esposti, con destinazione del vino prodotto al consumo locale. Tra i contributi recenti sugli usi e i significati del bosco nella prima età moderna, cfr. i saggi raccolti in Ambrosoli, 2007. Moreno, 1990 è ovviamente fondamentale dal punto di vista metodologico. 29 Tron, 1987, pp. 220-251. 30 Molti degli appezzamenti di vigna venduti comprendono quote o, più raramente, l’intera proprietà di un “chiaboto”, di solito “con suo torchio e tina”. Il termine provenzale (e piemontese) ciabot o ciabotto, dal significato generico di “capanna rustica isolata”, nella Val San Martino indica più precisamente un locale basso e stretto nel quale un tempo si preparava il vino e vivevano temporaneamente i montanari quando si recavano a lavorare i loro vigneti di fondavalle. Di strutture come questa si può dire che si aggiungono come un epifenomeno al nomadismo alpino (cfr. Arbos, 1922, p. 387). 31 Su questa distinzione cfr. Blanchard, 1952-1954, vol. II, p. 420. 32 Arbos, 1922, pp. 194-197. 65 massiccia prevalenza della segale e delle misture che la comprendono era ovviamente suggerita dalle particolari costrizioni esercitate sulla cerealicoltura dalla climatologia montana.33 La produzione annuale media dell’arativo per giornata, in sacchi e loro sottomultipli, risulta perciò la seguente, raffrontata con i valori corrispondenti riferiti all’intera provincia di Pinerolo (cifre in parentesi): avena, 1.3.2 (0.0.4); frumento, 0.1.0 (0.4.4); segale e barbariato, 1.7.2 (1.1.0).34 Il rendimento dei prati (0.26 tese di fieno da 50 rubbi per giornata) è, analogamente a quanto si riscontra nelle altre località delle Valli valdesi, assai basso se comparato con i valori che si ottengono per la Valle di Susa (2.36 tese per giornata) e per l’alta Val Chisone (5.30 tese per giornata).35 La causa di un così ampio differenziale di produttività risiede probabilmente nell’assenza di un sistema di irrigazione altrettanto sviluppato ed efficiente di quello esistente nella Valle di Susa e nell’alta Val Chisone.36 Il livello di produzione del fieno, perno dell’economia agropastorale alpina secondo una classica teoria,37 sarebbe a sua volta la causa principale della natura prevalentemente ovina dell’allevamento nella nostra comunità e, più in generale, nelle Valli valdesi. Due tipologie, infine, di edifici o di beni comprendenti edifici compaiono negli atti notarili, ma sono assenti come voci a sé stanti nella classificazione della Statistica Generale: oltre agli edifici, le muande.38 La muanda si delinea come un vero complesso produttivo misto agricolo-pastorale (comprendente edifici, pascoli, prati, campi, incolti e talvolta boschi) intermedio fra l’area dell’abitato permanente e la zona degli alpeggi, occupato dall’intero gruppo domestico con il proprio bestiame per qualche settimana immediatamente prima e dopo la permanenza delle bestie sull’alpe. Le “muandes” sono menzionate nello schizzo di carattere etnografico con cui Jean Léger apre la sua storia delle chiese valdesi, dove vengono appunto definite “lieux éloignés vers les Montaignes où ils [scil.: gli abitanti delle Valli valdesi] retirent le bétail pour la commodité du fourrage & pour la necessité d’y graisser les champs de fumier”, durante il mese di marzo.39 33 Più in generale, su suoli poveri e in condizioni tecniche poco avanzate, la coltura della segale presenta notevoli vantaggi comparati rispetto a quella del frumento (cfr. Meuvret, 1977, pp. 147-149). 34 Le medie provinciali sono tratte da Prato, 1908, p. 69. La giornata piemontese, composta di 100 tavole, corrisponde a circa 0,38 ettari; il sacco, diviso in 5 emine da 8 coppi, equivale a a ca. 115 litri. Tutte le conversioni dalle antiche misure piemontesi a quelle metriche sono basate su Martini, 1883. 35 Prato, 1908, p. 83. La tesa da fieno, suddivisa in 125 piedi manuali cubi da 512 once, è eguale a circa 5,2 metri cubi; il rubbo, diviso in 25 libbre da 12 once, a circa 9,2 chilogrammi. 36 Ibid., p. 89. 37 Nel classico modello di economia alpina elaborato da John Frödin nel 1940, la produzione di fieno assume il rilievo di elemento centrale cui si deve la regolazione dell’intero sistema produttivo: essa stabilisce anzitutto un legame fra il settore agricolo e quello pastorale, contendendo i suoli migliori alla cerealicoltura; in secondo luogo, fissando la quantità di bestiame che d’inverno è possibile nutrire nelle stalle, determina in ultima analisi il numero di capi che durante l’estate dovranno sostenere i pascoli di alta montagna (cfr. Viazzo, 1990, p. 35). 38 Il termine muanda utilizzato negli atti e i corrispettivi assai simili di area linguistica provenzale appartengono a una costellazione di designazioni locali di vari tipi di abitato temporaneo. Ad esempio, nel Delfinato prevale la forma linguistica muando o mudando, nel dialetto della Val San Martino miando. Su queste strutture cfr. Arbos, 1922, p. 388; Blanchard, 1952-1954, vol. II, pp. 417 e 468. 39 Léger, 1664, l. I, p. 6. Fra le strutture affini alla muanda in area alpina si può citare la montagnette savoiarda, insediamento temporaneo esclusivamente pastorale o anch’esso pastorale e agricolo (cfr. Arbos, 1922, p. 386; Blanchard, 1952-1954, vol. II, p. 467; Pons, 1978, p. 148; Viazzo, 1990, p. 27). 66 Tra gli edifici, molto presenti nei documenti notarili, figurano, accanto a “casa”, termini quali “casale”, “casamento” o “caseggio”, in genere non identificabili in base a tipologie precise.40 Essi rimandano probabilmente all’articolazione dell’abitato caratteristica dell’economia alpina, che si trova a dover fronteggiare e sfruttare acute dissimmetrie topoclimatiche anche con periodiche migrazioni a carattere agricolo e pastorale all’interno della zona produttiva.41 Frequente è inoltre la ricorrenza di fabbricati designati come stalle con fienile o granaio.42 Prati, campi ed edifici assommano a oltre il 60% dei beni che sono oggetto di transazioni. Circa un quarto è poi costituito da boschi, incolti e diritti sulle alpi. Anche le vigne, infine, tanto più in rapporto a una presenza evidentemente ridotta sul territorio, manifestano un’intensa mobilizzazione. Per quanto a prima vista paradossale in queste zone montane, la vigna sembra anche qui una coltura a orientamento spiccatamente mercantile. Almeno per l’Ottocento, infatti, è attestato nelle Valli valdesi come in altri territori alpini del versante piemontese, un attivo commercio del vino prodotto localmente, benché a raggio molto limitato, dai centri di produzione situati nel fondovalle verso quelle zone in cui l’altitudine o altri fattori impedivano la viticoltura.43 Gli appezzamenti di vigna, concentrati in poche regioni particolari, compaiono perlopiù da soli o comunque separati dagli altri beni che eventualmente figurano in uno stesso atto. Prati, campi, edifici, incolti e (in misura un po’ minore) pezze di bosco si trovano invece spesso alienati all’interno di un complesso produttivo integrato (o di parte di questo) posseduto dal venditore in un certo sito. Il mercato della terra e il credito Il legame particolarmente stretto fra credito e mercato della terra è ben noto alla storiografia economica e sociale del medioevo e della prima età moderna.44 Tutte le più comuni tipologie contrattuali che recano il trasferimento di diritti sulla terra appaiono largamente “contaminate” dal credito.45 Ciò non è altro, in fondo, se non la manifestazione in ambiente rurale della pervasiva dipendenza delle popolazioni di antico regime da questa risorsa, che, nel caso degli strati non privilegiati, anzi, risulta vitale per la stessa sopravvivenza quotidiana. Allo stesso tempo, gli studi più recenti hanno anche dimostrato il significato non univoco sia, in generale, delle relazioni che si esprimono attraverso il credito sia dell’associazione di quest’ultimo con il mercato della terra. I due problemi sono ovviamente interrelati. Ad esempio, è stato rilevato come credito e mercato fondiario, per quanto profondo sia il loro intreccio, non siano necessariamente “motore” l’uno dell’altro.46 40 Mi riferisco alle tipologie illustrate in Arbos, 1922, pp. 605-644; Blanchard, 1952-1954, vol. II, pp. 484492; Pons, 1978 pp. 150-157. 41 Arbos, 1922, pp. 13, 144-145 e 148; Sereno, 1989, pp. 433-434. 42 Letteralmente: “stalla con grangia sopra”, dove la voce piemontese grangia, analogamente al provenzale grangio e al francese grange, significa qui ‘granaio’ o ‘fienile’. 43 Blanchard, 1952-1954, vol. II, p. 415; Pons, 1978, pp. 126-127. 44 Per quanto riguarda l’età moderna, cfr. Lorenzetti, Merzario, 2005, pp. 85-120. 45 Béaur 1994, p. 1419. 46 Ibid., in particolare, pp. 1421-1423. 67 Ovviamente sarebbe assurdo, in particolare, negare che nel corso dell’età moderna l’indebitamento contadino abbia determinato massicci trasferimenti di diritti sulla terra a vantaggio di élite urbane e rurali strategicamente orientate all’investimento fondiario. Tuttavia, non sempre il prestatore, anche quando estraneo alla cerchia dei parenti o degli amici, appare realmente interessato a espropriare il debitore del suo fondo. In alcuni di questi casi la concessione di credito garantito dalla terra traduce la pura ricerca di una collocazione redditizia e sicura per il proprio denaro, senza secondi fini di accumulazione fondiaria. Forse più spesso, sono all’opera motivazioni più complesse e, almeno in parte, di natura extraeconomica. Ne abbiamo un indizio quando, come spesso accade, il valore dei beni nominalmente alienati o dati in garanzia è palesemente insufficiente a coprire l’entità del prestito. Il fenomeno delle vendite ripetute, da parte di un possessore indebitato, di uno stesso appezzamento già alienato e non riscattato, meno frequente ma attestato nondimeno nelle nostre fonti,47 è un altro esempio che punta nella stessa direzione. Così come, da parte del prestatore, la moderazione nell’esigere il pagamento degli interessi decorsi o il rinnovo a più riprese del credito anche in presenza della mancata restituzione di somme precedentemente avanzate. Nel nostro caso, le lunghe catene di transazioni ‘asimmetriche’ fra non parenti e spesso non correligionari di cui abbiamo parlato lasciano intravedere interazioni di questo tipo, nelle quali l’apparente benevolenza del creditore non appare giustificata da uno specifico obbligo morale alla solidarietà nei confronti della persona del debitore. In assenza di contropartite monetarie o fondiarie certe, per chi dispone di risorse sufficienti vi sono tuttavia altri vantaggi, di tipo economico o sociopolitico, che il credito è in grado di procurare. Può trattarsi di apporti di lavoro da parte dei debitori, difficili o più costosi da ottenere e gestire in altro modo, dell’accesso a risorse collettive grazie all’acquisizione di diritti sulla terra, ma anche di lealtà spendibili nell’arena del prestigio e della competizione politica locale. Questi benefici, derivanti largamente dall’instaurazione di un legame duraturo di dipendenza personale del debitore nei confronti del creditore, segnalano “la preminenza nel debito della qualificazione sociale su quella economica” in antico regime e connotano il credito come matrice di relazioni interpersonali che non di rado si tramandano attraverso le generazioni.48 47 Cfr. infra, pp. 75-76. Fontaine, 2008 (da cui sono tratte le parole citate, a p. 67). Di questa autrice vd. inoltre: Fontaine, 1988; Fontaine, 1991; Fontaine, 1994; Fontaine, 2007. Si muovono nella stessa direzione le considerazioni svolte da Renata Ago sulla “peculiarità dei diritti sul credito” nella Roma del Seicento, spesso di fatto inesigibili, ma concernenti un “valore sociale” in aggiunta a quello propriamente economico, “rappresentato dalla relazione con il debitore, dal vincolo così imposto alle sue azioni future, dall’implicito impegno alla fedeltà da lui sottoscritto” (cfr. Ago, 1998, pp. 103-105). Sulle culture e le pratiche sociali del credito nella prima età moderna (oltre che sulla sua pervasività e importanza nel sistema economico) cfr. inoltre Muldrew, 1998. In Pfister, 1994, in particolare, pp. 1357-1358, un altro esempio della tendenza dei rapporti di credito nelle comunità rurali di antico regime a integrarsi in transazioni sociali più ampie e specialmente in relazioni di tipo clientelare. 48 68 Credito e confessione religiosa: propaganda e realtà Un tema onnipresente nella propaganda cattolica antivaldese conferisce una centralità tutta particolare al binomio terra e credito nelle Valli valdesi della prima età moderna. Le autorità cattoliche laiche ed ecclesiastiche non perdono infatti occasione di denunciare nell’indebitamento nei confronti dell’avversario religioso un temibile strumento di spossesamento a danno dei cattolici. In maniera più discreta, anche alcuni rappresentanti della società valdese manifestano preoccupazioni analoghe, ovviamente rappresentando la propria parte nel ruolo della vittima. Al di là delle enunciazioni retoriche, l’uso più o meno aggressivo del credito nella lotta religiosa si traduce in concrete iniziative istituzionali. I cattolici si muovono nel solco dell’esperienza dei monti di pietà, rinverdita dalla Controriforma, con inizialmente in prima linea, i cappuccini della missione di Perrero. Come abbiamo visto, infatti, al loro ristabilimento nel 1661 si lega infatti la fondazione del Monte domenicale, uno dei cui scopi principali consiste appunto nell’erogazione di prestiti ai convertiti, in particolare per finanziare l’acquisto di nuove terre o il riscatto di terre ipotecate ai valdesi. Al di là del tono propagandistico e del trionfalismo delle parole che le accompagnano, queste iniziative non fanno che ribadire il punto cardinale della politica controriformistica nelle Valli valdesi quando essa non si affida direttamente alla coercizione: la volontà di stabilizzare e, se possibile, estendere il possesso della terra da parte della popolazione cattolizzata come complemento indispensabile dei successi ottenuti in termini di conversioni, in particolare rimediando all’indebitamento dei convertiti nei confronti degli ex correligionari. La vicenda del Monte dominicale sarà effimera, ma questi elementi resteranno una costante nelle politiche successive dello stato e della chiesa sabauda. Dopo la Rentrée, infatti, l’idea che il reinsediamento dei valdesi abbia significato la ripresa di una ancor più aggressiva strategia di acquisizione delle terre dei cattolici, soprattutto attraverso la leva dell’indebitamento dei possessori, è continuamente riproposta dalle fonti di parte cattolica, statali come ecclesiastiche. Per quanto riguarda, in particolare, Faetto e la Val San Martino, si veda, ad esempio, quanto scrive, in una relazione sullo stato della propria parrocchia inviata nel 1767 al vescovo di Pinerolo, il curato della chiesa di Trossieri. Attribuendo un luogo e un tempo adeguatamente sacrileghi alla cospirazione anticattolica, la sua denuncia si appunta sulla taverna posseduta da un «tiranno della Catolica Religgione» nel territorio della sua parrocchia, dove ne’ giorni di Domenica, e Festa vi concorre la feccia della mia, e dell’altre Parrochie circonvicine, ove sotto color d’imprestito si fà credito a Catolici particolarmente, agl’uni 160 agl’altri 200 insino alle £ 300 con hipoteca de fondi a termine di riscatto, o per loro goldità a loro vita durante, e così già è suo il terzo di Riclaretto e la mettà di Faetto.49 Ciò che addita il parroco come ingrediente del successo della strategia dei nemici religiosi è il carattere elevato delle somme prestate, senza rapporto con il valore produttivo delle terre ricevute in garanzia o con considerazioni di solvibilità dei debitori, poiché traduce il peculiare significato extra-economico attribuito dai valdesi al controllo delle terre locali. 49 Archivio Vescovile di Pinerolo, Parrocchia di Trossieri, m. non inventariato, Stato della Chiesa, e Parrochia di Riclaretto, e Faetto, lettere del parroco Antonio Ceaglio al vescovo di Pinerolo, 5 giugno 1767. 69 La stessa visione era stata all’origine, nel 1739, della creazione dell’Opera dei prestiti, un fondo alimentato in parte con versamenti diretti dalle finanze regie e in parte con i redditi dei benefici vacanti, la cui amministrazione era stata affidata al suo ideatore, il chierico Pietro Manfredo Danna, figlio del celebre pastore valdese di San Giovanni convertitosi al cattolicesimo nel 1679. Come dichiarato nel suo nome, l’Opera dei prestiti si propone appunto di fornire a cattolici e convertiti delle Valli valdesi credito a tasso d’interesse agevolato (1-2%), anzitutto in vista del riscatto di beni ipotecati a valdesi o dell’acquisto di proprietà valdesi. Per Danna, non esistono dubbi circa il fatto che i valdesi cerchino con tutti i mezzi di impadronirsi delle terre dei cattolici, né che in questo le «borse dei poveri» presenti nelle chiese valdesi (come in tutte le chiese riformate) e le sovvenzioni che tali chiese ricevono dall’estero svolgano un ruolo fondamentale.50 I valdesi iniziano a ricevere cospicue sovvenzioni da chiese e altre istituzioni protestanti europee su base regolare (cioè non più solo in reazione a eventi eccezionali come le Pasque piemontesi) soprattutto dopo la Rentrée, grazie al più favorevole quadro dei rapporti internazionali instauratosi allora. Queste sovvenzioni, in particolare quelle più cospicue, veicolate dal cosiddetto Comitato vallone, vengono destinate fondamentalmente a tre scopi: il mantenimento delle spese per il culto e l’istruzione religiosa, in primo luogo gli stipendi dei pastori; il finanziamento dell’istruzione primaria, secondaria e, in misura minore, superiore; infine, in misura notevolmente più ridotta, l’assistenza ai fedeli bisognosi.51 Quest’ultimo settore d’intervento corrisponde appunto a quello delle borse dei poveri, raffigurate da Danna come principale strumento per sostenere gli sforzi coordinati dei «religionari» miranti all’esproprio delle terre cattoliche. In realtà, il quadro istituzionale della carità valdese, in particolare di quella finalizzata al sostegno al possesso della terra, appare più complesso. Nelle fonti valdesi contemporanee, accanto alle risorse propriamente gestite e distribuite dalle borse dei poveri, risorse talvolta indicate come «fonds des pauvres», compare infatti un altro tipo di fondi attivabili accanto ai primi (e forse più specificamente di questi) per il credito, detti «fonds d’église». Tali fondi non sembrano interessati dai flussi della beneficenza straniera e restano quindi anche al di fuori del controllo esercitato dai suoi dispensatori. Ecco come vengono introdotti in una nota diretta nel 1768 al Comitato vallone da Daniel-Isaac Appia, allora pastore a San Giovanni e moderatore della Tavola valdese: L’Eglise de Saint Jean a des fonds soit par instrument sur des terres soit en obligations, pour la somme de £ 1226.10. Ceux qui cultivent ces terres sont pour la plupart les mêmes de qui on les a achetées. Tant ceux qui tiennent ces terres que ceux qui ont fait des obligations s’engagent d’en 50 Asto, Corte, Materie ecclesiastiche, Benefizi di qua da’ monti, m. 35, Humilissima Rappresentanza della necessità d'un fondo perpetuo per comperare il poco territorio cattolico che resta nelle Valli di Luserna, s.d. (ma 1749). 51 Il Comité Wallon, com’era noto tra i valdesi, o Comité pour les affaires des Églises Évangéliques Vaudoises du Piémont (in breve, Comité Vaudois) secondo la denominazione corrente fra i suoi promotori, sorse nel 1735 per coordinare e amministrare gli aiuti finanziari destinati alle chiese valdesi raccolti dalle chiese riformate francofone dei Paesi Bassi. Il sussidio distribuito dal Comitato vallone restò il più ampio e regolare strumento di sostegno finanziario estero per le chiese valdesi per tutto il Settecento. Il Comitato vallone finì inoltre con l’attribuirsi un ruolo più complesso, di indirizzo disciplinare e dottrinale delle chiese destinatarie, incontrandovi tanto consensi che resistenze. Sull’attività del Comitato cfr. Arnal, 1936, pp. 5-40 e Arnal, 1937, pp. 5-40. Sul suo fondamentale contributo al sistema scolastico valdese cfr. Battistoni, 2002, pp. 27-63. 70 paier l’interêt, mais ils ne le font pas ... Lorsque ceux à qui on a preté de l’argent ou de qui on a acheté les terres peuvent rendre les sommes on les prête à d’autres qui se trouvent pressez, ainsy ces fonds passent successivement d’une main à une autre, sans les eteindre.52 Appia descrive qui una forma di credito molto diffusa, che comporta l’acquisto di un appezzamento, esplicitamente (o per accordo implicito) riscattabile dal venditore, al quale intanto veniva concesso in affitto. Il canone di locazione fissato corrisponde allora, in realtà, a un interesse sul valore del prezzo della vendita. Si ricorre a questo tipo di contratto per “palliare” un mutuo ipotecario, per evitare di incorrere nella presunzione di usura e nel relativo divieto canonico. Molto spesso non v’era altra forma di credito accessibile alla piccola proprietà contadina. Non è dunque sorprendente che le istituzioni cattoliche e valdesi lo utilizzino per difendere le proprietà dei correligionari in ristrettezze dal rischio di cadere nelle mani di appartenenti all’altro gruppo confessionale: come conclude Appia, “le but qu’on se propose est d’acheter leurs terres afin qu’elles restent entre nos mains”, un obiettivo di fronte al quale la puntuale riscossione degli interessi sui prestiti erogati passa in secondo piano. L’impatto effettivo dei canali istituzionali di credito su base confessionale non è facile da valutare. La carità istituzionale cattolica affiora in rarissimi casi nella documentazione notarile e quello valdese è del tutto assente. Entrambe, ma soprattutto la seconda, potrebbero certo aver seguito vie informali o comunque interne senza lasciare traccia scritta negli atti notarili. Non ci sono tuttavia indizi che esse abbiano giocato un ruolo di un qualche rilievo nel mercato della terra. Quest’ultimo appare invece dominato dai rapporti di credito intrecciati fra gli abitanti di Faetto e delle zone circonvicine. Vendite, condizioni di pagamento e indebitamento Gli atti di compravendita riportano sempre il modo in cui è stato pagato il prezzo di vendita; può trattarsi di un versamento immediato in denaro contante, di una “scrittura d’obbligo” che impegna il compratore a un pagamento in futuro, di una permuta di beni, oppure di un regolamento già effettuato in precedenza. Ciascuna di queste diverse soluzioni rinvia spesso a un significato particolare assunto dall’alienazione di una terra. Se guardiamo ai dati concernenti la frequenza e il valore delle vendite relativi all’intero periodo 1731-1775 (cfr. tab. 3), scopriamo che in circa il 15% dei casi e per il 24% del suo valore totale, al prezzo di vendita indicato nel contratto non corrisponde un effettivo passaggio di denaro o altri effetti fra il compratore e il venditore al momento della vendita, ma la cancellazione, totale o parziale, di un debito contratto dal venditore con il compratore o con altri soggetti, che il compratore stesso dichiara di aver già rimborsato o si impegna a rimborsare per conto del venditore. Questa notevole proporzione riguarda però verosimilmente solo una parte delle situazioni in cui l’indebitamento è la causa di una vendita: quelli cioè in cui tale causa viene esplicitamente menzionata nell’atto, anche se non sempre vi sono informazioni più 52 Archivio della Tavola Valdese, Serie IV, Corrispondenza. Lettere ricevute dalla Tavola valdese, vol. 1 (1702-1810), carta 5, Note Envoiée à Messieurs les Commissaires du Synode Wallon, Daniel-Isaac Appia al Comitato Vallone, 16 agosto 1768. 71 dettagliate sull’esatta natura del credito, sulle modalità e sui tempi secondo i quali è stato erogato. Ma il debito si cela probabilmente dietro un numero molto maggiore di vendite, che pure non ne fanno menzione. Un indizio in questo senso è fornito dalla dichiarazione contenuta nell’atto di vendita che il prezzo in essa stabilito non viene realmente sborsato in denaro contante o in altra forma contestualmente alla stipulazione dell’atto stesso, ma che è già stato riscosso dal venditore, in un momento precedente e indefinito. Nel nostro campione, questa caratteristica modalità di pagamento riguarda il 56% del numero e il 38,6% del valore delle vendite. Dove essa compare, esiste una forte presunzione che la vendita sia in realtà destinata a risarcire un debito verso il compratore o verso terzi, esattamente come quando è segnalato in forma esplicita. È infatti “il modo di pagamento, che permette di selezionare le vendite in qualche modo volontarie (in cui si paga al momento della cessione) da quelle obbligate (che seguono un debito precedente). La relazione temporale fra denaro versato e passaggio di proprietà della terra è il segno di un indebitamento precedente, in cui la vendita è solo un atto finale obbligato quando il debito cresce troppo”.53 Se allora sommiamo questi casi ‘indiziari’ ai casi palesi di vendita per indebitamento, otteniamo un dato impressionante, pari al 71% del numero e al 62,6% del valore totale delle vendite. PAG. IMMED. PAG. PRECED. PAG. FUTURO CREDITO ACQUIR. CREDITO TERZI TOTALE 1731-1735 1736-1740 1741-1745 percentuali num. £ 15,85 16,69 18,28 24,05 27,07 14,37 percentuali num. £ 62,80 46,40 52,69 33,36 51,13 35,14 percentuali num. £ 4,27 9,95 3,23 13,68 1,50 11,92 percentuali num. £ 14,63 21,44 15,05 19,62 15,04 34,68 percentuali num. £ 2,44 5,52 10,75 9,29 5,26 3,89 valori assoluti num. £ 164 6483 93 5929 133 7968 1731-1745 20,26 17,92 56,41 38,20 3,08 11,81 14,87 26,08 5,38 5,98 390 20380 1746-1750 1751-1755 1756-1760 26,80 24,14 19,59 39,04 22,51 27,08 66,01 56,55 60,82 48,72 51,22 46,55 1,31 5,52 2,06 1,25 3,77 5,48 5,88 8,97 9,28 10,99 15,62 11,51 0,00 4,83 8,25 0,00 6,89 9,37 153 145 97 8416 7038 3467 1746-1760 24,05 30,70 61,27 49,25 3,04 2,96 7,85 12,81 3,80 4,28 395 18921 1761-1765 1766-1770 1771-1775 20,49 17,25 15,19 13,69 13,51 17,21 48,29 54,51 54,97 33,07 33,55 35,14 14,63 16,86 15,75 28,45 34,30 21,47 13,17 7,06 8,29 21,62 12,70 15,74 3,41 4,31 5,80 3,18 5,94 10,43 205 255 362 10200 15054 19400 1761-1775 17,15 15,16 53,16 34,13 15,82 27,39 9,12 16,06 4,74 7,26 822 44654 1731-1775 19,60 19,33 55,94 38,53 9,58 18,10 10,21 17,76 4,67 6,28 1607 83955 anni Tab. 3. Compravendite fra residenti di Faetto e fra questi e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità adottata (totali quinquennali e quindecennali). Il criterio della dichiarazione di pagamento avvenuto prima della vendita ha consentito di studiare l’incidenza del debito sulla mobilità della terra in due comunità rurali piemontesi. Giovanni Levi lo ha applicato al mercato della terra a Santena fra il 1670 e il 1702 e Carla Sclarandis a quello di Bricherasio fra il 1761 e il 1775.54 Abbiamo così un termine di paragone che ci permette di valutare appieno le dimensioni imponenti del fenomeno a Faetto. A Santena, l’ammontare medio (calcolato su base triennale) ricollegabile all’estinzione di debiti del venditore corrisponde al 43,6% del valore totale 53 54 Levi, 1985c, p. 154. La stessa correlazione è rilevata da Allegra, 1987, p. 50. Levi, 1985c, p. 154; Sclarandis, 1987, tab. 3, p. 474. 72 delle transazioni; a Bricherasio, una comunità della pianura pinerolese prossima alle Valli valdesi, al 29,1% del valore totale per il periodo considerato. Questi livelli giustificano una lettura del locale mercato fondiario come istituzione di cui gli abitanti dei due villaggi si servono essenzialmente “per ottenere delle prestazioni in denaro in caso di necessità”.55 Tuttavia, come si vede, entrambi risultano molto inferiori alle dimensioni del fen0meno che è possibile cogliere attraverso i nostri dati. In contesti di indebitamento tanto diffuso, ci troviamo di fronte a una realtà certo molto lontana da quella di uno spazio di contrattazione uniforme in cui le ragioni di scambio vengono definite dall’incontro di una domanda e di un’offerta tendenzialmente impersonali – pur entro i limiti strutturali che comunque distinguono il mercato fondiario da quello dei valori mobiliari.56 Dobbiamo piuttosto immaginare la compresenza di circuiti di scambio differenziati, in cui le equivalenze che regolano le transazioni riflettono, più che un punto di equilibrio tra domanda e offerta, il corrispettivo di beni e prestazioni di qualità eterogenea forniti nel corso di interazioni spesso prolungate e sono perciò condizionati da vischiosi elementi interpersonali. Poiché, inoltre, l’offerta riveste strutturalmente un carattere forzato, le vendite sono idealmente concepite come alienazioni temporanee. In proposito, le nostre fonti suggeriscono una presenza implicita ma generalizzata di diritti di reversione a favore del venditore ritenuti nella memoria collettiva. Non si tratta cioè tanto della previsione esplicita di una clausola di riscatto (relativamente infrequente), quanto dell’esistenza di un sistema informale di vincoli e di obbligazioni concernenti l’alienazione della terra, che trova effettivamente riscontro nei comportamenti dei partecipanti al mercato. Tra gli atti notarili è possibile infatti rintracciare catene di transazioni che attestano una diffusa volontà di tornare in possesso dei beni venduti. Il ricupero può concretizzarsi non solo per iniziativa del venditore stesso, ma anche di discendenti o comunque parenti dei detentori originali, talvolta a distanza di molti anni dall’alienazione. La presenza di norme comunitarie che impongono al creditore-acquirente l’“impegno a favorire il rientro dei beni immobili temporaneamente alienati nelle case da cui sono usciti” appare un fenomeno diffuso nelle economie di antico regime, così come la frequente tortuosità e lunghezza dei percorsi seguiti dal recupero di tali beni – un effetto dell’attivazione, in diversi momenti, da parte del venditore o di suoi congiunti, di molteplici relazioni ‘orizzontali’ e ‘verticali’. Questi meccanismi difensivi, perfettamente compatibili con una vivace circolazione della terra, innescata appunto da una vitale esigenza di accesso al credito per l’economia di larga parte delle unità domestiche,57 nella nostra realtà non risultano inibiti neppure dalla divisione confessionale. Vediamone alcuni esempi. 55 Sclarandis, 1987, p. 477. Anche in un’economia pienamente mercantilizzata, per molti aspetti, “il mercato fondiario sembra agli antipodi del mercato dei valori mobiliari: non è anonimo, non è trasparente, è relativamente rigido, è ampiamente atomizzato, mette necessariamente di fronte degli operatori che si conoscono o devono trovare il modo di conoscersi e non autorizza la produzione d’indici istantanei del corso della terra. Evolve lentamente ed è composto da una massa di transazioni tutte apparentemente irriducibili le une alle altre, non fosse che perché queste riguardano oggetti mai perfettamente identici” (Béaur, 1987, citazioni a p. 523). 57 Cfr., ad esempio, Ramella, 1984, pp. 204-222. Nelle società locali del Regno di Napoli della prima età moderna descritte da Gérard Delille, consuetudini di questo genere si ispirano alla stessa regola fondamentale di reciprocità che definisce e struttura le aree di scambio matrimoniale (cfr. Delille, 1988, p. 117). 56 73 Nel 1772, Giacomo Ferrero (Ferrier) fu Giovanni (valdese)58 riacquista da Giovanni Battista Ribetto di Perrero (cattolico) due broassi e tre campi cedutigli nel 1758 dal padre, in estinzione di un debito risalente a sette anni prima e in pagamento di una certa quantità di grano. Il figlio s’impegna a pagare il prezzo (83 lire, 12 soldi e 6 denari) stabilito a quel tempo. In cambio della stessa cifra, in occasione della prima vendita, era stato concesso al venditore di esercitare un diritto di riscatto entro il termine di quattro anni; nel frattempo si consentiva allo stesso venditore di godere l’usufrutto degli appezzamenti ceduti, mediante un interesse annuo pari al 5% del prezzo di vendita e il pagamento dei carichi fiscali gravanti su quegli appezzamenti.59 Nel 1775, Stefano Guglielmetto (Guillelmet), valdese, ottiene, promettendo di pagare 32 lire, da Giacomo Bertalmio (cattolico) un campo che questi aveva acquistato l’anno precedente dal fratello di Stefano, Giovanni, per 25 lire, che l’acquirente si era impegnato a corrispondere alla signora Maria Rabbi di Perrero (molto probabilmente cattolica), vedova di un notaio, a saldo d’un antico debito paterno del venditore.60 Casi come questi, in cui una persona rientra in possesso delle terre alienate dal padre o da un fratello, sono i più ricorrenti, ma le stesse logiche sembrano valere anche al di là della consanguineità più stretta, ad esempio, nell’ambito più lasco del cognome. Così, nel 1748, Stefano Poetto (cattolico) recupera i beni venduti in due occasioni, nel 1733 e nel 1734, a Giovanni Griglio (Gril) di Prali (valdese) dal cugino di secondo grado Giacomo Poetto (cattolico).61 In un contesto di scelta uxorilocale, può anche entrare in gioco l’area dell’affinità: nel novembre del 1767, Matteo Poetto (cattolico), marito di una donna che, in mancanza di fratelli, ha raccolto l’eredità paterna, riacquista dal signor Giovanni Battista Camosso, oste e commerciante cattolico di Perrero, un prato vendutogli pochi mesi prima per 100 lire da Giacomo Freyria (cattolico), suocero del Poetto, offrendo a sua volta in pagamento 135 lire pervenutegli dal padre a titolo di emancipazione.62 È evidente in questi casi sia l’elasticità con cui possono venire gestiti i termini eventualmente fissati per il riscatto sia l’ampiezza delle variazioni che può subire l’entità 58 Le fonti che hanno permesso, qui e altrove, l’individuazione delle appartenenze confessionali sono i registri della parrocchia di Trossieri e il registro della chiesa di Villasecca, sui quali è stata condotta la ricostruzione delle famiglie. Dei non residenti in queste circoscrizioni ecclesiastiche non è quindi di norma possibile arrivare a conoscere la religione, a meno che non li si ritrovi nei registri quali padrini di battesimo o testimoni in occasione di nozze e funerali. Incontrando per la prima volta un cognome valdese, accanto alla forma italianizzata che compare sul notarile, indicherò tra parentesi la corrispondente versione francesizzata eventualmente attestata nel registro della chiesa di Villasecca. Lo matrice dei cognomi (lo stock è comune ai valdesi e ai cattolici) è linguisticamente provenzale. Sui cognomi nelle Valli valdesi cfr. Rivoira, 2011; Coisson, 1975. 59 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 253, c. 201, Compra a favor di Giacomo Ferrero fu Gioanni fatta da Gio. Francesco Ribetto fu Gioanni del Perrero, 7 marzo 1772; ibid., vol. 215, cc. 158v-160, Vendita Gioanni Ferrero a Gio. Francesco Ribetto, 4 settembre 1758. 60 Ibid., vol. 268, cc. 179v-180r, Compra per Stefano Guglielmetto da Giacomo Bertalmio, 28 gennaio 1775. 61 Ibid., vol. 184, c. 632, Cessione Gioanni Griglio a favor di Steffano Poetto, 26 marzo 1748; ibid., vol. 157, cc. 622v-623r, Compra per Gioanni Griglio da Giacomo Poetto, 26 ottobre 1733; ibid., vol. 160, c. 563, Compra per Gioanni Griglio da Giacomo Poetto, 25 settembre 1734. 62 Ibid., vol. 236, cc. 66-67, Vendita signor Gio. Batta. Camosso a favor di Matteo Poetto, 11 novembre 1767; ibid., vol. 235, cc. 734-735r, Cessione Giacomo Freyria a favor del signor Gio. Batta. Camosso, 2 novembre 1767. 74 relativa del prezzo del riacquisto, denotando una latitudine di pratiche che rimanda alla storia specifica delle singole transazioni e alle relazioni interpersonali in cui sono immerse. Così come resta virtualmente aperta una via per il reingresso dei beni alienati nell’ambito della parentela del venditore, l’uscita definitiva non si compie necessariamente con un solo atto di vendita, ma può richiedere la conferma di uno o più atti successivi di ratifica da parte del venditore o di sui successori. Esattamente come nel caso degli atti di rinuncia a clausole di riscatto esplicitamente previste nel contratto di vendita, anche le ratifiche di transazioni non contemplanti patto di retrovendita si concludono con un’integrazione del primitivo prezzo di vendita, secondo proporzioni variabili e spesso assai consistenti. La motivazione solitamente addotta in questi casi è il desiderio del compratore di evitare contestazioni che potrebbero dar luogo a lunghe e costose iniziative giudiziarie.63 Anche le ratifiche possono intervenire dopo lungo tempo dalla vendita. Nel 1744, ad esempio, messer Giovanni Poetto (cattolico) e il fratello Antonio (valdese) ratificano in favore di Antonio Pons di Rodoretto, nella sua qualità di tutore dei figli del defunto Giovanni Pons, la vendita di tutte le loro proprietà situate nel territorio di Prali, conclusa con il padre dei pupilli nel 1727 per 266 lire, ottenendo un’integrazione di 125 lire.64 Nel 1765, Giacomo Poetto (cattolico) ratifica, in cambio di 7 lire, a favore di Antonio Giorgio (cattolico) la vendita di un prato e di un broasso ceduti per 18 lire nel 1740 dal suo defunto fratello Antonio (cattolico).65 Nel 1767, messer Tommaso Ferrero fu messer Giovanni (valdese) conferma a beneficio dei fratelli Micol del fu Filippo di Massello, ricevendone 15 lire, la vendita di una vigna alienata da suo padre al padre dei Micol per 100 lire, addirittura quarant’anni prima.66 Il divario fra il prezzo pattuito al momento della prima vendita e quello riconosciuto in occasione di un susseguente riacquisto o di una ratifica si spiega con un’originaria sottostima dei beni venduti, anche in assenza di formali garanzie di riscatto. Tale sottostima costituisce verosimilmente il corrispettivo del riconoscimento di diritti di reversione impliciti o, forse più precisamente, sconta l’incertezza e la processualità del perfezionamento di un trasferimento di possesso a cui il venditore acconsente perlopiù costretto dalla propria condizione di debitore insolvente.67 Talvolta accade anche che gli stessi beni vengano ceduti contemporaneamente a due acquirenti. Nell’aprile del 1725, i fratelli Tommaso e Michele Mancione del fu Giovanni (cattolici) “danno in paga” al maggiore Giovanni Malanotto (Malanot) alcuni beni (una 63 Una formula che ricorre negli atti di questo tipo è la seguente: “et come che sul pretesto resti detta pezza et eziandio fosse al tempo di detta vendita di molto maggior valore del convenuto e pagato, sia il suddetto [venditore] novamente insorto per impugnare detta vendita, il che sendo venuto in notizia [del compratore], abbi per evitar ogni sorte di litte, a mediazione di comuni amici, convenuto di offrire un suplemento”. Ibid., vol. 191, cc. 620v-621, Rattificanza Gio. Andrea Ferrero a favor de frattelli Refforni, 6 febbraio 1749. 64 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 181, cc. 632-633, Rattificanza fatta dalli Gioanni et Antonio Poetto a favor delli eredi del fu Gioanni Pons, 10 giugno 1744. 65 Ibid., vol. 228, cc. 170-171, Rattificanza Giacomo Poetto a favor di Antonio Giorgio, 6 giugno 1765; ibid., vol. 172, c. 142, Compra per Antonio Giors da Antonio Poetto, 5 luglio 1740. 66 Ibid., vol. 235, c. 769, Rattificanza messer Tommaso Ferrero a favor de fratelli Micol, 12 ottobre 1767. 67 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 147, cc. 400-402, Inventaro tutelare de beni di Giacomo Brunetto figliolo legittimo naturalle et herede universale d’altro fu Giacomo suo padre delle fini di Faetto, 28 febbraio 1730. 75 “casa con piccolo orto attiguo con due piccole piante di pomi”, un prato e una “benea” con un noce, 30 tavole in tutto) in estinzione di un debito, è scritto. Immediatamente, tuttavia, o dopo breve tempo, i due fratelli rivendono (hanno “nuovamente fatto distratto”) gli stessi beni ai fratelli Francesco e Antonio Macello (Macel o Massel) del fu Tommaso (valdesi). Tutto ciò nel quadro di una più ampia cessione “in paga” al Malanot di fondi per 120 lire, anche questi successivamente rivenduti dagli eredi dei cedenti a messer Giacomo Vilielmo.68 L’indebitamento stesso che costringe infine a una cessione di terra, quando è possibile ricostruirne l’origine, appare non di rado di vecchia data, ereditario e risultante da una successione di prestiti non rimborsati, da un credito cioè riconfermato per anni. La tenuta dei rapporti di credito è evidente intanto nelle 25 obbligazioni elencate nei cinque inventari post mortem che abbiamo potuto rintracciare. Nel 1730, ad esempio, l’eredità di Giacomo Brunetto (cattolico) comprende tre crediti di 35, 42 e 17 lire risalenti al 1709 e uno di 7 lire risalente al 1698.69 Nel 1762 gli eredi di Giovanni Freyria fu Giacomo (cattolico) risultano titolari di un credito di 20 lire più gli interessi maturati verso Stefano Poetto fu Giovanni (cattolico), che data dal 1729.70 Quasi cinquant’anni ha nel 1766 il grosso credito di 418 lire posseduto dai figli ed eredi del capitano Matteo Poetto (Poët o Pouet), valdese, insieme a uno zio paterno nei confronti di Stefano Richiardone di Prali (comunità a forte maggioranza valdese) e contenuto in una scrittura datata 1717.71 Un dato significativo è l’estrema rarità dei pignoramenti e delle vendite giudiziarie: appena quattro in quarantacinque anni. In media, i debiti e i crediti registrati negli inventari sono vecchi di 16 anni e mezzo. Prendendo invece come base i 155 debiti datati complessivamente menzionati negli atti di vendita, si può calcolare che dal momento in cui un debito è contratto alla vendita effettuata per estinguerlo trascorrono in media circa 11 anni. Per esempio, Giovanni Barusso (Barus), valdese, contrae due debiti, nel 1740 e nel 1742, con il signor Giovanni Berto (Bert) di Riclaretto (valdese), per un importo complessivo di 128 lire. Il figlio Isaia (valdese) ottiene a sua volta altri prestiti, nel 1749 e nel 1752, dallo stesso Giovanni Berto e dal figlio di questi, signor Davide (valdese), per un totale di 282 lire. Soltanto nel 1762, Isaia Barusso deve alienare a favore di Davide Berto numerosi suoi beni – campi, incolti, un prato, una vigna e alcuni edifici – a saldo dei propri debiti e di quelli ereditati dal padre.72 Tempi lunghi di restituzione riguardano talvolta cifre assai più modeste: nel 1768 Giacomo Salengo (cattolico) vende un campo a Margherita Menusana (Menusan) vedova Poetto (valdese) per risarcirla di due somme di 40 e di 20 lire, prestategli rispettivamente 68 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 221, cc. 71-72, Cessione fratelli Macelli al signor capitano Gio. Berto del fu Tommaso, 14 giugno 1762; Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 221, cc., Cessione signor capitano Gio. Berto fu Tommaso a Giacomo Gulielmo fu Francesco, 14 giugno 1762. 69 Ibid., vol. 147, cc. 400-402, Inventaro tutelare de beni di Giacomo Brunetto figliolo legittimo naturalle et herede universale d’altro fu Giacomo suo padre delle fini di Faetto, 28 febbraio 1730. 70 Ibid., vol. 220, cc. 547-549, Inventaro eredità fu Gioanni Freyria, 26 aprile 1762. 71 Ibid., vol. 230, cc. 15-18, Inventaro tutelare de beni et heredità de figlioli fu capitano Matteo Poetto, 10 gennaio 1766. 72 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 220, cc. 608-609, Dazion in pagha per David Berto da Isaia Barusso, 25 maggio 1762. 76 nel 1741 e nel 1752.73 Può inoltre accadere che l’estinzione di un debito sia dilazionata nello spazio di parecchi decenni. Michele Antonio San Martino di Perrero (cattolico), ad esempio, riceve nel 1714 da Giacomo Poetto 250 lire, impegnandosi a restituirle entro dieci anni. Nel 1738, ben oltre il limite previsto per l’intero rimborso, versa 100 lire ai fratelli Poetto (valdesi), figli ed eredi del suo creditore, nel frattempo defunto. Il restante debito sarà saldato solo nel 1765, mediante la cessione di una broa da parte dei nipoti San Martino (cattolici), morto Michele Antonio e i suoi due figli (cattolici).74 Come si vede, il percorso delle risorse che origina dal credito, coinvolgendo spesso più generazioni, si trova intimamente connesso alla strutturazione del campo delle parentele e, nello stesso tempo, del confine tra i due gruppi religiosi. 73 Ibid., vol. 237, cc. 62-63, Dazion in paga Giacomo Salengo a favor di Margarita Menusana, 25 febbraio 1768. 74 Ibid., vol. 228, cc. 136-138, Dazion in paga nipoti San Martino a favor di Matteo e Gioanni fratelli Poetti, 4 maggio 1765. 77 IV. PARENTI E CORRELIGIONARI: SCAMBIO ECONOMICO E DISTANZA SOCIALE Le modalità di esborso dei prezzi di vendita indicate nei contratti ci hanno consentito di individuare nella necessità di ripagare un debito o nella ricerca di credito la causa più frequente dell’alienazione della titolarità della terra. Inoltre, è emerso un modello prevalente di transazione in cui il credito o altre forme di sostegno sono relativamente accessibili ed esiste una notevole elasticità nei termini in cui devono venire ripagati. Si tratta ora di mostrare come questo modello disegni uno spazio sociale in cui l’appartenenza confessionale contribuisce a determinare il significato delle transazioni. A questo fine, è necessario chiarire il modo la condivisione o meno di questa caratteristica interagisce con altre dimensioni dei rapporti fra le persone. Proviamo perciò a introdurre, a questo punto nell’analisi, le categorie di distanza sociale fra i partecipanti alle transazioni che abbiamo presentato all’inizio del precedente capitolo. I criteri di definizione della parentela e dell’estraneità qui adottati seguono quelli proposti da Giovanni Levi ne L’eredità immateriale. Si sono perciò considerati parenti sia coloro che sulla base della ricostruzione genealogica dei gruppi familiari effettuata – che raramente ha potuto coprire più di tre generazioni – mostrano di avere almeno un antenato comune sia gli affini.1 Per quanto riguarda gli estranei, occorre dire che sul mercato di Faetto non sono così distanti tra loro per rango o provenienza geografica come nella Santena studiata da Levi.2 Come anticipato, ho inoltre aggiunto la distinzione fra residenti (nella comunità di Faetto) e forestieri (i non residenti a Faetto), necessaria perché dei forestieri, come detto, non sono sistematicamente ricostruibili l’appartenenza confessionale e i reticoli di parentela. Nel nostro caso purtroppo, gli atti di vendita e “dazione in paga” non indicano quasi mai l’estensione degli appezzamenti, ceduti “a corpo e non a misura”. Non possiamo perciò calcolare i prezzi unitari delle terre ed esplorarne l’eventuale correlazione con le modalità delle transazioni né con il tipo di relazione sociale esistente fra i contraenti.3 Sarà tuttavia possibile confrontare aspetti come le dimensioni e la direzione netta dei trasferimenti o il significato prevalente degli scambi (attraverso la distribuzione delle modalità di pagamento attestate) nelle varie situazioni identificabili in base all’appartenenza confessionale dei partecipanti, intrecciandola con altre dimensioni della loro posizione rispettiva, quali la residenza e soprattutto l’esistenza o meno di un legame di parentela. 1 Un ulteriore problema sorge dal fatto che “la profondità cronologica con cui le parentele erano vissute come vincolanti e significative per attivare obblighi di reciprocità generalizzata è difficile da valutare e, probabilmente, era anche legata a elementi di scelta soggettiva variabile da ceppo a ceppo” (Levi, 1985c, pp. 106-108). 2 Ibid., p. 108. 3 Ibid.; Delille, 1988, pp. 142-143; Béaur, 1987, pp. 529-545; Sclarandis, 1987, pp. 483-492, sulla via aperta dal lavoro di Levi e seguita da altri studiosi con esiti diversi, ma tutti in ultima analisi riconducibili a modelli di spiegazione chiamanti in causa una qualche forma di distanza sociale fra i contraenti come fattore decisivo, o comunque altamente rilevante, nel meccanismo di formazione dei prezzi 78 Ambiti di circolazione delle tipologie produttive Le varie destinazioni produttive non solo, come si è visto, entrano nel mercato della terra con frequenza diseguale (rapportata alla loro presenza sul territorio), ma, in dipendenza della relazione esistente fra i contraenti, rivelano altresì una diversa intensità di circolazione. Consideriamo la tabella 1: le principali differenze riguardano qui la distribuzione dei campi, degli edifici, delle muande e delle destinazioni non specificate. PARENTI alpi boschi campi castagneti edifici incolti muande orti prati vigne non specificata totale num. 5 38 76 9 94 40 14 11 96 40 27 450 perc. 1,11 8,44 16,89 2,00 20,89 8,89 3,11 2,44 21,33 8,89 6,00 100,00 ESTRANEI num. 41 78 205 10 130 81 1 8 213 43 14 824 perc. 4,98 9,47 24,88 1,21 15,78 9,83 0,12 0,97 25,85 5,22 1,70 100,00 REL NON ID. num. 0 2 6 0 4 2 1 4 7 1 0 27 perc. 0,00 7,41 22,22 0,00 14,81 7,41 3,70 14,81 25,93 3,70 0,00 100,00 Tab. 1. Destinazione produttiva degli appezzamenti venduti secondo la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti (1731-1775). Gli edifici, le muande e le destinazioni non specificate registrano la loro massima incidenza relativa nelle transazioni che intervengono fra parenti. Per quel che concerne le muande, la parentela rappresenta anzi, in termini assoluti, un ambito di circolazione quasi esclusivo. In tal modo, esse manifestano una tendenza opposta a quella mostrata, sebbene in misura cosiderevolmente meno accentuata, dall’alpe, la quale circola invece molto più fra individui non legati da parentela, dove rappresenta circa il 5% delle quote o degli appezzamenti venduti, contro l’1% registrato nelle transazioni fra parenti. Sotto la voce “destinazioni non specificate”, infine, abbiamo raccolto espressioni che negli atti notarili in gran parte designano in maniera indifferenziata tutti i beni posseduti dal venditore in una determinata regione. Simili indicazioni compaiono spesso in transazioni che riflettono arrangiamenti seguiti a successioni e divisioni fra coeredi, traducendo così in termini di compravendita una dinamica che si origina nei processi di devoluzione della proprietà. Si può dunque cogliere una mobilità preferenziale all’interno della parentela degli edifici e di complessi di beni che, almeno nel caso delle muande, costituiscono strutture dotate di una loro coerenza e di una certa autonomia dal punto di vista insediativo; gli stessi edifici peraltro figurano non di rado nelle compravendite associati ad altre destinazioni. 79 compravendite fra RESIDENTI alpi boschi campi castagneti edifici incolti muande orti prati vigne non specificata totale num. 46 118 287 19 228 123 16 23 316 84 41 1301 perc. 3,54 9,07 22,06 1,46 17,52 9,45 1,23 1,77 24,29 6,46 3,15 100,00 RESIDENTI E FORESTIERI num. 50 72 181 17 129 88 4 9 169 109 10 838 perc. 5,97 8,59 21,60 2,03 15,39 10,50 0,48 1,07 20,17 13,01 1,19 100,00 Tab. 2. Destinazione produttiva degli appezzamenti venduti fra residenti di Faetto e fra questi e forestieri (1731-1775). Per quanto riguarda invece la residenza rispettiva dei contraenti, si nota una maggiore presenza, in numeri sia assoluti sia relativi, dell’alpe e delle vigne negli scambi dei residenti con i forestieri; dei campi, degli edifici e dei prati, nelle transazioni che avvengono all’interno della comunità (cfr. tab. 2). compravendite fra CATTOLICI alpi boschi campi castagneti edifici incolti muande orti prati vigne non specificata totale num. 9 37 91 7 77 40 7 8 90 30 14 410 perc. 2,20 9,02 22,20 1,71 18,78 9,76 1,71 1,95 21,95 7,32 3,41 100,00 vendite di VALDESI num. 11 40 78 7 59 37 7 7 74 29 14 363 perc. 3,03 11,02 21,49 1,93 16,25 10,19 1,93 1,93 20,39 7,99 3,86 100,00 CATTOLICI A VALDESI VALDESI A CATTOLICI num. 16 19 53 2 38 21 1 4 71 10 5 240 num. 5 11 30 3 38 12 1 4 46 7 6 163 perc. 6,67 7,92 22,08 0,83 15,83 8,75 0,42 1,67 29,58 4,17 2,08 100,00 perc. 3,07 6,75 18,40 1,84 23,31 7,36 0,61 2,45 28,22 4,29 3,68 100,00 compravendite con CONTR. DI CONF. NON ID. num. 5 11 35 0 16 13 0 0 35 8 2 125 perc. 4,00 8,80 28,00 0,00 12,80 10,40 0,00 0,00 28,00 6,40 1,60 100,00 Tab. 3. Destinazione produttiva degli appezzamenti venduti secondo la confessione religiosa dei contraenti (1731-1775). Prendiamo infine in considerazione l’appartenenza confessionale dei contraenti (cfr. tab. 3). Le muande, le quali, come si è visto, circolano quasi esclusivamente fra parenti, ricorrono assai più spesso nelle transazioni che si svolgono all’interno di ciascuna delle due categorie confessionali, dove i reticoli della parentela sono più densi. Accanto alle muande, anche le vigne si vendono in maniera nettamente preferenziale fra individui di identica confessione, mentre i prati e soprattutto le alpi hanno maggior rilievo percentuale nelle 80 compravendite interconfessionali. All’interno di questo settore del mercato, l’alpe, i campi e i prati sono più frequenti nelle vendite di cattolici a valdesi, gli edifici in quelle di valdesi a cattolici. Si tratta di caratteristiche che si ripresentano senza sostanziali variazioni incrociando l’appartenenza confessionale con i criteri di parentela ed estraneità. La differenza più gravida di implicazioni è forse proprio quella riguardante la composizione dei beni venduti fra individui di differente confessione religiosa. Il bilancio risulta infatti nettamente negativo per i cattolici per tutte le voci principali e in modo particolarmente pesante quando si tratta delle quote di alpe; tra gli oggetti che compaiono più di frequente nelle transazioni è in pareggio solo nel caso degli edifici. Con una sorta di complementarità rispetto alle transazioni ‘interconfessionali’, le quote d’alpe circolano invece di più fra i valdesi e gli edifici fra i cattolici. In tal modo, i valdesi pervengono così a conseguire o a consolidare il loro controllo anzitutto su una risorsa in grado di generare introiti importanti, da un lato, attraverso l’affitto a pastori forestieri, dall’altro, attraverso la commercializzazione, relativamente più agevole che nel caso di altre produzioni locali, dei prodotti dell’allevamento. I cattolici, per contro, sembrano avviati alla marginalizzione in un insediamento precario, segnalato dalla loro prevalente tendenza ad acquistare e scambiarsi edifici, soprattutto quando si tratta di costruzioni di infimo valore e non associate a orti o a poderi. Acquirenti e venditori: catene di transazioni Il mercato della terra può essere analizzato secondo due punti di vista principali: con riguardo al volume delle transazioni che vi si svolgono, oppure prendendo in considerazione il numero e il comportamento dei soggetti che vi partecipano, in termini cioè di acquisti e/o vendite effettuati da ciascuno di essi.4 Nel periodo 1731-1775 si registrano, come si è detto, 1523 atti di compravendita, per 54 dei quali non è stato possibile, a causa delle diffuse omonimie, stabilire l’identità dei contraenti: restano perciò 1469 compravendite intervenute fra 517 individui, il che significa una media di circa 6 atti per partecipante al mercato della terra. Al di là di questo valore medio, la distribuzione del numero degli acquirenti e dei venditori (ogni contraente contato separatamente come compratore e come venditore – ovviamente qualora sia attivo in entrambi i ruoli) secondo il numero di acquisti e di vendite rispettivamente effettuati rivela però una notevole concentrazione della domanda e dell’offerta (cfr. tab. 4). 4 Campbell, 1984, p. 108. 81 Acquirenti > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. contraenti (numero) ass. perc. perc. cum. 10 2,66 2,66 36 9,57 12,23 42 11,17 23,40 57 15,16 38,56 56 14,89 53,46 175 46,54 100,00 376 100,00 transazioni (numero) ass. perc. perc. cum. 226 15,38 15,38 434 29,54 44,93 305 20,76 65,69 217 14,77 80,46 112 7,62 88,09 175 11,91 100,00 1469 100,00 transazioni (valore in £) ass. perc. perc. cum. 16922 21,80 21,80 19794 25,50 47,30 15292 19,70 67,00 9548 12,30 79,30 7452 9,60 88,90 8616 11,10 100,00 77624 100,00 venditori > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. 9 43 33 73 50 118 326 211 535 265 240 100 118 1469 13274 28566 12963 12808 4347 5666 77624 atti per contraente 2,76 13,19 10,12 22,39 15,34 36,20 100,00 2,76 15,95 26,07 48,47 63,80 100,00 14,36 36,42 18,04 16,34 6,81 8,03 100,00 14,36 50,78 68,82 85,16 91,97 100,00 17,10 36,80 16,70 16,50 5,60 7,30 100,00 17,10 53,90 70,60 87,10 92,70 100,00 Tab. 4. Concentrazione del mercato: insieme delle compravendite (1731-1775). Il 53,5% degli individui compie infatti più di un acquisto: insieme costoro realizzano l’88,1% del numero e l’88,9% del valore complessivi degli acquisti. Il 23,4% si impegna in oltre cinque acquisti, totalizzando il 65,7% del loro numero e il 67% del loro valore complessivi. Per quanto riguarda le vendite, il 63,8% dei partecipanti al mercato ne effettua almeno due, realizzando il 92% del loro numero e il 92,7% del loro valore totali. Il 26,1% ne compie più di cinque, ciò che corrisponde al 68,8% della loro quantità e il 70,6% del loro valore totali. Il grosso – in numero e in valore – delle transazioni è cioè da attribuire a coloro che partecipano più frequentemente al mercato della terra, ossia intorno al 20% dei contraenti, sia nel caso degli acquisti sia in quello delle vendite. 82 NUMERO ACQUISTI NUMERO VENDITE 0 % riga % colonna % totale 1 % riga % colonna % totale 2 % riga % colonna % totale 3-5 % riga % colonna % totale 6-10 % riga % colonna % totale 11-20 % riga % colonna % totale > 20 % riga % colonna % totale tot. colonna % riga % colonna 0 1 2 0 0,00 0,00 0,00 123 70,29 64,40 23,79 28 50,00 14,66 5,42 19 33,33 9,95 3,68 13 30,95 6,81 2,51 8 22,22 4,19 1,55 0 0,00 0,00 0,00 191 36,94 100,00 42 29,79 35,59 8,12 17 9,71 14,41 3,29 6 10,71 5,08 1,16 21 36,84 17,80 4,06 16 38,10 13,56 3,09 11 30,56 9,32 2,13 5 50,00 4,24 0,97 118 22,82 100,00 29 20,57 58,00 5,61 5 2,86 10,00 0,97 3 5,36 6,00 0,58 2 3,51 4,00 0,39 3 7,14 6,00 0,58 6 16,67 12,00 1,16 2 20,00 4,00 0,39 50 9,67 100,00 3-5 39 27,66 53,42 7,54 11 6,29 15,07 2,13 4 7,14 5,48 0,77 3 5,26 4,11 0,58 5 11,90 6,85 0,97 9 25,00 12,33 1,74 2 20,00 2,74 0,39 73 14,12 100,00 6-10 18 12,77 54,55 3,48 6 3,43 18,18 1,16 3 5,36 9,09 0,58 2 3,51 6,06 0,39 1 2,38 3,03 0,19 2 5,56 6,06 0,39 1 10,00 3,03 0,19 33 6,38 100,00 11-20 12 8,51 27,91 2,32 11 6,29 25,58 2,13 10 17,86 23,26 1,93 7 12,28 16,28 1,35 3 7,14 6,98 0,58 0 0,00 0,00 0,00 0 0,00 0,00 0,00 43 8,32 100,00 > 20 1 0,71 11,11 0,19 2 1,14 22,22 0,39 2 3,57 22,22 0,39 3 5,26 33,33 0,58 1 2,38 11,11 0,19 0 0,00 0,00 0,00 0 0,00 0,00 0,00 9 1,74 100,00 tot. riga 141 100,00 27,27 175 100,00 33,85 56 100,00 10,83 57 100,00 11,03 42 100,00 8,12 36 100,00 6,96 10 100,00 1,93 517 100,00 Tab. 5. Acquirenti e venditori secondo il numero di contratti stipulati (1731-1775). Ancora più significativo è il tendenziale disequilibrio fra il numero di acquisti e di vendite effettuati da ogni singolo contraente (cfr. tab. 5). Non solo una quota consistente delle transazioni è il risultato non di partecipazioni occasionali al mercato ma di interventi ripetuti da parte degli stessi individui. L’attività di questi individui appare inoltre prevalentemente orientata in una sola direzione: verso la dismissione o verso l’incremento della proprietà terriera. È quanto rivela la tabella 21, nella quale ciascuno dei partecipanti al mercato figura una sola volta, nella sua duplice attività di acquirente e di venditore. Qui risulta infatti che circa il 39% dei contraenti effettua più di un acquisto e il 17% più di cinque; circa il 40% vende più di una volta e il 16,4% più di cinque volte. Sottolineiamo inoltre altri due dati credo efficacemente riassuntivi: il 53,8% dei partecipanti al mercato compie almeno tre interventi (acquisti e/o vendite); il 32,5%, certamente almeno sei interventi (acquisti e/o vendite). Questi dati rivelano insomma che il locale mercato della terra è molto spesso frequentato da partecipanti che in media si ritrovano su di esso diverse volte nella stessa posizione: in quanto acquirenti cioè o come venditori. Forse anche più significativa è una caratteristica 83 della distribuzione difficile da esprimere mediante un indice sintetico, ma abbastanza evidente se si confrontano le celle centrali della tabella 5 gli acquisti e le vendite effettuati da ogni contraente tendono a non rientrare in classi eguali o almeno contigue. Una quota consistente del mercato è rappresentata da sequenze individuali più o meno lunghe di transazioni, ciascuna prevalentemente orientata verso la dismissione o verso il rafforzamento della proprietà terriera. Quanto alle pur non trascurabili contrattazioni isolate, la loro diffusione appare maggiore fra gli acquisti: è cioè assai più frequente incontrare fra chi partecipa al mercato una sola volta acquirenti (in questa situazione troviamo il 23,8% dei contraenti) che non venditori (l’8,1% dei contraenti). Rileviamo che è precisamente questo dato a rendere nel complesso gli acquirenti più numerosi dei venditori: rispettivamente 376 contro 326, con un rapporto dei primi ai secondi pari a 1,15. Se infatti si eliminassero dalla distribuzione coloro che stipulano soltanto un atto, il numero dei venditori rimasti (284) supererebbe quello degli acquirenti (253). anni 1731-1735 1736-1740 1741-1745 1746-1750 1751-1755 0,97 0,91 0,93 0,81 0,92 anni 1756-1760 1761-1765 1766-1770 1771-1775 0,95 1,09 1,35 1,14 anni 1731-1745 1746-1760 1761-1775 0,95 0,83 1,22 Tab. 6. Evoluzione del rapporto acquirenti/venditori (insieme delle compravendite). La prevalenza dei venditori sugli acquirenti caratterizza effettivamente il mercato durante i primi trent’anni del periodo di osservazione, come mostra l’evoluzione nel tempo del rapporto acquirenti/venditori (cfr. tab. 6). Costantemente al di sotto dell’unità sino al 1760, soltanto nell’ultimo quindicennio diventa favorevole agli acquirenti, in corrispondenza del vorticoso aumento delle transazioni che, come vedremo, si verifica precisamente in quegli anni. In generale, si può dire che il rapporto acquirenti/venditori riferito al mercato fondiario fornisca una misura sommaria dello stato della domanda di terra e indichi una tendenza verso la frammentazione oppure verso il consolidamento delle proprietà, a seconda del fatto che assuma valori rispettivamente superiori o inferiori all’unità.5 Dove, come nel nostro caso, il mercato è attivato essenzialmente dalle difficoltà incontrate dall’economia contadina, ci si dovrebbe aspettare che l’aumento delle transazioni, sintomo di crisi, si rifletta in una caduta del rapporto sotto l’effetto di un’offerta esuberante.6 Ma a Faetto il funzionamento del mercato della terra poggia evidentemente su presupposti socioeconomici differenti, che non consentono una reazione omeostatica così diretta e semplice alle pressioni demografiche ed economiche.7 Qui l’apparente tenuta dei 5 Smith, 1984b, p. 159. Questo è quanto effettivamente accade ad esempio nei manor dell’East Anglia del XIII e del XIV secolo studiati da Campbell e da Richard Smith (cfr. Campbell, 1984, pp. 110-113; Smith, 1984b, pp. 152-161). 7 Nella situazione descritta da Campbell, i contadini sono spinti ad alienare piccoli appezzamenti delle loro terre (tenute in possesso consuetudinario) dal deterioramento delle condizioni di sussistenza, in cambio della corresponsione immediata di una somma di denaro – da impegnarsi nell'approvvigionamento di grano sul 6 84 rapporti fiduciari suggerisce che il credito tende di norma a organizzarsi attorno a interazioni complesse e durature. Elementi di reciprocità generalizzata sembrano regolare una parte almeno di questi scambi. Un sistema siffatto è tuttavia caratterizzato da una sua specifica rigidità, poiché i reticoli relazionali lungo i quali si muovono i flussi di credito incontrano presto limiti alla loro espansione. Questi sono dettati non solo dalla capacità da parte del prestatore di far fronte a una prolungata esposizione e a prospettive di contraccambio che mantengono larghi margini di indeterminatezza. Interviene infatti anche il suo interesse a effettuare investimenti che in tali condizioni gli fruttano spesso anzitutto (almeno in un primo tempo) l’acquisizione di “averi immateriali”8 come solidarietà, prestigio e altri vantaggi di natura sociale e politica, più che direttamente economica. L’inversione del rapporto acquirenti/venditori nel 1761-1775 sembra segnalare il collasso dei circuiti di credito più consolidati. Sottoposti all’usura provocata dal loro stesso prolungato operare e alle tensioni introdotte da momenti di crisi esterni, questi circuiti si rivelano incapaci di conservare le loro connotazioni abituali e insufficienti a puntellare l’economia sempre più precaria di tante aziende contadine. Molti coltivatori in difficoltà si vedono così costretti a sollecitare l’apertura di nuovi canali di finanziamento, attivando a tale scopo relazioni effimere, che si esauriscono perlopiù nella concessione di un sostegno circoscritto, forse a volte strappato in un contesto di reciprocità negativa. Analizziamo ora le sequenze individuali di transazioni (acquisti e vendite considerati separatamente) secondo i consueti criteri dell’esistenza o meno di legami di parentela fra i contraenti, della rispettiva residenza e dell’identità religiosa (cfr. tab. 7). mercato cittadino – piuttosto che dalla necessità di compensare totalmente o parzialmente un flusso di credito di lunga durata o comunque un vecchio debito. Con l’avvento di un’annata particolarmente favorevole molti cercano, per quanto riesce loro possibile, di reintegrare attraverso acquisti l’estensione originaria dei loro possedimenti, e così il rapporto acquirenti/venditori si eleva seguendo la crescita della domanda (cfr. Campbell, 1984, p. 120). 8 Trovo l’espressione in Firth, 1972, in particolare, p. 166. 85 compravendite fra contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) RESIDENTI E FORESTIERI acquirenti ESTRANEI > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. (ass.) perc. 0,00 0,00 4,80 12,00 28,80 54,40 125 perc. 0,00 0,00 20,16 24,51 28,46 26,88 253 perc. 0,00 0,00 19,49 23,81 30,62 26,08 14455 perc. 0,53 3,19 10,64 12,77 22,87 50,00 188 perc. 4,25 15,34 29,57 17,56 15,90 17,38 541 perc. 8,37 16,85 30,77 16,76 12,70 14,55 23506 perc. 1,31 1,31 4,80 17,90 17,47 57,21 229 perc. 12,83 7,84 14,80 26,92 14,26 23,35 561 perc. 17,33 6,16 14,02 25,03 14,34 23,12 34816 venditori PARENTI > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. (ass.) 0,00 0,00 5,08 16,10 27,97 50,85 118 0,00 0,00 18,97 31,23 26,09 23,72 253 0,00 0,00 20,10 31,40 25,20 23,30 14455 0,52 3,14 9,42 17,28 24,08 45,55 191 3,88 14,97 25,14 22,92 17,01 16,08 541 5,19 22,21 22,28 23,95 12,72 13,65 23506 0,43 0,87 7,83 15,65 23,04 52,17 230 4,99 6,06 24,24 24,42 18,89 21,39 561 5,91 4,69 25,78 24,80 17,36 21,45 34816 atti per contraente Tab. 7. Concentrazione del mercato: compravendite fra residenti di Faetto secondo la relazione di parentela o estraneità esistente fra di loro e compravendite fra residenti di Faetto e forestieri (1731-1775). La massima presenza di acquirenti e venditori che limitano la loro partecipazione al mercato a uno o due interventi si registra nelle transazioni che si svolgono fra parenti (quanto agli acquirenti, si trovano in questa condizione l’83,2% dei parenti contro circa il 73% degli estranei; fra i venditori, il 78,8% dei parenti rispetto al 69,6% degli estranei). Le partecipazioni al mercato superiori ai cinque atti di compravendita appaiono scarse nell’area della parentela (intorno al 5% dei contraenti, sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta; inesistenti oltre il livello dei dieci atti per contraente). Figurano invece più numerose quando a incontrarsi sul mercato sono degli estranei. Qui, infatti, a poco più del 14% dei compratori corrisponde circa il 56% del valore degli acquisti, mentre il 13% dei venditori realizza quasi la metà del valore delle vendite. All’interno dello spazio nel quale si incontrano i parenti, precisamente quello in cui ci si aspetterebbe di trovare la reciprocità più incondizionata,9 prevalgono invece le interazioni di breve respiro. Quando invece sul mercato si incontrano estranei oppure residenti in Faetto e forestieri, troviamo catene di transazioni sensibilmente più estese. Il caso delle transazioni fra residenti e forestieri – presumibilmente ibrido secondo il criterio dell’eventuale esistenza di legami di parentela – si colloca in effetti in posizione intermedia rispetto agli scambi che si svolgono fra coresidenti parenti o fra estranei. Qui, accanto a un’incidenza elevata degli interventi isolati paragonabile quando non superiore a quella rilevabile nelle transazioni fra parenti, la partecipazione con più di cinque atti riguarda poco più del 7% degli acquirenti per circa il 37% del valore delle compere e oltre 9 Sahlins, 1980, p. 219. 86 il 9% dei venditori, per il 36% del valore delle vendite. A differenza che nell’area della parentela, non mancano cioè qui componenti che detengono quote importanti del mercato, in specie dal lato della domanda: basti aggiungere ai dati appena citati che meno del 3% degli acquirenti è responsabile di quasi il 24%, sempre in valore, degli acquisti. compravendite fra vendite di comprav. (numero) comprav. (valore in £) contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) VALDESI A CATTOLICI contraenti CATTOLICI A VALDESI acquirenti VALDESI > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. (ass.) perc. 0,00 4,72 8,49 8,49 24,53 53,77 106 perc. 0,00 24,04 24,74 13,24 18,12 19,86 287 perc. 0,00 25,20 26,50 11,20 19,00 18,10 11630 perc. 2,86 5,71 7,14 5,71 31,43 47,14 70 perc. 19,11 23,56 16,44 6,67 19,56 14,67 225 perc. 25,90 19,60 13,90 5,80 22,10 12,70 11360 perc. 0,00 4,44 24,44 22,22 11,11 37,78 45 perc. 0,00 16,86 46,51 20,93 5,81 9,88 172 perc. 0,00 18,80 46,50 18,60 8,01 8,10 8631 perc. 0,00 0,00 17,95 20,51 12,82 48,72 39 perc. 0,00 0,00 47,27 26,36 9,09 17,27 110 perc. 0,00 0,00 51,20 23,50 9,70 15,60 6340 venditori CATTOLICI > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. (ass.) 2,20 4,40 7,69 16,48 27,47 41,76 91 15,33 19,16 16,72 18,12 17,42 13,24 287 21,90 22,50 11,60 16,90 15,80 11,30 11630 0,00 5,33 10,67 18,67 17,33 48,00 75 0,00 24,44 26,67 21,33 11,56 16,00 225 0,00 27,60 28,50 19,90 9,20 14,80 11360 0,00 4,00 14,00 38,00 14,00 30,00 50 0,00 15,70 29,65 37,79 8,14 8,72 172 0,00 17,00 30,10 38,20 6,91 7,80 8631 0,00 0,00 8,51 27,66 6,38 57,45 47 0,00 0,00 26,36 43,64 5,45 24,55 110 0,00 0,00 34,42 41,89 5,99 17,70 6340 atti per contraente Tab. 8. Concentrazione del mercato: compravendite fra residenti di Faetto secondo la confessione religiosa dei contraenti (1731-1775). Passiamo ora ai dati organizzati secondo l’identità religiosa dei contraenti (cfr. tab. 8). Nell’area definita da una comune appartenenza confessionale, le transazioni che avvengono tra valdesi mostrano una polarizzazione più forte dal lato della domanda. Le sequenze superiori ai dieci atti riguardano infatti più i compratori che i venditori. Questi ultimi, che prevalgono lievemente sugli acquirenti, si raccolgono soprattutto nella fascia dai tre ai dieci contratti. Diversamente dagli acquirenti, sono invece assenti dalla classe di frequenza più elevata (oltre i 20 atti), mentre sono sensibilmente meno numerosi degli acquirenti nella classe dei due interventi e grosso modo egualmente rappresentati fra i partecipanti a un solo atto. La tendenza si inverte nelle transazioni fra cattolici, dove è l’offerta a essere più presente nella fascia oltre le dieci transazioni. Nelle transazioni fra valdesi, i rapporti di concentrazione, meno elevati dal lato delle vendite (0,48 per il numero e 0,52 rispetto al valore delle vendite contro 0,53 per il numero e 0,55 per il valore degli acquisti), esprimono il fatto che le frazioni dell’offerta spettanti ai singoli contraenti valdesi sono meno diseguali di quelle della domanda perché maggiormente addensate attorno alle modalità intermedie. Al contrario, la minore concentrazione della domanda (cioè degli acquisti: 0,48 quanto al loro numero e 0,51 in riferimento al loro valore rispetto a 0,53 per il numero e 0,56 per il 87 valore delle vendite) nelle transazioni fra cattolici riflette una frammentazione molto più pronunciata delle quote individuali di mercato.10 Anche nel settore interconfessionale si presentano situazioni in cui una (relativamente) contenuta differenza media tra la quantità e tra il valore degli acquisti e delle vendite effettuate da ogni contraente tende a deprimere i rapporti di concentrazione, ma entro morfologie distributive differenti. Quando sono i cattolici a vendere ai valdesi, oltre la metà sia degli acquirenti (valdesi) sia dei venditori (cattolici) stipula più di tre atti. Qui, dunque, tanto dal lato della domanda quanto, ancor più, sul versante dell’offerta, gli interventi multipli che rientrano nelle classi dai tre ai cinque e dai sei ai dieci atti hanno un rilievo preponderante rispetto a ogni altro settore del mercato definito con riferimento all’appartenenza confessionale dei contraenti. Nelle vendite di valdesi a cattolici, entrambe le distribuzioni – con maggior risalto quella dei venditori – appaiono invece centrate più in basso. vendite di contraenti comprav. (numero) contraenti comprav. (numero) contraenti comprav. (numero) contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) VALDESI A CATTOLICI acquirenti comprav. (valore in £) CATTOLICI A VALDESI > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot, (ass,) perc. 0,00 0,00 0,00 16,67 16,67 66,66 66 perc. 0,00 0,00 0,00 37,74 20,75 41,51 106 perc. 0,00 0,00 0,00 36,05 23,63 40,32 5104 perc. 0,00 0,00 8,51 14,89 23,40 53,19 47 perc. 0,00 0,00 26,53 25,51 22,45 25,51 98 perc. 0,00 0,00 33,88 25,20 14,95 25,96 6174 perc. 0,00 0,00 0,00 16,67 25,00 58,33 12 perc. 0,00 0,00 0,00 40,91 27,27 31,82 22 perc. 0,00 0,00 0,00 40,08 25,78 34,14 1784 perc. 0,00 0,00 0,00 17,65 11,76 70,59 17 perc. 0,00 0,00 0,00 40,74 14,81 44,44 27 perc. 0,00 0,00 0,00 39,77 14,50 45,73 1393 venditori comprav. (valore in £) VALDESI comprav. (valore in £) compravendite fra CATTOLICI > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. (ass.) 0,00 0,00 4,00 26,00 10,00 60,00 50 0,00 0,00 14,15 48,11 9,43 28,30 106 0,00 0,00 13,70 45,00 10,21 31,09 5104 0,00 0,00 3,92 19,61 19,61 56,86 51 0,00 0,00 13,27 36,73 20,41 29,59 98 0,00 0,00 12,10 35,89 21,61 30,40 6174 0,00 0,00 0,00 33,33 22,22 44,45 9 0,00 0,00 0,00 63,64 18,18 18,18 22 0,00 0,00 0,00 62,89 17,99 19,11 1784 0,00 0,00 0,00 26,67 6,67 66,66 15 0,00 0,00 0,00 55,55 7,41 37,04 27 0,00 0,00 0,00 55,20 6,60 38,20 1393 atti per contraente Tab. 9. Concentrazione del mercato: compravendite fra parenti secondo la confessione religiosa dei contraenti (1731-1775). 10 Il rapporto di concentrazione è in effetti un indice sintetico che può assumere valori analoghi per distribuzioni di forma anche assolutamente divergente (cfr. Derosas, 1987, in particolare, p. 562; da questo studio traggono ispirazione le tabelle 4-11). 88 VALDESI A CATTOLICI contraenti comprav. (numero) contraenti comprav. (numero) contraenti comprav. (numero) contraenti comprav. (numero) acquirenti > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. (ass.) perc. 0,00 0,00 9,62 26,92 13,46 50,00 52 perc. 0,00 0,00 31,16 39,86 10,14 18,84 138 perc. 0,00 0,00 36,89 37,21 8,00 17,91 5652 perc. 0,00 3,13 12,50 18,75 21,88 43,75 32 perc. 0,00 12,90 33,33 23,66 15,05 15,05 93 perc. 0,00 15,01 30,20 21,50 17,89 15,40 4344 perc. 0,00 0,00 20,00 23,33 10,00 46,67 30 perc. 0,00 0,00 50,94 30,19 5,66 13,21 106 perc. 0,00 0,00 53,21 27,40 7,90 11,50 5749 perc. 0,00 0,00 5,00 30,00 5,00 60,00 20 perc. 0,00 0,00 14,29 52,38 4,76 28,57 42 perc. 0,00 0,00 14,91 53,19 3,81 28,09 3574 venditori comprav. (valore in £) CATTOLICI A VALDESI comprav. (valore in £) VALDESI comprav. (valore in £) CATTOLICI vendite di comprav. (valore in £) compravendite fra > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot. (ass.) 0,00 2,00 10,00 30,00 18,00 40,00 50 0,00 7,97 23,91 40,58 13,04 14,49 138 0,00 9,09 27,60 37,90 12,21 13,20 5652 0,00 0,00 11,43 22,86 14,29 51,43 35 0,00 0,00 37,63 32,26 10,75 19,35 93 0,00 0,00 38,90 34,00 9,21 17,89 4344 0,00 0,00 11,43 31,43 14,29 42,86 35 0,00 0,00 32,08 44,34 9,43 14,15 106 0,00 0,00 33,80 45,59 6,91 13,71 5749 0,00 0,00 3,03 3,03 6,06 87,88 33 0,00 0,00 14,29 7,14 9,52 69,05 42 0,00 0,00 16,20 9,60 7,41 66,79 3574 atti per contraente Tab. 10. Concentrazione del mercato: compravendite fra estranei secondo la confessione religiosa dei contraenti (1731-1775). Unendo le coordinate della parentela/estraneità a quelle dell’appartenenza confessionale (cfr. tabb. 9-10), per quanto riguarda il sottoinsieme delle transazioni che mettono in contatto correligionari, l’ulteriore scomposizione così operata lascia inalterate le caratteristiche distributive di fondo che abbiamo visto opporre in generale parenti ed estranei, a prescindere dalla circostanza che a interagire siano cattolici o valdesi. Al contrario, nel settore interconfessionale le distribuzioni riguardanti i valdesi, come acquirenti e come venditori, mostrano più ampie oscillazioni a seconda del fatto che essi incontrino parenti o estranei, di quelle relative ai partecipanti cattolici. Quando acquirenti e venditori valdesi concludono transazioni con i cattolici, sembra poi che soltanto l’esistenza di vincoli di parentela con l’acquirente sia in grado di contrastare in parte la prevalenza, caratteristicamente marcata, degli interventi unici e delle sequenze individuali meno estese: nelle transazioni fra estranei di diversa fede quasi il 90% dei venditori valdesi compare infatti una sola volta, contro poco meno del 70% negli scambi che avvengono fra parenti. Nel campo delle transazioni fra residenti e forestieri (cfr. tab. 11), i valdesi mostrano un comportamento meno asimmetrico dei cattolici nel loro comportamento rispettivamente in qualità di acquirenti e di venditori. Nel primo caso, la concentrazione sia della domanda sia dell’offerta è senza paragone più elevata quando i residenti cattolici intervengono in veste di venditori, mentre non sono irrilevanti i casi in cui i valdesi (anch’essi prevalentemente venditori in quest’area degli scambi, come sappiamo) compiono acquisti plurimi nei confronti dei forestieri. 89 comprav. (numero) contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) contraenti comprav. (numero) comprav. (valore in £) perc. 0,00 1,69 1,69 11,86 13,56 71,19 118 perc. 0,00 13,04 6,76 24,15 15,46 40,58 207 perc. 0,00 16,80 4,60 22,90 16,00 39,70 9014 perc. 0,00 0,00 0,00 7,84 21,57 70,59 51 perc. 0,00 0,00 0,00 24,68 28,57 46,75 77 perc. 0,00 0,00 0,00 26,21 27,70 46,10 4896 perc. 0,00 1,15 1,15 8,05 14,94 74,71 87 perc. 0,00 9,29 5,71 20,00 18,57 46,43 140 perc. 0,00 11,50 3,90 19,30 17,80 47,50 13089 perc. 0,00 0,00 14,00 22,00 18,00 46,00 50 perc. 0,00 0,00 40,15 29,93 13,14 16,79 137 perc. 0,00 0,00 42,10 28,60 12,29 17,00 7817 > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot, (ass,) 0,00 2,70 9,46 18,92 21,62 47,30 74 0,00 16,43 24,64 26,57 15,46 16,91 207 0,00 17,59 25,40 25,90 15,30 15,80 9014 0,00 0,00 0,00 3,23 12,90 83,87 62 0,00 0,00 0,00 11,69 20,78 67,53 77 0,00 0,00 0,00 12,19 20,51 67,30 4896 0,00 0,00 6,90 25,86 13,79 53,45 58 0,00 0,00 24,29 42,14 11,43 22,14 140 0,00 0,00 27,20 39,90 10,10 22,80 13089 0,00 1,64 6,56 9,84 26,23 55,74 61 0,00 10,22 25,55 16,06 23,36 24,82 137 0,00 14,30 23,19 14,90 22,50 25,10 7817 comprav. (valore in £) contraenti > 20 11-20 6-10 3-5 2 1 tot, (ass,) atti per contraente comprav. (valore in £) comprav. (numero) vendite di a forestieri forestieri a VALDESI contraenti VALDESI acquirenti compravendite fra forestieri forestieri a CATTOLICI venditori CATTOLICI a Tab. 11. Concentrazione del mercato: compravendite fra residenti di Faetto e forestieri secondo la confessione religiosa dei contraenti di Faetto (1731-1775). Rammentiamo a questo punto che “acquirente” e “venditore” nella nostra realtà equivalgono largamente a “creditore” e “debitore”. I numerosi atti di compravendita tra individui che partecipano agli scambi quasi esclusivamente in una sola veste, di venditori o di compratori, mostrano allora come i prestiti si ottengano spesso all’interno di relazioni stabilmente asimmetriche dal punto di vista socioeconomico, piuttosto che attraverso reti di mutuo sostegno fra soggetti dotati di risorse comparabili. Il carattere verticale di questo tipo di rapporti di credito è poi sottolineato dal fatto che siano in generale più frequenti tra estranei che tra parenti (e tra persone abitanti in comunità diverse piuttosto che tra coresidenti). In rapporto all’appartenenza confessionale, già sappiamo che i cattolici compaiono più spesso come venditori di terra, ossia come debitori, nei confronti dei valdesi di quanto questi ultimi non si trovino in tale posizione rispetto ai cattolici. Ora possiamo aggiungere che per quesi ultimi la disponibilità potenziale dei flussi di credito più consistenti e duraturi risiede in rapporti asimmmetrici nel settore interconfessionale. Nell’area degli scambi con i loro correligionari aumenta infatti in misura considerevole la frequenza delle interazioni apparentemente più effimere: numerosi sono i canali di credito che qui si aprono, ma hanno apparentemente portata minore e si esauriscono presto. Dal canto loro, i valdesi, oltre a essere probabilmente meno dipendenti dai prestiti, hanno infatti opportunità oggettivamente superiori di allacciare le relazioni creditizie più stabili prevalentemente al loro interno. Il loro vantaggio competitivo nei confronti dei cattolici si costruisce dunque, prima che su un comportamento predatorio a danno dei membri dell’altra confessione, su una più estesa possibilità di attivazione di rapporti interpersonali di cooperazione e dipendenza economica 90 con correligionari, il cui effetto cumulato è la creazione di una rete sociale (o, se si vuole, di una comunità) più densa, più coesa e, in ultima analisi, più vitale. Sviluppi congiunturali Torniamo ora a prendere in esame i dati sulla distribuzione del numero e del valore delle vendite secondo la modalità di pagamento, questa volta disaggregati per quinquennio e quindicennio (cfr. cap. III, tab. 3). Possiamo subito notare che tanto il numero quanto il valore complessivo delle transazioni per quindicennio, rimasti pressoché stabili nel 17311745 e nel 1746-1760, in corrispondenza del periodo 1761-1775 registrano un aumento vertiginoso: in questi anni si concentra infatti il 51,5% di tutte le compravendite schedate, pari al 53,6% del loro valore complessivo. Ci troviamo dunque di fronte a un mercato sui generis che, come a Santena o a Bricherasio, registra i momenti di maggior vitalità nei periodi di crisi:11 i picchi di vendite raggiunti negli anni 1734, 1742, 1764, 1767-1768 e 1773-1775 manifestano precisamente questa connessione (cfr. tab. 12). 11 Sclarandis, 1987, pp. 471-475. La circolazione della terra appare cioè governata da un meccanismo che reagisce alla qualità dei raccolti secondo le esigenze di un regime di prevalente autoconsumo. Sul mercato della terra di Coltishall (Norfolk) fra l’ultimo quarto del XIII e la metà del XIV secolo studiato da Bruce Campbell, la forte correlazione positiva fra il numero delle transazioni e il livello raggiunto dai prezzi del grano sul mercato di Norwich indica chiaramente come l’offerta di terra si aumentasse nel caso di cattivi raccolti, precisamente quando i profitti assicurati ai coltivatori dagli alti prezzi del grano sul mercato cittadino sarebbero risultati più consistenti (Campbell, 1984, pp. 110-117). Un mercato della terra di questo genere aveva però anzitutto la funzione di provvedere una sorta di assicurazione contro le crisi di sussistenza, consentendo incassare rapidamente un po’ di denaro o di ottenere credito (ibid., p. 129). Si tratta di una correlazione ben stabilita per tutto l’antico regime. Esempi riguardanti la Francia del secolo XVIII in. Béaur, 1994, p. 1413; Béaur, 1976; del tardo Settecento e del primo Ottocento in Boudjaaba, 2008, pp. 99-102. 91 anni 1731 1732 1733 1734 1735 1736 1737 1738 1739 1740 1741 1742 1743 1744 1745 1746 1747 1748 1749 1750 1751 1752 1753 1754 1755 1756 1757 1758 1759 1760 1761 1762 1763 1764 1765 1766 1767 1768 1769 1770 1771 1772 1773 1774 1775 PAG. IMMED. num. £ 0 0 0 0 10 626 8 294 8 162 5 151 0 0 3 157 1 80 8 1038 5 216 15 447 1 21 7 343 8 118 13 1846 5 297 8 435 9 472 6 236 7 305 13 770 3 107 6 135 6 267 4 116 8 584 1 17 2 72 4 150 7 375 10 343 9 352 12 225 4 101 15 793 16 919 2 44 5 181 6 97 6 245 12 852 17 762 10 431 10 1048 PAG. PRECED. num. £ 0 0 16 802 33 811 33 729 21 666 6 180 4 151 7 344 12 456 20 847 15 893 35 1458 6 109 4 67 8 273 6 632 19 666 35 1316 30 1143 11 343 24 821 31 1506 10 294 14 629 3 355 16 494 10 354 22 488 4 148 7 130 6 191 10 472 22 617 40 1292 21 801 31 1155 54 1894 30 991 14 833 10 178 10 379 21 509 39 1361 58 2022 71 2547 PAG. FUTURO num. £ 0 0 3 123 1 25 1 60 2 437 0 0 0 0 0 0 1 10 2 801 1 900 0 0 0 0 1 50 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 105 1 81 0 0 4 74 1 25 2 85 0 0 2 190 0 0 0 0 0 0 1 36 1 130 11 764 12 1806 5 166 6 604 7 1200 19 2433 9 846 2 80 4 241 10 517 9 650 16 1590 18 1168 CREDITO num. 1 5 1 12 5 5 0 2 3 4 4 7 2 5 2 2 2 1 2 2 4 5 0 3 1 0 3 5 0 1 2 4 6 9 6 2 4 9 1 2 1 2 3 10 14 £. 67 366 3 576 378 416 0 257 273 217 699 934 464 476 190 303 286 51 56 229 155 504 0 425 15 0 64 277 0 58 195 497 413 549 551 178 681 762 68 223 14 32 111 1672 1225 CREDITO TERZI num. 0 2 1 1 0 4 0 2 0 4 1 5 0 0 1 0 0 0 0 0 2 2 0 1 2 0 3 4 0 1 1 3 2 0 1 5 3 2 1 0 1 0 4 8 8 £ 0 138 95 125 0 271 0 132 0 148 60 182 0 0 68 0 0 0 0 0 214 120 0 25 126 0 130 185 0 10 60 122 109 0 33 503 257 78 56 0 45 0 219 616 1144 TOTALE num. 1 26 46 55 36 20 4 14 17 38 26 62 9 17 19 21 26 44 41 21 38 51 17 25 14 20 26 32 6 13 17 28 50 73 37 59 84 62 30 20 22 45 72 102 121 £ 67 1429 1560 1784 1643 1018 151 890 819 3051 2768 3021 594 936 649 2781 1249 1802 1671 913 1576 2900 475 1239 848 610 1322 967 220 348 857 1564 2255 3872 1652 3233 4951 4308 1984 578 924 1910 3103 6331 7132 Tab. 12. Compravendite fra residenti di Faetto e fra questi e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità adottata (dati annuali). Analogamente a quanto si verifica nelle situazioni studiate da Levi e Sclarandis, un andamento così peculiare non si spiega se non con il ruolo fondamentale rivestito dal 92 credito nell’attivare il mercato, sia nella forma di un indebitamento pregresso sia in quella della ricerca di un (nuovo) prestito. Durante l’ultima parte del nostro periodo di osservazione, gli effetti cumulati dell’indebitamento complessivo sono evidentemente inaspriti dal succedersi delle crisi che si verificano nel corso degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta. Il bisogno di denaro si allarga; la disponibilità a concederlo o a procrastinare la richiesta di restituzione si fa più condizionata. La trama dei rapporti fiduciari alla base del credito è in tal modo sottoposta a una diffusa tensione, che accelera l’esito di molti di quei rapporti allacciati in tempi meno difficili in una vendita di terra. L’aumento delle vendite investe tutte le tipologie individuate sulla base delle modalità di pagamento attestate nei contratti, ma con differente intensità. Così, le proporzioni dei pagamenti che avvengono alla stipulazione dell’atto di vendita e di quelli effettuati prima subiscono una flessione, notevole se calcolata in valore, mentre quelli esplicitamente destinati a ripagare un debito registrano un certo aumento del loro rilievo. Soprattutto, però, è il numero e ancor più il valore delle somme da pagarsi in futuro a mostrare il maggior incremento relativo – effetto di un’espansione che in termini assoluti equivale a un balzo pari a circa quaranta volte il loro ammontare nel quindicennio precedente. (cfr. ancora tab. 12). Quale scenario prospettano queste variazioni congiunturali che, oltre al numero e a valore delle vendite, riguardano anche la loro distribuzione in rapporto alle modalità di pagamento? Come nel caso studiato da Sclarandis, credo confermino intanto l’importanza dei rapporti di mutuo soccorso o di credito come ambito di interazione da cui traggono origine le compravendite. La stessa diminuzione percentuale (ma non in termini assoluti, come si è detto) della frequenza e del valore dei casi in cui il pagamento è già avvenuto potrebbe segnalare soprattutto l’effetto selettivo esercitato su questo tipo di rapporti da periodi ricorrenti e prolungati di crisi. La possibilità di ottenere piccole anticipazioni in denaro o sotto forma di altri aiuti senza una formale e immediata garanzia diventa cioè meno frequente e soprattutto si abbassa ulteriormente la soglia di quanto ogni volta il prestatore può o è disposto a rischiare a quelle condizioni. Il contemporaneo incremento proporzionale dei pagamenti da effettuarsi in futuro appare a questo punto complementare. Questa modalità appare perlopiù associata alle transazioni che riguardano i valori più elevati (un’eccezione è rappresentata dai valori medi registrati negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo). Plausibilmente essa indica reali motivazioni di riassetto delle aziende e una prevalenza del lato della domanda, forse associata a una più alta (o più ‘oggettiva’) espressione monetaria delle ragioni di scambio. Oppure, caratterizza alienazioni che entrano in più complesse transazioni legate alla trasmissione dei patrimoni. Tuttavia, proprio l’andamento temporale delle somme corrispondenti a impegni di pagamento per il futuro dagli anni Sessanta in poi lascia intravedere nella nostra situazione come a Bricherasio un crescente utilizzo come pratica di finanziamento.12 In maniera specularmente opposta al caso illustrato dai pagamenti già effettuati al momento della vendita, in questo caso la semplice promessa di credito richiede la preventiva alienazione 12 Presumibilmente, con l’impegno di completare il pagamento in maniera dilazionata, modulata sulle necessità cui doveva far fronte il venditore, lasciandogli così in qualunque momento la facoltà di recedere dalla vendita e di riscattare la terra senza dover restituire l’intera somma stabilita: cfr. Sclarandis, 1987, p. 477. 93 della titolarità del possesso di una terra. In cambio dell’avvio di un rapporto che talvolta si è già concretizzato in un piccolo anticipo e che proseguirà prevedibilmente attraverso erogazioni dilazionate nel tempo, l’acquirente rilascia una “scrittura d’obbligo” per una cifra corrispondente (in tutto oppure in parte, se qualcosa è già stato sborsato) al prezzo pattuito. Questa cifra e gli eventuali anticipi sono quasi certamente più che coperti dal valore realizzabile con un trasferimento dell’effettivo possesso e godimento materiale dell’appezzamento ceduto. Gli anni di crisi introducono così una sostanziale modificazione nella logica temporale e sociale sino ad allora prevalente nello scambio di terra contro prestiti. Il restringersi delle vendite ex post e il valore mediamente più elevato che dal 1760 circa ritrovano le transazioni con pagamento differito sembra configurare un movimento di concentrazione delle risorse destinabili al credito verso strati della popolazione in precedenza meno pressati dalla necessità di farvi ricorso e anche ora, negli anni difficili, in grado di offrire le garanzie più solide. In termini monetari, il peso dei pagamenti legati al credito in maniera esplicita o implicita (tramite cioè la dichiarazione di esborso già avvenuto del prezzo di vendita) ma comunque realmente effettuati (in denaro o in altra possibile forma) diminuisce del 12% dopo il 1760. Se si tiene conto dell’enorme aumento percentuale, oltre che assoluto, dei pagamenti ‘virtuali’ a cui il compratore si impegna per il futuro, questo calo risulta verosimilmente ampiamente compensato. L’azione della crisi detta sì condizioni più restrittive per la concessione di credito, ma non ne mina significativamente la disponibilità complessiva. In tal modo, si creano per chi può esporsi a un rischio calcolato e controllabile nuove opportunità di acquisire posizioni vantaggiose, passibili di tradursi in futuro in un guadagno tangibile: in denaro, eventualmente in prodotti o lavoro, oppure in un effettivo passaggio del possesso di nuova terra nelle proprie mani. Dimensioni e bilanci delle compravendite La distribuzione del numero e del valore monetario totale delle transazioni relativamente all’intero periodo di osservazione (1731-1775) mostra che, sotto il profilo dell’appartenenza confessionale dei contraenti, prevalgono le transazioni concluse tra chi professa lo stesso credo, ma non in misura tale da relegare ai margini quelle che attraversano il confine religioso, pari infatti a oltre il 30% del numero e del valore dell’interscambio fra residenti nella comunità di Faetto. Quanto al valore medio delle compravendite, esso risulta particolarmente elevato nel caso delle vendite di valdesi a cattolici (circa 58 lire), leggermente più alto nei contratti fra correligionari di fede valdese che fra quelli di fede cattolica (circa 51 lire rispetto a circa 50 lire), mentre tocca il livello più basso nelle vendite di cattolici a valdesi, pari a circa 42 lire (cfr. tab. 13). 94 CATTOLICI VALDESI CATT. A VALD. VALD A CATT. CONF. NON ID. TOTALE valori assoluti num. £ 296 12321 266 13560 183 9069 117 6750 101 3959 963 45659 percentuali num. £ 30,74 26,98 27,62 29,70 19,00 19,86 12,15 14,78 10,49 8,67 100,00 100,00 Tab. 13. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la confessione religiosa dei contraenti. Dal punto di vista dei legami di parentela, sul totale della popolazione, i contratti stipulati fra estranei risultano in netta maggioranza tanto in numero che in valore (cfr. tab. 14, ultimo rigo). Il valore medio delle compravendite fra parenti appare però superiore a quello che si registra fra estranei (circa 56 lire contro 44). CATTOLICI VALDESI CATT. A VALD. VALD A CATT. CONF. NON ID. TOTALE PARENTI ESTRANEI percentuali num. £ 36,82 42,51 46,24 56,99 12,57 19,99 27,35 23,94 17,82 17,50 31,67 37,43 percentuali num. £ 62,50 56,98 51,13 41,26 85,25 78,24 71,79 75,59 61,39 60,85 64,69 59,62 RELAZIONE NON ID. percentuali num. £ 0,68 0,50 2,63 1,75 2,19 1,76 0,85 0,47 20,79 21,65 3,63 2,95 TOTALE valori assoluti num. £ 296 12321 266 13560 183 9069 117 6750 101 3959 963 45659 Tab. 14. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti. Il primato dell’estraneità si ribalta tuttavia completamente quando i contraenti delle transazioni sono entrambi valdesi. Qui la maggior parte delle compravendite, in valore, si concentra infatti proprio nell’area della parentela, mentre in quelle fra cattolici il peso di quest’ultima resta solo di poco più elevato rispetto alla media generale nell’interscambio fra residenti di Faetto. Nelle compravendite che invece si svolgono fra contraenti di differente confessione religiosa, la parentela ha, com’era prevedibile, in generale un peso inferiore, ma percepibilmente più alto, comunque, quando sono i valdesi a vendere ai cattolici che non nel caso inverso. 13 Il divario fra le transazioni nell’ambito della parentela e quelle tra estranei in termini di valore medio si accentua poi particolarmente tra i valdesi (rispettivamente, circa 63 e circa 41 lire per transazione) (cfr. ancora tab. 14). Un altro aspetto molto evidente è l’importanza dell’interscambio con i forestieri: oltre il 45% del valore totale generale delle transazioni (cfr. tab. 15). Notiamo che Il valore medio delle compravendite è sensibilmente più elevato quando esse avvengono fra residenti e forestieri che non fra soli residenti (59 contro 47 lire). 13 Quando si affrontano questi settori l’analisi deve forzatamente limitarsi alla popolazione residente nella comunità, visto che l’appartenenza confessionale dei forestieri ci è solo in parte nota. 95 RESIDENTI-FORESTIERI RESIDENTI TOTALE valori assoluti num. £ 644 38296 963 45659 1607 83955 percentuali num. £ 40,07 45,61 59,93 54,39 100,00 100,00 Tab. 15. Compravendite fra residenti di Faetto e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati. Il rapporto fra cattolici e valdesi14 sul mercato della terra si conclude con un esito globale molto netto: poiché le vendite di cattolici a valdesi costituiscono circa il 57% del valore di tutte le transazioni ‘interconfessionali’ effettuate dal 1731 al 1775 (cioè 9069 lire in terre cedute contro 6750 lire di acquisti), il trasferimento della titolarità della terra fra le due componenti si compie a tutto vantaggio della parte valdese (cfr. nuovamente tab. 8). Per questa, il bilancio si profila poi ancora più favorevole se si prende in considerazione anche l’interscambio intrattenuto rispettivamente dagli abitanti cattolici di Faetto e da quelli valdesi con i forestieri (cfr. tab. 16). residenti: CATTOLICI VALDESI CONF. NON ID. TOTALE VENDITE DI RESIDENTI A FORESTIERI VENDITE DI FORESTIERI A RESIDENTI valori assoluti num. £ 209 9110 133 12853 55 2164 397 24127 valori assoluti num. £ 76 4805 124 7067 47 2297 247 14169 percentuali num. £ 52,64 37,76 33,5 53,27 13,85 8,97 100,00 100,00 percentuali num. £ 30,77 33,91 50,2 49,88 19,03 16,21 100,00 100,00 TOT. COMPRAVENDITE FRA RESIDENTI E FORESTIERI valori assoluti num. £ 285 13915 257 19920 102 4461 644 38296 percentuali num. £ 44,25 36,34 39,91 52,02 15,84 11,65 100,00 100,00 Tab. 16. Compravendite fra residenti di Faetto e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la confessione religiosa dei contraenti di Faetto. Come si vede, in questo settore le dimensioni dell’intervento delle due componenti religiose di Faetto non sono troppo dissimili, per quanto attiene alla frequenza delle transazioni effettuate. Misurata invece in termini di valore delle transazioni, la partecipazione dei residenti cattolici è di circa il 15% inferiore di quella dei valdesi.15 I contratti stipulati dai valdesi con i forestieri riguardano dunque cifre mediamente più alte di quelle attestate dalle compravendite effettuate dai cattolici (circa 77 contro 49 lire). Oltre il 60% dell’interscambio (in frequenza e in valore degli atti) tra abitanti di Faetto e forestieri vede i primi comparire soprattutto nella veste di venditori. Nel caso dei valdesi, lo squilibrio fra le vendite e gli acquisti appare notevolmente ridimensionato rispetto alla situazione dei cattolici, se si guarda al numero delle transazioni, ma solo lievemente attenuato qualora se ne consideri il valore. L’identità confessionale dei forestieri, come si è detto, non ci è sistematicamente nota. Ne conosciamo tuttavia sempre la comunità di provenienza, indicata neli atti notarili stessi, e grazie a questa informazione è possibile avanzare un’ipotesi del tutto verosimile sulla confessione dominante fra di loro. Su 217 forestieri che effettuano transazioni con gli 14 Ricordiamo, residenti a Faetto. Il 7,19 del numero e il 5,75 del valore delle compravendite fra residenti e forestieri interviene fra individui di confessione religiosa non identificata da entrambi i lati della transazione. 15 96 abitanti di Faetto, 205 provengono da altre comunità della Val San Martino; i pochi restanti, dalla vicina Val Perosa e dal suo Inverso. Coloro che comprano o vendono terra agli abitanti della comunità di Faetto senza risiedervi provengono dunque da un bacino non solo compreso in un raggio assai limitato, ma anche prevalentemente popolato da valdesi. Faetto, con la sua composizione religiosa piuttosto bilanciata, e Perrero, centro amministrativo della valle e comunità interamente cattolica, costituiscono le principali eccezioni. Dei provenienti dalla Val San Martino, infatti, 60 (il 29,3%) risiedono in luoghi dove esiste una netta maggioranza cattolica, mentre 117 (il 57,1%) abitano in comunità a netta prevalenza valdese; solo 28 infine (il 13,6%) appartengono a comunità caratterizzate da un relativo equilibrio fra le dimensioni delle due componenti.16 Le due provenienze di gran lunga più frequenti accanto alla cattolica Perrero (51 contraenti), Prali e Riclaretto (rispettiamente, 49 e 43 individui), figurano entrambe tra le località a più forte maggioranza valdese. Possiamo allora aspettarci che la maggior parte dei forestieri con i quali gli abitanti di Faetto interagiscono sul mercato della terra sia costituita da valdesi. Se questo è vero, poiché ‘forestiero’ nel nostro contesto equivale il più delle volte a ‘compratore’ (specialmente quando i residenti sono cattolici), la partecipazione dei cattolici al mercato ci appare ancora più sbilanciata sul lato della cessione della terra. Le forme del credito Quando dunque si guarda agli scambi attraverso il prisma dei criteri relazionali individuati nella condivisione o meno dell’appartenenza religiosa, nella parentela o estraneità e nella rispettiva residenza emergono effettivamente dissimmetrie nella distribuzione e nei bilanci degli acquisti e delle vendite. Anche se tali differenze affondano in processi di interazione destinati a rimanerci in buona parte opachi, sembrano sufficientemente caratterizzate da riflettere una reale articolazione sociale del locale mercato della terra. Contemporaneamente, come abbiamo visto, le modalità di pagamento adottate nelle compravendite rivelano elementi importanti della natura delle transazioni. Incrociando con questa variabile il criterio della distanza sociale fra i contraenti, possiamo quindi tentare di qualificare in modo più concreto il senso di quella articolazione. Cominciamo anche in questo caso dai totali relativi all’intero periodo di osservazione. Come si è detto, il credito affiora invariabilmente come motivazione principale delle transazioni; la sua incidenza relativa varia tuttavia notevolmente a seconda della rispettiva appartenenza religiosa dei contraenti o in dipendenza dei loro legami di parentela. Cominciamo con il prendere in considerazione questa seconda variabile (cfr. tab. 17). 16 Almeno stando ai dati della rilevazione del 1777, pubblicati in Caffaro, 1893-1903, vol. I, pp. 660-661. 97 PARENTI ESTRANEI RELAZIONE NON ID. TOTALE PAG. IMMED. PAG. PRECED. PAG. FUTURO CREDITO ACQUIR. CREDITO TERZI TOTALE percentuali num. £ 15,41 11,91 18,30 18,85 5,71 8,23 16,93 15,94 percentuali num. £ 57,38 12,13 60,03 8,67 80,00 5,71 59,92 9,66 percentuali num. £ 10,16 14,43 8,51 17,57 2,86 1,63 8,83 15,92 percentuali num. £ 12,13 20,04 8,67 15,63 5,71 13,28 9,66 17,21 percentuali num. £ 4,92 8,09 4,49 6,59 5,71 14,69 4,67 7,39 valori assoluti num. £ 305 17088 623 27223 35 1348 963 45659 Tab. 17. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti. I pagamenti esplicitamente destinati a compensare un debito verso il compratore o verso terzi raggiungono la proporzione più alta nelle transazioni che si svolgono fra parenti. Allo stesso modo, anche il peso dei pagamenti dichiarati per già effettuati, che sappiamo associati prevalentemente a debiti pregressi, risulta qui al suo massimo. Parallelamente, i valori medi delle compravendite legate al debito sono assai più alti fra parenti: circa 43 lire contro 30 nel caso delle vendite con pagamento già effettuato; 90 lire rispetto a 79 per le vendite in compensazione di debiti riconosciuti nei confronti del compratore; 94 lire contro 62 quando si tratta di debiti verso terzi. Fra estranei risulta ovviamente superiore la percentuale dei pagamenti immediati e di quelli da effettuarsi in futuro, che registrano anche più elevati valori medi. PAG. IMMED. PAG. PRECED. PAG. FUTURO CREDITO ACQUIR. CREDITO TERZI TOTALE percentuali num. £ percentuali num. £ percentuali num. £ percentuali num. £ percentuali num. £ valori assoluti num. £ VENDITE DI RESIDENTI A FORESTIERI 24,18 23,31 50,63 32,59 5,79 13,34 14,36 24,91 5,04 5,85 397 24127 VENDITE DI FORESTIERI A RESIDENTI 22,67 23,48 48,99 32,51 18,62 33,22 5,67 7,37 4,05 3,42 247 14169 COMPRAVENDITE FRA RESIDENTI-FORESTIERI 23,60 23,38 50,00 32,56 10,71 20,70 11,02 18,42 4,66 4,95 644 38296 COMPRAVENDITE FRA RESIDENTI 16,93 15,94 59,92 43,54 8,83 15,92 9,66 17,21 4,67 7,39 963 45659 TOTALE 19,60 19,33 55,94 38,53 9,58 18,10 10,21 17,76 4,67 6,28 1607 83955 Tab. 18. Compravendite fra residenti di Faetto e fra questi e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la rispettiva residenza dei contraenti. Per quanto riguarda l’interscambio fra residenti e forestieri (cfr. tab. 18), mentre il debito esplicitamente menzionato nei confronti del compratore conserva proporzioni vicine a quelle che abbiamo trovato nelle transazioni fra (coresidenti) parenti, l’indebitamento celato sotto la formula del prezzo di vendita già pagato è sensibilmente più basso che tra coresidenti, sia parenti sia estranei. Qui, l’entità media delle singole transazioni è particolarmente elevata nel caso di debiti verso il compratore: circa 103 lire contro 90 fra parenti e 79 fra estranei. 98 CATTOLICI VALDESI CATT. A VALD. VALD A CATT. CONF. NON ID. TOTALE PAG. IMMED. PAG. PRECED. PAG. FUTURO CREDITO ACQUIR. CREDITO TERZI TOTALE percentuali num. £ 15,54 12,75 16,92 16,63 18,03 22,51 17,09 7,76 18,81 22,40 16,93 15,94 percentuali num. £ 56,76 47,72 65,41 49,22 62,30 40,60 58,12 34,31 52,48 33,54 59,92 43,54 percentuali num. £ 12,16 17,26 5,64 14,06 7,10 14,93 8,55 21,16 10,89 11,52 8,83 15,92 percentuali num. £ 10,14 14,55 8,27 11,59 7,65 17,28 11,11 28,62 13,86 25,11 9,66 17,21 percentuali num. £ 5,41 7,72 3,76 8,51 4,92 4,69 5,13 8,15 3,96 7,43 4,67 7,39 valori assoluti num. £ 296 12321 266 13560 183 9069 117 6750 101 3959 963 45659 Tab. 19. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la confessione religiosa dei contraenti. Dal punto di vista dell’affiliazione religiosa (cfr. tab. 19), osserviamo che l’incidenza di situazioni debitorie riguarda intorno al 70% del valore delle transazioni fra individui di eguale confessione, tanto fra i cattolici che fra i valdesi. Essa aumenta di poco nelle vendite di valdesi a cattolici (poco più del 71%) e cala invece sensibilmente quando sono questi ultimi a vendere ai primi (circa il 63%). Il peso delle transazioni effettuate in presenza di pendenze debitorie esplicitamente menzionate verso il compratore o verso terzi risulta in effetti notevolmente più accentuato nelle vendite di valdesi a cattolici che in tutte le altre situazioni: circa il 37% del loro valore nelle vendite di valdesi a cattolici; tra il 20 e il 22% in quelle di cattolici a valdesi e fra individui della stessa confessione. Il peso invece dell’indebitamento ‘implicito’ (i pagamenti già avvenuti alla formalizzazione notarile della vendita) appare superiore negli incontri fra correligionari, soprattutto valdesi – ed ovviamente quando i cattolici vendono a questi ultimi rispetto alla situazione inversa. Anche il valore monetario medio delle compravendite in presenza esplicita di debito, in generale più elevato in tutti gli scambi sul locale mercato della terra, è ancora superiore nel settore ‘interconfessionale’ delle transazioni, mentre le vendite per debiti ‘impliciti’ mostrano valori medi più cospicui fra contraenti della stessa fede, specialmente tra valdesi. Valori medi più alti nel settore ‘interconfessionale’ riportano anche pagamenti immediati e impegni di pagamento per il futuro. 99 PAG. PRECED. PAG. FUTURO CREDITO ACQUIR. CREDITO TERZI TOTALE CATTOLICI percentuali num. £ 21,53 20,41 percentuali num. £ 53,59 40,15 percentuali num. £ 5,74 10,75 percentuali num. £ 13,40 23,21 percentuali num. £ 5,74 5,49 valori assoluti num. £ 209 9110 VALDESI 30,08 27,32 40,60 22,53 4,51 16,39 20,30 28,26 4,51 5,50 133 12853 CONF. NON ID. 20,00 11,74 63,64 60,44 9,09 6,19 3,64 12,15 3,64 9,47 55 2164 PAG. IMMED. FORESTIERI RESIDENTI VENDITE DI VENDITE DI FORESTIERI A RESIDENTI A residenti: TOT. FORESTIERI- TOTALE 24,18 23,31 50,63 32,59 5,79 13,34 14,36 24,91 5,04 5,85 397 24127 CATTOLICI 19,74 11,63 40,79 25,70 22,37 44,95 9,21 13,28 7,89 4,43 76 4805 VALDESI 23,39 29,60 52,42 29,45 18,55 33,51 4,03 5,36 1,61 2,08 124 7067 CONF. NON ID. 25,53 29,43 53,19 56,16 12,77 7,79 4,26 1,18 4,26 5,44 47 2297 TOTALE 22,67 23,48 48,99 32,51 18,62 33,22 5,67 7,37 4,05 3,42 247 14169 23,60 23,38 50,00 32,56 10,71 20,70 11,02 18,42 18,42 4,95 644 38296 RESIDENTI Tab. 20. Compravendite fra residenti di Faetto e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la confessione religiosa dei contraenti di Faetto. Nell’interscambio con i forestieri (cfr. tab. 20), la minore incidenza complessiva del debito nelle vendite di residenti valdesi a forestieri (il 56,3% del valore delle transazioni contro il 68,9% nelle vendite effettuate da cattolici in questo stesso settore) si accompagna a una proporzione specialmente bassa dei pagamenti anteriori alla stipulazione del contratto (poco più del 22% del valore rispetto al 40% circa dei cattolici). In relazione al credito, i valdesi di Faetto sembrano dunque allacciare tanto con i coresidenti cattolici quanto con i forestieri, a differenza che al loro interno, rapporti vincolati a impegni e termini più puntuali, mentre situazioni dai contenuti e dal profilo temporale più indeterminati appaiono diffusamente associate al comportamento dei cattolici. Occorre poi sottolineare che, se nei confronti di questi ultimi i valdesi rivestono più spesso il ruolo di debitori che non quello di creditori, ciò avviene nel contesto di un bilancio globalmente positivo tra gli acquisti e le vendite da loro conclusi nel settore interconfessionale, oltre che di un minore indebitamento verso i forestieri. 100 RELAZIONE NON ID. ESTRANEI PARENTI CATTOLICI PAG. IMMED. PAG. PRECED. PAG. FUTURO CREDITO ACQUIR. CREDITO TERZI TOTALE percentuali num. £ 14,68 9,18 percentuali num. £ 55,05 44,25 percentuali num. £ 13,76 19,59 percentuali num. £ 11,93 20,73 percentuali num. £ 4,59 6,24 valori assoluti num. £ 109 5238 VALDESI 14,63 12,82 57,72 47,37 8,94 11,57 13,01 17,25 5,69 10,99 123 7728 CATT. A VALD. 13,04 9,05 69,57 43,08 8,70 13,02 8,70 34,86 0,00 0,00 23 1813 VALD A CATT. 12,50 5,82 56,25 47,83 9,38 19,18 12,50 14,36 9,38 12,81 32 1616 CONF. NON ID. 33,33 44,01 55,56 35,64 0,00 0,00 11,11 20,35 0,00 0,00 18 693 TOTALE 15,41 11,91 57,38 45,53 10,16 14,43 12,13 20,04 4,92 8,09 305 17088 CATTOLICI 15,68 15,04 57,84 50,32 11,35 15,68 9,19 10,07 5,95 8,89 185 7021 VALDESI 19,85 22,59 70,59 49,62 2,94 18,09 4,41 4,25 2,21 5,45 136 5595 CATT. A VALD. 18,59 25,37 60,90 39,71 7,05 15,76 7,69 13,18 5,77 5,99 156 7096 VALD A CATT. 19,05 8,43 58,33 29,62 8,33 21,91 10,71 33,32 3,57 6,72 84 5102 CONF. NON ID. 20,97 24,16 43,55 25,86 16,13 18,02 16,13 27,98 3,23 3,99 62 2409 TOTALE 18,30 18,85 60,03 41,37 8,51 17,57 8,67 15,63 4,49 6,59 623 27223 CATTOLICI 50,00 54,84 50,00 45,16 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 2 62 0,00 0,00 100,00 100,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 7 237 CATT. A VALD. 25,00 48,13 75,00 51,88 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 4 160 VALD A CATT. 0,00 0,00 100,00 100,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 1 32 CONF. NON ID. 0,00 0,00 76,19 53,44 4,76 2,57 9,52 20,89 9,52 23,10 21 857 TOTALE 5,71 8,23 80,00 62,17 2,86 1,63 5,71 13,28 5,71 14,69 35 1348 VALDESI Tab. 21. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata, la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti e la loro confessione religiosa. Nelle divergenze osservabili fra cattolici e valdesi, un ruolo importante sembra giocare la parentela. Già sappiamo che i valdesi concentrano i loro scambi all’interno di quest’area più di quanto non facciano i cattolici. Possiamo aggiungere ora che per i valdesi anche l’indebitamento vi ha un peso maggiore in confronto ai rapporti intrattenuti con i correligionari non parenti: oltre il 75% del valore nelle transazioni tra parenti contro circa il 60% nelle compravendite fra estranei (cfr. tab. 21). Nelle compravendite fra cattolici, al contrario, esso mantiene pressappoco la stessa proporzione sia nell’area della parentela sia in quella dell’estraneità: intorno al 70% del valore delle transazioni in entrambi i casi. È vero che anche l’indebitamento della popolazione cattolica registra la sua incidenza più elevata tra parenti, ma ciò si verifica solo nei confronti di parenti valdesi. Dal 1760: gli effetti di una crisi Come abbiamo visto in precedenza, i periodi di crisi che segnano gli anni Sessanta e Settanta inducono modificazioni sostanziali nel funzionamento del mercato locale della terra. Disaggregata per quinquennio e per quindicennio, la distribuzione delle transazioni secondo le categorie che fanno riferimento alla distanza sociale fra i contraenti rilfette abbastanza puntualmente le difficoltà intervenute. 101 anni 1731-1735 1736-1740 1741-1745 1746-1750 1751-1755 1756-1760 1761-1765 1766-1770 1771-1775 1731-1745 1746-1760 1761-1775 PARENTI ESTRANEI RELAZIONE NON ID. TOTALE percentuali num. £ 35,64 32,26 30,36 29,46 30,59 35,74 28,72 42,18 30,95 33,68 9,62 8,88 36,28 31,58 34,25 44,46 33,19 45,27 32,64 32,73 25,22 32,78 34,22 41,80 percentuali num. £ 58,42 61,09 66,07 69,57 67,06 61,30 69,15 56,73 66,67 64,64 88,46 90,82 61,06 65,82 63,01 53,86 61,21 49,31 63,22 63,89 72,61 66,01 61,71 54,78 percentuali num. £ 5,94 6,65 3,57 0,97 2,35 2,95 2,13 1,09 2,38 1,68 1,92 0,30 2,65 2,61 2,74 1,68 5,60 5,41 4,13 3,38 2,17 1,20 4,07 3,43 valori assoluti num. £ 101 3624 56 4032 85 4941 94 3836 84 3982 52 1656 113 5485 146 8442 232 9661 242 12597 230 9474 491 23588 Tab. 22. Compravendite fra residenti di Faetto: numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti (dati quinquennali e quindecennali). anni 1731-1735 1736-1740 1741-1745 1746-1750 1751-1755 1756-1760 1761-1765 1766-1770 1771-1775 1731-1745 1746-1760 1761-1775 VENDITE DI RESIDENTI A FORESTIERI VENDITE DI FORESTIERI A RESIDENTI COMPRAVENDITE FRA RESIDENTI TOTALE percentuali num. £ 24,39 22,94 20,43 15,20 28,57 33,30 23,53 41,21 34,48 32,99 26,80 27,20 21,46 24,09 25,49 26,56 21,27 30,52 62,05 61,81 58,23 50,07 59,73 52,82 percentuali num. £ 24,39 22,94 19,35 16,80 7,52 4,69 15,03 13,21 7,59 10,43 19,59 25,04 23,41 22,14 17,25 17,36 14,64 19,69 24,87 24,74 28,35 35,58 22,63 27,71 percentuali num. £ 24,39 22,94 20,43 15,20 28,57 33,30 23,53 41,21 34,48 32,99 26,80 27,20 21,46 24,09 25,49 26,56 21,27 30,52 13,08 13,45 13,42 14,34 17,64 19,46 valori assoluti num. £ 164 6483 93 5929 133 7968 153 8416 145 7038 97 3467 205 10200 255 15054 362 19400 390 20380 395 18921 822 44654 Tab. 23. Compravendite fra residenti di Faetto e forestieri: numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la residenza rispettiva dei contraenti (dati quinquennali e quindecennali). Dal 1760 circa l’attività tende, ad esempio, a svolgersi in misura maggiore rispetto al passato entro l’area sociale più vicina al venditore: diminuisce infatti il rilievo dell’interscambio con i forestieri e con gli estranei, mentre aumenta l’importanza di quello con i parenti (cfr. tabb. 22-23). Più ambigua si rivela invece la tendenza concernente il flusso che attraversa il confine confessionale, caratterizzato per tutto il periodo 1731-1775 da oscillazioni anche notevoli; un’inequivoca diminuzione percentuale sembra riguardare solo le vendite di valdesi a cattolici nel quinquennio 1771-1775 (cfr. tab. 24). 102 CATT. A VALD./ VALD A CATT. CATTOLICI VALDESI CATT. A VALD. VALD A CATT. CONF. NON ID. 1731-1735 1736-1740 1741-1745 1746-1750 1751-1755 1756-1760 1761-1765 1766-1770 1771-1775 percentuali num. £ 42,57 47,88 33,93 23,41 25,88 18,88 29,79 27,63 30,95 35,61 30,77 22,64 27,43 20,40 37,67 34,53 24,14 18,86 percentuali num. £ 19,80 12,86 21,43 41,12 25,88 26,37 29,79 33,45 33,33 23,63 36,54 31,70 29,20 27,42 24,66 25,27 29,31 38,78 percentuali num. £ 13,86 13,02 23,21 25,37 30,59 25,50 22,34 24,95 15,48 13,46 21,15 24,88 19,47 27,57 13,70 13,62 18,53 18,08 percentuali num. £ 7,92 6,73 7,14 6,89 10,59 20,34 11,70 10,92 14,29 22,30 7,69 19,81 16,81 16,59 15,75 21,93 11,64 8,56 percentuali num. £ 15,84 19,51 14,29 3,20 7,06 8,91 6,38 3,05 5,95 5,00 3,85 0,97 7,08 8,02 8,22 4,66 16,38 15,71 valori assoluti num. 101 56 85 94 84 52 113 146 232 £ 3624 4032 4941 3836 3982 1656 5485 8442 9661 num. 1,75 3,25 2,89 1,91 1,08 2,75 1,16 0,87 1,59 £ 1,93 3,68 1,25 2,28 0,60 1,26 1,66 0,62 2,11 1731-1745 1746-1760 1761-1775 34,71 30,43 28,92 22,31 32,61 27,90 21,90 19,57 17,31 8,68 11,74 14,05 12,40 5,65 11,81 242 230 491 12597 9474 23588 2,52 1,67 1,23 1,80 1,17 1,23 anni 28,67 30,11 24,83 27,20 29,02 31,30 21,87 20,11 18,69 12,12 17,26 15,21 10,13 3,50 9,97 TOTALE Tab. 24. Compravendite fra residenti di Faetto: numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la confessione religiosa dei contraenti (dati quinquennali e quindecennali). Un dato meno opinabile è tuttavia che il bilancio delle vendite sembra farsi più cupo per la popolazione cattolica. Nelle transazioni fra residenti di Faetto, soprattutto sul lato del loro valore monetario, il rapporto fra le vendite di cattolici a valdesi e quelle di valdesi a cattolici è quasi sempre molto alto. Fino al 1750, la proporzione delle prime sul totale del valore dell’interscambio fra le due componenti confessionali si mantiene infatti tra il 55 e il 70% circa, con un picco che sfiora l’80% in corrispondenza del quinquennio 1736-1740. La stessa proporzione cala poi drasticamente negli anni 1751-1756 (arrivando sotto il 40%), ma torna a crescere fino a oltre il 60% nel quinquennio 1761-1765, dopodiché si riduce nuovamente ai livelli dei primi anni Cinquanta. Riprende tuttavia a salire bruscamente subito dopo, nel 1771-1775, raggiungendo e anzi superando le proporzioni di dieci anni prima, situandosi così a 10 punti sopra la media dell’intero periodo di osservazione. Se sommassimo a queste transazioni anche quelle concluse con forestieri di cui ci è nota l’identità confessionale, lo squilibrio dei cattolici sul versante dell’alienazione della terra arriverebbe allora a toccare l’86% in coincidenza degli anni 1771-1775. È un ulteriore indizio dell’effetto fortemente sperequativo che l’interscambio con i forestieri, in prevalenza valdesi, imprime alla posizione relativa delle due componenti religiose di Faetto sul mercato della terra. 103 V. Credito, solidarietà e coesistenza religiosa Nei due precedenti capitoli abbiamo visto all’opera un mercato della terra molto vivace, innescato però, in larghissima prevalenza, da un unico meccanismo: l’indebitamento o la ricerca di credito da parte del venditore. Questo peculiare mercato ci è apparso inoltre segnato sia da una proporzione assai elevata di transazioni che avvengono nell’area della parentela sia dall’intensità dell’interscambio tra cattolici e valdesi. Sebbene i limiti delle fonti non ci consentano di sapere quasi nulla sulle ragioni di scambio applicate, anche solo il bacino geografico di affluenza, molto ridotto, dei partecipanti è un significativo indizio del fatto che quel mercato genera e mette in relazione valori economici fungibili o comunque mediabili soltanto in una situazione strettamente locale. Per qualsiasi proprietario o mercante della capitale, del capoluogo provinciale o anche di un vicino borgo della pianura, ad esempio, essi sembrerebbero probabilmente aberranti e privi d’interesse. Come in altre realtà alpine, essi acquistano un senso solo entro sistemi economici specifici.1 In questo capitolo, cercherò di mostrare come i guadagni che, attraverso l’indicatore ancorché imperfetto, dei bilanci in termini monetari tra acquisizioni e cessioni di terra, abbiamo visto concentrarsi nelle mani della componente valdese, così come la maggiore importanza della parentela negli scambi al suo interno, abbiano un valore misurabile essenzialmente in termini politici e rispondano in primo luogo a una strategia collettiva di creazione di comunità. È chiaro, d’altra parte, che la stabilità, la riduzione dell’incertezza, il grado di protezione dall’ingerenza di forze ostili conseguibili in tal modo costituiscono nello stesso tempo un obiettivo economico, il presupposto anzi per la riattivazione di tradizionali interdipendenze produttive e territoriali, dopo la devastazione provocata dalle persecuzioni. Diverse logiche di reciprocità sono apparse in filigrana a regolare l’incontro della domanda e dell’offerta sul mercato. Accanto alle interazioni improntate a un gioco immediato di contropartite materiali e aspettative di più corto respiro, numerose catene di transazioni lasciano intravedere configurazioni in grado di reggere nel tempo e di attraversare le diverse congiunture economiche.2 In molti casi, tali configurazioni sono contrassegnate da una marcata asimmetria interna; esse mettono cioè in contatto soggetti che partecipano al mercato quasi esclusivamente o prevalentemente nella veste di venditori con altri che vi compaiono solo o soprattutto come acquirenti. Si tratta perciò di rapporti interpersonali dalla distinta connotazione ‘verticale’, legata alla diversità di estrazione sociale e livello di ricchezza,3 e che non di rado, inoltre, intersecano la divisione confessionale. Il dato per noi forse più interessante è che quando ciò si verifica la 1 Lorenzetti, Merzario, 2005, pp. 15-29, 85-120. Spesso basati, nelle regioni alpine, su un’economia legata alla migrazione stagionale e al commercio, che assicuravano a molti nuclei domestici apporti monetari di entità inusuale in buona parte delle comunità rurali della pianura (ibid.). 2 Introdotto da Norbert Elias, il concetto di “configurazione” si ispira a un modello processuale di interdipendenza fra attori sociali. In questa prospettiva, sono le concrete relazioni fra le persone, più che astratte funzioni o norme, a costituire una “struttura sociale” (Elias, 1990, p. 211). Per un’interpretazione simile di ciò che costituisce una struttura sociale cfr. Wellman, Berkowitz, 1988b, pp. 1-14. 3 Fondamentale sulle relazioni “verticali”, in particolare, quelle cementate dal credito, Allegra, 1987 (specialmente pp. 90-91). 104 sperequazione fra acquirenti e venditori non solo tende ad accentuarsi, ma anche a coincidere con un evidente disequilibrio fra la partecipazione al mercato delle due componenti religiose. Questa appare infatti concentrata sul lato degli acquisti nel caso dei valdesi e su quello delle alienazioni per quanto riguarda invece i cattolici.4 Non possiamo andare molto al di là di ciò che suggeriscono i bilanci della partecipazione degli individui al mercato della terra. Gli episodi di cui sono intessute le relazioni fondate sul credito sono infatti poco documentati dalle fonti notarili. Sembra chiaro che normalmente accordi e transazioni venissero trascritti in atti privati o consegnati a intese verbali, in cui la presenza di testimoni appariva una sufficiente garanzia per il loro carattere vincolante. Di tempo in tempo, la certificazione notarile interveniva a fissare un bilancio della situazione del dare e dell’avere, registrando il consenso (usualmente provvisorio) raggiunto a quel punto tra le parti in merito alla sua liquidazione. Questa circostanza preclude una ricostruzione sistematica dei vari passaggi che portarono alla stipulazione di una vendita o di una scrittura di debito, ma alcuni casi si prestano a una più concreta illustrazione dei significati assunti dal mercato della terra e dal credito in una società locale segnata dalla differenza religiosa. Seguiremo, in particolare, le tracce di un gruppo familiare nella cui intensissima attività di compratori-prestatori sembrano convergere le strategie di sopravvivenza e di riproduzione sociale di un buon numero di abitanti della Val San Martino. Con qualche eccezione, mi limiterò alle transazioni in cui almeno uno dei partecipanti è un abitante di Faetto. I creditori: eredità materiali e simboliche Come abbiamo visto, gli acquirenti più attivi sul mercato della terra sono valdesi di Faetto oppure personaggi forestieri, anch’essi con ogni probabilità in buona parte valdesi. Fra tutti, abitanti di Faetto e forestieri, primeggiano per frequenza e dimensioni dei loro interventi, alcuni esponenti della parentela valdese Bert, residenti a Riclaretto. Ci siamo già imbattuti in questa discendenza: l’inchiesta conclusa nel 1725 segnala infatti tra i “rifugiati” presenti a Faetto i fratelli Giovanni e Maria fu Giovanni Bert, all’epoca l’uno ancora celibe e l’altra vedova. Insieme con l’altro fratello Tommaso, nel frattempo defunto, erano giunti in Val San Martino dalla Val Pragelato attorno alla metà degli anni Novanta del secolo precedente, al seguito della madre, unitasi in seconde nozze con il maggiore e chirurgo Giovanni Malanot di Faetto,5 uno dei personaggi più in vista, per ricchezza e prestigio politico, della Val San Martino.6 4 I dati anagrafici riguardanti i personaggi citati di seguito (precisi, approssimativi o semplicemente relativi a un termine ante o post quem) sono stati attinti da tutte le fonti disponibili: dai registri parrocchiali, ovviamente, quando ciò è stato possibile, ma anche dagli atti notarili, nonché, per le date successive al 1775, dal ricco apparato documentario in Tron, 1987, appendici 2-6 e Allegati. 5 Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R.P.R., m. 101, Volume d’Informazioni, cit. La madre dei Bert, Maddalena Pastre, era probabilmente imparentata con Daniel Pastre, il pastore della chiesa di Pragelato illustratosi alla metà del secolo XVII nella difesa dell’ortodossia riformata sia contro le posizioni arminiane sia nei confronti dell’intensa attività di polemista antiprotestante svolta da un precedente pastore della stessa chiesa, Jean Balcet, dapprima arminiano e infine, nel 1629, passato nel campo cattolico. Daniel Pastre (latinamente, Pastor) pubblicò nel 1652 a Ginevra Le Manuel du vray Chrestien, improntato al rigoroso 105 Non è però dato trovare il cognome dei Malanot sul registro della chiesa di Villasecca (la cui serie dei battesimi inizia solo nel 1730). Nelle fonti notarili dell’insinuazione compare una sola volta, in un atto stipulato nel 1736 a Perrero.7 I “comparenti” sono cinque fratelli di Riclaretto,8 convertiti al cattolicesimo, che si confessano “debitori dell’illustre signor Giovanni Malanotto fu Giovanni di Riclaretto”, minore e ufficiale nell’esercito sabaudo in qualità di “alfiere nel Reggimento della Reina”. Il debito consiste in 60 lire di capitale contenute in una “scrittura d’obbligo” sottoscritta nel 1702 da un defunto che porta lo stesso cognome dei debitori, ma di cui non è precisato il grado di parentela, e in 10 lire attestate da un’altra “scrittura” del 1709 a nome del loro padre, anch’egli defunto. Il prestatore è Giovanni Malanot padre. Malanot figlio ha ottenuto dal podestà di Perrero un’ordinanza che condanna i debitori al pagamento di quelle somme, più un anno di interessi decorsi e le spese giudiziarie. Per ottemperarvi, i debitori decidono di addivenire all’“alienazione” di due appezzamenti.9 Il compratore è il prevosto di Faetto e Riclaretto, che “realmente sborsa” il prezzo stabilito al notaio cattolico presente in qualità di “curatore della persona e beni” del creditore10. Usciti di scena i Malanot, i loro beni nella Val San Martino finiranno tuttavia con il restare saldamente nell’orbita dell’élite valdese: in particolare, nelle mani dei Bert. Molto tempo dopo la transazione sulla quale ci siamo appena soffermati, infatti, un atto notarile del giugno 1762, ci mostra Giovanni Bert fu Tommaso (probabilmente il figlio del Tommaso nominato sopra) agire per ricuperare alcuni vecchi crediti in qualità di “cessionario e acquisitore de’ beni, ragioni et eredità del fu maggiore Malanot”. Bert certifica di aver acquisito questi diritti alcuni mesi prima a Ginevra, grazie a uno strumento “passatogli dal signor Benedetto Andrea Derodon mercante in Geneva a cui furono pervenuti li beni e ragioni predette”.11 predestinazionismo affermato nei canoni della sinodo di Dordrecht e accettato come ortodossia anche dalla Chiesa riformata di Francia. (cfr. Corsani, 1987). 6 Nel 1724, ad esempio, farà parte della delegazione valdese incaricata di affrontare presso la corte sabauda la delicata questione delle ripercussioni della promulgazione delle Regie Costituzioni sulla posizione giuridica della minoranza; l’anno successivo sarà fra gli esponenti della Val San Martino interpellati dal Senato di Pinerolo a conclusione dell’inchiesta riguardante il rispetto degli editti concernenti i valdesi di cui abbiamo parlato nel capitolo I (vd. Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R.P.R., m. 101, Volume d’Informazione, cit. e Risposte datte da Ministri, cit.). Giovanni Malanot era stato forse il più ricco proprietario della Val San Martino e uno dei partecipanti alla spedizione militare della Rentrée del 1689 (cfr. Armand Hugon, 1974, p. 122; alcune notizie biografiche su Giovanni Malanot e il fratello Guglielmo, pastore, anche in Tron, 1990, pp. 336-337). 7 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 164, cc. 476v-478r, Compra per il molto Illustre e molto Reverendo Prette signor D. Gio. Michelle Marra Prevosto di Faetto e Riclaretto a Pietro Giacomino di detto Riclaretto, 23 aprile 1736. I testimoni presenti appartengono come i Malanot alla locale élite valdese: accanto al “chirurgo” Giovanni Bert di Riclaretto (evidentemente il figlio di Giovanni e di Maddalena Pastre), il pastore stesso di Villasecca Eliseo Giaiero (Jahier). 8 Pietro, Antonio, Giacomo, Francesco e Maddalena Giacomino fu Giovanni. 9 Una pezza di vigna di 17 tavole e di una pezza di campo e prato, entrambe situate sul territorio di Riclaretto. 10 Il notaio Giovanni Battista Rabbi di Perrero, curatore “provisto come per atto giudiciale” seguito davanti al podestà di Perrero nel 1735. 11 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 221, cc. 71-72, Cessione fratelli Macelli al signor capitano Gio. Berto del fu Tommaso, 14 giugno 1762. 106 Quali che siano state le vicende di questo patrimonio, dipanatesi per oltre venticinque anni tra le Valli valdesi e Ginevra, appare chiaro che spetta infine agli oriundi pragelatesi e profughi Bert raccogliere l’impegnativa eredità dei Malanot – non da ultimo, sostituendoli nella loro rete di rapporti di credito e presumibilmente espandendola. La schedatura degli atti notarili ci restituisce le tracce dell’attività sul mercato della terra di Giovanni Bert fu Giovanni (m. 1753), del figlio Davide (n. 1730 – m. dopo il 1788), di Antonio (m. dopo il 1775) e Giovanni (m. dopo il 1780), figli di Tommaso. Tutti possono fregiarsi dell’appellativo “signore”. Giovanni di Tommaso è inoltre “chirurgo e capitano” e in questa veste in effetti, fra il 1747 e il 1780, presta la sua consulenza come perito presso il tribunale della valle in pressoché tutti i casi di ferimenti e morti violente.12 Antonio si aggiudica l’appalto della gabella del sale per le comunità di Faetto, Riclaretto e Bovile per quindici anni tra il 1751 e il 1769.13 Davide è un “negoziante”, che nel 1780, deponendo dinanzi al tribunale della valle, dichiara un patrimonio di “mille doppie e più”.14 Sono quasi sempre lui o il cugino Giovanni i fideiussori di Antonio quando questi è “gabellotto” del sale. A partire dagli anni Cinquanta, ogniqualvolta si rende necessario il giudizio di un esperto per stimare il valore dei beni che sono oggetto di una transazione, qualunque sia l’affiliazione confessionale delle parti, di norma è Antonio Bert a essere interpellato, “come persona nottoriamente riputata per avente maggior perizia sovra il valore de beni e pratichissima del reddito secondo i siti e qualità de fondi esistenti in questa valle”.15 Dalla metà del decennio successivo, comincia a comparire nella medesima funzione anche il più giovane Davide. Non sempre i loro interventi di “estimatori” si configurano come esclusivamente tecnici; a volte, richiedono infatti una vera e propria opera di mediazione fra le parti, fino ad assumere le apparenze più vincolanti della decisione arbitrale.16 La 12 Tron, 1990, Allegati. Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, Deputazione di Gabellotto fatta dalle Comunità di Riclaretto, Faetto e Bovile (per gli anni 1751-1759, 1761, 1763-1769), vol. 195, cc. 64v-65, 13 dicembre 1750; vol. 197, cc. 233-234r, 15 dicembre 1751; vol. 199, cc. 113-114, 15 dicembre 1752; vol. 201, cc. 305v306, 13 dicembre 1753; vol. 206, cc. 122v-123, 16 dicembre 1754; vol. 209, c. 423, 14 dicembre 1755; vol. 212, c. 98, 14 dicembre 1756; vol. 214, cc. 66v-67, 15 dicembre 1757; vol. 215, cc. 470-471, 14 dicembre 1758; vol. 219, c. 5, 14 dicembre 1760; vol. 221, cc. 321-322r, 1 dicembre 1762; vol. 225, cc. 16-17, 17 novembre 1763; vol. 232, cc. 262-263, 20 novembre 1766; vol. 235, cc. 795v-796, 9 novembre 1767; vol. 239, cc. 89-90r, 13 dicembre 1768. La gabella del sale costituiva non solo una privativa sul commercio di quel prodotto essenziale, ma comportava anche l’acquisto forzoso di una quota determinata del prodotto stesso da parte dei capifamiglia (calcolata in base al numero ed età dei membri della famiglia e degli animali eventualmente posseduti), oltre che degli osti e di coloro che esercitavano altri mestieri legati all’alimentazione. Negli stati sabaudi del secolo XVIII esisteva una fitta rete di “banchieri” e “gabellotti” incaricati della distribuzione del sale a livello locale. I primi gestivano magazzini situati nei centri maggiori dai quali i secondi, insediati nelle singole comunità o nei “luoghi separati”, si rifornivano. Entrambe le funzioni venivano aggiudicate tramite appalto e compensate con un “agio” sul prezzo di vendita. 14 Tron, 1987, Allegati, scheda 241 (procedimento iniziato il 2 agosto 1780). La doppia di Savoia detta “del 1755”, che ebbe corso sino al 1786, equivaleva a 24 lire di Piemonte (cfr. Martinori, 1915, s.v. Doppia). 15 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 266, cc. 381-383, Compra per messer Tommaso Freyria fu Gioanni dalli fratelli Poetti, 11 ottobre 1774. 16 La differenza tra mediazione (suggerire compromessi) e arbitrato (imporre soluzioni) è definita e discussa in Bailey, 1975, pp. 74 e 112-116. Sulle implicazioni sociali e culturali dei processi di estimazione vd. Barbot et al., 2010. 13 107 competenza e il capitale relazionale acquisiti dai Bert dischiudono, ad esempio, al loro intervento il delicato campo intrafamiliare delle sistemazioni successorie: nel 1768 lo stesso Antonio Bert è “elletto per arbitro” dai fratelli Bertalmio, apparentemente fra i contadini cattolici più benestanti di Faetto, per la divisione dell’eredità del padre, morto intestato l’anno precedente.17 La presenza dei Bert nel contesto locale ci appare dunque connotata da una grande visibilità sociale, che deriva dalla molteplicità, delicatezza e pubblicità dei ruoli esercitati.18 Spesso, la loro attività reca infatti con sé un riconoscimento pubblico della loro autorevolezza, da parte tanto dei valdesi quanto dei cattolici. Il fatto che un atto ufficiale della comunità di Faetto come la redazione annuale dei “conti della taglia” a cura del segretario e alla presenza del consiglio della comunità si compia dal 1746 al 1770 nelle loro dimore apporta una sottolineatura quasi rituale a tale riconoscimento.19 I legami dei Bert con l’élite pastorale valdese e l’inserimento nei quadri istituzionali della loro chiesa risultano altrettanto indiscutibili. Quest’ultimo, in particolare, è testimoniato dalla loro partecipazione ai sinodi delle chiese valdesi e dalla carica di anziani ricoperta nel concistoro della chiesa di Villasecca.20 Dal 1747, inoltre, Giovanni fu Tommaso anticipa regolarmente la quota spettante alla comunità valdese di Faetto delle spese sostenute per organizzare i sinodi.21 La connessione Bert-Malanot è già stata 17 Ibid., vol. 238, Divisione delli fratelli Bertalmio, 10 giugno 1768. “Social visibility is a function of the number of social roles one plays” (Boissevain, 1974, p. 107). 19 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, Conto della taglia della comunità di Faetto (relativamente agli anni 1745-1751, 1753-1765, 1767-1769), vol. 186, cc. 604v-608, 2 giugno 1746; vol. 188, cc. 780-784, 2 maggio 1747; vol. 190, cc. 292v-296, 25 maggio 1748; vol. 192, cc. 453v-457, 15 aprile 1749; vol. 194, cc. 441-443, 13 maggio 1750; vol. 196, cc. 385-388, 19 maggio 1751; vol. 198, cc. 431-434, 13 aprile 1752; vol. 203, cc. 663-667, 19 aprile 1754; vol. 209, cc. 144-149, 28 maggio 1755; vol. 211, cc. 600603, 8 maggio 1756; vol. 213, cc. 644-647, 8 luglio 1757; vol. 214, cc. 711-714, 24 maggio 1758; vol. 216, cc. 400-403, 10 maggio 1759; vol. 218, cc. 720v-722, 14 maggio 1760; vol. 220, cc. 315v-318, 2 aprile 1761; vol. 221, cc. 153-157, 29 marzo 1762; vol. 223, cc. 264-268, 6 aprile 1763; vol. 227, cc. 160-163, 2 luglio 1764; vol. 229, cc. 209-213, 25 maggio 1768; vol. 240, cc. 307-310, 20 marzo 1769; vol. 245, cc. 472-476, 14 marzo 1770. Il “conto della taglia” o, più precisamente, “conto esattoriale”, dell’anno scaduto, doveva essere presentato, unitamente ad altri documenti riguardanti l’esazione fiscale e l’amministrazione finanziaria della comunità, all’intendente della provincia, al quale competeva esaminarlo prima di procedere all’approvazione (“ammissione”), con ampia facoltà di modifica, del “causato” o “imposto” (il bilancio preventivo dell’imposizione fiscale e delle spese della comunità). Le modalità della sua redazione furono disciplinate da norme precise che, in particolare, ne prescrivevano la pubblicità (cfr. Istruzione data d’ordine di S. M. dal Generale delle finanze agli Intendenti delle province, 7 marzo 1750, parr. 3-6, in Duboin, 1818-1869, tomo IX, vol. XI [1833], libro VII, tit. X, pp. 143-148; Bracco, 1981, p. 16; Bodo, 1950, p. 78). 20 Giovanni Bert fu Giovanni, il figlio Davide, il capitano Giovanni fu Tommaso, Giovanni Enrico suo figlio (n. 1749 – m. dopo il 1788), Tommaso figlio di Antonio (n. 1737 – m. dopo il 1795) partecipano spesso in qualità di delegati laici ai sinodi tenutisi fra il 1739 e il 1795 (cfr. Pons, 1948, pp. 119-197). Giovanni fu Giovanni, Giovanni fu Tommaso, Davide di Giovanni, Tommaso di Antonio ricoprono tutti la carica di anziani del concistoro della chiesa di Villasecca: in particolare, Giovanni fu Tommaso almeno dal 1745, Davide probabilmente a partire dagli anni Ottanta (cfr. Tron, 1987, Allegati e ACV, Livre, cit., 18 aprile 1741, atto di battesimo di “Jeanne fille du sieur Jean Bert ancien feu Thomas et de Suzanne Forneron sa femme”, nata il 2 dello stesso mese). 21 Ricavo questa informazione dai conti esattoriali di Faetto. Essi, come del resto tutti quelli delle comunità delle Valli Valdesi, riportavano anzitutto l’ammontare della taglia (“caricamento”) stabilito nel “causato” e fissato separatamente per i cattolici e per i valdesi. In favore dei primi si applicava usualmente la deduzione nota come “grazia del terzo” alla quota d’imposizione destinata alle finanze statali. Al “caricamento” seguiva 18 108 ricordata; quando, nel 1752, Davide sposa Giovanna Elisabetta, figlia del pastore Davide Léger, egli lega il proprio nome a quello di un’altra eminentissima dinastia, intimamente associato alle memorie eroiche delle persecuzioni e all’esemplarità acquisita dalla vicenda valdese in tutta l’Europa protestante.22 L’identità sociale dell’élite valdese si definisce dunque fondamentalmente attorno al nesso chiesa-comunità. I Bert restano però una parentela ‘laica’, dedita alle occupazioni di natura commerciale e a operazioni finanziarie connesse con la fiscalità sabauda.23 Il mondo dei debitori Circuiti valdesi Veniamo ora all’attività dei Bert sul mercato della terra. Essa si risolve quasi esclusivamente in acquisti: 78, per un valore totale di 6388 lire, contro soltanto 11 vendite, pari a 814 lire.24 Le transazioni riguardano beni dalle destinazioni produttive più varie e la gamma dei valori è parimenti molto ampia. Nell’85% dei casi, gli acquisti servono a compensare prestiti concessi ai venditori. Sei delle vendite sono in realtà, formalmente o di fatto, retrovendite. In questa vasta ma dispersa attività acquisitiva non è dato ravvisare una chiara logica di investimento fondiario. Un principio alternativo di coerenza nell’azione dei l’elenco dei carichi e delle spese cui era andata soggetta la comunità nel suo insieme nell’anno conclusosi (“scaricamento comune”). Un’ultima parte del conto elencava alcuni capitoli di spesa particolari a ciascuna delle due comunità religiose (“conto particolare dei cattolici” e “conto particolare dei religionari”), che doveva farvi fronte a proprio esclusivo carico: la taglia sul “registro” intestato alla parrocchia cattolica e alla chiesa valdese, le spese per il culto (che nel caso dei valdesi comprendevano lo stipendio del pastore e le somme destinate all’organizzazione dei sinodi) e per l’istruzione. 22 Il bisavolo di Elisabetta è infatti Jean Léger (Villasecca 1615-Leida 1670), il più fortunato degli storiografi e agiografi valdesi; moderatore dal 1653, fu il leader della resistenza valdese durante la “primavera di sangue” del 1655 e negli anni che seguirono. Condannato a morte, esulò dapprima a Ginevra e poi a Leida, dove nel 1669 pubblicò la celebre Histoire générale des Eglises Evangéliques des Vallées du Piémont ou Vaudoises (cfr. Armand, Hugon, 1974, pp. 92-93 e 103-106). Il figlio di Giovanni, Davide, nonno di Giovanna Elisabetta, vicemoderatore, fu arrestato nel 1686 e detenuto fino al 1690 nella fortezza di Verrua (cfr. ibid., p. 148). Il nonno di Jean, il pastore Antoine Léger, nel 1628, su indicazione della chiesa ginevrina, era stato inviato a Costantinopoli in qualità di cappellano presso l’ambasciata olandese, allo scopo di allacciare rapporti con il patriarcato greco-ortodosso (cfr. ibid., p. 60). Un altro personaggio piuttosto noto in questa discendenza fu il pastore ginevrino Michel Léger, punto di riferimento internazionale essenziale per le chiese valdesi negli anni Trenta del secolo XVIII, in particolare come tramite per la distribuzione di aiuti finanziari provenienti dalle chiese protestanti europee, anzitutto quelle vallone delle Provincie Unite (cfr. Pons, 1930). Al tempo del matrimonio di Elisabetta, le ultime tre generazioni dei Léger, rappresentate dallo stesso Davide, dal padre Giacomo e dal nonno Davide, avevano retto quasi ininterrottamente dalla Rentrée la chiesa di Villasecca. (cfr. Pons, 1948, pp. 308-309). 23 Il primo pastore di cognome Bert documentato nelle Valli valdesi dopo la Rentrée è Pietro figlio di Giacomo, nato a Pramollo (bassa Val Chisone) intorno al 1745, che servì le chiese di Rorà e Bobbio Pellice dal 1765 alla morte, nel 1785. Ignoro tuttavia l’eventuale legame di parentela con i Bert di Riclaretto (cfr. Pons, 1948, p. 289). 24 Quando non è specificato altrimenti, i dati sugli acquisti e sulle vendite presentati escludono le transazioni che intervengono fra i membri dei segmenti familiari di cui si ricostruisce l’attività sul mercato. 109 Bert va però cercato non tanto in ciò che acquistano, ma piuttosto nel tipo di rapporto socioeconomico intrecciato con i soggetti dai quali comprano. Buona parte dell’universo sociale, cattolico e valdese, di Faetto è rappresentato nelle loro transazioni. Se scarsamente presente è la scarna élite25 dei notabili, gli imparentati Léger e Jahier,26 più numerosi figurano ad esempio gli esponenti di un milieu contadino prevalentemente valdese, apparentemente agiato e dotato di un certo prestigio di fronte alla comunità. I valori delle transazioni stipulate con i Bert dagli appartenenti a questo strato socioeconomico sono mediamente piuttosto elevati. La loro partecipazione al mercato sembra giostrare in maniera serrata fra urgenze di accesso alla liquidità affrontate mediante il ricorso a prestiti a breve termine e compensazioni legate a successioni e divisioni patrimoniali che coinvolgono una complessa trama di rapporti creditizi. In termini monetari, i loro bilanci individuali tra acquisti e vendite sono spesso abbastanza equilibrati,27 ma talvolta, anche pesantemente, negativi.28 Quasi tutti portano nomi 25 Uso il termine élite “in senso descrittivo”, a designare un segmento dei “detentori locali del potere, del prestigio e delle risorse strategiche” (cfr. Torre, 1983, pp. 13-14). I ruoli di élite in una comunità contadina ‘premoderna’ sono generalmente associati all’esercizio di una funzione di mediazione fra la comunità stessa e le strutture sovralocali che la intersecano (cfr., ad esempio, Tilly, 1976, pp. 66-67 e 86). Nel nostro caso, tra queste possiamo annoverare chiese, istituzioni e stati protestanti europei, lo stato sabaudo. In situazioni di questo genere, l’“orizzonte territoriale” degli attori sociali (Pitt-Rivers, 1976, p. 86) non costituisce un semplice fattore di distinzione culturale con deboli valenze gerarchiche, ma un criterio effettivo di stratificazione. 26 Nel 1775, Davide Bert acquista un orto dal cognato signor Davide Léger per 40 lire “precedentemente pagate. Lo stesso anno il cugino Giovanni Bert conclude con il signor Eliseo Jahier un affare invece indubbiamente cospicuo: passa infatti nelle sue mani una proprietà accorpata, comprendente un “corpo di casa”, un orto, un campo e un prato, del valore di 312 lire. Di queste, 86 sono destinate a rifondere due creditori dello Jahier, 162 vengono pagate con la cessione di un credito (verso un cattolico), 63 infine sono corrisposte in contanti (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 268, c. 187, Compra per il signor Davide Berto dal signor Davide Legero, 31 gennaio 1775; ibid., vol. 272, cc. 56-57, Compra per il signor capitano Gio. Berto dal signor Eliseo Giaiero, 21 agosto 1775). 27 I Poetto, ad esempio, sono presenti con due acquisti e tre vendite. Nel 1773, Davide Bert vende a Giovanni Matteo e al nipote Giacomo una vigna del valore di 150 lire, nel 1775 un campo e un prato a Matteo per 140 lire, entrambe le somme da pagarsi in futuro. Allo stesso Davide Bert, i fratelli Filippo e Matteo cedono nel 1774 alcuni appezzamenti di campo e di prato per 166 lire interamente pareggiate con la remissione di debiti verso il compratore; nel 1775 il solo Filippo vende una stalla “con grangia” per 81 lire ricevute in contanti; infine, lo stesso anno Matteo aliena un bosco di roveri per 65 lire rimborsate a creditori terzi del venditore. I Macello concludono con i Bert due acquisti: nel 1742, in solido, comprano un appezzamento di vigna da Antonio Bert per 47 lire pagate in contanti; Francesco, nel 1744, acquista un’altra vigna da Davide Bert per 125 lire con promessa di pagamento in futuro. Quanto ai cattolici Bertalmio, essi intervengono con due acquisti e due vendite. Pietro fu Giacomo, ottiene nel 1764 un complesso costituito da un prato, una broa, un gerbido e una bessea da Davide Bert per 115 lire da pagarsi in futuro; Giacomo fu Antonio, una vigna dal capitano Giovanni Bert nel 1769 per 50 lire in contanti. Pietro fu Giacomo vende nel 1775 un denaro di registro sull’Alpe della Balma per 10 lire “precedentemente pagate” a Davide Bert; sempre nel 1775 e al medesimo compratore, Antonio fu Giacomo, aliena casali, prati e vigne riscattabili entro tre mesi per un valore di 250 lire immediatamente ricevute in contanti (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 258, c. 499, Compra per messer Gio. Matteo e Giacomo zio e nipote Poetti dal signor Davide Berto, 15 marzo 1773; ivi, vol. 272, cc. 661-663r, Retrovendita signor Davide Berto a messer Matteo Poetto, 20 ottobre 1775; ibid., vol. 267, cc. 572-573, Compra signor Davide Berto dalli fratelli Poetti, 1 dicembre 1774; ibid., vol. 273, cc. 18-19r, Compra per il signor Davide Berto da Filippo Poetto, 20 ottobre 1775; ibid., cc. 22-23, Compra per il signor Davide Berto da messer Matteo Poetto, 28 ottobre 1775; ibid., vol. 177, cc. 56v-57v, Compra per li fratelli Macelli da Berto, 8 aprile 1742; ibid., vol. 263, cc. 410-411, Compra per 110 preceduti dall’appellativo “messere”29 e si ritrovano spesso fra gli anziani del concistoro della chiesa di Villasecca, i sindaci e i consiglieri della comunità di Faetto, gli esattori della taglia. Queste famiglie e i Bert si incontrano dunque su due terreni fondamentali: i ruoli ‘laici’ all’interno delle istituzioni ecclesiastiche valdesi; le attività e gl’interessi che gravitano intorno all’amministrazione di comunità e all’esazione fiscale.30 Prendiamo il caso di Tommaso Ferrier e dei suoi figli. Messer Tommaso (m. 1773) è consigliere e poi sindaco della comunità di Faetto intorno alla metà del secolo.31 La sua presenza sul mercato della terra, documentata dal 1733, è caratterizzata inizialmente da una messer Francesco Macello dal signor Davide Berto, 26 febbraio 1774; ibid., vol. 226, c. 385, Vendita signor Davide Berto a favor di messer Pietro Bertalmio, 9 maggio 1764; ibid., vol. 240, c. 302, Compra per Giacomo Bertalmio dal signor capitano Gio. Berto, 17 marzo 1769; ibid., vol. 270, c. 324, Compra per il signor Davide Berto da messer Pietro Bertalmio, 27 aprile 1775; ibid., vol. 272, cc. 62v-63v, Compra per il signor Davide Berto da Antonio Bertalmio, 21 luglio 1775). 28 Sembra questa la condizione di una ventina di contraenti: messer Tommaso Ferrero (Ferrier) fu Giovanni e i suoi quattro figli; messer Giovanni Giorgio (Jors) fu Giacomo (m. 1761) e due suoi figli; Filippo Poetto fu Giacomo (m. 1749), anziano della chiesa di Villasecca; alcuni fra i numerosi figli e nipoti di messer Pietro Reforno (Refourn) fu Giovanni (m. fra il 1743 e il 1746), anch’egli anziano, oltre che consigliere della comunità di Faetto nel 1742 e nel 1743, in particolare il figlio Giovanni (m. 1772), a sua volta anziano e consigliere nel 1761 e nel 1762, sindaco nel 1763; Tommaso Viglielmo (Villelm) del fu capitano Tommaso (m. 1772), “soldato nel Reggimento della Regina”, e il figlio. 29 In società come quella di cui ci stiamo occupando, “i contadini non hanno titolo di sorta, se non nel caso che posseggano una proprietà relativamente ampia” (Levi, 1985c, p. 60). 30 È possibile ricostruire l’identità degli esattori locali della taglia e dei “gabellotti” del sale attraverso gli ordinati comunali di Faetto copiati nei registri dell’insinuazione – oltre che dai “conti della taglia”, dalle “deputazioni di gabellotto” e dalle “deliberazioni della taglia” (i verbali dell’assegnazione in appalto della distribuzione locale del sale, nel primo caso, e della riscossione delle imposte prediali e personali, nel secondo). Come indice del livello di ricchezza di questa seconda cerchia di debitori, possiamo valerci dell’entità media delle doti ricevute dalle donne appartenenti ai loro lignaggi, oscillante tra le 200 e le 400 lire. Per situare quest’ordine di grandezza entro la gamma dei valori locali, è possibile un confronto con l’ammontare delle doti stipulate nel periodo 1695-1775, in cui troviamo, in particolare, un indizio della netta divaricazione dei livelli di ricchezza che separa le due componenti religiose di Faetto: basti qui rilevare che il 60% delle doti assegnate a donne cattoliche non supera le 50 lire, contro una percentuale corrispondente del 34,7 fra quelle destinate alle valdesi. La dote di entità più elevata di cui abbiamo notizia è quella di 650 lire legata a Giovanna Elisabetta Léger dal padre nel suo testamento del 1772; la più cospicua fra le doti cattoliche raggiunge invece le 310 lire. Il valore medio delle doti risulta eguale a 58 lire fra i cattolici e a 115 lire fra i valdesi. Come si è detto, tra coloro che si possono identificare con maggior sicurezza come appartenenti a uno strato superiore di matrice contadina, troviamo più spesso valdesi: ad esempio, i discendenti del “capitano”, ma soltanto “messere” e analfabeta, Matteo Poetto fu Giacomo (m. 1765), cinque volte sindaco fra il 1740 e il 1754, appaltatore dell’esazione della taglia ininterrottamente dal 1756 al 1760: i figli Filippo (m. dopo il 1775), Giovanni Matteo (m. dopo il 1775), Matteo (n. 1735 – m. dopo il 1775), il nipote Giacomo (n. 1754 – m. dopo il 1775), figlio del figlio Antonio (m. 1765); i fratelli Macello, Antonio (m. 1762) e Francesco (m. dopo il 1775) – quest’ultimo, sindaco nel 1760 e nel 1774, cinque volte consigliere fra il 1757 e il 1773, esattore nel 1761 e poi nuovamente nel 1765, 1767, 1770-1772. I genitori di questi ultimi, Tommaso (ca. 1664-1744) e Caterina Peironella (Peyronel), m. dopo il 1734, erano entrambi “relapsi” secondo l’inchiesta del 1725; il padre tornò successivamente al cattolicesimo, mentre la madre rimase probabilmente valdese sino alla morte. A queste parentele valdesi, possiamo aggiungerne una cattolica: quella di Giacomo Bertalmio fu Antonio (1740-1781) e dei cugini patrilaterali Pietro (1733-1802; esattore nel 1772, 1773 e 1775) e Antonio (1744-dopo il 1776; esattore nel 1774) figli del fu Giacomo. I loro genitori risultano in vari momenti sindaci e consiglieri, oltre che anch’essi esattori della taglia. 31 Consigliere nel 1749 e nel 1750; sindaco nel 1751. 111 serie quasi ininterrotta di acquisti, due dei quali a rimborso di vecchi crediti paterni.32 Dalla fine degli anni Quaranta, intervengono però sempre più fitte le vendite, contemporaneamente al succedersi dei matrimoni dei non pochi figli, quattro maschi e tre femmine, che hanno raggiunto l’età adulta. Nel 1767, i quattro figli maschi di Tommaso ottengono l’emancipazione, dichiarando di essere stati “a causa del mal regime sin qui avuto et de debiti in conseguenza mal a proposito contratti [...] forzati d’abbandonar il medemo [scil.: loro padre] e suoi beni per procurarsi con i loro travaglj et industria qualche avanzo pel loro sostentamento”. Sotto accusa sono “li spropositi e gravi dispendi che malamente fa il medemo a segno tale che loro travaglj non ponno congiontamente a redditi de beni d’esso suplire al pagamento degl’interessi de come sovra contratti debiti et de despendj che va continuamente facendo e di detto suo mal regime”. Il padre, che “pur tropo conosce il mal regime sin qui avuto de suoi affari”, dichiara a sua volta di volersi ritirare, cedendo ai figli l’intero suo patrimonio, in cambio del ripianamento dei debiti e di una pensione annua “proporzionata al suo stato e qualità con le robbe che li saranno necessarie per suo vestimento e calciamento”.33 A pochi mesi di distanza, nel febbraio 1768, lo stesso Tommaso Ferrier e il figlio Giovanni, anche a nome dei fratelli, fanno il punto con Davide Bert sulla situazione debitoria della famiglia. Ne scaturisce un documento in qualche modo unico, in quanto ci trasmette un’idea concreta della lunga e variegata interazione economica che può celarsi dietro un singolo contratto di vendita di terra. Ad esso sono state infatti allegate le copie di numerose scritture private intercorse fra Tommaso Ferrier e Giovanni Bert, il defunto padre di Davide, o lo stesso Davide, che trascrivono senza la formalità dell’atto notarile accordi e transazioni di varia natura. Si tratta, in particolare, di quietanze rilasciate dai Bert per 32 Di 144 e 120 lire (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 155, cc. 545v-546v, Compra per Tomaso Ferrero da Francesco Tessor, 15 febbraio 1734). 33 Ibid., vol. 236, cc. 48-50, Emancipazione messer Tomaso Ferrero a favor de suoi figlioli Gio., Pietro, Tomaso et Antonio, 3 novembre 1767. L’emancipazione era un atto di volontaria giurisdizione. Nell’antico diritto italiano le formalità del suo compimento erano particolarmente rigide, costituite da parole e gesti altamente ritualizzati. La cessione di una parte del patrimonio familiare all’emancipato vi era usualmente associata (praemium emancipationis) e si configurava quasi come una successione anticipata. Anche l’assunzione dei debiti contratti in precedenza dall’emancipante da parte dell’emancipato sino alla concorrenza del valore dei beni ricevuti in praemium,- nel nostro esempio presentata come una condizione posta dal padre all’emancipazione stessa, era in genere prevista allo scopo di tutelare i diritti dei creditori. Se esteso a tutti i figli, il meccanismo perciò conduce allo spossessamento e al ritiro paterni. L’eventualità che il padre si rivelasse dissipator bonorum suorum era una di quelle previste per l’emancipatio coacta, la forma cioè che non richiedeva il suo assenso. Nel nostro caso non si giunge a tanto e una situazione descritta in termini simili è così risolta consensualmente (emancipatio spontanea). La dottrina sottolineò comunque sempre l’elemento della voluntas del padre nell’abbandono – considerato un evento straordinario, un mezzo estremo o eccezionale – di quella che era concepita come una potestà naturale e vitalizia sulla propria discendenza (cfr. Pertile, 1966, vol. III, pp. 381-385; Bellomo, 1965; Alberti, 1934, pp. 76-80). A Faetto (1731-1775), oltre a quello citato, si contano quattro atti di emancipazione, compiuti da tre padri verso sette loro figli. Nel 1769, ad esempio, messer Giovanni Poetto, “in età avanzata e non più capace al travaglio di campagna”, si ritira in cambio di una pensione assicuratagli dai figli che ha appena emancipato (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 165, cc. 176v-177r, Emancipatione per Antonio Bertalmio da Pietro Bertalmio suo padre di Faetto, 26 giugno 1736; ibid., vol. 167, c. 23, Emancipatione per Pietro Legero da Tomaso suo padre, 12 giugno 1737; ibid., vol. 229, c. 161, Emancipazione per Matteo Poetto da Gio. suo padre, 21 maggio 1765; ibid., vol. 240, cc. 294-296, Emancipazione messer Gio. Poetto a favor de suoi figlioli Giacomo, Gio., Antonio e Filippo, 7 marzo 1769). Tommaso Ferrier è vedovo dal 1759. 112 somme ricevute dal Ferrier a titolo d’interessi dovuti; di carte attestanti acquisti a credito di capi di bestiame; di documenti che registrano la ripetuta concessione allo stesso Ferrier di prestiti in denaro; di un contratto di soccida.34 Il debito dei Ferrier verso Davide Bert ammonta a 363 lire, compensate con la cessione di alcuni fondi riscattabili entro 10 anni dall’alienazione. Nel frattempo, ai venditori viene consentito l’usufrutto mediante il pagamento dei carichi fiscali gravanti sui beni ceduti e la corresponsione all’acquirente di un interesse annuo del 4%.35 Un lieve miglioramento nella situazione dei Ferrier, di cui costituisce un piccolo segno il riacquisto di alcuni appezzamenti precedentemente alienati, sembra seguire all’avvento dei figli di Tommaso. Il periodo di osservazione residuo (1768-1775) è però troppo breve per poter giudicare se un assestamento venga realmente conseguito e sanato il dissesto ereditario. È vero comunque che le vendite proseguono, ma il loro ritmo rallenta. Gli acquirenti sono esclusivamente valdesi e talvolta appartengono a famiglie con le quali è intercorso negli anni precedenti un intenso scambio matrimoniale.36 34 I capi di bestiame acquistati a credito sono un montone nel 1761 per 4 lire, un manzo nel 1764 per 15 lire; i prestiti in denaro ricevuti: 67 e poi 36 lire nel 1744, 23 lire nel 1751, 35 lire nel 1753, 45 lire nel 1758, 40 lire nel 1759, 62 lire nel 1766. 35 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 237, cc. 51-54r, Compra per il signor Davide Berto da messer Tomaso e Gio. padre e figliolo Ferreri, 9 febbraio 1768. Il contratto di soccida, “una scrittura di mezzo incrasso o sia partiaria”del 1758, l’unico di cui si trova menzione nelle nostre fonti notarili, è così riportato nel documento: Tommaso Ferrero vi dichiara di “haver presso dal signor Davide Berto fu Giovanni una vacha pregnante con una manza di anni due circa tutte due di pello castagno a mezzo incrasso per anni quattro a venire, dette bestie stimate del valore di lire 55 regie di Piemonte e [...] promette di tenire dette bestie con quelle che nasceranno dalle sudette e da buon padre di fameglia, di nutrire tutti li allevi, che nasceranno dalle sudette bestie, et alla finitura di detti anni quattro detto signor Berto preleverà la sudetta somma di lire 55, et il più valore che saranno stimate dette bestie si partiranno mettà caduno et se in caso che venie a perdisse qualque una delle sudette bestie per disgracia la perdita sarà tutta del sudetto Ferrero”. 36 Quest’ultimo, riveste alcune tipiche forme incontrate a più riprese nella ricostruzione delle famiglie locali. Grazie soprattutto ai lavori di Raoul Merzario e di Gérard Delille (Merzario, 1981; Delille, 1988), sappiamo che si tratta di meccanismi complessi di alleanza matrimoniale in grado di strutturare durevolmente il campo della parentela e con esso i processi di riproduzione sociale. Alla base del loro operare si trovano regole fondamentali di reciprocità e una simbiosi profonda con il sistema di circolazione delle risorse. Il 21 marzo 1746 si celebrano i matrimoni di Giovanni e Anna Ferrier di Tommaso con Maria e Tommaso Refourn (Reforno) di Pietro; la stessa situazione si ripresenta il 6 dicembre 1751, quando Pietro Ferrier sposa Giovanna Refourn, mentre una sorella di Pietro, Maria, si unisce a un fratello di Giovanna, Giacomo. Riconosciamo in queste due repliche identiche di doppia unione fratello-sorella/sorella-fratello un tipo ampiamente diffuso di scambio matrimoniale ristretto, implicante cioè una reciprocità diretta e rapida nella cessione di spose fra due gruppi patrilineari. Il risultato è quello di abolire di fatto lo scambio effettivo delle doti. La contemporaneità delle cerimonie nuziali è un elemento caratteristicamente associato a questa e ad altre combinazioni che seguono una logica analoga. La strategia di alleanza preferenziale tra le “fratrie” Ferrier e Refourn si conclude tuttavia con un caso di scambio generalizzato, ossia mediato dall’intervento di un terzo gruppo familiare. Nel 1755, infatti, Tommaso Ferrier (n. 1732) sposa Anna Refourn (n. 1735); l’anno seguente, Giovanna Ferrier (n. 1733) sposa Giovanni Guillelmet (Guglielmetto) di messer Pietro (n. 1733); infine, nel 1761, Anna Guillelmet, sorella di Giovanni (n. 1741) si unisce a Davide Refourn (n. 1739). Invece di attenersi a un modello di restituzione duale e immediata, i gruppi familiari si impegnano qui nell’attuazione di uno schema tripolare e indiretto, nel corso del quale dapprima i Refourn cedono una donna ai Ferrier e questi, a loro volta, cedono una loro donna ai Guillelmet, i quali, chiudendo il cerchio, ne cedono una ai Refourn.36 Non sarebbe corretto pretendere di spiegare in maniera soddisfacente il significato di questa scelta isolandola da una storia di alleanze matrimoniali plurigenerazionale e dipanatasi entro un campo genealogico rilevante composto da diverse catene di discendenza, che è destinata a rimanere sconosciuta. La semplicità e 113 Il potenziale residuo di prestigio, di risorse materiali e relazionali che famiglie come i Ferrier sono in grado di mobilitare non è tuttavia così esile da consegnarle ad un sostegno puramente ‘assistenziale’ da parte dell’élite, mentre lascia ancora aperta la possibilità di imbastire con gruppi di pari status trame solidali di mutuo sostegno e, in particolare, di scambio matrimoniale improntato a forme di reciprocità che neutralizzano il pagamento effettivo delle doti. Questa resilienza e contemporaneamente alcuni rischi specifici di sovraesposizione e instabilità economica sono connessi ai ruoli pubblici svolti all’interno della comunità valdese e soprattutto nelle comunità amministrative, con le loro responsabilità e i loro addentellati fiscali. Il rapporto con i Bert assicura all’ambiente sociale rappresentato dai Ferrier le garanzie di solvibilità necessarie per adempire a questi ruoli cruciali, attraverso i quali si consolidano il radicamento territoriale della minoranza valdese e il suo potere negoziale nei confronti dello stato sabaudo. Famiglie cattoliche sulla via dell’emarginazione? L’apporto dei cattolici al volume numerico e monetario degli acquisti compiut dai Bert è però assai più sostanzioso di quello dei valdesi, concretandosi in 52 acquisti (pari al 66,7% del loro numero totale) per 4029 lire (il 63,7% del valore complessivo). L’inverso accade per le vendite: 7 vendite a favore di valdesi (il 63,6% del numero totale) per 603 lire (il 74,1% del loro valore). I Bert controllano una quota assolutamente preponderante del settore ‘interconfessionale’ del mercato: i loro acquisti dagli abitanti cattolici di Faetto equivalgono a oltre la metà (il 53,2%) del valore totale della terra venduta da questi a forestieri (in maggioranza valdesi, come sappiamo) e a oltre un quarto del valore ottenuto sommandovi le vendite a beneficio di coresidenti valdesi (26,6%). I Bert realizzano il maggior volume di acquisti da alcune famiglie apparentemente segnate da un disagio economico profondo e irreversibile. In quest’area si concentra infatti il 50,0% del numero, pari al 40,1% del valore, di tutti i loro acquisti; non vi compare invece una sola vendita. Il 73,7% del valore di queste transazioni è destinato alla cancellazione di debiti dei venditori, il 24,9% è pagato in contanti al momento dell’acquisto, all’1,4% infine corrispondono i pagamenti differiti. Alcune di queste famiglie compaiono nelle liste di convertiti compilate dai cappuccini della missione di Perrero nell’ultimo quarto del secolo XVII. I Grosso,37 ad esempio, di cui la rapidità del ciclo in cui essa si risolve giustifica comunque l’ipotesi che sia stata, almeno in parte, suggerita dal divario di età fra l’ultima nata dei Ferrier, Giovanna, e l’ultimogenito di Pietro Refourn, Davide, una circostanza che avrebbe reso difficile rispondere in termini di reciprocità diretta al matrimonio di Tommaso Ferrier con Anna Refourn. Da questo punto di vista, i fratelli Giovanni e Anna Guillelmet, in virtù delle loro caratteristiche anagrafiche, hanno assicurato una preziosa funzione di cerniera demografica tra i Ferrier e i Refourn. 37 Alla data del 1679, troviamo le conversioni di Caterina Manciona vedova di Giovanni Grosso (51 anni), dei figli Valerio (29 anni), Marta (15 anni) e Giovanni, di 12 anni (Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R.P.R., m. 95, fasc. s. n., Nota de Cattolizati da PP. Missionarij Capuccini nella Val di S. Martino dall’anno 1679 sin al presente, 3 marzo 1681, c. 127r). Maria sarà una delle due ragazze di Faetto ammesse alla Casa di rifugio istituita presso l’Albergo di virtù (Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R.P.R., m. 95, fasc. s. n., Nota delle figlie destinate per la Casa di Rifuggio stabilita da M.R. in Torino, s.d., c. 252r). Gli estratti delle quote di estimo catastale delle terre di Faetto intestate a cattolici e “cattolizzati”, compilati a istanza del Monte domenicale di Perrero per gli anni 1679-1684, 114 il notarile conserva 44 transazioni effettuate fra il 1731 e il 1775: un solo acquisto per un valore di 134 lire e ben 43 vendite (per 1820 lire). Quell’unico acquisto rappresenta il ricupero nel 1766, grazie a un prestito ottenuto dalla Regia opera dei prestiti, di alcuni appezzamenti ceduti l’anno precedente ad acquirenti valdesi di Prali, in pagamento di debiti contratti più di dieci anni prima.38 Quanto alle vendite, gli acquirenti maggiori dei Grosso, oltre ai Bert, presenti con 12 acquisti per un valore di 538 lire, sono appunto valdesi di Prali.39 Quando li ritroviamo nella documentazione notarile settecentesca, i Grosso sembrano aver smarrito ogni residuo della relativa solidità economica che apparentemente li caratterizzava ancora alla fine del secolo precedente. Una parabola simile sembrano aver percorso i Toya. Incontriamo il cognome per la prima volta in un elenco di cattolici e convertiti di Faetto compilato nel luglio 1686. La famiglia è giunta a Faetto da un’area prossima del Delfinato; accanto ai due nuclei di cui attribuiscono agli “eredi del fu Giovanni Grosso” un imponibile di 2 lire, 16 soldi, 2 denari, 2 punti esattoriali. Il “registro” di Faetto si compone di 127 lire poiché la ripartizione originaria del tasso ha gravato la comunità di un contingente pari a 127 scudi d’oro. Ai cattolici e “cattolizzati”, che annoverano 56 intestatari di partite catastali nel 1679 e 80 nel 1684, spettano negli stessi anni fra le 53 e le 59 lire. Lo spettro dei valori individuali va da 2 denari a circa 4 lire, la metà di essi situandosi oltre 1 lira, il resto visibilmente addensato attorno ai 10 soldi (Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 584, fasc. s. n., Atti de Conti seguiti sovra l’ammontare de debiti ducali e millitari portati nel corrente anno 1679 dalli registri tenuti da Particolari Cattolizati della Valle San Martino et Communità di Faetto, Manelia, Bovile, San Martino, Chiabrans, Macello, Riclaretto, Salsa, Prali, Rodoretto et Traverse, 18 novembre 1679, c. 23v; ibid., fasc. s. n., Liste nelle quali sono descritti li Particolari Registranti Cattolizati nella Valle di S. Martino, con il conto dell’ammontare de tasso, sussidio e grano del general comparto per li registri da medemi posseduti nell’anno corrente 1681, 28 settembre 1681, cc. s. n.; ibid., fasc. s. n., Notta del registro posseduto dalli Particolari Catolizati delle Comunità della Valle S. Martino infrascritte sì et come si vede dalli Cattastri di dette respettive Comunità, 8 dicembre 1682, cc. s. n.; ibid., fasc. s. n., Notta del registro posseduto dalli Particolari Cattolissati delle Comunità della Valle di S. Martino nel corrente anno 1683, 10 ottobre 1684, cc. s. n.; ibid., fasc. s. n., Notta delli Cattolizatti con li luoro respettivi registri et carighi dalli medemi descritti nel corrente anno 1684, s.d., cc. s. n.). Nel 1686 Valerio Grosso è morto; insieme alla madre e al fratello vivono la vedova, Anna (30 anni), e i tre figli Giovanni (6 anni), Giacomo (5 anni) e Pietro, di 3 anni (Asto, Sezioni riunite, Sez. II, art. 567, fasc. s. n., Consegna delle famiglie delli Cattolici, Cattolizati, & sottomessi in tempo habile delli Luoghi, et territorij della Valle di S. Martino, fatta li 14, 15 & 16 Luglio 1686, p. 17). La consegna del 1698 menziona un solo Grosso, Giovanni, a capo di un nucleo formato da cinque persone, una delle quali minore di 5 anni, e comprendente un servitore. Possiede allora 4 bovini e 12 pecore e/o capre (Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 531, Atti di consegna, cit.) Da un documento dello stesso anno apprendiamo che il suo imponibile ascende a 2 lire, 15 soldi, 5 denari, mezzo punto (Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 559, fasc. s. n., Ricavo di tutto il registro tenuto et posseduto dalli Cattolici e Cattolizatti della presente Valle di S. Martino nell’anno corrente 1698, 8 gennaio 1699, c. 5v), molto simile dunque a quello posseduto una ventina di anni prima dagli eredi Grosso. Nei registri parrocchiali di Trossieri compare la probabile discendenza di quest’ultimo, mentre non è presente alcun cognome identificabile con “Grosso” sul registro della chiesa di Villasecca.Figurano attivi sul mercato della terra: i fratelli Giovanni Sebastiano (m. 1767), Pietro (c. 1704-1734), Claudio (c. 1710-1740), Giovanni Michele (1713-1736) fu Giovanni; i figli di Giovanni Sebastiano, Giovanni Battista (1725-1778) e Giacomo (1722-dopo il 1774); i figli di Claudio, Giovanni (1733-dopo il 1776) e Claudio (1737-1773). 38 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 232, cc. 73-74, Retrovendita frattelli Bergeri a Gio. Sebastiano Grosso, 19 agosto 1766; ibid., vol. 229, cc. 236-237r, Dazion in paga Gio Sebastiano Grosso alli frattelli Bergeri di Pralli, 10 luglio 1765. La Retrovendita del 1766 costituisce l’unica traccia dell’attività dell’Opera dei prestiti conservataci dal notarile di Faetto. 39 Ibid., vol. 265, c. 209, Compra fratelli Bertalmio da Gio. Grosso, 11 luglio 1774. 115 allora si compone è infatti annotato: “tutti d’Abriès peccorari residenti a Faetto”.40 Nella consegna del 1698, Pietro Toya è l’abitante di Faetto con il gregge di ovini di gran lunga più numeroso: 45 capi.41 Le greggi sembrano costituire tutta la loro ricchezza, almeno a Faetto, poichè il Ricavo dei beni posseduti da cattolici e “cattolizzati” della comunità, che reca anch’esso la data del 1698, non menziona invece i Toya.42 Dagli atti notarili esaminati non si ricava alcuna informazione sulle doti assegnate alle donne della famiglia; troviamo solo traccia di una dote portata nella famiglia, di cifra assai modesta (15 lire).43 I Toya, come i Grosso, partecipano al mercato della terra quasi unicamente nella veste di venditori: ben 29 alienazioni per un valore complessivo di 918 lire contro appena 2 acquisti, per 36 lire.44 La quasi totalità delle vendite (26, per 803 lire) sono dirette a forestieri, assai probabilmente valdesi: in primo luogo i Bert, che effettuano 10 acquisti per un valore complessivo di 315 lire; poi, con 16 acquisti per 488 lire (delle quali, il 49,1% compensato con l’estinzione di debiti dei venditori e il rimanente pagato in contanti all’acquisto), un folto gruppo di compratori provenienti soprattutto da Prali (valdesi accertati o probabili). Alcuni prezzi di vendita sono pagati in granaglie.45 Due vendite infine vanno a beneficio della Congregazione di carità della parrocchia di Trossieri, con 40 Il cognome Toya vi contraddistingue appunto due nuclei: il primo, composto dai coniugi Chiaffredo (30 anni) e Susanna (22 anni), dal loro figlio Claudio di 8 mesi e da Claudio Garro, fratello di Susanna (18 anni); il secondo, da Sebastiano (50 anni), dalla moglie Delfina (45 anni), dai figli Claudio (24 anni), Pietro (17 anni), Maria (14 anni) e Giovanni, di 8 anni (Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 567, Consegna delle famiglie delli Cattolici, cit., pp. 2-3). 41 Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 531, Atti di consegna, cit. Nella consegna del 1698 sono censiti due “capi di casa” di nome Toya, probabilmente i figli maggiori di Sebastiano e Delfina: oltre a Pietro, a capo di una famiglia composta da quattro persone (due maggiori, fra le quali un servitore, una minore di cinque anni e un lattante), Claudio, con una famiglia di tre persone (due maggiori e una minore di cinque anni). Il bestiame di Claudio è costituito da un bovino e da otto pecore e/o capre. 42 Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 559, Ricavo di tutto il registro, cit., cc. 5-6r. Almeno nei primi decenni del Settecento, questa parentela di origine forestiera e di prevalente vocazione pastorale appare ancora caratterizzata da una certa mobilità Nei registri parrocchiali di Trossieri non ritroviamo infatti Pietro o la sua discendenza, ma soltanto Giovanni (m. 1752), probabilmente il terzo maschio di Sebastiano, discendenti di quest’ultimo o di Claudio, del quale sappiamo soltanto che è certamente morto prima del 1723. I cinque Toya che compaiono sul mercato della terra fra il 1734 e il 1775 sono infatti: Giovanni Sebastiano fu Claudio (c. 1688-1743) e il figlio Giovanni Michele (1735 - m. dopo il 1775); Giovanni Sebastiano (1708-1760) e Giuseppe Ignazio (1725 – m. dopo il 1775), figli di Giovanni; Giuseppe Antonio (1741 – m. dopo il 1770), figlio di Giovanni Sebastiano fu Giovanni. 43 Si tratta della dote di Margherita Tron di San Martino (m. 1746), moglie di Giovanni Toya fu Claudio e madre di Giovanni Sebastiano e di Giuseppe Ignazio: 15 lire versate dal fratello nel 1739, presumibilmente a oltre trent’anni dal matrimonio e dopo la morte del marito (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 171, cc. 105v-106, Cessione di raggioni a favor di Gio. Tron Gentino da sua sorella Margarita, 16 giugno 1739). 44 Gli acquisti effettuati dai Toya riguardano una vigna “distrutta quasi senza viti”, ceduta dieci anni prima dal padre ad Antonio Rostagno fu Filippo di Prali, che Giovanni Sebastiano fu Giovanni riacquista per 14 lire nel 1737 e una “fabrica continente una sola stanza coperta a loze” che Giuseppe Ignazio ottiene nel 1763 da Tommaso Mancione (cattolico) per 22 lire da corrispondersi in futuro (Ibid., vol. 167, c. 185, Vendita fatta da Antonio Rostagno a Sebastiano Toya, 7 luglio 1737; ibid., vol. 222, c. 468, Compra per Giuseppe Ignazio Toya da Tomaso Mancione, 14 marzo 1763). 45 Giovanni Michele fu Giovanni Sebastiano nel 1762 cede un prato ai fratelli Eliseo e Giacomo Giaiero (Jahier) fu Giacomo per 40 lire, 20 ricevute in denaro contante e 20 in granaglie (Ibid., vol. 221, c. 94, Compra frattelli Giaieri da Gio. Michele Toya, 6 luglio 1762). 116 facoltà di riscatto esercitabile entro otto anni e, nel frattempo, la concessione in usufrutto al venditore mediante il pagamento di un canone annuo.46 Diversi esponenti di un settore rurale chiaramente benestante, in primo luogo valdesi ‘forestieri’ e, sebbene in misura minore, cattolici, traggono evidentemente profitto in vario modo delle difficoltà di famiglie come i Grosso o i Toya. Il rapporto con queste famiglie di chi ha fatto loro credito è però lontano da poter essere definito come unicamente predatorio. Il legame apparentemente resistente intrecciato ad esempio con i Bert può essere visto anche come un parziale rimedio, che attenua la condizione di aleatorietà della loro sopravvivenza e rallenta un percorso di esclusione. I loro debiti verso alcuni segmenti dell’élite valdese, inscritti a più riprese nelle carte notarili nel corso degli anni, sono altresì il segno della loro permanenza in una rete di scambio sociale, non meno effettiva perché tracciata, come vedremo, dalle necessità pragmatiche della coesistenza e, insieme, della competizione religiosa.47 46 I beni alienati sono: una vigna, ceduta da Giuseppe Ignazio nel 1754 per 50 lire ricevute alla stipulazione dell’atto, con facoltà di riscatto esercitabile entro otto anni e, nel frattempo, la concessione in usufrutto al venditore mediante il pagamento di un canone annuo di 50 soldi; un “piccolo” appezzamento di castagneto, alienato nel 1758 dal fratello Giovanni Sebastiano per 25 lire “precedentemente pagate”, anche in questo caso con riserva di riscatto entro otto anni e la concessione in usufrutto a un canone di 25 soldi – corrispondente dunque come il precedente al 5% del valore del bene venduto (ibid., vol. 205, cc. 917-918, Vendita Giuseppe Ignazio Toya a favor della Congregazione di Carità di Faetto e Riclaretto, 26 ottobre 1754; ibid., vol. 214, cc. 578v-579v, Vendita Sebastiano Toya a favor della Congregazione de Trossieri, 8 maggio 1758). Congregazioni di carità erano state istituite in ogni parrocchia dello stato da Vittorio Amedeo II nel 1717, con l’incarico di assistervi i poveri. Ne dovevano far parte i feudatari, il parroco, i sindaci in carica e i dodici maggiori proprietari fondiari della parrocchia. Al loro finanziamento si provvide nel 1719 e nel 1721, con il trasferimento a esse dei cosiddetti “beni di Santo Spirito”, sui quali si riscuotevano modesti canoni enfiteutici, sino ad allora gestiti da una apposita “confratria”. All’epoca della creazione della Congregazione di carità, la gestione dei beni di Santo Spirito, frequentemente oggetto di usurpazioni da parte dei notabili locali, era da tempo in crisi. Concepita nell’intento di burocratizzare e assicurare alla supervisione dell’autorità centrale i meccanismi locali del controllo sociale, l’istituzione della Congregazione di carità sortì quasi ovunque esiti fallimentari (cfr. Torre, 1983, pp. 123-150). Oltre a quelle citate, la Congregazione di carità di Trossieri compare altre quattro volte negli atti notarili: nel 1735 acquista in due riprese dal notaio Giovanni Battista Rabbi di Perrero (cattolico) diversi fondi cedutigli alcuni anni prima dal signor Andrea Laurento, valdese di Riclaretto, per un prezzo totale di 785 lire; nel 1740 le sorelle Clot Varizio, “cattolizzate” di Riclaretto, le cedono due campi in restituzione di un prestito di 120 lire ottenuto dal teologo Danna “in qualità di diretore delle elemosine delle Valli”; nel 1743, riceve in donazione dal prevosto di Faetto e Riclaretto, Giovanni Antonio Nasi di Pamparato, 16 tavole di prato, da questi avute in pagamento dai coniugi Giusteto, convertiti lusernesi residenti a Faetto, che gli erano debitori di 47 lire (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 162, cc. 305-306, Compra per la Molto Reverenda Congregatione di Carità della Parochiale di Faetto dal signor Gio. Batta. Rabby del Perrero, 1 giugno 1735; ibid., vol. 172, c. 643, Dation in paga per la Congregatione di Carità di Faetto dalle sorelle Clot Varitie, 13 dicembre 1740; ibid., vol. 180, cc. 454-455, Compra per il signor Don Nasi dalli giugalli Giusteti con donatione da detto signor Don Nasi alla Congregatione di Carità de Trossieri, 2 novembre 1743). 47 Che l’indebitamento sia anche un segno di appartenenza a una “comunità sociale” è un punto sottolineato da Laurence Fontaine. Esso trova conferma nel fatto che coloro che si trovano nelle condizioni più precarie sono spesso i meno indebitati (cfr. Fontaine, 1994, p. 1383; Fontaine, 2007, p. 84). 117 Il capitale di un’élite Localmente, le operazioni legate al credito si svolgono all’interno di un reticolo relazionale particolarmente denso, dove si sovrappongono o intrecciano lealtà e legami plurimi – derivanti anzitutto dalla parentela e dalla comune appartenenza confessionale. I criteri di reciprocità di volta in volta applicati non risultano fondamentalmente più rigorosi al di fuori della cerchia dei correligionari. Le modalità che regolano le transazioni fra cattolici e valdesi sembrano obbedire a quadri di riferimento consensuali apparentemente robusti. Quali logiche, dunque, ispirano gli scambi asimmetrici tra valdesi e cattolici? Per tentare di chiarire questo punto, torniamo il significato della ricchezza dei Bert. La si può definire in buona parte una “fortuna di carta”,48 che, a cominciare dalla componente acquistata con l’eredità Malanot, conta probabilmente un gran numero di crediti inesigibili e diritti su beni fondiari di scarso valore al di fuori degli abitanti del territorio (se non addirittura di specifiche sezioni di parentela o vicinato). Essa conferisce egualmente ai suoi detentori una misura non trascurabile di potere sulla società locale. Da una parte, consente di istituire rapporti di dipendenza personale che spesso, come abbiamo visto, travalicano il confine confessionale, dall’altra, di rivendicare diritti di titolarità su numerose terre della Val San Martino, anche se, in molti casi si tratta di una titolarità solo nominale, che ha scarse possibilità di trasformarsi in un possesso effettivo in tempi brevi. Probabilmente, una parte di questi diritti si riferisce anzi a eredità contestate, a terre la cui situazione proprietaria è rimasta irrisolta in seguito alla scomparsa di intere famiglie nel gorgo della persecuzione del 1686-1689 e alla conseguente disarticolazione delle catene successorie. Tuttavia, all’indomani della Rentrée, con l’editto di ristabilimento del 1694, lo stato sabaudo, sotto la pressione delle potenze protestanti, ha dovuto riconoscere definitivamente i diritti di possesso dei valdesi sulle terre da loro occupate.49 I diritti accumulati dai Bert costituiscono dunque, da subito, una risorsa importante per l’interlocuzione con lo stato sabaudo, la cui fiscalità ha una base fondiaria rafforzata dalla recente Perequazione generale del Piemonte, conclusasi nel 1730,50 oltre che un relais indispensabile nelle amministrazioni locali. Poter contare su una solida élite locale in grado di assicurare, attraverso la sua influenza e soprattutto le sue anticipazioni di denaro ai 48 Fontaine, 2008, p. 299: “toute la société est bien prise dans les logiques de la dette et... la fortune des élites est d’abord une fortune de papier, dont les bases sont économiquement très volatiles et très sensibles aux à coups de la conjoncture”. La sovraesposizione debitoria è strutturale e priva in buona parte i titoli di credito di una qualsiasi base che non sia puramente fiduciaria, contribuendo in tal modo all’instabilità e imprevedibilità delle economie di antico regime. 49 Nel 1697, nella Val Pellice e nelle terre adiacenti di Prarostino e Roccapiatta, si svolge un “consegnamento dei particolari possidenti beni” ossia una rituale ricognizione dei diritti di possesso dei singoli abitanti. Per stornare intrusioni da parte dello stato sabaudo, i numerosissimi vuoti e le incertezze causati dalla persecuzione nella maglia di tali diritti vengono colmati attraverso una serie vertiginosa di acquisti fittizi, molto spesso da persone che risultano “assenti”, cioè in realtà perlopiù scomparse o disperse (cfr. Sereno, 1990, in particolare, pp. 295-296 e 303-306). 50 Le “misure” dei territori delle comunità e la determinazione degli “estimi” a scopo contributivo dei terreni erano state tuttavia completate, nelle Valli valdesi come in gran parte del Piemonte, durante i primi anni del secolo XVIII. Sulla Perequazione generale del Piemonte cfr. Borioli et al., 1985; Levi, 1985c, pp. 103-104; Bracco, 1981; Ricci, 1981. 118 singoli (contro il trasferimeno di diritti sulla terra) o all’amministrazione comunitativa, l’assolvimento del carico fiscale attribuito alla comunità può essere considerato un fattore importante di riduzione dei costi di transazione per lo stato sabaudo.51 Sebbene ufficialmente in secondo piano nella gestione degli affari delle amministrazioni locali, i valdesi sono però possessori assai più stabili e solvibili della locale minoranza cattolica o “cattolizzata”. La loro posizione di forza – evidente, ad esempio, nel ruolo preponderante svolto nell’esazione delle taglie e nella gabella del sale, così come nelle funzioni di periti ed estimatori del valore delle terre – si traduce in un grado di controllo sulla politica locale ben superiore a quello loro riservato dalla lettera della legge. I caratteri di questa preminenza appaiono indissociabili dalla centralità acquisita dalle élite nel mercato della terra e del credito, che si configura a questo punto come il risultato di un’attività imprenditoriale, nella quale il perseguimento di una personale affermazione socioeconomica si lega inestricabilmente al conseguimento di un bene di natura pubblica:52 la ricostruzione di una comunità valdese e delle modalità della sua inserzione politica e territoriale. 51 Il concetto di “costi di transazione” si riferisce ai costi che si incorrono nei processi di scambio economico per procurarsi quegli elementi d’informazione e di garanzia del rispetto dei propri diritti di proprietà e delle condizioni contrattuali, di cui si ha bisogno ai fini dello scambio. Esso è come noto al centro dell’elaborazione teorica della scuola neoistituzionalista in economia (cfr. North, 1994, in particolare pp. 53-64, dove il concetto è definito in riferimento alla scambio economico, e 77-95, dove i suoi presupposti vengono estesi a un modello di scambio politico; Ménard, Shirley, 2005, in particolare, Williamson, 2005, pp. 41-65). 52 Secondo la definizione proposta nel 1955 da Paul Samuelson, i beni pubblici sono beni che non sono suddivisibili in porzioni individuali e dal cui godimento non può essere escluso chi non ha contribuito procurarli. Esistono ovviamente tipi svariati di beni pubblici: anche la governance può essere considerata uno di questi. Spesso, ma non sempre, si tratta anche di beni che devono essere prodotti collettivamente. Per un’illustrazione aggiornata della teoria dei beni pubblici cfr., ad esempio, Hillman, 2009, pp. 135-242. 119 Appendice. Credito e carità: il testamento Barus Messer Giacomo Barusso Randolino (Barus Randoulin) fu Giovanni di Faetto è un personaggio attivo sul mercato della terra dal 1745 all’anno della sua morte, avvenuta nel 1775. In trent’anni di attività compie 24 acquisti per un valore complessivo di 2081 lire, almeno il 90% delle quali corrispondenti a crediti erogati dal compratore, mentre le alienazioni si limitano a due retrovendite per 64 lire. Nel 1738, quando Giacomo ha evidentemente già raggiunto l’età adulta, il padre Giovanni (c. 1693-1741) e lo zio Isaia (c. 1703-1757) si convertono al cattolicesimo all’Ospizio dei catecumeni di Torino. Non ne condividono invece la scelta, almeno fino a quando possiamo seguirli attraverso la nostra documentazione, gli altri loro cinque fratelli, tre femmine e due maschi. Gli unici figli di Isaia Barus, cugini quindi di Giacomo, di cui ci è rimasta traccia, Giovanni e Maria, nascono in epoca posteriore alla conversione paterna (rispettivamente, nel 1742 e nel 1747) e sono perciò battezzati nella chiesa cattolica; i loro matrimoni, celebrati a Trossieri nella seconda metà degli anni Sessanta, confermano l’identità cattolica acquisita da questo ramo. Ignoriamo invece quale sia stata la scelta della madre di Giacomo; egli ha comunque mantenuto la fede protestante, così come la sorella Maria (di eventuali altri figli di Giovanni non conosciamo l’esistenza), alla quale nel 1753 versa una dote di 250 lire.53 Giacomo Barus è sindaco nel 1766, consigliere nel 1764, 1765 e 1775, esattore della taglia dal 1762 al 1764 e poi nuovamente nel 1768-1769. Diamo uno sguardo a coloro i quali concorrono a determinare con le loro vendite il rilevante attivo da lui conseguito sul mercato della terra: intervengono con una vendita ciascuno, per un valore totale di 124 lire, i cugini Antonio fu Giacomo e Pietro fu Antonio Bertalmio, cattolici e contadini benestanti; con due vendite (286 lire), i fratelli Giovanni e Pietro Giacumino (Jacquemin), valdesi di Riclaretto; con una vendita del valore di 96 lire, il cognato Pietro Guglielmetto fu Giovanni, che sembra godere di una situazione economica abbastanza florida, poiché i suoi beni nel 1768 valgono oltre 1000 lire54 e il bilancio della sua partecipazione al mercato della terra appare nettamente positivo; con quattro vendite (410 lire), un cugino materno, Francesco Viglielmo (Villielm) fu Giovanni, valdese, sicuramente afflitto da difficoltà, visto che il volume delle sue vendite supera di molto quello dei suoi acquisti; egualmente con quattro vendite (352 lire), i fratelli Giorgio fu Giovanni, valdesi, la cui condizione può dirsi analoga a quella del Viglielmo; alcuni cattolici infine, come Tommaso Bernardo fu Matteo, originario di Rodoretto (quattro vendite per 325 lire), i fratelli Peirotto fu Giacomo e i loro cugini patrilaterali del fu Antonio (7 vendite per 488 lire), la cui attività sul mercato rivela sicuramente l’avvitamento in una spirale di debito. La ripartizione del volume degli acquisti effettuati da Giacomo Barus in rapporto alla connotazione socioeconomica e confessionale dei venditori non sembra discostarsi molto da quella riscontrata nel caso dei Bert: la maggior parte si divide fra l’area dei correligionari in difficoltà (33,3% del numero e 36,6% del valore totali) e quella dei cattolici segnati da un disagio ancora più profondo (45,8% del numero e 39,1% del valore totali). Nel primo caso, il prezzo degli acquisti di Giacomo Barus si distribuisce secondo la forma di pagamento adottata nel modo seguente: il 77,2% risulta “precedentemente pagato”, il 13,7% viene corrisposto all’atto dell’acquisto e il 9,1% dev’essere versato in futuro; nel secondo caso, è destinato a compensare debiti dei venditori il 76,5%, è pagato immediatamente in contanti il 19,4% e il 4,1% corrisponde a pagamenti concordati per il futuro. In tutto, il valore dei beni ceduti da cattolici di Faetto a Giacomo Barus ammonta a circa il 9% del valore complessivo delle loro vendite a coresidenti valdesi. 53 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 199, cc. 530v-531, Cessione o sia rinoncia Maria Barus a Giacomo Barus Randolin con recognizion di dotte a favor di detta Maria da Pietro Guglielmetto, 24 aprile 1753. 54 Tron, 1987, Allegati, scheda 131. 120 Finalmente, il 28 febbraio 1774, “di corporal infermità oppresso, e giacente in letto”, Giacomo Barus detta il suo testamento.55 Egli, che si è sposato per la prima volta soltanto quattro anni addietro con Susanna Guillelmet vedova Meynier, residente a Prali, non ha figli. Alla moglie riserva gli alimenti e l’usufrutto vitalizio di “tutti i capitali crediti tanto per scritture pubbliche che private”, la cui proprietà lega invece alla Borsa dei poveri della chiesa di Villasecca, affinché gli importi relativi, alla morte dell’usufruttuaria, siano distribuiti “alli più miserabili, secondo giudicheranno più a proposito li signori diretori”; stabilisce inoltre che, in particolare, 200 lire debbano “venir convertite nella compra di tanto drappo grosso da distribuirsi a fanciulli più miserabili di questa comunità che concorrono alla scuola del quartiere della Maisetta per loro vestiario, qual drappo dovrà distribuirsi nella propria casa d’esso lui testatore”. Di tutti gli altri suoi beni istituisce erede universale la sorella Maria. Il 18 dicembre 1775, morto il testatore, i membri del concistoro della chiesa di Villasecca, avendo considerato che le somme legate dal Barus “si rendono per la loro molteplicità, tanto pelli casi delle varie esazioni, quanto per la quantità de’ pagamenti da farsene, che per le precauzioni da prendersi a tall’oggetto [...] di aggravio a tutti li soggetti componenti l’intiero concistoro, e Direttori della Chiesa di Villasecca, a quale era, vivendo il Deffonto predetto, soggetto”, stabiliscono di “ellegere per l’esecutiva del citato testamento persona fra le altre più proba e sagace ad adempirne per tutte le vie tanto di convenienza, che di obbligazione, que’ doveri, che richiede la mente testata et espressa nel predetto testamento” e a questo fine “deputano in loro procuratore speciale e generale il molto illustre signor chirurgo e capitano Giovanni Berto fu signor Tommaso, uno degli anziani, direttori e membro del prefato concistoro”.56 Giacomo Barus è probabilmente una figura piuttosto atipica nel contesto locale, di cui la sua vicenda contribuisce però a chiarire alcune caratteristiche di fondo. Inconsueto è che nonostante i numerosi acquisti di terra compiuti nel corso di trent’anni, dal suo testamento non risultino beni immobili, che tutta la sua ricchezza consista in crediti. Un caso limite, quasi certamente (al quale potrebbe aver contribuito un’esclusione di fatto dalla terra di famiglia da parte di un padre convertitosi al cattolicesimo), ma che nello stesso tempo ribadisce il significato sottostante a quello che in apparenza è un vivace mercato della terra. Le compravendite nominali che hanno impegnato il Barus ci dicono che la sua peculiare attività di prestatore di tipo, potremmo dire, quasi professionale si è rivolta sia a correligionari sia a cattolici, a parenti come a estranei, applicando condizioni che appaiono grosso modo uniformi. Sul piano della carità, però, i valori sociali di cui parentela e religione sono portatrici nel nostro contesto come in altri hanno modo di dispiegarsi visibilmente. Le ultime volontà di Giacomo Barus trasferiscono la rete creditizia confessionalmente mista intessuta nel perseguimento dei propri interessi all’interno di uno spazio pubblico e propriamente istituzionale di solidarietà religiosa. Questa rete, come quella che fa capo ai Bert, testimonia del ruolo fondamentale assolto dall’élite valdese nell’articolazione dei rapporti di credito e quindi delle strategie di sussistenza di famiglie correligionarie e cattoliche. In tal modo, l’attività economica di persone come il Barus o come i Bert garantisce nello stesso tempo sopravvivenza e controllo dell’incertezza all’intero gruppo confessionale – connessione di cui il testamento Barus rappresenta una sorta di espressione ritualizzata. 55 Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 263, cc. 414-417, Testamento di messer Giacomo Barusso Randolino, 28 febbraio 1774. 56 Ibid., vol. 273, cc. 699-701, Procura per il Concistoro della Chiesa Religionaria in capo al signor capitano Gio. Berto, 18 dicembre 1775. 121 Conclusioni Possiamo interpretare le interazioni tra cattolici e valdesi nella prima età moderna come spontanee manifestazioni di un’identità culturale, dirette conseguenze di una fondamentale divergenza di schemi cognitivi e valoriali? Come abbiamo visto, la composizione religiosa di Faetto nel Settecento non costituisce l’eredità di un passato ormai lontano, ma un tratto che è possibile datare, in gran parte, alle conversioni di massa degli anni intercorsi fra le due grandi persecuzioni del 1655 e del 1686. Il confine religioso è quindi l’esito di un processo ancora recente, che attraversa le esperienze familiari e anche individuali, tanto più che continuano a verificarsi conversioni di valdesi al cattolicesimo – così come, a quanto sembra, prudenti ritorni ‘nicodemitici’ di cattolizzati alla fede protestante. Prima che nel mondo delle idee, la differenza religiosa alberga nei processi di fissione delle parentele, dove cattolicesimo e valdismo si alternano tra i rami collaterali e tra le generazioni. Essere cattolici o valdesi esprime dunque anche la posizione di un individuo o di un gruppo familiare all’interno di una rete di relazioni interpersonali. L’inimicizia o condizioni di forte sperequazione nelle fortune possono rendere problematico l’operare di norme e aspettative di reciprocità idealmente associate a un certo tipo di interazioni, come appunto quelle tra parenti. Una divaricazione di opzioni religiose tra fratelli, ad esempio, sembra talvolta sanzionare la segmentazione in atto fra i rami di una discendenza, mentre le numerose conversioni femminili al cattolicesimo nel Settecento apparentemente maturano in una situazione di mobilità sociale discendente e di fronte al rischio di esclusione dal mercato matrimoniale, se si resta all’interno del proprio gruppo confessionale. Altre volte, le abiure e i successivi ripensamenti sono il frutto dei tentativi di adattamento che hanno contrassegnato una vicenda familiare di fronte al mutare delle circostanze politiche.1 L’affiliazione confessionale non è ancora, se mai lo diverrà, interamente inerziale e ascrittiva; è una scelta, determinata da pressioni e opportunità. Come tutti i sistemi simbolici, cattolicesimo e protestantesimo sono aperti ad appropriazioni molteplici, spesso di natura pragmatica. Per gli abitanti delle Valli valdesi, aderire all’uno o all’altro è anche un modo di trovare e definire il proprio posto nel corpo sociale. L’appartenenza a una comunità confessionali non è tanto il risultato dell’interiorizzazione di credenze e di norme, quanto una condizione negoziata con gli altri, persone e istituzioni presenti sulla scena locale. La posta in gioco è l’inserimento in circuiti di fiducia e di credito sostenibili, in grado di consentire la sopravvivenza e riproduzione sociale di individui e famiglie. Il rapporto con le risorse politiche e culturali che l’opzione cattolica o quella valdese rendono disponibili è in tal modo aperto alla manipolazione individuale. Il processo di costruzione pragmatica dell’identità religiosa si rivela inscindibile da forme sia di solidarietà di gruppo sia di convivenza tra i gruppi confessionali. Un argomento topico nella retorica delle autorità cattoliche è, come sappiamo, che la forza economica e la coesione del gruppo valdese alimenti una concertata aggressione contro le 1 Prendiamo ad esempio il caso di Tommaso Macello, passato al cattolicesimo prima della persecuzione del 1686 e tornato al protestantesimo dopo la Rentrée. Sotto la pressione dell’inchiesta del 1725, ha dovuto riconfermare la sua prima conversione, ma i figli hanno nel frattempo restituito alla sua discendenza un’identità valdese (cfr. supra, p. 26, note 44-45). 122 proprietà dei cattolici e “cattolizzati”, presi nella morsa della povertà e dell’indebitamento nei confronti degli avversari religiosi. Si tratta di toni propagandistici, finalizzati a una politica di assistenza istituzionale alla popolazione cattolica portata avanti dallo stato sabaudo e dalla chiesa in stretta collaborazione (ma sotto l’egida del primo). La realtà dell’interazione fra cattolici e valdesi è evidentamente assai più complessa, ma l’idea che sul mercato della terra e del credito a Faetto si delinei e approfondisca una distinzione sociale su base confessionale non è infondata. È d’altra parte palpabile nelle transazioni l’esistenza di una base consensuale, di un’intesa anche culturale. In esse non si manifesta alcuna tendenza alla segregazione. Quelle che superano il confine confessionale restano infatti frequenti per tutto il periodo di osservazione, costituendo in media quasi un terzo del totale. Ma soprattutto, dai dati è emersa la presenza tutt’altro che marginale di legami duraturi fondati sull’erogazione di credito da parte di valdesi a cattolici. In questo tipo di rapporti, non soltanto i membri dell’élite e i contadini facoltosi valdesi sembrano agire senza eccessiva durezza nei loro scambi economici con i correligionari meno fortunati; essi impegnano cospicue risorse in prestiti destinati alle frange più precarie della popolazione cattolica, concessi apparentemente a condizioni non più severe che ai correligionari. Alcuni elementi di un’“economia morale” largamente condivisi sembrano perciò regolare le modalità di una parte importante delle transazioni interconfessionali, ribaditi, ad esempio, nelle stime e negli arbitrati effettuati da esperti di parte cattolica e valdese. Non per questo il sistema locale del credito risponde a motivazioni rispetto alle quali le distinzioni religiose si annullano come situazionalmente irrilevanti. La Faetto del Settecento, come altre comunità amministrative piemontesi, è ben diversa da un “mondo morale” unificato,2 da una “comunità corporata chiusa” sorretta da meccanismi interni di livellamento e di redistribuzione della ricchezza.3 È invece essenzialmente un’unità creata per scopi fiscali, e un’area dai confini incerti, caratterizzata da un accentuato policentrismo insediativo. Nelle Valli valdesi dell’età moderna, la distinzione confessionale si rivela un criterio ben più pregnante al quale ancorare una costruzione comunitaria. Essa rappresenta però qualcosa di diverso dal riflesso nelle relazioni sociali di una divergenza di percorsi di acculturazione. La Riforma si è affermata alla metà del secolo XVI, attraverso l’adesione corale e pugnace di comunità di piccoli possessori insediati su terre marginali, anzitutto gelosi della propria autonomia. L’aveva preceduta una dissidenza religiosa popolare, probabilmente plurisecolare, che aveva affrontato con successo dure persecuzioni, soprattutto all’inizio del CInquecento e verso la fine del secolo precedente, organizzata sulla base della stessa identificazione con le strutture e pratiche comunitarie. Questa distinta matrice sociologica e politica fa del protestantesimo nelle Valli valdesi un’esperienza per molti aspetti singolare in rapporto alla maggioranza delle realtà protestanti europee, più omogenea e compatta, più ‘laica’, indipendente e refrattaria rispetto a iniziative di confessionalizzazione dall’alto.4 2 Come quello classicamente descritto da Redfield, 1976: cfr. in particolare pp. 9 e 151. Wolf, 1972, in particolare, pp. 74-81. 4 Cfr. Cameron, 1984. 3 123 Nell’ultima parte del secolo XVII, sull’onda di un’aggressiva ripresa di iniziativa controriformistica, si verificano alcuni strappi in questo tessuto culturale apparentemente unanime. In seguito a conversioni che a Faetto e in altri luoghi vicini hanno carattere di massa, si palesano nuclei di presenza cattolica di cui è tuttavia arduo indagare il reale processo di formazione, quando si rivelano durevoli e non il puro prodotto di misure coercitive. Queste vicende, insieme con le deportazioni del 1686, introducono in ogni caso una frattura in circuiti di reciprocità matrimoniale ed economica spesso di profondità probabilmente plurigenerazionale. Più in generale, come suggeriscono gli studi di Paola Sereno e Daniele Tron citati nei precedenti capitoli, le persecuzioni segnano strutturalmente una rottura di continuità con il passato dagli effetti quasi incalcolabili. Esse determinano infatti un profondo sconvolgimento dei quadri insediativi e agropastorali, dei sistemi localizzati di diritti sulle risorse, cancellando, per parafrasare liberamente una formula coniata da Gérard Delille, i rapporti tra l’ordine interno ai luoghi e l’ordine delle proprietà.5 Dopo la Rentrée, avvengono verosimilmente rimescolamenti di popolazione, sia di “nuovi convertiti” sia valdese. Nuove reti di parentela e di scambio socioeconomico si progettano e cercano di organizzare la loro proiezione territoriale. La ricostruzione si avvia sullo sfondo del definitivo approdo dello stato sabaudo a un modello di monarchia tendenzialmente assoluta, in coincidenza con una riorganizzazione del sistema dei rapporti fra gli stati europei e l’emergere di un nuovo assetto delle forze degli schieramenti confessionali. Il risultato per i valdesi sarà il rinsaldato incapsulamento delle loro stutture comunitarie nello stato sabaudo,6 qualificato tuttavia dal regime di protezione diplomatica loro accordato dalle potenze protestanti, in primo luogo l’Inghilterra uscita dalla Gloriosa rivoluzione. Questa circostanza, come sottolinea Christopher Storrs, fa dei valdesi nel periodo successivo alla Rentrée una “comunità distinta privilegiata” che, come tale, si pone a pieno titolo accanto alle altre riconosciute dal sistema di governo sabaudo sulla base però di privilegi territoriali, non certo di una singolarità religiosa garantita da paesi stranieri.7 Il valdismo diventa così, con accresciuta legittimazione, l’elemento fondante di una costruzione politica che mette in relazione il centro e una periferia dello stato, tanto più importante in quanto la minoranza occupa una delicata zona di frontiera. In questa situazione, contrassegnata sul piano internazionale dalla fase culminante, più che dal declino, della confessionalizzazione,8 le categorie religiose sono certamente un potente fattore d’identificazione e non c’è motivo di dubitare che anche fra gli abitanti delle Valli valdesi suscitino spesso genuine emozioni. Tuttavia, l’efficacia simbolica di questi elementi culturali deve molto alla funzione che sono in grado di svolgere come strumenti cognitivi al servizio dell’interazione sociale. Come nel modello di confine etnico proposto da Fredrik Barth, valdismo e cattolicesimo strutturano confini che governano le forme di separazione e d’interdipendenza fra gruppi umani. Nel nostro caso, questi ultimi ci sembrano divisi, più che da un’impossibilità culturale a comunicare tra loro, da una 5 Delille, 1985. Per una caratterizzazione di differenti modalità di “incapsulamento” delle strutture politiche cfr. Bailey, 1975, pp. 217-248. 7 Storrs, 1999, pp. 293-311. 8 Kaplan, 2007, pp. 333-358. 6 124 divaricazione, nei momenti più o meno drammatici che hanno segnato la storia delle Valli valdesi, di destini e percorsi individuali, sulla base di una diversa percezione delle opportunità e dei rischi insiti nella situazione. Le scelte di individui e di famiglie generano poi, naturalmente, effetti cumulativi e pongono limiti alle azioni possibili in momenti successivi. All’indomani della Rentrée, per le due componenti della popolazione locale, le distinzioni su base religiosa aiutano a promuovere forme sia di cooperazione sia di competizione tese a ricostruire e delimitare i rispettivi spazi di esistenza collettiva e a ridurre l’incertezza sul futuro. Un ruolo chiave sembrano giocare nella ricostruzione diversi esponenti ‘laici’ dell’élite valdese. Anche quest’ultima, come più in generale gli abitanti delle Valli valdesi, è stata probabilmente interessata da un notevole ricambio, come testimonia, nella Val San Martino, la scomparsa degli ‘autoctoni’ Malanot e l’affermazione dei profughi Bert. Nelle “fortune di carta” ereditate dai loro predecessori e arricchite dalla loro personale attività di erogatori di credito, i Bert e altri come loro concentrano un mosaico di diritti sulle terre acquisite da valdesi e cattolici − cedute, perlopiù con la clausola, esplicita o implicita, di usufrutto ai venditori e lasciando loro una possibilità, per quanto remota, di riscatto. Anzi, per i cattolici, questi personaggi rappresentano spesso i principali acquirenti e perciò la fonte più cospicua e affidabile di credito. I loro interventi sul mercato della terra si possono intendere come strategie di affermazione personale solo se ne cogliamo la connessione con forme di imprenditorialità e mediazione politica a beneficio di un progetto di ricostruzione comunitaria. I loro prestiti rivestono infatti un duplice carattere di capitale collettivo. Da un lato, gli acquisti reiterati presso abitanti in difficoltà e l’incetta di titoli di possesso o di credito – per quanto poco prevedibile o differito ne sia l’effettivo perfezionamento – estendono pur sempre sullo spazio locale una trama di diritti rivendicabili, costituendo una sorta di assicurazione per il radicamento territoriale ed economico della componente valdese nel futuro, oltre che uno strumento, quantomeno, di controllo sociale sulla componente cattolica, se non di erosione delle sue basi economiche. Dall’altro, prestiti e acquisizioni costituiscono una garanzia di solvibilità fiscale e concorrono in tal modo a fare dell’élite e della robusta organizzazione comunitaria valdese un’“interfaccia” irrinunciabile per l’amministrazione sabauda.9 Le distinzioni confessionali prestano dunque il loro linguaggio a forme di “azione collettiva” volte al conseguimento di beni pubblici a vantaggio di tutta la popolazione valdese.10 Questi beni pubblici consistono in sistemi di governo della società locale e delle 9 Tanto la supplenza fiscale assicurata dai maggiorenti valdesi quanto la rappresentanza informale da loro svolta a beneficio dei correligionari sono funzioni necessarie al sistema di governo indiretto dello stato sabaudo. Ciò rende ovviamente la posizione di questa élite tanto più dipendente dal prestigio e dall’influenza goduti presso la popolazione. Cfr. a proposito di queste dinamiche i percorsi di affermazione sociale di notabili di antico regime nella comunità del Delfinato descritta da Rosenberg, 2000, in particolare, pp. 50-83. Una definizione di “interfaccia” come “arena” strutturalmente necessaria “di percezioni mutualmente riconosciute, che segna la transizione da una formazione sociale all’altra” in White, 1988, p. 227. 10 Il tema dell’azione collettiva ha dato luogo, come noto, a una produzione teorica sterminata e a un numero considerevole di applicazioni empiriche. A partire dal classico The Logic of Collective Action di Mancur Olson (1965), per “azione collettiva” s’intende un’azione ispirata da interessi comuni e diretta al conseguimento di fini che ciascuno di coloro che li condividono non sarebbe in grado di procurarsi da solo, o non in maniera altrettanto soddisfacente. La versione classica della teoria incorpora un modello 125 sue risorse, nei quali il contenimento delle ingerenze esterne è conseguito grazie a un’assunzione di responsabilità di fronte alle gravose richieste della fiscalità sabauda. Per contro, la condizione dei cattolici di fronte allo stato si riassume in una dipendenza da iniziative di assistenza e clientelismo istituzionale. La diseguaglianza delle risorse all’interno del gruppo valdese non rappresenta un ostacolo al raggiungimento dei suoi obiettivi. Come mostra il profilo delle catene di transazioni, è sufficiente infatti che solo una frazione piuttosto contenuta del gruppo mantenga durature relazioni di credito con le famiglie cattoliche.11 Il resto dei componenti è libero di investire le proprie risorse soprattutto in altri circuiti di scambio, come quelli della parentela o del mutuo sostegno tra famiglie potenzialmente interessate all’interscambio matrimoniale. La relazione tra le élite valdesi e i loro ‘clienti’ cattolici non può dunque dirsi esclusivamente diadica, poiché libera risorse per i rapporti di reciprocità interni attraverso i quali si struttura la società valdese. Negli scambi sul mercato della terra si esprimono dunque gli elementi di una peculiare costruzione politica che evita ai valdesi il destino di assimilazione incontrato da altre minoranze religiose dell’età della confessionalizzazione, quali i protestanti di Acquitania descritti da Gregory Hanlon. A Faetto come in altri luoghi delle Valli valdesi dopo la Rentrée, la comunità valdese si ricostituisce su basi più ristrette, non più coincidenti con la comunità di abitanti, ma continua a rappresentare l’indiscusso protagonista dello spazio locale, a onta delle defezioni individuali. L’identità religiosa ha solide basi transazionali, così come la coesistenza pacifica fra le due componenti confessionali. Molto più che a una manifestazione spontanea di irenismo popolare,12 quest’ultima si deve però alla sua struttura stabilmente asimmetrica. comportamentale nel quale gli individui sono guidati dalle motivazioni egoistiche che rappresentano, secondo il modello, un’attitudine strettamente razionale. I contributi successivi hanno notevolmente complessificato la nozione di “azione collettiva” e la problematica di derivazione olsoniana e ne hanno messo in luce i punti controversi. (cfr., tra gli altri, Granovetter, 1978; Hechter, 1987, in particolare, pp. 34-36; Ostrom, 2000; Ostrom, 2006). Un critica delle principali problematiche della teoria dell’azione collettiva in. Barry, Hardin, 1982, specialmente pp. 19-37; Hardin, 1982; Banton, 1983, specialmente pp. 103-108, con particolare riferimento al problema della formazione e della permanenza dei gruppi etnici. Cfr. Oliver, 1993 per una comprensiva discussione di più recenti sviluppi della teoria; utile anche Heckathorn, 1996. Un importante contributo in campo storiografico sui problemi dell’azione collettiva, affrontati alla luce di una nozione di razionalità “limitata” o “relativa”, è rappresentato da Cerutti, 1992. 11 L’influenza dell’eterogeneità di gruppo sulle probabilità di avvio e di successo dell’azione collettiva è un problema assai dibattuto nella letteratura sociologica. L’eterogeneità può essere definita secondo varie dimensioni: in termini di distribuzione delle risorse all’interno del gruppo, di varietà delle aspettative e degli obiettivi di ciascuno, di grado adesione ai fini collettivi. I suoi effetti sull’azione collettiva non sono univoci, ma dipendono da concrete variabili contestuali (cfr. ad esempio Poteete, Ostrom, 2004). 12 “Irénisme campagnard” è l’espressione che impiega René Sauzet per caratterizzare i rapporti fra cattolici e protestanti nelle zone rurali della diocesi di Chartres durante il XVII secolo, prima della revoca dell’editto di Nantes (cfr. Sauzet, 1972, in particolare, pp. 690-692). 126 Opere citate Ago, 1998: Renata Ago, Economia barocca. Mercato e istituzioni nella Roma del Seicento, Roma, Donzelli, 1998. Albera et al., 1988: Dionigi Albera, Manuela Dossetti, Sergio Ottonelli, “Società ed emigrazioni nell’alta Valle Varaita”, in Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, a. LXXXVI (1988), fasc. I, pp. 117-169. Alberti, 1934: Alberto Alberti, Appunti per una storia del diritto privato statutario piemontese, Torino, Giappichelli, 1934. Allegra, 1987: Luciano Allegra, La città verticale. Usurai, mercanti e tessitori nella Chieri del Cinquecento, Milano, FrancoAngeli, 1987. Allegra, 1990: Luciano Allegra, “L’Ospizio dei catecumeni di Torino”, in Bollettino StoricoBibliografico Subalpino, a. LXXXVIII (1990), fasc. II, pp. 513-573. Allegra, 1991: Luciano Allegra, “Modelli di conversione”, in Quaderni Storici, n. 78, a. XXVI, fasc. 3, dicembre 1991, pp. 901-915. Allegra, 1996: Luciano Allegra, Identità in bilico. 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