Comportamenti di confine. Cattolici e valdesi nell`età della

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Comportamenti di confine. Cattolici e valdesi nell`età della
Istituto di Politica, Amministrazione, Storia, Territorio - PAST
PAST Monografie n. 1
Novembre 2012
Comportamenti di confine.
Cattolici e valdesi nell'età della confessionalizzazione
Marco Battistoni
UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro”
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e Sociali
Marco Battistoni
Comportamenti di confine.
Cattolici e valdesi nell'età della confessionalizzazione
ISBN 978-88-907893-0-4
Tutti i manoscritti pubblicati in questa collana sono sottoposti a peer review
Istituto di Politica, Amministrazione, Storia, Territorio – PAST
Via Cavour 84
15121 Alessandria
http://past.unipmn.it
MARCO BATTISTONI
Comportamenti di confine.
Cattolici e valdesi nell’età della confessionalizzazione.
Indice
Ringraziamenti
Introduzione
III
1
I. La costruzione di un confine confessionale
16
Dalla tolleranza al genocidio: le Valli valdesi
nella seconda metà del Seicento
I valdesi di Faetto tra abiura e resistenza (1664-1686)
L’inchiesta del 1725
Le conversioni durante il secolo XVIII
16
18
23
26
II. Regimi demografici a confronto
30
La popolazione nelle Valli Valdesi tra la fine del secolo XVII
e l’inizio del secolo XIX
Consistenza e andamento demografici
Composizione religiosa della popolazione
I cattolici della parrocchia di Trossieri e i valdesi della chiesa
di Villasecca nel secolo XVIII
Una demografia differenziale?
30
30
35
36
48
Appendice. Alcuni Approfondimenti
50
I limiti delle fonti
Andamenti secolari e stagionali delle nascite, delle morti
e dei matrimoni
Indici demografici dalla ricostruzione nominativa delle famiglie
a) Mortalità
b) Nuzialità e natalità
50
50
52
53
57
III. Terra e credito in una società confessionale
58
Un mercato di antico regime
Presenza delle colture sul territorio e nelle transazioni
Il mercato della terra e il credito
Credito e confessione religiosa: propaganda e realtà
Vendite, condizioni di pagamento e indebitamento
58
63
67
69
71
IV. Parenti e correligionari: scambio economico e distanza sociale
78
I
Ambiti di circolazione delle tipologie produttive
Acquirenti e venditori: catene di transazioni
Sviluppi congiunturali
Dimensioni e bilanci delle compravendite
Le forme del credito
Dal 1760: gli effetti di una crisi
79
81
91
94
97
101
V. Credito, solidarietà e coesistenza religiosa
104
I creditori: eredità materiali e simboliche
Il mondo dei debitori
Circuiti valdesi
Famiglie cattoliche sulla via dell’emarginazione?
Il capitale di un’élite
105
109
109
114
118
Appendice. Credito e carità: il testamento Barus
120
Conclusioni
122
Opere citate
127
II
Ringraziamenti
Questo libro è frutto di un lungo percorso, più volte ripreso e interrotto. Ora, nel
momento di congedarlo, ricordare tutte le persone che vi hanno in qualche modo
contribuito è compito quasi impossibile. L’idea stessa della ricerca all’origine del libro si
deve a Sandro Lombardini, che è stato inoltre costantemente presente, con la sua
ispirazione, i suoi insegnamenti e il suo incoraggiamento, lungo tutte le fasi dell’analisi e
dell’esposizione dei suoi risultati. Senza il suo sostegno, questo lavoro non sarebbe mai
giunto a compimento.
Chi avrà la pazienza di leggere queste pagine si accorgerà poi facilmente dell’enorme
debito contratto nei confronti della lezione di Giovanni Levi. Le conversazioni intrattenute
con lo stesso Giovanni Levi, con Mauro Ambrosoli e con Osvaldo Raggio hanno inoltre
direttamente contribuito a indirizzare il cammino della ricerca soprattutto durante le prime,
cruciali, fasi del suo svolgimento. Quando si è infine trattato di concluderla, determinante è
stato l’aiuto di Luciano Allegra. Gli devo, tra molte altre cose, la preziosa opportunità di
discuterne i risultati al seminario interdisciplinare sull’integrazione delle minoranze da lui
coordinato. Nel ringraziare tutti i partecipanti al seminario per l’attenzione con la quale
hanno accolto il mio intervento, non posso fare a meno di menzionare singolarmente
almeno i contributi critici straordinariamente penetranti ricevuti da Marco Buttino e dallo
stesso Luciano Allegra.
Gran parte della mia attività di ricerca si è svolta sotto la guida di Angelo Torre e, nei
suoi esiti meno insoddisfacenti, credo ne riveli l’impronta. Confido che sia così anche in
questo caso. Devo inoltre ad Angelo Torre numerosi contributi puntuali per meglio definire
l’inquadramento concettuale e storiografico del tema qui affrontato.
La mia intensa ammirazione per l’opera di Giacomo Todeschini e la mia gratitudine per
gli insegnamenti e i consigli che ho avuto la fortuna di ricevere personalmente non trovano
certamente adeguata espressione nel presente lavoro; ritengo tuttavia se ne possa rinvenire
una traccia, nella misura in cui esso si allontana da una lettura dicotomizzante del rapporto
fra cultura e agire socioeconomico.
A Matthew Vester e Sarah Alyn Stacey sono grato, oltre che per i ricchissimi stimoli
intellettuali che traggo dal nostro rapporto, per la possibilità di aver potuto discutere di
tematiche riguardanti l’interazione fra cattolici e riformati nei colloqui internazionali sulla
storia dei territori sabaudi da loro organizzati. Da ultimo, vorrei ricordare due amici della
Società di Studi Valdesi. Daniele Tron mi ha spesso fornito indicazioni indispensabili per
questa ricerca, ma soprattutto ne ha segnato la via attraverso i suoi studi pionieristici di
storia sociale delle popolazioni valdesi, che costituiscono per chiunque voglia addentrarsi
nella materia un punto di riferimento irrinunciabile. Gabriella Ballesio, grazie alla sua
inesauribile competenza e dimestichezza con le fonti, è sempre stata un’interlocutrice
perspicace e di grande aiuto dal punto di vista archivistico e bibliografico.
III
Fig. 1. Faetto e la Val San Martino. Carta di localizzazione.
IV
Introduzione
1. I protagonisti di questo libro sono gli abitanti di un territorio alpino del Piemonte del
secolo XVIII, popolato da cattolici romani e da valdesi, questi ultimi eredi di una
dissidenza religiosa medievale, mutatasi in chiesa calvinista intorno alla metà del secolo
XVI.1 Lo studio si incentra dunque sulle transazioni economiche e politiche che
contribuirno a plasmare il profilo sociale dei due gruppi e le modalità della loro
coesistenza.
Il trattamento concesso ai valdesi dal contesto istituzionale e legale dello stato sabaudo
consisteva in una limitata tolleranza dell’esercizio pubblico della loro religione entro limiti
territoriali definiti, inaugurata, grazie al trattato di Cavour, nel 1561, cioè all’indomani
stesso della reintegrazione della dinastia sabauda nei suoi domini dopo venticinque anni di
occupazione francese. Questi limiti territoriali comprendevano alcune vallate alpine (la
designazione cumulativa “Valli valdesi” s’imporrà molto più tardi) prossime alla città
provinciale di Pinerolo, situata poche decine di chilometri a ovest di Torino.2 All’interno
dei confini fissati, i valdesi, piccola minoranza a livello dello stato, rappresentavano spesso
la maggioranza della popolazione. In alcuni casi, la popolazione cattolica era concentrata
territorialmente (ad esempio nei borghi di Luserna e Perrero); più spesso viveva accanto a
quella valdese negli stessi villaggi e borgate.
La nozione di “tolleranza” va ovviamente intesa nel senso restrittivo che le era
comunemente attribuito nella cultura politica prevalente in antico regime, cioè di forzata
accettazione per motivi contingenti di una soluzione lontana da quella tenuta per idealmente
soddisfacente: in questo caso, l’universale osservanza dell’ortodossia cattolico romana. Il
parziale riconoscimento concesso all’esistenza legale del culto valdese si accompagnava
alla proibizione della conversione al protestantesimo o del ritorno a esso da parte di
convertiti al cattolicesimo (considerati crimini punibili con la morte). Al contempo, le Valli
valdesi erano teatro di un concentrato sforzo missionario da parte di ordini religiosi quali
cappuccini e gesuiti, attivamente sostenuto dalla politica ducale. Il trattato di Cavour fu
infine cancellato con un tratto di penna nel 1686 dal duca Vittorio Amedeo II, allineatosi
con la politica religiosa del potente alleato francese all’indomani della revoca dell’editto di
Nantes. Questa drastica iniziativa, che portò all’imprigionamento, alla deportazione o
all’esilio di pressoché tutta la popolazione valdese, si rivelò temporanea e già nel 1690 fu a
1
Su questo passaggio storico cfr. Cameron, 1984; Cameron, 2000; Audisio, 1989; Paravy, 1993; Biller, 2001.
Si tratta della Val Luserna (odierna Val Pellice), della Val Perosa (bassa Val Chisone: tra il 1631 e il 1696 in
mano alla Francia, con Pinerolo) e della Val San Martino (Val Germanasca). Al di fuori dello stato sabaudo,
una nutrita popolazione valdese, nella prima età moderna integrata nella Chiesa Riformata di Francia, viveva
da secoli in varie zone del Delfinato e della Provenza. Queste zone comprendevano la Val Pragelato (alta Val
Chisone) e l’alta Val di Susa, territori del Delfinato ceduti dalla Francia allo stato sabaudo in seguito al
trattato di Utrecht del 1713. Inoltre, fino al terzo decennio del secolo XVII, prima di essere cancellata
attraverso l’esilio e le conversioni forzate, la presenza valdese era notevole anche nelle Valli Po e Maira,
come più in generale diffusa era quella riformata nel resto del Marchesato di Saluzzo, occupato dai Savoia nel
1588 e definitivamente incorporato nel 1601. Sui limiti e sulle contrastanti rappresentazioni del territorio delle
“Valli valdesi” in antico regime cfr. Tron, 2001; Fratini, 2007.
2
1
sua volta revocata, ma determinò egualmente quello che oggi non esiteremmo a definire un
genocidio,3 causando la perdita da un terzo alla metà degli abitanti delle Valli valdesi.
Anche dopo l’abbandono delle misure cruente di soppressione della minoranza religiosa
sperimentate nel secolo XVII, la conversione di valdesi al cattolicesimo continuò a essere
attivamente promossa dallo stato e dalla chiesa attraverso un apparato istituzionale
specializzato, con incentivi materiali, quali elemosine, prestiti agevolati, sistematica
concessione di sgravi fiscali ai convertiti e, più in generale, alla popolazione cattolica delle
comunità delle Valli valdesi. Ancora più sostanziali erano probabilmente gli incentivi
negativi costituiti dalle inabilità civili imposte ai valdesi, che, ad esempio, precludevano
loro la via degli uffici, restringevano l’accesso a professioni come il notariato e
sottoponevano a misure speciali ogni permanenza al di fuori dei limiti territoriali in cui era
loro consentito di risiedere.
Si delinea, dal 1690, una situazione a prima vista paradossale: quella di una minoranza
religiosa la cui esistenza, nel contesto ostile di uno stato intensamente confessionale e
tendenzialmente assolutistico, riposa su ragioni ed equilibri di politica internazionale. In
queste condizioni, sebbene decimata, essa riuscirà nuovamente a imporsi quale
interlocutrice delle autorità politiche sabaude.
La storiografia sul valdismo della prima età moderna si è spesso occupata dei rapporti
dei suoi aderenti con le autorità politiche ed ecclesiastiche, specialmente nel quadro degli
episodi più intensi di persecuzione e conflitto e dei negoziati intervenuti susseguentemente.
Assai minore attenzione ha ricevuto invece la quotidianità dei rapporti locali. Fallito lo
sradicamento manu militari, si inaugura infatti un’epoca segnata dal ripristino di un regime
di tolleranza discriminatoria, che rimarrà in vigore fino all’emancipazione del 1848, dopo la
parentesi di liberazione sotto il governo napoleonico.
In parte, la tendenza a privilegiare in maniera esclusiva gli episodi di guerra di religione
deriva dall’impianto fattualistico (e talvolta apologetico) delle opere maggiori della
storiografia dedicata ai valdesi nell’età moderna, ormai tutte piuttosto datate, che non
consente di registrare le fasi di calma o di stallo se non come vuoti fra picchi di alta
concentrazione narrativa.4 D’altro canto, tuttavia, queste opere partecipano di una tendenza
intellettuale di lunga durata assai più generalizzata a cogliere i rapporti fra gruppi religiosi
3
A oggi l’unica definizione legale internazionale di genocidio è quella datane dall’articolo II della
Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio adottata dall’Assemblea generale delle
Nazioni Unite il 9 dicembre 1948 con la risoluzione 260 (III) (riprodotto dall’articolo VI dello Statuto di
Roma della Corte internazionale criminale adottato il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1 luglio 2002), che
elenca una serie di atti “commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico,
razziale o religioso” (corsivo mio). Questi atti comprendono: l’uccisione di membri del gruppo; l’infliggere
loro gravi danni fisici o mentali; la deliberata imposizione di condizioni di vita intese a provocare la totale o
parziale distruzione fisica del gruppo; l’imposizione di misure intese a prevenire le nascite nel gruppo; il
trasferimento forzato dei bambini del gruppo a un altro gruppo. Tutti questi atti rientrano fra quelli commessi
fra il 1686 e il 1689 a danno della popolazione valdese. Le interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali hanno
sensibilmente esteso l’elenco del 1948. Quanto all’intento, c’è diffuso consenso sul fatto che sia sufficiente un
intento “generale” a caratterizzare il crimine, ossia una sorta di dolo eventuale, la consapevolezza (postulabile
come effettiva o anche solo moralmente ineludibile) che le azioni intraprese avrebbero causato le
conseguenze di fatto provocate (cfr. Jones, 20102; Morton, Singh, 2003).
4
Una notevole eccezione è rappresentata dall’ampia ricerca di storia sociale e culturale di Daniele Tron
(Tron, 1987) e dai numerosi studi pubblicati dallo stesso autore.
2
e, in particolare, fra quelli nati dalla Riforma e dalla Controriforma, soprattutto attraverso la
metafora dello scontro e nella contrapposizione.5
Un tratto della storiografia recente è la concentrazione sulle espressioni simboliche della
differenza tra cattolici e protestanti della prima età moderna. In questo filone di studi, i
materiali storici, siano essi verbali, iconografici o comportamentali, si ritrovano spesso
unificati entro una prevalente concezione ‘testuale’ dei fenomeni sociali.6 Nella prospettiva
adottata, ad esempio, da alcuni celebri lavori di Natalie Zemon Davis, idee, motivazioni e
comportamenti si saldano in pratiche culturali integrate da significati coerenti che
costituiscono ed esprimono identità. Essere cattolici o protestanti consiste in una essenziale
divergenza di orientamenti cognitivi, valoriali e normativi, che condiziona tutte le
situazioni di interazione.7 Questo approccio non postula necessariamente immobilismo o
impermeabilità alle influenze tra identità distinte, essendo compatibile con processi di
scambio e cambiamento che si realizzano nella forma del “meticciato” e della “ibridazione”
culturale.8
Si tratta però di una polarità che, in quanto tale, non può considerarsi esaustiva,
specialmente quando si tratta di spiegare le situazioni in cui la dissonanza culturale, senza
dissolversi, non impedisce una robusta cooperazione tra i soggetti che ne sono portatori.
Rispetto allo studio dei rapporti tra gruppi confessionali in chiave di interazione
simbolica, l’uscita, nel 1993, del libro di Gregory Hanlon Confession and Community in
Seventeenth-Century France segna uno spostamento di prospettiva teorica e un rinnovato
interesse per le situazioni di pacifica coesistenza religiosa.9 Riflettendo, in particolare, su
un classico saggio della Zemon Davis, Hanlon sottolinea il carattere problematico del
rapporto delle credenze e dei simboli religiosi con il comportamento sociale. Il problema, a
un tempo semantico e psicologico, riguarda anzitutto la stabilità e la coerenza del contenuto
della fede e del simbolismo a essa associato. Hanlon si richiama qui alle osservazioni di
Roger Chartier sulla pluralità e ambiguità di significati come caratteristica inevitabile del
segno e di qualunque formazione “discorsiva”. In secondo luogo, rifacendosi questa volta a
Paul Veyne, si interroga sulla natura e sul grado dell’adesione dei credenti al credo
5
Tra gli esempi più noti: Estèbe Garrison, 1968; Zemon Davis, 1980; Crouzet, 1990.
Una concezione talvolta ispirata al concetto di cultura “essenzialmente semiotico” proposto
dall’antropologia simbolica di Clifford Geertz, in particolare nell’ormai classico Geertz, 1973b, parole tra
virgolette a p. 5 (per quanto riguarda più specificamente l’interpretazione dei sistemi religiosi, vd anche
Geertz, 1973c). Per una critica di applicazioni semplicistiche di suggestioni geertziane in storiografia cfr.
Levi, 1985a. Alcune osservazioni critiche sulla riduzione del significato degli spazi sacri a ‘messaggi’ in
Coster, Spicer, 2005, specialmente p.15.
7
La centralità del concetto di identità nell’opera di Natalie Zemon Davis è sottolineata da Diefendorf, Hesse,
1993. Uno dei temi principali affrontati nell’opera di questa grande studiosa è tuttavia l’intersezione piuttosto
che la reciproca estraneità delle culture. Si tratta di una fenomeno che si realizza attraverso la compresenza di
molteplici identità nell’individuo, derivanti dalla sua partecipazione a forme di socialità governate da sistemi
di valori divergenti. La concorrenza o il conflitto fra tali sistemi consente inoltre agli individui stessi di
fabbricare o manipolare consapevolmente la propria identità a partire dalle opzioni culturali disponibili (cfr.
ibid., in particolare, pp. 3 e 8).
8
Zemon Davis, 2001. Sul “meticciato”, cfr. Amselle, 1999.
9
Hanlon, 1993, pp. 9-11. Il saggio dal quale prendono avvio le considerazioni di Hanlon è Zemon Davis,
1981. Sul piano di una storia intellettuale attenta al rapporto “fra sentimento religioso ed esigenze sociali…
fra idee ed azione politica”, le tendenze ireniche al tempo delle guerre di religione sono naturalmente
l’oggetto del fondamentale studio di Corrado Vivanti (Vivanti, 1963; citazione a pp. 11-12).
6
3
professato. È realistico ipotizzare che gli individui cerchino sempre di conformare la loro
condotta allo “spirito e alla lettera” delle dottrine religiose alle quali sottoscrivono? Il nesso
motivazionale tra credenze, idee, e comportamento viene messo radicalmente in dubbio e
Hanlon afferma di volerlo “relegare alla periferia” nell’economia della sua argomentazione.
L’analisi si apre quindi alle forme di legame interpersonale e di solidarietà (locale, di
parentela, di vicinato, di corpo, di classe) che, attraverso la mediazione di miriadi di
decisioni individuali, si intrecciano e interagiscono con i vincoli creati dall’appartenenza
confessionale. A una prospettiva che individua nella conformità ai dettami religiosi la
matrice dei comportamenti succede così un modello processuale, imperniato sul frequente
“pragmatismo” delle scelte compiute dai singoli e sui loro effetti aggregati.
A partire dalla pubblicazione del libro di Hanlon, un modello interpretativo assai
influente, quello della “confessionalizzazione” viene radicalmente decostruito e contestata
la sua implicita teleologia. “Adattamento” e “negoziazione” si sostituiscono all’immagine
di un percorso ineluttabile, precoce e prevalentemente governato ‘dall’alto’, verso la
fissazione delle identità confessionali.10
L’incontro-scontro tra confessioni, ad esempio, è alla base del “modello di costruzione
del confine confessionale” proposto da Keith Luria per rendere conto della sorprendente
variabilità delle situazioni locali incontrate nella Francia dell’Editto di Nantes – dalla larga
e pacifica integrazione di cattolici e protestanti entro forme di socialità comunitaria e di
buon vicinato alla cristallizzazione di due gruppi antagonisti in ogni sito di potenziale
interazione.11 Si tratta in effetti di un modello generativo, dal quale scaturisce una tipologia
articolata in tre poli principali. Anzitutto, una varietà “indistinta” e altamente fluida di
confine confessionale che nasce dalla presenza di molteplici attività e interessi condivisi fra
i membri di due gruppi religiosi.12 Segue un tipo più definito e pervasivo di confine, non
esente da tensioni, ma che ancora si accompagna a una misura sostanziale d’intesa e
collaborazione tra i due gruppi. Alla base, troviamo qui la puntuale negoziazione, spesso
con l’intervento di autorità esterne, della condivisione o separazione degli spazi pubblici e
degli ambiti di potere locale. Il terzo e più stridente tipo di coesistenza-divisione
confessionale è quella autoritaria imposta dai commissari regi.
Nel modello di Luria, non diversamente che nell’interpretazione di Hanlon, le possibilità
di convivenza, l’antagonismo confessionale o le scelte assimilazionistiche dipendono in
ultima analisi dal bilancio fra interessi e lealtà differenti – da un lato, affiliazione religiosa,
dall’altro, famiglia, luogo, nazione, o altri gruppi di riferimento. Luria propone in tal modo
una storicizzazione delle nozioni di fede e di conversione religiosa nell’Europa dell’età del
10
Per una rassegna di temi e letteratura concernente il paradigma della confessionalizzazione cfr. Reinhard,
1994 e Boettcher, 2004.
11
Luria, 2005, in particolare pp. 1-3. Nella recente storiografia, la nozione di “adattamento” sembra sostituirsi
progressivamente a quella di “confessionalizzazione” come immagine dei processi socioculturali connessi alla
diffusione della Riforma e della Controriforma: cfr. ad esempio Jones, 2002.
12
Così come da un’enfasi sull’identità civica. Una possibilità alternativa è però che in questi casi l’apparente
armonia si a dovuta al basso profilo adottato dal gruppo più debole in una situazione di grande squilibrio delle
forze.
4
confessionalismo che rende conto dell’evidente “incorporazione” degli “interessi sociali e
politici dei credenti”.13
L’approfondimento delle condizioni della coesistenza dimostra la possibilità storica di
identità religiose multiple e situazionali, nelle quali a una convinta identificazione in
termini rigorosamente confessionali si accompagna il riconoscimento di un comune
patrimonio ideale e pratico cristiano come valido terreno d’intesa interconfessionale.14 Su
questo piano è anzi stata avanzata qualche critica a espressioni come “tolleranza della
razionalità pratica”, coniata da Robert Scribner,15 o “pragmatismo” in relazione alla
convivenza confessionale, in quanto sembrano istituire una contrapposizione anacronistica
fra religione e razionalità.16
Se i presupposti teorici appaiono non di rado discordanti e problematici, la ricerca sta
comunque ottenendo importanti risultati nel delucidare il significato e il posto della
tolleranza delle minoranze (in senso numerico e/o di rapporti di potere) religiose
nell’Europa della prima età moderna e del confessionalismo. Si tratta di un tipo di
tolleranza assai diverso e limitato rispetto alla variante postilluministica e liberale, ma di
cui ora si sottolinea la diffusione e l’efficacia nel garantire livelli accettabili di pace civile e
di ‘governabilità’ della differenza. L’interesse degli studiosi non si limita agli aspetti
propriamente giuridici della tolleranza,17 volgendosi all’esperienza quotidiana degli
aderenti a confessioni diverse e rivali che si trovavano a dover convivere.
Nell’esperienza degli europei della prima età moderna, la tolleranza fa parte di un
idioma che non ha soverchie difficoltà ad “accomodarla” accanto al suo opposto,
l’intolleranza, e all’esclusivismo confessionale, in un continuum di sfumature.
L’intransigenza confessionale, la pretesa al monopolio dello spazio pubblico, possono così
articolarsi con altre, contraddittorie, percezioni e tradizioni che consentono
l’“accomodamento” e la “negoziazione” tra visioni e modi di vita concepiti in linea di
principio come alternativi. Ne deriva sul piano cognitivo e delle emozioni un campo di
possibilità che consente ai singoli individui di muoversi fra tolleranza e intolleranza in
momenti e sfere differenti della loro esistenza senza che le loro attitudini subiscano
alterazioni permanenti.18
13
Luria, 1996, in particolare, p. 26; vd. anche Luria, 2009, che inquadra le concezioni alternative di
conversione religiosa come trasformazione “volontaristica” e come effetto di conformità esteriore imposta
attraverso la coercizione (entrambe discusse e in diversa misura legittimate dalla teologia sia cattolica sia
protestante della prima età modena), in un quadro che postula comunque la deferenza della coscienza
individuale a un’autorità esterna (“libertà di coscienza” significa soltanto libertà di scegliere fra autorità
ecclesiastiche concorrenti).
14
Cfr., ad esempio, Spohnholz, 2011.
15
Scribner, 1996.
16
Ad esempio in Spohnholz, 2011, p. 223.
17
Su questi, in riferimento alla situazione dei valdesi, cfr. Zwierlein, 2008.
18
Le manifestazioni di ostilità rivolte ai sostenitori della fede tollerata appaiono spesso innescate da
trasgressioni reali o immaginarie nei confronti di un assetto di convivenza che resta di norma distintamente
ineguale. Queste infrazioni vengono misurate soprattutto in riferimento a uno schema categoriale che
classifica ciò che costituisce rispettivamente la sfera pubblica (riservata alla chiesa dominante, alle sue
dottrine e ai suoi rituali) e la sfera privata, secondo criteri molto distanti dai nostri (cfr. Dixon, 2009, dal quale
sono tratte le espressioni tra virgolette nel testo; Kaplan, 2007; Safley, 2011).
5
In questa vena, le relazioni confessionali
pragmatiche, plasmate più dalle contingenze
storia religiosa “concerne più la percezione e
attraverso forme di appropriazione, dialogo
convivenza quotidiana e ai suoi spazi.20
possono essere descritte come “ambigue e
che dai superiori principi della fede”.19 La
l’agentività che strutture e idee” e si dipana
e negoziazione intorno ai significati della
2. Lo sviluppo della tendenza storiografica sopra delineata appare per molti aspetti parallelo
alla più generale “svolta verso la pratica” che negli ultimi due decenni del Novecento si è
affiancata e in parte sostituita nelle scienze sociali alla precedente svolta linguistica e
culturalistica.21 “Pratica”, per come è spesso usata nella letteratura storiografica e
sociologica, è però un concetto che appare come sospeso tra il riferimento a modelli
culturali e all’interazione concreta.22
Nel complesso, per la storiografia sociale e culturale nata dalla crisi del paradigma della
confessionalizzazione, l’accomodamento al pluralismo religioso, se da un lato allude
necessariamente a potenzialità inscritte nell’orizzonte culturale dell’epoca, dall’altro,
rimanda inequivocabilmente all’oggettività degli esiti scaturiti dalla Riforma e dai tentativi
di reciproco adattamento messi in atto dagli attori sociali che ne sono stati diversamente
toccati e trasformati. È questo confronto propriamente creativo con una realtà in larga
misura inattesa a rendere intelligibile l’apparente paradossalità dell’accettazione della
diversità religiosa in presenza di forti pressioni (e passioni) ideologiche in direzione
dell’intolleranza confessionale.
Il pragmatismo invocato dagli autori che abbiamo preso in considerazione si apparenta
alla concezione di “pratica come azione collettiva” avanzata da Barry Barnes. Per Barnes,
nessuna regola potrà mai prescrivere un comportamento con esattezza sufficiente ad
assicurarne una riproduzione stabile; le regole sono infatti troppo astratte e indefinite. Le
“pratiche condivise” sono quindi “azioni socialmente riconosciute” entro un dato universo
culturale non perché incarnino in maniera trasparente una qualche norma. La norma si
realizza solo grazie agli sforzi coordinati di attori sociali interdipendenti che, inizialmente
guidati dal significato idiosincratico che ciascuno le attribuisce, nel corso della loro
interazione aggiustano mutualmente i loro comportamenti. È questa progressiva
convergenza e precisazione di intenti ad assicurare la riconoscibilità delle pratiche, non il
fatto che seguano direzioni prefissate.23
Per Barnes le norme e i valori culturali sono dunque il risultato più che il presupposto
dell’azione collettiva. Tuttavia, nella sua visione, realizzarli rimane il movente di fondo che
19
Dixon, 2009, p. 1.
Frijhoff, 2009. Fra le tattiche della convivenza religiosa che gli storici vengono riscoprendo rientrava anche
il deliberato oblio, in specifici contesti e in vista di specifici scopi, delle rispettive appartenenze confessionali.
Su questo innovativo tema di ricerca, cfr. Karremann et al., 2012.
21
Shatzki et al., 2001.
22
In molte applicazioni, indica anzi un corso di azione in un dato ambito sociale che risponde a schemi
normativi preesistenti, sebbene non del livello altamente astratto e dottrinale privilegiato dalle più tradizionali
prospettive idealistiche. Per un’esposizione e una critica di queste tendenze sia nella recente storiografia
giuridica e culturale sia nell’influente teorizzazione della pratica proposta dalla sociologia di Pierre Bourdieu,
cfr. Torre, 1995b.
23
Barnes, 2001.
20
6
orienta il comportamento collettivo. In alternativa, le pratiche possono essere pensate come
azioni strategiche mosse da intenzionalità anche molto differenti che si incontrano grazie a
un mutuo riconoscimento interessato. La “legittimazione” (o il “riconoscimento sociale”,
per dirla con Barnes), che in tal modo ottengono riguarda dunque fasci di azioni interrelate,
non è esente da tensioni e, di solito, non lascia immutato il contesto culturale in cui ha
luogo, comportando la manipolazione di elementi rituali e codici normativi.24
Concepire le dinamiche fra gruppi religiosi o etnici in termini di azione collettiva fra
soggetti diversi guidati da un certo grado di razionalità strategica, ancorché condizionata
culturalmente e da limiti cognitivi, comporta un rifiuto del determinismo culturale
soggiacente al discorso identitario. Le identità culturali non possono essere interpretate se
non come un esito eminentemente pragmatico e provvisorio di processi di interazione
sociale.25
Marshall Sahlins ha formulato chiaramente la questione dei processi di
“improvvisazione semantica” o “rivalutazione funzionale” dei vecchi significati, che
intervengono alla luce di nuove esperienze (ma soprattutto nel contatto con “ordini”
culturali alieni). Per Sahlins, una cultura si rinnova attraverso gli eventi, le “congiunture”
imprevedibili dell’azione, che “mettono a rischio” i significati invalsi, ma attingendo, in
fondo, a riserve generative precodificate, cioè a un “modo di produzione storica” dei
significati che le è proprio e la distingue da tutte le altre.26
Come tuttavia osserva Anthony Paul Cohen, una cultura non viene solitamente vissuta
come “un sistema coerente di idee”, ma si realizza nella ininterrotta negoziazione fra ciò
che è sentito e vissuto da ciascun individuo e forme simboliche che emergono e diventano
condivise appunto perché si accomodano a una latitudine di significati e di usi individuali.27
La lettura in chiave di identità etnica o religiosa di fenomeni culturali decontestualizzati
non è però solo un abbaglio interpretativo, ma anche una procedura strumentale che
risponde a logiche di potere e di interesse.28 In termini molto generali, l’“etnicità” può
essere definita come un tipo di rilevanza sociale acquisita selettivamente da certi tratti
culturali diffusi in una popolazione a preferenza di altri, in dipendenza di variabili
contestuali. I tratti selezionati diventano così un criterio per caratterizzare in modo
24
Torre, 1995b, in particolare pp. 818-824.
Una critica demolitrice del discorso identitario in Remotti, 1996 e Remotti, 2010. In campo storiografico,
una visione radicalmente costruzionistica dell’identità culturale-religiosa è rappresentata da Allegra, 1996.
26
Muovendo da una nozione di cultura come “ordine significante” precedente, per molti aspetti, l’esperienza
e le attività pratiche dei suoi portatori, altrimenti prive di senso, Sahlins è condotto a interrogarsi sul problema
dell’incommensurabilità dei significati culturali con la loro estensione, ossia con il loro riferimento al mondo
delle cose: i primi sono infatti allo stesso tempo troppo generici e troppo ristretti per rispondere
adeguatamente alla concretezza delle seconde nei differenti contesti in cui le si incontra (cfr. Sahlins, 1986, in
particolare pp. IX-XX]; Sahlins, 1992, specialmente pp. 9-15 e 49-108).
27
Rinvio, in particolare, ai seguenti lavori di Anthony Paul Cohen: Cohen, 1982; Cohen, 1985; Cohen, 1986.
28
La costruzione delle ‘etnie’ africane a opera dell’etnografia e dell’amministrazione coloniali rappresenta un
caso esemplare di come la nozione statica e classificatoria di cultura come “universo delle regole, cioè della
fissità delle prescrizioni” sia spesso il frutto dell’isolamento arbitrario di insiemi di pratiche da un più ampio
contesto dinamico di relazioni, economiche e/o politiche per esempio, di cui sono in realtà l’espressione.
Riformulate come attributi ‘essenziali’ di una collettività umana discreta esse acquistano una coerenza fittizia
(cfr. Amselle, 1999, citazione a p. 68). Lo stesso si potrebbe dire di molti comportamenti sociali di cui si è
indicata spesso la ‘causa’ in un credo religioso. Una classica contrapposizione teorica alla concezione
essenzialistica delle culture in Leach, 2011.
25
7
stereotipato e distinguere quella popolazione nei confronti di altri gruppi umani, pertinente
in tutti o in alcuni dei loro ambiti di interazione.29 La frequente connessione dell’etnicità
con la competizione per le risorse materiali e il potere è un fatto alquanto scontato, ma ha
forse trovato la sua asserzione più radicale nei lavori di Abner Cohen.30 Nella sua visione,
strutture culturali e strutture mentali non sono la stessa cosa, ma a far problema non è come
le motivazioni e gli appetiti individuali possano produrre scelte collettive. L’esperienza
soggettiva è per definizione “caotica” e perlopiù inconscia. Ciò che conta realmente è
l’“esistenza oggettiva” dei simboli e dei modelli culturali ai quali si ancora. Questi ultimi
sono sì “socialmente creati”, ma una volta in circolazione vengono interiorizzati dagli
individui “attraverso un processo continuo di socializzazione”. La loro fissazione e la loro
permanenza come contrassegni di etnicità non appartengono tuttavia a una sfera autonoma
di attività sociale; si devono, infatti, alla loro funzionalità, contingente ma altrettanto
oggettiva, rispetto agli interessi che un gruppo deriva dalla sua posizione entro una
determinata struttura sociale. Quando le circostanze lo richiedono, l’identità etnica fornisce
infatti una forma di organizzazione “informale” a gruppi di interesse potenziali, offrendo
loro le basi per la coesione interna e la delimitazione verso l’esterno.31
Abner Cohen insiste inoltre sul potere cogente ed emotivamente carico dei modelli
culturali incorporati nell’identità etnica, respingendo esplicitamente una concezione più
‘debole’ delle categorie etniche come espedienti epistemologici individuati dagli attori
sociali per orientarsi dal punto di vista cognitivo e del comportamento in situazioni di
pluralismo culturale. Questa concezione, proposta da antropologi quali Max Gluckman,
James Mitchell o Fredrik Barth,32 contiene infatti l’idea che i comportamenti
apparentemente influenzati dall’etnicità non siano tanto dettati da un modello normativo
interiorizzato e dalla spinta di interessi di gruppo spontaneamente e uniformemente
condivisi, ma piuttosto siano in larga parte il risultato di manipolazioni strategiche da parte
di individui guidati da motivazioni proprie.33
29
Questa definizione ricalca quella proposta da Barth, 1994, sulla quale torneremo più ampiamente in seguito.
Cohen, 1994, da cui sono tratte tutte le citazioni letterali fino in corrispondenza della nota seguente.
31
Nella posizione di Abner Cohen sono presenti in tal modo sia una dicotomia fra due entità egualmente
collettive sia una loro stretta corrispondenza funzionale: le strutture sociali all’interno delle quali gli interessi
si determinano e i sistemi di rappresentazioni culturali che li veicolano sono distinte ma speculari. Cfr. a
questo proposito la critica rivolta in Sahlins, 1982, in particolare pp. 55-124, a un tipo di analisi “che mira a
far precipitare la struttura concettuale di un codice di oggetti in un messaggio funzionale, come se le cose
della cultura non fossero altro che versioni concretizzate di solidarietà sociali”, seguendo in questo una
“logica di tipo utilitario”. Sahlins vede la matrice di questa impostazione teorica nella “fatale separazione di
Durkheim tra morfologia sociale e rappresentazione collettiva” (ibid., p. 119).
32
L’approccio cognitivistico all’etnicità trova un cardine fondamentale nella nozione di “categorizzazione
etnica” o “etichettatura etnica”, formulata da James Mitchell. Con questa espressione Mitchell denota il
processo per mezzo del quale gli attori sociali stessi strutturano la loro percezione della distanza sociale che li
separa, classificandosi reciprocamente in categorie definite attraverso una selezione di tratti culturali
socialmente identificabili e associando a ciascuna di esse determinate aspettative di comportamento (cfr.
Mitchell, 1974; Mitchell, 1994).
33
Semplificando, si può parlare di un’ottica contrapposta a quella di Abner Cohen, nella quale l’esistenza
sociale del gruppo non è un presupposto dell’esperienza individuale ma è vero semmai il contrario. In ogni
caso, se la si adotta, la mobilitazione e il coordinamento in forme di azione collettiva su base etnica delle
esperienze e dei fini dei singoli possono essere concepiti solo come problematici, processuali e dipendenti in
misura significativa dall’iniziativa imprenditoriale dispiegata da alcuni.
30
8
Questa prospettiva teorica sull’etnicità è in effetti parte di una reazione più generale
all’idea che i modelli di regolarità rilevabili nei concreti atti degli individui si possano
analizzare soddisfacentemente come “semplici omologhi di macrostrutture della società”, si
tratti di strutture di status e ruoli o di sistemi di categorie mentali.34 La ormai celebre
concezione di “gruppo etnico” proposta da Fredrik Barth è quella di una pura forma
organizzativa svincolata da ogni preciso contenuto culturale. Si tratta cioè di una “categoria
di attribuzione e identificazione” elaborata dagli attori sociali stessi e utilizzata per
organizzare la loro reciproca interazione. I contenuti culturali sono frutto di una selezione
operata nel corso di tale interazione e possono cambiare, sia nel tempo sia in dipendenza
della varietà delle condizioni ambientali; allo stesso modo, le persone possono mutare la
loro affiliazione. Necessaria e sufficiente è la permanenza di una distinzione culturale
percepita come socialmente rilevante dagli attori stessi rispetto ad altre entità analoghe con
cui il gruppo entra concretamente in relazione (ossia, non stabilita dallo studioso in
rapporto a una tassonomia astratta di unità culturali). In altre parole, è necessaria la
permanenza di un confine sociale, che regoli i rapporti fra i diversi gruppi prescrivendo i
ruoli che possono assumere i loro membri gli uni nei confronti degli altri. 35
A prima vista, una concezione formalistica e soggettivistica del rapporto fra le identità
collettive e le loro basi culturali può sembrare paradossale se applicata alla storia religiosa
europea. Cattolicesimo e protestantesimo, nella prima età moderna come in parte ai nostri
giorni, erano ovviamente sistemi comprensivi, altamente strutturati e distinti, di dottrine
34
Idea apparentata allo strutturalismo o perlomeno a certe sue varianti (cfr. Barth, 1981e, citazione a p. 35).
Barth, 1994. Una concezione soggettivistica, per certi aspetti simile, dei confini culturali come
“intrinsecamente contrastivi” e privi di significato obiettivo, “costrutti mentali che condensano
simbolicamente le teorie sociali dei loro portatori sulla somiglianza e la differenza”, in Cohen, 1986 (cfr.
specialmente p. 17). Nella letteratura antropologica e storiografica è ormai da tempo vivo l’interesse per i
confini (territoriali e/o metaforici), visti come siti di interazione rivelatori delle strategie o delle caratteristiche
dei soggetti collettivi che si confrontano dalle due parti. Cole, Wolf, 1993, ad esempio, è diventato un classico
di esplorazione antropologica dell’etnicità che integra significativamente la dimensione storica (con alcuni
limiti, comprensibili dato il carattere pionieristico della ricerca: cfr. le osservazioni in Viazzo, 2000, pp.133134). Nelle due comunità confinanti, una trentina e l’altra sudtirolese, studiate dai due autori negli anni
Sessanta del secolo scorso, la “frontiera nascosta” ha preso forma tra adattamenti microecologici e
integrazione delle due società locali nelle più vaste costruzioni politiche che le inglobarono storicamente.
L’applicazione rigorosa di norme divergenti inscritte nelle rispettive culture, in particolare quelle successorie,
è sacrificata alla necessità di definire risposte adattative efficaci a un ambiente comune, ma le ideologie
sottostanti restano nettamente distinte e si riflettono in modelli differenti di esercizio e di distribuzione
dell’autorità nei e fra i nuclei domestici. Questi modelli, a loro volta, si riproducono nella sfera pubblica,
nutrendo i simboli di identificazione etnica che interpretano e trasfigurano le strategie adattative impiegate
nell'immediato contesto del villaggio (e consentendo così il mantenimento del confine etnico nonostante le
interazioni che quotidianamente lo attraversano). La loro efficacia storica deriva dal collegamento che
operano tra la competizione locale per le risorse e il più ampio confronto fra sistemi di rapporti politici
sovralocali dominati da élite concorrenti. Sahlins, 1989 (un esempio invece di incontro fra antropologia e
indagine storica che procede dal versante storiografico), presenta un caso paradigmatico di come processi di
identificazione nazionale divergenti pervengano a radicarsi in una regione caratterizzata da una cultura
ampiamente comune, facendo leva sul perseguimento di interessi strettamente locali. Tra gli studi sull’età
della Riforma e della Controriforma, Feheleison, 2010, richiamandosi a Fredrik Barth, incardina sulla
descrizione di confini religioso-territoriali a lungo instabili e costantemente rinegoziati a livello locale una
proposta interpretativa di mutamento religioso a scala regionale irriducibile al modello di ridefinizione
confessionale degli spazi imposta dalle grandi istituzioni sovralocali.
35
9
cosmologiche e morali, di pratiche giuridiche, di rituali, di maniere e piccoli gesti
quotidiani. Erano culture sorrette da apparati istituzionali pervasivi. Punto innegabile nel
paradigma della confessionalizzazione, la conformità era perseguita attraverso un’opera
caparbia e sistematica di indottrinamento fin dalla prima infanzia, accompagnata dalla
coercizione. Inoltre, si trattava di sistemi non solo distinti ma in accesa (e non di rado
sanguinosa) competizione.
Vero è che gli argomenti teologici così come i simboli o i comportamenti valorizzati
dalle parti per dar espressione alle loro differenze dovevano essere attivamente selezionati
tra i molti egualmente eleggibili; non erano cioè imposti da una gerarchia automatica di
rilevanza. Il fatto che in una data situazione emergesse un particolare tratto a caratterizzare
i due gruppi a confronto non era dato dalla sua intrinseca centralità nella cultura religiosa
cui apparteneva, ma dalla precisa contingenza storica in cui si trovavano le relazioni tra i
gruppi, sulla quale influivano anche profonde divisioni e tensioni interne. Larghe aree di
comune eredità culturale cristiana venivano lasciate sullo sfondo, per tornare
‘pragmaticamente’ utili, come si è detto, nelle situazioni in cui si trattava di articolare
idiomi di tolleranza e convivenza pacifica.
Non credo quindi che le interazioni tra cattolici e protestanti nella prima età moderna si
possano concepire come interamente determinate da ingiunzioni morali e gabbie cognitive
inscritte nei rispettivi sistemi di credenze, né da interessi materiali di cui queste
costituirebbero, in fondo, solo una proiezione ‘sovrastrutturale’, ma piuttosto come sensibili
a un confine religioso continuamente alterato dalle vicissitudini stesse dell’interazione.
Occorre dire che la definizione di gruppo e di confine etnico formulata da Barth è stata
criticata come puramente descrittiva o circolare: il processo di categorizzazione che
definisce l’etnicità ne sarebbe allo stesso tempo una manifestazione.36 Tuttavia, per Barth,
l’evidente “incongruità” tra gli interessi e tra i diversi “livelli” in cui si articola una
collettività impone di attribuire rilievo analitico alla soggettività degli individui e alla loro
disposizione al perseguimento strategico dei propri fini.37 Il concetto di struttura sociale
non viene lasciato cadere, ma riformulato come insieme di regolarità comportamentali
emergenti dalle attività condotte in proprio dagli individui. Spiegare come si generano tali
regolarità è materia di un modello che riproduca i processi di “aggregazione” delle “scelte
sottoposte a vincoli” compiute dai singoli.38 L’azione individuale è cioè concepita da Barth
fondamentalmente come scelta e non come passiva conformità a determinazioni strutturali,
ma la sua latitudine è limitata dalle restrizioni e dalle opportunità che emanano
dall’ambiente in cui essa ha luogo.39
36
Cfr., ad esempio, Cohen, 1994, pp. 138-141.
In Barth, la correlazione tra l’etnicità e gli altri fenomeni di ordine culturale e socioeconomico che
intervengono nella riproduzione di una collettività umana non avviene direttamente al “livello rarefatto” delle
corrispondenze interne fra sistemi normativi, ma nel contesto dell’agire e dell’esperienza dell’individuo. In
alternativa a una concezione della società come “sistema morale”, Barth opta per una dialettica tra valori
culturali e utilità pragmatica alla base dei comportamenti (cfr. Barth, 1981d, p. 3).
38
“Model of choice under constraint”: tra i diversi testi in cui il modello è discusso, cfr., ad esempio, Barth,
1981b, specialmente p. 21.
39
Nei primi lavori di Barth, il tramite fra queste due polarità, scelta e costrizione, era distintamente ecologico
e imperniato sul concetto di “nicchia” e altre metafore biologiche. Barth introdusse il concetto di nicchia
ecologica nello studio antropologico dell’etnicità in un articolo comparso nel 1956 (Barth, 1956), per indicare
il rapporto specifico instaurato da un gruppo umano con le risorse disponibili nell’ambiente naturale globale e
37
10
L’aspetto utilitario delle interdipendenze tra le scelte operate dagl’individui si esprime
nel concetto di “transazione” con il quale Barth indica un’interazione condizionata da
reciproche aspettative di reciprocità in cui il guadagno atteso non è inferiore al valore
investito nella relazione. In opposizione ad esse si definiscono le relazioni di
“incorporazione”, che non sono invece sistematicamente governate da un esatto principio di
reciprocità, anche se prevedono spesso un limite ai costi che chi vi si impegna è disposto a
sopportare. In questo secondo tipo di relazione, il beneficio ricercato è infatti collettivo
piuttosto che strettamente personale. La concezione barthiana dell’etnicità implica che i
rapporti tra membri di gruppi differenti avvengano prevalentemente secondo modalità di
tipo transazionale.40
Transazione e incorporazione non costituiscono tuttavia modalità semplicemente
parallele di interazione.41 Il ruolo principe spetta in questo proprio alle transazioni, perché il
principio di reciprocità che le guida conduce a una estesa comparazione degli standard di
valore applicati negli scambi (intesi non in senso strettamente economico ma anche
politico), che così diventano più conosciuti e più compatibili. L’imprenditorialità (anche
qui, non solo economica) ha un ruolo cruciale in questo processo, poiché mette in
comunicazione sfere di scambio e ambiti relazionali in precedenza separati, perciò retti,
fino al suo intervento, da parametri di valore incommensurabili.42
Quali conclusioni trarre da questa rapida rassegna di posizioni? In primo luogo che, a
fini analitici, non è utile postulare un’autonomia della dimensione religiosa dalle relazioni
gli eventuali competitori presenti. La proposta di Barth contiene un’enfasi sull’interdipendenza economica e
funzionale fra gruppi il cui assetto organizzativo e culturale, legato a “requisiti ecologici” differenti, rende
sotto certi aspetti complementari, come base per la loro convivenza. In mancanza di complementarità e di
dipendenza dalle stesse risorse, un principio di esclusione competitiva. prevede invece l’espulsione del gruppo
più debole. Il principio di esclusione competitiva, coniato dal biologo Garrett Hardin nel 1959 (Hardin, 1960)
recita che “competitori completi non possono coesistere” (in un’altra, più recente, formulazione, che n specie
non possono coesistere con meno di n risorse: cfr. Armstrong, McGehee, 1980). Anche un lieve vantaggio
riproduttivo porta in ultima analisi all’espulsione e all’estinzione della specie svantaggiata. Il principio è stato
tuttavia discusso e messo in dubbio soprattutto a partire dal decennio 1980 e sono stati proposti vari
aggiustamenti che vanno dalla negazione o attenuazione della centralità della stessa competizione per spiegare
le dinamiche evolutive delle specie a soluzioni che insistono sulla disomogeneità e discontinuità delle nicchie
ecologiche o sulla compatibilità di usi differenziati delle medesime risorse (cfr. Sommer, Worm, 2002).
Anche se i temi e il linguaggio dell’ecologia culturale (in particolare, appunto, il concetto di “nicchia”)
continuano a essere presenti, nelle opere successive di Barth, il determinismo naturalistico è evitato, poiché in
primo piano sono le interazioni fra le persone, che mediano il rapporto con le risorse e la riproduzione della
vita materiale. Già in un successivo contributo del 1964 (Barth, 1981c) troviamo una maggiore enfasi
sull’alterazione indotta dai fattori culturali nel determinismo dei meccanismi di controllo di natura ecologica.
40
Barth torna spesso sul concetto di “transazione”; sulla distinzione con le relazioni di “incorporazione” cfr.,
ad esempio, Barth, 1981e, p. 38.
41
Questo punto non viene reso esplicito da Barth, ma seguendo la logica del suo discorso, mi sembra si possa
dire che tra il primo e il secondo tipo di relazioni esista un legame di tipo generativo. Forzando, credo, solo la
lettera dei testi barthiani, la loro correlazione può essere avvicinata alla dialettica che vediamo intervenire nei
processi di integrazione delle culture. Con una mossa analitica solo apparentemente paradossale, Barth
collega infatti l’integrazione dei valori culturali alle relazioni interpersonali di tipo transazionale. In tal modo,
egli si propone di superare sia le spiegazioni idealistiche (meccanismi logici interni ai sistemi culturali o
psicologico-introspettivi nella mente) sia quelle funzionalistiche (rapporto con il soddisfacimento dei bisogni
umani) dei processi di integrazione, in favore del ruolo svolto dalle attività sociali concrete.
42
Sui processi di integrazione culturale, cfr. Barth, 1981f, in particolare, p. 56, sul ruolo degli imprenditori.
11
sociali in cui essa si esprime, comprese ovviamente quelle che veicolano anche un
significativo contenuto economico o politico.43 Neppure possiamo confonderle in una
relazione di totale isomorfismo, in una direzione o nell’altra: i comportamenti sociali come
espressione di un’identità religiosa o le credenze e pratiche religiose come espressione di
un’identità socioeconomica.44 Da un lato, sembra molto dubbio che il significato di
un’azione si definisca solo in rapporto a una norma, in qualunque modo la si possa
rintracciare all’interno della testualità, verbale o di altra natura, di un sistema culturale
(perché formulata in modo esplicito? perché derivabile da altri principi secondo il giudizio
informato dell’osservatore?).45 Inoltre, non ci possiamo affidare alla testimonianza dei
soggetti studiati, anche quando questa è presente, perché esiste normalmente una
“sistematica profonda differenza” tra ciò che le persone dicono quando riflettono in
generale sulle caratteristiche del mondo in cui vivono (e quindi della loro cultura) e quando
guardano a questo stesso mondo dal punto di vista delle opportunità di azione che può loro
fornire.46 D’altra parte, sarebbe egualmente errato ridurre in linea di principio le
motivazioni religiose a mascheramento, più o meno consapevole, di strategie economiche o
politiche.
Il presente lavoro indaga il rapporto tra cultura e azione nel contesto di una particolare
vicenda storica. Si propone di studiare alcune delle interazioni pragmatiche attraverso le
quali i membri di due popolazioni religiose della prima età moderna hanno strutturato la
loro esistenza collettiva e la loro convivenza in un misto di intesa e competizione. Ciò che
interessa non è sondare il fervore di quegli individui o il grado d’intensità e sincerità
dell’eventuale sforzo di conformarsi nel corso di queste interazioni a quelli che essi
intendevano come i dettami della loro fede – interpretati verosimilmente non da tutti allo
stesso modo. Mi limito perciò a osservare che le culture religiose si formano, perpetuano e
trasformano attraverso le interdipendenze, anche economiche, intrattenute dai loro membri
con i correligionari e con gli altri. A questo proposito, una rigida distinzione tra relazioni di
43
Brambilla, 1984.
L’approccio di Abner Cohen all’etnicità, ad esempio, sembra appunto postulare una relazione di
“isomorfismo” tra culture e strutture sociali, spesso riproposta anche dalla letteratura sociologica e
storiografica sui movimenti religiosi, quando cioè le scelte e i comportamenti religiosi vengono direttamente
attribuiti all’origine sociale di coloro che le compiono. Natalie Zemon Davis si è interrogata su questa
ipotetica correlazione e, per quanto riguarda cattolici e ugonotti nella Francia del Cinquecento, è giunta alla
condizionata negazione di un suo carattere sistematico – in particolare, nel caso dei tumulti religiosi, per lo
meno in ambiente urbano (cfr. Zemon Davis, 1980, pp. 232-235; “isomorfismo” è il termine usato dall’autrice
nel contesto di questa discussione). Un’influenza più mediata dell’esperienza dei rispettivi retroterra sociali
l’autrice ritrova tuttavia nel “linguaggio” (testi, simboli e riti) con cui cattolici e ugonotti rappresentano lo
spazio e il tempo urbani così come nelle loro immagini di comunità, accanto al ruolo strutturante più decisivo
svolto “dalla dottrina e dal quadro delle relazioni sociali-spirituali tra laici e clero” (Zemon Davis, 1981,
citazione a p. 67).
45
Sulle svariate accezioni di “norma” e sulla problematica relazione tra la sua rappresentazione mentale e il
modo in cui funziona per influenzare effettivamente il comportamento, cfr., ad esempio, Wright, 1989; Conte,
1991. In una certa misura, il rapporto tra norme o valori culturali e azione è inoltre presumibilmente esso
stesso culturalmente (e storicamente) specifico. Cfr. Sabean, 1982 per un’interpretazione dei meccanismi
motivazionali dell’azione in un mondo culturale in cui, secondo l’autore, le opinioni e motivazioni dei
soggetti individuali nascono da un “discorso” collettivo che riproduce la matrice delle relazioni sociali e di
potere nella quale essi si trovano inseriti.
46
Barth, 1981d, in particolare, p. 5.
44
12
natura propriamente transazionale, rette da aspettative di benefici tangibili, e relazioni di
incorporazione, fondate sull’identificazione con valori transpersonali, non mi sembra
realmente adeguata.
3. Il campo di osservazione di questo studio è costituito in larga parte dalla popolazione di
una comunità amministrativa della Val San Martino (Val Germanasca), Faetto, nel corso
del secolo XVIII. Il testo si articola nel modo seguente. Nel primo capitolo si cerca di
illuminare il contesto politico in cui si definì la composizione religiosa della popolazione di
Faetto tra la metà del secolo XVII e quella del secolo successivo. Nel secondo capitolo,
facendo ricorso alle liste nominative disponibili e ai registri parrocchiali, mi sono anzitutto
proposto di fornire un’immagine dell’entità della popolazione locale e della sua
composizione religiosa nel corso del Settecento. Inoltre, sebbene la qualità delle fonti non
consenta d’intraprendere uno studio approfondito di demografia storica, tenterò di tracciare
un quadro comparativo sommario delle tendenze avvertibili dietro la dinamica degli eventi
demografici riguardanti, rispettivamente, la componente cattolica e quella valdese. Il terzo e
quarto capitolo si concentrano sulle alienazioni di terra (compravendite e cessioni in
pagamento) intervenute fra abitanti della stessa Faetto e fra questi e abitanti di altre
comunità fra il 1731 e il 1775 registrate negli atti notarili, cercando di chiarirne il
significato, a mio parere cruciale, per i rapporti fra i due gruppi confessionali. Il quinto e
ultimo capitolo sviluppa questa linea d’indagine, nel tentativo di arrivare, sulla base dei
risultati dell’analisi prevalentemente quantitativa condotta fino a quel punto e di frammenti
prosopografici ricavabili dagli atti notarili (oltre alle alienazioni stesse, testamenti,
costituzione di dote, emancipazioni), a una rappresentazione più concreta della logica delle
transazioni. Ciò consente, in particolare, di avanzare alcune ipotesi intorno al ruolo svolto
dalle élite valdesi nell’arena locale e alla sua centralità per la sopravvivenza e il
radicamento della minoranza religiosa nel contesto dello stato sabaudo, sulle quali tornerò
nelle conclusioni.
Alla base del presente lavoro c’è una scelta ispirata a una delle implicazioni
metodologiche più caratteristiche della microstoria (soprattutto di quella praticata in Italia):
che cioè lo studio ravvicinato di un caso particolare, attraverso un uso intensivo delle fonti,
permetta di porre domande su spiegazioni e concetti di tipo più generale, messi alla prova
di una ricostruzione insolitamente concreta degli oggetti ai quali (in maniera perlopiù
indiretta o implicita) quelle generalizzazioni si riferiscono.47 L’obiettivo del presente studio
non sarà pertanto la ricostruzione il più possibile esaustiva di un microcosmo nei suoi nessi
di natura ecologica, sociale e culturale. L’analisi verrà condotta su una documentazione
attinente a una situazione locale, ma riguarderà un tema a un tempo più limitato e
d’interesse potenzialmente più generale, quello, appunto, della particolare configurazione di
rapporti socioeconomici che sorregge un’identificazione e un tipo di coesistenza su base
confessionale. La recente storiografia sulle relazioni tra gruppi religiosi in Europa, di cui
abbiamo sopra citato qualche esempio, è giunta a una revisione dei paradigmi prevalenti
47
Impossibile discutere qui a fondo i significati di questa pratica storiografica, né ricordare anche solo i
diversi interventi teorici che l’hanno accompagnata. Mi limito perciò a rimandare al breve ma lucido riepilogo
in Fazio, 2004, e ai contributi raccolti in Lanaro, 2011.
13
fino a poco tempo fa, precisamene grazie ad indagini di scala locale e regionale, grazie alle
quali è stato possibile smontare precedenti interpretazioni di carattere teleologico.48
D’altra parte, la società locale che fa da sfondo a questo studio, al pari di tante altre di
oggi come di ieri, non solo non era chiusa alle forze del mondo esterno, ma, per molti
aspetti, il rapporto necessario istituito con tali forze plasmava i rapporti al suo interno,
generando ruoli cerniera e punti di mediazione politica e culturale. In questo, come nel suo
pluralismo interno, non si differenziava troppo, strutturalmente, da altre situazioni rilevabili
in antico regime. Lo stesso si può dire quanto al fatto che la più vasta realtà si presentasse
spesso sotto la forma di poteri in competizione o comunque tra loro dissonanti.49
L’inserimento delle Valli valdesi dell’età moderna in più estese aree di scambio economico
e politico appare tuttavia più profondo e articolato che in molte altre zone rurali; basti
pensare ai rapporti intrattenuti, da una parte, con governi e chiese protestanti d’Europa,
dall’altra, con la corte sabauda o la chiesa cattolica, ciascuna di queste entità intervenendo
con propri agenti, istituzioni o iniziative destinati specificamente al ‘problema’ valdese.
L’esperienza di ciò che stava fuori dalle valli era diretta, personale, per molti dei loro
abitanti. L’élite pastorale concludeva la propria formazione con lunghi anni trascorsi presso
le università di Ginevra, della Svizzera o delle Province Unite (o anche, più limitatamente,
in Inghilterra). I commercianti e gli imprenditori valdesi trattavano con i loro omologhi
ginevrini, francesi o piemontesi; concludevano contratti con l’apparato delle Regie gabelle
o fornivano servizi all’esercito sabaudo. Il clero e i notabili cattolici locali (segretari di
comunità, giudici, la maggior parte dei notai) provenivano in genere dalla vicina pianura e
da altre zone del Piemonte. Una storia ambigua, fatta tanto di stretti rapporti economici
legati al commercio e alla transumanza quanto di risentimenti e conflitti a tratti sanguinosi,
univa i centri delle Valli valdesi ai limitrofi territori del Delfinato, come il Queyras.
Soprattutto, forse, in gran parte delle famiglie che vissero nel Settecento, valdesi o exvaldesi, sopravviveva la memoria della prigionia e della deportazione in luoghi estranei del
Piemonte e dell’esilio in terre ancora più lontane. Le espulsioni e l’esilio di valdesi
continuarono in effetti fino al 1730 e, almeno per qualche tempo, i rapporti tra chi restava e
i profughi anche in luoghi distanti come il Württemberg non si interrompevano del tutto.50
Tutto questo non fa però altro che confermare un motivo caro alla pratica microstorica:
l’esperienza e l’azione di ogni attore sociale, individuale o collettivo, partecipa di processi
storici che avvengono a differenti livelli di scala.51
Ho preferito perciò restringere l’ambito della ricerca alla ricostruzione di un sistema
locale di transazioni, nella consapevolezza che esso rappresenta solo un anello in una
48
In questo campo di studi, Fehleison, 2010 rappresenta un esempio particolarmente convincente di studio
dell’azione di forze di mutamento religioso di livello globale esplorate attraverso l’unicità di contesti locali.
49
La storiografia più aggiornata sottolinea come le comunità di antico regime costituissero spesso spazi
intensamente pluralistici dal punto di vista politico e religioso, segmentati da aggregazioni fazionarie e
clientele rivali come dalla concorrenza dei luoghi e delle forme di culto. Tra gli esempi più interessanti in area
italiana, cfr. Raggio, 1990; Grendi, 1993; Torre, 1995; Torre, 2011. Una rassegna ancora utile in Tocci, 1997.
50
Nel 1698-1699 furono espulsi e partirono i valdesi sudditi francesi che dal 1690 si erano rifugiati nelle Valli
valdesi sabaude; nel 1730, molti fra i valdesi abitanti nella Val Pragelato, in seguito alla proibizione del culto
protestante, oltre a centinaia di abitanti nelle altre valli, indiziate come colpevoli di ritorno al protestantesimo
dopo una conversione o dopo il battesimo nella chiesa romana da parte di genitori convertiti (cfr. Armand
Hugon, 1974, pp. 207-208 e 217-222).
51
Levi, 2003b; Revel, 2006.
14
catena più vasta, ma che tuttavia sembra manifestare una logica che gli è propria e che ci si
poteva proporre di mettere a fuoco solo nel terreno in cui prendeva forma. Ciò ha
comportato individuare nominativamente i contraenti di oltre un migliaio e mezzo di
transazioni che intercorsero in un periodo di circa mezzo secolo, ricostruendone, per quanto
possibile, l’affiliazione religiosa e i legami di parentela. Senza queste informazioni, le
nostre fonti sarebbero rimaste mute.
Da questa focalizzazione dell’indagine, il ruolo di fattori che potevano garantire un
accesso differenziale a risorse esterne, come la distribuzione dei ruoli di élite fra i due
gruppi, non è uscito occultato. Del resto, tali ruoli facevano, a loro volta, potentemente leva
su una ricchezza locale. Quanto agli apporti di tipo assistenziale di cui beneficiavano
rispettivamente le due componenti della popolazione, essi grosso modo si bilanciavano.
Credo che l’affondo portato su casi e temi circoscritti sia in grado di assicurare una base
solida di conoscenza sia a scopo comparativo (e quindi in vista di formulare
generalizzazioni fondate)52 sia in vista della ricerca di connessioni a più vasto raggio.53 Le
due prospettive, dunque, locale e globale, non si escludono, ma sono complementari;
semplicemente spesso non si può pretendere di praticarle adeguatamente insieme.
Ingrandire la scala comporta infatti necessariamente una moltiplicazione delle
caratteristiche rappresentabili del nostro oggetto di studio (come succede in una mappa
topografica rispetto alla carta geografica a scala minore), anche se lo dobbiamo pensare
inserito in una rete di rapporti in ultima analisi globale.54 Il problema del tutto e delle sue
parti si ripropone del resto a scale diverse, ogniqualvolta la percezione dei contemporanei,
il punto di osservazione dello storico o la struttura stessa delle fonti spingono a istituire
discontinuità nella trama dei rapporti tra i fenomeni che interessa indagare.55 La
scomposizione analitica e il provvisorio isolamento dei nostri oggetti di studio ha un
parallelo, oltre che un fondamento, nella settorializzazione, parzialità e discontinuità
dell’esperienza e della comunicazione quotidiana, la nostra come quella degli attori sociali
di cui studiamo le azioni.
52
Il problema della generalizzazione nelle scienze umane è recentemente tornato a suscitare interesse: cfr.
Fabiani, 2007; Passeron, Revel, 2005.
53
Il mutamento di scala è di per sé legittimo e utile, come lo è nella cartografia. Se manca tuttavia
l’ancoraggio a oggetti molto concreti (di cui cioè siano stati sufficientemente indagati i rapporti interni), il
‘globale’ rischia, per così dire, di restare nel vago. Una trama narrativa intessuta di approssimative astrazioni
non può poi non veicolare discorsi fondamentalmente ideologici. La funzionalità dell ricostruzioni
microanalitiche in vista della comparazione è sottolineata in Trivellato, 2011; cfr. anche Trivellato, 2011, pp.
119-132. Per altro verso, la comparazione, non una generalizzazione diretta e incontrollata da modelli
costruiti su casi singoli, costituisce l’unico strumento conoscitivo adeguato a testare la rilevanza delle
situazioni studiate in chiave microstorica (cfr. Allegra, 2011). Avverto che mi è sembrato preferibile
conservare il significato che “grande” e “piccola scala” hanno nella terminologia cartografica, per cui
“grande” si riferisce alla scala con un livello maggiore di dettaglio, contrariamente all’uso metaforico più
comune.
54
Sull’insostenibilità della pretesa di fondere in una visione totalizzante la prospettiva locale e quella globale
cfr. Chartier, 2001.
55
Sul posto della discontinuità nella pratica storiografica, in particolare, sulla necessità, da parte degli storici,
di interpretare la discontinuità delle attestazioni documentarie, come spia delle diverse configurazioni sociali
che le hanno prodotte cfr. Torre, 1999.
15
I. La costruzione di un confine confessionale
Dalla tolleranza al genocidio: le Valli valdesi nella seconda metà del Seicento
La popolazione di Faetto attraversò un momento di ridefinizione della sua fisionomia
religiosa nel corso degli eventi politici sconvolgenti che investirono le Valli valdesi nella
seconda metà del Seicento.1 Gli anni che vanno dal 1655 al 1690 sono contrassegnati da
due violenti tentativi di revoca delle concessioni che, con il trattato di Cavour del 1561 e la
successiva legislazione, avevano condotto al riconoscimento e alla regolamentazione di
un’enclave protestante negli Stati sabaudi. Entrambi si conclusero, dopo sanguinose
vicende militari, con la riconferma delle condizioni precedentemente garantite ai valdesi,
per cui il quadro giuridico fondamentale dell’esistenza di questa minoranza religiosa nello
stato si mantenne sostanzialmente inalterato sino all’Emancipazione del 1848, fatta
eccezione per la momentanea liberalizzazione apportata dalla parentesi rivoluzionaria e
napoleonica. Esso prevedeva la tolleranza dell’esercizio del culto riformato e il diritto
accordato alla popolazione protestante di detenere e acquisire liberamente proprietà,
all’interno di limiti territoriali rigidamente fissati e nel contesto di varie misure
discriminatorie a livello sociale, fiscale e simbolico.2
Sollecitata da frizioni lungo i confini dell’area di insediamento dei valdesi, la prima
campagna di aperta persecuzione si scatenò nella primavera del 1655 e, dopo strascichi di
guerriglia, si concluse definitivamente con la concessione delle patenti di grazia del 1664.3
Essa ebbe comunque una proiezione incruenta nel dispiegarsi, durante gli anni successivi,
di un grandioso impegno conversionista che si realizzò soprattutto mediante il
rafforzamento della rete missionaria insediatasi nelle Valli valdesi a partire dalla fine del
XVI secolo.4 L’iniziativa della corte, secondata da altre istituzioni e da eminenti privati,
1
Per la ricostruzione degli eventi politici che riguardarono le Valli valdesi nel XVII e nel XVIII secolo cfr.
Augusto Armand Hugon, 1974; Pascal, 1937-1968. Una sintesi e un inquadramento storico generale delle
vicende del 1686-1690 e della politica di Vittorio Amedeo II nei confronti dei valdesi in Symcox, 1985;
Symcox, 1990.
2
I limiti territoriali assegnati alla popolazione valdese comprendevano: la Valle di Luserna o Val Luserna
(odierna Val Pellice), comprendente le comunità di Angrogna, Bobbio, Luserna (interdetta ai valdesi), Rorà,
San Giovanni (dove i valdesi potevano risiedere, ma non esercitare il loro culto), Torre, Villar; l’Inverso Val
Perosa (la sponda destra dell’odierna bassa Val Chisone), con le comunità di Inverso Pinasca, Inverso Porte,
Pomaretto, Pramollo, S. Germano, Villar; la Val San Martino (odierna Val Germanasca), con le comunità di
Bovile, Chiabrano, Faetto, Maniglia, Massello, Perrero (il centro amministrativo e giudiziario della valle,
interdetta ai valdesi), Prali, Riclaretto, Rodoretto, Salza, San Martino, Traverse; le comunità di Prarostino,
Roccapiatta e San Bartolomeo, nel mandamento di San Secondo (cfr. il compendio degli editti concernenti i
valdesi, s. d. [ma dopo il 1730], in Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m.
100, fasc. s. n., ai capi sgg.: Limiti per detta R. P. R., Abitazione di detta Religione con Cattolici e Luoghi in
cui sono tolerati li Religionarj, cc. s. n.).
3
Cfr. il testo delle patenti, emanate da Carlo Emanuele II il 14 febbraio, in Borelli, 1681, parte III, lib. XV,
tit. II, pp. 1281-1283. Altre disposizioni relative agli eventi del 1655-1664 sono raccolte ibid., pp. 1276-1281
e Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 195-219.
4
Sull’attività delle missioni cattoliche nelle Valli valdesi dell’età moderna cfr. Povero, 2006. Dal 1653,
inoltre, l’apparato istituzionale delle conversioni poteva contare sull’Ospizio dei catecumeni fondato a Torino
16
sostenne l’impresa con la destinazione a favore dei valdesi convertiti al cattolicesimo di
sovvenzioni, doti per le giovani, misure di remissione fiscale.5
Il secondo tentativo di conquista cattolica delle Valli si intrecciò con la questione della
posizione internazionale del Ducato di Savoia e seguì le sorti del progressivo ritrarsi di
quest’ultimo, nel clima diplomatico della Guerra della Lega d’Augusta, dall’iniziale
protettorato francese.6 Intrapreso, sulla scorta della revoca dell’editto di Nantes, con la
proibizione, nel gennaio del 1686, del culto riformato nelle Valli valdesi,7 diede presto
luogo a un progetto di espulsione della popolazione dissidente. A chi rifiutò di convertirsi
al cattolicesimo fu infine consentito l’esilio grazie ad accordi intervenuti con i paesi
protestanti europei, mentre coloro che durante la prigionia seguita alle ostilità si erano
piegati all’abiura furono deportati nella pianura malsana e spopolata del Vercellese.
Le Valli valdesi, ‘svuotate’ in tal modo di gran parte della loro popolazione originaria,
furono destinate alla ricolonizzazione cattolica.8 Decretati, nel maggio del 1686, la confisca
dei beni dei valdesi e, nei primi mesi dell’anno successivo, l’esilio per coloro che non
intendevano abbandonare la fede protestante e la deportazione dei nuovi convertiti,9 si
procedette a organizzare la colonizzazione. Il programma originario intendeva privilegiare,
pur con qualche incertezza, una minuta assegnazione delle proprietà valdesi a piccoli
coloni, amministrata direttamente dallo stato, soprattutto attraverso concessioni
enfiteutiche. Tuttavia, nella pratica, il ripopolamento e la redistribuzione fondiaria furono
demandate all’iniziativa di privati che, all’incanto, ottennero spesso grandi estensioni e
talvolta le terre di un’intera comunità.
Il clima ideologico e una situazione da ‘frontiera’ aperta alle manovre speculative
promossero forme di valorizzazione delle risorse locali, come la privatizzazione delle
presso l’arciconfraternita dello Spirito Santo, benché esso non fosse specificamente destinato ai valdesi (cfr.
Allegra, 1990).
5
Alcuni lasciti e donativi privati destinati alla propagazione del cattolicesimo nelle Valli – insieme a proventi
assicurati dall’Ordine mauriziano, dalla Compagnia di San Paolo, dall’arcivescovo e dai canonici della
cattedrale di Torino – contribuirono alla dotazione di un’istituzione caritativo-assistenziale destinata ai valdesi
convertiti: il Rifugio stabilito nel 1679 dalla reggente Maria Giovanna Battista presso l’Albergo di virtù a
Torino e posto sotto la cura particolare dell’Ordine mauriziano. Al Consiglio del Rifugio fu specialmente
affidata la distribuzione di doti alle giovani convertite. Questa istituzione cessò di esistere nel 1746, quando le
quaranta persone che vi erano ricoverate e i suoi redditi furono trasferiti all’Ospizio dei catecumeni da poco
fondato a Pinerolo (cfr. gli atti istitutivi del Rifugio e del suo Consiglio, datati 10 febbraio 1679, in Borelli,
1681, parte III, lib. I, tit. VII, pp. 224-227. Cenni sulla storia del Rifugio si trovano in Duboin, 1818-1869,
tomo XIII, vol. XV, lib. VII, tit. XX, capo VIII, sez. I, nota 1, pp. 217-218; Bernardi, 1864, pp. 5-9).
6
Oresko, 1990, pp. 251-278.
7
Cfr. l’editto 31 gennaio 1686 in Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 240-242.
8
Sereno, 1989.
9
Queste misure erano state precedute da un editto, datato 9 aprile 1686, che intimava ai valdesi di cessare,
entro otto giorni dalla sua pubblicazione in Luserna, ogni resistenza all’applicazione del precedente editto,
promettendo il perdono a chi avrebbe obbedito (cfr. Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 243245). L’editto del 26 maggio successivo dichiarava tutta la popolazione valdese colpevole di ribellione e lesa
maestà e conseguentemente ne decretava la confisca dei beni (cfr. ibid., pp. 247-248). Il 31 gennaio 1687,
infine, si permetteva e si disciplinava la partenza per l’esilio dei valdesi detenuti. A quelli tra loro che si erano
nel frattempo convertiti o avessero scelto di farlo allora si consentiva la permanenza nello stato, disponendone
la deportazione nella provincia di Vercelli (cfr. ibid., pp. 249-251).
17
migliori comunaglie, portatrici di una profonda alterazione del modello d’uso del suolo,
deviato ora verso modalità di sfruttamento estensivo.
A questa alterazione contribuirono del resto gli aspetti che assunse l’adattamento dei
coloni (in gran parte di origine savoiarda) alle opportunità offerte dal nuovo ambiente.
Piuttosto che risolversi in un trasferimento definitivo, esso in effetti tese a inquadrarsi entro
un modello molto particolare di emigrazione stagionale a carattere agricolo che consentisse
di usufruire nell’area di emigrazione di un raccolto complementare a quello disponibile
nelle più elevate zone di provenienza, perciò mai completamente abbandonate. Di
conseguenza, il ripopolamento delle Valli valdesi risultò assai disomogeneo nella sua
distribuzione, complessivamente inferiore alla capacità di carico programmata e fortemente
instabile. Un flusso ininterrotto di ritorni, temporanei o definitivi, verso i luoghi d’origine
dell’immigrazione assottigliò infatti la presenza dei coloni e causò un mancato
assestamento delle strutture familiari.10
Questa la situazione quando, nel 1690, le clausole segrete stipulate con le potenze
protestanti avversarie di Luigi XIV (le Province Unite e l’Inghilterra di Guglielmo III) nel
quadro del primo rovesciamento di alleanze del Ducato di Savoia nel corso della guerra,
imposero a Vittorio Amedeo II di permettere il ritorno dei valdesi superstiti nelle loro terre
d’origine e di ripristinare un regime di tolleranza. Il ritorno dei valdesi era stato anticipato
dall’infiltrazione di un’avanguardia armata di fuoriusciti, che aveva resistito validamente
alle truppe franco-sabaude – un evento subito celebrato sotto il nome di “glorieuse
Rentrée”. La reintegrazione di esuli e deportati nei loro possessi, ufficialmente sancita solo
con l’editto di ristabilimento del 1694, provocarono la partenza definitiva dei coloni.11
A parte alcuni brevi, anche se importanti, contributi di ricerca, non stati ancora
adeguatamente studiati gli effetti e le trasformazioni non effimeri che la breve ma
sconvolgente parentesi della persecuzione e della colonizzazione indusse nel sistema
demografico, insediativo e agrario delle Valli.12 Del resto, anche solo la valutazione
dell’impatto demografico di quelle vicende appare assai problematica. Esaminerò in
dettaglio i dati demografici disponibili nel prossimo capitolo; qui mi limito ad anticipare
che una diminuzione attorno al 30 o anche al 40% della popolazione complessiva delle
Valli valdesi costituisce probabilmente una stima attendibile.
I valdesi di Faetto tra abiura e resistenza (1664-1686)
Il territorio di Faetto, dal 1928 aggregato al comune di Perrero, ospita tradizionalmente
un insediamento di tipo policentrico e sparso, attualmente distribuito tra i 747 e i 1505
metri di altitudine. Esso si estende in corrispondenza del corso inferiore del torrente
10
Sereno, 1989, pp. 432-455.
Cfr. il testo dell’editto di ristabilimento (26 maggio 1694) in Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII,
pp. 257-259. Questo provvedimento dava in effetti attuazione a un impegno internazionale assunto dal duca,
inserito nel menzionato “articolo segreto” del trattato di alleanza stipulato all’Aja il 20 ottobre 1690 con
l’Inghilterra e le Province Unite (cfr. Armand Hugon, 1974, pp. 199-200 e 205-206). Sulla lunga e contrastata
gestazione dell’editto di ristabilimento e del significato di quest’ultimo per gli assetti politici dello stato
sabaudo cfr. Storrs, 1999, pp. 293-311.
12
Sereno, 1990; Tron, 1990.
11
18
Germanasca, parte alla sua sinistra, ma prevalentemente sulla sua sinistra orografica, lungo
entrambi i versanti di un vallone trasversale orientato in direzione nord-sud. Gli alpeggi,
situati ai limiti meridionali del territorio, raggiungono quote massime tra i 1821 e i 2157
metri. L’insediamento era nell’età moderna e resta ai nostri giorni di tipo policentrico,
costituito da piccole borgate e da aggregazioni minori di case. Politicamente, nel secolo
XVIII, Faetto era sottoposta alla giurisdizione feudale (apparentemente poco incisiva sul
territorio) esercitata in forma paritetica da due lignaggi comitali: i Vagnone, residenti a
Pinerolo, e i Verdina, abitanti a Torino.13
Per buona parte del XVII secolo, Faetto sembra offrire l’immagine di un territorio quasi
interamente protestante. Le informazioni sono rare, ma concordanti. Una relazione sulle
Valli valdesi a opera di frate Teodoro da Belvedere, destinata alla Congregazione de
propaganda fide e pubblicata a Torino nel 1636, segnalava a Faetto 52 “case” protestanti
contro appena 6 cattoliche.14 Molto più avanti nel secolo, nel 1679, in una memoria inviata
al nunzio apostolico in Torino, l’intendente generale di giustizia nelle Valli, Beraudo,
riferiva la presenza nella comunità di 130 famiglie valdesi, 6 cattoliche native e 18
“cattolizzate” (ossia convertite).15 Una distribuzione non soltanto molto lontana dal
tendenziale equilibrio demografico settecentesco fra i due gruppi religiosi, ma ancora
differente in misura significativa da quella esistente alla vigilia della persecuzione,
ricostruita dallo Stato delle Valli redatto pochi mesi dopo il suo inizio: 80 famiglie valdesi,
32 famiglie cattoliche e convertite.16
Per quanto la natura di queste descrizioni sia tale da rendere incerto qualsiasi tentativo di
quantificazione e di precisa localizzazione temporale dei mutamenti intervenuti,
un’incrinatura religiosa della comunità sembra essersi prodotta approssimativamente nel
quindicennio precedente l’ultima persecuzione, come testimoniato dal concentrarsi in
quegli anni di numerose conversioni operate dai missionari cappuccini, amministratori del
Monte domenicale di Perrero, istituzione eretta da Carlo Emanuele II nel 1661 e finanziata
con l’alienazione a suo favore di quote dei tributi statali dovuti dalle comunità della Val
San Martino. Essa era destinata a promuovere l’attività conversionistica dei missionari nella
Val San Martino, attraverso la distribuzione di elemosine e sovvenzioni ai convertiti, in
particolare per finanziare l’acquisto o il riscatto di terre vendute ai valdesi, oltre che per
l’istruzione religiosa.17 A proposito di essa scriveva l’intendente Beraudo nella sua
memoria:
13
Asto, Sezioni riunite, II archiviazione, capo 79, Statistica Generale, fasc. 12, Provincia di Pinerolo (1753),
tabella.
14
Ibid., p. 68.
15
Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 95, fasc. s. n., Memorie rimesse
dall’Ill.mo et Ecc.mo S.r Conte Presidente et Intendente Generale di Giustitia delle Valli di Luserna Beraudo
a Mons. Ill.mo et Rev.mo Nontio Apostolico in Torino, c. 272v.
16
Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 557, m. 2, Stato delle Valli in aggionto al già mandato li 16 giugno
corrente secondo le notizie indi havutesi, 6 settembre 1686.
17
Missionari cappuccini si erano stabiliti a Perrero nel 1595 e vi erano rimasti sino al 1658. Pochi anni dopo,
come si è visto, l’istituzione del Monte domenicale ne segnò il ritorno. Essi si ritirarono definitivamente in
seguito agli eventi del 1689 (cfr. Caffaro, 1893-1903, vol. VI, pp. 10-26). Le patenti di erezione del Monte (1
febbraio 1661) gli assegnavano 41 sacchi di frumento, da prelevarsi annualmente dal “comparto dei grani”
dovuto dalla comunità di Perrero. L’anno successivo (patenti del 17 giugno 1662), il duca gli destinava per
quindici anni l’intero contingente di imposte (“il comparto dei grani, sussidio, e qualsivoglia altra debitura
19
Doppo la fondazione di detto Monte e con detta dote si sono acquistate più di 300 Anime, e circa
novanta lire di registro. La famiglia ordinaria di questo Monte è composta di 25 persone la maggior
parte de figliuoli Cattolizzati, quali sono educati sotto la disciplina d’uno di detti Padri, ivi
mantenuto per insegnare le cose necessarie per la salute dell’anima, e per le scienze humane. In
detta Missione vi sono cinque Religiosi Cappuccini tutti celebranti tre de quali sono Predicatori.
Questa Missione è il riffugio de poveri, massimamente de’ cattolizzati quali sendo debitori degli
18
heretici vengono da quelli continuamente molestati.
Le informative inviate dai missionari allo stesso intendente Beraudo ci restituiscono i
nomi di 125 convertiti di Faetto tra il 1670 e il 1681:19 19 sono individui isolati, mentre il
resto appare raggruppato in 25 aggregati parentali (cfr. tab. 1); i cognomi presenti sono 18,
tutti appartenenti allo stock onomastico che ritroviamo nella documentazione settecentesca,
comune a cattolici e valdesi. La ripartizione per genere dell’insieme dei convertiti è la
seguente: maschi: 69 (55,2%); femmine: 56 (44,8%). La prevalenza maschile appare più
che ribaltata ove si considerino soltanto i casi di conversione di individui singoli: i maschi
sono 6 (31,6%) e le femmine, 13 (68,4%).
singoli (femmine)
13
padre con figli
11
coppia di coniugi con figli
8
singoli (maschi)
6
madre (vedova) senza figli
4
nucleo di tipo non identificato
1
totale
25
Tab. 1. Conversioni presso la Missione cappuccina di Perrero (1670-1681). Distribuzione per tipo di nucleo di
familiari.
L’incidenza dei due generi sull’insieme delle conversioni è assai simile a quella
registrata fra i “calvinisti” e valdesi accolti all’Ospizio dei catecumeni di Torino nel
ducale, e militare”) di cui era gravata la medesima comunità. Le patenti del 7 ottobre 1664 stabilivano infine
che un’annualità di duemila lire, a carico del “tasso” pagato dalle comunità di Faetto, Riclaretto, Rodoretto,
San Martino e Traverse, concorresse in perpetuo alla sua dotazione. Nel triennio 1673-1676, i redditi annuali
risultano ammontare a 7200, contro una spesa totale ascendente nello stesso periodo a 8974 lire (Asto, Sezioni
riunite, Camerale, art. 584, fasc. non num., Conto che rende il P. Girolamo da Pamparato Missionaro
Capuccino nella Valle di S. Martino per li rediti del Monte Dominicale, per l’anno 1673, 1674, 1675, 6
febbraio 1676, cc. s. n.). Sul Monte domenicale cfr. Povero, 2006, pp. 311-312.
18
Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 95, Memorie, cit., c. 272r.
19
Ibid., fasc. s. n., Nota delle persone catolizate dall’anno 1667 sino all’anno 1676 li 11 Giugno, 3 novembre
1679, cc. 114v-117; ibid., fasc. s. n., Nota delli Catolizati nell’anno 1676 nella Valle di S. Martino, s.d., c.
118; ibid., fasc. s. n., Nota di Catolizati nella Val di S. Martino nel tempo che l’Ill.mo Sig.r Senador Beraudo
ha l’Intendenza Generale di Giustizia nelle Valli dal 4 Giugno 1676 sin al presente, 4 agosto 1677, c. 119;
ibid., fasc. s. n., Nota de Catolizati da PP. Missionarij Capuccini nella Val di S. Martino dall’anno 1679 sin
al presente, 3 maggio 1681, cc. 127-130.
20
periodo 1720-1902: 53,8% maschi e 46,2% femmine, ma nel contesto di una frequenza
assolutamente differente delle conversioni collettive di parenti; all’Ospizio queste ultime
interessano infatti una minoranza, pari al 25,3% dei convertiti, mentre nel nostro caso i
gruppi parentali arrivano a comprendere l’84,8% dei convertiti.20
Gli elenchi compilati dai missionari non ci consentono una caratterizzazione sociale dei
convertiti e non dicono nulla sulle loro motivazioni. Alcuni sembrano recare nella loro
scelta il segno della debolezza, della precarietà delle loro condizioni: quattro vedove con
figli, tredici donne probabilmente ai margini del mercato matrimoniale... Tuttavia, la
maggioranza dei convertiti, di cui ignoriamo tra l’altro anche l’età, appartiene a gruppi
familiari composti dal solo padre e dai figli. Quest’ultimo dato fa pensare che la
conversione sia un’iniziativa prevalentemente incentrata attorno a una figura maschile di
capofamiglia. Del suo retroterra economico troviamo forse un’eco nelle parole
dell’intendente Beraudo citate più sopra, quando si riferiscono all’indebitamento dei
convertiti nei confronti dei loro ex-correligionari.
L’aggressiva politica conversionistica sabauda ha cominciato a rendere sostenibile una
presenza cattolica in aree altrimenti abitate massicciamente da valdesi. In queste
condizioni, è possibile immaginare che alcuni cogliessero questa nuova possibilità e si
convertissero di fronte a insuccessi ed esclusioni nel proprio ambiente relazionale, alla
difficoltà per alcuni nuclei più deboli di rimanere nei circuiti di reciprocità e di
cooperazione.21 Altri potrebbero aver agito sotto la spinta di un’urgenza di aiuto. In ogni
caso, l’identità confessionale così acquisita appare non di rado instabile e la via del ritorno
non sembra fosse invariabilmente preclusa. Ci sono addirittura indizi, per quanto riguarda
le conversioni che avvennero nel secolo XVIII, che un eventuale ritorno alla fede primitiva
fosse spesso programmato prima della conversione al cattolicesimo.22
All’epoca degli eventi del 1686, lo Stato delle Valli rivela, come si è visto, la presenza a
Faetto di 32 famiglie cattoliche; altre tre fonti contemporanee censiscono rispettivamente:
37 nuclei domestici cattolici comprendenti 162 individui, 43 nuclei con 178 individui, 34
nuclei con 135 individui.23
Le ostilità seguite allo scatenamento della persecuzione non sembrano scompaginare gli
schieramenti religiosi delineatisi negli anni precedenti, anche se non mancano di rivelare
20
Allegra, 1990, tab. 3, p. 525 e tab. 8, p. 538. Fino al 1743, la categoria “calvinisti” annovera anche i valdesi
ospitati nell’istituzione.
21
Mi rifaccio qui a un “modello di conversione” che situa le motivazioni del cambiamento di appartenenza
confessionale nelle tensioni interne alle famiglie, in particolare, negli scompensi in termini di opportunità di
realizzazione sociale ed economica fra i membri di una famiglia o di una parentela; più in generale, nelle
caratteristiche dei reticoli relazionali di coloro che decidono di convertirsi: cfr. Allegra, 1991, pp. 901-915 e,
dello stesso autore, Allegra, 1996.
22
Allegra, 1990, pp. 513-573, in particolare pp. 531-533. Nell’ambito delle scienze sociali una recente
letteratura ha insistito sul tema dell’ambiguità e del mimetismo nell’identità di frontiera per preservare
condizioni di esistenza normali di fronte ai conflitti di culture promossi da centri di potere esterni in
competizione: cfr., ad esempio, Cocco, 2007.
23
Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 567, fasc. s. n., Consegna delle Famiglie delli Cattolici, Cattolizati, &
Sottomessi in tempo habile delli Luoghi, et luoro territorij della Valle di S. Martino, fatto li 14, 15, & 16
Luglio 1686; ibid., fasc. 18, Consegna di tutti li Cappi di casa di caduna delle Communità della Valle S.
Martino col numero delle persone e luogo, 5 ottobre 1686, Faetto habitanti vecchij; ibid., fasc. s. n., Stato
delli habitanti di Prali, Macello e Faetto nella Valle di S. Martino, 1687.
21
l’ambiguità di alcune delle scelte di conversione allora effettuate; fra gli otto cattolizzati di
Faetto tradotti prigionieri a Luserna nel luglio del 1686 per connivenza con la resistenza
valdese, accanto a tre individui convertiti dopo la proibizione del culto protestante figurano
altri cinque convertiti di più vecchia data: i fratelli Giacomo e Pietro Bertalmio,
rispettivamente di 25 e 18 anni, convertiti nel 1680, arrestati “per esser restati in tempo de
moti prossimi passati, come dalla luoro admissione, nelle Valli insieme con gl’altri
relliggionarij rebelli”; Giacomo Macello, di 35 anni, convertito da dieci anni, “per aver
preso le armi con li relliggionarij et esser restato nella valle”; Maria, vedova di Guglielmo
Marco, 32 anni, convertita nove anni prima, “per esser ritornata al prece diverse volte,
richiesto il Ministro Leggiero darli la Cena, et anche sposarla con un heretico, et donna di
mala vita”; Giovannina Marco, 44 anni, vedova di Pietro Macello, convertita nel 1677, “per
non esser vissuta da buona Cattolica, et di mala vita”.24
Fra i valdesi troviamo censiti nel gennaio 1687, nei loro luoghi di detenzione – Bene
(oggi: Benevagienna), Cherasco, Fossano, la Cittadella di Torino – coloro che optarono per
l’abiura; si tratta di 86 individui di Faetto, suddivisi in 32 nuclei parentali. Ne ritroviamo
57, in 17 nuclei, nel marzo dello stesso anno, fra i deportati, dispersi in varie località della
pianura vercellese.25
Le terre confiscate nella comunità divennero, come nel resto delle Valli valdesi,
obiettivo della colonizzazione; vi si insediarono, secondo tre rilevazioni un po’ difformi,
rispettivamente, 29 nuclei familiari comprendenti 145 individui, 27 nuclei con 113
individui, 25 nuclei con 109 individui – tutti provenienti dalla Savoia.26 La precarietà del
loro insediamento è testimoniata dalla penuria di scorte e di bestiame rilevata in una di
queste consegne, introdotta e punteggiata dalle considerazioni moralistiche ma anch’esse
rivelatrici avanzate dal suo estensore a proposito della scarsa laboriosità dimostrata dai
coloni.27 Di questi ultimi non rimane più alcuna traccia nella documentazione posteriore;
anche qui la colonizzazione si è rivelata un fenomeno effimero.
Non è possibile seguire le connessioni genealogiche tra gli abitanti di Faetto al tempo
della persecuzione di cui conosciamo il nome e i ceppi che la presenza, molto più tarda, dei
registri parrocchiali permette di individuare. Alcune vicende familiari sono però
riconoscibili e ci fanno intuire il complesso e spesso drammatico retroterra delle scelte
religiose di individui o famiglie: così, ad esempio, all’origine di una delle più cospicue
discendenze contadine cattoliche ritroviamo i due fratelli Bertalmio, cattolizzati schieratisi
con la resistenza valdese e per questo incarcerati nella Cittadella di Torino; oppure, fra gli
24
Ibid., Consegna delle Famiglie, cit., Notta delli particolarij della Valle di S. Martino, quali sono stati
arrestati, et condotti priggionieri nel luogo di Luserna, per esser stati Cattolizati fuori di tempo, overo per
esser stati restati nella Valle, et nelle Montagne della medema insieme con gl’altri relliggionarij rebelli al
tempo de moti prossimi passati, hoggi li sedeci Luglio mille sei cento ottanta sei, pp. 34-35.
25
Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 584, fasc. s. tit., s. n., contenente rilevazioni effettuate tra il 14 gennaio
e il 17 marzo del 1687, cc. 1-68.
26
Asto, Sezioni riunite, Camerale, art. 567, Consegna di tutti li Cappi di casa, cit., Faetto habitanti novi, cc.
s. n.; ibid., fasc. s. n., Stato delli habitanti di Prali, Macello e Faetto nella Valle di S. Martino, 13 agosto
1687; ibid., Stato delli habitanti, cit. (questi due ultimi fascicoli, recanti lo stesso titolo, contengono, come si
vede, rilevazioni leggermente differenti della popolazione immigrata, la sola censita inoltre nel primo di essi)
27
Ibid., Stato delli habitanti, cit. (il primo citato con questo titolo nella nota precedente). Su questo
documento cfr. le considerazioni svolte in Sereno, 1989, pp. 450-451. Il suo estensore è il castellano della Val
San Martino, Gio. Giacomo San Martino
22
anziani della chiesa protestante negli anni Quaranta del Settecento, troviamo Giovanni
Reforno,28 che è sopravvissuto con i figli alla deportazione nel Vercellese, subita insieme
agli altri che preferirono l’abiura all’esilio nei paesi protestanti; Francesco Poetto, un altro
deportato, morirà cattolico nel 1731.29
L’inchiesta del 1725
Nel corso del Settecento, l’apparato istituzionale conversionistico e la presenza cattolica
nelle Valli è oggetto di alcune importanti misure di potenziamento e di riorganizzazione,30
in particolare: la decisione, nel 1748, che le congrue per il mantenimento dei sacerdoti
officianti nelle chiese delle Valli fossero a carico del pubblico tesoro;31 la fondazione, nel
1739, della Regia opera dei prestiti, a beneficio dei cattolici e dei convertiti delle Valli;32 il
trasferimento della competenza sui valdesi dall’Ospizio dei catecumeni di Torino a
un’omologa istituzione decentrata, stabilita in Pinerolo nel 1743;33 l’erezione, infine, nel
1748, del vescovado di Pinerolo.34
28
ACV, Livre où sont registrés les mariages, baptêmes de l’Eglise de Villesèche commencé en avril 1730 par
David Léger P. (1730-1775), 2 maggio 1740: “Mariage – Jacques Bounous Garin de Jean a épousé Judith fille
de Pierre Refourn ancien”.
29
APT, Liber mortuorum ab anno 1712 usque ad annum 1743, 9 marzo 1731.
30
Settecento religioso, 2001.
31
Caffaro, 1893-1903, vol. I, p. 386. Lo stesso anno, una somma di 46593 lire fu devoluta dalle regie finanze
alla costruzione e al ripristino di edifici ecclesiastici nelle parrocchie di patronato regio (costituenti oltre la
metà delle parrocchie delle Valli) e un contributo annuo, tratto dai fondi dei benefici vacanti, fu assegnato con
la medesima finalità alle parrocchie di libera collazione (cfr. ibid.).
32
Nel 1739, il re faceva consegnare nelle mani del teologo Pietro Manfredo Danna, vicario di Cavoretto (poi
canonico nella cattedrale di Pinerolo), 10000 lire, provenienti per metà dalle regie finanze e per l’altra metà
dalla cassa dei benefici vacanti, con la facoltà di concedere prestiti ai cattolici e ai convertiti delle Valli, a un
tasso di interesse non superiore all’1-1,5%. L’anno seguente, altre 13600 lire, derivanti dai redditi dei benefici
vacanti, furono affidate al Danna per essere impiegate nelle Valli in elemosine, prestiti, acquisti di beni
stabili, doti alle giovani convertite, sovvenzioni alle chiese, ai parroci e all’istruzione cattolica (cfr. Bernardi,
1864, pp. 11-13;. Caffaro, 1893-1903, vol. III [1897], p. 164 e vol. V [1900], pp. 298-299). In Duboin, 18181869, tomo XIII, vol. XV, lib. VII, tit. XIX, capo X, nota 1, pp. 356-357, la fondazione dell’Opera è fatta
risalire a regie patenti del 1749, non rinvenute dal compilatore. Sull’attività di Pietro Manfredo Danna e
l’Opera dei prestiti cfr. anche Canavesio, 2004.
33
L’Ospizio dei catecumeni di Pinerolo fu aperto per decreto regio nel 1743. Alla congregazione che lo
amministrava, composta da varie autorità civili ed ecclesiastiche pinerolesi, i regolamenti approvati dal
sovrano nel 1752 affidavano anche competenze in materia di distribuzione di elemosine, doti, sussidi per la
riparazione delle chiese e per il loro arredo, letteratura religiosa da diffondere nelle Valli valdesi (cfr.
Bernardi, 1864, pp. 21-31). La dotazione dell’Ospizio era costituita in parte da redditi dei benefici vacanti, in
parte dai fondi dell’ex Rifugio presso l’Albergo di virtù, in parte da lasciti privati e da un contributo
assegnatogli nel 1747 dal pontefice Benedetto XIV (cfr. ibid., pp. 35-45). Sull’attività dell’ospizio cfr. anche
Povero, 2007.
34
Il vescovato fu eretto con la bolla di Benedetto XIV del 23 dicembre 1748. La nuova diocesi comprendeva
territori in precedenza spettanti alla giurisdizione dell’arcivescovo di Torino – come la Val Luserna – o
dell’abate di Santa Maria in Pinerolo (sede vacante dal 1735) – come la Val Perosa, il suo Inverso e la Val
San Martino. Primo vescovo di Pinerolo, dal 1748 al 1794, fu il savoiardo Giovanni Battista d’Orlié dei
marchesi di Saint-Innocent, già prevosto di Oulx (cfr. Caffaro, 1893-1903, vol. I, pp. 445-450). La
giurisdizione sulla Val San Martino, a lungo contesa area di confine, era stata infine riconosciuta
23
Non mancò inoltre, verso la fine del regno di Vittorio Amedeo II, un momento
straordinario di controllo e di riaffermazione esplicita di tutte le inibizioni giuridiche
connesse al riconoscimento della minoranza valdese. Esso scaturì da un problema sollevato
di fronte alla corte da personaggi rappresentativi del valdismo stesso, con il sostegno
diplomatico dell’Inghilterra. Il nuovo quadro normativo generale delineato dalle
Costituzioni emanate dal re nel 1723, non contemplando esplicitamente la tolleranza
accordata valdesi, rischiava infatti di metterne in forse la base giuridica. La questione si
risolse con la riconferma nell’editto del 20 giugno 1730 delle condizioni precedentemente
riservate ai valdesi,35 ma fornì intanto l’occasione (o il pretesto) per ordinare un’ampia
inchiesta sul rispetto della legislazione, pletorica e in gran parte ormai vetusta, emanata fino
a quel momento sulla materia. La conduzione dell’inchiesta fu affidata dal sovrano, sul
finire del 1724, al Senato di Pinerolo,36 cui fu demandata l’assunzione di testimonianze
locali e la sollecitazione di risposte e giustificazioni in merito alle violazioni riscontrate a
quegli stessi personaggi che erano ricorsi alla corte sul problema creato dalle Costituzioni o
ad altri notabili valdesi da individuarsi a giudizio degli inquirenti.
I punti cruciali sottoposti all’attenzione del Senato erano i seguenti: il ritorno alla fede
protestante da parte di individui convertiti (nella terminologia canonistica: “relapsi”) o
battezzati nella chiesa cattolica (“apostati”) da genitori cattolizzati in epoca precedente al
1686 e perciò esclusi dal condono accordato dall’editto di ristabilimento del 1694 a coloro
che, essendosi convertiti durante la persecuzione, avevano nel frattempo rinnegato quella
scelta, riconosciuta come forzata e non valida; la presenza nelle Valli valdesi di rifugiati
protestanti francesi o provenienti dalla Val Perosa (bassa Val Chisone), ceduta dalla
Francia ai Savoia nel 1696 con la clausola di non tollerarvi la ripresa del culto riformato;
l’immigrazione nelle Valli stesse e l’utilizzo delle loro strutture religiose da parte di
protestanti della Val Pragelato (alta Val Chisone), ottenuta al termine della Guerra di
successione spagnola a condizioni analoghe.37
L’inchiesta ebbe luogo nel gennaio-febbraio del 1725; in genere, per ogni località o
gruppo di località vicine delle Valli valdesi furono convocati due testimoni, citati dal
sostituto avvocato fiscale generale presso il Senato; sulle violazioni segnalate dalle
dall’arcivescovo di Torino all’abbazia di Santa Maria in uno strumento di transazione del 7 settembre 1688
(cfr. ibid., p. 383).
35
Cfr. il testo dell’editto, emanato da Vittorio Amedeo II, in Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII, pp.
264-266. Cfr. inoltre i due interventi di Carlo Emanuele III (le patenti del 12 agosto 1730 e il biglietto del 12
maggio 1731) che vi apportarono alcuni chiarimenti ed esplicitazioni, ibid., pp. 267-269. Sulla legislazione
concernente i valdesi tra l’espulsione del 1686 e le misure del 1730 cfr. Viora, 1930; Soffietti, 1990.
36
Su questa magistratura, istituita dai francesi nel 1631 e funzionante dotto il dominio sabaudo fino al
1729,con giurisdizione sulle Valli valdesi, cfr. Viora, 1927, nel quale sono inoltre riprodotti i provvedimenti
relativi all’istituzione, emanati dai sovrani francesi e da Vittorio Amedeo II. Questi ultimi si trovano anche in
Duboin, 1818-1869, tomo III, parte I, lib. III, tit. III, capo V, pp. 420-425.
37
L’editto permetteva ai francesi di stabilirsi nelle Valli, prestando giuramento di fedeltà, “indifferentemente
pendente la presente guerra, e dopo fatta la pace [...] solo a favore di quelli, li quali saranno usciti di Francia a
causa della loro Religione, e non vi si saranno ristabiliti dappoi” (Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit. XIII,
pp. 258-259). Un successivo editto del 1698, recependo il disposto di un articolo del trattato di pace con la
Francia siglato nel 1696, intimava però a tutti i sudditi del re di Francia di lasciare le Valli entro due mesi
dalla sua pubblicazione (ibid., tomo II, lib. II, tit. XIII, pp. 262-263, 267 e 269). Sulle vicende politico
religiose della Val Pragelato tra la revoca dell’editto di Nantes e le misure successive all’annessione sabauda
cfr. Tron, 2005.
24
deposizioni vennero poi raccolte le repliche di gruppi di notabili valdesi della valle
interessata.38
Per Faetto e Riclaretto vennero ascoltati due anziani cattolizzati di Faetto: entrambi
dichiarano di essere “lavoranti di campagna”, di possedere un patrimonio del valore di 200
lire e sono analfabeti. Le loro deposizioni, concordanti, rivelano la presenza a Faetto di 3
apostati (3 donne) e di 9 relapsi (7 uomini e 2 donne), cattolici prima del 1686 e passati al
valdismo in anni compresi fra il 1693 e il 1710.39
L’editto del 1730 condonò la pena di morte e la confisca dei beni previste per apostati e
relapsi, a condizione che essi rientrassero nella chiesa cattolica o lasciassero lo stato entro
sei mesi. Sembra che questa intimazione abbia causato l’esilio nelle terre protestanti
svizzere e tedesche di circa 400 persone provenienti dalle Valli valdesi.40
Non è facile valutare l’impatto sui destini individuali di momenti rigidamente assertivi
della legalità sabauda nelle Valli valdesi, come l’inchiesta del 1725 e le intimazioni
pronunciate dall’editto del 1730. I loro effetti dovevano probabilmente colpire in modo
selettivo, filtrati dalle strutture informali della leadership locale, implicitamente
riconosciute dalla quasi-ufficializzazione di un’élite valdese con legami internazionali
come interlocutrice responsabile di fronte allo stato sabaudo e alle potenze protettrici della
minoranza religiosa.41 Si aggiunga che lo stesso quadro normativo, oltre a essere
permeabile alle contingenze politiche, poteva risultare sostanzialmente alterato da esenzioni
e concessioni particolari, come quelle che i notabili della Val San Martino, interpellati dal
Senato nel corso dell’inchiesta, sostennero essere state garantite ufficiosamente ai rifugiati
francesi in ricompensa delle loro prestazioni militari;42 oppure poteva rivelarsi di fatto
38
Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 101, fasc. s. n., Volume
d’Informazioni tolte sovra li Capi d’abusi, introduttisi, e commessi dalli Uomini della R. P. R. abitanti nelli
luoghi di Prali, e Rodoretto, con l’inserzione di quattro altri volumi risguardanti quelli delli luoghi di
Macello, Salza, Perero, Boville, S. Martino, Traverse, Faetto, Riclaretto, Chiabrant e Maniglie tutte
Comunità di detta Valle S. Martino, 15 gennaio 1725. Gli scopi dell’inchiesta sono enunciati nel Verbale che
apre il fascicolo, seguito dalla copia dei due regi biglietti istitutivi, del 29 novembre e del 14 dicembre 1724.
Le risposte dei notabili valdesi interpellati dal Senato sono riferite in un altro fasc. s. n., nello stesso mazzo:
Risposte datte da Ministri, et altri Religionarj a Capi d’abusi introdutisi nelle Valli S.o Martino, Luserna,
Inverso Perosa, S.o Bartolomeo, Prarostino, e Roccapiatta dipendentemente dalle informazioni tuolte, 21
febbraio 1725. Per la Val San Martino furono citati il pastore Giovanni Malanot, il maggiore Malanot (zio del
precedente) e il luogotenente Stefano Rostagno.
39
E’ probabilmente significativo che si tratti di anni, durante i quali le Valli furono quasi ininterrottamente
teatro di eventi bellici.
40
Armand Hugon, 1974, p. 212.
41
Da un lato, come si è visto, la posizione dei valdesi nello stato aveva una base giuridica garantita dal diritto
internazionale nell’articolo segreto del trattato dell’Aja, che legittimava perciò l’interessamento diplomatico
delle potenze protestanti; dall’altro, nei confronti della società locale, i legami internazionali della chiesa
valdese si concretavano nell’amministrazione di aiuti dispensati dal mondo protestante europeo – borse di
studio presso le facoltà teologiche ginevrina, svizzere e olandesi, sussidi per il culto, per l’istruzione e per
l’assistenza ai poveri –, che proprio nel corso del XVIII secolo vengono assumendo un carattere di più
organizzata continuità (cfr. Armand Hugon, 1974, pp. 233-234).
42
Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 101, Risposte datte da Ministri,
cit.. La storiografia ha sottolineato spesso le brillanti performance valdesi negli eserciti sabaudi,
interpretandole come un’orgogliosa affermazione di ethos militare, espressa nel quadro di un lealismo un po’
ingenuo. Non è impensabile tuttavia (ma la questione è del tutto inesplorata) che, per l’élite valdese, la scelta
25
inapplicabile perché troppo violentemente in contrasto con la realtà socioeconomica locale,
come le disposizioni che vietavano ai cattolici e ai valdesi di tenere presso di sé o
comunque di impiegare in modo permanente servitori dell’altra confessione.43
Le conversioni durante il secolo XVIII
Quale fu in queste cirocstanze il destino degli apostati e dei relapsi di Faetto? Otto non
hanno lasciato tracce della loro presenza nella comunità attraverso i registri parrocchiali o il
notarile: un silenzio che può far supporre un’emigrazione definitiva; tre, in anni successivi,
risultano cattolici;44 una relapsa detta un testamento protestante ancora nel 1734.45 Quanto
ai rifugiati, ne vengono segnalati 4: 2 (uomini), entrambi stabilitisi a Faetto nel 1704-1705,
provengono dal Delfinato e dalle Cevenne; uno di loro risulta sposato a una valdese
originaria dell’Inverso Val Perosa e l’altro, celibe, è servitore presso un membro della
eminente famiglia di notabili e pastori Léger. Dal notarile sappiamo che tutti e due sono
certamente a Faetto in anni successivi all’inchiesta: il primo, nel 1734, ma ignoriamo la sua
appartenenza confessionale a quella data;46 il secondo, nel 1737, quando fa testamento e,
da parte di alcuni dei suoi membri della milizia sotto le insegne del sovrano assicurasse l’opportunità di
mantenere aperti preziosi canali di comunicazione con i poteri statali.
43
La risposta di Carlo Emanuele I al capo VIII del Memoriale a capo degli Eretici delle Valli di Luserna,
colle risposte di S.A., concernente diversi capi, e dichiarazioni per la tolleranza della loro Religione, 29
marzo 1602, in effetti così recitava: “S.A. permette, che sia lecito servirsi per operaj, e manuali Eretici, con
che però non abitino con Cattolici, né li tenghino per servizj ordinarj” (Duboin, 1818-1869, tomo II, lib. II, tit.
XIII, p. 120). Il compendio degli editti concernenti i valdesi citato, richiamandosi a questa disposizione, la
rendeva più esplicita: “Potere li Catolici delle Valli servirsi degli operaj e manuali Eretici così ancora gli
Eretici dei operaj e manuali Catolici con che però non abitino insieme né si tenghino per servizj ordinarj”.
L’inchiesta rivela che tre cattolici di Faetto risiedevano stabilmente presso altrettanti padroni valdesi: due
ragazzi di 12 e di 14 anni e una giovane di 20 anni, quest’ultima a servizio dal ministro Léger. In proposito,
un teste interrogato precisa: “sebbene li sovranominati servino li religionarj non tralasciano però soventi
d’andare alla Messa”. Le caratteristiche dell’economia pastorale potevano tuttavia rendere non sempre facile
il controllo dell’ortodossia religiosa della manodopera servile cattolica impiegata dai valdesi, proprio nel
momento in cui essa diveniva più numerosa; lo stesso teste infatti continua: “vero è che in tempo d’estate li
Religionarj tengono al loro servizio maggior numero di Cattolici per custodire li bestiami sovra l’alpi et
all’ora come lontani dalla Parochia, non ponno venire alla S.a Messa, né alla Dottrina Cristiana” (Asto,
Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 101, Volume d’Informazioni, cit.).
44
Maria Bertocia fu Giovanni, convertita all’Ospizio dei catecumeni di Torino il 17 febbraio 1734; Giacomo
Freyria fu Giovanni, testatore cattolico nel 1739 (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo,
vol. 170, cc. 589-590, Testamento di messer Giacomo Freyria fu Gio., 1 aprile 1739); Tommaso Macello,
morto cattolico nel 1744 (APT, Liber mortuorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 9 marzo 1744).
45
Caterina Peironella, moglie del Tommaso Macello citato nella nota precedente (Asto, Sezioni riunite,
Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 158, c. 532, Testamento di Cattarina Peironella, 3 marzo 1734).
46
Si tratta di Giovanni Carriera, originario delle Cevenne (Asto, Sezione riunite, Insinuazione, Tappa di San
Secondo, vol. 160, c. 558, Compra per messer Gio. Carriera fu Dioniggio di Sauze da Gio., Michele, Antonio
e Giacomo frattelli Peirotti fu Giacomo delli Trossieri, 29 ottobre 1734). Sua moglie, Anna Galleana di
Inverso Pinasca, ormai vedova, detta un testamento cattolico nel 1752 (Asto, Sezione riunite, Insinuazione,
Tappa di San Secondo, vol. 198, cc. 258-260, Testamento d’Anna Carriera, 26 giugno 1752) e muore
cattolica a circa ottant’anni nel 1764 (APT, Liber mortuorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 11
febbraio 1764). Da una testimonianza resa nel corso di un procedimento iniziato il 14 dicembre 1750 di fronte
al tribunale della Val San Martino, si apprende che è ostessa (cfr. Tron 1987, Allegati, scheda 39). Le due
26
protestante, lascia una casa da destinarsi a scuola alla locale chiesa valdese, mentre nomina
erede universale un nipote del suo padrone e protettore.47 Gli altri due “rifugiati”
provengono dalla Val Pragelato: fratello e sorella, si sono in realtà trasferiti a Faetto in
tenera età, attorno al 1695, al seguito della madre, passata a seconde nozze con uno dei
principali maggiorenti valdesi della Val San Martino. Nei decenni successivi troveremo,
residenti a Riclaretto, alcuni esponenti di questa discendenza immigrata, i Bert, nei ranghi
dell’élite valdese.
I casi di apostati e relapsi denunciati nell’inchiesta del 1725 si riferiscono a conversioni
avvenute negli anni precedenti alla persecuzione, nei quali esse si concentrano in gran
numero. A un ritmo certo assai più lento, un movimento di conversioni prosegue durante il
secolo successivo, non esattamente quantificabile e periodizzabile, per la scarsità di
informazioni dirette.
Sappiamo comunque, anzitutto, che all’Ospizio dei catecumeni di Torino si registrarono,
fra il 1726 e il 1742, 22 conversioni di individui provenienti da Faetto.48 La loro
distribuzione per sesso e per età è riportata nella tabella 2. Gli aggregati parentali presenti
sono soltanto quattro: tre madri con figli (otto individui) e una coppia di fratelli. Nei registri
parrocchiali cattolici troviamo poi inseriti gli atti di abiura di un giovane di vent’anni, nel
1749, e di una ragazza quindicenne, nel 1752.49
m a sc hi
0-15
3
fe m m i ne
1
totale
4
16-30
2
5
7
31-45
6
2
8
46-60
1
1
2
oltre 60
1
0
1
totale
13
9
22
Tab. 2. Convertiti all’ospizio dei catecumenti di Torino (1726-1742). Distribuzione per genere e per età.
figlie dei Carriera, Susanna e Anna, si sposano nella chiesa cattolica, rispettivamente, nel 1744 (a quella data
il loro padre risulta già morto) e nel 1746 (APT, Liber matrimoniorum ab anno 1743 usque ad annum 1776,
29 aprile 1744 e 23 maggio 1746). Il figlio maschio Giovanni muore cattolico nel 1763 (APT, Liber
mortuorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 22 febbraio 1763). Di nessuno di questi figli ho trovato gli
atti di battesimo, né nei registri della parrocchia cattolica di Trossieri, né in quello della chiesa valdese di
Villasecca.
47
Asto, Sezione riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 168, c. 67, Testamento di Andrea Turello,
31 dicembre 1737. Andrea Turello proviene da La Mure, nel Delfinato.
48
L’elenco dei convertiti di Faetto presso l’Ospizio dei catecumeni di Torino mi è stato gentilmente
comunicato da Luciano Allegra. I registri dell’Ospizio si sono conservati soltanto a partire dal 1720 (cfr.
Allegra, 1990, p. 525).
49
APT, Liber baptizatorum ab anno 1743 usque ad annum 1776, 8 dicembre 1749, atto di abiura di
“Matthaeus Poetus filius Joannis et Mariae Frayriae in haeretica pravitate adhuc viventium”; ibid., 14 maggio
1752, atto di abiura di “Susanna filia quondam Joannis et Joannae Moratae” (di questa convertita si riferisce
che “sufficienter fuit instructa in regio Pineroliensi Hospitio”). Entrambe le abiure, raccolte dal rettore della
parrocchia “ex facultate scripta” del vescovo di Pinerolo, furono pronunciate nella chiesa parrocchiale
“solemniter coram populo ad divina audiendum congregato”.
27
Infine, attraverso la ricostruzione nominativa delle famiglie presenti nei registri della
parrocchia cattolica e della chiesa valdese, integrata dai dati provenienti dai testamenti, si
possono riscontrare le tracce indirette ma inequivocabili di almeno 28 conversioni al
cattolicesimo, riguardanti 14 uomini e 14 donne, avvenute a Faetto fra il 1682 e il 1785.50
Di quasi tutte è impossibile fissare la data; in molti casi tuttavia si può situare in qualche
modo il momento della conversione rispetto al ciclo di vita degli individui interessati (cfr.
tab. 3). La prevalenza femminile fra i convertiti non ancora sposati sembra coerente con
quella riscontrata nella fascia di età 16-30 anni fra i convertiti all’Ospizio di Torino (cfr.
tab. 2). A questo proposito, limitiamoci a osservare che il mercato matrimoniale e le
logiche dotali devono aver svolto un ruolo decisivo nelle scelte di conversione di questa
popolazione femminile. Delle abiure avvenute dopo il matrimonio, 5 (riguardanti 3 uomini
e 2 donne) intervengono sicuramente in età avanzata e in presenza di figli già adulti.
convertiti
prima del matrimonio
maschi
3
convertiti
dopo il matrimonio
totale convertiti
femmine
totale
maschi
femmine
totale
maschi
femmine
totale
9
12
7
5
12
10
14
24
Tab. 3. Conversioni di cui si conservano solo prove indirette (1682-1785). Distribuzione per genere e stato
matrimoniale.
Ci si può domandare quale connotazione queste conversioni abbiano contribuito a dare
alla fisionomia religiosa della comunità. Uno sguardo alla loro distribuzione all’interno dei
gruppi di discendenza mostra che esse hanno determinato la permanenza per lungo tempo
di configurazioni parentali spesso complesse dal punto di vista della composizione
religiosa: discendenze miste che possono ripresentarsi a vari livelli di segmentazione,
differenziazioni generazionali e fra gli stessi coniugi. La presenza di queste situazioni in
un’area interessata da strategie patrimoniali e, quando non all’interno stesso delle unità
domestiche, in quello che spesso costituisce lo spazio primario d’integrazione produttiva e
politica di queste ultime, suscita interrogativi sul ruolo del confine religioso
nell’organizzazione sociale.
I registri parrocchiali e gli atti notarili hanno consentito l’identificazione nominativa di
un buon numero di abitanti di Faetto nel corso del secolo XVIII, della loro appartenenza
religiosa, della loro posizione all’interno delle famiglie biologiche di provenienza e, almeno
fino a un certo punto, delle trame di parentela in cui queste ultime s’inseriscono.51 Due
50
Riscontro la traccia di una conversione quando di un individuo, del quale il battesimo, il matrimonio, il
battesimo dei figli sono annotati nel registro della chiesa valdese, scopro battesimi successivi di figli, un
nuovo matrimonio o la morte registrati nel parrocchiale cattolico, oppure trovo un testamento cattolico (le
invocazioni per la propria anima, le disposizioni concernenti le esequie e gli eventuali lasciti pii che aprono i
testamenti dichiarano immediatamente l’appartenenza confessionale del testatore).
51
Poco discorsive e non sempre abbastanza complete da permettere di seguire e contestualizzare nel dettaglio
le scelte religiose compiute dai singoli, specialmente nel caso delle figure sociali più povere e instabili, le
fonti demografiche e notarili utilizzate nel presente lavoro contengono tuttavia una ricchezza insostituibile di
28
sono le caratteristiche di fondo della società locale che già s’intravedono e che cercheremo
di approfondire: da un lato, una certa precarietà dell’insediamento cattolico (il quale non
sembra in effetti poter fare a meno di puntelli istituzionali); dall’altro, un contesto
quotidiano di rapporti intensi e pacifici tra le due componenti religiose.
indicazioni che consente di far emergere lo sfondo più generale di esiti e tendenze collettivi prodotti
dall’interazione sociale fra cattolici e valdesi di Faetto.
29
I. Regimi demografici a confronto
La popolazione nelle Valli Valdesi tra la fine del secolo XVII e l’inizio del secolo XIX
Consistenza e andamento demografici
L’impatto demografico delle stragi e dell’espulsione pressoché totale della popolazione
delle Valli valdesi tra il 1686 e il 1689 è difficilmente valutabile. Come vedremo, le ipotesi
che si possono avanzare fanno comunque supporre perdite talmente drastiche da imprimere
necessariamente un’impronta distintiva al ripopolamento e alla ripresa dopo la Rentrée.
Questo stato di cose si riflette puntualmente nella produzione delle fonti, anzitutto nelle
clamorose incongruenze che si manifestano tra le cifre riportate dalle successive rilevazioni
della popolazione.
Diverse circostanze intervengono poi a contrastare il ricupero demografico: in primo
luogo, la destrutturazione del sistema insediativo e produttivo causata dall’espulsione della
popolazione autoctona e dal tentativo di ricolonizzazione, gli effetti di una guerra che si
protrae, quasi senza soluzione di continuità, fino al secondo decennio del secolo XVIII, ma
anche la più vasta congiuntura climatica ed economica.1
Le informazioni disponibili sulla consistenza demografica delle Valli Valdesi sono
scarse e assai incerte per quanto riguarda il periodo precedente la fine del secolo XVII. Da
questo punto in poi esiste invece una serie abbastanza numerosa di rilevazioni periodiche
della popolazione (cfr. tabelle 1a e 1b) – sebbene, appunto, con notevolissimi e peculiari
problemi di attendibilità.
anno
Val
Luserna
Inverso
val Perosa
Val San
Martino
Prarostino,
Roccapiatta
e San
Bartolomeo
totale
Valli
valdesi
1678
1686
1698
1734
1741
1753
1774
1777
1805
7082
1242
5267
7058
7465
9073
12466
9024
10448
1972
356
1215
1456
1370
2403
2382
2627
2877
2151
679
1415
1862
1867
2336
3424
3522
3388
698
117
442
694
801
999
1633
1239
1468
11903
2394
8339
11070
11503
14811
19905
16412
18181
Tab. 1a. Popolazione delle Valli valdesi 1678-1805 (dati assoluti).
1
L’ultimo decennio del XVII secolo fu infatti, come noto, contrassegnato da deterioramento generalizzato
delle condizioni climatiche e da gravi crisi di sussistenza in tutta Europa. Le regioni alpine, in particolare,
conoscono fra il 1687 e il 1692 una successione di annate molto fredde e umide, rovinose per i raccolti
cerealicoli (cfr. Le Roy Ladurie, 1982, p. 71). In Piemonte, “gli anni ’90 del Seicento” si possono considerare
“i peggiori dal 1630” (cfr. Dossetti, 1981, in particolare, p. 549).
30
anno
Val
Luserna
Inverso
val Perosa
Val San
Martino
Prarostino,
Roccapiatta
e San
Bartolomeo
totale
Valli
valdesi
1678
1686
1698
1734
1741
1753
1774
1777
1805
59,50
51,88
63,16
63,76
64,90
61,26
62,63
54,98
57,47
16,57
14,87
14,57
13,15
11,91
16,22
11,97
16,01
15,82
18,07
28,36
16,97
16,82
16,23
15,77
17,20
21,46
18,63
5,86
4,89
5,30
6,27
6,96
6,74
8,20
7,55
8,07
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
Tab. 1b. Popolazione delle Valli valdesi 1678-1805 (percentuali).
Nota: i dati risalenti al 1686 si riferiscono al numero di famiglie censite; tutti gli altri al numero di abitanti.
Fonti:
1686: Asto, Sezioni riunite, Camera dei conti, art. 557, n. 1, Stato presente delle Valli [...], 16 giugno 1686;
1698: Asto, Sezioni riunite, Camera dei conti, art. 531, m. 1, E-F, Consegna di bocche umane, 1698;
1734: Asto, Sezioni riunite, II Archiviazione, capo 10, nn. 9-10, Consegna delle Bocche Umane e delle Bestie,
1734;
1741: Asto, Sezioni riunite, I Archiviazione, Provincia di Pinerolo, m. 1, Stato del Personale del 1741, 1743;
1753: Asto, Sezioni riunite, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale, n. 12, 1753;
1774: Asto, Corte, Materie economiche, Materie economiche per categorie, Finanze, m. 3 di I add., n. 4, Stato
generale delle anime, 1774;
1777: Caffaro, 1893-1903, vol. I, pp. 660-661;
1805: Asto, Sezioni riunite, Governo francese, m. 1734, sez. II, cat. 20, art. 1/1-6.
Il confronto tra i dati del 1678 e quelli del 1698 indica una diminuzione complessiva
della popolazione pari al 29,9%.2 Non è chiaro quanto questa percentuale rifletta l’impatto
demografico della persecuzione; da un lato, è possibile che nel 1698 il reinsediamento di
esuli e deportati non fosse ancora completo; dall’altro, che la presenza di numerosi rifugiati
dai territori francesi ed ex francesi attenui l’entità reale delle perdite: la consegna censisce
in effetti 237 individui provenienti dalla Val Perosa in Val San Martino, 164 oltre a 644
“francesi” in Val Luserna.3
D’altro canto, le cifre del 1698 si presentano ambigue, mentre le successive del 1734,
1741 e 1753, sono verosimilmente sottostimate.4 A proposito della consegna del 1698,
l’autrice del lavoro a tutt’oggi più completo sulla demografia delle Valli valdesi nei secoli
XVII e XVIII ha avanzato l’ipotesi di una sottostima “quasi inevitabile” dovuta alla
disorganizzazione conseguente alla persecuzione e alle guerre. Al contrario un’attenta
2
Livelli di popolazione comparabili a quelli della vigilia della persecuzione saranno probabilmente raggiunti
solo intorno al 1750 (cfr. Sereno, 1990, p. 299) o addirittura tra il 1750 e il 1770, come ipotizza Tron per la
Val San Martino (Tron, 1990, p. 325).
3
Dossetti, 1981, p. 541.
4
A proposito della Consegna di bocche umane del 1698, Dossetti parla di sottostima “quasi inevitabile in un
periodo in cui tutto doveva essere riorganizzato, anche i registri parrocchiali e comunali” (Dossetti, 1981, pp.
543-544).
31
critica delle fonti ha condotto Paola Sereno alla conclusione che i dati del 1698 siano
notevolmente sovrastimati. La causa risiederebbe nel disegno concertato dei valdesi
superstiti tornati nei loro villaggi dopo la Rentrée di nascondere la reale dimensione di
vuoti provocati nella loro popolazione dalla persecuzione, nonostante l’aggravio in termini
fiscali che ciò avrebbe comportato, come parte di un “tentativo di far apparire per
ridistribuzione interna tutta la superficie agraria utilizzabile satura dal punto di vista dei
diritti di proprietà” e difenderla così da intrusioni esterne. Tenendo inoltre conto dei nati
dopo la Rentrée identificabili nella consegna (i minori di cinque anni) e della presenza dei
sudditi francesi rifugiati, il calo demografico che si può attribuire agli eventi legati alla
persecuzione sale al 60% o anche ai due terzi della componente valdese della popolazione
presente prima del 1686, se si accetta l’ipotesi di sovrastima della popolazione adulta nella
consegna del 1698. Il saggio della Sereno non considera tuttavia i dati del 1678 (che non
sono distinti per affiliazione confessionale) e muove da una rilevazione, di incerta
provenienza5, che situa la popolazione valdese nel 1686 intorno ai 12000 abitanti.6
Per quanto riguarda invece le rilevazioni successive, sino a quella del 1753, Giovanni
Prato, in due lavori pionieristici scritti agli inizi del secolo scorso, mentre riteneva affette da
sottostima sistematica di minori, esenti e miserabili le rilevazioni fatte eseguire dagli
intendenti in seguito a un biglietto regio del 1742 e quelle effettuate nel quadro della
Statistica Generale ordinata nel 1750, perché in entrambi i casi basate sui registri della
gabella del sale, giudicava assai più attendibili i dati forniti dalla consegna del 1734,
“primo atto rivolto ad accertare il numero degli abitanti, astrazion fatta da ogni dichiarato
intento fiscale e militare, per quanto certamente connesso ad entrambi tali scopi”.7
Valutazioni più recenti sospettano invece che, almeno in alcune zone decentrate del
Piemonte, i suoi dati siano gravemente inesatti per difetto.8
È tuttavia attorno ai dati forniti dallo Stato generale delle anime del 1774 che si
addensano le maggiori perplessità. Insolitamente basato su rilevazioni ecclesiastiche (gli
“stati delle anime”) e dominato da finalità di leva militare, vi sono serie ragioni per ritenere
che questa rilevazione abbia condotto in molti casi a una sovrastima della popolazione.9
Infine, per quanto riguarda in particolare le Valli valdesi, esiste un problema
concernente la reale datazione delle informazioni. È stata infatti riscontrata una singolare
coincidenza fra i dati del 1774 e le cifre riportate in una compilazione erudita pubblicata tra
5
Tron, 1990, pp. 322-323.
Sereno, 1990, pp. 296-301, cit. a p. 297. Relativamente alla Val San Martino (per la quale esistono due
redazioni discordanti della consegna del 1698, il cui l’originale sembra però essersi conservato solo in un
caso) cfr. inoltre l’analisi meticolosa e approfondita dei dati demografici disponibili per il periodo
immediatamente precedente e successivo alla Rentrée compiuta da Tron, 1990.
7
Prato, 1906, in particolare, pp. 23 (da cui è tratta la citazione) e 41; Prato, 1908, pp. 12-13 e 25.
8
Albera et al., 1988, in particolare, pp. 123 e 155-156. L’opinione di Prato, soprattutto relativamente al
giudizio positivo sull’accuratezza della consegna del 1734, è condivisa invece da Levi, 1974, p. 202; Dossetti,
1977, pp. 128-129; Dossetti, 1981, p. 546.
9
“Il consegnamento del 1774 fatto per uso militare, si basava sulle informazioni dei parroci [...]. I parroci
dovettero probabilmente calcolare non solo la popolazione presente per tutto o per gran parte dell’anno, ma
anche i nati nelle loro parrocchie, ma assenti di fatto definitivamente o per lunghi periodi, per evitare a
chiunque di sfuggire alla leva” (Albera et al., 1988). Sulla genesi e le modalità di questa rilevazione cfr. Prato,
1906, pp. 26-29; sulla sua imprecisione e sommarietà cfr. Levi, 1974, p. 202, che ne segnala inoltre la
variabile datazione (1767, 1773, 1774 e 1780) rinvenibile nelle copie conservatesi negli archivi centrali.
6
32
la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, nella quale sono datate al 1759.10 Nelle due
serie, che entrambe distinguono gli abitanti delle Valli Valdesi in base alla confessione
religiosa, sono in realtà identiche soltanto le cifre costantemente arrotondate riguardanti la
popolazione valdese, ovviamente non presente negli stati delle anime, che manifestano un
carattere semplicemente estimativo11 I dati sui cattolici appaiono invece quasi sempre
divergenti, talvolta in misura non indifferente. È possibile quindi che nel 1774 si sia
proceduto a un aggiornamento di questi ultimi, mentre siano state riprodotte inalterate stime
della popolazione valdese risalenti a quindici anni prima, rispetto alle quali le autorità
ecclesiastiche cattoliche avevano evidentemente limitate possibilità di verifica. Di fatto,
l’utilizzazione di questi dati si rivela in ogni caso problematica; se infatti li si riferisce al
1759, essi danno luogo a una sequenza del tutto implausibile di tassi di incremento medio
annuo fra i momenti delle diverse rilevazioni. Tuttavia, lo stesso accade se si mantiene la
loro datazione al 1774, a meno di non ritenere inattendibili i dati del 1777, che, benché di
origine incerta,12 sembrano più accurati, se non altro esteriormente, poiché non contengono
cifre palesemente arrotondate.13
1678-1698
1698-1734
1734-1741
1741-1777
1777-1805
incremento
annuo
-14,7
8,16
8,04
5,28
5,25
1698-1805
1734-1805
1741-1805
6,42
5,54
5,27
anni
Tab. 2. Valli valdesi 1678-1805. Tassi d’incremento medio geometrico annuo per 1000 della popolazione.
Più in generale, i tassi d’incremento medio annuo determinabili in base alle cifre portate
dalle varie rilevazioni appaiono spesso molto dubbi. In particolare, i livelli attribuiti alla
popolazione nel 1753 e nel 1774 risultano straordinariamente elevati rispetto a quelli forniti
nelle due rilevazioni precedenti, del 1734 e del 1741, e successive, del 1777 e del 1805.
10
Tron, 1987, p. 100. I dati si trovano in Caffaro, 1893-1903, vol. VI, pp. 1-52 (parrocchie della Val San
Martino), 86-129 (parrocchie dell’Inverso Val Perosa), 168 (parrocchia di San Bartolomeo in Prarostino),
454-559 (parrocchie della Val Luserna). La fonte dei dati pubblicati da Caffaro è forse una documentazione
funzionale agli ordinati dei direttori della congregazione dell’Ospizio dei catecumeni di Pinerolo, datati 12
febbraio 1758 e 7 gennaio 1759, concernenti la ripartizione fra le chiese delle Valli Valdesi del sussidio
proveniente dal fondo dei benefici vacanti decretato in loro favore dal sovrano il 20 aprile 1740 (cfr. Caffaro,
1893-1903, vol. I, p. 387).
11
Su questa caratteristica dei dati cfr. Dossetti, 1981, p. 546; il fatto che le cifre fornite dai parroci sulla
consistenza della popolazione valdese non potessero che derivare da una “valutazione approssimativa” era
tuttavia già stato sottolineato da Prato: cfr. Prato, 1906, p. 75.
12
Tron, 1990, p.335, nota 40.
13
Seguendo l’ipotesi di datazione al 1759 si ottengono questi tassi di incremento annuo: 1753-1759: 43,0‰;
1759-1777: -12,2‰. Mantenendo la datazione al 1774, ma senza escludere i dati del 1777, avremmo invece le
seguenti percentuali: 1753-1774: 13,5‰; 1774-1777: -59,3‰.
33
Sorprende, in primo luogo, l’entità della crescita che sarebbe avvenuta fra il 1741 e il 1753,
durante cioè un periodo difficile nelle Valli valdesi come in larga parte d’Europa. Il tasso
calcolabile in questo caso appare anzi decisamente anomalo, eguagliando, ad esempio,
quello documentato per la Gran Bretagna della rivoluzione industriale.14 Le sequenze di
incrementi che sembrano meno implausibili sono proposte nella tabella 2. Se si assumono
come termini di riferimento la rilevazione del 1698, quella del 1734 o del 1741, da un lato,
e quella del 1805, dall’altro, si delinea uno sviluppo secolare piuttosto sostenuto, dopo la
catastrofe demografica causata dalla persecuzione – forse qui sottostimata. Tale sviluppo
non sembra incompatibile con quanto le stesse fonti suggerirono a Raoul Blanchard per il
complesso delle Alpi piemontesi.15 È tuttavia vero che l’incremento medio annuo dal 1698
o 1734 al 1805 appare assai superiore, invece, a quello determinabile per il versante
piemontese delle Alpi occidentali durante il periodo 1734-1830 (pari infatti al 3,5‰ per le
vallate poste a maggiore altitudine), così come per le Alpi italiane o francesi nel loro
insieme, per quanto riguarda il secolo XVIII (rispettivamente, il 3 e il 2,6‰).16
Il rallentamento della crescita che pure si avverte nella seconda metà del secolo non
corrisponde al giudizio di Prato sulla stagnazione della popolazione piemontese a partire
dall’ultimo ventennio del regno di Carlo Emanuele III. Prato ipotizzò infatti una
stazionarietà o addirittura un lento regresso.17
Alcune situazioni alpine, come la svizzera Törbel del classico studio di Robert Netting,
nell’ultimo quarto del Settecento rivelano i prodromi della crescita ottocentesca, preceduti
però da una sostanziale stabilità lungo i decenni precedenti.18 Non disponiamo di dati
riguardanti gli anni tra il 1774 o 1777 e l’inizio del secolo XIX; in base alle cifre che
conosciamo non sembra tuttavia profilarsi nelle Valli valdesi del Settecento un percorso di
regresso o stagnazione e di successiva ripresa, quanto una sostanziale continuità della
crescita, per quanto più lenta dopo gli anni Quaranta del del secolo. È ben plausibile che le
conseguenze del genocidio abbiano impresso un ritmo particolare e probabilmente
accelerato al recupero successivo. Quella che però appare una singolarità demografica
rispetto ad altre zone della catena alpina e del Piemonte – o, più pessimisticamente, una
serie di incongruenze – sembra, almeno in parte, un effetto eminentemente politico del
processo di reinsediamento delle popolazioni locali e delle mutate condizioni del loro
14
Il tasso per il periodo 1741-1753 risulta pari al 16,4 ‰. In Inghilterra e nel Galles, ad esempio, tra il 1811 e
il 1821, la fase di maggior sviluppo demografico nel passagio alla società industriale, l’incremento procede a
un ritmo annuo del 16,7‰ (cfr. Wrigley, 1969, p. 54). Nella Francia del XVIII secolo, la crescita rivelata dai
tassi d’incremento annuali compresi fra il 7,8‰ e il 10,7‰ calcolati da Louis Henry per dieci generalità
relativamente agli anni 1752-1763 si può considerare “estremamente veloce” per il periodo (cfr. Reinhard et
al., 1970, p. 359).
15
Blanchard, 1952-1954, vol. I, pp. 311-314.
16
Mathieu, 2000, p. 48. Una sostanziale stabilità demografica durante il secolo XVIII accomuna numerosi
territori dell’arco alpino (Lorenzetti, Merzario, 2005, p. 121).
17
Prato, 1906, p. 42. A sostegno di questa vecchia ipotesi sembrano in effetti deporre i “segni di stasi o di
regresso” durante la seconda metà del secolo rilevabili in alcune popolazioni del Piemonte occidentale
(Dossetti, 1981, p. 139). Giovanni Levi ritenne invece che in Piemonte il reale punto di svolta negativo “dopo
un cinquantennio difficile, ma che, complessivamente, aveva significato una forte crescita di produzione e di
popolazione” e una “energica ripresa” negli anni Settanta, fosse diffusamente localizzabile nella crisi del
1783-1784, cui fecero seguito quelle del 1788-1789 e del 1794-1795 (Levi, 1974, pp. 236-238).
18
Viazzo, 1990, pp. 244-245.
34
incapsulamento nello stato sabaudo nel periodo che si apre con la Rentrée. Le cifre delle
“consegne” sono sempre, come sappiamo, in maggiore o minore misura, il prodotto di
dissimulazione o contrattazione. L’ipotesi avanzata da Paola Sereno che le perdite subite
della popolazione valdese siano sistematicamente sottorapresentate dalla consegna del 1698
desta, come abbiamo visto, qualche motivo di perplessità rispetto alle dimensioni
dell’occultamento. Resta nondimeno fecondo il suggerimento che i tentativi statali di
censire popolazione e risorse abbiano sollecitato strategie di risposta tali da rendere più che
mai problematica la relazione tra le cifre registrate e la realtà, sebbene risulti tutt’altro che
agevole individuare il senso e l’entità delle distorsioni.
Composizione religiosa della popolazione
Tra le fonti qui utilizzate per valutare la consistenza complessiva della popolazione, ve
ne sono tre in grado di restituirci anche un quadro della sua composizione religiosa: gli
Stati delle Valli del 1686, lo Stato generale delle anime del 1774 e la rilevazione del 1777
(cfr. tab. 3).
1686
num. ass.
%
1774
num. ass.
%
1777
num. ass.
%
cattolici
191
15,38
2226
17,86
1934
21,43
valdesi
1051
84,62
10240
82,14
7090
78,57
Inverso val
Perosa
cattolici
79
22,19
532
22,33
301
11,46
valdesi
277
77,81
1850
77,67
2326
88,54
Val San
Martino
cattolici
149
21,94
1449
42,32
1475
41,88
valdesi
530
78,06
1975
57,68
2047
58,12
Prarostino,
Roccapiatta
e San
Bartolomeo
cattolici
6
5,13
33
2,02
46
3,71
valdesi
111
94,87
1600
97,98
1193
96,29
totale Valli
valdesi
cattolici
425
17,75
4240
21,30
3756
22,89
valdesi
1969
82,25
15665
78,70
12656
77,11
Val Luserna
Tab. 3. Composizione religiosa della popolazione delle Valli valdesi secondo le rilevazioni del 1686, 1774
e 1777.
Nel 1686 sono le famiglie a venire censite, mentre nelle altre due occasioni, si tratta di
individui. Inoltre, nel 1686 e nel 1777, le unità territoriale di rilevamento corrispondono
alle comunità amministrative, nel 1774 alle parrocchie cattoliche.
A livello d’insieme, ciò che anzitutto colpisce è la sostanziale stabilità della ripartizione
percentuale degli aderenti alle due confessioni nelle tre rilevazioni, nonostante il cataclisma
della persecuzione che si scatena nel 1686 (e di cui la rilevazione compiuta in quell’anno
rappresenta appunto uno degli atti preparatori). L’elemento valdese continua infatti a
costituire intorno all’80% della popolazione totale.
35
Se passiamo a esaminare la situazione delle singole valli, si distinguono dalla tendenza
generale i dati concernenti la Val San Martino, i quali rivelano uno sconvolgimento
profondo tra la vigilia della persecuzione e la situazione testimoniata dai dati settecenteschi,
con un massiccio riequilibrio, in ragione del 20%, a favore della popolazione cattolica.
Tornando ai dati complessivi senza distinzione per appartenenza confessionale riportati
nella tabella 1, scorgiamo tra la situazione del 1686 e quella del 1698 un deciso
ridimensionamento del rilievo percentuale della stessa Val San Martino (-7,2%) quasi
speculare all’incremento sperimentato dalla Val Luserna (+8,2%). La Val San Martino ha
sofferto, in seguito alla persecuzione, perdite particolarmente pesanti, valutabili a oltre il
40%.19
I cattolici della parrocchia di Trossieri e i valdesi della chiesa di Villasecca nel secolo
XVIII
Consideriamo ora i dati concernenti la popolazione di Faetto (cfr. tab. 4).
anno
1698
1734
1741
1753
1777
1805
abitanti
277
329
261
366
507
608
Tab. 4. Popolazione di Faetto, 1698-1805.
Fonti: cfr. tab. 1.
Il tasso d’incremento annuo calcolato su scala secolare 1698-1805 appare abbastanza
simile a quello relativo all’insieme delle Valli valdesi e di poco inferiore a quello ottenuto
per la sola Val San Martino (cfr. tab. 5).20
Faetto
1698-1805
1734-1805
7,37
8,69
Val
San Martino
8,19
8,47
Tab. 5. Faetto e Val San Martino 1698-1805. Tassi d’incremento medio geometrico annuo per 1000 della
popolazione.
Per quanto attiene alla composizione religiosa della comunità (cfr. tab. 6), il gruppo
valdese subisce fra il 1686 e il 1777 un ridimensionamento dello stesso ordine di quello
intervenuto nell’intera Val San Martino. Sulla base di quanto si è visto nel capitolo
19
Tron, 1990, pp.322-323.
Il calcolo dei tassi fra le cifre indicate dalle diverse rilevazioni presenta anche qui e semmai acentuate le
difficoltà che abbimo incontrato per quanto riguarda l’insieme delle Valli valdesi.
20
36
precedente, possiamo formulare l’ipotesi che una parte consistente vada imputata alle
conversioni di massa verificatesi in quest’area nell’ultimo quarto del secolo XVII – oltre
che a una possibile diversa dislocazione di parte della popolazione fra i territori delle Valli
valdesi. Ne deriva una ripartizione pressoché bilanciata degli abitanti fra le due confessioni,
con anzi una leggera prevalenza dell’elemento cattolico.
1686
1777
numero
famiglie
%
numero
abitanti
%
CATTOLICI
32
28,60
263
51,87
VALDESI
80
71,40
244
48,13
totale
112
100,00
507
100,00
Tab. 6. Composizione religiosa della popolazione di Faetto secondo le rilevazioni dl 1686 e del 1777.
Gli effettivi di una popolazione possono ovviamente derivare da regimi demografici
molto diversi fra loro. Questa circostanza invita a un tentativo di confronto siostematico fra
il movimento naturale delle due popolazioni oggetto di questo studio e fra le loro
caratteristiche in termini di nuzialità, fecondità e mortalità. Le fonti utilizzate saranno le
registrazioni dei battesimi, matrimoni e funerali effettuate nelle due circoscrizioni
ecclesiastiche cui appartenevano, rispettivamente, i cattolici e i valdesi di Faetto nel XVIII
secolo: la parrocchia di Trossieri (comprendente anche il territorio della comunità di
Riclaretto) e la chiesa di Villasecca (nell’area della quale ricadevano, oltre a Faetto, le
comunità di Bovile, Riclaretto, San Martino e Traverse).21
Vediamo anzitutto le caratteristiche delle serie cronologiche di nascite, morti e
matrimoni rivelate dalle medie mobili triennali (cfr. grafici 1 - 2).
21
Per quanto riguarda le circoscrizioni ecclesiastiche cattoliche, fino al 1688 esisteva un’unica prepositura
con giurisdizione sull’intera Val San Martino. Il preposto risiedeva ormai da secoli presso la chiesa di Santa
Maria Maddalena a Perrero, benché l’antica pieve, chiesa matrice battesimale della valle, fosse quella
intitolata a San Martino, sita nel territorio della comunità cui aveva dato il nome. Il 4 settembre 1688 il duca e
l’abate di Santa Maria di Pinerolo decisero lo smembramento della prepositura in sette nuove parrocchie. Il
parroco di Perrero mantenne, insieme al titolo di preposto della valle, le decime, le primizie, i fitti e i redditi
che in tale qualità precedentemente gli spettavano; inoltre gli furono riservate alcune prerogative cerimoniali
nei confronti delle altre parrocchie. Tranne quella di Perrero, tutte le parrocchie di nuova creazione erano
sottoposte al giuspatronato del duca, che aveva loro assegnato una dotazione perpetua a carico della gabella
del sale del Piemonte. La parrocchiale di Faetto e della vicina Riclaretto, sotto il titolo del Ritrovamento della
Santa Croce, fu poi innalzata nella borgata Trossieri (cfr. Caffaro, 1893-1903, vol. I, pp. 383-384 e vol. VI,
pp. 33-41 e 46). Per quel che concerne invece la chiesa valdese, nella citata inchiesta del 1725, le
testimonianze parlano di un “tempio [...] che si ritrova posto nel quartiere di Villasecca Superiore fini di
Faetto qual serve per li religionarj tanto di detto luogo, che di Riclaretto, S. Martino, Traverse e Boville”.
Secondo le stessse testimonianze, i valdesi della zona poterono disporre inoltre, almeno in alcuni periodi, di
luoghi di culto decentrati (Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R. P. R., m. 101,
Volume d’Informazioni, cit.).
37
25
20
15
nascite
morti
10
matrimoni (x 5)
5
1784
1780
1772
1776
1764
1768
1760
1752
1756
1744
1748
1740
1732
1736
1724
1728
1720
0
Grafico 1. Parrocchia di Trossieri (1720-1790). Nascite, morti e matrimoni: medie mobili triennali.
45
40
35
30
25
nascite
20
morti
15
matrimoni (x 5)
10
5
1767
1769
1765
1763
1761
1757
1759
1755
1753
1751
1747
1749
1745
1743
1741
1737
1739
0
Grafico 2. Chiesa di Villasecca (1737-1770). Nascite, morti e matrimoni: medie mobili triennali.
Gli andamenti costituiscono indubbiamente in misura rilevante il riflesso, ciclicamente
riprodotto in forma attenuata, dell’impatto duraturo prodotto sulla struttura di età delle
popolazioni interessate dalla successione prolungata e ravvicinata di gravi perturbazioni
demografiche verificatesi tra il 1686 e il 1710. Gli eventi collegati alla persecuzione
rappresentano l’episodio localmente più sconvolgente di questo periodo. Ai suoi effetti
dovettero però concatenarsi e sovrapporsi quelli indotti dalla guerra con la Francia, durata
sino al 1696, dal ripresentarsi di crisi di sussistenza negli stessi anni Novanta, di intensità
forse comparabile a quella del 1692-1693, dal nuovo passaggio della guerra agli inizi del
secolo successivo e infine dalla crisi del “grand hiver” del 1709-1710. La similarità degli
andamenti mostra che quelle vicende dovettero avere ripercussioni di entità comparabile su
entrambe le comunità religiose.
Le differenze maggiori riguardano i matrimoni. In contrasto con Trossieri, a Villasecca,
le variazioni delle medie mobili triennali indicano che l’andamento dei matrimoni si muove
38
realmente in direzione opposta a quella seguita dall’andamento delle nascite, nel periodo
leggermente posteriore in cui il primo dovrebbe proiettarvi i suoi effetti, soltanto per pochi
anni attorno alla metà del decennio 1750-1759. In seguito, i due movimenti tornano a
procedere in sintonia, ma con un rapporto nascite/matrimoni progressivamente più elevato.
La tendenza divergente delle nascite e dei matrimoni si può spiegare soltanto con un
aumento corrispondente della fecondità delle unioni o della durata delle stesse. A sua volta,
ques’ultima potrebbe essere dovuta a una diminuzione della mortalità nelle età feconde,
oppure – ipotesi più verisimile – a un abbassamento dell’età al matrimonio: in ogni caso, il
punto di svolta è rappresentato dalle coorti di sposi del 1752-1758. Nel complesso, il
rapporto nascite/matrimoni resta più basso tra la popolazione cattolica che tra quella
valdese: a Villasecca, sembra dunque essersi affermata una nuzialità a un tempo più
selettiva e più precoce.22
Le fluttuazioni a breve termine (annuali) degli andamenti delle nascite, morti e matrmoni
(cfr. grafici 3 e 4) ci consentono di individuare la presenza di anni segnati dall’insorgere di
crisi demografiche nella storia delle nostre popolazioni e di situare questi episodi in
rapporto alle tendenze rilevabili su scala territoriale più ampia.
25
20
15
nascite
morti
10
matrimoni
5
1784
1788
1768
1772
1776
1780
1752
1756
1760
1764
1736
1740
1744
1748
1720
1724
1728
1732
1712
1716
0
Grafico 3. Parrocchia di Trossieri (1712-1790). Nascite, morti e matrimoni (serie annuali).
22
Naturalmente, a meno che il fattore cruciale non sia costituito dalla fecondità matrimoniale, la cui
incidenza, come vedremo, non è possibile valutare.
39
45
40
35
30
25
nascite
20
matrimoni
15
morti
10
5
1771
1774
1765
1768
1762
1759
1753
1756
1747
1750
1741
1744
1735
1738
1731
0
Grafico 4. Chiesa di Villasecca (1731-1775). Nascite, morti e matrimoni (serie annuali).
Una crisi demografica è una congiuntura definita da una fenomenologia complessa, alla
quale concorrono oscillazioni caratteristiche in tutte e tre le serie di eventi demografici.23
Vari criteri quantitativi sono stati proposti per l’individuazione e per la misurazione
dell’intensità di tali crisi. Il metodo qui adottato, non implicando il ricorso a dati di stato
della popolazione o assunti preliminari sulle caratteristiche della successione considerata, si
presta bene al livello d’informazione disponibile nel nostro caso.24
La sua applicazione alla serie di decessi registrati annualmente a Trossieri rivela che
dodici anni, sui sessantanove compresi nel periodo di osservazione, risultano interessati da
crisi (cfr. tab. 7). Un incontestabile calo dei concepimenti – superiore alla proporzione di un
terzo, indicata da Goubert come rivelatrice di crisi – si può osservare invece soltanto in
corrispondenza di due fra questi anni di crisi: il 1775 e il 1781. Quanto ai totali dei
matrimoni, essi, a causa della loro esiguità, sono troppo esposti a fluttuazioni aleatorie per
consentire di trarre dalle loro variazioni indicazioni significative. Tenendo presente che la
scala associata all’indice di mortalità adottato prevede sei gradi di ampiezza, le crisi rilevate
23
Oltre a una netta sovramortalità, a cui segue una caduta della nuzialità che si produce assai presto,
interviene una riduzione del numero dei concepimenti imputabile a varie cause, indipendentemente
dall’effetto parassita esercitato dalle rotture d’unione dovute alla mortalità e dal calo del numero delle nozze
(cfr. Dupâquier, 1988, pp. 184-186). L’associazione di questi fenomeni riguardanti la nuzialità e la fecondità
alla mortalità provocata dalle crisi di sussistenza fu individuata da Jean Meuvret (cfr. Meuvret, 1946, pp. 643650, in particolare, p. 645). La complessità degli elementi coinvolti rende l’espressione “crisi demografica”
più adeguata di “crisi di mortalità” o “grande mortalità” (cfr. Dupâquier, 1988, p. 174).
24
Il metodo seguito qui è stato proposto da Jacques Dupâquier nel 1975 e consiste nell’elaborazione di un
indice I definito dalla formula: I = D-A/2SA, dove D rappresenta il numero dei decessi registrati durante l’anno
in cui si pensa possa essersi prodotta la crisi; A la media aritmetica annuale delle morti nel decennio
precedente; 2SA lo scostamento quadratico medio dei totali annuali delle morti avvenute in quel decennio in
relazione al loro valore medio A. L’interpretazione di tale indice diventa problematica qualora una grave crisi
o una sequenza di mini-crisi ripetute rendano accidentato il profilo della mortalità nel decennio assunto come
base di confronto, così come nel caso che quest’ultimo sia caratterizzato dalla mortalità eccezionalmente
bassa che si verfica nei periodi di recupero post-crisi (cfr. Dupâquier, 1988, pp. 176-178).
40
appaiono d’intensità complessivamente moderata e spesso decisamente modesta,
soprattutto nel periodo intermedio 1752-1775.
anni
indice
I
grado
di
ampiezza
intensità
1729
2,9
2
MEDIA
1734
1740
1743
1752
1755
1758
1759
1775
1780
1781
2,3
2,4
3,1
1,1
1,05
1,9
1,5
1,2
3,4
4,1
2
2
2
1
1
1
1
1
2
3
MEDIA
1783
1,7
1
sovramortalità stagionale
(forte concentrazione seconda metà
MARZO)
INVERNALE (DICEMBRE)
PRIMAVERILE
sovramortalità
classi di età
ADULTE
TUTTE
MEDIA
MEDIA
INVERNALE (GENNAIO)
MINORE
AUTUNNALE (OTTOBRE)
TUTTE
MINORE
TARDO-ESTIVA (AGOSTO-SETTEMBRE)
5-9 ANNI
5-9 ANNI
5-9 ANNI
5-9 ANNI
MINORE
INVERNALE (GENNAIO)
MINORE
TARDO-ESTIVA (AGOSTO-SETTEMBRE)
TUTTE
MINORE
PRIMAVERILE (APRILE)
MEDIA
TARDO-AUTUNNALE (DICEMBRE)
TUTTE
FORTE
TARDO-ESTIVA (AGOSTO-SETTEMBRE)
5-9 ANNI
MINORE
ESTIVA (forte
concentrazione tra fine LUGLIO-inizi
AGOSTO)
5-9 ANNI
Tab. 7. Parrocchia di Trossieri 1712-1790. Crisi demografiche: indice I di mortalità di Jacques Dupâquier;
sovramortalità stagionale e per classi di età.
Tentiamo di determinare la tipologia di queste crisi attraverso un esame più ravvicinato,
che prenda in considerazione la stagionalità delle morti e le fasce di età più colpite in
relazione alla norma,25 sebbene l’esiguità delle cifre non faciliti certo il compito. I risultati
si possono schematizzare nel modo illustrato nelle due ultime colonne della tabella 7. Si
noti come a Trossieri, analogamente, del resto, che nel complesso delle Valli valdesi,26 la
successione degli anni caratterizzati da sovramortalità ricalchi la cronologia delle principali
crisi di sussistenza che colpiscono il Piemonte: 1734, 1742, 1773-1774, 1783-1784.
Il manifestarsi tanto puntuale degli effetti di crisi di sussistenza di ampiezza regionale
negli indici demografici riguardanti la nostra area suscita interessanti interrogativi a
proposito della sua economia di tipo alpino e della protezione che una maggiore
differenziazione produttiva e un relativo isolamento dal mercato rispetto alle pianure a
prevalente coltura cerealicola era effettivamente in grado di assicurare. Come è stato
recentemente dimostrato, prima dell’introduzione della patata, l’ecosistema agrario alpino
era in realtà segnato da una sostanziale mancanza di flessibilità, che non lo preservava
dall’insorgere di crisi di sussistenza determinate da accidenti climatici. In particolare, il
ripresentarsi frequente durante la primavera e l’estate di ondate di freddo e umidità
esercitava un’azione rovinosa simultanea sui grani, sul fieno e sulla produzione casearia. In
queste condizioni, picchi di mortalità legati a crisi ricorrenti costituirono un tratto endemico
della demografia alpina ancora nel XVIII secolo.27 A questi rigidi determinismi ecologici
25
Assumo come ‘norma’ i quozienti di mortalità specifici per classi di età.
Dossetti, 1981, p. 571.
27
Viazzo, 1990, pp. 284-285.
26
41
sfuggivano soltanto quelle comunità che potevano contare sugli introiti supplementari di
una migrazione stagionale qualificata,28 assente o estremamente ridotta nel nostro caso.
L’impressione che si ricava è quella di una demografia sussultante ancora nell’ultima
fase del secolo, pur in presenza di un innegabile incremento tendenziale della
popolazione.29 A questo proposito, il quadro sembra analogo a quello individuato da Levi
per altre zone montane del Piemonte verso la fine del Settecento, in contrasto con la
dinamica ormai più fluida, anche se attestata su livelli di crescita inferiori, rilevata nelle
pianure investite dal progressivo affermarsi di rapporti di produzione capitalistici.30
La sottoregistrazione sistematica riguardante i decessi nelle classi di età più giovani
rende illusorio il tentativo di applicare alla serie delle sepolture di Villasecca procedure
statistiche di identificazione delle crisi demografiche. I dati grezzi mostrano comunque che
almeno in tre anni la frequenza della morte è stata insolitamente elevata: nel 1767, nel 1772
e, a giudicare da quanto si profila nei pochi mesi in cui le registrazioni sono conservate, nel
1775. In corrispondenza del 1767 e del 1772 sembra inoltre essersi realizzata anche una
sensibile riduzione dei concepimenti. Ad esclusione del 1775, come si è visto, questi anni
non si ritrovano nella sequenza delle crisi individuate a Trossieri.
Anche tra i valdesi, tuttavia, sebbene in maniera molto più frammentaria che non a
Trossieri, si scorgono indizi di una corrispondenza tra le reazioni del sistema locale e le
tendenze di scala regionale. Il fenomeno suggerisce una situazione di parziale
interdipendenza, piuttosto che di isolamento, rispetto alle economie agrarie più aperte al
mercato. L’esito è una dinamica apparentemente paradossale, in cui le difficoltà di
sussistenza di tipo “antico” sembrano sommarsi ai contraccolpi dei progressi della
mercantilizzazione. I limiti delle fonti non ci consentono di capire in quale misura si tratti
di una condizione che affligge una delle componenti religose della popolazione più
dell’altra, e se, in particolare, insieme con l’andamento in generale più tormentato della
mortalità a Trossieri riscontrabile anche attraverso le medie mobili, costituisca il segno di
una maggiore vulnerabilità economica della parte cattolica. Peraltro, come vedremo, a
sostegno di questa ipotesi esistono altri indizi, demografici e di diversa natura.
Soffermiamoci ora sul movimento stagionale, ossia sulla distribuzione nei vari mesi
dell’anno, degli eventi demografici di cui si sono sinora considerate le serie cronologiche
annuali (cfr. tabb. 8a e 8b).
28
Ibid., p. 213. Le alte valli a spiccata predominanza pastorale risultavano comunque meno vulnerabili delle
zone situate ad altitudini inferiori, più legate alla cerealicoltura (ibid., p. 216).
29
Non si può escludere che l’applicazione dell’indice I di Dupâquier abbia condotto a una sottovalutazione
delle crisi rilevate nel 1755, 1758 e 1759 (a causa del loro stesso ravvicinato ripresentarsi) e inoltre a non
registrare crisi durante i primi anni Sessanta, soltanto a motivo del livello mediamente già piuttosto elevato
della mortalità nel corso del decennio precedente. Potrebbe anche essere dovuto a questa circostanza, in
particolare, il fatto che la crisi di sussistenza, di rilevanza europea oltreché regionale, del 1764 non proietti qui
effetti demografici registrabili dall’indice; in ogni caso, i livelli raggiunti dalla mortalità a Trossieri nel 1765 –
così come nello stesso anno e in quello precedente a Villasecca – appaiono nettamente al di sopra della media.
30
Secondo Levi, queste due diverse risposte demografiche alle difficoltà degli ultimi due decenni del secolo,
rinviano a una divaricazione dei tipi di crisi: crisi di assestamento dell’agricoltura capitalistica nelle zone di
intensa specializzazione colturale e di crescente commercializzazione mentre, in aree quali la nostra, crisi di
tipo “antico”, riflesso degli squilibri ricorrenti in un’economia di autoconsumo (cfr. Levi, 1974, pp. 238239).
42
matrimoni concepimenti
gennaio
febbraio
marzo
aprile
maggio
giugno
luglio
agosto
settembre
ottobre
novembre
dicembre
195
157
61
106
297
64
102
61
21
10
85
41
1200
72
99
104
122
129
125
103
123
107
76
76
64
1200
femmine
104
135
132
93
91
77
55
84
129
114
77
109
1200
morti
maschi
90
146
135
101
98
102
78
89
137
120
51
53
1200
totale
97
141
133
98
95
90
67
87
133
116
63
80
1200
Tab. 8a. Parrocchia di Trossieri 1712-1790. Stagionalità dei matrimoni, dei concepimenti e delle morti:
indice su base 100.
matrimoni concepimenti
gennaio
febbraio
marzo
aprile
maggio
giugno
luglio
agosto
settembre
ottobre
novembre
dicembre
178
70
95
282
248
85
51
6
7
13
89
76
1200
78
93
115
127
103
111
112
114
101
83
80
83
1200
femmine
150
144
153
99
91
84
69
86
94
88
62
80
1200
morti
maschi
145
147
154
102
91
86
88
77
97
90
64
59
1200
totale
146
145
154
101
91
85
80
83
95
89
63
68
1200
Tab. 8b. Chiesa di Villasecca. Stagionalità dei matrimoni (1736-1774), dei concepimenti (1733-1774) e
delle morti (1752-1774): indice su base 100.
I concepimenti registrano sia a Trossieri sia a Villasecca, come perlopiù altrove, i valori
massimi durante la primavera, ma, a differenza che in altre realtà rurali dell’antico regime,
non mostrano in seguito alcuna chiara tendenza a un calo progressivo in corrispondenza
delle grandi fatiche estive imposte dal ciclo agrario, né raggiungono il minimo nella fase
terminale di queste ultime.31 La diminuzione, che qui si afferma netta a ottobre, si prolunga
31
Come invece accade, ad esempio, nelle comunità rurali del Piemonte occidentale studiate da Dossetti (cfr.
Dossetti, 1977, appendice B, pp. 212, 216, 219 e 222) e, in genere, nelle stesse Valli valdesi (cfr. Dossetti,
1981, tab. IIIb, pp. 597-598).
43
e anzi si accentua nei mesi invernali, toccando il minimo in dicembre a Trossieri e in
gennaio a Villasecca, dove le medie invernali restano comunque alquanto superiori.32
La distribuzione mensile della nuzialità si differenzia ancora più nettamente da quello
che sembra il movimento normale nella demografia di antico regime, soprattutto nelle
campagne. Alla concentrazione tipicamente molto intensa dei matrimoni in gennaio e in
febbraio corrispondono a Trossieri come a Villasecca percentuali sensibilmente più
contenute sul totale annuo dei matrimoni: rispettivamente, il 29,3 e il 20,7.33 Basti
osservare che negli stessi mesi, in alcune località di pianura del Piemonte occidentale fra il
XVII e il XVIII secolo, oltre il 60%;34 nella Francia rurale fra il 1740 e il 1792 si realizza
oltre il 40% delle unioni celebrate nel corso dell’anno.35 Nell’area che ci interessa, le
massime frequenze si verificano invece ad aprile e a maggio, quando si celebra a Trossieri
il 33,6% delle unioni dell’anno e ben il 44,2% a Villasecca. La prevalente concentrazione
delle nozze in questi mesi è un tratto comune alla Val San Martino, che la distingue dalle
altre Valli Valdesi, dove invece gli indici massimi si registrano, come appunto perlopiù
altrove, a gennaio e a febbraio.36 La tradizionale depressione dei mesi estivi è invece
presente, anche più profonda, date le alte frequenze a quel punto cumulate, e parimenti si
ritrova il consueto aumento di novembre, in qualche modo esaltato, soprattutto a
Villasecca, dai bassissimi valori dell’estate-autunno. Il livello della flessione estiva delle
nozze è comunque simile a quello che si può osservare in numerose località rurali del
Piemonte occidentale.37 In quanto ai tempi proibiti della Quaresima e dell’Avvento, essi
fanno sentire i loro effetti restrittivi sulla nuzialità dei cattolici più efficacemente che sui
concepimenti, riuscendo ovviamente più facile alla gerarchia ecclesiastica imporne in
questo caso il rispetto, ma la loro incidenza apapre comunque assai minore che in altre
situazioni.38 Contrariamente a quanto si può osservare in altri casi di convivenza con una
popolazione cattolica, i protestanti locali non appaiono minimamente condizionati da
queste interdizioni estranee alla loro disciplina.39
32
È possibile che a Trossieri, nell’approfondire la depressione di dicembre, così come nel rallentare la ripresa
primaverile a marzo, svolgano un ruolo le interdizioni religiose relative alla Quaresima e all’Avvento, ma,
come vedremo, per quanto riguarda l’indice di dicembre, questo non è probabilmente l’unico fattore in gioco.
33
(cfr. Per la Francia rurale, relativamente al periodo 1740-1792, è individuabile a novembre una vera punta
secondaria, l’indice di questo mese risultando pari a 158, mentre tutti gli altri indici restano inferiori a 100,
tranne quelli di gennaio (188) e febbraio (318) (cfr. Dupâquier, 1988, tab. 13, p. 299).
34
È il caso di Pocapaglia e di Strambino dopo il 1650 (Dossetti, 1977, p. 140).
35
Dupâquier, 1988, tab. 13, p. 299.
36
Dossetti, 1981, p. 570.
37
Dossetti, 1977, appendice B, pp. 215, 218, 221 e 225.
38
Cfr. i seguenti indici di dicembre riferiti al periodo 1711-1790, calcolati per quattro località del Piemonte
occidentale sulla base dei totali mensili dei matrimoni riportati in Dossetti, 1977, appendice B, pp. 215, 218,
221 e 225: Pocapaglia, 11; Sanfront, 37; Strambino, 7; Villanova Solaro, 20. L’indice relativo all’intera
Francia rurale per il periodo 1740-1792 è eguale a 11 (cfr. Dupâquier, 1988, tab. 13, p. 299). Calcolato sul
totale dei dati riguardanti le parrocchie cattoliche della Val San Martino, in riferimento a periodi di estensione
variabile nelle diverse situazioni ma tutti compresi fra il 1673 e il 1800, l’indice risulta eguale a 23; per
l’insieme delle parrocchie cattoliche della Val Luserna, relativamente a periodi compresi fra il 1680 e il 1800,
si ottiene un valore pari a 49 (cfr. Dossetti, 1981, tab. IIIc, pp. 599-600).
39
Nelle Valli Valdesi, in generale, il grado di osservanza delle limitazioni imposte dalla loro chiesa da parte
dei cattolici sembra negativamente correlato con l’esiguità della loro presenza in comunità a larga
maggioranza valdese, ad esempio nella Val Luserna, dove l’elemento cattolico era più nettamente minoritario
44
Nel movimento stagionale delle morti, i livelli più elevati si collocano ormai, come
altrove nel XVIII secolo, durante i mesi invernali, fra gennaio e marzo:40 a Trossieri la
punta massima è raggiunta a febbraio, seguita dal livello di marzo; a Villasecca i primi tre
mesi dell’anno registrano valori pressoché identici, mentre le frequenze più basse si
verificano durante l’estate. A Trossieri, tuttavia, la tarda estate e l’inizio dell’autunno
continuano a esigere un pesante tributo, anche in confronto ad aree di pianura solitamente
ritenute più esposte ai rischi di questo periodo dell’anno, legati essenzialmente alla
diffusione di infezioni gastrointestinali.41 L’apparente assenza a Villasecca di questo
fenomeno potrebbe essere semplicemente dovuta alla sottoregistrazione delle sepolture di
bambini, le vittime privilegiate di questo tipo di mortalità.42 Particolarmente moderati
invece in entrambe le situazioni si rivelano gli indici di novembre e di dicembre.43
Le caratteristiche della distribuzione mensile dei concepimenti, dei matrimoni e delle
morti rimandano al problema delle forme di mobilità stagionale praticate da queste
popolazioni montane. Prendiamo nota innanzitutto di quanto riferisce a questo proposito la
Statistica Generale, relativamente agli abitanti di Faetto:
In tutto l’anno non escono dal territorio a procacciarsi il vitto oltre a dieci persone per la maggior
parte donne a tagliare messi nell’estate, preferendo in inverno l’ozio e miseria nelle loro case e
l’andar mendicando in Provincia e rubbar boschi ne’ Comuni, senza che l’utile corrisponda alla
fatica gravissima con trasporto di due giornate a spalla.44
La peculiare stagionalità dei matrimoni a Trossieri come a Villasecca sembra già di per sé
una traccia sufficientemente indicativa dell’esistenza di un’emigrazione invernale.45 Anche
il fatto che i minimi dei concepimenti si situino nei mesi invernali ne costituisce un segno.
Un confronto con i livelli corrispondenti in aree non toccate dal fenomeno dell’emigrazione
stagionale mostra che questa, fra novembre e gennaio, arrivava a determinare una riduzione
dei concepimenti valutabile attorno al 30% a Trossieri e al 20% a Villasecca.46 Se
(cfr. Dossetti, 1981, p. 570). La tendenza ad abbandonare alcuni tratti della propria specificità religiosa in una
situazione di coesistenza con un gruppo maggioritario compare nel 1658-1680 fra i protestanti di SaintSylvain (Bassa Normandia), tuttavia non molto inferiori di numero ai cattolici (cfr. Bollon, 1970, pp. 489-508,
in particolare, p. 495).
40
Dossetti, 1977, appendice B, pp. 213-214, 217, 220 e 223-224; Dupâquier, 1988, pp. 239-241.
41
In relazione al periodo 1711-1790, gli indici di agosto, settembre e ottobre sono rispettivamente: a
Pocapaglia, 98, 92 e 56; a Strambino, 100, 88 e 104; a Villanova Solaro, 84, 110 e 78 (Dossetti, 1977,
appendice B, pp. 213-214, 217, 220 e 224).
42
Per quanto riguarda l’insieme della Francia (1740-1789) l’indice massimo (134) concernente le classi di età
inferiore ai 10 anni si registra a settembre (cfr. Dupâquier, 1988, p. 240).
43
A Crulai (Normandia) nel periodo 1740-1789, gli indici di novembre e di dicembre sono rispettivamente
eguali a 107 e a 103 (cfr. Gautier, Henry, 1958, p. 65); calcolati per il periodo 1711-1790, gli stessi indici a
Pocapaglia risultano pari a 81 e a 100; a Sanfront, a 86 e a 89; a Strambino, a 97 e a 80 (cfr. Dossetti, 1981,
appendice B, pp. 213-214, 217, 220 e 224).
44
Asto, Sezioni riunite, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale, fasc. 12, Provincia di Pinerolo
(1753), tab. III.
45
Dossetti, 1981, p. 141.
46
Queste percentuali risultano da un confronto tra la somma degli indici dei matrimoni di gennaio, novembre
e dicembre a Trossieri (212) e a Villasecca (241) con la media delle somme corrispondenti ottenute per le
comunità di Pocapaglia, Strambino e Villanova Solaro, relativamente al periodo 1711-1790 (301) (cfr. i totali
mensili dei matrimoni in queste comunità riportati in Dossetti, 1977, appendice B, pp. 215, 218 e 221).
45
prendiamo poi in considerazione la mensilità delle morti, differenziata secondo il sesso dei
defunti, ricaviamo un’ulteriore prova dell’esistenza di questo flusso migratorio e allo stesso
tempo abbiamo modo di constatarne il carattere maschile: la netta sovramortalità femminile
nei mesi di novembre, dicembre e, in minor misura, gennaio a Trossieri, in dicembre a
Villasecca, rivela che in quei mesi diminuiva la presenza degli uomini nelle comunità della
zona. Nell’ampiezza della sovramortalità maschile che si registra in giugno e in luglio a
Trossieri, in luglio a Villasecca, troviamo invece un indizio di una mobilità femminile in
estate non rilevabile attraverso gli indici dei concepimenti e dei matrimoni. Non
condizionando dunque in maniera apprezzabile l’andamento stagionale dei concepimenti, le
assenze femminili sembrano sostanzialmente escludere le donne sposate e in età feconda.
Quanto alla tipologia socioprofessionale e al ruolo economico da attribuire a questi
movimenti, la rappresentazione proposta dalla Statistica Generale, pur riduttiva in merito al
volume del flusso, potrebbe per il resto non essere infedele: se la migrazione stagionale
femminile si indirizza verso la manovalanza agricola, la periodicità invernale e soprattutto
la brevità della migrazione maschile rivelano il suo orientamento verso attività non
qualificate e forse, più in generale, la mancanza di una netta caratterizzazione
professionale.47 Le Valli Valdesi non rientrano però fra i caratteristici serbatoi alpini di
mendicità stagionale gravitanti sulla capitale nel XVIII secolo, un tipo particolare di
migrazione stagionale che anch’esso comporta, perlopiù, l’assenza dai luoghi d’origine per
gran parte dell’anno.48
Il modello che mi sembra allora identificabile nella nostra area è quello di una mobilità
tutto sommato modesta, ridotta, nella sua espressione invernale, a un vagare a corto raggio,
forse orientato, almeno in parte, alla mendicità. Per quanto vitale fosse il ruolo svolto da
attività marginali, è perciò poco probabile che assicurasse un apporto di risorse
supplementari tale da consentire alla popolazione, da un lato, di svincolare in misura
significativa la propria dinamica demografica dalla capacità di carico dell’ecosistema
locale, dall’altro, di ridefinire le proprie aspettative sociali. È azzardato cercare di valutare
esattamente l’impatto dell’emigrazione stagionale sulla base di tracce così povere, ma
risulta se non altro indubbio il contrasto con l’influenza pervasiva da essa esercitata in altre
realtà alpine.49
Se gli andamenti mensili degli eventi demografici ci mostrano comunque la presenza di
questa pratica nella sua forma estiva e invernale sia fra i cattolici sia fra i valdesi, presso
questi ultimi essa riguarda periodi dell’anno più brevi, almeno a giudicare dagli indici
47
Le attività qualificate legate all’edilizia praticate dagli emigranti provenienti da aree come Alagna (alta
Valsesia) o il Ticino, fra il XVI e il XIX secolo, ad esempio, imponevano all’emigrazione una stagionalità
primaverile-estiva e assenze prolungate, dalla Quaresima agli inizi di dicembre (cfr. Viazzo, 1983, pp. 187196 e Viazzo, 1990, pp. 237-238). Nelle comunità delle Valli di Lanzo, secondo le consegne per il sale
effettuate nel 1700-1701, gli emigranti che risultano assenti per meno di sei mesi all’anno sono pastori che
accompagnano stagionalmente le greggi a svernare in pianura (cfr. Levi, 1985b, p. 52).
48
Approssimativamente da settembre a maggio, anche se in alcune zone del Cuneese, ad esempio, “molti
individui e intere famiglie vanno raminghi per più brevi periodi, in cui non vi sono attività agricole da
svolgere” (cfr. Levi, 1985b, pp. 59-65).
49
Ad Alagna, zona di emigrazione specializzata estiva, la dimensione dei flussi era tale da determinare nel
periodo 1618-1700 la concentrazione a gennaio e a febbraio di oltre i due terzi dei matrimoni celebrati
annualmente; nel 1583-1612 e nel 1681-1720, la concentrazione a dicembre, gennaio e febbraio di quasi il
50% dei concepimenti dell’anno (cfr. Viazzo, 1983, pp. 190-191).
46
concernenti la mortalità, e comporta probabilmente flussi di dimensioni inferiori:50 un
ulteriore indizio, dell’effettiva esistenza di un vantaggio comparativo posseduto dalla
popolazione valdese o comunque di un diverso orientamento nel rapporto con le risorse
localmente disponibili.
Un confronto approfondito delle caratteristiche assunte dalla nuzialità e dalla fecondità
delle unioni nelle due popolazioni è impedito dal fatto che né gli atti di matrimonio di
Trossieri né quelli di Villasecca menzionano in alcun caso l’età degli sposi; per determinare
l’abituale espressione della precocità delle nozze, l’età media al primo matrimonio, occorre
perciò ritrovare le date di nascita di coloro che si sposano o quantomeno conoscerne l’età
approssimativa
La necessità di non alterare le probabilità di occorrenza associate a ogni singola fascia di
età e di disporre nel contempo di un numero di osservazioni non eccessivamente ridotto
impone di escludere dal computo della media e dall’elaborazione degli altri indici e
distribuzioni concernenti l’età al primo matrimonio a Villasecca le età dai 35 anni in su,
riuscendo così a conservare un periodo di osservazione almeno decennale (1764-1774).51
Al di sotto di questa soglia di età, i valori di Villasecca sono 23,6 anni per gli uomini e 20,9
anni per le donne.
Le differenze che si profilano fra le due situazioni appaiono di fatto abbastanza
pronunciate da rendere plausibile che non siano artificiosamente indotte dalla procedura
adottata per il loro calcolo. A Trossieri (1713-1790), l’età media al primo matrimonio
corrisponde a 26,9 anni per gli uomini e a 23,7 anni per le donne. Tenendo fuori le stesse
classi di età escluse nel caso di Villasecca, risultano invece 26,1 anni per gli uomini e 23,2
anni per le donne. Mentre le età medie di Villasecca si collocano, per così dire, entro il
campo di variazione di quelli che probabilmente rappresentano valori caratteristici nelle
50
Secondo Manuela Dossetti, l’emigrazione stagionale dalle Valli Valdesi, al pari di quella prolungata e di
quella definitiva, era un fenomeno che riguardava quasi esclusivamente “i maschi cattolici delle alte valli”
(Dossetti, 1981, p. 551) I valdesi erano trattenuti nelle località di origine sia dall’“ostilità” religiosa che
avrebbero incontrato nel mondo esterno e dal pericolo che l’abbandono anche temporaneo delle loro terre le
esponesse alle rivendicazioni dei cattolici, sia perché “le stesse lotte religiose, decimandoli, avevano permesso
loro un migliore equilibrio con le scarse risorse dell’ambiente e rimandato il problema del sovrappopolamento
dei territori montani, che in altre zone si poneva già in termini drammatici” (cfr. ibid., p. 569). L’idea di una
sovrappopolazione diffusa nelle Alpi piemontesi sin dai primi decenni del secolo XVIII risale a Raoul
Blanchard (cfr. Blanchard, 1952-1954, vol. I, p. 314) e ben si accorda con la visione di ascendenza
braudeliana a lungo prevalente fra storici e geografi di una montagna tradizionalmente afflitta da un eccesso
di pressione demografica, che soltanto flussi consistenti di emigrazione definitiva sarebbero riusciti in qualche
modo a contenere (cfr. Viazzo, 1990, p. 55). Alla luce dei risultati emersi da ricerche più recenti, questa
concezione ha finito con l’essere sostituita da quella di un regime demografico alpino “a bassa pressione”
imperniato sul controllo della nuzialità, con tassi di natalità e mortalità, nell’età moderna, sensibilmente
inferiori alla pianura (cfr. ibid., p. 295 e Viazzo, 2000, pp. 39-43). Conseguentemente, soprattuto a partire
dagli anni Ottanta del secolo scorso, lo studio sulle migrazioni alpine ha conosciuto una revisione radicale del
precedente paradigma fondato sul presupposto di un cronico sovrappopolamento dei territori alpini (sul
significato e sui risultati di questa evoluzione cfr., ad esempio, Fontaine, 1998; Radeff, 1998; Viazzo, 2000;
Lorenzetti, Merzario, 2005).
51
A Trossieri le classi di età al matrimonio eguali o superiori ai 35 anni registrano una frequenza pari al 7,1%
del totale fra gli sposi maschi e al 3,5% fra le donne. Ovviamente non si può validamente presupporre che il
loro peso proporzionale sia identico qui e a Villasecca.
47
Alpi occidentali nei secoli XVII e XVIII,52 quelle di Trossieri appaiono più elevate, ma
comunque inferiori ai livelli raggiunti, ad esempio, in località come Alagna (intorno ai 28
anni per gli uomini e ai 25 per le donne nel secolo XVIII), in Valsesia, oppure, al di fuori
dell’area alpina, alle medie abbastanza simili elaborate per l’insieme della Francia
relativamente ai decenni compresi fra il 1740 e il 1789.53
Come si è anticipato, a causa dei limiti posti dalle fonti alla ricostruzione delle unioni
matrimoniali e della loro discendenza, non siamo in grado di valutare attendibilmente i
livelli della fecondità. Possiamo però calcolare, sebbene non in maniera rigorosa, tassi
generici di natalità rispetto alla popolazione censita nelle due circoscrizioni ecclesiastiche
nel 1777, procedendo cioè analogamente a come si è fatto per il calcolo dei tassi di
nuzialità. Otteniamo in tal modo un valore del 35,3‰ per Trossieri e del 40,6‰ per
Villasecca, entrambi, ma soprattutto quello di Villasecca, alquanto elevati in confronto ai
livelli prevalenti nell’area alpina piemontese.54
Una demografia differenziale?55
I livelli di mortalità appaiono relativamente moderati in entrambe le popolazioni. È vero
che tra i cattolici la mortalità sembra registrare con precisione, anche se con punte non
spettacolari, numerosi episodi di crisi di sussistenza, denunciando così la permanente
vulnerabilità dell’adattamento conseguito. Tuttavia, sebbene la frequenza e l’ampiezza
delle crisi demografiche, così come lo schema basilare di mortalità soggiacente,56
costituiscano importanti misure delle capacità di adattamento di una popolazione, la
nuzialità resta il meccanismo regolatore “omeostatico” essenziale del suo sviluppo e un
indice eloquente del tipo di organizzazione sociale che la caratterizza. Purtroppo, come si è
visto, proprio la difficoltà di determinare i livelli di nuzialità e più ancora quelli di fecondità
rappresenta uno dei maggiori punti deboli della nostra ricostruzione. Tuttavia, per quanto è
possibile giudicare, sia tra i cattolici sia tra i valdesi, i livelli della nuzialità appaiono tali da
52
Alcuni esempi tratti dall’area alpina occidentale: a Entracque (Alpi Marittime, versante piemontese) nel
1730 l’età media al primo matrimonio è di 23,2 anni per gli uomini e di 20,1 anni per le donne; a Montmin
(Savoia) durante il XVII e il XVIII secolo oscilla fra i 23,7 e i 26 anni per gli uomini, i 21,8 e i 24,3 anni per
le donne; nell’Alta Provenza del XVIII secolo raggiunge i 25 anni per gli uomini e i 22 anni per le donne
(Viazzo, 1990, p. 268).
53
Ibid., p. 206; Dupâquier, 1988, tab. 35, p. 470.
54
Eccone alcuni esempi: Pontechianale (1734 e 1774), 30-35‰ (cfr. Albera et al., 1988, p. 144); Entracque
(1730), 32‰; Entracque (1780), 33,7‰; Elva (1731-1750), 31%. (Viazzo, 1990, p. 265). Nelle Alpi orientali
sono frequenti valori ancora più bassi, quali il 26,2‰ della tirolese Tux (1751-1800) (ibid., tab. 8.3, p. 256).
Restando in Piemonte, troviamo però una località di media montagna come Sanfront che registra lungo tutto il
XVIII secolo tassi superiori al 40‰, mentre nella pianura e nella collina i tassi sembrano frequentemente
superiori a quelli rilevati nelle nostre due popolazioni, mostrando durante il XVIII secolo valori quasi sempre
attestati oltre la soglia del 35‰ e spesso anche del 40‰ (Dossetti, 1981, tab. 1, pp. 129-133). Risultati
analoghi si possono cogliere nelle serie elaborate da Levi (Levi, 1974, appendice F, pp. 262-263).
55
Cfr. in Bigi et al., 1981 un brillante esempio di “demografia differenziale” che studia i comportamenti ed
eventi demografici in una comunità di antico regime alla luce della stratificazione socioeconomica e delle
configurazioni di relazioni interpersonali presenti in quella comunità. Fondatore di questo tipo di analisi,
Derouet, 1980.
56
Detta anche “mortalità minima inevitabile” (cfr. Wrigley, 1978, p. 136).
48
consentire una natalità generale alquanto esuberante rispetto agli standard alpini. Nello
stesso tempo, la nuzialità stessa presenta caratteri inequivocabilmente restrittivi in entrambe
le situazioni, ma secondo modelli nettamente differenti: meno intensa e più precoce a
Villasecca, più diffusa e insieme più tardiva a Trossieri.
In conclusione, cattolici e valdesi condividono una medesima nicchia ecologica e sotto
diversi aspetti attraverso i loro comportamenti demografici rivelano di essere esposti a
pressioni non dissimili. Alcuni tratti distintivi sono nondimeno chiaramente discernibili,
specialmente nell’area cardine della nuzialità. Il rapporto delle due popolazioni con le
risorse presenti nell’ambiente fisico è evidentemente mediato dal modo in cui i rispettivi
assetti sociali predeterminano, entro limiti più o meno rigidi, la quantità e le dimensioni
ideali delle loro unità basilari di produzione e consumo.57 Gli indicatori demografici
suggeriscono che a Trossieri l’assegnazione delle posizioni economiche indispensabili alla
creazione e alla riproduzione degli aggregati domestici sia meno rigidamente programmata
dalle gerarchie familiari di quanto non avvenga a Villasecca – e forse anche orientata da più
modeste aspettative sulla soglia di vitalità economica delle aziende domestiche e sui livelli
di vita accettabili. Le risposte adattative rimandano perciò a principi divergenti di
organizzazione familiare: enfasi sulla selezione di una linea di discendenza privilegiata
all’interno dei ceppi valdesi; tendenziale egualitarismo e maggiore spazio per lo sviluppo di
rami collaterali fra i cattolici. Uno sguardo alle istituzioni di erede universale nei testamenti
degli abitanti di Faetto conferma questa impressione: il 49,7% dei 36 testamenti valdesi
schedati, relativi al periodo 1695-1775, privilegia chiaramente uno o alcuni fra quei
successori dell’ereditando che, in base alla consuetudine, avrebbero avuto diritto a una
eguale porzione dell’asse ereditario; la percentuale corrispondente nei 23 testamenti
cattolici redatti fra il 1698 e il 1770 è invece del 30,1%. La più severa selezione e
gerarchizzazione delle posizioni che le strategie familiari impongono ai ranghi della società
valdese, a chi aspira a contrarre matrimonio o a dar vita a una nuova unità domestica, ha
forse come prezzo inevitabile un certo numero di defezioni – nella forma di abiure da parte
di esclusi e scontenti.
57
Si comprende perché le sole variazioni della mortalità non possano spiegare soddisfacentemente
l’autoregolazione delle popolazioni europee tradizionali, se si pensa che l’immissione sul mercato
matrimoniale di parte della riserva di potenziale riproduttivo costantemente mantenutane al di fuori dalla
nuzialità solitamente restrittiva praticata in queste popolazioni era normalmente in grado di assicurare il
recupero pressoché integrale delle perdite inferte da una crisi anche molto grave (cfr. Dupâquier, 1988, pp.
418-434). Dati questi presupposti, l’effettiva possibilità di contrarre matrimonio può essere vista come un
criterio che regola ed esprime la posizione degli individui in rapporto a una comunità e alle risorse cui essa
può attingere (cfr. Cole, Wolf, 1993, p. 251). Come ha rilevato Mary Douglas, l’operare dei meccanismi
regolatori delle popolazioni umane deve essere considerato in relazione alle possibilità di accesso a vantaggi
sociali limitati correlabili a una scala di prestigio, piuttosto che alla disponibilità fisica complessiva delle
risorse indispensabili per la sopravvivenza. Di fatto, può accadere che la riproduzione del modello esistente di
stratificazione economica e sociale fissi all’espansione della popolazione un plafond inferiore a quello che
consentirebbe il livello di sviluppo delle risorse alimentari teoricamente conseguibile (cfr. Viazzo, 1990, pp.
298 e 364-365). Per una presentazione generale del concetto di “omeostasi” in demografia e della sua storia
cfr. Viazzo 1990, pp. 5-6; Bengtsson, Saito, 2000.
49
Appendice. Alcuni approfondimenti
I limiti delle fonti
Le fonti di natura demografica a nostra disposizione presentano alcuni severi limiti, in parte,
dovuti alla casualità della conservazione dei registri, in parte, alle attitudini religiose proprie della
comunità riformata. Anzitutto, il periodo coperto dalle registrazioni disponibili non è lo stesso nelle
due situazioni poste a confronto. Esso inizia nel 1711 a Trossieri, proseguendo per tutto il XVIII
secolo e oltre. Nell’unico registro di Villasecca conservatosi per il periodo anteriore al secolo XIX
secolo, l’annotazione dei battesimi ha inizio nel 1730, quella dei matrimoni nel 1736 e quella delle
sepolture soltanto nel 1752. Tutte e tre le serie cessano definitivamente nel 1775, a conclusione di
un’estensione temporale che appare immediatamente piuttosto ridotta (in particolare, per quanto
riguarda le sepolture), se commisurata alle esigenze di un’analisi demografica condotta alla scala di
una micropopolazione.
Lavorando sui registri valdesi, bisogna inoltre attendersi, in primo luogo, una registrazione delle
sepolture incompleta e, in ogni caso, fortemente selettiva, riservata molto spesso agli individui
defunti in età adulta, soprattutto maschi. La morte non è infatti legata all’amministrazione di alcun
sacramento nelle chiese protestanti e, specialmente fra i calvinisti, le esequie si svolgevano non di
rado, nell’epoca che ci interessa, senza l’intervento di un pastore.58 In secondo luogo, esiste la
possibilità che il numero dei battesimi sia inferiore a quello delle nascite effettive. Il battesimo, cui
non la dottrina protestante non attribuisce una funzione salvifica, era infatti generalmente meno
tempestivo che fra i cattolici (a Villasecca l’intervallo medio fra la nascita e il battesimo risulta di
6,6 giorni, mentre a Trossieri è di 2,1 giorni). Ciò aumentava il rischio che una mortalità infantile
endogena assai elevata59 intervenisse prima della presentazione del neonato alla chiesa.60
Rispetto alle nascite, un problema – di ordine minore – si pone invero anche per le popolazioni
cattoliche, rappresentato dalla sottoregistrazione frequente di neonati in evidente pericolo di vita
battezzati “sotto condizione” e assai presto deceduti. In generale, essi non sembrano del resto
costituire, più del 3% dei nati ed è inoltre probabile che comprendano sempre una certa proporzione
di nati-morti.61
Andamenti secolari e stagionali delle nascite, delle morti e dei matrimoni
Queste limitazioni non sono comunque tali da impedire uno sforzo di ricostruzione e
comparazione. Per quanto riguarda i dati annuali delle nascite, la tendenza che si delinea è
chiaramente in ascesa, sia a Trossieri sia a Villasecca, dove essa appare ancora più netta e
l’incremento più rapido. Le fluttuazioni conservate dalle medie mobili triennali (cfr. graff. 1 e 2)
sembrano configurare un andamento assai simile nel periodo in cui il confronto è possibile:
depressione a cavallo degli anni Quaranta, poi lunga fase di risalita. La prima è preceduta a
Trossieri da una fase di incremento che prende avvio nel 1730, a sua volta, punto culminante di un
regresso iniziato almeno dal 1720. Il ricupero appare più regolare e leggermente più duraturo a
Villasecca, dove si estende sino al 1765, mentre a Trossieri si smorza qualche anno prima.
58
Dossetti, 1981, p. 549; Dupâquier, 1988, p. 19.
Che interviene ovviamente entro i primi giorni o comunque nelle prime settimane di vita (Pressat, 1961, pp.
77 e 86). A Crulai, nelle generazioni 1720-1759, il tasso apparente di mortalità infantile endogena è valutabile
fra il 145 e il 160‰. (Gautier, Henry, 1958, pp. 168-171).
60
Dossetti, 1981, p. 549.
61
Henry, Blum, 1988, pp. 79-81.
59
50
Successivamente, a Villasecca la linea scende fin verso il 1770, punto dal quale accenna
nuovamente a elevarsi. A Trossieri si registrano invece fluttuazioni più ravvicinate di quelle
osservabili durante i decenni precedenti: nel complesso, a una fase orizzontale nella seconda metà
degli anni Sessanta segue un veloce incremento che, verso la fine del decennio successivo, lascia
spazio a una nuova, piuttosto effimera, depressione, conclusasi prima del 1785, quando la tendenza
è nuovamente in salita.
Le conseguenze delle crisi demografiche intervenute dopo il primo decennio del secolo XVIII,
senz’altro meno gravi delle precedenti,62 e delle corrispondenti fasi di recupero post-crisi sulla
natalità si inseriscono quindi e, in parte, è pensabile si confondano, in un profilo largamente
predeterminato da accidenti demografici laceranti che restano al di qua del periodo di osservazione.
Estrarre una tendenza dalle serie annuali delle morti e dei matrimoni attraverso un semplice
procedimento perequativo meccanico o mediante ingrandimento delle classi presenta difficoltà
maggiori rispetto al caso delle nascite: la mortalità è più soggetta della natalità a brusche variazioni
di breve periodo e il numero dei matrimoni, in media di quattro o cinque volte inferiore a quello
delle nascite, è particolarmente esposto a fluttuazioni aleatorie.63
A Trossieri, la tendenza riferita al periodo 1712-1790 è ascendente, sia per quanto riguarda i
matrimoni sia, più moderatamente (anche rispetto alle nascite), nel caso delle morti. Sebbene
amplificate e deformate per le cause appena menzionate, le oscillazioni principali delle medie
mobili dei matrimoni appaiono nel complesso corrispondenti a quelle delle nascite, anche se,
ovviamente, anticipate. Nel caso dei decessi, le condizioni del momento della mortalità introducono
sfasature e frequenti intervalli in cui gli andamenti delle nascite e delle morti procedono in
correlazione inversa: così, i periodi 1739-1743, 1753-1757, 1778-1781 risultano negativi per le
nascite e positivi per le morti, mentre i periodi 1774-1748, 1759-1762, 1767-1769, 1783-1785 sono
positivi per le nascite e negativi per le morti. Si aggiunga che il simultaneo movimento discendente
che si osserva tra il 1762 e il 1767 appare assai più pronunciato per i decessi che per le nascite e
che, in minor misura, la stessa differenza di proporzioni si ripresenta, con significato naturalmente
opposto, nella comune fase ascensionale sperimentata fra il 1770 e il 1778. Le medie mobili
triennali delle morti restano comunque costantemente al di sotto dei valori corrispettivi calcolati per
le nascite.64
Nella situazione (puramente teorica) di una popolazione chiusa, cioè in assenza di movimenti
migratori, ne deriva evidentemente un incremento naturale, che, con altrettanta evidenza, non è
rimasto uniforme nel tempo, anche in rapporto ad aggregazioni di una certa ampiezza di dati
annuali. Se infatti guardiamo alle medie mobili triennali, in particolare il periodo 1750-1760 appare
contraddistinto da un aumento delle morti vistosamente più rilevante di quello delle nascite, più che
bilanciato però nel decennio successivo da un forte calo. Benché non sia possibile calcolare tassi
generici decennali di natalità e di mortalità per le due popolazioni separatamente,65 si può
presumere che soprattutto quelli di mortalità abbiano oscillato in modo tale da determinare saldi
notevolmente variabili fra le due serie. Forse anche a causa dell’incidenza delle fluttuazioni
aleatorie su cifre piuttosto piccole, le maggiori scosse di questa dinamica si configurano come
62
Per quanto riguarda le crisi di sussistenza, secondo la classica distinzione stabilita da Jean Meuvret per la
Francia, a un periodo 1680-1713 dominato da crisi “mortali”, succede un’epoca di crisi “larvate”,
corrispondente grosso modo ai regni di Luigi XV e di Luigi XVI e, con maggior nettezza, agli anni fra il 1755
e il 1789 (Meuvret, 1946, p. 647).
63
Henry, Blum, 1988, p. 44.
64
A Villasecca, il periodo di osservazione troppo breve e la palese sottoregistrazione rendono del tutto incerto
ogni tentativo di valutare l’evoluzione del numero dei decessi: apparentemente è ascensionale.
65
Gli unici stati della popolazione che forniscono gli effettivi delle due componenti religiose della
popolazione separatamente essendo, come sappiamo, quella del 1759 (o 1774) e quella del 1777.
51
aspetti di una demografia strettamente locale: così, per l’appunto, la caratterizzazione
particolarmente sfavorevole degli anni Cinquanta e il profilo tanto marcatamente opposto degli anni
Sessanta.66
Dove le fonti consentono di ricostruire la stagionalità delle morti, ossia nella popolazione
cattolica, emerge uno stretto legame con le difficoltà nella sussistenza, poiché la mortalità risulta
particolarmente accentuata durante i mesi invernali e/o primaverili, cioè nel periodo critico
dell’esaurimento delle scorte dopo un cattivo raccolto o, più spesso, una sequenza di cattivi raccolti.
Il picco della mortalità appare tuttavia un po’ più tardivo nel 1775 rispetto alle crisi precedenti, più
intense; al contrario risulta precocemente situato nella soudure durante la crisi, pur della stessa
ampiezza di quella del 1775, verificatasi nel 1783.67 In quest’ultima circostanza, però, l’estrema
concentrazione del in un breve spazio di giorni fa pensare all’intervento concomitante di un
episodio di contagio ben delimitato. In relazione alle classi di età colpite, la mortalità in eccesso del
1734 e del 1743 si distribuisce in maniera indifferenziata, mentre nelle due crisi successive, di
intensità minore, le fasce di età più deboli pagano un prezzo superiore.
Le altre crisi che colpiscono la parrocchia di Trossieri sono meno facilmente caratterizzabili. La
forte concentrazione delle morti del 1729 potrebbe essere imputabile alla diffusione di una malattia
epidemica riguardante soprattutto gli adulti.68 Le crisi del 1755, 1759 (lievi) e 1781 (la più grave
invece fra quelle registrate nell’intero periodo di osservazione) condividono una stagionalità tardoestiva e colpiscono tutte selettivamente la stessa classe di età dai 5 ai 9 anni: è possibile siano
dovute a una recrudescenza delle infezioni gastrointestinali, forse in conseguenza di un
peggioramento della dieta. Nel 1752 e nel 1780, la mortalità in eccesso è invece diffusa rispetto alle
fasce di età colpite, mentre la sua stagionalità appare più tarda. Per questi due casi non manca una
possibile corrispondenza con tendenze economiche documentate a livello regionale, poiché
entrambe le crisi si collocano in un periodo di alti prezzi del frumento in Piemonte. Anche la
sovramortalità dei bambini fra i 5 e i 9 anni nell’inverno del 1758 si verifica a ridosso di due annate
di alti prezzi. Non lasciano tuttavia traccia anni anch’essi caratterizzati da alti prezzi del frumento in
Piemonte come il 1766 o il 1767,69 anche se nel 1767 la mortalità non è tra le più basse registrate
nel secolo a Trossieri.
Indici demografici dalla ricostruzione nominativa delle famiglie
Ci siamo occupati finora della cronologia e della periodicità stagionale delle nascite, delle morti
e dei matrimoni che nel corso del secolo XVIII interessarono l’area delle due circoscrizioni
ecclesiastiche prescelte. Per comprendere meglio le caratteristiche di queste serie o cicli di eventi e
alcune delle loro cause – ad esempio, le crisi demografiche oppure la presenza di movimenti
migratori e la loro natura –, è stato necessario prendere in considerazione l’età e/o il sesso degli
66
Si tratta infatti di caratterizzazioni congiunturali che non hanno riscontro anzitutto nel resto delle Valli
Valdesi (cfr. Dossetti, 1981, tab. IIIa, pp. 580-596) né, ad esempio, in alcuna delle località del Piemonte
occidentale considerate in Dossetti, 1977, appendice A, pp. 155-210.
67
Analizzando l’andamento mensile delle morti a Crulai durante gli anni-raccolto 1693 (1 agosto 1693 - 31
luglio 1694) e 1709 (1 agosto 1709 - 31 luglio 1710), Étienne Gautier e Louis Henry osservano negli anni di
crisi un brusco aggravemento della situazione in dicembre e una mortalità comparativamente elevata fino al
giugno seguente. In altri casi, tuttavia, la sovramortalità può manifestarsi più tardi, anche nella primavera
dell’anno successivo al cattivo raccolto, oppure più precocemente, già dal mese di settembre (Gautier, Henry,
1958, pp. 66-67).
68
Simile in questo, ad esempio, alla cosiddetta febbre miliare, che però compare per la prima volta in
Piemonte soltanto negli anni Cinquanta (cfr. Dupâquier, 1988, p. 247).
69
Prato, 1908, p. 161.
52
individui che morirono o si sposarono in un certo anno o durante l’intero periodo di osservazione.
Possiamo tuttavia generalizzare questo tipo di approccio concentrando l’analisi non sulla
distribuzione temporale degli eventi demografici, ma sulla ripartizione in termini di classi di età
degli individui che nell’arco di un certo periodo furono interessati da una medesima categoria di
evento demografico: il matrimonio, la nascita di figli, la morte (analisi longitudinale o apparentata a
quella longitudinale).70 Lo scopo è quello di costruire alcuni indici che esprimono delle regolarità
nei comportamenti demografici esibiti dalla popolazione studiata. In un contesto di antico regime, i
dati indispensabili a tale operazione sono forniti alla ricostruzione nominativa delle famiglie
effettuata sulla base dei registri parrocchiali. Diciamo però subito che nel nostro caso, gli ostacoli
posti dai limiti delle fonti, soprattutto nel caso della chiesa valdese di Villasecca, non consentono di
sfruttare appieno le potenzialità di questo tipo di analisi: in particolare, impediscono di fatto lo
studio comparato della fecondità nelle due popolazioni.71
a) Mortalità
La mortalità delle classi di età puerili (cfr. tabelle 9a e 9b) è quella che ha presentato minori
problemi di ricostruzione, perché, pur essendo le classi più colpite dalla sottoregistrazione
(soprattutto nei registri valdesi), l’analisi ha potuto estendersi su un arco più ampio di generazioni di
nati durante il periodo coperto dalle registrazioni. Inoltre, limitatamente alle classi di età fino a 5
anni, sono impiegabili alcuni metodi di valutazione dei decessi perduti, ossia per qualsiasi ragione
non registrati, che consentono di ridurre il rischio di una sottostima della mortalità.72
70
L’analisi longitudinale quando si applica agli eventi demografici vissuti da una medesima coorte o
generazione; l’analisi trasversale riguarda invece una categoria di eventi demografici vissuti da un gruppo di
coorti durante un anno o un certo numero di anni (Pressat, 1961, p. 63). Per coorte s’intende l’insieme degli
individui che vivono un medesimo evento demografico durante lo stesso lasso di tempo (cfr. ibid., p. 61).
L’analisi apparentata a quella longitudinale concerne invece un gruppo di generazioni che non entrano tutte in
osservazione alla stessa età, quale ad esempio una coorte di individui che si sposano a età differenti (cfr. ibid.,
p. 125).
71
Gli indici fondamentali in questo campo sono costituiti dai tassi di fecondità legittima per classi di età della
donna o di durata dell’unione coniugale, secondo l’età della donna al matrimonio. Un tasso così concepito
esprime il rapporto fra il numero di nascite osservate in una data classe e il numero di anni procreativi
femminili compresi in quella classe – un numero che si ottiene moltiplicando il numero di donne presenti
nella classe considerata per l’ampiezza in anni della stessa (cfr. Henry, Blum, 1988, pp. 70-71). La
conoscenza della data del matrimonio è molto importante poiché, oltre a una riduzione della fecondità
connessa al progredire dell’età della donna, contrariamente a quanto sembravano indicare le prime ricerche
svolte in questo campo, anche nelle società premalthusiane esiste una correlazione inversa significativa fra
l’età della donna al matrimonio e la sua fecondità in una data classe di età: in altre parole, tra la fecondità e la
durata dell’unione (cfr. Gautier, Henry, 1958, pp. 95 e 98-101; Pressat, 1961, p. 102; Henry, Blum, 1988, p.
87). Quando tuttavia queste misure sono riferite a insiemi umani ridotti, come i nostri, il rischio rappresentato
dalle variazioni aleatorie nel numero delle nascite è assai notevole (Henry, Blum, 1988, p. 85; Viazzo, 1990,
pp. 279-282). Tanto più insidioso esso si profila per quanto riguarda Villasecca, dove la brevità del periodo di
osservazione limita severamente la base su cui si può effettuare il calcolo.
72
Henry, Blum, 1988, pp. 137-141.
53
classi di età
femmine
maschi
totale
0-1
198
225
211
1-4
154
157
156
5-9
30
46
39
40
25
10-14
15-19
20-24
25-29
49
48
49
30-34
55
53
54
35-39
57
62
59
40-44
62
75
69
45-49
66
86
76
50-54
84
108
96
55-59
112
140
126
60-64
163
188
176
65-69
266
270
268
70-74
316
333
326
75-79
500
500
500
80 e oltre
1000
1000
1000
Tab. 9a. Parrocchia di Trossieri, sepolture 1711-1790. Quozienti di mortalità p. 1000.
classi di età
femmine
maschi
totale
0-1
192
218
205
1-4
148
150
149
5-9
44
51
47
Tab. 9b. Chiesa di Villasecca, sepolture 1752-1774. Quozienti di mortalità p. mille (classi di età 0-10
anni).
Per quanto riguarda gli adulti, invece, è stato possibile calcolare quozienti di mortalità73
direttamente sulla base delle osservazioni soltanto sui registri di Trossieri e a partire dalla classe di
età 25-29 anni (cfr. tabella 9). L’analisi della mortalità degli adulti sulla base dei registri
parrocchiali è infatti condizionata da alcune specifiche limitazioni: intanto, essa può essere studiata
solo nel caso degli individui sposati, l’unica categoria in cui risulta ben definibile l’entrata in
osservazione e controllabile la presenza successiva nella parrocchia.74 Inoltre, si è dovuto ridurre
ulteriormente il campione utilizzabile ai soli individui di cui fosse nota la data del decesso. Il
metodo alternativo di una stima della mortalità probabile alle diverse età adulte sulla scorta
dell’attribuzione di un’età minima e di un’età massima alla morte nei casi in cui si ignora la data
esatta del decesso è infatti praticabile solo quando la proporzione di tali casi è modesta, il che
purtroppo non corrisponde alla nostra situazione.75 Per non rendere troppo ristretto il campione si è
reso necessario includervi gli individui dei quali l’età alla morte era nota soltanto grazie
all’indicazione approssimativa contenuta nell’atto di sepoltura.
Nel caso di Villasecca, la possibilità di determinare quozienti di mortalità osservabili è invece
esclusa in radice dagli effetti cumulati di diversi inconvenienti: la sottoregistrazione delle sepolture,
73
Per la definizione del quoziente di mortalità vd. Henry, Blum, 1988, p. 123.
Gautier, Henry, 1958, p. 176.
75
Henry, Blum, 1988, pp. 128-131.
74
54
l’omonimia diffusa, la brevità della serie dei battesimi che esclude in partenza la possibilità di
stabilire l’età di molti degli adulti presenti durante il periodo di osservazione, infine, la mancanza
generalizzata dell’annotazione di un’età approssimativa al decesso negli atti di sepoltura.
femmine
classi di età
maschi
totale
0-1
198
38,3
224
36,4
221
37,4
1-4
152
46,6
150
45,8
151
46,3
5-9
39
50,6
38
49,5
38
50,1
10-14
25
47,6
21
46,3
23
47
15-19
36
43,7
32
42,3
34
43
20-24
46
40,2
46
38,6
46
39,4
25-29
50
37
48
35,3
49
36,2
30-34
53
33,8
51
32
52
33
35-39
57
30,6
59
28,6
58
29,7
40-44
60
27,3
70
25,3
65
26,3
45-49
66
23,9
85
22
76
23
50-54
83
20,4
107
18,8
95
19,7
55-59
112
17,1
139
15,8
125
16,5
60-64
159
13,9
188
12,9
173
13,4
65-69
230
11
261
10,3
244
10,7
70-74
333
8,6
364
8
348
8,3
75-79
454
6,7
488
6,3
468
6,5
80-84
591
5,1
623
4,8
603
5
85-89
750
4
773
3,8
759
3,9
90-94
868
3,1
880
3,5
873
3,2
Tab. 10a. Parrocchia di Trossieri, sepolture 1711-1790. Tavola-tipo di mortalità; ingresso: 1q0 (maschi e
femmine) per mille.
55
femmine
maschi
totale
classi di età
0-1
192
39,1
218
37,1
205
38,2
1-4
145
47,3
144
46,3
144
46,9
5-9
38
51
37
49,8
37
50,4
10-14
24
47,9
21
46,6
23
47,3
15-19
35
44
31
42,6
33
43,3
20-24
45
40,5
45
38,9
45
39,7
25-29
49
37,3
47
35,6
48
36,5
30-34
52
34,1
50
32,2
51
33,2
35-39
56
30,9
58
28,8
57
29,8
40-44
59
27,5
69
25,4
64
26,4
45-49
65
24,9
84
22,1
74
23,1
50-54
81
20,6
106
18,9
94
19,7
55-59
110
17,2
138
15,9
124
16,5
60-64
158
14
187
13
172
13,5
65-69
228
11,1
259
10,4
242
10,8
70-74
331
8,7
362
8,2
345
8,4
75-79
452
6,7
486
6,3
466
6,5
80-84
589
5,1
621
5
602
5
85-89
749
3,9
772
3,9
758
3,8
90-94
867
3,1
880
3,3
872
3,2
Tab. 10b. Chiesa di Villasecca, sepolture 1752-1774. Tavola-tipo di mortalità; ingresso: 1q0 (maschi e
femmine) per mille.
L’informazione parziale che si è resa disponibile è stata perciò integrata attraverso
l’elaborazione di tavole-tipo di mortalità per ciascuna delle due circoscrizioni ecclesiastiche,76
costruite scegliendo come ingresso il quoziente reale che sembrava più affidabile, quello
rappresentante la mortalità infantile (cfr. tabb. 11a e 11b). Le tavole-tipo naturalmente forniscono
valori centrali (i valori mediani, nel nostro caso)77 dei quozienti nell’insieme delle serie possibili
che le relazioni statistiche fra gli stessi alle diverse età configurano a partire dall’ingresso
selezionato. La dispersione dei valori reali possibili attorno ai valori centrali indicati dalle tavoletipo è solitamente ampia e dunque le probabilità che questi ultimi coincidano esattamente con quelli
che sarebbero osservabili in una data situazione non sono alte.78 Tuttavia, dove c’è materia per un
raffronto, i quozienti reali di Trossieri e di Villasecca si discostano poco da quelli teorici.
Nel complesso, queste misure della mortalità indicano condizioni poco difformi nelle due
popolazioni: la speranza di vita alla nascita è di 37,4 anni a Trossieri e di 38,2 anni a Villasecca, per
i due sessi riuniti. A Trossieri, dove soltanto ha senso calcolarlo, data l’evidente sottoregistrazione
76
I quozienti-tipo sono stati calcolati utilizzando gli estimatori proposti in Ledermann, 1969. Le relazioni
statistiche utilizzate per la costruzione di una tavola-tipo sono dunque quelle presentate da un insieme di
tavole reali selezionate come base (ibid., p. 9).
77
Cfr. Ibid., pp. 39 e 51.
78
Ibid., p. 2.
56
delle sepolture a Villasecca, un tasso generico di mortalità puramente indicativo riferito alla
popolazione censita nel 1777 risulta del 23,5‰. Il confronto con i livelli di mortalità del secolo
XVIII riscontrati in alcune micropopolazioni rurali piemontesi si risolve favorevolmente per la
nostra area. Sotto questo aspetto, essa appare al contrario in linea con altri territori della catena
alpina caratterizzati da un livello medio di mortalità a lungo sensibilmente più basso che nelle
pianure vicine. 79
b) Nuzialità e natalità
L’obiettivo primario di uno studio della nuzialità in una data popolazione è quello di valutarne
l’intensità e la precocità. Per quanto riguarda il primo aspetto, non solo la determinazione della
misura più appropriata, la frequenza del celibato definitivo, è preclusa dai limiti delle fonti,80 ma
anche il calcolo di un indice più rozzo, come quello rappresentato da un tasso generico di nuzialità,
non è a rigore effettuabile per la popolazione di Villasecca: come sappiamo, infatti, i dati più
affidabili che forniscono la consistenza rispettiva dei due gruppi religiosi all’interno delle comunità
risalgono al 1777, mentre il registro valdese si interrompe nel 1775. Ipotizzando tuttavia che le
dimensioni della popolazione locale non siano mutate di molto nel volgere di pochi anni, ho riferito
agli effettivi pertinenti alla chiesa di Villasecca secondo i dati del 1777 la media quinquennale dei
matrimoni che in quella chiesa si celebrarono nel periodo 1770-1774, ottenendo un tasso del 5,3‰.
Relativamente a Trossieri, lo stesso tasso, calcolato con al numeratore la media decennale 17731782, risulta pari al 7,5‰. Sebbene neppure quest’ultimo possa propriamente dirsi elevato, in
rapporto ad altre situazioni contemporanee, quello relativo a Villasecca è decisamente basso.81 Esso
appare corrispondente ai valori che si ottengono, ad esempio, per le regioni montane dell’Austria,
per l’appunto contraddistinte da una nuzialità caratteristicamente contenuta.82 Nel crescente sudoccidentale della catena alpina, in cui è ubicata la Val San Martino, si direbbero invece prevalere
livelli di nuzialità piuttosto elevati.83
79
I tassi generici di mortalità relativi alle comunità rurali del Piemonte occidentale analizzate in Dossetti,
1977 sono, ancora nel XVIII secolo, quasi sempre superiori al 30, spesso al 35 e anche al 40‰ (tab. 1, pp.
129-132). Lo stesso vale per quanto riguarda le aree considerate in Levi, 1974 (appendice F, pp. 262-263).
Tra gli esempi di valori più bassi relativi invece a località alpine piemontesi: Elva (1731-1750), 25‰;
Entracque (1730), 30‰, (1780), 26,1‰; Pontechianale (1734 e 1774), 25-30‰ (Viazzo, 1990, pp. 264-265).
All’interno dell’area alpina, l’altitudine sembra però costituire un importante fattore di differenziazione. La
tendenza comincia a invertirsi soltanto verso la fine del XIX secolo (ibid., pp. 289 e 389-390).
80
La frequenza del celibato definitivo si misura determinando la proporzione di celibi di età eguale o
superiore ai 50 anni fra i morti in un dato periodo o in un gruppo di generazioni. Poiché, negli atti di
sepoltura, lo stato matrimoniale delle donne è in genere indicato più frequentemente; ci si limita spesso a
rilevare il celibato definitivo femminile (Henry, Blum, 1988, pp. 49-51; Gautier, Henry, 1958, p. 74). Aia a
Villasecca sia a Trossieri, la frequenza dei casi in cui non è possibile attribuire alle donne defunte un’età e/o
uno stato matrimoniale è troppo numerosa per consentire una valutazione del celibato.
81
Cfr. Dossetti, 1977, tab. 1, pp. 129-133. I tassi elaborati per la Francia intera relativamente ai periodi 17401744 e 1770-1774 sono pari rispettivamente al 9,3 e al 7,5‰ (cfr. Dupâquier, 1988, p. 66). Ricordiamo anche
i tassi più affidabili fra quelli che si ottengono per la comunità alpina piemontese di Pontechianale (alta Val
Varaita) nel XVIII secolo: 8,3‰ (1751), 8,4‰ (1770), 10,7‰ (1790) (Albera et al., 1988, p. 144).
82
Viazzo, 1990, pp. 252-259. Ad esempio, il tasso di Tux (Tirolo) per il 1751-1800 è del 5,6‰ (ibid., tab. 8.3,
p. 256).
83
Cfr. Ibid., pp. 267-268 e 295.
57
III. Terra e credito in una società confessionale
Nel secolo XVIII, a Faetto come nel resto delle Valli valdesi, siamo in presenza di una
società in cui si cerca di riannodare i fili spezzati dall’aggressivo conversionismo cattolico
e dalla persecuzione violenta dei decenni precedenti per ricostruire i presupposti stessi della
propria riproduzione, i legami cioè di cooperazione e i circuiti di scambio, matrimoniale
come economico, disarticolati dalle conversioni di massa e dalle perdite umane causate
dalle deportazioni.
Nel locale mercato della terra, queste strategie trovano spesso uno snodo cruciale. La
quasi totalità delle transazioni economiche che vedono impegnati gli abitanti di Faetto nel
secolo XVIII e che hanno lasciato una traccia documentaria in atti notarili riguardano infatti
il trasferimento di diritti sulle terre. Cumulativamente, i comportamenti di venditori e
compratori lasciano trasparire la tensione verso un assetto di relazioni interpersonali che
incorpora categorie d’identificazione su base religiosa come criterio fondamentale
d’interazione, senza che ciò tuttavia faccia presagire una tendenziale segregazione. Anzi, la
frequenza con cui cattolici e valdesi s’incontrano sul mercato e il modo in cui ciò avviene
contraddicono ogni ipotesi di totale incomunicabilità e opposizione culturale fra di loro.
Piuttosto, gli scambi sul mercato della terra manifestano una logica che appare connessa
con la definizione dei rapporti di potere fra le due componenti e, come vedremo nel
capitolo V, della loro rispettiva posizione di fronte allo stato sabaudo.
Un mercato di antico regime
La nostra base di osservazione è costituita da 1523 atti notarili di vendita o di cessione in
pagamento di debiti (“dazione in paga”) di terre o edifici stipulati fra il 1731 e il 1775 tra
abitanti della comunità così come tra questi e contraenti forestieri. Considereremo insieme
gli atti che rivestono formalmente il carattere di compravendite e le cessioni in pagamento,
in quanto, come vedremo, la realtà delle transazioni non giustifica l’attribuzione a priori di
un significato differente alle due tipologie. Anche quando si presentano come vendite, i
passaggi di proprietà registrati negli atti notarili si rivelano in prevalenza determinati da un
indebitamento pregresso o dalla ricerca di credito. Dirimenti circa la reale natura di un atto
sembrano invece le modalità di pagamento stipulate, di cui analizzeremo perciò la
distribuzione in termini di frequenza e valore monetario. Ovviamente, numerose transazioni
contemplano più di una modalità di pagamento; assumere come parametro la frequenza e il
valore dei pagamenti piuttosto che delle singole transazioni consentirà di far emergere in
maniera assai più chiara alcune determinanti fondamentali della dinamica degli scambi.
Prenderemo inoltre in esame la destinazione colturale degli appezzamenti venduti e la
concentrazione della domanda e dell’offerta, questa volta secondo il numero e il valore
delle transazioni, oltre che secondo il numero dei contraenti. Soprattutto, cercheremo di
mettere in relazione gli aspetti economici delle transazioni con l’affiliazione confessionale
dei partecipanti. Come si vedrà, quest’ultima rappresenta nel nostro contesto un fattore di
identificazione e un criterio di interazione socioeconomica fondamentale. Il suo ruolo non
può tuttavia essere riconosciuto senza soppesare insieme quello svolto da altri tipi di
58
legame tra le persone, anzitutto i rapporti di parentela, che non di rado intersecano la
divisione religiosa. Le transazioni nelle quali intervengono individui non abitanti a Faetto
saranno tuttavia esaminate a parte. Si tratta di una necessità motivata non dalla
constatazione di particolari restrizioni giuridiche o sociali concernenti l’attività economica
e il possesso di terra legate alla non residenza nella comunità, ma dall’improponibilità di
una ricostruzione sistematica sia dell’identità religiosa di buona parte dei
compratori/cessionari o venditori/cedenti non abitanti a Faetto (che per comodità
indicheremo come “forestieri”) sia dei loro legami di parentela con i residenti nel
villaggio.1
La nostra analisi si ispira al modello applicato da Giovanni Levi allo studio delle logiche
dello scambio economico e in particolare del mercato della terra in un villaggio piemontese
di antico regime. Nel modello di Levi, le categorie di “parentela”, “vicinato” ed “estraneità”
modulano e traducono in termini operativi un concetto di “distanza sociale” che influenza i
contenuti, la durata e le ragioni di scambio delle transazioni economiche. Questa
dipendenza dell’economico dal sociale si manifesta in un continuum di gradazioni differenti
di reciprocità, una nozione alla base della tipologia delle forme dello scambio nelle
economie primitive ideata da Marshall Sahlins. La reciprocità “generalizzata” rappresenta
la polarità solidale, quella che si manifesta in prolungati flussi unidirezionali di beni e/o
prestazioni ai quali corrispondono aspettative di contraccambio indeterminate, dal punto di
vista temporale, quantitativo e qualitativo. All’estremo opposto si colloca la reciprocità
“negativa” che si esprime in un atto predatorio, mentre il punto di mezzo corrisponde alla
reciprocità “bilanciata” di uno scambio tra valori equivalenti.2 Nei modelli di Levi e di
Sahlins gli scambi di beni e servizi configurano pratiche e processi socioeconomici.3 Anche
se le ragioni di scambio sono espresse in termini monetari, ciò non diminuisce la loro
dipendenza dai rapporti interpersonali, dalla “considerazione reciproca” tra i partecipanti
alle transazioni economiche.4
La questione dell’esistenza di un “mercato della terra” nelle società preindustriali e delle
sue concrete logiche di funzionamento è oggetto di interesse costante e a tratti di intenso
dibattito fra medievisti e storici della prima età moderna da circa mezzo secolo.5 In alcuni
1
Le fonti che hanno permesso l’individuazione delle appartenenze confessionali dei partecipanti alle
transazioni sono i registri della parrocchia cattolica di Trossieri (APT, Libri Baptizatorum, Libri
Matrimoniorum e Libri Mortuorum 1711-1815) e della chiesa valdese di Villasecca (ACV, Livre où sont
registrés les mariages, baptêmes de l’Eglise de Villesèche commené en avril 1730 par David Léger P., 17301775), sui quali è stata condotta la ricostruzione nominativa delle famiglie.
2
Levi, 1985c, in particolare pp. 104-112; Sahlins, 1980. Un altro esempio di applicazione dello schema di
Sahlins allo studio di economie contadine europee, riguardante lo scambio di prestazioni di lavoro fra i gruppi
domestici, in Cole, Wolf, 1993, pp. 172-173. Sulle diverse accezioni culturali della reciprocità e delle norme
di giustizia applicabili alle transazioni cfr. Levi, 2000 e Levi 2003a.
3
Come definiti, ad esempio, dall’antropologo, allievo di Karl Polanyi, George Dalton: “Quando le norme che
specificano i diritti di acquisizione o di uso di una qualsiasi [delle] componenti di un’economia sono
espressioni di relazioni politiche o di parentela, la componente economica è inestricabilmente legata a quella
sociale, e abbiamo delle pratiche, dei processi, delle istituzioni socioeconomiche” (Dalton, 1974, pp. 141-199,
citazioni a p. 164).
4
Pitt-Rivers, 1976, p. 74.
5
Cfr. la ricostruzione proposta da Menant, 2005, pp. 195-216. Nonostante il titolo, il saggio di Menant
contiene riferimenti anche alla modernistica. Gli anni Ottanta del secolo scorso segnarono un momento
particolarmente proficuo per l’approfondimento di questo tema storiografico, anche in reazione alla
59
contesti, soprattutto medievali, è stato ad esempio possibile dimostrare come la circolazione
della terra sul mercato, sebbene piuttosto intensa, fosse prevalentemente ristretta all’ambito
della parentela e largamente incorporata nelle vicende successorie.6 Altre ricerche hanno
posto in relazione gli andamenti temporali delle vendite di terre contadine a quelli
demografici e alle fluttuazioni dei raccolti (attraverso i movimenti dei prezzi dei cereali);7
oppure, ispirate alla riscoperta di Chayanov, hanno visto nelle continue cessioni di piccole
parcelle fra aziende contadine un meccanismo ciclico di adattamento del bilancio fra
apporti di lavoro e consumi nei nuclei domestici durante le diverse fasi del loro sviluppo.8
Secondo una prospettiva ancora diversa, si sono letti i trasferimenti di diritti sulla terra in
alcune situazioni essenzialmente come strumento finalizzato alla generarazione di reti
sociali,9 in un quadro di continuità e interrelazione tra “economia di mercato” ed “economia
del dono”.10
Nello stesso tempo, appare chiaramente inadeguato assumere un modello di mercato
tratto dalla teoria economica neoclassica (o meglio, da una sua variante obsoleta) come
termine di confronto in base al quale misurare la distanza degli scambi economici nelle
società preindustriali (incommensurabile ad esempio nell’opera classica di Karl Polanyi).
Oggi come ieri, puntualizzano contributi recenti nel campo della sociologia economica,
l’intera attività produttiva o commerciale è inestricabilmente ibrida, segnata da
controvesa tesi di una precoce mercantilizzazione della terra in Inghilterra fin dal basso medioevo sostenuta in
McFarlane, 1978.
6
Su questa linea, ad esempio, Razi, 1981, pp. 3-36 e Razi, 1984, pp. 295-304. Per una critica del concetto di
“family-land bond” come fattore largamente preclusivo dell’alienazione di terra al di fuori dell’ambito della
parentela nelle società tradizionali cfr. tuttavia, ad esempio, Whittle, 1998 (concernente l’Inghilterra
medievale); Boudjaaba, 2005 e Boudjaaba, 2008, in particolare, pp. 89-121 (sulla debolezza del legame e la
prevalenza di motivazioni strettamente economiche nei trasferimenti di diritti fondiari nella Francia del tardo
Settecento e del primo Ottocento)..
7
Ad esempio, Campbell, 1984, pp. 87-134
8
Cfr. la discussione delle idee di Chayanov nel contesto dell’analisi della strategie di riproduzione delle
aziende contadine nell’Inghilterra bassomedievale e moderna proposta da Smith, 1984b, pp. 1-86,
specialmente pp. 6-38. In questo modello, è l’applicazione di una strategia volta alla ricerca di un livello di
reddito costante durante tutte le fasi del ciclo di vita domestico a spiegare la concentrazione degli acquisti e
delle vendite di terra, rispettivamente, nelle fasi di più alta e più bassa produttività del nucleo domestico
(Pfister, 1994, in particolare, pp. 1353-1355). Recenti ricerche mostrano però che tale correlazione non si può
ritenere sempre valida (cfr. Lorenzetti, 2002).
9
In particolare, per l’instaurazione di rapporti di protezione o associazione tra una variegata gamma di
possessori, da un lato, e grandi signori dotati di immunità o poteri territoriali, soprattutto ecclesiastici,
dall’altro: cfr. Rosenwein, 1989 e Pastor et. al., 1999. Mentre Rosenwein si concentra sulla funzione di
“collante sociale” (p. 202) delle donazioni o vendite di terra in favore di Cluny, i lavori del gruppo coordinato
da Reyna Pastor enfatizzano maggiormente gli effetti di differenziazione socioeconomica legati alle cessioni
di fondi, usualmente riottenuti in concessione, da parte di proprietari laici agli enti monastici.
10
Rosenwein, 1989, pp. 130-132. Sull’assenza di “alternativa secca” tra dono e scambio commerciale nelle
società di antico regime, cfr. Zemon Davis, 2002, in particolare, pp. 62-90. La norma sono “interazioni
protratte tra sistemi di dono e sistemi di vendita”, con la possibilità per i partecipanti allo scambio di muoversi
alternativamente fra i due registri, pur nella consapevolezza della loro distinzione (entrambe le citazioni a p.
63).
60
discontinuità culturali che limitano la fungibilità di beni e valori economici11 e strutturata
da pressioni e opportunità che emanano dalle reti di relazioni interpersonali.12
Nei casi specifici di volta in volta evidenziati dalla storiografia, la presenza del mercato
della terra nelle società di antico regime non sembra riconducibile a un unico fattore
motivante e il suo funzionamento a un principio omogeneo di regolazione degli scambi,
ancorché altri rispetto alla massimizzazione dell’utilità economica e all’incontro fra una
domanda e un’offerta del tutto impersonali. Un’immagine più realistica riconosce la
pluralità dei tipi di operazioni che passano per il mercato così come degli obiettivi e delle
strategie che animano i comportamenti di chi vi partecipa.13 Si può parlare di un “mercato
frammentato”, non solo perché dominato dal particolarismo locale delle tipologie
contrattuali, ma soprattutto perché queste riguardano ovunque una varietà estrema di
oggetti e di condizioni che ne qualificano il trasferimento. Accanto a distinte categorie di
diritti eminenti e diritti utili, una parte importante dei trasferimenti di possesso che si
operano sul mercato concerne infatti rendite di diversa natura e altri flussi monetari o valori
fiduciari in vario modo ancorati alla terra. Le strategie che presiedono ai trasferimenti di
diritti sulla terra coprono una gamma che va dalle motivazioni di investimento agrario o
comunque determinate dalle scelte produttive delle aziende alle sistemazioni patrimoniali
tra eredi, alla collocazione del risparmio e alla costituzione di rendite stabili, alla necessità
di accesso al credito.14
Credo quindi non sia anacronistico conservare l’espressione “mercato della terra”
quando ci si riferisce a realtà preindustriali, a condizione che per “mercato” si intenda
“qualsiasi sistema organizzato di scambio, sia esso centralizzato o decentrato, formale o
informale”15 e non una replica del modello neoclassico. Con questi presupposti, il ricorso al
mercato della terra può essere considerato parte a pieno titolo delle articolate “strategie di
sopravvivenza” messe in atto dalle famiglie di piccoli possessori.16
11
Penso, in particolare, ai lavori di Viviana Zelizer: ad esempio, Zelizer, 1989, pp. 342-377.
Granovetter, 1985, pp. 481-510. Il tema sociologico e storiografico della “embeddedness” delle economie,
preindustriali o contemporanee nelle relazioni sociali concrete ha tuttavia in genere ignorato il ruolo svolto
dalla secolare stratificazione dei linguaggi teologici e giuridici nell’inscrizione sociale e culturale dei fatti
economici. Per la ricostruzione di questo processo non si può non rinviare alle fondamentali ricerche di
Giacomo Todeschini, alle quali non sarebbe ovviamente possibile rendere giustizia con una breve citazione.
Mi limito perciò a segnalare Todeschini, 2006 per alcune considerazioni sulla “radice razionale e medievale
del mercato moderno, inteso come situazione-specchio della società” in una visione cristianizzata del mercato
“come un insieme di relazioni inestricabilmente religiose, affettive e profittevoli”. Cfr. anche Clavero, 1991.
13
In primo luogo, la compresenza (e reciproca interferenza) di fattori legati, rispettivamente, alle esigenze di
un settore agricolo già orientato alla mercantilizzazione e alle necessità di sussistenza delle aziende contadine:
cfr. Levi, 1995, pp. 821-844, che delinea una importante revisione del modello di Chayanov. L’interferenza
tra le divergenti strategie che si esprimono sul mercato della terra è visibile in particolare, come mostra il caso
piemontese illustrato da Levi, nella dinamica dei prezzi della terra. Sulle logiche di funzionamento dei mercati
della terra in epoca preindustriale cfr. gli ulteriori contributi di Levi: Delille, Levi, 1987b; Levi, 1992; Levi,
1993; inoltre, in un campo di studi in rapida espansione dagli anni Ottanta del secolo scorso, Cavaciocchi,
2004; Feller et al., 2005.
14
Béaur, 1991a; Béaur, 1991b. Fra i numerosi studi dedicati da Béaur al mercato e alla proprietà della terra
nella Francia di antico regime, cfr. inoltre la rassegna tematica in Béaur, 2007, pp. 138-163.
15
Hoffman, et al., 2000, p. 11.
16
Il carattere composito di tali strategie generato dall’incertezza, o meglio, dall’aleatorietà della condizione
della gente comune nelle economie preindustriali è al centro del contributo di Fontaine, Schlumbohm, 2000.
12
61
Più in generale, possiamo cogliere il rapporto con i mercati di una comunità
prevalentemente contadina e insediata su terre marginali come Faetto attraverso la nozione,
introdotta da Levi di “economie contadine a mercato parziale”17. Da un lato, tale nozione
designa infatti un tipo di regime economico in cui l’acquisizione dei beni necessari alla
sussistenza e alla soddisfazione di consumi culturalmente standardizzati si compie in gran
parte al di fuori della sfera mercantile, secondo uno schema di prevalente autoconsumo.
Dall’altro, riconosce pienamente il fatto che anche in queste situazioni i produttori si
impegnano più o meno regolarmente sui luoghi di mercato per ottenere una certa quantità di
reddito monetario da destinare essenzialmente a spese specifiche – determinate ad esempio
da esigenze di consumo sociale o dal pagamento delle imposte. Si evita in tal modo di
presupporre una rigida separazione tra gli scambi e i rapporti economici che si generano
nell’ambito dell’autosussistenza e le attività che entrano in circuiti di carattere
propriamente commerciale.18
Come in numerose società descritte dagli antropologi, questi mercati periferici di antico
regime non hanno tuttavia dimensioni e importanza tali da far sì che i prezzi che vi si
formano possano influenzare in maniera decisiva l’allocazione di risorse quali la terra e il
lavoro tra produzioni alternative, in vista di un sistematico incremento (non parliamo di
massimizzazione) dei risultati monetari. In altre parole, i prezzi di mercato dei prodotti non
svolgono una funzione integrante del sistema economico nel suo complesso, poiché la
maggior parte del reddito (non monetario) contadino non deriva da essi.19 È assai più
probabile che in un tale contesto, elementi come la posizione sociale rispettiva dei
contraenti, la storia dei loro precedenti rapporti, le altre relazioni in cui sono immersi
integrino il calcolo economico individuale in un più ampio reticolo di valori sociali e
culturali.20
17
Levi, 1985c, p. 113. Possiamo anche parlare di “società con mercati periferici” (Bohannan, Dalton, 1972, in
particolare, pp. 34-42).
18
Un’impostazione ‘malthusiana’ del rapporto fra tendenze all’autoconsumo e spinte alla
commercializzazione in Aymard, 1983.
19
Bohannan, Dalton, 1972, loc. cit..
20
Levi, 1985c, p. 97. Per contro, Derouet, 2001 propone di distinguere nettamente tra “circolazione
preferenziale all’interno della parentela” e la questione dei prezzi unitari della terra, contestando la tesi che la
prima abbia sempre un effetto sui secondi.
62
Presenza delle colture sul territorio e nelle transazioni
L’assortimento delle terre e degli altri beni immobili che entrano nelle transazioni è
mostrato dalla tabella 1.
alpi
boschi
campi
castagneti
edifici
incolti
muande
num. appezzamenti
ass.
perc.
96
4,49
190
8,88
468
21,88
36
1,68
357
16,69
211
9,86
20
0,94
orti
prati
vigne
non specificata
totale
num. appezzamenti
ass.
perc.
32
1,50
485
22,67
193
9,02
51
2,38
2139
100,00
Tab. 1. Destinazione produttiva degli appezzamenti venduti (1731-1775).
Possiamo poi farci un’idea delle diverse destinazioni produttive del territorio di Faetto nel
secolo XVIII e della loro consistenza attraverso i dati forniti dalla Statistica Generale del
1753 (cfr. tab. 2).
alpi
boschi
campi
incolti e pascoli
prati
vigne
totale
ha.
823,93
597,12
77,75
958,47
52,40
10,80
2520,47
perc.
32,69
23,69
3,08
38,03
2,08
0,43
100,00
Tab. 2. Destinazioni produttive nel territorio di Faetto intorno alla metà del secolo XVIII.
Fonte: Asto, Sezioni Riunite, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale, fasc. 12, Provincia di
Pinerolo (1753).
Nella classificazione della Statistica Generale, la categoria costituita dagli incolti e dai
pascoli occupa da sola quasi il 40% del territorio di Faetto. Indicati come in gran parte beni
comunali, vengono qui dipinti come “rocche inutilissime e di nessun frutto”.21 Gli atti
notarili testimoniano tuttavia sia di una loro frequente circolazione nelle transazioni tra
privati (quasi il 10% degli appezzamenti che di queste sono oggetto) sia della ben maggiore
considerazione loro attribuita dai saperi locali. L’incolto è infatti presente qui con una
pluralità di termini che ne sottolinea a un tempo l’importanza economica e l’aderenza alla
diversificazione estrema dell’ambiente alpino, lasciandone scorgere una possibile
specializzazione interna.22
21
Il termine “pascoli” ha un referente un po’ opaco, potendo indicare sia gli alpeggi sia terreni diversi posti ad
altitudini inferiori, radure nei boschi e spazi fra i coltivi, utilizzati nelle stagioni intermedie (cfr. Arbos, 1922,
pp. 61-63, 196 e 408; Cole, Wolf, 1993, p. 127).
22
I lemmi più ricorrenti: broa, dal provenzale bruo: proda, margine di terreno in discesa molto inclinato,
spesso ripido e cespuglioso’ ovvero ‘scarpata incolta che separa due campi sul pendio di una montagna;
broasso, da bruas o bruaso, accrescitivo e peggiorativo di bruo; derupiasso, da dërüpias: sito precipite,
63
La voce alpi, corrispondente alla seconda più ampia destinazione produttiva del
territorio, indica i pascoli attrezzati di alta montagna, situati al limite della zona produttiva e
sfruttati durante la stagione estiva.23 Si tratta dell’ Alpe comunale della Cialancia e
dell’Alpe consortile della Balma, tutte e due situate nel territorio di Faetto. Negli atti
notarili, compaiono entrambe come oggetto di diritti individuali di possesso “indivisi” con
gli altri detentori, sotto forma di “ragioni” non quantificate nel caso della prima e di quote
espresse in moneta esattoriale per quanto riguarda la seconda. Su queste alpi così si esprime
la Consegna del 1698:
Sovra le fini [scil.: di Faetto] vi sono due piccole Alpi una delle quali si chiama la Balma registratta
alla colonna de Particolari, et altra detta della Chialanchia commune a tutti li Particolari del luogo, e
finaggio sudetto seben si paga annualmente una recognitione alli signori Conti del luogo, e sono
ambe capaci per il pascolo di cento bestie bovine, et duecento circa capre, e sovra dette Alpi si
possono trattenere per due mesi circa dell’anno solamente, et non havendo presentemente li
Particolari comodità delle cose necessarie per il soggiorno sovra dette Alpi, quelle si sono date in
affitto a Particolari forestieri, quali hanno circa cinquecento pecore, vero è che nell’anno venturo
ove li Particolari siano in stato di puotersi provedere de mobili, et altre cose necessarie per il
soggiorno sovra dette Alpi, e de bestiami, se ne vadano li medesimi Particolari senza darli in affitto
ad altri, et sovra tali Alpi si fano formaggi a proportione di bestiami.24
La Cialancia e la Balma rappresentano dunque rispettivamente le due forme tipiche di
proprietà collettiva degli alpeggi: comunale e societaria. Entrambe le forme derivano spesso
storicamente da concessioni in locazione perpetua accordate da signori laici o ecclesiastici:
a una comunità o a “capi di casa” nominativamente designati.25 Secondo la Consegna del
1698, come si vede, il possesso comunale della Cialancia, a differenza di quello consortile
della Balma, è in effetti sottoposto al pagamento di un canone ai feudatari di Faetto o censo
ricognitivo della loro proprietà eminente. Nelle parole della Statistica Generale, le alpi di
Faetto sono in parte “feudali” e in parte “registrate”. Per quanto riguarda la Balma, essa, a
differenza che altrove,26 non è accatastata unitariamente come proprietà corporata, ma è
suddivisa nelle partite dei singoli consorziati: “registrata alla colonna dei particolari”. Dagli
atti di compravendita (dove il loro rilievo appare contenuto ma non irrilevante) non
dirupato; gerbido, voce piemontese indicante genericamente l’incolto; gravera, da graviëro: banco di ghiaia,
terreno pietroso e sabbioso lungo il corso di un torrente; riva, da rivo o ribbo: scarpata erbosa; rivasso, da
ribas o ribasso: proda scoscesa, grande scarpata, pendio di un poggio; rochiaglia, da ruciaglio: terreno
disseminato di rocce; sagnasso, da sagnas: prateria acquitrinosa, palude. Per l’individuazione e la traduzione
delle voci provenzali ho utilizzato, oltre al classico Mistral, 1966, Pons, 1973. La trascrizione alfabetica è
quella italiana, integrata da segni diacritici, adottata da Pons.
23
Arbos, 1922, pp. 35-37; Guichonnet, 1986, p. 160; Viazzo, 1990, p. 27. La zona eminentemente pastorale
costituita dagli alpeggi può nondimeno ospitare anche attività agricole: la fienagione, anzitutto, e, in secondo
luogo, colture di cereali robusti (cfr. Arbos, 1922, pp. 87-91, 98-99 e 107). Le colture sono comunque
tendenzialmente assenti dove uno stadio intermedio di sfruttamento agricolo si interpone fra il villaggio
permanente e l’alpe (cfr. ibid., p. 502); questo, come vedremo, è appunto il caso di Faetto.
24
Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 531, m. E-F, fasc. 1, Atti di consegna di tutte le boche humane, bestie
bovine, lanute e porchine fatta dalli Particolari Cappi di Casa del luogo di Faetto, 27 giugno 1698.
25
Arbos, 1922, pp. 66-68 e 73-75; Pons, 1978, pp. 136-137 e 157.
26
Viazzo, 1990, p. 209.
64
emergono evidenti limiti all’alienabilità delle quote individuali relative a entrambi gli
alpeggi, neppure nei confronti dei forestieri.
I boschi, la terza categoria per ampiezza sul territorio, si presentano negli atti notarili
con circa la stessa frequenza degli incolti e sotto varie denominazioni secondo le specie
arboree.27 I boschi di betulle, ad esempio, costituiscono il 69,9% degli appezzamenti di
bosco alienati, seguiti dai querceti con il 20,3%. La Statistica Generale comprende
verosimilmente tra i boschi anche i castagneti, ai quali abbiamo invece preferito riservare
una categoria a parte nella nostra classificazione delle destinazioni colturali documentate
nelle transazioni.
Come altrove, i boschi della Val San Martino dovevano assolvere a funzioni economiche
plurime. Intanto, con la fornitura di prodotti forestali destinati all’autoconsumo domestico:
come legna da ardere, come frutti e foglie per integrare l’alimentazione di uomini e animali
(oltre che per preparare giacigli). Era inoltre frequente in area alpina l’utilizzo per il
pascolo, durante l’estate oppure nelle stagioni intermedie, a seconda delle caratteristiche
climatiche della zona.28 Lo sfruttamento a destinazione protoindustriale (carpenteria e
produzione del carbone di legna), infine, ha lasciato una traccia precisa nelle fonti
giudiziarie della Val San Martino, attraverso diversi procedimenti originati dai tagli
abusivi, talvolta massicci.29
Alpi, boschi, incolti e pascoli raggiungono insieme ben il 94,4% dell’estensione totale
delle terre di Faetto. Campi, prati e, molto più limitatamente, vigne,30 occupano il restante.
La leggera prevalenza dei campi sui prati non sorprende nel contesto di un’economia agrosilvopastorale prevalentemente orientata all’autosussistenza: le rese particolarmente basse
delle semine dei cereali, unitamente al ricorso al maggese (presente qui, oltre che nella
forma comune alle pianure, anche in quella “climatica”, tipica della fascia superiore del
biotopo dei coltivi)31 privilegiano il campo nella ripartizione degli scarsi suoli produttivi
disponibili fra le diverse utilizzazioni.32 Gli appezzamenti di prato e di campo sono i più
presenti nelle transazioni, quasi nella stessa proporzione.
Secondo la stessa Statistica Generale, le colture cerealicole più diffuse sono l’avena, la
segale e il “barbariato”; la presenza del frumento puro è pressoché insignificante. La
27
Delle quali indicherò, accanto alla forma italianizzata del notarile, la corrispondente voce provenzale:
bessea, dal provenzale bësé o bëséo: bosco di betulle; favuarea o fauvarea: faggeto, da fau, ‘faggio’;
mallezea: bosco di larici, da malzé o malzéo, ‘larice’; rorea, da ruréo: rovereto, querceto.
28
Guichonnet, 1975, p. 155; Arbos, 1922, pp. 61-63 e 191-192; Pons, 1978, pp. 125-126. Aggiungiamo la
raccolta di ramaglie da impiegare come materiale di sostegno nella viticoltura, attività praticata anche nella
nostra area, alle quote più basse e sui versanti meglio esposti, con destinazione del vino prodotto al consumo
locale. Tra i contributi recenti sugli usi e i significati del bosco nella prima età moderna, cfr. i saggi raccolti in
Ambrosoli, 2007. Moreno, 1990 è ovviamente fondamentale dal punto di vista metodologico.
29
Tron, 1987, pp. 220-251.
30
Molti degli appezzamenti di vigna venduti comprendono quote o, più raramente, l’intera proprietà di un
“chiaboto”, di solito “con suo torchio e tina”. Il termine provenzale (e piemontese) ciabot o ciabotto, dal
significato generico di “capanna rustica isolata”, nella Val San Martino indica più precisamente un locale
basso e stretto nel quale un tempo si preparava il vino e vivevano temporaneamente i montanari quando si
recavano a lavorare i loro vigneti di fondavalle. Di strutture come questa si può dire che si aggiungono come
un epifenomeno al nomadismo alpino (cfr. Arbos, 1922, p. 387).
31
Su questa distinzione cfr. Blanchard, 1952-1954, vol. II, p. 420.
32
Arbos, 1922, pp. 194-197.
65
massiccia prevalenza della segale e delle misture che la comprendono era ovviamente
suggerita dalle particolari costrizioni esercitate sulla cerealicoltura dalla climatologia
montana.33 La produzione annuale media dell’arativo per giornata, in sacchi e loro
sottomultipli, risulta perciò la seguente, raffrontata con i valori corrispondenti riferiti
all’intera provincia di Pinerolo (cifre in parentesi): avena, 1.3.2 (0.0.4); frumento, 0.1.0
(0.4.4); segale e barbariato, 1.7.2 (1.1.0).34
Il rendimento dei prati (0.26 tese di fieno da 50 rubbi per giornata) è, analogamente a
quanto si riscontra nelle altre località delle Valli valdesi, assai basso se comparato con i
valori che si ottengono per la Valle di Susa (2.36 tese per giornata) e per l’alta Val Chisone
(5.30 tese per giornata).35 La causa di un così ampio differenziale di produttività risiede
probabilmente nell’assenza di un sistema di irrigazione altrettanto sviluppato ed efficiente
di quello esistente nella Valle di Susa e nell’alta Val Chisone.36 Il livello di produzione del
fieno, perno dell’economia agropastorale alpina secondo una classica teoria,37 sarebbe a sua
volta la causa principale della natura prevalentemente ovina dell’allevamento nella nostra
comunità e, più in generale, nelle Valli valdesi.
Due tipologie, infine, di edifici o di beni comprendenti edifici compaiono negli atti
notarili, ma sono assenti come voci a sé stanti nella classificazione della Statistica
Generale: oltre agli edifici, le muande.38 La muanda si delinea come un vero complesso
produttivo misto agricolo-pastorale (comprendente edifici, pascoli, prati, campi, incolti e
talvolta boschi) intermedio fra l’area dell’abitato permanente e la zona degli alpeggi,
occupato dall’intero gruppo domestico con il proprio bestiame per qualche settimana
immediatamente prima e dopo la permanenza delle bestie sull’alpe. Le “muandes” sono
menzionate nello schizzo di carattere etnografico con cui Jean Léger apre la sua storia delle
chiese valdesi, dove vengono appunto definite “lieux éloignés vers les Montaignes où ils
[scil.: gli abitanti delle Valli valdesi] retirent le bétail pour la commodité du fourrage &
pour la necessité d’y graisser les champs de fumier”, durante il mese di marzo.39
33
Più in generale, su suoli poveri e in condizioni tecniche poco avanzate, la coltura della segale presenta
notevoli vantaggi comparati rispetto a quella del frumento (cfr. Meuvret, 1977, pp. 147-149).
34
Le medie provinciali sono tratte da Prato, 1908, p. 69. La giornata piemontese, composta di 100 tavole,
corrisponde a circa 0,38 ettari; il sacco, diviso in 5 emine da 8 coppi, equivale a a ca. 115 litri. Tutte le
conversioni dalle antiche misure piemontesi a quelle metriche sono basate su Martini, 1883.
35
Prato, 1908, p. 83. La tesa da fieno, suddivisa in 125 piedi manuali cubi da 512 once, è eguale a circa 5,2
metri cubi; il rubbo, diviso in 25 libbre da 12 once, a circa 9,2 chilogrammi.
36
Ibid., p. 89.
37
Nel classico modello di economia alpina elaborato da John Frödin nel 1940, la produzione di fieno assume
il rilievo di elemento centrale cui si deve la regolazione dell’intero sistema produttivo: essa stabilisce anzitutto
un legame fra il settore agricolo e quello pastorale, contendendo i suoli migliori alla cerealicoltura; in secondo
luogo, fissando la quantità di bestiame che d’inverno è possibile nutrire nelle stalle, determina in ultima
analisi il numero di capi che durante l’estate dovranno sostenere i pascoli di alta montagna (cfr. Viazzo, 1990,
p. 35).
38
Il termine muanda utilizzato negli atti e i corrispettivi assai simili di area linguistica provenzale
appartengono a una costellazione di designazioni locali di vari tipi di abitato temporaneo. Ad esempio, nel
Delfinato prevale la forma linguistica muando o mudando, nel dialetto della Val San Martino miando. Su
queste strutture cfr. Arbos, 1922, p. 388; Blanchard, 1952-1954, vol. II, pp. 417 e 468.
39
Léger, 1664, l. I, p. 6. Fra le strutture affini alla muanda in area alpina si può citare la montagnette
savoiarda, insediamento temporaneo esclusivamente pastorale o anch’esso pastorale e agricolo (cfr. Arbos,
1922, p. 386; Blanchard, 1952-1954, vol. II, p. 467; Pons, 1978, p. 148; Viazzo, 1990, p. 27).
66
Tra gli edifici, molto presenti nei documenti notarili, figurano, accanto a “casa”, termini
quali “casale”, “casamento” o “caseggio”, in genere non identificabili in base a tipologie
precise.40 Essi rimandano probabilmente all’articolazione dell’abitato caratteristica
dell’economia alpina, che si trova a dover fronteggiare e sfruttare acute dissimmetrie
topoclimatiche anche con periodiche migrazioni a carattere agricolo e pastorale all’interno
della zona produttiva.41 Frequente è inoltre la ricorrenza di fabbricati designati come stalle
con fienile o granaio.42
Prati, campi ed edifici assommano a oltre il 60% dei beni che sono oggetto di
transazioni. Circa un quarto è poi costituito da boschi, incolti e diritti sulle alpi. Anche le
vigne, infine, tanto più in rapporto a una presenza evidentemente ridotta sul territorio,
manifestano un’intensa mobilizzazione. Per quanto a prima vista paradossale in queste zone
montane, la vigna sembra anche qui una coltura a orientamento spiccatamente mercantile.
Almeno per l’Ottocento, infatti, è attestato nelle Valli valdesi come in altri territori alpini
del versante piemontese, un attivo commercio del vino prodotto localmente, benché a
raggio molto limitato, dai centri di produzione situati nel fondovalle verso quelle zone in
cui l’altitudine o altri fattori impedivano la viticoltura.43 Gli appezzamenti di vigna,
concentrati in poche regioni particolari, compaiono perlopiù da soli o comunque separati
dagli altri beni che eventualmente figurano in uno stesso atto. Prati, campi, edifici, incolti e
(in misura un po’ minore) pezze di bosco si trovano invece spesso alienati all’interno di un
complesso produttivo integrato (o di parte di questo) posseduto dal venditore in un certo
sito.
Il mercato della terra e il credito
Il legame particolarmente stretto fra credito e mercato della terra è ben noto alla
storiografia economica e sociale del medioevo e della prima età moderna.44 Tutte le più
comuni tipologie contrattuali che recano il trasferimento di diritti sulla terra appaiono
largamente “contaminate” dal credito.45 Ciò non è altro, in fondo, se non la manifestazione
in ambiente rurale della pervasiva dipendenza delle popolazioni di antico regime da questa
risorsa, che, nel caso degli strati non privilegiati, anzi, risulta vitale per la stessa
sopravvivenza quotidiana.
Allo stesso tempo, gli studi più recenti hanno anche dimostrato il significato non
univoco sia, in generale, delle relazioni che si esprimono attraverso il credito sia
dell’associazione di quest’ultimo con il mercato della terra. I due problemi sono
ovviamente interrelati. Ad esempio, è stato rilevato come credito e mercato fondiario, per
quanto profondo sia il loro intreccio, non siano necessariamente “motore” l’uno dell’altro.46
40
Mi riferisco alle tipologie illustrate in Arbos, 1922, pp. 605-644; Blanchard, 1952-1954, vol. II, pp. 484492; Pons, 1978 pp. 150-157.
41
Arbos, 1922, pp. 13, 144-145 e 148; Sereno, 1989, pp. 433-434.
42
Letteralmente: “stalla con grangia sopra”, dove la voce piemontese grangia, analogamente al provenzale
grangio e al francese grange, significa qui ‘granaio’ o ‘fienile’.
43
Blanchard, 1952-1954, vol. II, p. 415; Pons, 1978, pp. 126-127.
44
Per quanto riguarda l’età moderna, cfr. Lorenzetti, Merzario, 2005, pp. 85-120.
45
Béaur 1994, p. 1419.
46
Ibid., in particolare, pp. 1421-1423.
67
Ovviamente sarebbe assurdo, in particolare, negare che nel corso dell’età moderna
l’indebitamento contadino abbia determinato massicci trasferimenti di diritti sulla terra a
vantaggio di élite urbane e rurali strategicamente orientate all’investimento fondiario.
Tuttavia, non sempre il prestatore, anche quando estraneo alla cerchia dei parenti o degli
amici, appare realmente interessato a espropriare il debitore del suo fondo.
In alcuni di questi casi la concessione di credito garantito dalla terra traduce la pura
ricerca di una collocazione redditizia e sicura per il proprio denaro, senza secondi fini di
accumulazione fondiaria. Forse più spesso, sono all’opera motivazioni più complesse e,
almeno in parte, di natura extraeconomica. Ne abbiamo un indizio quando, come spesso
accade, il valore dei beni nominalmente alienati o dati in garanzia è palesemente
insufficiente a coprire l’entità del prestito. Il fenomeno delle vendite ripetute, da parte di un
possessore indebitato, di uno stesso appezzamento già alienato e non riscattato, meno
frequente ma attestato nondimeno nelle nostre fonti,47 è un altro esempio che punta nella
stessa direzione. Così come, da parte del prestatore, la moderazione nell’esigere il
pagamento degli interessi decorsi o il rinnovo a più riprese del credito anche in presenza
della mancata restituzione di somme precedentemente avanzate. Nel nostro caso, le lunghe
catene di transazioni ‘asimmetriche’ fra non parenti e spesso non correligionari di cui
abbiamo parlato lasciano intravedere interazioni di questo tipo, nelle quali l’apparente
benevolenza del creditore non appare giustificata da uno specifico obbligo morale alla
solidarietà nei confronti della persona del debitore.
In assenza di contropartite monetarie o fondiarie certe, per chi dispone di risorse
sufficienti vi sono tuttavia altri vantaggi, di tipo economico o sociopolitico, che il credito è
in grado di procurare. Può trattarsi di apporti di lavoro da parte dei debitori, difficili o più
costosi da ottenere e gestire in altro modo, dell’accesso a risorse collettive grazie
all’acquisizione di diritti sulla terra, ma anche di lealtà spendibili nell’arena del prestigio e
della competizione politica locale. Questi benefici, derivanti largamente dall’instaurazione
di un legame duraturo di dipendenza personale del debitore nei confronti del creditore,
segnalano “la preminenza nel debito della qualificazione sociale su quella economica” in
antico regime e connotano il credito come matrice di relazioni interpersonali che non di
rado si tramandano attraverso le generazioni.48
47
Cfr. infra, pp. 75-76.
Fontaine, 2008 (da cui sono tratte le parole citate, a p. 67). Di questa autrice vd. inoltre: Fontaine, 1988;
Fontaine, 1991; Fontaine, 1994; Fontaine, 2007. Si muovono nella stessa direzione le considerazioni svolte
da Renata Ago sulla “peculiarità dei diritti sul credito” nella Roma del Seicento, spesso di fatto inesigibili,
ma concernenti un “valore sociale” in aggiunta a quello propriamente economico, “rappresentato dalla
relazione con il debitore, dal vincolo così imposto alle sue azioni future, dall’implicito impegno alla fedeltà
da lui sottoscritto” (cfr. Ago, 1998, pp. 103-105). Sulle culture e le pratiche sociali del credito nella prima età
moderna (oltre che sulla sua pervasività e importanza nel sistema economico) cfr. inoltre Muldrew, 1998. In
Pfister, 1994, in particolare, pp. 1357-1358, un altro esempio della tendenza dei rapporti di credito nelle
comunità rurali di antico regime a integrarsi in transazioni sociali più ampie e specialmente in relazioni di
tipo clientelare.
48
68
Credito e confessione religiosa: propaganda e realtà
Un tema onnipresente nella propaganda cattolica antivaldese conferisce una centralità
tutta particolare al binomio terra e credito nelle Valli valdesi della prima età moderna. Le
autorità cattoliche laiche ed ecclesiastiche non perdono infatti occasione di denunciare
nell’indebitamento nei confronti dell’avversario religioso un temibile strumento di
spossesamento a danno dei cattolici. In maniera più discreta, anche alcuni rappresentanti
della società valdese manifestano preoccupazioni analoghe, ovviamente rappresentando la
propria parte nel ruolo della vittima.
Al di là delle enunciazioni retoriche, l’uso più o meno aggressivo del credito nella lotta
religiosa si traduce in concrete iniziative istituzionali. I cattolici si muovono nel solco
dell’esperienza dei monti di pietà, rinverdita dalla Controriforma, con inizialmente in prima
linea, i cappuccini della missione di Perrero. Come abbiamo visto, infatti, al loro
ristabilimento nel 1661 si lega infatti la fondazione del Monte domenicale, uno dei cui
scopi principali consiste appunto nell’erogazione di prestiti ai convertiti, in particolare per
finanziare l’acquisto di nuove terre o il riscatto di terre ipotecate ai valdesi.
Al di là del tono propagandistico e del trionfalismo delle parole che le accompagnano,
queste iniziative non fanno che ribadire il punto cardinale della politica controriformistica
nelle Valli valdesi quando essa non si affida direttamente alla coercizione: la volontà di
stabilizzare e, se possibile, estendere il possesso della terra da parte della popolazione
cattolizzata come complemento indispensabile dei successi ottenuti in termini di
conversioni, in particolare rimediando all’indebitamento dei convertiti nei confronti degli
ex correligionari. La vicenda del Monte dominicale sarà effimera, ma questi elementi
resteranno una costante nelle politiche successive dello stato e della chiesa sabauda.
Dopo la Rentrée, infatti, l’idea che il reinsediamento dei valdesi abbia significato la
ripresa di una ancor più aggressiva strategia di acquisizione delle terre dei cattolici,
soprattutto attraverso la leva dell’indebitamento dei possessori, è continuamente riproposta
dalle fonti di parte cattolica, statali come ecclesiastiche. Per quanto riguarda, in particolare,
Faetto e la Val San Martino, si veda, ad esempio, quanto scrive, in una relazione sullo stato
della propria parrocchia inviata nel 1767 al vescovo di Pinerolo, il curato della chiesa di
Trossieri. Attribuendo un luogo e un tempo adeguatamente sacrileghi alla cospirazione
anticattolica, la sua denuncia si appunta sulla taverna posseduta da un «tiranno della
Catolica Religgione» nel territorio della sua parrocchia, dove
ne’ giorni di Domenica, e Festa vi concorre la feccia della mia, e dell’altre Parrochie circonvicine,
ove sotto color d’imprestito si fà credito a Catolici particolarmente, agl’uni 160 agl’altri 200 insino
alle £ 300 con hipoteca de fondi a termine di riscatto, o per loro goldità a loro vita durante, e così
già è suo il terzo di Riclaretto e la mettà di Faetto.49
Ciò che addita il parroco come ingrediente del successo della strategia dei nemici religiosi è
il carattere elevato delle somme prestate, senza rapporto con il valore produttivo delle terre
ricevute in garanzia o con considerazioni di solvibilità dei debitori, poiché traduce il
peculiare significato extra-economico attribuito dai valdesi al controllo delle terre locali.
49
Archivio Vescovile di Pinerolo, Parrocchia di Trossieri, m. non inventariato, Stato della Chiesa, e
Parrochia di Riclaretto, e Faetto, lettere del parroco Antonio Ceaglio al vescovo di Pinerolo, 5 giugno 1767.
69
La stessa visione era stata all’origine, nel 1739, della creazione dell’Opera dei prestiti,
un fondo alimentato in parte con versamenti diretti dalle finanze regie e in parte con i
redditi dei benefici vacanti, la cui amministrazione era stata affidata al suo ideatore, il
chierico Pietro Manfredo Danna, figlio del celebre pastore valdese di San Giovanni
convertitosi al cattolicesimo nel 1679. Come dichiarato nel suo nome, l’Opera dei prestiti si
propone appunto di fornire a cattolici e convertiti delle Valli valdesi credito a tasso
d’interesse agevolato (1-2%), anzitutto in vista del riscatto di beni ipotecati a valdesi o
dell’acquisto di proprietà valdesi. Per Danna, non esistono dubbi circa il fatto che i valdesi
cerchino con tutti i mezzi di impadronirsi delle terre dei cattolici, né che in questo le «borse
dei poveri» presenti nelle chiese valdesi (come in tutte le chiese riformate) e le sovvenzioni
che tali chiese ricevono dall’estero svolgano un ruolo fondamentale.50
I valdesi iniziano a ricevere cospicue sovvenzioni da chiese e altre istituzioni protestanti
europee su base regolare (cioè non più solo in reazione a eventi eccezionali come le Pasque
piemontesi) soprattutto dopo la Rentrée, grazie al più favorevole quadro dei rapporti
internazionali instauratosi allora. Queste sovvenzioni, in particolare quelle più cospicue,
veicolate dal cosiddetto Comitato vallone, vengono destinate fondamentalmente a tre scopi:
il mantenimento delle spese per il culto e l’istruzione religiosa, in primo luogo gli stipendi
dei pastori; il finanziamento dell’istruzione primaria, secondaria e, in misura minore,
superiore; infine, in misura notevolmente più ridotta, l’assistenza ai fedeli bisognosi.51
Quest’ultimo settore d’intervento corrisponde appunto a quello delle borse dei poveri,
raffigurate da Danna come principale strumento per sostenere gli sforzi coordinati dei
«religionari» miranti all’esproprio delle terre cattoliche. In realtà, il quadro istituzionale
della carità valdese, in particolare di quella finalizzata al sostegno al possesso della terra,
appare più complesso. Nelle fonti valdesi contemporanee, accanto alle risorse propriamente
gestite e distribuite dalle borse dei poveri, risorse talvolta indicate come «fonds des
pauvres», compare infatti un altro tipo di fondi attivabili accanto ai primi (e forse più
specificamente di questi) per il credito, detti «fonds d’église». Tali fondi non sembrano
interessati dai flussi della beneficenza straniera e restano quindi anche al di fuori del
controllo esercitato dai suoi dispensatori. Ecco come vengono introdotti in una nota diretta
nel 1768 al Comitato vallone da Daniel-Isaac Appia, allora pastore a San Giovanni e
moderatore della Tavola valdese:
L’Eglise de Saint Jean a des fonds soit par instrument sur des terres soit en obligations, pour la
somme de £ 1226.10. Ceux qui cultivent ces terres sont pour la plupart les mêmes de qui on les a
achetées. Tant ceux qui tiennent ces terres que ceux qui ont fait des obligations s’engagent d’en
50
Asto, Corte, Materie ecclesiastiche, Benefizi di qua da’ monti, m. 35, Humilissima Rappresentanza della
necessità d'un fondo perpetuo per comperare il poco territorio cattolico che resta nelle Valli di Luserna, s.d.
(ma 1749).
51
Il Comité Wallon, com’era noto tra i valdesi, o Comité pour les affaires des Églises Évangéliques Vaudoises
du Piémont (in breve, Comité Vaudois) secondo la denominazione corrente fra i suoi promotori, sorse nel
1735 per coordinare e amministrare gli aiuti finanziari destinati alle chiese valdesi raccolti dalle chiese
riformate francofone dei Paesi Bassi. Il sussidio distribuito dal Comitato vallone restò il più ampio e regolare
strumento di sostegno finanziario estero per le chiese valdesi per tutto il Settecento. Il Comitato vallone finì
inoltre con l’attribuirsi un ruolo più complesso, di indirizzo disciplinare e dottrinale delle chiese destinatarie,
incontrandovi tanto consensi che resistenze. Sull’attività del Comitato cfr. Arnal, 1936, pp. 5-40 e Arnal,
1937, pp. 5-40. Sul suo fondamentale contributo al sistema scolastico valdese cfr. Battistoni, 2002, pp. 27-63.
70
paier l’interêt, mais ils ne le font pas ... Lorsque ceux à qui on a preté de l’argent ou de qui on a
acheté les terres peuvent rendre les sommes on les prête à d’autres qui se trouvent pressez, ainsy ces
fonds passent successivement d’une main à une autre, sans les eteindre.52
Appia descrive qui una forma di credito molto diffusa, che comporta l’acquisto di un
appezzamento, esplicitamente (o per accordo implicito) riscattabile dal venditore, al quale
intanto veniva concesso in affitto. Il canone di locazione fissato corrisponde allora, in
realtà, a un interesse sul valore del prezzo della vendita. Si ricorre a questo tipo di contratto
per “palliare” un mutuo ipotecario, per evitare di incorrere nella presunzione di usura e nel
relativo divieto canonico. Molto spesso non v’era altra forma di credito accessibile alla
piccola proprietà contadina. Non è dunque sorprendente che le istituzioni cattoliche e
valdesi lo utilizzino per difendere le proprietà dei correligionari in ristrettezze dal rischio di
cadere nelle mani di appartenenti all’altro gruppo confessionale: come conclude Appia, “le
but qu’on se propose est d’acheter leurs terres afin qu’elles restent entre nos mains”, un
obiettivo di fronte al quale la puntuale riscossione degli interessi sui prestiti erogati passa in
secondo piano.
L’impatto effettivo dei canali istituzionali di credito su base confessionale non è facile
da valutare. La carità istituzionale cattolica affiora in rarissimi casi nella documentazione
notarile e quello valdese è del tutto assente. Entrambe, ma soprattutto la seconda,
potrebbero certo aver seguito vie informali o comunque interne senza lasciare traccia scritta
negli atti notarili. Non ci sono tuttavia indizi che esse abbiano giocato un ruolo di un
qualche rilievo nel mercato della terra. Quest’ultimo appare invece dominato dai rapporti di
credito intrecciati fra gli abitanti di Faetto e delle zone circonvicine.
Vendite, condizioni di pagamento e indebitamento
Gli atti di compravendita riportano sempre il modo in cui è stato pagato il prezzo di
vendita; può trattarsi di un versamento immediato in denaro contante, di una “scrittura
d’obbligo” che impegna il compratore a un pagamento in futuro, di una permuta di beni,
oppure di un regolamento già effettuato in precedenza. Ciascuna di queste diverse soluzioni
rinvia spesso a un significato particolare assunto dall’alienazione di una terra. Se
guardiamo ai dati concernenti la frequenza e il valore delle vendite relativi all’intero
periodo 1731-1775 (cfr. tab. 3), scopriamo che in circa il 15% dei casi e per il 24% del suo
valore totale, al prezzo di vendita indicato nel contratto non corrisponde un effettivo
passaggio di denaro o altri effetti fra il compratore e il venditore al momento della vendita,
ma la cancellazione, totale o parziale, di un debito contratto dal venditore con il compratore
o con altri soggetti, che il compratore stesso dichiara di aver già rimborsato o si impegna a
rimborsare per conto del venditore.
Questa notevole proporzione riguarda però verosimilmente solo una parte delle
situazioni in cui l’indebitamento è la causa di una vendita: quelli cioè in cui tale causa viene
esplicitamente menzionata nell’atto, anche se non sempre vi sono informazioni più
52
Archivio della Tavola Valdese, Serie IV, Corrispondenza. Lettere ricevute dalla Tavola valdese, vol. 1
(1702-1810), carta 5, Note Envoiée à Messieurs les Commissaires du Synode Wallon, Daniel-Isaac Appia al
Comitato Vallone, 16 agosto 1768.
71
dettagliate sull’esatta natura del credito, sulle modalità e sui tempi secondo i quali è stato
erogato. Ma il debito si cela probabilmente dietro un numero molto maggiore di vendite,
che pure non ne fanno menzione. Un indizio in questo senso è fornito dalla dichiarazione
contenuta nell’atto di vendita che il prezzo in essa stabilito non viene realmente sborsato in
denaro contante o in altra forma contestualmente alla stipulazione dell’atto stesso, ma che è
già stato riscosso dal venditore, in un momento precedente e indefinito. Nel nostro
campione, questa caratteristica modalità di pagamento riguarda il 56% del numero e il
38,6% del valore delle vendite. Dove essa compare, esiste una forte presunzione che la
vendita sia in realtà destinata a risarcire un debito verso il compratore o verso terzi,
esattamente come quando è segnalato in forma esplicita. È infatti “il modo di pagamento,
che permette di selezionare le vendite in qualche modo volontarie (in cui si paga al
momento della cessione) da quelle obbligate (che seguono un debito precedente). La
relazione temporale fra denaro versato e passaggio di proprietà della terra è il segno di un
indebitamento precedente, in cui la vendita è solo un atto finale obbligato quando il debito
cresce troppo”.53 Se allora sommiamo questi casi ‘indiziari’ ai casi palesi di vendita per
indebitamento, otteniamo un dato impressionante, pari al 71% del numero e al 62,6% del
valore totale delle vendite.
PAG. IMMED.
PAG. PRECED.
PAG. FUTURO
CREDITO ACQUIR.
CREDITO TERZI
TOTALE
1731-1735
1736-1740
1741-1745
percentuali
num. £
15,85 16,69
18,28 24,05
27,07 14,37
percentuali
num. £
62,80 46,40
52,69 33,36
51,13 35,14
percentuali
num. £
4,27
9,95
3,23 13,68
1,50 11,92
percentuali
num.
£
14,63
21,44
15,05
19,62
15,04
34,68
percentuali
num.
£
2,44
5,52
10,75 9,29
5,26
3,89
valori assoluti
num. £
164
6483
93
5929
133
7968
1731-1745
20,26
17,92
56,41
38,20
3,08
11,81
14,87
26,08
5,38
5,98
390
20380
1746-1750
1751-1755
1756-1760
26,80
24,14
19,59
39,04
22,51
27,08
66,01
56,55
60,82
48,72
51,22
46,55
1,31
5,52
2,06
1,25
3,77
5,48
5,88
8,97
9,28
10,99
15,62
11,51
0,00
4,83
8,25
0,00
6,89
9,37
153
145
97
8416
7038
3467
1746-1760
24,05
30,70
61,27
49,25
3,04
2,96
7,85
12,81
3,80
4,28
395
18921
1761-1765
1766-1770
1771-1775
20,49
17,25
15,19
13,69
13,51
17,21
48,29
54,51
54,97
33,07
33,55
35,14
14,63
16,86
15,75
28,45
34,30
21,47
13,17
7,06
8,29
21,62
12,70
15,74
3,41
4,31
5,80
3,18
5,94
10,43
205
255
362
10200
15054
19400
1761-1775
17,15
15,16
53,16
34,13
15,82
27,39
9,12
16,06
4,74
7,26
822
44654
1731-1775
19,60
19,33
55,94
38,53
9,58
18,10
10,21
17,76
4,67
6,28
1607
83955
anni
Tab. 3. Compravendite fra residenti di Faetto e fra questi e forestieri (1731-1775): numero e valore dei
pagamenti effettuati secondo la modalità adottata (totali quinquennali e quindecennali).
Il criterio della dichiarazione di pagamento avvenuto prima della vendita ha consentito
di studiare l’incidenza del debito sulla mobilità della terra in due comunità rurali
piemontesi. Giovanni Levi lo ha applicato al mercato della terra a Santena fra il 1670 e il
1702 e Carla Sclarandis a quello di Bricherasio fra il 1761 e il 1775.54 Abbiamo così un
termine di paragone che ci permette di valutare appieno le dimensioni imponenti del
fenomeno a Faetto. A Santena, l’ammontare medio (calcolato su base triennale)
ricollegabile all’estinzione di debiti del venditore corrisponde al 43,6% del valore totale
53
54
Levi, 1985c, p. 154. La stessa correlazione è rilevata da Allegra, 1987, p. 50.
Levi, 1985c, p. 154; Sclarandis, 1987, tab. 3, p. 474.
72
delle transazioni; a Bricherasio, una comunità della pianura pinerolese prossima alle Valli
valdesi, al 29,1% del valore totale per il periodo considerato. Questi livelli giustificano una
lettura del locale mercato fondiario come istituzione di cui gli abitanti dei due villaggi si
servono essenzialmente “per ottenere delle prestazioni in denaro in caso di necessità”.55
Tuttavia, come si vede, entrambi risultano molto inferiori alle dimensioni del fen0meno che
è possibile cogliere attraverso i nostri dati.
In contesti di indebitamento tanto diffuso, ci troviamo di fronte a una realtà certo molto
lontana da quella di uno spazio di contrattazione uniforme in cui le ragioni di scambio
vengono definite dall’incontro di una domanda e di un’offerta tendenzialmente impersonali
– pur entro i limiti strutturali che comunque distinguono il mercato fondiario da quello dei
valori mobiliari.56 Dobbiamo piuttosto immaginare la compresenza di circuiti di scambio
differenziati, in cui le equivalenze che regolano le transazioni riflettono, più che un punto di
equilibrio tra domanda e offerta, il corrispettivo di beni e prestazioni di qualità eterogenea
forniti nel corso di interazioni spesso prolungate e sono perciò condizionati da vischiosi
elementi interpersonali.
Poiché, inoltre, l’offerta riveste strutturalmente un carattere forzato, le vendite sono
idealmente concepite come alienazioni temporanee. In proposito, le nostre fonti
suggeriscono una presenza implicita ma generalizzata di diritti di reversione a favore del
venditore ritenuti nella memoria collettiva. Non si tratta cioè tanto della previsione esplicita
di una clausola di riscatto (relativamente infrequente), quanto dell’esistenza di un sistema
informale di vincoli e di obbligazioni concernenti l’alienazione della terra, che trova
effettivamente riscontro nei comportamenti dei partecipanti al mercato. Tra gli atti notarili è
possibile infatti rintracciare catene di transazioni che attestano una diffusa volontà di
tornare in possesso dei beni venduti. Il ricupero può concretizzarsi non solo per iniziativa
del venditore stesso, ma anche di discendenti o comunque parenti dei detentori originali,
talvolta a distanza di molti anni dall’alienazione. La presenza di norme comunitarie che
impongono al creditore-acquirente l’“impegno a favorire il rientro dei beni immobili
temporaneamente alienati nelle case da cui sono usciti” appare un fenomeno diffuso nelle
economie di antico regime, così come la frequente tortuosità e lunghezza dei percorsi
seguiti dal recupero di tali beni – un effetto dell’attivazione, in diversi momenti, da parte
del venditore o di suoi congiunti, di molteplici relazioni ‘orizzontali’ e ‘verticali’. Questi
meccanismi difensivi, perfettamente compatibili con una vivace circolazione della terra,
innescata appunto da una vitale esigenza di accesso al credito per l’economia di larga parte
delle unità domestiche,57 nella nostra realtà non risultano inibiti neppure dalla divisione
confessionale. Vediamone alcuni esempi.
55
Sclarandis, 1987, p. 477.
Anche in un’economia pienamente mercantilizzata, per molti aspetti, “il mercato fondiario sembra agli
antipodi del mercato dei valori mobiliari: non è anonimo, non è trasparente, è relativamente rigido, è
ampiamente atomizzato, mette necessariamente di fronte degli operatori che si conoscono o devono trovare il
modo di conoscersi e non autorizza la produzione d’indici istantanei del corso della terra. Evolve lentamente
ed è composto da una massa di transazioni tutte apparentemente irriducibili le une alle altre, non fosse che
perché queste riguardano oggetti mai perfettamente identici” (Béaur, 1987, citazioni a p. 523).
57
Cfr., ad esempio, Ramella, 1984, pp. 204-222. Nelle società locali del Regno di Napoli della prima età
moderna descritte da Gérard Delille, consuetudini di questo genere si ispirano alla stessa regola fondamentale
di reciprocità che definisce e struttura le aree di scambio matrimoniale (cfr. Delille, 1988, p. 117).
56
73
Nel 1772, Giacomo Ferrero (Ferrier) fu Giovanni (valdese)58 riacquista da Giovanni
Battista Ribetto di Perrero (cattolico) due broassi e tre campi cedutigli nel 1758 dal padre,
in estinzione di un debito risalente a sette anni prima e in pagamento di una certa quantità
di grano. Il figlio s’impegna a pagare il prezzo (83 lire, 12 soldi e 6 denari) stabilito a quel
tempo. In cambio della stessa cifra, in occasione della prima vendita, era stato concesso al
venditore di esercitare un diritto di riscatto entro il termine di quattro anni; nel frattempo si
consentiva allo stesso venditore di godere l’usufrutto degli appezzamenti ceduti, mediante
un interesse annuo pari al 5% del prezzo di vendita e il pagamento dei carichi fiscali
gravanti su quegli appezzamenti.59 Nel 1775, Stefano Guglielmetto (Guillelmet), valdese,
ottiene, promettendo di pagare 32 lire, da Giacomo Bertalmio (cattolico) un campo che
questi aveva acquistato l’anno precedente dal fratello di Stefano, Giovanni, per 25 lire, che
l’acquirente si era impegnato a corrispondere alla signora Maria Rabbi di Perrero (molto
probabilmente cattolica), vedova di un notaio, a saldo d’un antico debito paterno del
venditore.60
Casi come questi, in cui una persona rientra in possesso delle terre alienate dal padre o
da un fratello, sono i più ricorrenti, ma le stesse logiche sembrano valere anche al di là della
consanguineità più stretta, ad esempio, nell’ambito più lasco del cognome. Così, nel 1748,
Stefano Poetto (cattolico) recupera i beni venduti in due occasioni, nel 1733 e nel 1734, a
Giovanni Griglio (Gril) di Prali (valdese) dal cugino di secondo grado Giacomo Poetto
(cattolico).61 In un contesto di scelta uxorilocale, può anche entrare in gioco l’area
dell’affinità: nel novembre del 1767, Matteo Poetto (cattolico), marito di una donna che, in
mancanza di fratelli, ha raccolto l’eredità paterna, riacquista dal signor Giovanni Battista
Camosso, oste e commerciante cattolico di Perrero, un prato vendutogli pochi mesi prima
per 100 lire da Giacomo Freyria (cattolico), suocero del Poetto, offrendo a sua volta in
pagamento 135 lire pervenutegli dal padre a titolo di emancipazione.62
È evidente in questi casi sia l’elasticità con cui possono venire gestiti i termini
eventualmente fissati per il riscatto sia l’ampiezza delle variazioni che può subire l’entità
58
Le fonti che hanno permesso, qui e altrove, l’individuazione delle appartenenze confessionali sono i registri
della parrocchia di Trossieri e il registro della chiesa di Villasecca, sui quali è stata condotta la ricostruzione
delle famiglie. Dei non residenti in queste circoscrizioni ecclesiastiche non è quindi di norma possibile
arrivare a conoscere la religione, a meno che non li si ritrovi nei registri quali padrini di battesimo o testimoni
in occasione di nozze e funerali. Incontrando per la prima volta un cognome valdese, accanto alla forma
italianizzata che compare sul notarile, indicherò tra parentesi la corrispondente versione francesizzata
eventualmente attestata nel registro della chiesa di Villasecca. Lo matrice dei cognomi (lo stock è comune ai
valdesi e ai cattolici) è linguisticamente provenzale. Sui cognomi nelle Valli valdesi cfr. Rivoira, 2011;
Coisson, 1975.
59
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 253, c. 201, Compra a favor di Giacomo
Ferrero fu Gioanni fatta da Gio. Francesco Ribetto fu Gioanni del Perrero, 7 marzo 1772; ibid., vol. 215, cc.
158v-160, Vendita Gioanni Ferrero a Gio. Francesco Ribetto, 4 settembre 1758.
60
Ibid., vol. 268, cc. 179v-180r, Compra per Stefano Guglielmetto da Giacomo Bertalmio, 28 gennaio 1775.
61
Ibid., vol. 184, c. 632, Cessione Gioanni Griglio a favor di Steffano Poetto, 26 marzo 1748; ibid., vol. 157,
cc. 622v-623r, Compra per Gioanni Griglio da Giacomo Poetto, 26 ottobre 1733; ibid., vol. 160, c. 563,
Compra per Gioanni Griglio da Giacomo Poetto, 25 settembre 1734.
62
Ibid., vol. 236, cc. 66-67, Vendita signor Gio. Batta. Camosso a favor di Matteo Poetto, 11 novembre 1767;
ibid., vol. 235, cc. 734-735r, Cessione Giacomo Freyria a favor del signor Gio. Batta. Camosso, 2 novembre
1767.
74
relativa del prezzo del riacquisto, denotando una latitudine di pratiche che rimanda alla
storia specifica delle singole transazioni e alle relazioni interpersonali in cui sono immerse.
Così come resta virtualmente aperta una via per il reingresso dei beni alienati
nell’ambito della parentela del venditore, l’uscita definitiva non si compie necessariamente
con un solo atto di vendita, ma può richiedere la conferma di uno o più atti successivi di
ratifica da parte del venditore o di sui successori. Esattamente come nel caso degli atti di
rinuncia a clausole di riscatto esplicitamente previste nel contratto di vendita, anche le
ratifiche di transazioni non contemplanti patto di retrovendita si concludono con
un’integrazione del primitivo prezzo di vendita, secondo proporzioni variabili e spesso
assai consistenti. La motivazione solitamente addotta in questi casi è il desiderio del
compratore di evitare contestazioni che potrebbero dar luogo a lunghe e costose iniziative
giudiziarie.63
Anche le ratifiche possono intervenire dopo lungo tempo dalla vendita. Nel 1744, ad
esempio, messer Giovanni Poetto (cattolico) e il fratello Antonio (valdese) ratificano in
favore di Antonio Pons di Rodoretto, nella sua qualità di tutore dei figli del defunto
Giovanni Pons, la vendita di tutte le loro proprietà situate nel territorio di Prali, conclusa
con il padre dei pupilli nel 1727 per 266 lire, ottenendo un’integrazione di 125 lire.64 Nel
1765, Giacomo Poetto (cattolico) ratifica, in cambio di 7 lire, a favore di Antonio Giorgio
(cattolico) la vendita di un prato e di un broasso ceduti per 18 lire nel 1740 dal suo defunto
fratello Antonio (cattolico).65 Nel 1767, messer Tommaso Ferrero fu messer Giovanni
(valdese) conferma a beneficio dei fratelli Micol del fu Filippo di Massello, ricevendone 15
lire, la vendita di una vigna alienata da suo padre al padre dei Micol per 100 lire, addirittura
quarant’anni prima.66
Il divario fra il prezzo pattuito al momento della prima vendita e quello riconosciuto in
occasione di un susseguente riacquisto o di una ratifica si spiega con un’originaria
sottostima dei beni venduti, anche in assenza di formali garanzie di riscatto. Tale sottostima
costituisce verosimilmente il corrispettivo del riconoscimento di diritti di reversione
impliciti o, forse più precisamente, sconta l’incertezza e la processualità del
perfezionamento di un trasferimento di possesso a cui il venditore acconsente perlopiù
costretto dalla propria condizione di debitore insolvente.67
Talvolta accade anche che gli stessi beni vengano ceduti contemporaneamente a due
acquirenti. Nell’aprile del 1725, i fratelli Tommaso e Michele Mancione del fu Giovanni
(cattolici) “danno in paga” al maggiore Giovanni Malanotto (Malanot) alcuni beni (una
63
Una formula che ricorre negli atti di questo tipo è la seguente: “et come che sul pretesto resti detta pezza et
eziandio fosse al tempo di detta vendita di molto maggior valore del convenuto e pagato, sia il suddetto
[venditore] novamente insorto per impugnare detta vendita, il che sendo venuto in notizia [del compratore],
abbi per evitar ogni sorte di litte, a mediazione di comuni amici, convenuto di offrire un suplemento”. Ibid.,
vol. 191, cc. 620v-621, Rattificanza Gio. Andrea Ferrero a favor de frattelli Refforni, 6 febbraio 1749.
64
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 181, cc. 632-633, Rattificanza fatta dalli
Gioanni et Antonio Poetto a favor delli eredi del fu Gioanni Pons, 10 giugno 1744.
65
Ibid., vol. 228, cc. 170-171, Rattificanza Giacomo Poetto a favor di Antonio Giorgio, 6 giugno 1765; ibid.,
vol. 172, c. 142, Compra per Antonio Giors da Antonio Poetto, 5 luglio 1740.
66
Ibid., vol. 235, c. 769, Rattificanza messer Tommaso Ferrero a favor de fratelli Micol, 12 ottobre 1767.
67
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 147, cc. 400-402, Inventaro tutelare de beni
di Giacomo Brunetto figliolo legittimo naturalle et herede universale d’altro fu Giacomo suo padre delle fini
di Faetto, 28 febbraio 1730.
75
“casa con piccolo orto attiguo con due piccole piante di pomi”, un prato e una “benea” con
un noce, 30 tavole in tutto) in estinzione di un debito, è scritto. Immediatamente, tuttavia, o
dopo breve tempo, i due fratelli rivendono (hanno “nuovamente fatto distratto”) gli stessi
beni ai fratelli Francesco e Antonio Macello (Macel o Massel) del fu Tommaso (valdesi).
Tutto ciò nel quadro di una più ampia cessione “in paga” al Malanot di fondi per 120 lire,
anche questi successivamente rivenduti dagli eredi dei cedenti a messer Giacomo
Vilielmo.68
L’indebitamento stesso che costringe infine a una cessione di terra, quando è possibile
ricostruirne l’origine, appare non di rado di vecchia data, ereditario e risultante da una
successione di prestiti non rimborsati, da un credito cioè riconfermato per anni. La tenuta
dei rapporti di credito è evidente intanto nelle 25 obbligazioni elencate nei cinque inventari
post mortem che abbiamo potuto rintracciare. Nel 1730, ad esempio, l’eredità di Giacomo
Brunetto (cattolico) comprende tre crediti di 35, 42 e 17 lire risalenti al 1709 e uno di 7 lire
risalente al 1698.69 Nel 1762 gli eredi di Giovanni Freyria fu Giacomo (cattolico) risultano
titolari di un credito di 20 lire più gli interessi maturati verso Stefano Poetto fu Giovanni
(cattolico), che data dal 1729.70 Quasi cinquant’anni ha nel 1766 il grosso credito di 418
lire posseduto dai figli ed eredi del capitano Matteo Poetto (Poët o Pouet), valdese, insieme
a uno zio paterno nei confronti di Stefano Richiardone di Prali (comunità a forte
maggioranza valdese) e contenuto in una scrittura datata 1717.71
Un dato significativo è l’estrema rarità dei pignoramenti e delle vendite giudiziarie:
appena quattro in quarantacinque anni. In media, i debiti e i crediti registrati negli inventari
sono vecchi di 16 anni e mezzo. Prendendo invece come base i 155 debiti datati
complessivamente menzionati negli atti di vendita, si può calcolare che dal momento in cui
un debito è contratto alla vendita effettuata per estinguerlo trascorrono in media circa 11
anni. Per esempio, Giovanni Barusso (Barus), valdese, contrae due debiti, nel 1740 e nel
1742, con il signor Giovanni Berto (Bert) di Riclaretto (valdese), per un importo
complessivo di 128 lire. Il figlio Isaia (valdese) ottiene a sua volta altri prestiti, nel 1749 e
nel 1752, dallo stesso Giovanni Berto e dal figlio di questi, signor Davide (valdese), per un
totale di 282 lire. Soltanto nel 1762, Isaia Barusso deve alienare a favore di Davide Berto
numerosi suoi beni – campi, incolti, un prato, una vigna e alcuni edifici – a saldo dei propri
debiti e di quelli ereditati dal padre.72
Tempi lunghi di restituzione riguardano talvolta cifre assai più modeste: nel 1768
Giacomo Salengo (cattolico) vende un campo a Margherita Menusana (Menusan) vedova
Poetto (valdese) per risarcirla di due somme di 40 e di 20 lire, prestategli rispettivamente
68
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 221, cc. 71-72, Cessione fratelli Macelli al
signor capitano Gio. Berto del fu Tommaso, 14 giugno 1762; Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di
San Secondo, vol. 221, cc., Cessione signor capitano Gio. Berto fu Tommaso a Giacomo Gulielmo fu
Francesco, 14 giugno 1762.
69
Ibid., vol. 147, cc. 400-402, Inventaro tutelare de beni di Giacomo Brunetto figliolo legittimo naturalle et
herede universale d’altro fu Giacomo suo padre delle fini di Faetto, 28 febbraio 1730.
70
Ibid., vol. 220, cc. 547-549, Inventaro eredità fu Gioanni Freyria, 26 aprile 1762.
71
Ibid., vol. 230, cc. 15-18, Inventaro tutelare de beni et heredità de figlioli fu capitano Matteo Poetto, 10
gennaio 1766.
72
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 220, cc. 608-609, Dazion in pagha per
David Berto da Isaia Barusso, 25 maggio 1762.
76
nel 1741 e nel 1752.73 Può inoltre accadere che l’estinzione di un debito sia dilazionata
nello spazio di parecchi decenni. Michele Antonio San Martino di Perrero (cattolico), ad
esempio, riceve nel 1714 da Giacomo Poetto 250 lire, impegnandosi a restituirle entro dieci
anni. Nel 1738, ben oltre il limite previsto per l’intero rimborso, versa 100 lire ai fratelli
Poetto (valdesi), figli ed eredi del suo creditore, nel frattempo defunto. Il restante debito
sarà saldato solo nel 1765, mediante la cessione di una broa da parte dei nipoti San Martino
(cattolici), morto Michele Antonio e i suoi due figli (cattolici).74
Come si vede, il percorso delle risorse che origina dal credito, coinvolgendo spesso più
generazioni, si trova intimamente connesso alla strutturazione del campo delle parentele e,
nello stesso tempo, del confine tra i due gruppi religiosi.
73
Ibid., vol. 237, cc. 62-63, Dazion in paga Giacomo Salengo a favor di Margarita Menusana, 25 febbraio
1768.
74
Ibid., vol. 228, cc. 136-138, Dazion in paga nipoti San Martino a favor di Matteo e Gioanni fratelli Poetti,
4 maggio 1765.
77
IV. PARENTI E CORRELIGIONARI: SCAMBIO ECONOMICO E
DISTANZA SOCIALE
Le modalità di esborso dei prezzi di vendita indicate nei contratti ci hanno consentito di
individuare nella necessità di ripagare un debito o nella ricerca di credito la causa più
frequente dell’alienazione della titolarità della terra. Inoltre, è emerso un modello
prevalente di transazione in cui il credito o altre forme di sostegno sono relativamente
accessibili ed esiste una notevole elasticità nei termini in cui devono venire ripagati.
Si tratta ora di mostrare come questo modello disegni uno spazio sociale in cui
l’appartenenza confessionale contribuisce a determinare il significato delle transazioni. A
questo fine, è necessario chiarire il modo la condivisione o meno di questa caratteristica
interagisce con altre dimensioni dei rapporti fra le persone. Proviamo perciò a introdurre, a
questo punto nell’analisi, le categorie di distanza sociale fra i partecipanti alle transazioni
che abbiamo presentato all’inizio del precedente capitolo.
I criteri di definizione della parentela e dell’estraneità qui adottati seguono quelli
proposti da Giovanni Levi ne L’eredità immateriale. Si sono perciò considerati parenti sia
coloro che sulla base della ricostruzione genealogica dei gruppi familiari effettuata – che
raramente ha potuto coprire più di tre generazioni – mostrano di avere almeno un antenato
comune sia gli affini.1 Per quanto riguarda gli estranei, occorre dire che sul mercato di
Faetto non sono così distanti tra loro per rango o provenienza geografica come nella
Santena studiata da Levi.2 Come anticipato, ho inoltre aggiunto la distinzione fra residenti
(nella comunità di Faetto) e forestieri (i non residenti a Faetto), necessaria perché dei
forestieri, come detto, non sono sistematicamente ricostruibili l’appartenenza confessionale
e i reticoli di parentela.
Nel nostro caso purtroppo, gli atti di vendita e “dazione in paga” non indicano quasi mai
l’estensione degli appezzamenti, ceduti “a corpo e non a misura”. Non possiamo perciò
calcolare i prezzi unitari delle terre ed esplorarne l’eventuale correlazione con le modalità
delle transazioni né con il tipo di relazione sociale esistente fra i contraenti.3 Sarà tuttavia
possibile confrontare aspetti come le dimensioni e la direzione netta dei trasferimenti o il
significato prevalente degli scambi (attraverso la distribuzione delle modalità di pagamento
attestate) nelle varie situazioni identificabili in base all’appartenenza confessionale dei
partecipanti, intrecciandola con altre dimensioni della loro posizione rispettiva, quali la
residenza e soprattutto l’esistenza o meno di un legame di parentela.
1
Un ulteriore problema sorge dal fatto che “la profondità cronologica con cui le parentele erano vissute come
vincolanti e significative per attivare obblighi di reciprocità generalizzata è difficile da valutare e,
probabilmente, era anche legata a elementi di scelta soggettiva variabile da ceppo a ceppo” (Levi, 1985c, pp.
106-108).
2
Ibid., p. 108.
3
Ibid.; Delille, 1988, pp. 142-143; Béaur, 1987, pp. 529-545; Sclarandis, 1987, pp. 483-492, sulla via aperta
dal lavoro di Levi e seguita da altri studiosi con esiti diversi, ma tutti in ultima analisi riconducibili a modelli
di spiegazione chiamanti in causa una qualche forma di distanza sociale fra i contraenti come fattore decisivo,
o comunque altamente rilevante, nel meccanismo di formazione dei prezzi
78
Ambiti di circolazione delle tipologie produttive
Le varie destinazioni produttive non solo, come si è visto, entrano nel mercato della terra
con frequenza diseguale (rapportata alla loro presenza sul territorio), ma, in dipendenza
della relazione esistente fra i contraenti, rivelano altresì una diversa intensità di
circolazione. Consideriamo la tabella 1: le principali differenze riguardano qui la
distribuzione dei campi, degli edifici, delle muande e delle destinazioni non specificate.
PARENTI
alpi
boschi
campi
castagneti
edifici
incolti
muande
orti
prati
vigne
non specificata
totale
num.
5
38
76
9
94
40
14
11
96
40
27
450
perc.
1,11
8,44
16,89
2,00
20,89
8,89
3,11
2,44
21,33
8,89
6,00
100,00
ESTRANEI
num.
41
78
205
10
130
81
1
8
213
43
14
824
perc.
4,98
9,47
24,88
1,21
15,78
9,83
0,12
0,97
25,85
5,22
1,70
100,00
REL NON ID.
num.
0
2
6
0
4
2
1
4
7
1
0
27
perc.
0,00
7,41
22,22
0,00
14,81
7,41
3,70
14,81
25,93
3,70
0,00
100,00
Tab. 1. Destinazione produttiva degli appezzamenti venduti secondo la relazione di parentela o estraneità
esistente fra i contraenti (1731-1775).
Gli edifici, le muande e le destinazioni non specificate registrano la loro massima
incidenza relativa nelle transazioni che intervengono fra parenti. Per quel che concerne le
muande, la parentela rappresenta anzi, in termini assoluti, un ambito di circolazione quasi
esclusivo. In tal modo, esse manifestano una tendenza opposta a quella mostrata, sebbene in
misura cosiderevolmente meno accentuata, dall’alpe, la quale circola invece molto più fra
individui non legati da parentela, dove rappresenta circa il 5% delle quote o degli
appezzamenti venduti, contro l’1% registrato nelle transazioni fra parenti.
Sotto la voce “destinazioni non specificate”, infine, abbiamo raccolto espressioni che
negli atti notarili in gran parte designano in maniera indifferenziata tutti i beni posseduti dal
venditore in una determinata regione. Simili indicazioni compaiono spesso in transazioni
che riflettono arrangiamenti seguiti a successioni e divisioni fra coeredi, traducendo così in
termini di compravendita una dinamica che si origina nei processi di devoluzione della
proprietà.
Si può dunque cogliere una mobilità preferenziale all’interno della parentela degli edifici
e di complessi di beni che, almeno nel caso delle muande, costituiscono strutture dotate di
una loro coerenza e di una certa autonomia dal punto di vista insediativo; gli stessi edifici
peraltro figurano non di rado nelle compravendite associati ad altre destinazioni.
79
compravendite fra
RESIDENTI
alpi
boschi
campi
castagneti
edifici
incolti
muande
orti
prati
vigne
non specificata
totale
num.
46
118
287
19
228
123
16
23
316
84
41
1301
perc.
3,54
9,07
22,06
1,46
17,52
9,45
1,23
1,77
24,29
6,46
3,15
100,00
RESIDENTI E FORESTIERI
num.
50
72
181
17
129
88
4
9
169
109
10
838
perc.
5,97
8,59
21,60
2,03
15,39
10,50
0,48
1,07
20,17
13,01
1,19
100,00
Tab. 2. Destinazione produttiva degli appezzamenti venduti fra residenti di Faetto e fra questi e forestieri
(1731-1775).
Per quanto riguarda invece la residenza rispettiva dei contraenti, si nota una maggiore
presenza, in numeri sia assoluti sia relativi, dell’alpe e delle vigne negli scambi dei residenti
con i forestieri; dei campi, degli edifici e dei prati, nelle transazioni che avvengono
all’interno della comunità (cfr. tab. 2).
compravendite fra
CATTOLICI
alpi
boschi
campi
castagneti
edifici
incolti
muande
orti
prati
vigne
non specificata
totale
num.
9
37
91
7
77
40
7
8
90
30
14
410
perc.
2,20
9,02
22,20
1,71
18,78
9,76
1,71
1,95
21,95
7,32
3,41
100,00
vendite di
VALDESI
num.
11
40
78
7
59
37
7
7
74
29
14
363
perc.
3,03
11,02
21,49
1,93
16,25
10,19
1,93
1,93
20,39
7,99
3,86
100,00
CATTOLICI A VALDESI
VALDESI A CATTOLICI
num.
16
19
53
2
38
21
1
4
71
10
5
240
num.
5
11
30
3
38
12
1
4
46
7
6
163
perc.
6,67
7,92
22,08
0,83
15,83
8,75
0,42
1,67
29,58
4,17
2,08
100,00
perc.
3,07
6,75
18,40
1,84
23,31
7,36
0,61
2,45
28,22
4,29
3,68
100,00
compravendite
con
CONTR. DI
CONF. NON ID.
num.
5
11
35
0
16
13
0
0
35
8
2
125
perc.
4,00
8,80
28,00
0,00
12,80
10,40
0,00
0,00
28,00
6,40
1,60
100,00
Tab. 3. Destinazione produttiva degli appezzamenti venduti secondo la confessione religiosa dei contraenti
(1731-1775).
Prendiamo infine in considerazione l’appartenenza confessionale dei contraenti (cfr. tab.
3). Le muande, le quali, come si è visto, circolano quasi esclusivamente fra parenti,
ricorrono assai più spesso nelle transazioni che si svolgono all’interno di ciascuna delle due
categorie confessionali, dove i reticoli della parentela sono più densi. Accanto alle muande,
anche le vigne si vendono in maniera nettamente preferenziale fra individui di identica
confessione, mentre i prati e soprattutto le alpi hanno maggior rilievo percentuale nelle
80
compravendite interconfessionali. All’interno di questo settore del mercato, l’alpe, i campi
e i prati sono più frequenti nelle vendite di cattolici a valdesi, gli edifici in quelle di valdesi
a cattolici. Si tratta di caratteristiche che si ripresentano senza sostanziali variazioni
incrociando l’appartenenza confessionale con i criteri di parentela ed estraneità.
La differenza più gravida di implicazioni è forse proprio quella riguardante la
composizione dei beni venduti fra individui di differente confessione religiosa. Il bilancio
risulta infatti nettamente negativo per i cattolici per tutte le voci principali e in modo
particolarmente pesante quando si tratta delle quote di alpe; tra gli oggetti che compaiono
più di frequente nelle transazioni è in pareggio solo nel caso degli edifici. Con una sorta di
complementarità rispetto alle transazioni ‘interconfessionali’, le quote d’alpe circolano
invece di più fra i valdesi e gli edifici fra i cattolici. In tal modo, i valdesi pervengono così a
conseguire o a consolidare il loro controllo anzitutto su una risorsa in grado di generare
introiti importanti, da un lato, attraverso l’affitto a pastori forestieri, dall’altro, attraverso la
commercializzazione, relativamente più agevole che nel caso di altre produzioni locali, dei
prodotti dell’allevamento. I cattolici, per contro, sembrano avviati alla marginalizzione in
un insediamento precario, segnalato dalla loro prevalente tendenza ad acquistare e
scambiarsi edifici, soprattutto quando si tratta di costruzioni di infimo valore e non
associate a orti o a poderi.
Acquirenti e venditori: catene di transazioni
Il mercato della terra può essere analizzato secondo due punti di vista principali: con
riguardo al volume delle transazioni che vi si svolgono, oppure prendendo in
considerazione il numero e il comportamento dei soggetti che vi partecipano, in termini
cioè di acquisti e/o vendite effettuati da ciascuno di essi.4 Nel periodo 1731-1775 si
registrano, come si è detto, 1523 atti di compravendita, per 54 dei quali non è stato
possibile, a causa delle diffuse omonimie, stabilire l’identità dei contraenti: restano perciò
1469 compravendite intervenute fra 517 individui, il che significa una media di circa 6 atti
per partecipante al mercato della terra.
Al di là di questo valore medio, la distribuzione del numero degli acquirenti e dei
venditori (ogni contraente contato separatamente come compratore e come venditore –
ovviamente qualora sia attivo in entrambi i ruoli) secondo il numero di acquisti e di vendite
rispettivamente effettuati rivela però una notevole concentrazione della domanda e
dell’offerta (cfr. tab. 4).
4
Campbell, 1984, p. 108.
81
Acquirenti
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot.
contraenti (numero)
ass. perc.
perc. cum.
10
2,66
2,66
36
9,57
12,23
42
11,17
23,40
57
15,16
38,56
56
14,89
53,46
175 46,54
100,00
376 100,00
transazioni (numero)
ass.
perc.
perc. cum.
226
15,38
15,38
434
29,54
44,93
305
20,76
65,69
217
14,77
80,46
112
7,62
88,09
175
11,91
100,00
1469 100,00
transazioni (valore in £)
ass.
perc.
perc. cum.
16922 21,80
21,80
19794 25,50
47,30
15292 19,70
67,00
9548
12,30
79,30
7452
9,60
88,90
8616
11,10
100,00
77624 100,00
venditori
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot.
9
43
33
73
50
118
326
211
535
265
240
100
118
1469
13274
28566
12963
12808
4347
5666
77624
atti per
contraente
2,76
13,19
10,12
22,39
15,34
36,20
100,00
2,76
15,95
26,07
48,47
63,80
100,00
14,36
36,42
18,04
16,34
6,81
8,03
100,00
14,36
50,78
68,82
85,16
91,97
100,00
17,10
36,80
16,70
16,50
5,60
7,30
100,00
17,10
53,90
70,60
87,10
92,70
100,00
Tab. 4. Concentrazione del mercato: insieme delle compravendite (1731-1775).
Il 53,5% degli individui compie infatti più di un acquisto: insieme costoro realizzano
l’88,1% del numero e l’88,9% del valore complessivi degli acquisti. Il 23,4% si impegna in
oltre cinque acquisti, totalizzando il 65,7% del loro numero e il 67% del loro valore
complessivi. Per quanto riguarda le vendite, il 63,8% dei partecipanti al mercato ne effettua
almeno due, realizzando il 92% del loro numero e il 92,7% del loro valore totali. Il 26,1%
ne compie più di cinque, ciò che corrisponde al 68,8% della loro quantità e il 70,6% del
loro valore totali. Il grosso – in numero e in valore – delle transazioni è cioè da attribuire a
coloro che partecipano più frequentemente al mercato della terra, ossia intorno al 20% dei
contraenti, sia nel caso degli acquisti sia in quello delle vendite.
82
NUMERO ACQUISTI
NUMERO VENDITE
0
% riga
% colonna
% totale
1
% riga
% colonna
% totale
2
% riga
% colonna
% totale
3-5
% riga
% colonna
% totale
6-10
% riga
% colonna
% totale
11-20
% riga
% colonna
% totale
> 20
% riga
% colonna
% totale
tot. colonna
% riga
% colonna
0
1
2
0
0,00
0,00
0,00
123
70,29
64,40
23,79
28
50,00
14,66
5,42
19
33,33
9,95
3,68
13
30,95
6,81
2,51
8
22,22
4,19
1,55
0
0,00
0,00
0,00
191
36,94
100,00
42
29,79
35,59
8,12
17
9,71
14,41
3,29
6
10,71
5,08
1,16
21
36,84
17,80
4,06
16
38,10
13,56
3,09
11
30,56
9,32
2,13
5
50,00
4,24
0,97
118
22,82
100,00
29
20,57
58,00
5,61
5
2,86
10,00
0,97
3
5,36
6,00
0,58
2
3,51
4,00
0,39
3
7,14
6,00
0,58
6
16,67
12,00
1,16
2
20,00
4,00
0,39
50
9,67
100,00
3-5
39
27,66
53,42
7,54
11
6,29
15,07
2,13
4
7,14
5,48
0,77
3
5,26
4,11
0,58
5
11,90
6,85
0,97
9
25,00
12,33
1,74
2
20,00
2,74
0,39
73
14,12
100,00
6-10
18
12,77
54,55
3,48
6
3,43
18,18
1,16
3
5,36
9,09
0,58
2
3,51
6,06
0,39
1
2,38
3,03
0,19
2
5,56
6,06
0,39
1
10,00
3,03
0,19
33
6,38
100,00
11-20
12
8,51
27,91
2,32
11
6,29
25,58
2,13
10
17,86
23,26
1,93
7
12,28
16,28
1,35
3
7,14
6,98
0,58
0
0,00
0,00
0,00
0
0,00
0,00
0,00
43
8,32
100,00
> 20
1
0,71
11,11
0,19
2
1,14
22,22
0,39
2
3,57
22,22
0,39
3
5,26
33,33
0,58
1
2,38
11,11
0,19
0
0,00
0,00
0,00
0
0,00
0,00
0,00
9
1,74
100,00
tot. riga
141
100,00
27,27
175
100,00
33,85
56
100,00
10,83
57
100,00
11,03
42
100,00
8,12
36
100,00
6,96
10
100,00
1,93
517
100,00
Tab. 5. Acquirenti e venditori secondo il numero di contratti stipulati (1731-1775).
Ancora più significativo è il tendenziale disequilibrio fra il numero di acquisti e di
vendite effettuati da ogni singolo contraente (cfr. tab. 5). Non solo una quota consistente
delle transazioni è il risultato non di partecipazioni occasionali al mercato ma di interventi
ripetuti da parte degli stessi individui. L’attività di questi individui appare inoltre
prevalentemente orientata in una sola direzione: verso la dismissione o verso l’incremento
della proprietà terriera. È quanto rivela la tabella 21, nella quale ciascuno dei partecipanti al
mercato figura una sola volta, nella sua duplice attività di acquirente e di venditore. Qui
risulta infatti che circa il 39% dei contraenti effettua più di un acquisto e il 17% più di
cinque; circa il 40% vende più di una volta e il 16,4% più di cinque volte. Sottolineiamo
inoltre altri due dati credo efficacemente riassuntivi: il 53,8% dei partecipanti al mercato
compie almeno tre interventi (acquisti e/o vendite); il 32,5%, certamente almeno sei
interventi (acquisti e/o vendite).
Questi dati rivelano insomma che il locale mercato della terra è molto spesso frequentato
da partecipanti che in media si ritrovano su di esso diverse volte nella stessa posizione: in
quanto acquirenti cioè o come venditori. Forse anche più significativa è una caratteristica
83
della distribuzione difficile da esprimere mediante un indice sintetico, ma abbastanza
evidente se si confrontano le celle centrali della tabella 5 gli acquisti e le vendite effettuati
da ogni contraente tendono a non rientrare in classi eguali o almeno contigue. Una quota
consistente del mercato è rappresentata da sequenze individuali più o meno lunghe di
transazioni, ciascuna prevalentemente orientata verso la dismissione o verso il
rafforzamento della proprietà terriera.
Quanto alle pur non trascurabili contrattazioni isolate, la loro diffusione appare
maggiore fra gli acquisti: è cioè assai più frequente incontrare fra chi partecipa al mercato
una sola volta acquirenti (in questa situazione troviamo il 23,8% dei contraenti) che non
venditori (l’8,1% dei contraenti). Rileviamo che è precisamente questo dato a rendere nel
complesso gli acquirenti più numerosi dei venditori: rispettivamente 376 contro 326, con un
rapporto dei primi ai secondi pari a 1,15. Se infatti si eliminassero dalla distribuzione
coloro che stipulano soltanto un atto, il numero dei venditori rimasti (284) supererebbe
quello degli acquirenti (253).
anni
1731-1735
1736-1740
1741-1745
1746-1750
1751-1755
0,97
0,91
0,93
0,81
0,92
anni
1756-1760
1761-1765
1766-1770
1771-1775
0,95
1,09
1,35
1,14
anni
1731-1745
1746-1760
1761-1775
0,95
0,83
1,22
Tab. 6. Evoluzione del rapporto acquirenti/venditori (insieme delle compravendite).
La prevalenza dei venditori sugli acquirenti caratterizza effettivamente il mercato
durante i primi trent’anni del periodo di osservazione, come mostra l’evoluzione nel tempo
del rapporto acquirenti/venditori (cfr. tab. 6). Costantemente al di sotto dell’unità sino al
1760, soltanto nell’ultimo quindicennio diventa favorevole agli acquirenti, in
corrispondenza del vorticoso aumento delle transazioni che, come vedremo, si verifica
precisamente in quegli anni.
In generale, si può dire che il rapporto acquirenti/venditori riferito al mercato fondiario
fornisca una misura sommaria dello stato della domanda di terra e indichi una tendenza
verso la frammentazione oppure verso il consolidamento delle proprietà, a seconda del fatto
che assuma valori rispettivamente superiori o inferiori all’unità.5 Dove, come nel nostro
caso, il mercato è attivato essenzialmente dalle difficoltà incontrate dall’economia
contadina, ci si dovrebbe aspettare che l’aumento delle transazioni, sintomo di crisi, si
rifletta in una caduta del rapporto sotto l’effetto di un’offerta esuberante.6
Ma a Faetto il funzionamento del mercato della terra poggia evidentemente su
presupposti socioeconomici differenti, che non consentono una reazione omeostatica così
diretta e semplice alle pressioni demografiche ed economiche.7 Qui l’apparente tenuta dei
5
Smith, 1984b, p. 159.
Questo è quanto effettivamente accade ad esempio nei manor dell’East Anglia del XIII e del XIV secolo
studiati da Campbell e da Richard Smith (cfr. Campbell, 1984, pp. 110-113; Smith, 1984b, pp. 152-161).
7
Nella situazione descritta da Campbell, i contadini sono spinti ad alienare piccoli appezzamenti delle loro
terre (tenute in possesso consuetudinario) dal deterioramento delle condizioni di sussistenza, in cambio della
corresponsione immediata di una somma di denaro – da impegnarsi nell'approvvigionamento di grano sul
6
84
rapporti fiduciari suggerisce che il credito tende di norma a organizzarsi attorno a
interazioni complesse e durature. Elementi di reciprocità generalizzata sembrano regolare
una parte almeno di questi scambi. Un sistema siffatto è tuttavia caratterizzato da una sua
specifica rigidità, poiché i reticoli relazionali lungo i quali si muovono i flussi di credito
incontrano presto limiti alla loro espansione. Questi sono dettati non solo dalla capacità da
parte del prestatore di far fronte a una prolungata esposizione e a prospettive di
contraccambio che mantengono larghi margini di indeterminatezza. Interviene infatti anche
il suo interesse a effettuare investimenti che in tali condizioni gli fruttano spesso anzitutto
(almeno in un primo tempo) l’acquisizione di “averi immateriali”8 come solidarietà,
prestigio e altri vantaggi di natura sociale e politica, più che direttamente economica.
L’inversione del rapporto acquirenti/venditori nel 1761-1775 sembra segnalare il
collasso dei circuiti di credito più consolidati. Sottoposti all’usura provocata dal loro stesso
prolungato operare e alle tensioni introdotte da momenti di crisi esterni, questi circuiti si
rivelano incapaci di conservare le loro connotazioni abituali e insufficienti a puntellare
l’economia sempre più precaria di tante aziende contadine. Molti coltivatori in difficoltà si
vedono così costretti a sollecitare l’apertura di nuovi canali di finanziamento, attivando a
tale scopo relazioni effimere, che si esauriscono perlopiù nella concessione di un sostegno
circoscritto, forse a volte strappato in un contesto di reciprocità negativa.
Analizziamo ora le sequenze individuali di transazioni (acquisti e vendite considerati
separatamente) secondo i consueti criteri dell’esistenza o meno di legami di parentela fra i
contraenti, della rispettiva residenza e dell’identità religiosa (cfr. tab. 7).
mercato cittadino – piuttosto che dalla necessità di compensare totalmente o parzialmente un flusso di credito
di lunga durata o comunque un vecchio debito. Con l’avvento di un’annata particolarmente favorevole molti
cercano, per quanto riesce loro possibile, di reintegrare attraverso acquisti l’estensione originaria dei loro
possedimenti, e così il rapporto acquirenti/venditori si eleva seguendo la crescita della domanda (cfr.
Campbell, 1984, p. 120).
8
Trovo l’espressione in Firth, 1972, in particolare, p. 166.
85
compravendite fra
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
RESIDENTI E FORESTIERI
acquirenti
ESTRANEI
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot. (ass.)
perc.
0,00
0,00
4,80
12,00
28,80
54,40
125
perc.
0,00
0,00
20,16
24,51
28,46
26,88
253
perc.
0,00
0,00
19,49
23,81
30,62
26,08
14455
perc.
0,53
3,19
10,64
12,77
22,87
50,00
188
perc.
4,25
15,34
29,57
17,56
15,90
17,38
541
perc.
8,37
16,85
30,77
16,76
12,70
14,55
23506
perc.
1,31
1,31
4,80
17,90
17,47
57,21
229
perc.
12,83
7,84
14,80
26,92
14,26
23,35
561
perc.
17,33
6,16
14,02
25,03
14,34
23,12
34816
venditori
PARENTI
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot. (ass.)
0,00
0,00
5,08
16,10
27,97
50,85
118
0,00
0,00
18,97
31,23
26,09
23,72
253
0,00
0,00
20,10
31,40
25,20
23,30
14455
0,52
3,14
9,42
17,28
24,08
45,55
191
3,88
14,97
25,14
22,92
17,01
16,08
541
5,19
22,21
22,28
23,95
12,72
13,65
23506
0,43
0,87
7,83
15,65
23,04
52,17
230
4,99
6,06
24,24
24,42
18,89
21,39
561
5,91
4,69
25,78
24,80
17,36
21,45
34816
atti per
contraente
Tab. 7. Concentrazione del mercato: compravendite fra residenti di Faetto secondo la relazione di parentela o
estraneità esistente fra di loro e compravendite fra residenti di Faetto e forestieri (1731-1775).
La massima presenza di acquirenti e venditori che limitano la loro partecipazione al
mercato a uno o due interventi si registra nelle transazioni che si svolgono fra parenti
(quanto agli acquirenti, si trovano in questa condizione l’83,2% dei parenti contro circa il
73% degli estranei; fra i venditori, il 78,8% dei parenti rispetto al 69,6% degli estranei). Le
partecipazioni al mercato superiori ai cinque atti di compravendita appaiono scarse
nell’area della parentela (intorno al 5% dei contraenti, sia dal lato della domanda sia da
quello dell’offerta; inesistenti oltre il livello dei dieci atti per contraente). Figurano invece
più numerose quando a incontrarsi sul mercato sono degli estranei. Qui, infatti, a poco più
del 14% dei compratori corrisponde circa il 56% del valore degli acquisti, mentre il 13%
dei venditori realizza quasi la metà del valore delle vendite. All’interno dello spazio nel
quale si incontrano i parenti, precisamente quello in cui ci si aspetterebbe di trovare la
reciprocità più incondizionata,9 prevalgono invece le interazioni di breve respiro. Quando
invece sul mercato si incontrano estranei oppure residenti in Faetto e forestieri, troviamo
catene di transazioni sensibilmente più estese.
Il caso delle transazioni fra residenti e forestieri – presumibilmente ibrido secondo il
criterio dell’eventuale esistenza di legami di parentela – si colloca in effetti in posizione
intermedia rispetto agli scambi che si svolgono fra coresidenti parenti o fra estranei. Qui,
accanto a un’incidenza elevata degli interventi isolati paragonabile quando non superiore a
quella rilevabile nelle transazioni fra parenti, la partecipazione con più di cinque atti
riguarda poco più del 7% degli acquirenti per circa il 37% del valore delle compere e oltre
9
Sahlins, 1980, p. 219.
86
il 9% dei venditori, per il 36% del valore delle vendite. A differenza che nell’area della
parentela, non mancano cioè qui componenti che detengono quote importanti del mercato,
in specie dal lato della domanda: basti aggiungere ai dati appena citati che meno del 3%
degli acquirenti è responsabile di quasi il 24%, sempre in valore, degli acquisti.
compravendite fra
vendite di
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
VALDESI A CATTOLICI
contraenti
CATTOLICI A VALDESI
acquirenti
VALDESI
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot. (ass.)
perc.
0,00
4,72
8,49
8,49
24,53
53,77
106
perc.
0,00
24,04
24,74
13,24
18,12
19,86
287
perc.
0,00
25,20
26,50
11,20
19,00
18,10
11630
perc.
2,86
5,71
7,14
5,71
31,43
47,14
70
perc.
19,11
23,56
16,44
6,67
19,56
14,67
225
perc.
25,90
19,60
13,90
5,80
22,10
12,70
11360
perc.
0,00
4,44
24,44
22,22
11,11
37,78
45
perc.
0,00
16,86
46,51
20,93
5,81
9,88
172
perc.
0,00
18,80
46,50
18,60
8,01
8,10
8631
perc.
0,00
0,00
17,95
20,51
12,82
48,72
39
perc.
0,00
0,00
47,27
26,36
9,09
17,27
110
perc.
0,00
0,00
51,20
23,50
9,70
15,60
6340
venditori
CATTOLICI
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot. (ass.)
2,20
4,40
7,69
16,48
27,47
41,76
91
15,33
19,16
16,72
18,12
17,42
13,24
287
21,90
22,50
11,60
16,90
15,80
11,30
11630
0,00
5,33
10,67
18,67
17,33
48,00
75
0,00
24,44
26,67
21,33
11,56
16,00
225
0,00
27,60
28,50
19,90
9,20
14,80
11360
0,00
4,00
14,00
38,00
14,00
30,00
50
0,00
15,70
29,65
37,79
8,14
8,72
172
0,00
17,00
30,10
38,20
6,91
7,80
8631
0,00
0,00
8,51
27,66
6,38
57,45
47
0,00
0,00
26,36
43,64
5,45
24,55
110
0,00
0,00
34,42
41,89
5,99
17,70
6340
atti
per contraente
Tab. 8. Concentrazione del mercato: compravendite fra residenti di Faetto secondo la confessione religiosa
dei contraenti (1731-1775).
Passiamo ora ai dati organizzati secondo l’identità religiosa dei contraenti (cfr. tab. 8).
Nell’area definita da una comune appartenenza confessionale, le transazioni che avvengono
tra valdesi mostrano una polarizzazione più forte dal lato della domanda. Le sequenze
superiori ai dieci atti riguardano infatti più i compratori che i venditori. Questi ultimi, che
prevalgono lievemente sugli acquirenti, si raccolgono soprattutto nella fascia dai tre ai dieci
contratti. Diversamente dagli acquirenti, sono invece assenti dalla classe di frequenza più
elevata (oltre i 20 atti), mentre sono sensibilmente meno numerosi degli acquirenti nella
classe dei due interventi e grosso modo egualmente rappresentati fra i partecipanti a un solo
atto. La tendenza si inverte nelle transazioni fra cattolici, dove è l’offerta a essere più
presente nella fascia oltre le dieci transazioni. Nelle transazioni fra valdesi, i rapporti di
concentrazione, meno elevati dal lato delle vendite (0,48 per il numero e 0,52 rispetto al
valore delle vendite contro 0,53 per il numero e 0,55 per il valore degli acquisti), esprimono
il fatto che le frazioni dell’offerta spettanti ai singoli contraenti valdesi sono meno diseguali
di quelle della domanda perché maggiormente addensate attorno alle modalità intermedie.
Al contrario, la minore concentrazione della domanda (cioè degli acquisti: 0,48 quanto al
loro numero e 0,51 in riferimento al loro valore rispetto a 0,53 per il numero e 0,56 per il
87
valore delle vendite) nelle transazioni fra cattolici riflette una frammentazione molto più
pronunciata delle quote individuali di mercato.10
Anche nel settore interconfessionale si presentano situazioni in cui una (relativamente)
contenuta differenza media tra la quantità e tra il valore degli acquisti e delle vendite
effettuate da ogni contraente tende a deprimere i rapporti di concentrazione, ma entro
morfologie distributive differenti. Quando sono i cattolici a vendere ai valdesi, oltre la metà
sia degli acquirenti (valdesi) sia dei venditori (cattolici) stipula più di tre atti. Qui, dunque,
tanto dal lato della domanda quanto, ancor più, sul versante dell’offerta, gli interventi
multipli che rientrano nelle classi dai tre ai cinque e dai sei ai dieci atti hanno un rilievo
preponderante rispetto a ogni altro settore del mercato definito con riferimento
all’appartenenza confessionale dei contraenti. Nelle vendite di valdesi a cattolici, entrambe
le distribuzioni – con maggior risalto quella dei venditori – appaiono invece centrate più in
basso.
vendite di
contraenti
comprav.
(numero)
contraenti
comprav.
(numero)
contraenti
comprav.
(numero)
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
VALDESI A CATTOLICI
acquirenti
comprav.
(valore in £)
CATTOLICI A VALDESI
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot, (ass,)
perc.
0,00
0,00
0,00
16,67
16,67
66,66
66
perc.
0,00
0,00
0,00
37,74
20,75
41,51
106
perc.
0,00
0,00
0,00
36,05
23,63
40,32
5104
perc.
0,00
0,00
8,51
14,89
23,40
53,19
47
perc.
0,00
0,00
26,53
25,51
22,45
25,51
98
perc.
0,00
0,00
33,88
25,20
14,95
25,96
6174
perc.
0,00
0,00
0,00
16,67
25,00
58,33
12
perc.
0,00
0,00
0,00
40,91
27,27
31,82
22
perc.
0,00
0,00
0,00
40,08
25,78
34,14
1784
perc.
0,00
0,00
0,00
17,65
11,76
70,59
17
perc.
0,00
0,00
0,00
40,74
14,81
44,44
27
perc.
0,00
0,00
0,00
39,77
14,50
45,73
1393
venditori
comprav.
(valore in £)
VALDESI
comprav.
(valore in £)
compravendite fra
CATTOLICI
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot. (ass.)
0,00
0,00
4,00
26,00
10,00
60,00
50
0,00
0,00
14,15
48,11
9,43
28,30
106
0,00
0,00
13,70
45,00
10,21
31,09
5104
0,00
0,00
3,92
19,61
19,61
56,86
51
0,00
0,00
13,27
36,73
20,41
29,59
98
0,00
0,00
12,10
35,89
21,61
30,40
6174
0,00
0,00
0,00
33,33
22,22
44,45
9
0,00
0,00
0,00
63,64
18,18
18,18
22
0,00
0,00
0,00
62,89
17,99
19,11
1784
0,00
0,00
0,00
26,67
6,67
66,66
15
0,00
0,00
0,00
55,55
7,41
37,04
27
0,00
0,00
0,00
55,20
6,60
38,20
1393
atti per contraente
Tab. 9. Concentrazione del mercato: compravendite fra parenti secondo la confessione religiosa dei contraenti
(1731-1775).
10
Il rapporto di concentrazione è in effetti un indice sintetico che può assumere valori analoghi per
distribuzioni di forma anche assolutamente divergente (cfr. Derosas, 1987, in particolare, p. 562; da questo
studio traggono ispirazione le tabelle 4-11).
88
VALDESI A CATTOLICI
contraenti
comprav.
(numero)
contraenti
comprav.
(numero)
contraenti
comprav.
(numero)
contraenti
comprav.
(numero)
acquirenti
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot. (ass.)
perc.
0,00
0,00
9,62
26,92
13,46
50,00
52
perc.
0,00
0,00
31,16
39,86
10,14
18,84
138
perc.
0,00
0,00
36,89
37,21
8,00
17,91
5652
perc.
0,00
3,13
12,50
18,75
21,88
43,75
32
perc.
0,00
12,90
33,33
23,66
15,05
15,05
93
perc.
0,00
15,01
30,20
21,50
17,89
15,40
4344
perc.
0,00
0,00
20,00
23,33
10,00
46,67
30
perc.
0,00
0,00
50,94
30,19
5,66
13,21
106
perc.
0,00
0,00
53,21
27,40
7,90
11,50
5749
perc.
0,00
0,00
5,00
30,00
5,00
60,00
20
perc.
0,00
0,00
14,29
52,38
4,76
28,57
42
perc.
0,00
0,00
14,91
53,19
3,81
28,09
3574
venditori
comprav.
(valore in £)
CATTOLICI A VALDESI
comprav.
(valore in £)
VALDESI
comprav.
(valore in £)
CATTOLICI
vendite di
comprav.
(valore in £)
compravendite fra
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot. (ass.)
0,00
2,00
10,00
30,00
18,00
40,00
50
0,00
7,97
23,91
40,58
13,04
14,49
138
0,00
9,09
27,60
37,90
12,21
13,20
5652
0,00
0,00
11,43
22,86
14,29
51,43
35
0,00
0,00
37,63
32,26
10,75
19,35
93
0,00
0,00
38,90
34,00
9,21
17,89
4344
0,00
0,00
11,43
31,43
14,29
42,86
35
0,00
0,00
32,08
44,34
9,43
14,15
106
0,00
0,00
33,80
45,59
6,91
13,71
5749
0,00
0,00
3,03
3,03
6,06
87,88
33
0,00
0,00
14,29
7,14
9,52
69,05
42
0,00
0,00
16,20
9,60
7,41
66,79
3574
atti per contraente
Tab. 10. Concentrazione del mercato: compravendite fra estranei secondo la confessione religiosa dei
contraenti (1731-1775).
Unendo le coordinate della parentela/estraneità a quelle dell’appartenenza confessionale
(cfr. tabb. 9-10), per quanto riguarda il sottoinsieme delle transazioni che mettono in
contatto correligionari, l’ulteriore scomposizione così operata lascia inalterate le
caratteristiche distributive di fondo che abbiamo visto opporre in generale parenti ed
estranei, a prescindere dalla circostanza che a interagire siano cattolici o valdesi.
Al contrario, nel settore interconfessionale le distribuzioni riguardanti i valdesi, come
acquirenti e come venditori, mostrano più ampie oscillazioni a seconda del fatto che essi
incontrino parenti o estranei, di quelle relative ai partecipanti cattolici. Quando acquirenti e
venditori valdesi concludono transazioni con i cattolici, sembra poi che soltanto l’esistenza
di vincoli di parentela con l’acquirente sia in grado di contrastare in parte la prevalenza,
caratteristicamente marcata, degli interventi unici e delle sequenze individuali meno estese:
nelle transazioni fra estranei di diversa fede quasi il 90% dei venditori valdesi compare
infatti una sola volta, contro poco meno del 70% negli scambi che avvengono fra parenti.
Nel campo delle transazioni fra residenti e forestieri (cfr. tab. 11), i valdesi mostrano un
comportamento meno asimmetrico dei cattolici nel loro comportamento rispettivamente in
qualità di acquirenti e di venditori. Nel primo caso, la concentrazione sia della domanda sia
dell’offerta è senza paragone più elevata quando i residenti cattolici intervengono in veste
di venditori, mentre non sono irrilevanti i casi in cui i valdesi (anch’essi prevalentemente
venditori in quest’area degli scambi, come sappiamo) compiono acquisti plurimi nei
confronti dei forestieri.
89
comprav.
(numero)
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
contraenti
comprav.
(numero)
comprav.
(valore in £)
perc.
0,00
1,69
1,69
11,86
13,56
71,19
118
perc.
0,00
13,04
6,76
24,15
15,46
40,58
207
perc.
0,00
16,80
4,60
22,90
16,00
39,70
9014
perc.
0,00
0,00
0,00
7,84
21,57
70,59
51
perc.
0,00
0,00
0,00
24,68
28,57
46,75
77
perc.
0,00
0,00
0,00
26,21
27,70
46,10
4896
perc.
0,00
1,15
1,15
8,05
14,94
74,71
87
perc.
0,00
9,29
5,71
20,00
18,57
46,43
140
perc.
0,00
11,50
3,90
19,30
17,80
47,50
13089
perc.
0,00
0,00
14,00
22,00
18,00
46,00
50
perc.
0,00
0,00
40,15
29,93
13,14
16,79
137
perc.
0,00
0,00
42,10
28,60
12,29
17,00
7817
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot, (ass,)
0,00
2,70
9,46
18,92
21,62
47,30
74
0,00
16,43
24,64
26,57
15,46
16,91
207
0,00
17,59
25,40
25,90
15,30
15,80
9014
0,00
0,00
0,00
3,23
12,90
83,87
62
0,00
0,00
0,00
11,69
20,78
67,53
77
0,00
0,00
0,00
12,19
20,51
67,30
4896
0,00
0,00
6,90
25,86
13,79
53,45
58
0,00
0,00
24,29
42,14
11,43
22,14
140
0,00
0,00
27,20
39,90
10,10
22,80
13089
0,00
1,64
6,56
9,84
26,23
55,74
61
0,00
10,22
25,55
16,06
23,36
24,82
137
0,00
14,30
23,19
14,90
22,50
25,10
7817
comprav.
(valore in £)
contraenti
> 20
11-20
6-10
3-5
2
1
tot, (ass,)
atti per contraente
comprav.
(valore in £)
comprav.
(numero)
vendite di
a forestieri
forestieri a VALDESI
contraenti
VALDESI
acquirenti
compravendite fra
forestieri
forestieri a CATTOLICI
venditori
CATTOLICI a
Tab. 11. Concentrazione del mercato: compravendite fra residenti di Faetto e forestieri secondo la confessione
religiosa dei contraenti di Faetto (1731-1775).
Rammentiamo a questo punto che “acquirente” e “venditore” nella nostra realtà
equivalgono largamente a “creditore” e “debitore”. I numerosi atti di compravendita tra
individui che partecipano agli scambi quasi esclusivamente in una sola veste, di venditori o
di compratori, mostrano allora come i prestiti si ottengano spesso all’interno di relazioni
stabilmente asimmetriche dal punto di vista socioeconomico, piuttosto che attraverso reti di
mutuo sostegno fra soggetti dotati di risorse comparabili. Il carattere verticale di questo tipo
di rapporti di credito è poi sottolineato dal fatto che siano in generale più frequenti tra
estranei che tra parenti (e tra persone abitanti in comunità diverse piuttosto che tra
coresidenti).
In rapporto all’appartenenza confessionale, già sappiamo che i cattolici compaiono più
spesso come venditori di terra, ossia come debitori, nei confronti dei valdesi di quanto
questi ultimi non si trovino in tale posizione rispetto ai cattolici. Ora possiamo aggiungere
che per quesi ultimi la disponibilità potenziale dei flussi di credito più consistenti e duraturi
risiede in rapporti asimmmetrici nel settore interconfessionale. Nell’area degli scambi con i
loro correligionari aumenta infatti in misura considerevole la frequenza delle interazioni
apparentemente più effimere: numerosi sono i canali di credito che qui si aprono, ma hanno
apparentemente portata minore e si esauriscono presto. Dal canto loro, i valdesi, oltre a
essere probabilmente meno dipendenti dai prestiti, hanno infatti opportunità oggettivamente
superiori di allacciare le relazioni creditizie più stabili prevalentemente al loro interno. Il
loro vantaggio competitivo nei confronti dei cattolici si costruisce dunque, prima che su un
comportamento predatorio a danno dei membri dell’altra confessione, su una più estesa
possibilità di attivazione di rapporti interpersonali di cooperazione e dipendenza economica
90
con correligionari, il cui effetto cumulato è la creazione di una rete sociale (o, se si vuole, di
una comunità) più densa, più coesa e, in ultima analisi, più vitale.
Sviluppi congiunturali
Torniamo ora a prendere in esame i dati sulla distribuzione del numero e del valore delle
vendite secondo la modalità di pagamento, questa volta disaggregati per quinquennio e
quindicennio (cfr. cap. III, tab. 3). Possiamo subito notare che tanto il numero quanto il
valore complessivo delle transazioni per quindicennio, rimasti pressoché stabili nel 17311745 e nel 1746-1760, in corrispondenza del periodo 1761-1775 registrano un aumento
vertiginoso: in questi anni si concentra infatti il 51,5% di tutte le compravendite schedate,
pari al 53,6% del loro valore complessivo. Ci troviamo dunque di fronte a un mercato sui
generis che, come a Santena o a Bricherasio, registra i momenti di maggior vitalità nei
periodi di crisi:11 i picchi di vendite raggiunti negli anni 1734, 1742, 1764, 1767-1768 e
1773-1775 manifestano precisamente questa connessione (cfr. tab. 12).
11
Sclarandis, 1987, pp. 471-475. La circolazione della terra appare cioè governata da un meccanismo che
reagisce alla qualità dei raccolti secondo le esigenze di un regime di prevalente autoconsumo. Sul mercato
della terra di Coltishall (Norfolk) fra l’ultimo quarto del XIII e la metà del XIV secolo studiato da Bruce
Campbell, la forte correlazione positiva fra il numero delle transazioni e il livello raggiunto dai prezzi del
grano sul mercato di Norwich indica chiaramente come l’offerta di terra si aumentasse nel caso di cattivi
raccolti, precisamente quando i profitti assicurati ai coltivatori dagli alti prezzi del grano sul mercato cittadino
sarebbero risultati più consistenti (Campbell, 1984, pp. 110-117). Un mercato della terra di questo genere
aveva però anzitutto la funzione di provvedere una sorta di assicurazione contro le crisi di sussistenza,
consentendo incassare rapidamente un po’ di denaro o di ottenere credito (ibid., p. 129). Si tratta di una
correlazione ben stabilita per tutto l’antico regime. Esempi riguardanti la Francia del secolo XVIII in. Béaur,
1994, p. 1413; Béaur, 1976; del tardo Settecento e del primo Ottocento in Boudjaaba, 2008, pp. 99-102.
91
anni
1731
1732
1733
1734
1735
1736
1737
1738
1739
1740
1741
1742
1743
1744
1745
1746
1747
1748
1749
1750
1751
1752
1753
1754
1755
1756
1757
1758
1759
1760
1761
1762
1763
1764
1765
1766
1767
1768
1769
1770
1771
1772
1773
1774
1775
PAG. IMMED.
num. £
0
0
0
0
10
626
8
294
8
162
5
151
0
0
3
157
1
80
8
1038
5
216
15
447
1
21
7
343
8
118
13
1846
5
297
8
435
9
472
6
236
7
305
13
770
3
107
6
135
6
267
4
116
8
584
1
17
2
72
4
150
7
375
10
343
9
352
12
225
4
101
15
793
16
919
2
44
5
181
6
97
6
245
12
852
17
762
10
431
10
1048
PAG. PRECED.
num. £
0
0
16
802
33
811
33
729
21
666
6
180
4
151
7
344
12
456
20
847
15
893
35
1458
6
109
4
67
8
273
6
632
19
666
35
1316
30
1143
11
343
24
821
31
1506
10
294
14
629
3
355
16
494
10
354
22
488
4
148
7
130
6
191
10
472
22
617
40
1292
21
801
31
1155
54
1894
30
991
14
833
10
178
10
379
21
509
39
1361
58
2022
71
2547
PAG. FUTURO
num. £
0
0
3
123
1
25
1
60
2
437
0
0
0
0
0
0
1
10
2
801
1
900
0
0
0
0
1
50
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2
105
1
81
0
0
4
74
1
25
2
85
0
0
2
190
0
0
0
0
0
0
1
36
1
130
11
764
12
1806
5
166
6
604
7
1200
19
2433
9
846
2
80
4
241
10
517
9
650
16
1590
18
1168
CREDITO
num.
1
5
1
12
5
5
0
2
3
4
4
7
2
5
2
2
2
1
2
2
4
5
0
3
1
0
3
5
0
1
2
4
6
9
6
2
4
9
1
2
1
2
3
10
14
£.
67
366
3
576
378
416
0
257
273
217
699
934
464
476
190
303
286
51
56
229
155
504
0
425
15
0
64
277
0
58
195
497
413
549
551
178
681
762
68
223
14
32
111
1672
1225
CREDITO TERZI
num.
0
2
1
1
0
4
0
2
0
4
1
5
0
0
1
0
0
0
0
0
2
2
0
1
2
0
3
4
0
1
1
3
2
0
1
5
3
2
1
0
1
0
4
8
8
£
0
138
95
125
0
271
0
132
0
148
60
182
0
0
68
0
0
0
0
0
214
120
0
25
126
0
130
185
0
10
60
122
109
0
33
503
257
78
56
0
45
0
219
616
1144
TOTALE
num.
1
26
46
55
36
20
4
14
17
38
26
62
9
17
19
21
26
44
41
21
38
51
17
25
14
20
26
32
6
13
17
28
50
73
37
59
84
62
30
20
22
45
72
102
121
£
67
1429
1560
1784
1643
1018
151
890
819
3051
2768
3021
594
936
649
2781
1249
1802
1671
913
1576
2900
475
1239
848
610
1322
967
220
348
857
1564
2255
3872
1652
3233
4951
4308
1984
578
924
1910
3103
6331
7132
Tab. 12. Compravendite fra residenti di Faetto e fra questi e forestieri (1731-1775): numero e valore dei
pagamenti effettuati secondo la modalità adottata (dati annuali).
Analogamente a quanto si verifica nelle situazioni studiate da Levi e Sclarandis, un
andamento così peculiare non si spiega se non con il ruolo fondamentale rivestito dal
92
credito nell’attivare il mercato, sia nella forma di un indebitamento pregresso sia in quella
della ricerca di un (nuovo) prestito. Durante l’ultima parte del nostro periodo di
osservazione, gli effetti cumulati dell’indebitamento complessivo sono evidentemente
inaspriti dal succedersi delle crisi che si verificano nel corso degli anni Sessanta e dei primi
anni Settanta. Il bisogno di denaro si allarga; la disponibilità a concederlo o a procrastinare
la richiesta di restituzione si fa più condizionata. La trama dei rapporti fiduciari alla base
del credito è in tal modo sottoposta a una diffusa tensione, che accelera l’esito di molti di
quei rapporti allacciati in tempi meno difficili in una vendita di terra.
L’aumento delle vendite investe tutte le tipologie individuate sulla base delle modalità di
pagamento attestate nei contratti, ma con differente intensità. Così, le proporzioni dei
pagamenti che avvengono alla stipulazione dell’atto di vendita e di quelli effettuati prima
subiscono una flessione, notevole se calcolata in valore, mentre quelli esplicitamente
destinati a ripagare un debito registrano un certo aumento del loro rilievo. Soprattutto, però,
è il numero e ancor più il valore delle somme da pagarsi in futuro a mostrare il maggior
incremento relativo – effetto di un’espansione che in termini assoluti equivale a un balzo
pari a circa quaranta volte il loro ammontare nel quindicennio precedente. (cfr. ancora tab.
12).
Quale scenario prospettano queste variazioni congiunturali che, oltre al numero e a
valore delle vendite, riguardano anche la loro distribuzione in rapporto alle modalità di
pagamento? Come nel caso studiato da Sclarandis, credo confermino intanto l’importanza
dei rapporti di mutuo soccorso o di credito come ambito di interazione da cui traggono
origine le compravendite. La stessa diminuzione percentuale (ma non in termini assoluti,
come si è detto) della frequenza e del valore dei casi in cui il pagamento è già avvenuto
potrebbe segnalare soprattutto l’effetto selettivo esercitato su questo tipo di rapporti da
periodi ricorrenti e prolungati di crisi. La possibilità di ottenere piccole anticipazioni in
denaro o sotto forma di altri aiuti senza una formale e immediata garanzia diventa cioè
meno frequente e soprattutto si abbassa ulteriormente la soglia di quanto ogni volta il
prestatore può o è disposto a rischiare a quelle condizioni.
Il contemporaneo incremento proporzionale dei pagamenti da effettuarsi in futuro appare
a questo punto complementare. Questa modalità appare perlopiù associata alle transazioni
che riguardano i valori più elevati (un’eccezione è rappresentata dai valori medi registrati
negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo). Plausibilmente essa indica reali motivazioni di
riassetto delle aziende e una prevalenza del lato della domanda, forse associata a una più
alta (o più ‘oggettiva’) espressione monetaria delle ragioni di scambio. Oppure, caratterizza
alienazioni che entrano in più complesse transazioni legate alla trasmissione dei patrimoni.
Tuttavia, proprio l’andamento temporale delle somme corrispondenti a impegni di
pagamento per il futuro dagli anni Sessanta in poi lascia intravedere nella nostra situazione
come a Bricherasio un crescente utilizzo come pratica di finanziamento.12 In maniera
specularmente opposta al caso illustrato dai pagamenti già effettuati al momento della
vendita, in questo caso la semplice promessa di credito richiede la preventiva alienazione
12
Presumibilmente, con l’impegno di completare il pagamento in maniera dilazionata, modulata sulle
necessità cui doveva far fronte il venditore, lasciandogli così in qualunque momento la facoltà di recedere
dalla vendita e di riscattare la terra senza dover restituire l’intera somma stabilita: cfr. Sclarandis, 1987, p.
477.
93
della titolarità del possesso di una terra. In cambio dell’avvio di un rapporto che talvolta si
è già concretizzato in un piccolo anticipo e che proseguirà prevedibilmente attraverso
erogazioni dilazionate nel tempo, l’acquirente rilascia una “scrittura d’obbligo” per una
cifra corrispondente (in tutto oppure in parte, se qualcosa è già stato sborsato) al prezzo
pattuito. Questa cifra e gli eventuali anticipi sono quasi certamente più che coperti dal
valore realizzabile con un trasferimento dell’effettivo possesso e godimento materiale
dell’appezzamento ceduto.
Gli anni di crisi introducono così una sostanziale modificazione nella logica temporale e
sociale sino ad allora prevalente nello scambio di terra contro prestiti. Il restringersi delle
vendite ex post e il valore mediamente più elevato che dal 1760 circa ritrovano le
transazioni con pagamento differito sembra configurare un movimento di concentrazione
delle risorse destinabili al credito verso strati della popolazione in precedenza meno pressati
dalla necessità di farvi ricorso e anche ora, negli anni difficili, in grado di offrire le garanzie
più solide. In termini monetari, il peso dei pagamenti legati al credito in maniera esplicita o
implicita (tramite cioè la dichiarazione di esborso già avvenuto del prezzo di vendita) ma
comunque realmente effettuati (in denaro o in altra possibile forma) diminuisce del 12%
dopo il 1760. Se si tiene conto dell’enorme aumento percentuale, oltre che assoluto, dei
pagamenti ‘virtuali’ a cui il compratore si impegna per il futuro, questo calo risulta
verosimilmente ampiamente compensato. L’azione della crisi detta sì condizioni più
restrittive per la concessione di credito, ma non ne mina significativamente la disponibilità
complessiva. In tal modo, si creano per chi può esporsi a un rischio calcolato e controllabile
nuove opportunità di acquisire posizioni vantaggiose, passibili di tradursi in futuro in un
guadagno tangibile: in denaro, eventualmente in prodotti o lavoro, oppure in un effettivo
passaggio del possesso di nuova terra nelle proprie mani.
Dimensioni e bilanci delle compravendite
La distribuzione del numero e del valore monetario totale delle transazioni relativamente
all’intero periodo di osservazione (1731-1775) mostra che, sotto il profilo
dell’appartenenza confessionale dei contraenti, prevalgono le transazioni concluse tra chi
professa lo stesso credo, ma non in misura tale da relegare ai margini quelle che
attraversano il confine religioso, pari infatti a oltre il 30% del numero e del valore
dell’interscambio fra residenti nella comunità di Faetto. Quanto al valore medio delle
compravendite, esso risulta particolarmente elevato nel caso delle vendite di valdesi a
cattolici (circa 58 lire), leggermente più alto nei contratti fra correligionari di fede valdese
che fra quelli di fede cattolica (circa 51 lire rispetto a circa 50 lire), mentre tocca il livello
più basso nelle vendite di cattolici a valdesi, pari a circa 42 lire (cfr. tab. 13).
94
CATTOLICI
VALDESI
CATT. A VALD.
VALD A CATT.
CONF. NON ID.
TOTALE
valori assoluti
num.
£
296 12321
266 13560
183
9069
117
6750
101
3959
963 45659
percentuali
num.
£
30,74
26,98
27,62
29,70
19,00
19,86
12,15
14,78
10,49
8,67
100,00 100,00
Tab. 13. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo
la confessione religiosa dei contraenti.
Dal punto di vista dei legami di parentela, sul totale della popolazione, i contratti
stipulati fra estranei risultano in netta maggioranza tanto in numero che in valore (cfr. tab.
14, ultimo rigo). Il valore medio delle compravendite fra parenti appare però superiore a
quello che si registra fra estranei (circa 56 lire contro 44).
CATTOLICI
VALDESI
CATT. A VALD.
VALD A CATT.
CONF. NON ID.
TOTALE
PARENTI
ESTRANEI
percentuali
num.
£
36,82 42,51
46,24 56,99
12,57 19,99
27,35 23,94
17,82 17,50
31,67 37,43
percentuali
num.
£
62,50 56,98
51,13 41,26
85,25 78,24
71,79 75,59
61,39 60,85
64,69 59,62
RELAZIONE NON ID.
percentuali
num.
£
0,68
0,50
2,63
1,75
2,19
1,76
0,85
0,47
20,79
21,65
3,63
2,95
TOTALE
valori assoluti
num.
£
296 12321
266 13560
183
9069
117
6750
101
3959
963 45659
Tab. 14. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo
la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti.
Il primato dell’estraneità si ribalta tuttavia completamente quando i contraenti delle
transazioni sono entrambi valdesi. Qui la maggior parte delle compravendite, in valore, si
concentra infatti proprio nell’area della parentela, mentre in quelle fra cattolici il peso di
quest’ultima resta solo di poco più elevato rispetto alla media generale nell’interscambio fra
residenti di Faetto. Nelle compravendite che invece si svolgono fra contraenti di differente
confessione religiosa, la parentela ha, com’era prevedibile, in generale un peso inferiore,
ma percepibilmente più alto, comunque, quando sono i valdesi a vendere ai cattolici che
non nel caso inverso. 13 Il divario fra le transazioni nell’ambito della parentela e quelle tra
estranei in termini di valore medio si accentua poi particolarmente tra i valdesi
(rispettivamente, circa 63 e circa 41 lire per transazione) (cfr. ancora tab. 14).
Un altro aspetto molto evidente è l’importanza dell’interscambio con i forestieri: oltre il
45% del valore totale generale delle transazioni (cfr. tab. 15). Notiamo che Il valore medio
delle compravendite è sensibilmente più elevato quando esse avvengono fra residenti e
forestieri che non fra soli residenti (59 contro 47 lire).
13
Quando si affrontano questi settori l’analisi deve forzatamente limitarsi alla popolazione residente nella
comunità, visto che l’appartenenza confessionale dei forestieri ci è solo in parte nota.
95
RESIDENTI-FORESTIERI
RESIDENTI
TOTALE
valori assoluti
num.
£
644 38296
963 45659
1607 83955
percentuali
num.
£
40,07
45,61
59,93
54,39
100,00 100,00
Tab. 15. Compravendite fra residenti di Faetto e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti
effettuati.
Il rapporto fra cattolici e valdesi14 sul mercato della terra si conclude con un esito
globale molto netto: poiché le vendite di cattolici a valdesi costituiscono circa il 57% del
valore di tutte le transazioni ‘interconfessionali’ effettuate dal 1731 al 1775 (cioè 9069 lire
in terre cedute contro 6750 lire di acquisti), il trasferimento della titolarità della terra fra le
due componenti si compie a tutto vantaggio della parte valdese (cfr. nuovamente tab. 8).
Per questa, il bilancio si profila poi ancora più favorevole se si prende in considerazione
anche l’interscambio intrattenuto rispettivamente dagli abitanti cattolici di Faetto e da quelli
valdesi con i forestieri (cfr. tab. 16).
residenti:
CATTOLICI
VALDESI
CONF.
NON ID.
TOTALE
VENDITE DI RESIDENTI A FORESTIERI
VENDITE DI FORESTIERI A RESIDENTI
valori assoluti
num.
£
209
9110
133
12853
55
2164
397
24127
valori assoluti
num.
£
76
4805
124
7067
47
2297
247
14169
percentuali
num.
£
52,64
37,76
33,5
53,27
13,85
8,97
100,00
100,00
percentuali
num.
£
30,77
33,91
50,2
49,88
19,03
16,21
100,00
100,00
TOT. COMPRAVENDITE FRA RESIDENTI E FORESTIERI
valori assoluti
num.
£
285
13915
257
19920
102
4461
644
38296
percentuali
num.
£
44,25
36,34
39,91
52,02
15,84
11,65
100,00
100,00
Tab. 16. Compravendite fra residenti di Faetto e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti
effettuati secondo la confessione religiosa dei contraenti di Faetto.
Come si vede, in questo settore le dimensioni dell’intervento delle due componenti
religiose di Faetto non sono troppo dissimili, per quanto attiene alla frequenza delle
transazioni effettuate. Misurata invece in termini di valore delle transazioni, la
partecipazione dei residenti cattolici è di circa il 15% inferiore di quella dei valdesi.15 I
contratti stipulati dai valdesi con i forestieri riguardano dunque cifre mediamente più alte di
quelle attestate dalle compravendite effettuate dai cattolici (circa 77 contro 49 lire).
Oltre il 60% dell’interscambio (in frequenza e in valore degli atti) tra abitanti di Faetto e
forestieri vede i primi comparire soprattutto nella veste di venditori. Nel caso dei valdesi, lo
squilibrio fra le vendite e gli acquisti appare notevolmente ridimensionato rispetto alla
situazione dei cattolici, se si guarda al numero delle transazioni, ma solo lievemente
attenuato qualora se ne consideri il valore.
L’identità confessionale dei forestieri, come si è detto, non ci è sistematicamente nota.
Ne conosciamo tuttavia sempre la comunità di provenienza, indicata neli atti notarili stessi,
e grazie a questa informazione è possibile avanzare un’ipotesi del tutto verosimile sulla
confessione dominante fra di loro. Su 217 forestieri che effettuano transazioni con gli
14
Ricordiamo, residenti a Faetto.
Il 7,19 del numero e il 5,75 del valore delle compravendite fra residenti e forestieri interviene fra individui
di confessione religiosa non identificata da entrambi i lati della transazione.
15
96
abitanti di Faetto, 205 provengono da altre comunità della Val San Martino; i pochi restanti,
dalla vicina Val Perosa e dal suo Inverso. Coloro che comprano o vendono terra agli
abitanti della comunità di Faetto senza risiedervi provengono dunque da un bacino non solo
compreso in un raggio assai limitato, ma anche prevalentemente popolato da valdesi.
Faetto, con la sua composizione religiosa piuttosto bilanciata, e Perrero, centro
amministrativo della valle e comunità interamente cattolica, costituiscono le principali
eccezioni. Dei provenienti dalla Val San Martino, infatti, 60 (il 29,3%) risiedono in luoghi
dove esiste una netta maggioranza cattolica, mentre 117 (il 57,1%) abitano in comunità a
netta prevalenza valdese; solo 28 infine (il 13,6%) appartengono a comunità caratterizzate
da un relativo equilibrio fra le dimensioni delle due componenti.16 Le due provenienze di
gran lunga più frequenti accanto alla cattolica Perrero (51 contraenti), Prali e Riclaretto
(rispettiamente, 49 e 43 individui), figurano entrambe tra le località a più forte maggioranza
valdese. Possiamo allora aspettarci che la maggior parte dei forestieri con i quali gli abitanti
di Faetto interagiscono sul mercato della terra sia costituita da valdesi. Se questo è vero,
poiché ‘forestiero’ nel nostro contesto equivale il più delle volte a ‘compratore’
(specialmente quando i residenti sono cattolici), la partecipazione dei cattolici al mercato ci
appare ancora più sbilanciata sul lato della cessione della terra.
Le forme del credito
Quando dunque si guarda agli scambi attraverso il prisma dei criteri relazionali
individuati nella condivisione o meno dell’appartenenza religiosa, nella parentela o
estraneità e nella rispettiva residenza emergono effettivamente dissimmetrie nella
distribuzione e nei bilanci degli acquisti e delle vendite. Anche se tali differenze affondano
in processi di interazione destinati a rimanerci in buona parte opachi, sembrano
sufficientemente caratterizzate da riflettere una reale articolazione sociale del locale
mercato della terra. Contemporaneamente, come abbiamo visto, le modalità di pagamento
adottate nelle compravendite rivelano elementi importanti della natura delle transazioni.
Incrociando con questa variabile il criterio della distanza sociale fra i contraenti, possiamo
quindi tentare di qualificare in modo più concreto il senso di quella articolazione.
Cominciamo anche in questo caso dai totali relativi all’intero periodo di osservazione.
Come si è detto, il credito affiora invariabilmente come motivazione principale delle
transazioni; la sua incidenza relativa varia tuttavia notevolmente a seconda della rispettiva
appartenenza religiosa dei contraenti o in dipendenza dei loro legami di parentela.
Cominciamo con il prendere in considerazione questa seconda variabile (cfr. tab. 17).
16
Almeno stando ai dati della rilevazione del 1777, pubblicati in Caffaro, 1893-1903, vol. I, pp. 660-661.
97
PARENTI
ESTRANEI
RELAZIONE NON ID.
TOTALE
PAG. IMMED.
PAG. PRECED.
PAG. FUTURO
CREDITO
ACQUIR.
CREDITO TERZI
TOTALE
percentuali
num.
£
15,41 11,91
18,30 18,85
5,71
8,23
16,93 15,94
percentuali
num.
£
57,38 12,13
60,03 8,67
80,00 5,71
59,92 9,66
percentuali
num.
£
10,16 14,43
8,51 17,57
2,86
1,63
8,83 15,92
percentuali
num.
£
12,13 20,04
8,67 15,63
5,71 13,28
9,66 17,21
percentuali
num.
£
4,92
8,09
4,49
6,59
5,71 14,69
4,67
7,39
valori assoluti
num.
£
305 17088
623 27223
35
1348
963 45659
Tab. 17. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo
la modalità di pagamento adottata e la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti.
I pagamenti esplicitamente destinati a compensare un debito verso il compratore o verso
terzi raggiungono la proporzione più alta nelle transazioni che si svolgono fra parenti. Allo
stesso modo, anche il peso dei pagamenti dichiarati per già effettuati, che sappiamo
associati prevalentemente a debiti pregressi, risulta qui al suo massimo. Parallelamente, i
valori medi delle compravendite legate al debito sono assai più alti fra parenti: circa 43 lire
contro 30 nel caso delle vendite con pagamento già effettuato; 90 lire rispetto a 79 per le
vendite in compensazione di debiti riconosciuti nei confronti del compratore; 94 lire contro
62 quando si tratta di debiti verso terzi. Fra estranei risulta ovviamente superiore la
percentuale dei pagamenti immediati e di quelli da effettuarsi in futuro, che registrano
anche più elevati valori medi.
PAG. IMMED.
PAG. PRECED.
PAG. FUTURO
CREDITO
ACQUIR.
CREDITO TERZI
TOTALE
percentuali
num.
£
percentuali
num.
£
percentuali
num.
£
percentuali
num.
£
percentuali
num.
£
valori assoluti
num.
£
VENDITE DI
RESIDENTI A FORESTIERI
24,18
23,31
50,63
32,59
5,79
13,34
14,36
24,91
5,04
5,85
397
24127
VENDITE DI
FORESTIERI A RESIDENTI
22,67
23,48
48,99
32,51
18,62
33,22
5,67
7,37
4,05
3,42
247
14169
COMPRAVENDITE FRA
RESIDENTI-FORESTIERI
23,60
23,38
50,00
32,56
10,71
20,70
11,02
18,42
4,66
4,95
644
38296
COMPRAVENDITE FRA
RESIDENTI
16,93
15,94
59,92
43,54
8,83
15,92
9,66
17,21
4,67
7,39
963
45659
TOTALE
19,60
19,33
55,94
38,53
9,58
18,10
10,21
17,76
4,67
6,28
1607
83955
Tab. 18. Compravendite fra residenti di Faetto e fra questi e forestieri (1731-1775): numero e valore dei
pagamenti effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la rispettiva residenza dei contraenti.
Per quanto riguarda l’interscambio fra residenti e forestieri (cfr. tab. 18), mentre il debito
esplicitamente menzionato nei confronti del compratore conserva proporzioni vicine a
quelle che abbiamo trovato nelle transazioni fra (coresidenti) parenti, l’indebitamento
celato sotto la formula del prezzo di vendita già pagato è sensibilmente più basso che tra
coresidenti, sia parenti sia estranei. Qui, l’entità media delle singole transazioni è
particolarmente elevata nel caso di debiti verso il compratore: circa 103 lire contro 90 fra
parenti e 79 fra estranei.
98
CATTOLICI
VALDESI
CATT. A VALD.
VALD A CATT.
CONF. NON ID.
TOTALE
PAG. IMMED.
PAG. PRECED.
PAG. FUTURO
CREDITO ACQUIR.
CREDITO TERZI
TOTALE
percentuali
num.
£
15,54 12,75
16,92 16,63
18,03 22,51
17,09 7,76
18,81 22,40
16,93 15,94
percentuali
num.
£
56,76 47,72
65,41 49,22
62,30 40,60
58,12 34,31
52,48 33,54
59,92 43,54
percentuali
num.
£
12,16 17,26
5,64 14,06
7,10 14,93
8,55 21,16
10,89 11,52
8,83 15,92
percentuali
num.
£
10,14
14,55
8,27
11,59
7,65
17,28
11,11
28,62
13,86
25,11
9,66
17,21
percentuali
num.
£
5,41
7,72
3,76
8,51
4,92
4,69
5,13
8,15
3,96
7,43
4,67
7,39
valori assoluti
num.
£
296 12321
266 13560
183
9069
117
6750
101
3959
963 45659
Tab. 19. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo
la modalità di pagamento adottata e la confessione religiosa dei contraenti.
Dal punto di vista dell’affiliazione religiosa (cfr. tab. 19), osserviamo che l’incidenza di
situazioni debitorie riguarda intorno al 70% del valore delle transazioni fra individui di
eguale confessione, tanto fra i cattolici che fra i valdesi. Essa aumenta di poco nelle vendite
di valdesi a cattolici (poco più del 71%) e cala invece sensibilmente quando sono questi
ultimi a vendere ai primi (circa il 63%). Il peso delle transazioni effettuate in presenza di
pendenze debitorie esplicitamente menzionate verso il compratore o verso terzi risulta in
effetti notevolmente più accentuato nelle vendite di valdesi a cattolici che in tutte le altre
situazioni: circa il 37% del loro valore nelle vendite di valdesi a cattolici; tra il 20 e il 22%
in quelle di cattolici a valdesi e fra individui della stessa confessione. Il peso invece
dell’indebitamento ‘implicito’ (i pagamenti già avvenuti alla formalizzazione notarile della
vendita) appare superiore negli incontri fra correligionari, soprattutto valdesi – ed
ovviamente quando i cattolici vendono a questi ultimi rispetto alla situazione inversa.
Anche il valore monetario medio delle compravendite in presenza esplicita di debito, in
generale più elevato in tutti gli scambi sul locale mercato della terra, è ancora superiore nel
settore ‘interconfessionale’ delle transazioni, mentre le vendite per debiti ‘impliciti’
mostrano valori medi più cospicui fra contraenti della stessa fede, specialmente tra valdesi.
Valori medi più alti nel settore ‘interconfessionale’ riportano anche pagamenti immediati e
impegni di pagamento per il futuro.
99
PAG. PRECED.
PAG. FUTURO
CREDITO
ACQUIR.
CREDITO TERZI
TOTALE
CATTOLICI
percentuali
num.
£
21,53
20,41
percentuali
num.
£
53,59 40,15
percentuali
num.
£
5,74 10,75
percentuali
num.
£
13,40
23,21
percentuali
num.
£
5,74
5,49
valori assoluti
num.
£
209
9110
VALDESI
30,08
27,32
40,60
22,53
4,51
16,39
20,30
28,26
4,51
5,50
133
12853
CONF.
NON ID.
20,00
11,74
63,64
60,44
9,09
6,19
3,64
12,15
3,64
9,47
55
2164
PAG. IMMED.
FORESTIERI
RESIDENTI
VENDITE DI
VENDITE DI
FORESTIERI A
RESIDENTI A
residenti:
TOT.
FORESTIERI-
TOTALE
24,18
23,31
50,63
32,59
5,79
13,34
14,36
24,91
5,04
5,85
397
24127
CATTOLICI
19,74
11,63
40,79
25,70
22,37
44,95
9,21
13,28
7,89
4,43
76
4805
VALDESI
23,39
29,60
52,42
29,45
18,55
33,51
4,03
5,36
1,61
2,08
124
7067
CONF.
NON ID.
25,53
29,43
53,19
56,16
12,77
7,79
4,26
1,18
4,26
5,44
47
2297
TOTALE
22,67
23,48
48,99
32,51
18,62
33,22
5,67
7,37
4,05
3,42
247
14169
23,60
23,38
50,00
32,56
10,71
20,70
11,02
18,42
18,42
4,95
644
38296
RESIDENTI
Tab. 20. Compravendite fra residenti di Faetto e forestieri (1731-1775): numero e valore dei pagamenti
effettuati secondo la modalità di pagamento adottata e la confessione religiosa dei contraenti di Faetto.
Nell’interscambio con i forestieri (cfr. tab. 20), la minore incidenza complessiva del
debito nelle vendite di residenti valdesi a forestieri (il 56,3% del valore delle transazioni
contro il 68,9% nelle vendite effettuate da cattolici in questo stesso settore) si accompagna
a una proporzione specialmente bassa dei pagamenti anteriori alla stipulazione del contratto
(poco più del 22% del valore rispetto al 40% circa dei cattolici).
In relazione al credito, i valdesi di Faetto sembrano dunque allacciare tanto con i
coresidenti cattolici quanto con i forestieri, a differenza che al loro interno, rapporti
vincolati a impegni e termini più puntuali, mentre situazioni dai contenuti e dal profilo
temporale più indeterminati appaiono diffusamente associate al comportamento dei
cattolici. Occorre poi sottolineare che, se nei confronti di questi ultimi i valdesi rivestono
più spesso il ruolo di debitori che non quello di creditori, ciò avviene nel contesto di un
bilancio globalmente positivo tra gli acquisti e le vendite da loro conclusi nel settore
interconfessionale, oltre che di un minore indebitamento verso i forestieri.
100
RELAZIONE NON ID.
ESTRANEI
PARENTI
CATTOLICI
PAG. IMMED.
PAG. PRECED.
PAG. FUTURO
CREDITO
ACQUIR.
CREDITO TERZI
TOTALE
percentuali
num.
£
14,68 9,18
percentuali
num.
£
55,05
44,25
percentuali
num.
£
13,76 19,59
percentuali
num.
£
11,93 20,73
percentuali
num.
£
4,59
6,24
valori assoluti
num.
£
109
5238
VALDESI
14,63
12,82
57,72
47,37
8,94
11,57
13,01
17,25
5,69
10,99
123
7728
CATT. A VALD.
13,04
9,05
69,57
43,08
8,70
13,02
8,70
34,86
0,00
0,00
23
1813
VALD A CATT.
12,50
5,82
56,25
47,83
9,38
19,18
12,50
14,36
9,38
12,81
32
1616
CONF. NON ID.
33,33
44,01
55,56
35,64
0,00
0,00
11,11
20,35
0,00
0,00
18
693
TOTALE
15,41
11,91
57,38
45,53
10,16
14,43
12,13
20,04
4,92
8,09
305
17088
CATTOLICI
15,68
15,04
57,84
50,32
11,35
15,68
9,19
10,07
5,95
8,89
185
7021
VALDESI
19,85
22,59
70,59
49,62
2,94
18,09
4,41
4,25
2,21
5,45
136
5595
CATT. A VALD.
18,59
25,37
60,90
39,71
7,05
15,76
7,69
13,18
5,77
5,99
156
7096
VALD A CATT.
19,05
8,43
58,33
29,62
8,33
21,91
10,71
33,32
3,57
6,72
84
5102
CONF. NON ID.
20,97
24,16
43,55
25,86
16,13
18,02
16,13
27,98
3,23
3,99
62
2409
TOTALE
18,30
18,85
60,03
41,37
8,51
17,57
8,67
15,63
4,49
6,59
623
27223
CATTOLICI
50,00
54,84
50,00
45,16
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
2
62
0,00
0,00
100,00
100,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
7
237
CATT. A VALD.
25,00
48,13
75,00
51,88
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
4
160
VALD A CATT.
0,00
0,00
100,00
100,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
1
32
CONF. NON ID.
0,00
0,00
76,19
53,44
4,76
2,57
9,52
20,89
9,52
23,10
21
857
TOTALE
5,71
8,23
80,00
62,17
2,86
1,63
5,71
13,28
5,71
14,69
35
1348
VALDESI
Tab. 21. Compravendite fra residenti di Faetto (1731-1775): numero e valore dei pagamenti effettuati secondo
la modalità di pagamento adottata, la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti e la loro
confessione religiosa.
Nelle divergenze osservabili fra cattolici e valdesi, un ruolo importante sembra giocare
la parentela. Già sappiamo che i valdesi concentrano i loro scambi all’interno di quest’area
più di quanto non facciano i cattolici. Possiamo aggiungere ora che per i valdesi anche
l’indebitamento vi ha un peso maggiore in confronto ai rapporti intrattenuti con i
correligionari non parenti: oltre il 75% del valore nelle transazioni tra parenti contro circa il
60% nelle compravendite fra estranei (cfr. tab. 21). Nelle compravendite fra cattolici, al
contrario, esso mantiene pressappoco la stessa proporzione sia nell’area della parentela sia
in quella dell’estraneità: intorno al 70% del valore delle transazioni in entrambi i casi. È
vero che anche l’indebitamento della popolazione cattolica registra la sua incidenza più
elevata tra parenti, ma ciò si verifica solo nei confronti di parenti valdesi.
Dal 1760: gli effetti di una crisi
Come abbiamo visto in precedenza, i periodi di crisi che segnano gli anni Sessanta e
Settanta inducono modificazioni sostanziali nel funzionamento del mercato locale della
terra. Disaggregata per quinquennio e per quindicennio, la distribuzione delle transazioni
secondo le categorie che fanno riferimento alla distanza sociale fra i contraenti rilfette
abbastanza puntualmente le difficoltà intervenute.
101
anni
1731-1735
1736-1740
1741-1745
1746-1750
1751-1755
1756-1760
1761-1765
1766-1770
1771-1775
1731-1745
1746-1760
1761-1775
PARENTI
ESTRANEI
RELAZIONE NON ID.
TOTALE
percentuali
num.
£
35,64 32,26
30,36 29,46
30,59 35,74
28,72 42,18
30,95 33,68
9,62
8,88
36,28 31,58
34,25 44,46
33,19 45,27
32,64 32,73
25,22 32,78
34,22 41,80
percentuali
num.
£
58,42 61,09
66,07 69,57
67,06 61,30
69,15 56,73
66,67 64,64
88,46 90,82
61,06 65,82
63,01 53,86
61,21 49,31
63,22 63,89
72,61 66,01
61,71 54,78
percentuali
num.
£
5,94
6,65
3,57
0,97
2,35
2,95
2,13
1,09
2,38
1,68
1,92
0,30
2,65
2,61
2,74
1,68
5,60
5,41
4,13
3,38
2,17
1,20
4,07
3,43
valori assoluti
num.
£
101
3624
56
4032
85
4941
94
3836
84
3982
52
1656
113
5485
146
8442
232
9661
242 12597
230
9474
491 23588
Tab. 22. Compravendite fra residenti di Faetto: numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità
di pagamento adottata e la relazione di parentela o estraneità esistente fra i contraenti (dati quinquennali e
quindecennali).
anni
1731-1735
1736-1740
1741-1745
1746-1750
1751-1755
1756-1760
1761-1765
1766-1770
1771-1775
1731-1745
1746-1760
1761-1775
VENDITE DI RESIDENTI
A FORESTIERI
VENDITE DI FORESTIERI
A RESIDENTI
COMPRAVENDITE FRA
RESIDENTI
TOTALE
percentuali
num.
£
24,39
22,94
20,43
15,20
28,57
33,30
23,53
41,21
34,48
32,99
26,80
27,20
21,46
24,09
25,49
26,56
21,27
30,52
62,05
61,81
58,23
50,07
59,73
52,82
percentuali
num.
£
24,39
22,94
19,35
16,80
7,52
4,69
15,03
13,21
7,59
10,43
19,59
25,04
23,41
22,14
17,25
17,36
14,64
19,69
24,87
24,74
28,35
35,58
22,63
27,71
percentuali
num.
£
24,39
22,94
20,43
15,20
28,57
33,30
23,53
41,21
34,48
32,99
26,80
27,20
21,46
24,09
25,49
26,56
21,27
30,52
13,08
13,45
13,42
14,34
17,64
19,46
valori assoluti
num.
£
164
6483
93
5929
133
7968
153
8416
145
7038
97
3467
205 10200
255 15054
362 19400
390 20380
395 18921
822 44654
Tab. 23. Compravendite fra residenti di Faetto e forestieri: numero e valore dei pagamenti effettuati secondo
la modalità di pagamento adottata e la residenza rispettiva dei contraenti (dati quinquennali e quindecennali).
Dal 1760 circa l’attività tende, ad esempio, a svolgersi in misura maggiore rispetto al
passato entro l’area sociale più vicina al venditore: diminuisce infatti il rilievo
dell’interscambio con i forestieri e con gli estranei, mentre aumenta l’importanza di quello
con i parenti (cfr. tabb. 22-23). Più ambigua si rivela invece la tendenza concernente il
flusso che attraversa il confine confessionale, caratterizzato per tutto il periodo 1731-1775
da oscillazioni anche notevoli; un’inequivoca diminuzione percentuale sembra riguardare
solo le vendite di valdesi a cattolici nel quinquennio 1771-1775 (cfr. tab. 24).
102
CATT. A
VALD./
VALD A
CATT.
CATTOLICI
VALDESI
CATT. A VALD.
VALD A CATT.
CONF. NON ID.
1731-1735
1736-1740
1741-1745
1746-1750
1751-1755
1756-1760
1761-1765
1766-1770
1771-1775
percentuali
num.
£
42,57 47,88
33,93 23,41
25,88 18,88
29,79 27,63
30,95 35,61
30,77 22,64
27,43 20,40
37,67 34,53
24,14 18,86
percentuali
num.
£
19,80 12,86
21,43 41,12
25,88 26,37
29,79 33,45
33,33 23,63
36,54 31,70
29,20 27,42
24,66 25,27
29,31 38,78
percentuali
num.
£
13,86 13,02
23,21 25,37
30,59 25,50
22,34 24,95
15,48 13,46
21,15 24,88
19,47 27,57
13,70 13,62
18,53 18,08
percentuali
num.
£
7,92
6,73
7,14
6,89
10,59 20,34
11,70 10,92
14,29 22,30
7,69 19,81
16,81 16,59
15,75 21,93
11,64 8,56
percentuali
num.
£
15,84 19,51
14,29 3,20
7,06
8,91
6,38
3,05
5,95
5,00
3,85
0,97
7,08
8,02
8,22
4,66
16,38 15,71
valori
assoluti
num.
101
56
85
94
84
52
113
146
232
£
3624
4032
4941
3836
3982
1656
5485
8442
9661
num.
1,75
3,25
2,89
1,91
1,08
2,75
1,16
0,87
1,59
£
1,93
3,68
1,25
2,28
0,60
1,26
1,66
0,62
2,11
1731-1745
1746-1760
1761-1775
34,71
30,43
28,92
22,31
32,61
27,90
21,90
19,57
17,31
8,68
11,74
14,05
12,40
5,65
11,81
242
230
491
12597
9474
23588
2,52
1,67
1,23
1,80
1,17
1,23
anni
28,67
30,11
24,83
27,20
29,02
31,30
21,87
20,11
18,69
12,12
17,26
15,21
10,13
3,50
9,97
TOTALE
Tab. 24. Compravendite fra residenti di Faetto: numero e valore dei pagamenti effettuati secondo la modalità
di pagamento adottata e la confessione religiosa dei contraenti (dati quinquennali e quindecennali).
Un dato meno opinabile è tuttavia che il bilancio delle vendite sembra farsi più cupo per
la popolazione cattolica. Nelle transazioni fra residenti di Faetto, soprattutto sul lato del
loro valore monetario, il rapporto fra le vendite di cattolici a valdesi e quelle di valdesi a
cattolici è quasi sempre molto alto. Fino al 1750, la proporzione delle prime sul totale del
valore dell’interscambio fra le due componenti confessionali si mantiene infatti tra il 55 e il
70% circa, con un picco che sfiora l’80% in corrispondenza del quinquennio 1736-1740. La
stessa proporzione cala poi drasticamente negli anni 1751-1756 (arrivando sotto il 40%),
ma torna a crescere fino a oltre il 60% nel quinquennio 1761-1765, dopodiché si riduce
nuovamente ai livelli dei primi anni Cinquanta. Riprende tuttavia a salire bruscamente
subito dopo, nel 1771-1775, raggiungendo e anzi superando le proporzioni di dieci anni
prima, situandosi così a 10 punti sopra la media dell’intero periodo di osservazione. Se
sommassimo a queste transazioni anche quelle concluse con forestieri di cui ci è nota
l’identità confessionale, lo squilibrio dei cattolici sul versante dell’alienazione della terra
arriverebbe allora a toccare l’86% in coincidenza degli anni 1771-1775. È un ulteriore
indizio dell’effetto fortemente sperequativo che l’interscambio con i forestieri, in
prevalenza valdesi, imprime alla posizione relativa delle due componenti religiose di Faetto
sul mercato della terra.
103
V. Credito, solidarietà e coesistenza religiosa
Nei due precedenti capitoli abbiamo visto all’opera un mercato della terra molto vivace,
innescato però, in larghissima prevalenza, da un unico meccanismo: l’indebitamento o la
ricerca di credito da parte del venditore. Questo peculiare mercato ci è apparso inoltre
segnato sia da una proporzione assai elevata di transazioni che avvengono nell’area della
parentela sia dall’intensità dell’interscambio tra cattolici e valdesi. Sebbene i limiti delle
fonti non ci consentano di sapere quasi nulla sulle ragioni di scambio applicate, anche solo
il bacino geografico di affluenza, molto ridotto, dei partecipanti è un significativo indizio
del fatto che quel mercato genera e mette in relazione valori economici fungibili o
comunque mediabili soltanto in una situazione strettamente locale. Per qualsiasi
proprietario o mercante della capitale, del capoluogo provinciale o anche di un vicino borgo
della pianura, ad esempio, essi sembrerebbero probabilmente aberranti e privi d’interesse.
Come in altre realtà alpine, essi acquistano un senso solo entro sistemi economici specifici.1
In questo capitolo, cercherò di mostrare come i guadagni che, attraverso l’indicatore
ancorché imperfetto, dei bilanci in termini monetari tra acquisizioni e cessioni di terra,
abbiamo visto concentrarsi nelle mani della componente valdese, così come la maggiore
importanza della parentela negli scambi al suo interno, abbiano un valore misurabile
essenzialmente in termini politici e rispondano in primo luogo a una strategia collettiva di
creazione di comunità. È chiaro, d’altra parte, che la stabilità, la riduzione dell’incertezza, il
grado di protezione dall’ingerenza di forze ostili conseguibili in tal modo costituiscono
nello stesso tempo un obiettivo economico, il presupposto anzi per la riattivazione di
tradizionali interdipendenze produttive e territoriali, dopo la devastazione provocata dalle
persecuzioni.
Diverse logiche di reciprocità sono apparse in filigrana a regolare l’incontro della
domanda e dell’offerta sul mercato. Accanto alle interazioni improntate a un gioco
immediato di contropartite materiali e aspettative di più corto respiro, numerose catene di
transazioni lasciano intravedere configurazioni in grado di reggere nel tempo e di
attraversare le diverse congiunture economiche.2 In molti casi, tali configurazioni sono
contrassegnate da una marcata asimmetria interna; esse mettono cioè in contatto soggetti
che partecipano al mercato quasi esclusivamente o prevalentemente nella veste di venditori
con altri che vi compaiono solo o soprattutto come acquirenti. Si tratta perciò di rapporti
interpersonali dalla distinta connotazione ‘verticale’, legata alla diversità di estrazione
sociale e livello di ricchezza,3 e che non di rado, inoltre, intersecano la divisione
confessionale. Il dato per noi forse più interessante è che quando ciò si verifica la
1
Lorenzetti, Merzario, 2005, pp. 15-29, 85-120. Spesso basati, nelle regioni alpine, su un’economia legata
alla migrazione stagionale e al commercio, che assicuravano a molti nuclei domestici apporti monetari di
entità inusuale in buona parte delle comunità rurali della pianura (ibid.).
2
Introdotto da Norbert Elias, il concetto di “configurazione” si ispira a un modello processuale di
interdipendenza fra attori sociali. In questa prospettiva, sono le concrete relazioni fra le persone, più che
astratte funzioni o norme, a costituire una “struttura sociale” (Elias, 1990, p. 211). Per un’interpretazione
simile di ciò che costituisce una struttura sociale cfr. Wellman, Berkowitz, 1988b, pp. 1-14.
3
Fondamentale sulle relazioni “verticali”, in particolare, quelle cementate dal credito, Allegra, 1987
(specialmente pp. 90-91).
104
sperequazione fra acquirenti e venditori non solo tende ad accentuarsi, ma anche a
coincidere con un evidente disequilibrio fra la partecipazione al mercato delle due
componenti religiose. Questa appare infatti concentrata sul lato degli acquisti nel caso dei
valdesi e su quello delle alienazioni per quanto riguarda invece i cattolici.4
Non possiamo andare molto al di là di ciò che suggeriscono i bilanci della
partecipazione degli individui al mercato della terra. Gli episodi di cui sono intessute le
relazioni fondate sul credito sono infatti poco documentati dalle fonti notarili. Sembra
chiaro che normalmente accordi e transazioni venissero trascritti in atti privati o consegnati
a intese verbali, in cui la presenza di testimoni appariva una sufficiente garanzia per il loro
carattere vincolante. Di tempo in tempo, la certificazione notarile interveniva a fissare un
bilancio della situazione del dare e dell’avere, registrando il consenso (usualmente
provvisorio) raggiunto a quel punto tra le parti in merito alla sua liquidazione. Questa
circostanza preclude una ricostruzione sistematica dei vari passaggi che portarono alla
stipulazione di una vendita o di una scrittura di debito, ma alcuni casi si prestano a una più
concreta illustrazione dei significati assunti dal mercato della terra e dal credito in una
società locale segnata dalla differenza religiosa. Seguiremo, in particolare, le tracce di un
gruppo familiare nella cui intensissima attività di compratori-prestatori sembrano
convergere le strategie di sopravvivenza e di riproduzione sociale di un buon numero di
abitanti della Val San Martino. Con qualche eccezione, mi limiterò alle transazioni in cui
almeno uno dei partecipanti è un abitante di Faetto.
I creditori: eredità materiali e simboliche
Come abbiamo visto, gli acquirenti più attivi sul mercato della terra sono valdesi di
Faetto oppure personaggi forestieri, anch’essi con ogni probabilità in buona parte valdesi.
Fra tutti, abitanti di Faetto e forestieri, primeggiano per frequenza e dimensioni dei loro
interventi, alcuni esponenti della parentela valdese Bert, residenti a Riclaretto. Ci siamo già
imbattuti in questa discendenza: l’inchiesta conclusa nel 1725 segnala infatti tra i
“rifugiati” presenti a Faetto i fratelli Giovanni e Maria fu Giovanni Bert, all’epoca l’uno
ancora celibe e l’altra vedova. Insieme con l’altro fratello Tommaso, nel frattempo defunto,
erano giunti in Val San Martino dalla Val Pragelato attorno alla metà degli anni Novanta
del secolo precedente, al seguito della madre, unitasi in seconde nozze con il maggiore e
chirurgo Giovanni Malanot di Faetto,5 uno dei personaggi più in vista, per ricchezza e
prestigio politico, della Val San Martino.6
4
I dati anagrafici riguardanti i personaggi citati di seguito (precisi, approssimativi o semplicemente relativi a
un termine ante o post quem) sono stati attinti da tutte le fonti disponibili: dai registri parrocchiali,
ovviamente, quando ciò è stato possibile, ma anche dagli atti notarili, nonché, per le date successive al 1775,
dal ricco apparato documentario in Tron, 1987, appendici 2-6 e Allegati.
5
Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R.P.R., m. 101, Volume d’Informazioni, cit.
La madre dei Bert, Maddalena Pastre, era probabilmente imparentata con Daniel Pastre, il pastore della chiesa
di Pragelato illustratosi alla metà del secolo XVII nella difesa dell’ortodossia riformata sia contro le posizioni
arminiane sia nei confronti dell’intensa attività di polemista antiprotestante svolta da un precedente pastore
della stessa chiesa, Jean Balcet, dapprima arminiano e infine, nel 1629, passato nel campo cattolico. Daniel
Pastre (latinamente, Pastor) pubblicò nel 1652 a Ginevra Le Manuel du vray Chrestien, improntato al rigoroso
105
Non è però dato trovare il cognome dei Malanot sul registro della chiesa di Villasecca
(la cui serie dei battesimi inizia solo nel 1730). Nelle fonti notarili dell’insinuazione
compare una sola volta, in un atto stipulato nel 1736 a Perrero.7 I “comparenti” sono cinque
fratelli di Riclaretto,8 convertiti al cattolicesimo, che si confessano “debitori dell’illustre
signor Giovanni Malanotto fu Giovanni di Riclaretto”, minore e ufficiale nell’esercito
sabaudo in qualità di “alfiere nel Reggimento della Reina”. Il debito consiste in 60 lire di
capitale contenute in una “scrittura d’obbligo” sottoscritta nel 1702 da un defunto che porta
lo stesso cognome dei debitori, ma di cui non è precisato il grado di parentela, e in 10 lire
attestate da un’altra “scrittura” del 1709 a nome del loro padre, anch’egli defunto. Il
prestatore è Giovanni Malanot padre. Malanot figlio ha ottenuto dal podestà di Perrero
un’ordinanza che condanna i debitori al pagamento di quelle somme, più un anno di
interessi decorsi e le spese giudiziarie. Per ottemperarvi, i debitori decidono di addivenire
all’“alienazione” di due appezzamenti.9 Il compratore è il prevosto di Faetto e Riclaretto,
che “realmente sborsa” il prezzo stabilito al notaio cattolico presente in qualità di “curatore
della persona e beni” del creditore10.
Usciti di scena i Malanot, i loro beni nella Val San Martino finiranno tuttavia con il
restare saldamente nell’orbita dell’élite valdese: in particolare, nelle mani dei Bert. Molto
tempo dopo la transazione sulla quale ci siamo appena soffermati, infatti, un atto notarile
del giugno 1762, ci mostra Giovanni Bert fu Tommaso (probabilmente il figlio del
Tommaso nominato sopra) agire per ricuperare alcuni vecchi crediti in qualità di
“cessionario e acquisitore de’ beni, ragioni et eredità del fu maggiore Malanot”. Bert
certifica di aver acquisito questi diritti alcuni mesi prima a Ginevra, grazie a uno strumento
“passatogli dal signor Benedetto Andrea Derodon mercante in Geneva a cui furono
pervenuti li beni e ragioni predette”.11
predestinazionismo affermato nei canoni della sinodo di Dordrecht e accettato come ortodossia anche dalla
Chiesa riformata di Francia. (cfr. Corsani, 1987).
6
Nel 1724, ad esempio, farà parte della delegazione valdese incaricata di affrontare presso la corte sabauda la
delicata questione delle ripercussioni della promulgazione delle Regie Costituzioni sulla posizione giuridica
della minoranza; l’anno successivo sarà fra gli esponenti della Val San Martino interpellati dal Senato di
Pinerolo a conclusione dell’inchiesta riguardante il rispetto degli editti concernenti i valdesi di cui abbiamo
parlato nel capitolo I (vd. Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo, Valdesi professanti la R.P.R., m. 101,
Volume d’Informazione, cit. e Risposte datte da Ministri, cit.). Giovanni Malanot era stato forse il più ricco
proprietario della Val San Martino e uno dei partecipanti alla spedizione militare della Rentrée del 1689 (cfr.
Armand Hugon, 1974, p. 122; alcune notizie biografiche su Giovanni Malanot e il fratello Guglielmo, pastore,
anche in Tron, 1990, pp. 336-337).
7
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 164, cc. 476v-478r, Compra per il molto
Illustre e molto Reverendo Prette signor D. Gio. Michelle Marra Prevosto di Faetto e Riclaretto a Pietro
Giacomino di detto Riclaretto, 23 aprile 1736. I testimoni presenti appartengono come i Malanot alla locale
élite valdese: accanto al “chirurgo” Giovanni Bert di Riclaretto (evidentemente il figlio di Giovanni e di
Maddalena Pastre), il pastore stesso di Villasecca Eliseo Giaiero (Jahier).
8
Pietro, Antonio, Giacomo, Francesco e Maddalena Giacomino fu Giovanni.
9
Una pezza di vigna di 17 tavole e di una pezza di campo e prato, entrambe situate sul territorio di Riclaretto.
10
Il notaio Giovanni Battista Rabbi di Perrero, curatore “provisto come per atto giudiciale” seguito davanti al
podestà di Perrero nel 1735.
11
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 221, cc. 71-72, Cessione fratelli Macelli al
signor capitano Gio. Berto del fu Tommaso, 14 giugno 1762.
106
Quali che siano state le vicende di questo patrimonio, dipanatesi per oltre venticinque
anni tra le Valli valdesi e Ginevra, appare chiaro che spetta infine agli oriundi pragelatesi e
profughi Bert raccogliere l’impegnativa eredità dei Malanot – non da ultimo, sostituendoli
nella loro rete di rapporti di credito e presumibilmente espandendola.
La schedatura degli atti notarili ci restituisce le tracce dell’attività sul mercato della terra
di Giovanni Bert fu Giovanni (m. 1753), del figlio Davide (n. 1730 – m. dopo il 1788), di
Antonio (m. dopo il 1775) e Giovanni (m. dopo il 1780), figli di Tommaso. Tutti possono
fregiarsi dell’appellativo “signore”. Giovanni di Tommaso è inoltre “chirurgo e capitano” e
in questa veste in effetti, fra il 1747 e il 1780, presta la sua consulenza come perito presso il
tribunale della valle in pressoché tutti i casi di ferimenti e morti violente.12 Antonio si
aggiudica l’appalto della gabella del sale per le comunità di Faetto, Riclaretto e Bovile per
quindici anni tra il 1751 e il 1769.13 Davide è un “negoziante”, che nel 1780, deponendo
dinanzi al tribunale della valle, dichiara un patrimonio di “mille doppie e più”.14 Sono quasi
sempre lui o il cugino Giovanni i fideiussori di Antonio quando questi è “gabellotto” del
sale.
A partire dagli anni Cinquanta, ogniqualvolta si rende necessario il giudizio di un
esperto per stimare il valore dei beni che sono oggetto di una transazione, qualunque sia
l’affiliazione confessionale delle parti, di norma è Antonio Bert a essere interpellato, “come
persona nottoriamente riputata per avente maggior perizia sovra il valore de beni e
pratichissima del reddito secondo i siti e qualità de fondi esistenti in questa valle”.15 Dalla
metà del decennio successivo, comincia a comparire nella medesima funzione anche il più
giovane Davide. Non sempre i loro interventi di “estimatori” si configurano come
esclusivamente tecnici; a volte, richiedono infatti una vera e propria opera di mediazione
fra le parti, fino ad assumere le apparenze più vincolanti della decisione arbitrale.16 La
12
Tron, 1990, Allegati.
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, Deputazione di Gabellotto fatta dalle Comunità
di Riclaretto, Faetto e Bovile (per gli anni 1751-1759, 1761, 1763-1769), vol. 195, cc. 64v-65, 13 dicembre
1750; vol. 197, cc. 233-234r, 15 dicembre 1751; vol. 199, cc. 113-114, 15 dicembre 1752; vol. 201, cc. 305v306, 13 dicembre 1753; vol. 206, cc. 122v-123, 16 dicembre 1754; vol. 209, c. 423, 14 dicembre 1755; vol.
212, c. 98, 14 dicembre 1756; vol. 214, cc. 66v-67, 15 dicembre 1757; vol. 215, cc. 470-471, 14 dicembre
1758; vol. 219, c. 5, 14 dicembre 1760; vol. 221, cc. 321-322r, 1 dicembre 1762; vol. 225, cc. 16-17, 17
novembre 1763; vol. 232, cc. 262-263, 20 novembre 1766; vol. 235, cc. 795v-796, 9 novembre 1767; vol.
239, cc. 89-90r, 13 dicembre 1768. La gabella del sale costituiva non solo una privativa sul commercio di
quel prodotto essenziale, ma comportava anche l’acquisto forzoso di una quota determinata del prodotto
stesso da parte dei capifamiglia (calcolata in base al numero ed età dei membri della famiglia e degli animali
eventualmente posseduti), oltre che degli osti e di coloro che esercitavano altri mestieri legati
all’alimentazione. Negli stati sabaudi del secolo XVIII esisteva una fitta rete di “banchieri” e “gabellotti”
incaricati della distribuzione del sale a livello locale. I primi gestivano magazzini situati nei centri maggiori
dai quali i secondi, insediati nelle singole comunità o nei “luoghi separati”, si rifornivano. Entrambe le
funzioni venivano aggiudicate tramite appalto e compensate con un “agio” sul prezzo di vendita.
14
Tron, 1987, Allegati, scheda 241 (procedimento iniziato il 2 agosto 1780). La doppia di Savoia detta “del
1755”, che ebbe corso sino al 1786, equivaleva a 24 lire di Piemonte (cfr. Martinori, 1915, s.v. Doppia).
15
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 266, cc. 381-383, Compra per messer
Tommaso Freyria fu Gioanni dalli fratelli Poetti, 11 ottobre 1774.
16
La differenza tra mediazione (suggerire compromessi) e arbitrato (imporre soluzioni) è definita e discussa in
Bailey, 1975, pp. 74 e 112-116. Sulle implicazioni sociali e culturali dei processi di estimazione vd. Barbot et
al., 2010.
13
107
competenza e il capitale relazionale acquisiti dai Bert dischiudono, ad esempio, al loro
intervento il delicato campo intrafamiliare delle sistemazioni successorie: nel 1768 lo stesso
Antonio Bert è “elletto per arbitro” dai fratelli Bertalmio, apparentemente fra i contadini
cattolici più benestanti di Faetto, per la divisione dell’eredità del padre, morto intestato
l’anno precedente.17
La presenza dei Bert nel contesto locale ci appare dunque connotata da una grande
visibilità sociale, che deriva dalla molteplicità, delicatezza e pubblicità dei ruoli esercitati.18
Spesso, la loro attività reca infatti con sé un riconoscimento pubblico della loro
autorevolezza, da parte tanto dei valdesi quanto dei cattolici. Il fatto che un atto ufficiale
della comunità di Faetto come la redazione annuale dei “conti della taglia” a cura del
segretario e alla presenza del consiglio della comunità si compia dal 1746 al 1770 nelle loro
dimore apporta una sottolineatura quasi rituale a tale riconoscimento.19
I legami dei Bert con l’élite pastorale valdese e l’inserimento nei quadri istituzionali
della loro chiesa risultano altrettanto indiscutibili. Quest’ultimo, in particolare, è
testimoniato dalla loro partecipazione ai sinodi delle chiese valdesi e dalla carica di anziani
ricoperta nel concistoro della chiesa di Villasecca.20 Dal 1747, inoltre, Giovanni fu
Tommaso anticipa regolarmente la quota spettante alla comunità valdese di Faetto delle
spese sostenute per organizzare i sinodi.21 La connessione Bert-Malanot è già stata
17
Ibid., vol. 238, Divisione delli fratelli Bertalmio, 10 giugno 1768.
“Social visibility is a function of the number of social roles one plays” (Boissevain, 1974, p. 107).
19
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, Conto della taglia della comunità di Faetto
(relativamente agli anni 1745-1751, 1753-1765, 1767-1769), vol. 186, cc. 604v-608, 2 giugno 1746; vol. 188,
cc. 780-784, 2 maggio 1747; vol. 190, cc. 292v-296, 25 maggio 1748; vol. 192, cc. 453v-457, 15 aprile 1749;
vol. 194, cc. 441-443, 13 maggio 1750; vol. 196, cc. 385-388, 19 maggio 1751; vol. 198, cc. 431-434, 13
aprile 1752; vol. 203, cc. 663-667, 19 aprile 1754; vol. 209, cc. 144-149, 28 maggio 1755; vol. 211, cc. 600603, 8 maggio 1756; vol. 213, cc. 644-647, 8 luglio 1757; vol. 214, cc. 711-714, 24 maggio 1758; vol. 216,
cc. 400-403, 10 maggio 1759; vol. 218, cc. 720v-722, 14 maggio 1760; vol. 220, cc. 315v-318, 2 aprile 1761;
vol. 221, cc. 153-157, 29 marzo 1762; vol. 223, cc. 264-268, 6 aprile 1763; vol. 227, cc. 160-163, 2 luglio
1764; vol. 229, cc. 209-213, 25 maggio 1768; vol. 240, cc. 307-310, 20 marzo 1769; vol. 245, cc. 472-476, 14
marzo 1770. Il “conto della taglia” o, più precisamente, “conto esattoriale”, dell’anno scaduto, doveva essere
presentato, unitamente ad altri documenti riguardanti l’esazione fiscale e l’amministrazione finanziaria della
comunità, all’intendente della provincia, al quale competeva esaminarlo prima di procedere all’approvazione
(“ammissione”), con ampia facoltà di modifica, del “causato” o “imposto” (il bilancio preventivo
dell’imposizione fiscale e delle spese della comunità). Le modalità della sua redazione furono disciplinate da
norme precise che, in particolare, ne prescrivevano la pubblicità (cfr. Istruzione data d’ordine di S. M. dal
Generale delle finanze agli Intendenti delle province, 7 marzo 1750, parr. 3-6, in Duboin, 1818-1869, tomo
IX, vol. XI [1833], libro VII, tit. X, pp. 143-148; Bracco, 1981, p. 16; Bodo, 1950, p. 78).
20
Giovanni Bert fu Giovanni, il figlio Davide, il capitano Giovanni fu Tommaso, Giovanni Enrico suo figlio
(n. 1749 – m. dopo il 1788), Tommaso figlio di Antonio (n. 1737 – m. dopo il 1795) partecipano spesso in
qualità di delegati laici ai sinodi tenutisi fra il 1739 e il 1795 (cfr. Pons, 1948, pp. 119-197). Giovanni fu
Giovanni, Giovanni fu Tommaso, Davide di Giovanni, Tommaso di Antonio ricoprono tutti la carica di
anziani del concistoro della chiesa di Villasecca: in particolare, Giovanni fu Tommaso almeno dal 1745,
Davide probabilmente a partire dagli anni Ottanta (cfr. Tron, 1987, Allegati e ACV, Livre, cit., 18 aprile 1741,
atto di battesimo di “Jeanne fille du sieur Jean Bert ancien feu Thomas et de Suzanne Forneron sa femme”,
nata il 2 dello stesso mese).
21
Ricavo questa informazione dai conti esattoriali di Faetto. Essi, come del resto tutti quelli delle comunità
delle Valli Valdesi, riportavano anzitutto l’ammontare della taglia (“caricamento”) stabilito nel “causato” e
fissato separatamente per i cattolici e per i valdesi. In favore dei primi si applicava usualmente la deduzione
nota come “grazia del terzo” alla quota d’imposizione destinata alle finanze statali. Al “caricamento” seguiva
18
108
ricordata; quando, nel 1752, Davide sposa Giovanna Elisabetta, figlia del pastore Davide
Léger, egli lega il proprio nome a quello di un’altra eminentissima dinastia, intimamente
associato alle memorie eroiche delle persecuzioni e all’esemplarità acquisita dalla vicenda
valdese in tutta l’Europa protestante.22 L’identità sociale dell’élite valdese si definisce
dunque fondamentalmente attorno al nesso chiesa-comunità. I Bert restano però una
parentela ‘laica’, dedita alle occupazioni di natura commerciale e a operazioni finanziarie
connesse con la fiscalità sabauda.23
Il mondo dei debitori
Circuiti valdesi
Veniamo ora all’attività dei Bert sul mercato della terra. Essa si risolve quasi
esclusivamente in acquisti: 78, per un valore totale di 6388 lire, contro soltanto 11 vendite,
pari a 814 lire.24 Le transazioni riguardano beni dalle destinazioni produttive più varie e la
gamma dei valori è parimenti molto ampia. Nell’85% dei casi, gli acquisti servono a
compensare prestiti concessi ai venditori. Sei delle vendite sono in realtà, formalmente o di
fatto, retrovendite. In questa vasta ma dispersa attività acquisitiva non è dato ravvisare una
chiara logica di investimento fondiario. Un principio alternativo di coerenza nell’azione dei
l’elenco dei carichi e delle spese cui era andata soggetta la comunità nel suo insieme nell’anno conclusosi
(“scaricamento comune”). Un’ultima parte del conto elencava alcuni capitoli di spesa particolari a ciascuna
delle due comunità religiose (“conto particolare dei cattolici” e “conto particolare dei religionari”), che
doveva farvi fronte a proprio esclusivo carico: la taglia sul “registro” intestato alla parrocchia cattolica e alla
chiesa valdese, le spese per il culto (che nel caso dei valdesi comprendevano lo stipendio del pastore e le
somme destinate all’organizzazione dei sinodi) e per l’istruzione.
22
Il bisavolo di Elisabetta è infatti Jean Léger (Villasecca 1615-Leida 1670), il più fortunato degli storiografi
e agiografi valdesi; moderatore dal 1653, fu il leader della resistenza valdese durante la “primavera di sangue”
del 1655 e negli anni che seguirono. Condannato a morte, esulò dapprima a Ginevra e poi a Leida, dove nel
1669 pubblicò la celebre Histoire générale des Eglises Evangéliques des Vallées du Piémont ou Vaudoises
(cfr. Armand, Hugon, 1974, pp. 92-93 e 103-106). Il figlio di Giovanni, Davide, nonno di Giovanna
Elisabetta, vicemoderatore, fu arrestato nel 1686 e detenuto fino al 1690 nella fortezza di Verrua (cfr. ibid., p.
148). Il nonno di Jean, il pastore Antoine Léger, nel 1628, su indicazione della chiesa ginevrina, era stato
inviato a Costantinopoli in qualità di cappellano presso l’ambasciata olandese, allo scopo di allacciare rapporti
con il patriarcato greco-ortodosso (cfr. ibid., p. 60). Un altro personaggio piuttosto noto in questa discendenza
fu il pastore ginevrino Michel Léger, punto di riferimento internazionale essenziale per le chiese valdesi negli
anni Trenta del secolo XVIII, in particolare come tramite per la distribuzione di aiuti finanziari provenienti
dalle chiese protestanti europee, anzitutto quelle vallone delle Provincie Unite (cfr. Pons, 1930). Al tempo del
matrimonio di Elisabetta, le ultime tre generazioni dei Léger, rappresentate dallo stesso Davide, dal padre
Giacomo e dal nonno Davide, avevano retto quasi ininterrottamente dalla Rentrée la chiesa di Villasecca. (cfr.
Pons, 1948, pp. 308-309).
23
Il primo pastore di cognome Bert documentato nelle Valli valdesi dopo la Rentrée è Pietro figlio di
Giacomo, nato a Pramollo (bassa Val Chisone) intorno al 1745, che servì le chiese di Rorà e Bobbio Pellice
dal 1765 alla morte, nel 1785. Ignoro tuttavia l’eventuale legame di parentela con i Bert di Riclaretto (cfr.
Pons, 1948, p. 289).
24
Quando non è specificato altrimenti, i dati sugli acquisti e sulle vendite presentati escludono le transazioni
che intervengono fra i membri dei segmenti familiari di cui si ricostruisce l’attività sul mercato.
109
Bert va però cercato non tanto in ciò che acquistano, ma piuttosto nel tipo di rapporto
socioeconomico intrecciato con i soggetti dai quali comprano.
Buona parte dell’universo sociale, cattolico e valdese, di Faetto è rappresentato nelle
loro transazioni. Se scarsamente presente è la scarna élite25 dei notabili, gli imparentati
Léger e Jahier,26 più numerosi figurano ad esempio gli esponenti di un milieu contadino
prevalentemente valdese, apparentemente agiato e dotato di un certo prestigio di fronte alla
comunità. I valori delle transazioni stipulate con i Bert dagli appartenenti a questo strato
socioeconomico sono mediamente piuttosto elevati. La loro partecipazione al mercato
sembra giostrare in maniera serrata fra urgenze di accesso alla liquidità affrontate mediante
il ricorso a prestiti a breve termine e compensazioni legate a successioni e divisioni
patrimoniali che coinvolgono una complessa trama di rapporti creditizi. In termini
monetari, i loro bilanci individuali tra acquisti e vendite sono spesso abbastanza
equilibrati,27 ma talvolta, anche pesantemente, negativi.28 Quasi tutti portano nomi
25
Uso il termine élite “in senso descrittivo”, a designare un segmento dei “detentori locali del potere, del
prestigio e delle risorse strategiche” (cfr. Torre, 1983, pp. 13-14). I ruoli di élite in una comunità contadina
‘premoderna’ sono generalmente associati all’esercizio di una funzione di mediazione fra la comunità stessa e
le strutture sovralocali che la intersecano (cfr., ad esempio, Tilly, 1976, pp. 66-67 e 86). Nel nostro caso, tra
queste possiamo annoverare chiese, istituzioni e stati protestanti europei, lo stato sabaudo. In situazioni di
questo genere, l’“orizzonte territoriale” degli attori sociali (Pitt-Rivers, 1976, p. 86) non costituisce un
semplice fattore di distinzione culturale con deboli valenze gerarchiche, ma un criterio effettivo di
stratificazione.
26
Nel 1775, Davide Bert acquista un orto dal cognato signor Davide Léger per 40 lire “precedentemente
pagate. Lo stesso anno il cugino Giovanni Bert conclude con il signor Eliseo Jahier un affare invece
indubbiamente cospicuo: passa infatti nelle sue mani una proprietà accorpata, comprendente un “corpo di
casa”, un orto, un campo e un prato, del valore di 312 lire. Di queste, 86 sono destinate a rifondere due
creditori dello Jahier, 162 vengono pagate con la cessione di un credito (verso un cattolico), 63 infine sono
corrisposte in contanti (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 268, c. 187, Compra
per il signor Davide Berto dal signor Davide Legero, 31 gennaio 1775; ibid., vol. 272, cc. 56-57, Compra per
il signor capitano Gio. Berto dal signor Eliseo Giaiero, 21 agosto 1775).
27
I Poetto, ad esempio, sono presenti con due acquisti e tre vendite. Nel 1773, Davide Bert vende a Giovanni
Matteo e al nipote Giacomo una vigna del valore di 150 lire, nel 1775 un campo e un prato a Matteo per 140
lire, entrambe le somme da pagarsi in futuro. Allo stesso Davide Bert, i fratelli Filippo e Matteo cedono nel
1774 alcuni appezzamenti di campo e di prato per 166 lire interamente pareggiate con la remissione di debiti
verso il compratore; nel 1775 il solo Filippo vende una stalla “con grangia” per 81 lire ricevute in contanti;
infine, lo stesso anno Matteo aliena un bosco di roveri per 65 lire rimborsate a creditori terzi del venditore. I
Macello concludono con i Bert due acquisti: nel 1742, in solido, comprano un appezzamento di vigna da
Antonio Bert per 47 lire pagate in contanti; Francesco, nel 1744, acquista un’altra vigna da Davide Bert per
125 lire con promessa di pagamento in futuro. Quanto ai cattolici Bertalmio, essi intervengono con due
acquisti e due vendite. Pietro fu Giacomo, ottiene nel 1764 un complesso costituito da un prato, una broa, un
gerbido e una bessea da Davide Bert per 115 lire da pagarsi in futuro; Giacomo fu Antonio, una vigna dal
capitano Giovanni Bert nel 1769 per 50 lire in contanti. Pietro fu Giacomo vende nel 1775 un denaro di
registro sull’Alpe della Balma per 10 lire “precedentemente pagate” a Davide Bert; sempre nel 1775 e al
medesimo compratore, Antonio fu Giacomo, aliena casali, prati e vigne riscattabili entro tre mesi per un
valore di 250 lire immediatamente ricevute in contanti (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San
Secondo, vol. 258, c. 499, Compra per messer Gio. Matteo e Giacomo zio e nipote Poetti dal signor Davide
Berto, 15 marzo 1773; ivi, vol. 272, cc. 661-663r, Retrovendita signor Davide Berto a messer Matteo Poetto,
20 ottobre 1775; ibid., vol. 267, cc. 572-573, Compra signor Davide Berto dalli fratelli Poetti, 1 dicembre
1774; ibid., vol. 273, cc. 18-19r, Compra per il signor Davide Berto da Filippo Poetto, 20 ottobre 1775; ibid.,
cc. 22-23, Compra per il signor Davide Berto da messer Matteo Poetto, 28 ottobre 1775; ibid., vol. 177, cc.
56v-57v, Compra per li fratelli Macelli da Berto, 8 aprile 1742; ibid., vol. 263, cc. 410-411, Compra per
110
preceduti dall’appellativo “messere”29 e si ritrovano spesso fra gli anziani del concistoro
della chiesa di Villasecca, i sindaci e i consiglieri della comunità di Faetto, gli esattori della
taglia. Queste famiglie e i Bert si incontrano dunque su due terreni fondamentali: i ruoli
‘laici’ all’interno delle istituzioni ecclesiastiche valdesi; le attività e gl’interessi che
gravitano intorno all’amministrazione di comunità e all’esazione fiscale.30
Prendiamo il caso di Tommaso Ferrier e dei suoi figli. Messer Tommaso (m. 1773) è
consigliere e poi sindaco della comunità di Faetto intorno alla metà del secolo.31 La sua
presenza sul mercato della terra, documentata dal 1733, è caratterizzata inizialmente da una
messer Francesco Macello dal signor Davide Berto, 26 febbraio 1774; ibid., vol. 226, c. 385, Vendita signor
Davide Berto a favor di messer Pietro Bertalmio, 9 maggio 1764; ibid., vol. 240, c. 302, Compra per
Giacomo Bertalmio dal signor capitano Gio. Berto, 17 marzo 1769; ibid., vol. 270, c. 324, Compra per il
signor Davide Berto da messer Pietro Bertalmio, 27 aprile 1775; ibid., vol. 272, cc. 62v-63v, Compra per il
signor Davide Berto da Antonio Bertalmio, 21 luglio 1775).
28
Sembra questa la condizione di una ventina di contraenti: messer Tommaso Ferrero (Ferrier) fu Giovanni e
i suoi quattro figli; messer Giovanni Giorgio (Jors) fu Giacomo (m. 1761) e due suoi figli; Filippo Poetto fu
Giacomo (m. 1749), anziano della chiesa di Villasecca; alcuni fra i numerosi figli e nipoti di messer Pietro
Reforno (Refourn) fu Giovanni (m. fra il 1743 e il 1746), anch’egli anziano, oltre che consigliere della
comunità di Faetto nel 1742 e nel 1743, in particolare il figlio Giovanni (m. 1772), a sua volta anziano e
consigliere nel 1761 e nel 1762, sindaco nel 1763; Tommaso Viglielmo (Villelm) del fu capitano Tommaso
(m. 1772), “soldato nel Reggimento della Regina”, e il figlio.
29
In società come quella di cui ci stiamo occupando, “i contadini non hanno titolo di sorta, se non nel caso che
posseggano una proprietà relativamente ampia” (Levi, 1985c, p. 60).
30
È possibile ricostruire l’identità degli esattori locali della taglia e dei “gabellotti” del sale attraverso gli
ordinati comunali di Faetto copiati nei registri dell’insinuazione – oltre che dai “conti della taglia”, dalle
“deputazioni di gabellotto” e dalle “deliberazioni della taglia” (i verbali dell’assegnazione in appalto della
distribuzione locale del sale, nel primo caso, e della riscossione delle imposte prediali e personali, nel
secondo). Come indice del livello di ricchezza di questa seconda cerchia di debitori, possiamo valerci
dell’entità media delle doti ricevute dalle donne appartenenti ai loro lignaggi, oscillante tra le 200 e le 400
lire. Per situare quest’ordine di grandezza entro la gamma dei valori locali, è possibile un confronto con
l’ammontare delle doti stipulate nel periodo 1695-1775, in cui troviamo, in particolare, un indizio della netta
divaricazione dei livelli di ricchezza che separa le due componenti religiose di Faetto: basti qui rilevare che il
60% delle doti assegnate a donne cattoliche non supera le 50 lire, contro una percentuale corrispondente del
34,7 fra quelle destinate alle valdesi. La dote di entità più elevata di cui abbiamo notizia è quella di 650 lire
legata a Giovanna Elisabetta Léger dal padre nel suo testamento del 1772; la più cospicua fra le doti cattoliche
raggiunge invece le 310 lire. Il valore medio delle doti risulta eguale a 58 lire fra i cattolici e a 115 lire fra i
valdesi. Come si è detto, tra coloro che si possono identificare con maggior sicurezza come appartenenti a uno
strato superiore di matrice contadina, troviamo più spesso valdesi: ad esempio, i discendenti del “capitano”,
ma soltanto “messere” e analfabeta, Matteo Poetto fu Giacomo (m. 1765), cinque volte sindaco fra il 1740 e il
1754, appaltatore dell’esazione della taglia ininterrottamente dal 1756 al 1760: i figli Filippo (m. dopo il
1775), Giovanni Matteo (m. dopo il 1775), Matteo (n. 1735 – m. dopo il 1775), il nipote Giacomo (n. 1754 –
m. dopo il 1775), figlio del figlio Antonio (m. 1765); i fratelli Macello, Antonio (m. 1762) e Francesco (m.
dopo il 1775) – quest’ultimo, sindaco nel 1760 e nel 1774, cinque volte consigliere fra il 1757 e il 1773,
esattore nel 1761 e poi nuovamente nel 1765, 1767, 1770-1772. I genitori di questi ultimi, Tommaso (ca.
1664-1744) e Caterina Peironella (Peyronel), m. dopo il 1734, erano entrambi “relapsi” secondo l’inchiesta
del 1725; il padre tornò successivamente al cattolicesimo, mentre la madre rimase probabilmente valdese sino
alla morte. A queste parentele valdesi, possiamo aggiungerne una cattolica: quella di Giacomo Bertalmio fu
Antonio (1740-1781) e dei cugini patrilaterali Pietro (1733-1802; esattore nel 1772, 1773 e 1775) e Antonio
(1744-dopo il 1776; esattore nel 1774) figli del fu Giacomo. I loro genitori risultano in vari momenti sindaci e
consiglieri, oltre che anch’essi esattori della taglia.
31
Consigliere nel 1749 e nel 1750; sindaco nel 1751.
111
serie quasi ininterrotta di acquisti, due dei quali a rimborso di vecchi crediti paterni.32 Dalla
fine degli anni Quaranta, intervengono però sempre più fitte le vendite,
contemporaneamente al succedersi dei matrimoni dei non pochi figli, quattro maschi e tre
femmine, che hanno raggiunto l’età adulta. Nel 1767, i quattro figli maschi di Tommaso
ottengono l’emancipazione, dichiarando di essere stati “a causa del mal regime sin qui
avuto et de debiti in conseguenza mal a proposito contratti [...] forzati d’abbandonar il
medemo [scil.: loro padre] e suoi beni per procurarsi con i loro travaglj et industria qualche
avanzo pel loro sostentamento”. Sotto accusa sono “li spropositi e gravi dispendi che
malamente fa il medemo a segno tale che loro travaglj non ponno congiontamente a redditi
de beni d’esso suplire al pagamento degl’interessi de come sovra contratti debiti et de
despendj che va continuamente facendo e di detto suo mal regime”. Il padre, che “pur tropo
conosce il mal regime sin qui avuto de suoi affari”, dichiara a sua volta di volersi ritirare,
cedendo ai figli l’intero suo patrimonio, in cambio del ripianamento dei debiti e di una
pensione annua “proporzionata al suo stato e qualità con le robbe che li saranno necessarie
per suo vestimento e calciamento”.33
A pochi mesi di distanza, nel febbraio 1768, lo stesso Tommaso Ferrier e il figlio
Giovanni, anche a nome dei fratelli, fanno il punto con Davide Bert sulla situazione
debitoria della famiglia. Ne scaturisce un documento in qualche modo unico, in quanto ci
trasmette un’idea concreta della lunga e variegata interazione economica che può celarsi
dietro un singolo contratto di vendita di terra. Ad esso sono state infatti allegate le copie di
numerose scritture private intercorse fra Tommaso Ferrier e Giovanni Bert, il defunto padre
di Davide, o lo stesso Davide, che trascrivono senza la formalità dell’atto notarile accordi e
transazioni di varia natura. Si tratta, in particolare, di quietanze rilasciate dai Bert per
32
Di 144 e 120 lire (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 155, cc. 545v-546v,
Compra per Tomaso Ferrero da Francesco Tessor, 15 febbraio 1734).
33
Ibid., vol. 236, cc. 48-50, Emancipazione messer Tomaso Ferrero a favor de suoi figlioli Gio., Pietro,
Tomaso et Antonio, 3 novembre 1767. L’emancipazione era un atto di volontaria giurisdizione. Nell’antico
diritto italiano le formalità del suo compimento erano particolarmente rigide, costituite da parole e gesti
altamente ritualizzati. La cessione di una parte del patrimonio familiare all’emancipato vi era usualmente
associata (praemium emancipationis) e si configurava quasi come una successione anticipata. Anche
l’assunzione dei debiti contratti in precedenza dall’emancipante da parte dell’emancipato sino alla
concorrenza del valore dei beni ricevuti in praemium,- nel nostro esempio presentata come una condizione
posta dal padre all’emancipazione stessa, era in genere prevista allo scopo di tutelare i diritti dei creditori. Se
esteso a tutti i figli, il meccanismo perciò conduce allo spossessamento e al ritiro paterni. L’eventualità che il
padre si rivelasse dissipator bonorum suorum era una di quelle previste per l’emancipatio coacta, la forma
cioè che non richiedeva il suo assenso. Nel nostro caso non si giunge a tanto e una situazione descritta in
termini simili è così risolta consensualmente (emancipatio spontanea). La dottrina sottolineò comunque
sempre l’elemento della voluntas del padre nell’abbandono – considerato un evento straordinario, un mezzo
estremo o eccezionale – di quella che era concepita come una potestà naturale e vitalizia sulla propria
discendenza (cfr. Pertile, 1966, vol. III, pp. 381-385; Bellomo, 1965; Alberti, 1934, pp. 76-80). A Faetto
(1731-1775), oltre a quello citato, si contano quattro atti di emancipazione, compiuti da tre padri verso sette
loro figli. Nel 1769, ad esempio, messer Giovanni Poetto, “in età avanzata e non più capace al travaglio di
campagna”, si ritira in cambio di una pensione assicuratagli dai figli che ha appena emancipato (Asto, Sezioni
riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 165, cc. 176v-177r, Emancipatione per Antonio Bertalmio
da Pietro Bertalmio suo padre di Faetto, 26 giugno 1736; ibid., vol. 167, c. 23, Emancipatione per Pietro
Legero da Tomaso suo padre, 12 giugno 1737; ibid., vol. 229, c. 161, Emancipazione per Matteo Poetto da
Gio. suo padre, 21 maggio 1765; ibid., vol. 240, cc. 294-296, Emancipazione messer Gio. Poetto a favor de
suoi figlioli Giacomo, Gio., Antonio e Filippo, 7 marzo 1769). Tommaso Ferrier è vedovo dal 1759.
112
somme ricevute dal Ferrier a titolo d’interessi dovuti; di carte attestanti acquisti a credito di
capi di bestiame; di documenti che registrano la ripetuta concessione allo stesso Ferrier di
prestiti in denaro; di un contratto di soccida.34
Il debito dei Ferrier verso Davide Bert ammonta a 363 lire, compensate con la cessione
di alcuni fondi riscattabili entro 10 anni dall’alienazione. Nel frattempo, ai venditori viene
consentito l’usufrutto mediante il pagamento dei carichi fiscali gravanti sui beni ceduti e la
corresponsione all’acquirente di un interesse annuo del 4%.35 Un lieve miglioramento nella
situazione dei Ferrier, di cui costituisce un piccolo segno il riacquisto di alcuni
appezzamenti precedentemente alienati, sembra seguire all’avvento dei figli di Tommaso. Il
periodo di osservazione residuo (1768-1775) è però troppo breve per poter giudicare se un
assestamento venga realmente conseguito e sanato il dissesto ereditario. È vero comunque
che le vendite proseguono, ma il loro ritmo rallenta. Gli acquirenti sono esclusivamente
valdesi e talvolta appartengono a famiglie con le quali è intercorso negli anni precedenti un
intenso scambio matrimoniale.36
34
I capi di bestiame acquistati a credito sono un montone nel 1761 per 4 lire, un manzo nel 1764 per 15 lire; i
prestiti in denaro ricevuti: 67 e poi 36 lire nel 1744, 23 lire nel 1751, 35 lire nel 1753, 45 lire nel 1758, 40 lire
nel 1759, 62 lire nel 1766.
35
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 237, cc. 51-54r, Compra per il signor
Davide Berto da messer Tomaso e Gio. padre e figliolo Ferreri, 9 febbraio 1768. Il contratto di soccida, “una
scrittura di mezzo incrasso o sia partiaria”del 1758, l’unico di cui si trova menzione nelle nostre fonti notarili,
è così riportato nel documento: Tommaso Ferrero vi dichiara di “haver presso dal signor Davide Berto fu
Giovanni una vacha pregnante con una manza di anni due circa tutte due di pello castagno a mezzo incrasso
per anni quattro a venire, dette bestie stimate del valore di lire 55 regie di Piemonte e [...] promette di tenire
dette bestie con quelle che nasceranno dalle sudette e da buon padre di fameglia, di nutrire tutti li allevi, che
nasceranno dalle sudette bestie, et alla finitura di detti anni quattro detto signor Berto preleverà la sudetta
somma di lire 55, et il più valore che saranno stimate dette bestie si partiranno mettà caduno et se in caso che
venie a perdisse qualque una delle sudette bestie per disgracia la perdita sarà tutta del sudetto Ferrero”.
36
Quest’ultimo, riveste alcune tipiche forme incontrate a più riprese nella ricostruzione delle famiglie locali.
Grazie soprattutto ai lavori di Raoul Merzario e di Gérard Delille (Merzario, 1981; Delille, 1988), sappiamo
che si tratta di meccanismi complessi di alleanza matrimoniale in grado di strutturare durevolmente il campo
della parentela e con esso i processi di riproduzione sociale. Alla base del loro operare si trovano regole
fondamentali di reciprocità e una simbiosi profonda con il sistema di circolazione delle risorse. Il 21 marzo
1746 si celebrano i matrimoni di Giovanni e Anna Ferrier di Tommaso con Maria e Tommaso Refourn
(Reforno) di Pietro; la stessa situazione si ripresenta il 6 dicembre 1751, quando Pietro Ferrier sposa
Giovanna Refourn, mentre una sorella di Pietro, Maria, si unisce a un fratello di Giovanna, Giacomo.
Riconosciamo in queste due repliche identiche di doppia unione fratello-sorella/sorella-fratello un tipo
ampiamente diffuso di scambio matrimoniale ristretto, implicante cioè una reciprocità diretta e rapida nella
cessione di spose fra due gruppi patrilineari. Il risultato è quello di abolire di fatto lo scambio effettivo delle
doti. La contemporaneità delle cerimonie nuziali è un elemento caratteristicamente associato a questa e ad
altre combinazioni che seguono una logica analoga. La strategia di alleanza preferenziale tra le “fratrie”
Ferrier e Refourn si conclude tuttavia con un caso di scambio generalizzato, ossia mediato dall’intervento di
un terzo gruppo familiare. Nel 1755, infatti, Tommaso Ferrier (n. 1732) sposa Anna Refourn (n. 1735); l’anno
seguente, Giovanna Ferrier (n. 1733) sposa Giovanni Guillelmet (Guglielmetto) di messer Pietro (n. 1733);
infine, nel 1761, Anna Guillelmet, sorella di Giovanni (n. 1741) si unisce a Davide Refourn (n. 1739). Invece
di attenersi a un modello di restituzione duale e immediata, i gruppi familiari si impegnano qui nell’attuazione
di uno schema tripolare e indiretto, nel corso del quale dapprima i Refourn cedono una donna ai Ferrier e
questi, a loro volta, cedono una loro donna ai Guillelmet, i quali, chiudendo il cerchio, ne cedono una ai
Refourn.36 Non sarebbe corretto pretendere di spiegare in maniera soddisfacente il significato di questa scelta
isolandola da una storia di alleanze matrimoniali plurigenerazionale e dipanatasi entro un campo genealogico
rilevante composto da diverse catene di discendenza, che è destinata a rimanere sconosciuta. La semplicità e
113
Il potenziale residuo di prestigio, di risorse materiali e relazionali che famiglie come i
Ferrier sono in grado di mobilitare non è tuttavia così esile da consegnarle ad un sostegno
puramente ‘assistenziale’ da parte dell’élite, mentre lascia ancora aperta la possibilità di
imbastire con gruppi di pari status trame solidali di mutuo sostegno e, in particolare, di
scambio matrimoniale improntato a forme di reciprocità che neutralizzano il pagamento
effettivo delle doti. Questa resilienza e contemporaneamente alcuni rischi specifici di
sovraesposizione e instabilità economica sono connessi ai ruoli pubblici svolti all’interno
della comunità valdese e soprattutto nelle comunità amministrative, con le loro
responsabilità e i loro addentellati fiscali. Il rapporto con i Bert assicura all’ambiente
sociale rappresentato dai Ferrier le garanzie di solvibilità necessarie per adempire a questi
ruoli cruciali, attraverso i quali si consolidano il radicamento territoriale della minoranza
valdese e il suo potere negoziale nei confronti dello stato sabaudo.
Famiglie cattoliche sulla via dell’emarginazione?
L’apporto dei cattolici al volume numerico e monetario degli acquisti compiut dai Bert è
però assai più sostanzioso di quello dei valdesi, concretandosi in 52 acquisti (pari al 66,7%
del loro numero totale) per 4029 lire (il 63,7% del valore complessivo). L’inverso accade
per le vendite: 7 vendite a favore di valdesi (il 63,6% del numero totale) per 603 lire (il
74,1% del loro valore). I Bert controllano una quota assolutamente preponderante del
settore ‘interconfessionale’ del mercato: i loro acquisti dagli abitanti cattolici di Faetto
equivalgono a oltre la metà (il 53,2%) del valore totale della terra venduta da questi a
forestieri (in maggioranza valdesi, come sappiamo) e a oltre un quarto del valore ottenuto
sommandovi le vendite a beneficio di coresidenti valdesi (26,6%).
I Bert realizzano il maggior volume di acquisti da alcune famiglie apparentemente
segnate da un disagio economico profondo e irreversibile. In quest’area si concentra infatti
il 50,0% del numero, pari al 40,1% del valore, di tutti i loro acquisti; non vi compare invece
una sola vendita. Il 73,7% del valore di queste transazioni è destinato alla cancellazione di
debiti dei venditori, il 24,9% è pagato in contanti al momento dell’acquisto, all’1,4% infine
corrispondono i pagamenti differiti.
Alcune di queste famiglie compaiono nelle liste di convertiti compilate dai cappuccini
della missione di Perrero nell’ultimo quarto del secolo XVII. I Grosso,37 ad esempio, di cui
la rapidità del ciclo in cui essa si risolve giustifica comunque l’ipotesi che sia stata, almeno in parte, suggerita
dal divario di età fra l’ultima nata dei Ferrier, Giovanna, e l’ultimogenito di Pietro Refourn, Davide, una
circostanza che avrebbe reso difficile rispondere in termini di reciprocità diretta al matrimonio di Tommaso
Ferrier con Anna Refourn. Da questo punto di vista, i fratelli Giovanni e Anna Guillelmet, in virtù delle loro
caratteristiche anagrafiche, hanno assicurato una preziosa funzione di cerniera demografica tra i Ferrier e i
Refourn.
37
Alla data del 1679, troviamo le conversioni di Caterina Manciona vedova di Giovanni Grosso (51 anni), dei
figli Valerio (29 anni), Marta (15 anni) e Giovanni, di 12 anni (Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo,
Valdesi professanti la R.P.R., m. 95, fasc. s. n., Nota de Cattolizati da PP. Missionarij Capuccini nella Val di
S. Martino dall’anno 1679 sin al presente, 3 marzo 1681, c. 127r). Maria sarà una delle due ragazze di Faetto
ammesse alla Casa di rifugio istituita presso l’Albergo di virtù (Asto, Sezioni riunite, Senato di Pinerolo,
Valdesi professanti la R.P.R., m. 95, fasc. s. n., Nota delle figlie destinate per la Casa di Rifuggio stabilita da
M.R. in Torino, s.d., c. 252r). Gli estratti delle quote di estimo catastale delle terre di Faetto intestate a
cattolici e “cattolizzati”, compilati a istanza del Monte domenicale di Perrero per gli anni 1679-1684,
114
il notarile conserva 44 transazioni effettuate fra il 1731 e il 1775: un solo acquisto per un
valore di 134 lire e ben 43 vendite (per 1820 lire). Quell’unico acquisto rappresenta il
ricupero nel 1766, grazie a un prestito ottenuto dalla Regia opera dei prestiti, di alcuni
appezzamenti ceduti l’anno precedente ad acquirenti valdesi di Prali, in pagamento di debiti
contratti più di dieci anni prima.38 Quanto alle vendite, gli acquirenti maggiori dei Grosso,
oltre ai Bert, presenti con 12 acquisti per un valore di 538 lire, sono appunto valdesi di
Prali.39 Quando li ritroviamo nella documentazione notarile settecentesca, i Grosso
sembrano aver smarrito ogni residuo della relativa solidità economica che apparentemente
li caratterizzava ancora alla fine del secolo precedente.
Una parabola simile sembrano aver percorso i Toya. Incontriamo il cognome per la
prima volta in un elenco di cattolici e convertiti di Faetto compilato nel luglio 1686. La
famiglia è giunta a Faetto da un’area prossima del Delfinato; accanto ai due nuclei di cui
attribuiscono agli “eredi del fu Giovanni Grosso” un imponibile di 2 lire, 16 soldi, 2 denari, 2 punti esattoriali.
Il “registro” di Faetto si compone di 127 lire poiché la ripartizione originaria del tasso ha gravato la comunità
di un contingente pari a 127 scudi d’oro. Ai cattolici e “cattolizzati”, che annoverano 56 intestatari di partite
catastali nel 1679 e 80 nel 1684, spettano negli stessi anni fra le 53 e le 59 lire. Lo spettro dei valori
individuali va da 2 denari a circa 4 lire, la metà di essi situandosi oltre 1 lira, il resto visibilmente addensato
attorno ai 10 soldi (Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 584, fasc. s. n., Atti de Conti seguiti sovra l’ammontare
de debiti ducali e millitari portati nel corrente anno 1679 dalli registri tenuti da Particolari Cattolizati della
Valle San Martino et Communità di Faetto, Manelia, Bovile, San Martino, Chiabrans, Macello, Riclaretto,
Salsa, Prali, Rodoretto et Traverse, 18 novembre 1679, c. 23v; ibid., fasc. s. n., Liste nelle quali sono descritti
li Particolari Registranti Cattolizati nella Valle di S. Martino, con il conto dell’ammontare de tasso, sussidio
e grano del general comparto per li registri da medemi posseduti nell’anno corrente 1681, 28 settembre
1681, cc. s. n.; ibid., fasc. s. n., Notta del registro posseduto dalli Particolari Catolizati delle Comunità della
Valle S. Martino infrascritte sì et come si vede dalli Cattastri di dette respettive Comunità, 8 dicembre 1682,
cc. s. n.; ibid., fasc. s. n., Notta del registro posseduto dalli Particolari Cattolissati delle Comunità della Valle
di S. Martino nel corrente anno 1683, 10 ottobre 1684, cc. s. n.; ibid., fasc. s. n., Notta delli Cattolizatti con li
luoro respettivi registri et carighi dalli medemi descritti nel corrente anno 1684, s.d., cc. s. n.). Nel 1686
Valerio Grosso è morto; insieme alla madre e al fratello vivono la vedova, Anna (30 anni), e i tre figli
Giovanni (6 anni), Giacomo (5 anni) e Pietro, di 3 anni (Asto, Sezioni riunite, Sez. II, art. 567, fasc. s. n.,
Consegna delle famiglie delli Cattolici, Cattolizati, & sottomessi in tempo habile delli Luoghi, et territorij
della Valle di S. Martino, fatta li 14, 15 & 16 Luglio 1686, p. 17). La consegna del 1698 menziona un solo
Grosso, Giovanni, a capo di un nucleo formato da cinque persone, una delle quali minore di 5 anni, e
comprendente un servitore. Possiede allora 4 bovini e 12 pecore e/o capre (Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art.
531, Atti di consegna, cit.) Da un documento dello stesso anno apprendiamo che il suo imponibile ascende a 2
lire, 15 soldi, 5 denari, mezzo punto (Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 559, fasc. s. n., Ricavo di tutto il
registro tenuto et posseduto dalli Cattolici e Cattolizatti della presente Valle di S. Martino nell’anno corrente
1698, 8 gennaio 1699, c. 5v), molto simile dunque a quello posseduto una ventina di anni prima dagli eredi
Grosso. Nei registri parrocchiali di Trossieri compare la probabile discendenza di quest’ultimo, mentre non è
presente alcun cognome identificabile con “Grosso” sul registro della chiesa di Villasecca.Figurano attivi sul
mercato della terra: i fratelli Giovanni Sebastiano (m. 1767), Pietro (c. 1704-1734), Claudio (c. 1710-1740),
Giovanni Michele (1713-1736) fu Giovanni; i figli di Giovanni Sebastiano, Giovanni Battista (1725-1778) e
Giacomo (1722-dopo il 1774); i figli di Claudio, Giovanni (1733-dopo il 1776) e Claudio (1737-1773).
38
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 232, cc. 73-74, Retrovendita frattelli
Bergeri a Gio. Sebastiano Grosso, 19 agosto 1766; ibid., vol. 229, cc. 236-237r, Dazion in paga Gio
Sebastiano Grosso alli frattelli Bergeri di Pralli, 10 luglio 1765. La Retrovendita del 1766 costituisce l’unica
traccia dell’attività dell’Opera dei prestiti conservataci dal notarile di Faetto.
39
Ibid., vol. 265, c. 209, Compra fratelli Bertalmio da Gio. Grosso, 11 luglio 1774.
115
allora si compone è infatti annotato: “tutti d’Abriès peccorari residenti a Faetto”.40 Nella
consegna del 1698, Pietro Toya è l’abitante di Faetto con il gregge di ovini di gran lunga
più numeroso: 45 capi.41 Le greggi sembrano costituire tutta la loro ricchezza, almeno a
Faetto, poichè il Ricavo dei beni posseduti da cattolici e “cattolizzati” della comunità, che
reca anch’esso la data del 1698, non menziona invece i Toya.42 Dagli atti notarili esaminati
non si ricava alcuna informazione sulle doti assegnate alle donne della famiglia; troviamo
solo traccia di una dote portata nella famiglia, di cifra assai modesta (15 lire).43
I Toya, come i Grosso, partecipano al mercato della terra quasi unicamente nella veste di
venditori: ben 29 alienazioni per un valore complessivo di 918 lire contro appena 2
acquisti, per 36 lire.44 La quasi totalità delle vendite (26, per 803 lire) sono dirette a
forestieri, assai probabilmente valdesi: in primo luogo i Bert, che effettuano 10 acquisti per
un valore complessivo di 315 lire; poi, con 16 acquisti per 488 lire (delle quali, il 49,1%
compensato con l’estinzione di debiti dei venditori e il rimanente pagato in contanti
all’acquisto), un folto gruppo di compratori provenienti soprattutto da Prali (valdesi
accertati o probabili). Alcuni prezzi di vendita sono pagati in granaglie.45 Due vendite
infine vanno a beneficio della Congregazione di carità della parrocchia di Trossieri, con
40
Il cognome Toya vi contraddistingue appunto due nuclei: il primo, composto dai coniugi Chiaffredo (30
anni) e Susanna (22 anni), dal loro figlio Claudio di 8 mesi e da Claudio Garro, fratello di Susanna (18 anni);
il secondo, da Sebastiano (50 anni), dalla moglie Delfina (45 anni), dai figli Claudio (24 anni), Pietro (17
anni), Maria (14 anni) e Giovanni, di 8 anni (Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 567, Consegna delle famiglie
delli Cattolici, cit., pp. 2-3).
41
Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 531, Atti di consegna, cit. Nella consegna del 1698 sono censiti due “capi
di casa” di nome Toya, probabilmente i figli maggiori di Sebastiano e Delfina: oltre a Pietro, a capo di una
famiglia composta da quattro persone (due maggiori, fra le quali un servitore, una minore di cinque anni e un
lattante), Claudio, con una famiglia di tre persone (due maggiori e una minore di cinque anni). Il bestiame di
Claudio è costituito da un bovino e da otto pecore e/o capre.
42
Asto, Sezioni riunite, Sez. III, art. 559, Ricavo di tutto il registro, cit., cc. 5-6r. Almeno nei primi decenni
del Settecento, questa parentela di origine forestiera e di prevalente vocazione pastorale appare ancora
caratterizzata da una certa mobilità Nei registri parrocchiali di Trossieri non ritroviamo infatti Pietro o la sua
discendenza, ma soltanto Giovanni (m. 1752), probabilmente il terzo maschio di Sebastiano, discendenti di
quest’ultimo o di Claudio, del quale sappiamo soltanto che è certamente morto prima del 1723. I cinque Toya
che compaiono sul mercato della terra fra il 1734 e il 1775 sono infatti: Giovanni Sebastiano fu Claudio (c.
1688-1743) e il figlio Giovanni Michele (1735 - m. dopo il 1775); Giovanni Sebastiano (1708-1760) e
Giuseppe Ignazio (1725 – m. dopo il 1775), figli di Giovanni; Giuseppe Antonio (1741 – m. dopo il 1770),
figlio di Giovanni Sebastiano fu Giovanni.
43
Si tratta della dote di Margherita Tron di San Martino (m. 1746), moglie di Giovanni Toya fu Claudio e
madre di Giovanni Sebastiano e di Giuseppe Ignazio: 15 lire versate dal fratello nel 1739, presumibilmente a
oltre trent’anni dal matrimonio e dopo la morte del marito (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San
Secondo, vol. 171, cc. 105v-106, Cessione di raggioni a favor di Gio. Tron Gentino da sua sorella Margarita,
16 giugno 1739).
44
Gli acquisti effettuati dai Toya riguardano una vigna “distrutta quasi senza viti”, ceduta dieci anni prima dal
padre ad Antonio Rostagno fu Filippo di Prali, che Giovanni Sebastiano fu Giovanni riacquista per 14 lire nel
1737 e una “fabrica continente una sola stanza coperta a loze” che Giuseppe Ignazio ottiene nel 1763 da
Tommaso Mancione (cattolico) per 22 lire da corrispondersi in futuro (Ibid., vol. 167, c. 185, Vendita fatta da
Antonio Rostagno a Sebastiano Toya, 7 luglio 1737; ibid., vol. 222, c. 468, Compra per Giuseppe Ignazio
Toya da Tomaso Mancione, 14 marzo 1763).
45
Giovanni Michele fu Giovanni Sebastiano nel 1762 cede un prato ai fratelli Eliseo e Giacomo Giaiero
(Jahier) fu Giacomo per 40 lire, 20 ricevute in denaro contante e 20 in granaglie (Ibid., vol. 221, c. 94,
Compra frattelli Giaieri da Gio. Michele Toya, 6 luglio 1762).
116
facoltà di riscatto esercitabile entro otto anni e, nel frattempo, la concessione in usufrutto al
venditore mediante il pagamento di un canone annuo.46
Diversi esponenti di un settore rurale chiaramente benestante, in primo luogo valdesi
‘forestieri’ e, sebbene in misura minore, cattolici, traggono evidentemente profitto in vario
modo delle difficoltà di famiglie come i Grosso o i Toya. Il rapporto con queste famiglie di
chi ha fatto loro credito è però lontano da poter essere definito come unicamente predatorio.
Il legame apparentemente resistente intrecciato ad esempio con i Bert può essere visto
anche come un parziale rimedio, che attenua la condizione di aleatorietà della loro
sopravvivenza e rallenta un percorso di esclusione. I loro debiti verso alcuni segmenti
dell’élite valdese, inscritti a più riprese nelle carte notarili nel corso degli anni, sono altresì
il segno della loro permanenza in una rete di scambio sociale, non meno effettiva perché
tracciata, come vedremo, dalle necessità pragmatiche della coesistenza e, insieme, della
competizione religiosa.47
46
I beni alienati sono: una vigna, ceduta da Giuseppe Ignazio nel 1754 per 50 lire ricevute alla stipulazione
dell’atto, con facoltà di riscatto esercitabile entro otto anni e, nel frattempo, la concessione in usufrutto al
venditore mediante il pagamento di un canone annuo di 50 soldi; un “piccolo” appezzamento di castagneto,
alienato nel 1758 dal fratello Giovanni Sebastiano per 25 lire “precedentemente pagate”, anche in questo caso
con riserva di riscatto entro otto anni e la concessione in usufrutto a un canone di 25 soldi – corrispondente
dunque come il precedente al 5% del valore del bene venduto (ibid., vol. 205, cc. 917-918, Vendita Giuseppe
Ignazio Toya a favor della Congregazione di Carità di Faetto e Riclaretto, 26 ottobre 1754; ibid., vol. 214,
cc. 578v-579v, Vendita Sebastiano Toya a favor della Congregazione de Trossieri, 8 maggio 1758).
Congregazioni di carità erano state istituite in ogni parrocchia dello stato da Vittorio Amedeo II nel 1717, con
l’incarico di assistervi i poveri. Ne dovevano far parte i feudatari, il parroco, i sindaci in carica e i dodici
maggiori proprietari fondiari della parrocchia. Al loro finanziamento si provvide nel 1719 e nel 1721, con il
trasferimento a esse dei cosiddetti “beni di Santo Spirito”, sui quali si riscuotevano modesti canoni enfiteutici,
sino ad allora gestiti da una apposita “confratria”. All’epoca della creazione della Congregazione di carità, la
gestione dei beni di Santo Spirito, frequentemente oggetto di usurpazioni da parte dei notabili locali, era da
tempo in crisi. Concepita nell’intento di burocratizzare e assicurare alla supervisione dell’autorità centrale i
meccanismi locali del controllo sociale, l’istituzione della Congregazione di carità sortì quasi ovunque esiti
fallimentari (cfr. Torre, 1983, pp. 123-150). Oltre a quelle citate, la Congregazione di carità di Trossieri
compare altre quattro volte negli atti notarili: nel 1735 acquista in due riprese dal notaio Giovanni Battista
Rabbi di Perrero (cattolico) diversi fondi cedutigli alcuni anni prima dal signor Andrea Laurento, valdese di
Riclaretto, per un prezzo totale di 785 lire; nel 1740 le sorelle Clot Varizio, “cattolizzate” di Riclaretto, le
cedono due campi in restituzione di un prestito di 120 lire ottenuto dal teologo Danna “in qualità di diretore
delle elemosine delle Valli”; nel 1743, riceve in donazione dal prevosto di Faetto e Riclaretto, Giovanni
Antonio Nasi di Pamparato, 16 tavole di prato, da questi avute in pagamento dai coniugi Giusteto, convertiti
lusernesi residenti a Faetto, che gli erano debitori di 47 lire (Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San
Secondo, vol. 162, cc. 305-306, Compra per la Molto Reverenda Congregatione di Carità della Parochiale di
Faetto dal signor Gio. Batta. Rabby del Perrero, 1 giugno 1735; ibid., vol. 172, c. 643, Dation in paga per la
Congregatione di Carità di Faetto dalle sorelle Clot Varitie, 13 dicembre 1740; ibid., vol. 180, cc. 454-455,
Compra per il signor Don Nasi dalli giugalli Giusteti con donatione da detto signor Don Nasi alla
Congregatione di Carità de Trossieri, 2 novembre 1743).
47
Che l’indebitamento sia anche un segno di appartenenza a una “comunità sociale” è un punto sottolineato
da Laurence Fontaine. Esso trova conferma nel fatto che coloro che si trovano nelle condizioni più precarie
sono spesso i meno indebitati (cfr. Fontaine, 1994, p. 1383; Fontaine, 2007, p. 84).
117
Il capitale di un’élite
Localmente, le operazioni legate al credito si svolgono all’interno di un reticolo
relazionale particolarmente denso, dove si sovrappongono o intrecciano lealtà e legami
plurimi – derivanti anzitutto dalla parentela e dalla comune appartenenza confessionale. I
criteri di reciprocità di volta in volta applicati non risultano fondamentalmente più rigorosi
al di fuori della cerchia dei correligionari. Le modalità che regolano le transazioni fra
cattolici e valdesi sembrano obbedire a quadri di riferimento consensuali apparentemente
robusti.
Quali logiche, dunque, ispirano gli scambi asimmetrici tra valdesi e cattolici? Per tentare
di chiarire questo punto, torniamo il significato della ricchezza dei Bert. La si può definire
in buona parte una “fortuna di carta”,48 che, a cominciare dalla componente acquistata con
l’eredità Malanot, conta probabilmente un gran numero di crediti inesigibili e diritti su beni
fondiari di scarso valore al di fuori degli abitanti del territorio (se non addirittura di
specifiche sezioni di parentela o vicinato). Essa conferisce egualmente ai suoi detentori una
misura non trascurabile di potere sulla società locale. Da una parte, consente di istituire
rapporti di dipendenza personale che spesso, come abbiamo visto, travalicano il confine
confessionale, dall’altra, di rivendicare diritti di titolarità su numerose terre della Val San
Martino, anche se, in molti casi si tratta di una titolarità solo nominale, che ha scarse
possibilità di trasformarsi in un possesso effettivo in tempi brevi.
Probabilmente, una parte di questi diritti si riferisce anzi a eredità contestate, a terre la
cui situazione proprietaria è rimasta irrisolta in seguito alla scomparsa di intere famiglie nel
gorgo della persecuzione del 1686-1689 e alla conseguente disarticolazione delle catene
successorie. Tuttavia, all’indomani della Rentrée, con l’editto di ristabilimento del 1694, lo
stato sabaudo, sotto la pressione delle potenze protestanti, ha dovuto riconoscere
definitivamente i diritti di possesso dei valdesi sulle terre da loro occupate.49
I diritti accumulati dai Bert costituiscono dunque, da subito, una risorsa importante per
l’interlocuzione con lo stato sabaudo, la cui fiscalità ha una base fondiaria rafforzata dalla
recente Perequazione generale del Piemonte, conclusasi nel 1730,50 oltre che un relais
indispensabile nelle amministrazioni locali. Poter contare su una solida élite locale in grado
di assicurare, attraverso la sua influenza e soprattutto le sue anticipazioni di denaro ai
48
Fontaine, 2008, p. 299: “toute la société est bien prise dans les logiques de la dette et... la fortune des élites
est d’abord une fortune de papier, dont les bases sont économiquement très volatiles et très sensibles aux à
coups de la conjoncture”. La sovraesposizione debitoria è strutturale e priva in buona parte i titoli di credito di
una qualsiasi base che non sia puramente fiduciaria, contribuendo in tal modo all’instabilità e imprevedibilità
delle economie di antico regime.
49
Nel 1697, nella Val Pellice e nelle terre adiacenti di Prarostino e Roccapiatta, si svolge un “consegnamento
dei particolari possidenti beni” ossia una rituale ricognizione dei diritti di possesso dei singoli abitanti. Per
stornare intrusioni da parte dello stato sabaudo, i numerosissimi vuoti e le incertezze causati dalla
persecuzione nella maglia di tali diritti vengono colmati attraverso una serie vertiginosa di acquisti fittizi,
molto spesso da persone che risultano “assenti”, cioè in realtà perlopiù scomparse o disperse (cfr. Sereno,
1990, in particolare, pp. 295-296 e 303-306).
50
Le “misure” dei territori delle comunità e la determinazione degli “estimi” a scopo contributivo dei terreni
erano state tuttavia completate, nelle Valli valdesi come in gran parte del Piemonte, durante i primi anni del
secolo XVIII. Sulla Perequazione generale del Piemonte cfr. Borioli et al., 1985; Levi, 1985c, pp. 103-104;
Bracco, 1981; Ricci, 1981.
118
singoli (contro il trasferimeno di diritti sulla terra) o all’amministrazione comunitativa,
l’assolvimento del carico fiscale attribuito alla comunità può essere considerato un fattore
importante di riduzione dei costi di transazione per lo stato sabaudo.51 Sebbene
ufficialmente in secondo piano nella gestione degli affari delle amministrazioni locali, i
valdesi sono però possessori assai più stabili e solvibili della locale minoranza cattolica o
“cattolizzata”. La loro posizione di forza – evidente, ad esempio, nel ruolo preponderante
svolto nell’esazione delle taglie e nella gabella del sale, così come nelle funzioni di periti ed
estimatori del valore delle terre – si traduce in un grado di controllo sulla politica locale ben
superiore a quello loro riservato dalla lettera della legge. I caratteri di questa preminenza
appaiono indissociabili dalla centralità acquisita dalle élite nel mercato della terra e del
credito, che si configura a questo punto come il risultato di un’attività imprenditoriale, nella
quale il perseguimento di una personale affermazione socioeconomica si lega
inestricabilmente al conseguimento di un bene di natura pubblica:52 la ricostruzione di una
comunità valdese e delle modalità della sua inserzione politica e territoriale.
51
Il concetto di “costi di transazione” si riferisce ai costi che si incorrono nei processi di scambio economico
per procurarsi quegli elementi d’informazione e di garanzia del rispetto dei propri diritti di proprietà e delle
condizioni contrattuali, di cui si ha bisogno ai fini dello scambio. Esso è come noto al centro dell’elaborazione
teorica della scuola neoistituzionalista in economia (cfr. North, 1994, in particolare pp. 53-64, dove il
concetto è definito in riferimento alla scambio economico, e 77-95, dove i suoi presupposti vengono estesi a
un modello di scambio politico; Ménard, Shirley, 2005, in particolare, Williamson, 2005, pp. 41-65).
52
Secondo la definizione proposta nel 1955 da Paul Samuelson, i beni pubblici sono beni che non sono
suddivisibili in porzioni individuali e dal cui godimento non può essere escluso chi non ha contribuito
procurarli. Esistono ovviamente tipi svariati di beni pubblici: anche la governance può essere considerata uno
di questi. Spesso, ma non sempre, si tratta anche di beni che devono essere prodotti collettivamente. Per
un’illustrazione aggiornata della teoria dei beni pubblici cfr., ad esempio, Hillman, 2009, pp. 135-242.
119
Appendice. Credito e carità: il testamento Barus
Messer Giacomo Barusso Randolino (Barus Randoulin) fu Giovanni di Faetto è un personaggio
attivo sul mercato della terra dal 1745 all’anno della sua morte, avvenuta nel 1775. In trent’anni di
attività compie 24 acquisti per un valore complessivo di 2081 lire, almeno il 90% delle quali
corrispondenti a crediti erogati dal compratore, mentre le alienazioni si limitano a due retrovendite
per 64 lire. Nel 1738, quando Giacomo ha evidentemente già raggiunto l’età adulta, il padre
Giovanni (c. 1693-1741) e lo zio Isaia (c. 1703-1757) si convertono al cattolicesimo all’Ospizio dei
catecumeni di Torino. Non ne condividono invece la scelta, almeno fino a quando possiamo seguirli
attraverso la nostra documentazione, gli altri loro cinque fratelli, tre femmine e due maschi. Gli
unici figli di Isaia Barus, cugini quindi di Giacomo, di cui ci è rimasta traccia, Giovanni e Maria,
nascono in epoca posteriore alla conversione paterna (rispettivamente, nel 1742 e nel 1747) e sono
perciò battezzati nella chiesa cattolica; i loro matrimoni, celebrati a Trossieri nella seconda metà
degli anni Sessanta, confermano l’identità cattolica acquisita da questo ramo. Ignoriamo invece
quale sia stata la scelta della madre di Giacomo; egli ha comunque mantenuto la fede protestante,
così come la sorella Maria (di eventuali altri figli di Giovanni non conosciamo l’esistenza), alla
quale nel 1753 versa una dote di 250 lire.53 Giacomo Barus è sindaco nel 1766, consigliere nel
1764, 1765 e 1775, esattore della taglia dal 1762 al 1764 e poi nuovamente nel 1768-1769.
Diamo uno sguardo a coloro i quali concorrono a determinare con le loro vendite il rilevante
attivo da lui conseguito sul mercato della terra: intervengono con una vendita ciascuno, per un
valore totale di 124 lire, i cugini Antonio fu Giacomo e Pietro fu Antonio Bertalmio, cattolici e
contadini benestanti; con due vendite (286 lire), i fratelli Giovanni e Pietro Giacumino (Jacquemin),
valdesi di Riclaretto; con una vendita del valore di 96 lire, il cognato Pietro Guglielmetto fu
Giovanni, che sembra godere di una situazione economica abbastanza florida, poiché i suoi beni nel
1768 valgono oltre 1000 lire54 e il bilancio della sua partecipazione al mercato della terra appare
nettamente positivo; con quattro vendite (410 lire), un cugino materno, Francesco Viglielmo
(Villielm) fu Giovanni, valdese, sicuramente afflitto da difficoltà, visto che il volume delle sue
vendite supera di molto quello dei suoi acquisti; egualmente con quattro vendite (352 lire), i fratelli
Giorgio fu Giovanni, valdesi, la cui condizione può dirsi analoga a quella del Viglielmo; alcuni
cattolici infine, come Tommaso Bernardo fu Matteo, originario di Rodoretto (quattro vendite per
325 lire), i fratelli Peirotto fu Giacomo e i loro cugini patrilaterali del fu Antonio (7 vendite per 488
lire), la cui attività sul mercato rivela sicuramente l’avvitamento in una spirale di debito.
La ripartizione del volume degli acquisti effettuati da Giacomo Barus in rapporto alla
connotazione socioeconomica e confessionale dei venditori non sembra discostarsi molto da quella
riscontrata nel caso dei Bert: la maggior parte si divide fra l’area dei correligionari in difficoltà
(33,3% del numero e 36,6% del valore totali) e quella dei cattolici segnati da un disagio ancora più
profondo (45,8% del numero e 39,1% del valore totali). Nel primo caso, il prezzo degli acquisti di
Giacomo Barus si distribuisce secondo la forma di pagamento adottata nel modo seguente: il 77,2%
risulta “precedentemente pagato”, il 13,7% viene corrisposto all’atto dell’acquisto e il 9,1%
dev’essere versato in futuro; nel secondo caso, è destinato a compensare debiti dei venditori il
76,5%, è pagato immediatamente in contanti il 19,4% e il 4,1% corrisponde a pagamenti concordati
per il futuro. In tutto, il valore dei beni ceduti da cattolici di Faetto a Giacomo Barus ammonta a
circa il 9% del valore complessivo delle loro vendite a coresidenti valdesi.
53
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 199, cc. 530v-531, Cessione o sia rinoncia
Maria Barus a Giacomo Barus Randolin con recognizion di dotte a favor di detta Maria da Pietro
Guglielmetto, 24 aprile 1753.
54
Tron, 1987, Allegati, scheda 131.
120
Finalmente, il 28 febbraio 1774, “di corporal infermità oppresso, e giacente in letto”, Giacomo
Barus detta il suo testamento.55 Egli, che si è sposato per la prima volta soltanto quattro anni
addietro con Susanna Guillelmet vedova Meynier, residente a Prali, non ha figli. Alla moglie riserva
gli alimenti e l’usufrutto vitalizio di “tutti i capitali crediti tanto per scritture pubbliche che private”,
la cui proprietà lega invece alla Borsa dei poveri della chiesa di Villasecca, affinché gli importi
relativi, alla morte dell’usufruttuaria, siano distribuiti “alli più miserabili, secondo giudicheranno
più a proposito li signori diretori”; stabilisce inoltre che, in particolare, 200 lire debbano “venir
convertite nella compra di tanto drappo grosso da distribuirsi a fanciulli più miserabili di questa
comunità che concorrono alla scuola del quartiere della Maisetta per loro vestiario, qual drappo
dovrà distribuirsi nella propria casa d’esso lui testatore”. Di tutti gli altri suoi beni istituisce erede
universale la sorella Maria.
Il 18 dicembre 1775, morto il testatore, i membri del concistoro della chiesa di Villasecca,
avendo considerato che le somme legate dal Barus “si rendono per la loro molteplicità, tanto pelli
casi delle varie esazioni, quanto per la quantità de’ pagamenti da farsene, che per le precauzioni da
prendersi a tall’oggetto [...] di aggravio a tutti li soggetti componenti l’intiero concistoro, e Direttori
della Chiesa di Villasecca, a quale era, vivendo il Deffonto predetto, soggetto”, stabiliscono di
“ellegere per l’esecutiva del citato testamento persona fra le altre più proba e sagace ad adempirne
per tutte le vie tanto di convenienza, che di obbligazione, que’ doveri, che richiede la mente testata
et espressa nel predetto testamento” e a questo fine “deputano in loro procuratore speciale e
generale il molto illustre signor chirurgo e capitano Giovanni Berto fu signor Tommaso, uno degli
anziani, direttori e membro del prefato concistoro”.56
Giacomo Barus è probabilmente una figura piuttosto atipica nel contesto locale, di cui la sua
vicenda contribuisce però a chiarire alcune caratteristiche di fondo. Inconsueto è che nonostante i
numerosi acquisti di terra compiuti nel corso di trent’anni, dal suo testamento non risultino beni
immobili, che tutta la sua ricchezza consista in crediti. Un caso limite, quasi certamente (al quale
potrebbe aver contribuito un’esclusione di fatto dalla terra di famiglia da parte di un padre
convertitosi al cattolicesimo), ma che nello stesso tempo ribadisce il significato sottostante a quello
che in apparenza è un vivace mercato della terra.
Le compravendite nominali che hanno impegnato il Barus ci dicono che la sua peculiare attività
di prestatore di tipo, potremmo dire, quasi professionale si è rivolta sia a correligionari sia a
cattolici, a parenti come a estranei, applicando condizioni che appaiono grosso modo uniformi.
Sul piano della carità, però, i valori sociali di cui parentela e religione sono portatrici nel nostro
contesto come in altri hanno modo di dispiegarsi visibilmente. Le ultime volontà di Giacomo Barus
trasferiscono la rete creditizia confessionalmente mista intessuta nel perseguimento dei propri
interessi all’interno di uno spazio pubblico e propriamente istituzionale di solidarietà religiosa.
Questa rete, come quella che fa capo ai Bert, testimonia del ruolo fondamentale assolto dall’élite
valdese nell’articolazione dei rapporti di credito e quindi delle strategie di sussistenza di famiglie
correligionarie e cattoliche. In tal modo, l’attività economica di persone come il Barus o come i Bert
garantisce nello stesso tempo sopravvivenza e controllo dell’incertezza all’intero gruppo
confessionale – connessione di cui il testamento Barus rappresenta una sorta di espressione
ritualizzata.
55
Asto, Sezioni riunite, Insinuazione, Tappa di San Secondo, vol. 263, cc. 414-417, Testamento di messer
Giacomo Barusso Randolino, 28 febbraio 1774.
56
Ibid., vol. 273, cc. 699-701, Procura per il Concistoro della Chiesa Religionaria in capo al signor capitano
Gio. Berto, 18 dicembre 1775.
121
Conclusioni
Possiamo interpretare le interazioni tra cattolici e valdesi nella prima età moderna come
spontanee manifestazioni di un’identità culturale, dirette conseguenze di una fondamentale
divergenza di schemi cognitivi e valoriali? Come abbiamo visto, la composizione religiosa
di Faetto nel Settecento non costituisce l’eredità di un passato ormai lontano, ma un tratto
che è possibile datare, in gran parte, alle conversioni di massa degli anni intercorsi fra le
due grandi persecuzioni del 1655 e del 1686. Il confine religioso è quindi l’esito di un
processo ancora recente, che attraversa le esperienze familiari e anche individuali, tanto più
che continuano a verificarsi conversioni di valdesi al cattolicesimo – così come, a quanto
sembra, prudenti ritorni ‘nicodemitici’ di cattolizzati alla fede protestante. Prima che nel
mondo delle idee, la differenza religiosa alberga nei processi di fissione delle parentele,
dove cattolicesimo e valdismo si alternano tra i rami collaterali e tra le generazioni.
Essere cattolici o valdesi esprime dunque anche la posizione di un individuo o di un
gruppo familiare all’interno di una rete di relazioni interpersonali. L’inimicizia o condizioni
di forte sperequazione nelle fortune possono rendere problematico l’operare di norme e
aspettative di reciprocità idealmente associate a un certo tipo di interazioni, come appunto
quelle tra parenti. Una divaricazione di opzioni religiose tra fratelli, ad esempio, sembra
talvolta sanzionare la segmentazione in atto fra i rami di una discendenza, mentre le
numerose conversioni femminili al cattolicesimo nel Settecento apparentemente maturano
in una situazione di mobilità sociale discendente e di fronte al rischio di esclusione dal
mercato matrimoniale, se si resta all’interno del proprio gruppo confessionale. Altre volte,
le abiure e i successivi ripensamenti sono il frutto dei tentativi di adattamento che hanno
contrassegnato una vicenda familiare di fronte al mutare delle circostanze politiche.1
L’affiliazione confessionale non è ancora, se mai lo diverrà, interamente inerziale e
ascrittiva; è una scelta, determinata da pressioni e opportunità. Come tutti i sistemi
simbolici, cattolicesimo e protestantesimo sono aperti ad appropriazioni molteplici, spesso
di natura pragmatica. Per gli abitanti delle Valli valdesi, aderire all’uno o all’altro è anche
un modo di trovare e definire il proprio posto nel corpo sociale. L’appartenenza a una
comunità confessionali non è tanto il risultato dell’interiorizzazione di credenze e di norme,
quanto una condizione negoziata con gli altri, persone e istituzioni presenti sulla scena
locale. La posta in gioco è l’inserimento in circuiti di fiducia e di credito sostenibili, in
grado di consentire la sopravvivenza e riproduzione sociale di individui e famiglie. Il
rapporto con le risorse politiche e culturali che l’opzione cattolica o quella valdese rendono
disponibili è in tal modo aperto alla manipolazione individuale.
Il processo di costruzione pragmatica dell’identità religiosa si rivela inscindibile da
forme sia di solidarietà di gruppo sia di convivenza tra i gruppi confessionali. Un
argomento topico nella retorica delle autorità cattoliche è, come sappiamo, che la forza
economica e la coesione del gruppo valdese alimenti una concertata aggressione contro le
1
Prendiamo ad esempio il caso di Tommaso Macello, passato al cattolicesimo prima della persecuzione del
1686 e tornato al protestantesimo dopo la Rentrée. Sotto la pressione dell’inchiesta del 1725, ha dovuto
riconfermare la sua prima conversione, ma i figli hanno nel frattempo restituito alla sua discendenza
un’identità valdese (cfr. supra, p. 26, note 44-45).
122
proprietà dei cattolici e “cattolizzati”, presi nella morsa della povertà e dell’indebitamento
nei confronti degli avversari religiosi. Si tratta di toni propagandistici, finalizzati a una
politica di assistenza istituzionale alla popolazione cattolica portata avanti dallo stato
sabaudo e dalla chiesa in stretta collaborazione (ma sotto l’egida del primo). La realtà
dell’interazione fra cattolici e valdesi è evidentamente assai più complessa, ma l’idea che
sul mercato della terra e del credito a Faetto si delinei e approfondisca una distinzione
sociale su base confessionale non è infondata.
È d’altra parte palpabile nelle transazioni l’esistenza di una base consensuale, di
un’intesa anche culturale. In esse non si manifesta alcuna tendenza alla segregazione.
Quelle che superano il confine confessionale restano infatti frequenti per tutto il periodo di
osservazione, costituendo in media quasi un terzo del totale. Ma soprattutto, dai dati è
emersa la presenza tutt’altro che marginale di legami duraturi fondati sull’erogazione di
credito da parte di valdesi a cattolici. In questo tipo di rapporti, non soltanto i membri
dell’élite e i contadini facoltosi valdesi sembrano agire senza eccessiva durezza nei loro
scambi economici con i correligionari meno fortunati; essi impegnano cospicue risorse in
prestiti destinati alle frange più precarie della popolazione cattolica, concessi
apparentemente a condizioni non più severe che ai correligionari.
Alcuni elementi di un’“economia morale” largamente condivisi sembrano perciò
regolare le modalità di una parte importante delle transazioni interconfessionali, ribaditi, ad
esempio, nelle stime e negli arbitrati effettuati da esperti di parte cattolica e valdese. Non
per questo il sistema locale del credito risponde a motivazioni rispetto alle quali le
distinzioni religiose si annullano come situazionalmente irrilevanti. La Faetto del
Settecento, come altre comunità amministrative piemontesi, è ben diversa da un “mondo
morale” unificato,2 da una “comunità corporata chiusa” sorretta da meccanismi interni di
livellamento e di redistribuzione della ricchezza.3 È invece essenzialmente un’unità creata
per scopi fiscali, e un’area dai confini incerti, caratterizzata da un accentuato policentrismo
insediativo.
Nelle Valli valdesi dell’età moderna, la distinzione confessionale si rivela un criterio ben
più pregnante al quale ancorare una costruzione comunitaria. Essa rappresenta però
qualcosa di diverso dal riflesso nelle relazioni sociali di una divergenza di percorsi di
acculturazione. La Riforma si è affermata alla metà del secolo XVI, attraverso l’adesione
corale e pugnace di comunità di piccoli possessori insediati su terre marginali, anzitutto
gelosi della propria autonomia. L’aveva preceduta una dissidenza religiosa popolare,
probabilmente plurisecolare, che aveva affrontato con successo dure persecuzioni,
soprattutto all’inizio del CInquecento e verso la fine del secolo precedente, organizzata
sulla base della stessa identificazione con le strutture e pratiche comunitarie. Questa distinta
matrice sociologica e politica fa del protestantesimo nelle Valli valdesi un’esperienza per
molti aspetti singolare in rapporto alla maggioranza delle realtà protestanti europee, più
omogenea e compatta, più ‘laica’, indipendente e refrattaria rispetto a iniziative di
confessionalizzazione dall’alto.4
2
Come quello classicamente descritto da Redfield, 1976: cfr. in particolare pp. 9 e 151.
Wolf, 1972, in particolare, pp. 74-81.
4
Cfr. Cameron, 1984.
3
123
Nell’ultima parte del secolo XVII, sull’onda di un’aggressiva ripresa di iniziativa
controriformistica, si verificano alcuni strappi in questo tessuto culturale apparentemente
unanime. In seguito a conversioni che a Faetto e in altri luoghi vicini hanno carattere di
massa, si palesano nuclei di presenza cattolica di cui è tuttavia arduo indagare il reale
processo di formazione, quando si rivelano durevoli e non il puro prodotto di misure
coercitive. Queste vicende, insieme con le deportazioni del 1686, introducono in ogni caso
una frattura in circuiti di reciprocità matrimoniale ed economica spesso di profondità
probabilmente plurigenerazionale. Più in generale, come suggeriscono gli studi di Paola
Sereno e Daniele Tron citati nei precedenti capitoli, le persecuzioni segnano strutturalmente
una rottura di continuità con il passato dagli effetti quasi incalcolabili. Esse determinano
infatti un profondo sconvolgimento dei quadri insediativi e agropastorali, dei sistemi
localizzati di diritti sulle risorse, cancellando, per parafrasare liberamente una formula
coniata da Gérard Delille, i rapporti tra l’ordine interno ai luoghi e l’ordine delle proprietà.5
Dopo la Rentrée, avvengono verosimilmente rimescolamenti di popolazione, sia di “nuovi
convertiti” sia valdese. Nuove reti di parentela e di scambio socioeconomico si progettano e
cercano di organizzare la loro proiezione territoriale.
La ricostruzione si avvia sullo sfondo del definitivo approdo dello stato sabaudo a un
modello di monarchia tendenzialmente assoluta, in coincidenza con una riorganizzazione
del sistema dei rapporti fra gli stati europei e l’emergere di un nuovo assetto delle forze
degli schieramenti confessionali. Il risultato per i valdesi sarà il rinsaldato incapsulamento
delle loro stutture comunitarie nello stato sabaudo,6 qualificato tuttavia dal regime di
protezione diplomatica loro accordato dalle potenze protestanti, in primo luogo l’Inghilterra
uscita dalla Gloriosa rivoluzione. Questa circostanza, come sottolinea Christopher Storrs, fa
dei valdesi nel periodo successivo alla Rentrée una “comunità distinta privilegiata” che,
come tale, si pone a pieno titolo accanto alle altre riconosciute dal sistema di governo
sabaudo sulla base però di privilegi territoriali, non certo di una singolarità religiosa
garantita da paesi stranieri.7 Il valdismo diventa così, con accresciuta legittimazione,
l’elemento fondante di una costruzione politica che mette in relazione il centro e una
periferia dello stato, tanto più importante in quanto la minoranza occupa una delicata zona
di frontiera.
In questa situazione, contrassegnata sul piano internazionale dalla fase culminante, più
che dal declino, della confessionalizzazione,8 le categorie religiose sono certamente un
potente fattore d’identificazione e non c’è motivo di dubitare che anche fra gli abitanti delle
Valli valdesi suscitino spesso genuine emozioni. Tuttavia, l’efficacia simbolica di questi
elementi culturali deve molto alla funzione che sono in grado di svolgere come strumenti
cognitivi al servizio dell’interazione sociale. Come nel modello di confine etnico proposto
da Fredrik Barth, valdismo e cattolicesimo strutturano confini che governano le forme di
separazione e d’interdipendenza fra gruppi umani. Nel nostro caso, questi ultimi ci
sembrano divisi, più che da un’impossibilità culturale a comunicare tra loro, da una
5
Delille, 1985.
Per una caratterizzazione di differenti modalità di “incapsulamento” delle strutture politiche cfr. Bailey,
1975, pp. 217-248.
7
Storrs, 1999, pp. 293-311.
8
Kaplan, 2007, pp. 333-358.
6
124
divaricazione, nei momenti più o meno drammatici che hanno segnato la storia delle Valli
valdesi, di destini e percorsi individuali, sulla base di una diversa percezione delle
opportunità e dei rischi insiti nella situazione. Le scelte di individui e di famiglie generano
poi, naturalmente, effetti cumulativi e pongono limiti alle azioni possibili in momenti
successivi. All’indomani della Rentrée, per le due componenti della popolazione locale, le
distinzioni su base religiosa aiutano a promuovere forme sia di cooperazione sia di
competizione tese a ricostruire e delimitare i rispettivi spazi di esistenza collettiva e a
ridurre l’incertezza sul futuro.
Un ruolo chiave sembrano giocare nella ricostruzione diversi esponenti ‘laici’ dell’élite
valdese. Anche quest’ultima, come più in generale gli abitanti delle Valli valdesi, è stata
probabilmente interessata da un notevole ricambio, come testimonia, nella Val San
Martino, la scomparsa degli ‘autoctoni’ Malanot e l’affermazione dei profughi Bert. Nelle
“fortune di carta” ereditate dai loro predecessori e arricchite dalla loro personale attività di
erogatori di credito, i Bert e altri come loro concentrano un mosaico di diritti sulle terre
acquisite da valdesi e cattolici − cedute, perlopiù con la clausola, esplicita o implicita, di
usufrutto ai venditori e lasciando loro una possibilità, per quanto remota, di riscatto. Anzi,
per i cattolici, questi personaggi rappresentano spesso i principali acquirenti e perciò la
fonte più cospicua e affidabile di credito. I loro interventi sul mercato della terra si possono
intendere come strategie di affermazione personale solo se ne cogliamo la connessione con
forme di imprenditorialità e mediazione politica a beneficio di un progetto di ricostruzione
comunitaria.
I loro prestiti rivestono infatti un duplice carattere di capitale collettivo. Da un lato, gli
acquisti reiterati presso abitanti in difficoltà e l’incetta di titoli di possesso o di credito – per
quanto poco prevedibile o differito ne sia l’effettivo perfezionamento – estendono pur
sempre sullo spazio locale una trama di diritti rivendicabili, costituendo una sorta di
assicurazione per il radicamento territoriale ed economico della componente valdese nel
futuro, oltre che uno strumento, quantomeno, di controllo sociale sulla componente
cattolica, se non di erosione delle sue basi economiche. Dall’altro, prestiti e acquisizioni
costituiscono una garanzia di solvibilità fiscale e concorrono in tal modo a fare dell’élite e
della robusta organizzazione comunitaria valdese un’“interfaccia” irrinunciabile per
l’amministrazione sabauda.9
Le distinzioni confessionali prestano dunque il loro linguaggio a forme di “azione
collettiva” volte al conseguimento di beni pubblici a vantaggio di tutta la popolazione
valdese.10 Questi beni pubblici consistono in sistemi di governo della società locale e delle
9
Tanto la supplenza fiscale assicurata dai maggiorenti valdesi quanto la rappresentanza informale da loro
svolta a beneficio dei correligionari sono funzioni necessarie al sistema di governo indiretto dello stato
sabaudo. Ciò rende ovviamente la posizione di questa élite tanto più dipendente dal prestigio e dall’influenza
goduti presso la popolazione. Cfr. a proposito di queste dinamiche i percorsi di affermazione sociale di
notabili di antico regime nella comunità del Delfinato descritta da Rosenberg, 2000, in particolare, pp. 50-83.
Una definizione di “interfaccia” come “arena” strutturalmente necessaria “di percezioni mutualmente
riconosciute, che segna la transizione da una formazione sociale all’altra” in White, 1988, p. 227.
10
Il tema dell’azione collettiva ha dato luogo, come noto, a una produzione teorica sterminata e a un numero
considerevole di applicazioni empiriche. A partire dal classico The Logic of Collective Action di Mancur
Olson (1965), per “azione collettiva” s’intende un’azione ispirata da interessi comuni e diretta al
conseguimento di fini che ciascuno di coloro che li condividono non sarebbe in grado di procurarsi da solo, o
non in maniera altrettanto soddisfacente. La versione classica della teoria incorpora un modello
125
sue risorse, nei quali il contenimento delle ingerenze esterne è conseguito grazie a
un’assunzione di responsabilità di fronte alle gravose richieste della fiscalità sabauda. Per
contro, la condizione dei cattolici di fronte allo stato si riassume in una dipendenza da
iniziative di assistenza e clientelismo istituzionale.
La diseguaglianza delle risorse all’interno del gruppo valdese non rappresenta un
ostacolo al raggiungimento dei suoi obiettivi. Come mostra il profilo delle catene di
transazioni, è sufficiente infatti che solo una frazione piuttosto contenuta del gruppo
mantenga durature relazioni di credito con le famiglie cattoliche.11 Il resto dei componenti è
libero di investire le proprie risorse soprattutto in altri circuiti di scambio, come quelli della
parentela o del mutuo sostegno tra famiglie potenzialmente interessate all’interscambio
matrimoniale. La relazione tra le élite valdesi e i loro ‘clienti’ cattolici non può dunque dirsi
esclusivamente diadica, poiché libera risorse per i rapporti di reciprocità interni attraverso i
quali si struttura la società valdese.
Negli scambi sul mercato della terra si esprimono dunque gli elementi di una peculiare
costruzione politica che evita ai valdesi il destino di assimilazione incontrato da altre
minoranze religiose dell’età della confessionalizzazione, quali i protestanti di Acquitania
descritti da Gregory Hanlon. A Faetto come in altri luoghi delle Valli valdesi dopo la
Rentrée, la comunità valdese si ricostituisce su basi più ristrette, non più coincidenti con la
comunità di abitanti, ma continua a rappresentare l’indiscusso protagonista dello spazio
locale, a onta delle defezioni individuali. L’identità religiosa ha solide basi transazionali,
così come la coesistenza pacifica fra le due componenti confessionali. Molto più che a una
manifestazione spontanea di irenismo popolare,12 quest’ultima si deve però alla sua
struttura stabilmente asimmetrica.
comportamentale nel quale gli individui sono guidati dalle motivazioni egoistiche che rappresentano, secondo
il modello, un’attitudine strettamente razionale. I contributi successivi hanno notevolmente complessificato la
nozione di “azione collettiva” e la problematica di derivazione olsoniana e ne hanno messo in luce i punti
controversi. (cfr., tra gli altri, Granovetter, 1978; Hechter, 1987, in particolare, pp. 34-36; Ostrom, 2000;
Ostrom, 2006). Un critica delle principali problematiche della teoria dell’azione collettiva in. Barry, Hardin,
1982, specialmente pp. 19-37; Hardin, 1982; Banton, 1983, specialmente pp. 103-108, con particolare
riferimento al problema della formazione e della permanenza dei gruppi etnici. Cfr. Oliver, 1993 per una
comprensiva discussione di più recenti sviluppi della teoria; utile anche Heckathorn, 1996. Un importante
contributo in campo storiografico sui problemi dell’azione collettiva, affrontati alla luce di una nozione di
razionalità “limitata” o “relativa”, è rappresentato da Cerutti, 1992.
11
L’influenza dell’eterogeneità di gruppo sulle probabilità di avvio e di successo dell’azione collettiva è un
problema assai dibattuto nella letteratura sociologica. L’eterogeneità può essere definita secondo varie
dimensioni: in termini di distribuzione delle risorse all’interno del gruppo, di varietà delle aspettative e degli
obiettivi di ciascuno, di grado adesione ai fini collettivi. I suoi effetti sull’azione collettiva non sono univoci,
ma dipendono da concrete variabili contestuali (cfr. ad esempio Poteete, Ostrom, 2004).
12
“Irénisme campagnard” è l’espressione che impiega René Sauzet per caratterizzare i rapporti fra cattolici e
protestanti nelle zone rurali della diocesi di Chartres durante il XVII secolo, prima della revoca dell’editto di
Nantes (cfr. Sauzet, 1972, in particolare, pp. 690-692).
126
Opere citate
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Marco Battistoni: Comportamenti di confine. Cattolici e valdesi nell'età della
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