Autonomia finanziaria degli enti territoriali e garanzia diritti al tempo

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Autonomia finanziaria degli enti territoriali e garanzia diritti al tempo
27 GENNAIO 2016
Autonomia finanziaria degli enti
territoriali e garanzia dei diritti al
tempo della crisi
di Danilo Pappano
Professore associato di Diritto amministrativo
Università della Calabria
Autonomia finanziaria degli enti
territoriali e garanzia dei diritti al
tempo della crisi *
di Danilo Pappano
Professore associato di Diritto amministrativo
Università della Calabria
Sommario: 1. L’autonomia finanziaria degli enti territoriali tra crisi dello Stato nazionale e crisi
economico-finanziaria – 2. Equilibrio di bilancio tra eterodirezione europea, margini di flessibilità
e problemi di “giustiziabilità” – 3. Equilibrio di bilancio e fibrillazioni del sistema del welfare- 4.
Equilibrio di bilancio, “sentenze che costano” e incertezza dei diritti – 5. Equilibrio di bilancio nel
rapporto Stato-autonomie locali - 5.1 Il ruolo statale di coordinamento della finanza pubblica tra
originarie incertezze del dettato costituzionale e incertezze legate alla crisi – 5.2 Il finanziamento
delle funzioni delle autonomie locali tra esigenza di uniformità, esigenza di differenziazione ed
esiguità di risorse –– 6. Considerazioni conclusive.
1. L’autonomia finanziaria degli enti territoriali tra crisi dello Stato nazionale e crisi
economico-finanziaria
Nella dogmatica tradizionale l’autonomia finanziaria esprime, come noto, il grado di
autodeterminazione di cui un ente gode in ordine alle scelte che riguardano le entrate e le spese. Il
concetto riguarda profili differenti ma collegati.
Se intesa come autonomia di entrate la nozione si riferisce principalmente al finanziamento delle
funzioni svolte dall’ente autonomo e al potere di decidere in tutto o in parte la quantità delle proprie
risorse, che eventualmente si aggiungono ai trasferimenti da parte di un ente sovraordinato,
indicando così il grado di dipendenza o autosufficienza finanziaria.
Articolo sottoposto a referaggio. Contributo alla ricerca PRIN 2010-2011 dell’Unità locale UniCal (“Salute,
assistenza sociale, istruzione, fra garanzie costituzionali e innovazione normativa in alcuni ordinamenti statuali”),
nell’ambito della Ricerca PRIN nazionale: “Istituzioni e innovazioni nel quadro della crisi finanziaria e istituzionale”.
Il contributo è destinato al volume S. GAMBINO (a cura di), Diritti sociali e crisi. Problemi e prospettive,
Giappichelli, Torino, in corso di pubblicazione.
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Se intesa come autonomia di spesa, la nozione si riferisce invece ai limiti che l’ente incontra
nell’impiego delle risorse, e i condizionamenti possono essere di varia natura; si può trattare di
vincoli ai bilanci dell’ente, di meccanismi di controllo e/o approvazione delle decisioni di spesa da
parte di un ente superiore, di vincoli di destinazione delle risorse ecc..
Non esiste una nozione di autonomia finanziaria unitaria e valida per tutti gli enti, perché oltre a
riguardare profili differenti, sia pure connessi, il grado di autonomia è dato dalla loro combinazione
che può però presentarsi secondo diverse gradazioni1.
Sul versante degli enti territoriali, l’elaborazione teorica della nozione è avvenuta sul presupposto
che lo Stato dispone della massima autonomia rispetto a tutti gli indicati profili, e l’autonomia degli
enti territoriali minori è stata individuata in rapporto allo Stato.
Tuttavia l’idea dello Stato autosufficiente e sovrano (che può farsi risalire fino ad Aristotele) è ormai
smentita dalla realtà e l’indebolimento dello Stato nazionale è un dato acquisito dalla generalità degli
studiosi.
L’attuale assetto non è più quello di sistemi statali chiusi, e ciò non semplicemente per la cessione
di parte delle scelte agli organismi sovranazionali, ma anche e soprattutto per il contesto mondiale
determinatosi in conseguenza dei fenomeni di globalizzazione dell’economia.
La dimensione dei fenomeni economico-finanziari trascende infatti la dimensione degli Stati e
riflette l’attuale assetto dell’economia e della finanza mondiale.
Come è stato efficacemente evidenziato “l’attuale assetto globale è composto da un insieme di
sistemi economici e istituzionali in competizione tra loro che non sono più chiusi ma hanno un
determinato e diverso grado tra loro di permeabilità e di capacità di penetrazione negli altri sistemi”.
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Peraltro, in un contesto in cui ogni Stato ha “in parte il carattere di apertura e della penetrabilità,
Sul punto si rinvia per tutti A. BRANCASI, L’ordinamento contabile, 2005, 28 ss.
G. ROSSI, Pubblico e privato nell’economia semiglobalizzata. L’impresa pubblica nei sistemi permeabili e in competizione,
in Riv. It dir. Pubbl. Comun., 3, 2014, p. 1 ss. (anche in Astrid Rassegna, n. 3, 2014). il quale preferisce alla
definizione di “economia globalizzata”, quella di “economia semi-globalizzata”, per esprimere il
disallineamento secondo cui la competizione globale avviene contestualmente sia tra i diversi paesi europei
e sia tra questi e gli altri stati extraeuropei, i principali dei quali hanno dimensioni subcontinentali. Secondo
l’autore il grado di permeabilità e di apertura degli ordinamenti è diverso non solo tra paesi extra-UE e paesi
europei, ma anche tra questi ultimi, con la conseguenza paradossale, sul fronte delle imprese pubbliche ad
esempio, che ai processi di privatizzazione di alcuni settori, non si sostituiscono imprese private ma imprese
pubbliche di altri paesi, che intanto creano imprese in grado di competere nel contesto globale. L’autore
evidenzia che “lo squilibrio più marcato è proprio tra i paesi europei facenti parte dell' Unione Europea che
sono privi di una propria moneta” (...) e che “questa situazione non può che avere carattere transitorio e
dovrà evolvere nell'esercizio da parte dell'Unione, trasformata in stato federale, di quelle funzioni che la
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in parte quello della chiusura e della permeabilità, i sistemi economico-finanziari dei vari paesi
risultano interconnessi e
interdipendenti”, senza però né un livello territoriale destinato a
governarne le dinamiche, né tanto meno istituzioni globali in grado di farlo3.
È dunque ancora lo Stato nazionale che nel proprio territorio è destinato a mantenere la
responsabilità ultima della tutela della collettività e dei suoi interessi, ed è evidente il disallineamento
tra la permanenza della responsabilità ultima della tutela in capo allo Stato nazionale e una finanza
ormai divenuta indipendente dagli Stati e, nei sui aspetti patologici e speculativi (che hanno dato
luogo all’attuale crisi), anche dall’economia reale4.
L’attuale crisi economico finanziaria ha confermato in modo evidente che lo Stato che nel
finanziamento della spesa pubblica si rivolge al mercato è destinato a subire le dinamiche
economiche e finanziarie a livello globale5..
generalità degli stati esercita e che sono sottratte agli stati membri e non sono esercitate dall'Unione, (p. 3132).
3 Così ancora G. ROSSI, cit, p. 2.. Aveva efficacemente evidenziato che uno Stato mondiale “correrebbe il
rischio di disgregarsi per mancanza di una forza coesiva”, B. RUSSEL (Autorità e individuo, trad. it., Milano,
Longanesi ed., 1949. In una prospettiva differente muovono le impostazioni che cercano di individuare un
unico modello di “diritto amministrativo globlale” (si veda per tutti S. CASSESE, Oltre lo Stato, Bari 2006;
Id., Diritto amministrativo globlale, Torino, Einaudi, 2009), sottolineando il ruolo essenziale delle corti nella
costruzione di un sistema giuridico globale, pur nella consapevolezza che “nello spazio giuridico globale
non c’è unità, sia nel senso che vi sono centonovantadue stati, sia nel senso che vi sono circa duemila regimi
regolatori diversi” (S. CASSESE., I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma,
Donzelli editore, 2009, p. 92). Nel diluirsi della sovranità statale, e nella frammentazione dei sistemi giuridici,
“sono i giudici nazionali, sopranazionali e globali a supplire alla incapacità dei governi nazionali (...) a coprire
i vuoti fra i diversi sistemi; il diritto prende lentamente il posto della politica nell’arena globale (...) verso il
riconoscimento di un nucleo di principi “superiori” che appartengano ad ognuna delle tradizioni giuridiche”.
Si veda anche G. MARRAMAO, Esiste una sfera pubblica globale?, in Riv. Sc. Sup. Ec. e Fin. 2004, II, 14; J. L.
MEILAN GIL, Una aproximation al derecho administrativo global, Sevilla 2011. Per spunti di carattere più generali
a L. FERRAIOLI, Diritti fondamentali, Bari 2001; A. CASSESE, I diritti umani oggi, Torino 1984; T.R.
FERNANDEZ RODRIGUEZ, Demasiados derechos! Derechos fondamentales y otros estudios, in
Estudios en homenajea R. MARTIN RETORTILLO, Zaragoza 2008, I, 131. ss.
4 È noto che l’economia finanziaria ha da tempo superato l’economica reale, tanto che il valore finanziario
complessivo delle operazioni di speculazione legate ai c.d. derivati e ad altri strumenti di garanzia, da cui è
originata l’attuale crisi, è ormai più di undici volte il PIL mondiale. Si veda sul punto G. TREMONTI, Uscita
di sicurezza, Rizzoli, Milano, 2012, 50 ss., che evidenzia come al 30 giugno 2011 il p.i.l. mondiale fosse stimato
in 62.911 miliardi di dollari, mentre il valore dei derivati fosse stimato in 707.596 miliardi di dollari, con una
crescita esponenziale dal 2000, quando il valore era stimato in 63.009 miliardi di dollari, a fronte di un Pil
mondiale di 32.216 miliardi di dollari.
5 Il tema della crisi della sovranità e delle costituzioni legata al sistema della finanza globale e alle collegate
forme di tecnocrazia nelle organizzazioeni sovranazionali è stato ampiamente analizzato nell’ambito della
dottrina costituzionalistica. In particolare, Massimo Luciani aveva evidenziato il fenomeno dell’anti sovrano,
riferendosi a quel «quid che si contrappone in tutto e per tutto al ‘sovrano’ che abbiamo conosciuto sinora»
e che «non dichiara la propria aspirazione alla discrezionalità dell’esercizio del proprio potere, ma – anzi –
cerca di presentare le proprie decisioni come logiche deduzioni da leggi generali oggettive, quali pretendono
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Rispetto all’autonomia finanziaria intesa come autosufficienza di risorse, lo Stato ha perso il ruolo
di reale dominus del suo debito. È infatti condizionato da valutazioni e giudizi, a volte opinabili, di
soggetti privati che sfuggono al controllo degli Stati e che sono in grado di orientare e condizionare
le scelte di investitori e risparmiatori 6 . Agli Stati con un forte debito pubblico, è richiesto di
dimostrare, analogamente ad ogni debitore, di essere in grado di rimborsare il debito, ciò
soprattutto quando gli investitori e i risparmiatori sono il larga misura soggetti stranieri.7
Così la sottoposizione ad un sistema di relazioni internazionale che si fonda su una “mutua
accettazione” di comportamenti (per lo più economici) nei mercati internazionali e globali, ha
determinato la necessità di introdurre meccanismi di limitazione della spesa pubblica che fossero
strutturali e che garantissero nel lungo periodo la sostenibilità e la rimborsabilità del debito da parte
d’essere quelle dell’economia e dello sviluppo», così M. LUCIANI, Sovranità, in ItalianiEuropei, 2011, n. 7,
164-165). Sul punto si vedano anche dello stesso autore, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in Rivista di
diritto costituzionale, 1996, 124 ss., e il lavoro precedente, Tramonto della sovranità e diritti fondamentali, in Critica
marxista, 1993, n. 5, p. 20 ss.. Ex plurimis, anche G. SILVESTRI, La parabola della sovranità. Ascesa declino e
trasfigurazione di un concetto, in Rivista diritto costituzionale n. 1, 1996, p. 19, e in seguito dello stesso autore Lo
Stato senza principe. La sovranità dei valori nelle democrazie pluraliste, Torino, Giappichelli, 2005. Si veda anche M.
LA TORRE, Cittadinanza e ordine politico. Diritti, crisi della sovranità e sfera pubblica: una prospettiva europea, Torino,
2004; N. IRTI, Tramonto della sovranità e diffusione del potere, in Dir. e Soc., 2009, 465 ss. Per una riflessione più
generale, si veda L. FERRAJOLI, La sovranità nel mondo moderno, Roma-Bari, 1997; G. ZAGREBELSKY,
Simboli al potere. Politica, fiducia, speranza, Torino, Giappichelli, 2012, p. 87, che così sintetizza in modo molto
efficace il fenomeno:“i padroni del mondo simbolico nel quale oggi viviamo» sono «in quel sistema di
governo della finanza mondiale nel quale confluiscono innumerevoli soggetti in competizione fra loro (...)
cementati dall’appartenere alla medesima macchina di potere nazionale, sopranazionale, tendenzialmente
mondiale (...) che opera imperativamente (...) sotto l’ombrello ideologico della ‘libertà dei mercati’ e che non
ha a sua volta sopra di sé un governo ma forme invisibili e pur reali di governance”. Si veda anche A.
CARRINO, Il problema della sovranità nell’età della globalizzazione. Da Kelsen allo Stato-mercato, Rubettino, Soveria
Mannelli, 2014.
6 Le delicate problematiche poste dalle agenzie di rating (arbitrarietà delle metodologie di valutazione,
conflitti di interesse, concentrazione delle agenzie, ecc.) occupano sia giuristi che economisti. Si rinvia alle
convincenti considerazioni in A. BENEDETTI, Le agenzie di rating tra crisi dei modelli di mercato e criticità
dei processi di regolamentazione, in Costituzionalismo.it, 2, 2012, p. 1, la quale evidenzia le ragioni del paradosso di
cui è oggetto attualmente
l'attività valutativa
delle
agenzie sospesa “tra una
più
articolata
regolamentazione
pubblicistica,
diretta
a
incrementarne l'affidabilità, ma, nello stesso tempo, anche di norme che ne riducono la
rilevanza giuridica, al fine di preservare la funzionalità dei meccanismi di mercato sui
quali si basa”. Per una riflessione più ampia sulle implicazioni amministrativistiche dell’attività valutativa
delle agenzie di rating si rinvia al volume della stessa autrice, Certezza pubblica e «certezze» private. Poteri pubblici
e certificazioni di mercato, Milano, Giuffré, 2010. Si vedano anche G. SIRIANNI, Il rating sovrano, in
Costituzionalismo.it, 1, 2013; C. Pinelli, L’incontrollato potere delle agenzie di rating, ivi, 1, 2012. Per una prospettiva
economica, A. SCARANO, Quel pasticciaccio brutto del rating sovrano, in Parolechiave, n. 48, 2012, Finanza, 157ss.
7 Attualmente la quota del debito publico italiano sottoscritta da investori stranieri è di circa il 35%, fonte
Banca d’Italia, Finana pubblica, fabbisogno e debito, in Supplementi al Bollettino statistico. Indicatori monerari e finanzairi,
n. 43, agosto 2013 (tavola 5).
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dello Stato, senza curarsi troppo delle controindicazioni ricavabili dalla letteratura economica
riguardo all’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione8.
È quanto è accaduto in Europa all’esito della cosiddetta crisi dei “debiti sovrani”, verificatasi anche
in paesi industrializzati come l’Italia.
Gli Stati aderenti all’Unione Europea hanno firmato nel 2011, peraltro al di fuori delle procedure
europee 9 di revisione del Trattato di funzionamento dell’Unione 10 , un nuovo Trattato
internazionale, noto come Fiscal Compact, la cui attuazione è avvenuta negli ordinamenti dei vari
paesi aderenti adeguando la disciplina interna, in alcuni casi in via ordinaria, in altri casi come in
Italia, modificando le regole costituzionali in tema di bilancio pubblico.
Non è possibile darne conto in questa sede, né tanto meno è pensabile farlo nello spazio di una nota; è
tuttavia utile ricordare la lettera resa pubblica il 28 luglio 2011 e indirizzata al Presidente e al Congresso degli
Stati Uniti da otto dei maggiori economisti americani, di cui 5 premi Nobel per l’economia (E. Maskin, K.
Arrow, C. Schultze, W. Sharpe, P. Diamond, R. Solow, A. Blinder e L. Tyson). Nella lettera (disponibile nel
sito internet www.cbpp.org) si evidenziano sette punti, tra cui la riduzione del ricorso a debito del settore
pubblico per spese in investiemnti, ricerca e sviluppo; l’ampio contenzioso sull’interpretaziene del pareggio
e l’assunzione di un ruolo improprio dl sistema giudiziario nella determianzione della politica economica,
difficoltà operative nel caso di previsione di maggioranze qaulificate, la produzione di effetti negativi sulla
crescita nel caso di previsione di limiite alla spesa anche in fasi espansive, l’adozione di misure
controproducenti in fasi di recessione per rispettare il pareggio, limitazione della capacità di contrasto delle
recessioni attraverso stabilizzatori automatici o discrezionali.
9 Non si è proceduto mediante la procedura ordinaria alla revisione del TFUE per la opposizione di Gran
Bretagna e Repubblica ceca.
10 Una critica radicale al Fiscal Compact è mossa da A. GUARINO, Euro: vent’anni di depressione (1991-2012),
in Nomos, 2, 2012, che dopo aver ripercorso criticamente nel corposo saggio le contraddizioni, le forzature
e le asimmetrie del processo di adesione all’unione monetaria, ritiene il successivo Fiscal compact inapplicabile
perché incompatibie con il T.U.E. e con il T.F.E.U., oltre che con la normativa vigente al momento della
sua entrata in vigore (reg. n. 1175/2011): la “compatibilità, prima ancora di costituire una condizione di
legittimità, è criterio di delimitazione del contenuto. Ciò che non è compatibile viene espulso dal Trattato”
( p. 37 ss.) .
In senso contrario G.L. TOSATTO, L’impatto della crisi sulle istituzioni dell’Unione, in G. BONVICINI - F.
BRUGNOLI (a cura di), Il Fiscal Compact, Roma 2012, p. 15 ss , secondo cui il Fiscal compact non è
incompatibile con il diritto dell’Unione europea e non ha indebolito gli organi sovranazionali europei, il cui
ruolo risulta in qualche caso rafforzato (es. Commissione). L’autore sottolinea che “la conclusione di accordi
extra‐Ue non presenta di per sé elementi di illiceità. Il diritto internazionale dei trattati consente la modifica
di un accordo multilaterale solo fra alcune delle parti; richiede però che non si pregiudichino gli obiettivi
dell’accordo base e i diritti degli altri contraenti (Convenzione di Vienna del 1968, art. 41). Alle stesse
condizioni può dirsi rispettato anche l’obbligo di leale collaborazione (art. 4 par. 3 Tue) che vincola tutti gli
Stati membri (p. 20). Con riferimento ai contenuti del Trattato, evidenzia che “complessivamente, il Fiscal
Compact si limita a dettare regole di condotta più restrittive per gli Stati partecipanti, senza peraltro alterare
le normali competenze delle istituzioni dell’Unione (p. 22); con riferimento alla governance, sottolinea “che gli
sviluppi intervenuti al di fuori del diritto UE (… ) non possono aver pregiudicato le normali funzioni degli
organi dell’Unione; possono solo averne aggiunte di nuove” (p. 25).
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In Italia, come noto, l’adeguamento al nuovo trattato è avvenuto, in tempi peraltro brevissimi,
mediante legge costituzionale approvata nel 2012 (n. 1/2012) cui è seguita poi la relativa legge
rinforzata di attuazione n. 243/201211.
La vigente formulazione dell’art. 81 della Costituzione prevede il principio dell’equilibrio di bilancio
che riduce ulteriormente le già limitate leve finanziarie ed economiche, tradizionalmente di
pertinenza statale, ed utilizzabili per politiche di spesa in deficit sia in funzione anticiclica, che in
funzione prociclica; ciò peraltro si aggiunge alla perdita, per effetto dell’adesione all’Unione
monetaria, dei poteri di governo della moneta, non trasferiti alla Banca centrale europea, la cui
configurazione non è quella di un “autentica banca centrale”.12
È quindi evidente, come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, la limitazione all’autonomia
finanziaria statale, sia di entrata, per effetto della più limitata capacità di indebitamento, sia di spesa,
per i più stretti margini di risorse normalmente a disposizione degli Stati, che la crisi in questa fase
ha ulteriormente ridotto.
I vincoli ai bilanci pubblici introdotti dalla legislazione della crisi sono ormai vincoli costituzionali
e con essi è necessario misurarsi nella tutela dei bisogni della collettività e della garanzia dei diritti.
Poiché i diritti costano, i vincoli di bilancio e la limitatezza di risorse finiscono per interferire sulla
loro effettiva garanzia, in particolare di quelli a prestazione, da parte dello Stato e delle autonomie
territoriali.
L’avvio del processo riformatore è avvenuto peraltro in circostanze irrituali e al di fuori del Parlamento
sulla base della famosa lettera dell’agosto del 2011 che i governatori della Banca centrale europea (Trichet)
e della Banca d’Italia (Draghi) avevano inviato al Governo italiano. La lettera, come noto, oltre a considerae
opportuna la revisione delle norme costituzioanle sul bilancio, conteneva poi indicazioni sui settori in cui
intervenire per tagliare la spesa, sul mezzo da usare, il decreto legge, e sui tempi. La lettera è definita
“singolare” da M. LUCIANI (L'equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di
costituzionalità, Intervento al Seminario di studi “Il principio dell'equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale
del 2012", Roma, Palazzo della Consulta, 22 Novembre 2013, p. 11 del paper) per diverse ragioni: perché
“proveniente da soggetti a cui sarebe dovuto sfuggire qualunque apprezzamento fosse più latamente politico
della contigenza”, perché “era diretta al governo e non al Parlamento, sebbene fosse proprio il Parlamento
il destinatario di molti impegni ivi caldamente suggeriti”, perché “non è stata divulagata ed è rimasta nota
solo ai mittenti e ai destinatari, almeno fino a che un quotidiano non l’ha pubblicata portandola a conoscenza
nelle nostre Assemblee parlamentari”. Ma ancora più singolari secondo l’autore sono stati l’assenza di
discussione e i tempi rapidissimi dell’approvazione (la lettera citata è del 5 agosto 2011 e la prima
approvazione alla Camera è del novembre 2011). Gli atti del seminario di studi sono disponibili all’indirizzo
www.cortecostituzionale.it, sezione convegni e seminari
12 L’espressione è tratta da M. LUCIANI, L'equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo
di costituzionalità, cit., p. 8, il quale aggiunge che anche “i meccanismi messi in campo a partire dal 2010, dal
semestre europeo al meccanismo europeo di stabilità, dall’autorità bancaria europea al Comitato europeo
per il rischio sistemico, etc., se sono serviti a far fronte ai momenti di più drammatica emergenza, non
sembrano certo in grado di rimediare al grave paradosso che vive un sistema con moneta unica e debiti plurimi”.
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Come è stato evidenziato, infatti, le recenti riforme “sono all’origine di una torsione della forma di
Stato” e ciò “sia nell’assetto dei rapporti tra Stato e società, in ragione della loro incidenza su una
certa accezione di Stato sociale”, sia “in senso territoriale, in ragione di una forte spinta
all’accentramento”13.
L’autonomia finanziaria, tanto se riferita al reperimento delle risorse (autonomia di entrate), quanto
se riferita al loro impiego e distribuzione (autonomia di spesa), è lo strumento giuridico al centro
di queste problematiche e non può essere considerata problematica secondaria, solo strumentale
all’attività amministrativa, né può essere confinata ad un approccio solo economico, o limitata alle
problematiche inerenti le modalità concrete di erogazione delle risorse, come è accaduto nella
scienza amministrativistica italiana per larga parte anche della seconda metà del secolo scorso14.
Dopo aver dato conto dei principali vincoli che derivano dalla nuova normativa, si cercherà di
evidenziare le principali fibrillazioni che si registrano rispetto alla forma di Stato, sia in senso
“sociale” che in senso “territoriale”.
2. Equilibrio di bilancio tra eterodirezione europea, ricerca di margini di flessibilità e
problemi di “giustiziabilità”.
La introduzione in Costituzione dei vincoli previsti dal Fiscal Compact non era giuridicamente
vincolata e in altri paesi aderenti come la Francia si è proceduto in via ordinaria15.
Così R. BIFULCO, Le riforme costituzionali in materia di bilancio in Germania, Spagna e Italia alla luce del processo
federale europeo, in R. BIFULCO - O. ROSELLI, Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica. La
costituzionalizzazione del pareggio di bilancio tra internazionalizzazione economica, processo di integrazione europea e
sovranità nazionale, Torino, Giappichelli, 2012, 139. L’impostazione interdisciplinare del volume, che contiene
contributi di giuristi, economisti e sociologi, offre un’interessante analisi sulle trasformazioni nell’attuale
epoca storica.
14 In tal senso, G. ROSSI, Principi di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2015, p. 75; e in precedenza
M.S. GIANNINI, Osservazioni critiche sull’ordinamento della pubblica spesa, in AA.VV., Lo sperpero del denaro
pubblico, Milano, 1965, 89 ss..
15 Per la disciplina degli altri principali paesi euopei si rinvia a R. BIFULCO, Il pareggio di bilancio in
prospettiva comparata: un confronto tra Italia e Germania, Relazione al convegno di studi “Costituzione e
pareggio di bilancio”, Roma, 18 maggio 2012, in Il Filangieri, Quaderno 2011, Napoli, 2012, p. 250 ss.; C.
DECARO, La limitazione costituzionale del debito in prospettiva comparata: Francia e Spagna, ibidem, p. 268 ss.; C.
GOLINO, Il principio del pareggio di bilancio. Evoluzione e prospettive, Padova, Cedam, 2013, p. 158-189; I.
CIOLLI, Le ragioni dei diritti e il pareggio di bilancio, Roma, Aracne editrice, 2012, p 59; e ancora per la Germania,
M. HAETWIG, La costituzioionalizzazione del pareggio di bilancio nella cositutizone tedesca, in R. BIFULCO - O.
ROSELLI, Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica, cit., p. 153 ss.; R. PEREZ, La nuova disciplina
del bilancio in Germania, in Giorn. Dir. Amm., 1, 2011, 95 ss.; R. BIFULCO, Il pareggio di bilancio in Germania, una
riforma costituzionale postnazionale?, in www.rivistaaic.it, 3, 2011, 1 ss.; F. PEDRINI,La costituzionalizzazione tedesca
del Patto euopeo di stabilità: il Grundgesetz preso sul serio, in Quad. Cost., 2, 2011, 391 ss.. Per la Spagna invece, G.
M. BUELGA, La costituzionalizzaione dell’equilirio di bilancio nella riforma dell’art. 135 della Costituzione spagnola, in
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Se non obbligatorio sul piano giuridico, ci si è chiesto anche se non fosse addirittura superfluo sul
piano pratico16, visto che, se è vero che il bilancio italiano non è mai stato in pareggio, in ogni caso,
sulla base dei vincoli previgenti legati all’adesione all’Unione europea, si era passati dai disavanzi di
oltre il 12% del Pil a cavallo tra anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, a disavanzi prima della
crisi non superiori, se in pochi casi17, al parametro del 3%.
I vincoli europei, peraltro, dopo la riforma costituzionale del 2001 erano già espressamente
richiamati come limiti alla legge statale e regionale (art. 117 c. 1 Cost.), senza più la intermediazione
della clausola prevista dall’art. 11 della Costituzione18.
Anche l’argomentazione secondo cui la scelta dello strumento costituzionale sarebbe imposta dalla
necessità di garantire l’equità intergenerazionale appare forzata e non sarebbe sufficiente a motivare
la scelta. Gli studi economici hanno dimostrato che il vero nemico delle generazioni future non è
l’indebitamento, ma l’indebitamento determinato da spese improduttive; se riferito invece a spese
produttive (es. investimenti), le generazioni future erediteranno dalle generazioni precedenti una
ricchezza maggiore. Come è stato evidenziato, la regola “della cosiddetta golden rule, che consente
il finanziamento a debito delle spese di investimento, appare più coerente con l’equità generazionale
di quanto non lo sia il pareggio di bilancio”19.
Le ragioni della scelta del canale di riforma costituzionale sono da ricercarsi invece sul piano
politico e risiedono, da un lato, nella volontà di rassicurare i mercati sulla solvibilità del sistemapaese nel lungo periodo, perché garantita da un meccanismo strutturale di limitazione della spesa
R. BIFULCO, O. ROSELLI, Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica, cit., p. 169 ss.. Per la
Francia, F. FRAYSSE, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio in Francia, in R. BIFULCO - O. ROSELLI,
Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica, cit., p. 195 ss..
16 In questo senso, G. PISAURO, La regola del pareggio di bilancio tra fondamenti economici e urgenze della crisi, in
R. BIFULCO - O. ROSELLI, Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica, cit., p. 125.
17 Il riferimento è al caso del superamento della soglia del 3% da parte di Germania e Francia nel 2003, che
aveva determinato la procedura per disavanzi eccessivi e che ha dato luogo alla nota sentenza della corte di
Giustizia 13 luglio 2014 n. C-27/04 di inammissibilità del ricorso proposto dalla Commissione contro la
decisione del Consiglio di non adottare i rilievi formali suggeriti dalla Commissione nei confronti dei due
Stati che non avevano ottemperato alle raccomandazioni della Commissione, evidenziando la debolezza
degli strumenti in campo.
18 In questo senso, G. TOSATO, I vincoli europei sulle politiche di bilancio, Relazione al citato convengo
“Costituzione e pareggio di bilancio,” del 18 maggio 2012, ora anche in www.astrid-onilne.it, p 3.
19 Così G. PISAURO, La regola del pareggio di bilancio tra fondamenti economici e urgenze della crisi finanziaria, in R.
BIFULCO - O. ROSELLI, Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica. La costituzionalizzazione del
pareggio di bilancio tra internazionalizzazione economica, processo di integrazione europea e sovranità nazionale, Torino,
Giappichelli, 2012, 123 ss., che però evidenzia anche le ambiguità della nozione di “spesa di investimento”
che rendono difficile sul piano pratico la gestione della regola.
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in grado di vincolare i parlamenti; elemento tanto più necessario per un paese come l’Italia gravato
più degli altri dal peso di un debito pubblico di circa il 135% del prodotto interno lordo. Dall’altro
nell’esigenza di rassicurare anche le opinioni pubbliche dei Paesi più solidi sul perseguimento
dell’obiettivo di risanamento dei Paesi più esposti alle turbolenze dei mercati. Del resto, la
metamorfosi da norma internazionale a norma costituzionale interna del principio dell’equilibrio di
bilancio produce un più diretto legame sulle classe politica nazionale “che si assume il rispetto del
vincolo che non può più imputare al solo ordinamento europeo”.20
Sul piano strettamente giuridico, la nuova normativa relativa all’equilibrio di bilancio introduce
limiti più restrittivi rispetto a quelli del Patto di stabilità e crescita, che come noto prevede come
parametro di convergenza un deficit massimo della misura del 3% dal prodotto interno lordo riferito
alla complessiva spesa pubblica risultante dal saldo (c.d. indebitamento netto) del conto economico
consolidato amministrazione pubbliche.
La nuova disciplina collega, come noto, l’equilibrio di bilancio all’obiettivo di medio termine
(OMT), anch’esso previsto in sede europea per i paesi dell’area euro e calcolato però non rispetto
al saldo globale del conto economico consolidato amministrazioni pubbliche, ma rispetto al più
ristretto “saldo strutturale”, che corrisponde al citato saldo globale, ma depurato degli effetti di
misure una tantum o temporanee. Il bilancio è in equilibrio se il saldo strutturale si attesta entro un
rapporto deficti/pil dell’1%, che per i Paesi, come l’Italia, con un debito pubblico superiore al 60%
del Pil, si restringe a 0,5%.21
Non si è di fronte ad un pareggio statico tra entrate ed uscite, ma ad un più dinamico e meno rigido
“equilibrio”, che va assicurato “tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo
economico” (art. 81 c.1 Cost.).
L’indebitamento è consentito allo Stato solo “al fine di considerare gli effetti del ciclo economico”
e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti,
al verificarsi di “eventi eccezionali” (art. 81 c.2 Cost.).
Così I. CIOLLI, Le ragioni dei diritti e il pareggio di bilancio, Roma, Aracne editrice, 2012, p 59, che richiama
la tesi sostenuta da G. TOSATO, op. ult. cit., p. 4, e N. LUPO, la revisione costituzioanle della disciplina di bilancio
e il sistema delle fonti, (in Il Filangieri, Quaderno 2011, Napoli, Jovene, 2012, 6) secondo cui con sua la
costituzionalizzazione, il vincolo del pareggio di bilancio sarebbe “percepito dalle comunità politiche
nazionali come fatto proprio e condiviso”; l’autrice sottolinea però il suo dissenso, perché “se le riforme
costituzionali dovessero essere intraprese al solo scopo di creare una coscienza critica e politica se ne
svaluterebbe la porttata e l’importanza”
21 La legge 243 del 2012 fissa poi i valori di equilibrio per lo Stato (art. 14), per gli altri enti territoriali (art.
9) e per gli enti non territoriali (art. 13).
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Secondo una lettura restrittiva della norma, l’indebitamento è consentito solo in presenza di
entrambi i presupposti, cioè in caso di eventi eccezionali e per far fronte agli effetti del ciclo. Una
lettura invece estensiva22 ritiene che l’indebitamento sia consentito anche soltanto per far fronte
agli effetti negativi del ciclo economico23. Ciò recupera maggiori margini di manovra in capo allo
Stato che, anche al di là di eventi eccezionali, può rivolgersi al mercato per reperire risorse da
impiegare in politiche anticicliche, sia pur entro più stretti limiti di volta in volta definiti in
considerazione degli effetti del ciclo, e comunque entro il valore di convergenza dei deficit previsto
dal Patto di stabilità e crescita (c.d. margine di sicurezza). Ciò rassicura sul fatto che lo Stato nelle
fasi avverse del ciclo possa intervenire per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni anche
mediante trasferimenti a regioni ed enti locali cui non è consentito l’indebitamento a questo fine24.
Connessa all’equilibrio di bilancio è la c.d. la regola sull’evoluzione della spesa, ulteriore strumento,
nell’ambito della sorveglianza multilaterale, a disposizione delle autorità europee, per valutare la
capacità dello Stato membro di perseguire gli obiettivi di medio termine, e ora recepita anche nella
normativa interna dalla legge 243/2012.
Il Consiglio e la Commissione, sulla base dei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio
forniti dagli stati membri, valutano l’andamento annuo della spesa, la cui crescita non può superare
un determinato tasso di riferimento individuato in sede europea e che varia a seconda che lo Stato
abbia conseguito o meno l’obiettivo di medio termine.
Sono evidenti i limiti imposti dalla normativa all’autonomia finanziaria dello Stato e degli altri enti
territoriali, in coerenza con quel processo di “eterodirezione” europea che ormai caratterizza le
decisioni finanziarie, e in generale la manovra di bilancio.
Indiviaduati dall’art. 6 della legge 243/2012 in “periodi di grave recessione economica relativi anche
all'area dell'euro o all'intera Unione europea” e in “eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato,
ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonche' le gravi calamita' naturali, con rilevanti ripercussioni sulla
situazione finanziaria generale del Paese”.
23 In questo senso M. LUCIANI, L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di
costituzionalità, cit., p. 23, che evidenzia che è vero che le due ipotesi “sono elencate in successione legandole
con una “e” anziché con una “o”, ma (….) subito dopo la congiunzione, prima della menzione della seconda
ipotesi, si legge l’inciso “previa deliberazione delle camere (….)” che chiarisce senza incertezza che le due
ipotesi sono, appunto, due”. Nello stesso senso, A. MONORCHIO - L.G. MOTTURA, Compendio di
contabilità di Stato, Bari, Cacucci, 2013, p. 157.
24 Si rinvia al paragrafo 5.2 in cui si dà conto del Fondo straordinario per il concorso dello Stato al
finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni disciplinato dalla legge 243/2012.
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A partire dall’obiettivo di medio termine assegnato allo Stato, la manovra di bilancio si svolge lungo
un percorso che va “condiviso”25 in sede europea e che nella prima parte dell’anno, durante il c.d.
semestre europeo (introdotto dalle direttive del c.d. six pack)26, vede la definizione del Programma
di stabilità e del Piano nazionale di riforme, inseriti nel DEF, i cui contenuti sono concordati in
sede europea, e che continua anche nella seconda metà dell’anno, con la sottoposizione alle autorità
europee anche dei progetti di bilancio (come previsto dalle direttive del c.d. two pack)27.
È in questo continuo rapporto con le istituzioni europee che risiede la reale garanzia del rispetto
dell’equilibrio di bilancio e dei relativi vincoli, la quale più che dalla “giustiziabilità” costituzionale
del principio, sembra assicurata dalla difficile praticabilità politica in sede europea della decisione
di non rispettare con la legge di bilancio l’obiettivo di medio termine.
Sul piano più strettamente giuridico, infatti, la violazione del vincolo dell’equilibrio da parte della
legge di bilancio è difficilmente giustiziabile di fronte alla Corte Costituzionale.
Evidenzia I. CIOLLI, Le ragioni dei diritti, cit., , 2012, p. 55, come “l’indirizzo politico che vede anche
storicamente il suo punto di massima espressione nelle decisioni di politica economica e nell’elaborazione
del bilancio, come si deduce dal comma 1 dell’art. 81 della costituzione, che prevede che sia il Governo a
presentare la legge di bilancio e il Parlamento a votarla, è dunque svuotato non solo nella sostanza, ma anche
nella forma poiché l’approvazione assume ormai toni di una ratifica dei vincoli europei”. Nello stesso senso,
C. GOLINO, Il principio del pareggio di bilancio, cit., p. 198.
26 Si tratta di un pacchetto di norme del 2011 costituito della Direttiva n.85/2011 relativa ai requisiti per i
quadri di bilancio degli Stati membri e da 5 regolamenti del Parlamento e del Consiglio (n. 1173, relativo alla
effettiva esecuzione ella sorveglianza di bilancio nella zona euro; n. 1174, relativo alle misure esecutive per
la correzioen degli squilibri macroeconomici eccessivi dell azona euro; n.1175, relativo al rafforzamento
della sorveglianza delle posizioni di bilancio, nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche
economiche; n. 1176, relativo alla prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici; n. 1177, relativo
alle modalità di attuazione della procedura dei disavanzi eccessivi).
27 Si tratta dei regolamenti del Parlamento e del Consiglio n. 473 e 472 del 2013. Il primo riguarda quanto
detto nel testo, perché prevede il rafforzamento del six pack, in particolare con riferimento al semesrte
europeo, estendnedo il “dialogo” tra stato membro e Commissione anche in autunno. Lo Stato membro
deve presentare entro il 15 ottobre alla Commisisone e all’Eurogruppo il documento programmatico di
bilancio. La Commissione che ritenga il progetto di bilancio non conforme agli obblighi del Patto di stabilità
e crescita può chiedere l’invio di un progetto di bilancio rivisto; entro il 30 novembre la Commissione adotta,
se necessairo un parere sul progetto di bilancio da sottoporre alla valutazione dell’Eurogruppo. Il secondo
regolamento riguarda la procedura, nel caso in cui il Consilgio decida che sussista un disavanzo eccessivo,
per la sorveglianza rafforzata e il monitoraggio rafforzato della Commissione sugli Stati che afforntano gravi
difficoltà economico- finanziarie o con potenziale effetto di contagio dell’area euro, oppure che ricevono
assistenza finanziaria dal Fondo di stabilizzazione dell’eurozona (FESF), dal Fondo monetario
internazionale (FMI) o da altre istituzioni finanziarie internazionali al fine di assicurare un rapido ritorno
alle condizioni di normalità.
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Poiché tutte le previsioni di spesa concorrono a violare il principio, è difficile individuare l’unità si
spesa “marginale” che determina la violazione. 28 La Corte finirebbe per svolgere un ruolo che
dovrebbe esserle estraneo, dovendo indicare dove tagliare per riportare in equilibrio il bilancio.
Difficoltà non minori si avrebbero se la violazione fosse da riferire alla sola previsione di un
indebitamento non rispettoso dei vincoli previsti dall’art. 81 della Costituzione. La dichiarazione di
incostituzionalità della previsione dell’indebitamento dovrebbe travolgere i contratti sulla cui base
sono stati sottoscritti i titoli del debito pubblico? e riguarderebbe tutti i contratti oppure solo un
numero sufficiente a riportare l’indebitamento nei limiti? sarebbe superabile l’affidamento del
privato creditore? 29
Una dichiarazione di incostituzionalità della legge di bilancio nella sua interezza, poi, mettendo a
rischio il funzionamento dell’intero sistema dell’apparato amministrativo che dipende dalla legge di
bilancio in ragione della sua funzione autorizzatoria della spesa, dovrebbe farsi carico della
“ultrattività” della legge di bilancio dichiarata incostituzionale, fino all’adozione della nuova legge
di bilancio da parte del Parlamento rispettosa del vincolo costituzionale.
In questo caso il problema sarebbe legato alle conseguenze caducatorie della dichiarazione di
incostituzionalità, previste dall’art. 136 della Costituzione, che secondo parte della dottrina30 non
Come è stato efficacemente evidenziato, sarebbe difficile individuare qual è “la goccia che fa traboccare
il vaso”, G. SCACCIA, La giustiziabilità della regola del pareggio di bilancio, Relazione al convegno di studi
“Costituzione e pareggio di bilancio”, Roma, 18 maggio 2012, in Il Filangieri, Quaderno 2011, Napoli, Jovene,
2012, p. 240, il quale evidenzia come si potrebbe “ipotizzare (...) che la sentenza di accoglimento disponga
la riduzione proporzionale di tutti gli aggregati di spesa nei quali si articola il bilancio statale in modo da
rientrare all’interno del margine di disavanzo consentito. Anche questa soluzione pare, tuttavia,
impraticabile. Per un verso, perché non tutte le spese sono frazionabili, e riducibili in proporzione identica
senza sacrificare irrimediabilmente l’intervento, la misura, l’erogazione di servizi e di prestazioni concernenti
diritti che erano destinate a finanziare; per altro verso, perché una soluzione del genere priverebbe il
legislatore di ogni potere di riallocazione della spesa e, quindi, invaderebbe un ambito riservato alla
discrezionalità politica e precluso alla giurisdizione costituzionale” (p. 241).
29 Secondo G. SCACCIA, op. ult. cit., p. 243 la diligenza del privato sottoscrittore del debito pubblico non
può essere estesa fino a farsi carico delle complesse valutazioni connesse allo sforamento del vincolo di
bilancio e inoltre, “in un’ottica di politica costituzionale - un piano di riflessione che non può essere mai
estraneo all’orizzonte decisionale di una Corte costituzionale consapevole del proprio ruolo negli equilibri
del sistema di governo – l’inviolabilità degli impegni dello Stato verso i suoi creditori si imporrebbe come
soluzione necessitata per evitare un pregiudizio gravissimo alla sicurezza dei traffici giuridici e in specie
all’ulteriore emissione di titoli del debito pubblico, con rischi incalcolabilmente negativi per la tenuta delle
finanze pubbliche. E con un effetto macroeconomico probabilmente peggiore di quello che la declaratoria
di illegittimità costituzionale della legge in disavanzo era diretta ad evitare”.
30 G. SCACCIA, op. ult. cit., p. 239.
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consentirebbe una dilazione (o una modulazione) della loro decorrenza, per consentire al
Parlamento di provvedere ai tagli, come invece accade in altri paesi31.
La casistica non ha ancora prodotto, e forse non produrrà, dichiarazioni di incostituzionalità
dell’intera legge di bilancio; le sentenze che si riferiscono alla violazione dell’articolo 81 della
Costituzione riguardano principalmente le modalità con cui garantire l’obbligo di copertura32.
Tutto ciò non deve stupire perché denota semplicemente la natura intrinsecamente politica, prima
che giuridica del principio dell’equilibrio di bilancio che si inserisce a livello europeo in quadro
istituzionale di cui è stata evidenziata la “sostanziale non reversibilità” 33 , innanzitutto per le
implicazioni legate ad una eventuale decisione, pur in punto di diritto ammissibile, di contestazione
dei trattati internazionali sottoscritti, dalle conseguenze non prevedibili compiutamente e
sicuramente gravose per la popolazione nel periodo immediatamente successivo ad una eventuale
uscita dall’Unione monetaria.
Nell’ordinamento austriaco e tedesco, ad esempio, esiste il meccanismo della Fristsetzung di dilazione
degli effetti caducatori della dichiarazione di incostituzionalità. Per una analisi in chiave comparata della
problematica della modulazione degli effetti delle sentenze di accogliemnto, si rinvia a P. PASSAGLIA (a
cura di), Problematiche finanziarie nella modulazione degli effetti nel tempo delle proncunce di
incostituzionalità, 2014 (con contributi di E. Bottini, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig), servizio
studi della Corte Costituzionale, disponibile all’indirizzo internet www.cortecostituzionale.it
/documenti/convegni_seminari/Comp191.pdf. Per l’italia, si veda sul punto, A. CERRI, Materiali e riflessioni sulle
pronunzie di accoglimento datate, in Giur. Cost., 2, 1998, p. 2437 ss; M. SICLARI, Effetti temporali delle sentenze di
accoglimento della Corte Costituzionale, in Giur. It,, 1999, p. 1778 ss.; R. PINARDI, La Corte, i giudici e il legislatore.
Il problema degli effetti temporali delle sentenze di incostituzionalità, Milano, Giuffré, 1993; F. POLITI, Gli effetti nel
tempo delle sentenze di accoglimento della Corte, Padova, Cedam, 1997; S. PANUNZIO, Incostituzionalità
“sopravvenuta”, incostituzionalità “progressiva” ed effetti temporali delle sentenze della Corte Costituzionale, in AA.VV.,
Effetti temporali delle sentenze della Corte Costituzionale anche con riferiemnto alle esperienze straniere, Milano, Giuffré,
1989, p. 272 ss.; F. POLITI, L’efficacia nel tempo delle sentenze di accoglimento nelle riflessioni della rivista
“Giurispeidenza Costituzionale”, in A. PACE (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale, Milano, Giuffré
2006.
32 La Corte ha ritenuto illegittime, ad esempio, alcune leggi finanziarie regionali che prevedevano la copertura
di spese obbligatorie, debiti scaduti o in scadenza con l’impiego dell’avanzo presunto dell’esercizio
precedente (Corte cost. 25 ottobre 2013 n. 250; Corte cost. 13 novembre 2013 n. 266); oppure mediante la
riprogrammazione delle economie di stanziamento di un esercizio nel seguente (Corte cost. 17 ottobre 2013,
n. 241). Per un commento si veda, G. DE FRANCISCIS, Le nuove frontiere della giustiziabilità dei bilanci
pubblici alla luce delle sentenze n. 241 e n. 250 del 2013 e della decisione di parifica della Sezione di controllo
della Corte dei conti per il Piemonte, in sede di parificazione del rendiconto generale per l’esercizio 2012
(Delibera n. 276/2013/PARI), in Giustamm.it, n. 11, 2013.
33 L’espressione è di R. Bifulco, Le riforme costizuzionali in materia di bilancio in Germania, Spagna e Italia alla luce
del processo federale europeo, R. Bifulco, O. Roselli, in Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica, Toino,
Giappichelli 2012, p. 152.
31
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3. Equilibrio di bilancio e fibrillazioni del sistema del welfare
La previsione in Costituzione dell’equilibrio di bilancio, quale strumento che nel lungo periodo
garantisca l’affidabilità del Paese, ha spostato in modo più diretto nell’ordinamento interno e nella
comparazione tra valori costituzionali i condizionamenti di tipo finanziario resi più stringenti dalla
crisi.
Nel dibattito tra i costituzionalisti si è evidenziato come con l’introduzione del principio
dell’equilibrio di bilancio in Costituzione si sia tolto il velo sul conflitto tra le differenti logiche nella
tutela dei diritti sottese all’ordinamento europeo e, all’ordinamento italiano, o meglio alla tradizione
del costituzionalismo italiano ed europeo34.
È divenuta centrale, non solo in Italia, la questione della “reversibilità” o meno della tutela dei
diritti sociali, considerata in contrasto con la garanzia dell’adempimento del mandato costituzionale
del moderno Stato sociale di effettiva attuazione del principio di uguaglianza sostanziale.35
C. GOLINO, Il principio del pareggio di bilancio, cit, p. 197, secondo cui “esistono due attività di indirizzo
politico, quella aderente ai principi dello Stato democratico sociale previsti nella nostra Costituzione e quella
che è effettivamente esercitata sulla base dei Trattato europei, più concentrata sulle finalità della concorrenza
e della stabilità monetaria e finanziaria Con l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione la
questione si pone su piani differenti: è sul piano interno che si devono comporre i conflitti tra la logica del
vincolo di bilancio e la tutela dei diritti, in particolare quelli a prestazione. L’autrice aggiunge che “operare
un bilanciamento tra l’esigenza di rigore economico e la garanzia dei diritti, bilanciamento che non era
precedentemente contemplato nella nostra Costituzione, significa incidere sulla nostra forma di Stato
sociale, intesa come una particolare forma di organizzazione dello Stato chiamata a conseguire una maggiore
solidarietà fra i vari gruppi che compongono la società e che è tenuta ad intervenire attivamente a favore dei
gruppi o delle classi più deboli, ponendo perciò a fondamento della Costituzione l’uguaglianza sostanziale
(p. 197).
In senso analogo F. SALMONI, Legalità costituzionale e forma di Stato: aspetti teorici e profili pratici di due concetti
apparentemente in crisi, in Riv. Dir. Cost., 2004, p.127, secondo cui “è evidente che gli obiettivi comunitari non
coincidono con quelli disposti dalla nostra Costituzione, in particolare con l’obiettivo dell’eguaglianza
sostanziale, con la conseguenza che invece di essere l’ordinamento comunitario a conformarsi ai principi
proclamati a livello nazionale dalla Costituzione come fondamentali, è l’ordinamento costituzionale italiano
a modellarsi su quello comunitario, cominciando a ragionare essenzialmente in termini di uguaglianza
formale e di diritto di non discriminazione”.
Sull’esistenza di due attività di indirizzo politico una aderente ai principi dello stato democratico sociale
previsti in costituzione e l’altra esercitata sulla base dei Trattati comunitari, e concentrata sulle finalità della
concorrenza e della stabilità monetaria e finanzairia, si veda G. RIVOSECCHI, L’indirizzo politico finanziario
tra Costituzione e vincoli europei, Padova, Cedam, 2007; Id., Il Parlamento di fornte alla crisi economico-finanzairia,
Relazione al convegno La costituzione alla prova della crisi, Roma, 26/27 aprile 2012, in www.rivistaaic.it.
35 Cfr. S. GAMBINO, Intervento al Convengo, Diritti sociali e regionalismo fra garanzie costituzionali e innovazione
normativa, Università della Calabria, Arcavacata di Rende (CS) 4-5 dicembre 2014, inedito; S. GAMBINO,
Crisi economica e diritti sociali, Relazione al Seminario, Salute, assistenza sociale, istruzione fra garanzie costituzionali e
innovazione normativa in alcuni ordinamenti statali, Università della Calabria, Arcavacata di Rende (CS) convengo
del 4-5 giugno 2015, p. 3 del paper, che rielaborato e integrato è destinato al volume S. GAMBINO Diritti
sociali e crisi. Problemi e Prospettive, Torino, Giappichelli, in corso di pubblicazione.
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La rilevanza della esiguità delle risorse non è sconosciuta alla Corte costituzionale che già in
passato, e anche in materia di diritti sociali, si è misurata con il problema del bilanciamento tra
tutela e risorse.
Gli orientamenti della Corte, come noto, già a partire dalle prime decisioni, hanno superato la
configurazione come “programmatica” delle norme costituzionali in tema di diritti, e
successivamente, dalla teoria dei “diritti finanziariamente condizionati” sono passati al successivo
utilizzo di criteri interpretativi che hanno consentito di innalzare progressivamente il livello di tutela
che la Costituzione garantisce.
Quando, nell’implementazione dello Stato sociale, la Corte ha utilizzato il criterio della “gradualità
della tutela”, o della “discrezionalità del legislatore”, ha mostrato un atteggiamento pragmatico, che
non ha ceduto alla tentazione di una massimizzazione irreale della tutela che, non facendosi carico
del problema delle risorse, rimanesse una declamazione cartacea del diritto. Analogo atteggiamento
si è avuto in altri paesi, come ad esempio in Germania, dove il punto di equilibrio è stato segnato
dalla teoria della “riserva del ragionevole o del possibile”36.
La Corte quando si è dimostrata sensibile alle esigenze finanziarie, ha tenuto fermo, come baluardo
della tutela dei diritti, il nucleo essenziale quale elemento intangibile legato alla dignità della persona,
salvo poi stabilire, ma ciò non è stato ancora chiarito in via giudiziaria, se di fronte alla scarsità di
risorse, il
livello “essenziale” possa essere considerato o meno come sinonimo di livello
“minimo”37.
Per una analisi recente con particolare riferimento al sistema brasiliano, si veda R. PERLINGEIRO La
“riserva del possibile” (Vorbehalt des Möglichen) costituisce un limite all’intervento giurisdizionale nelle politiche pubbliche
sociali?, in Giustamm.it, 1, 2014.
37 La letteratura in tema di livelli essenziali è molto ampia e ruota intorno a se i livelli essenziali debbano
intendersi come i contenuti incomprimibili dei diritti dei cittadini oppure come soglie minime di prestazioni
erogabili in base alle risorse. Nel pirmo senso, e senza pretesa di completezza, si vedano C. PINELLI, Sui
“livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, c. 2 lett. m, Cost.), Dir. Pubbl., 2002, 87 ss.;
D. MESSINEO, La garanzia del “contenuto essenziale” dei diritti fondamentali. Dalla tutela della dignità umana ai livelli
essenziali delle prestazioni, Torino, Giappichelli, 2012; N. LONGO, I livelli essenziali delle prestazioni quale clausola
di omogeneità sul territorio nazionale, Roma, Aracne 2012; S. GAMBINO, Federalismo fiscale e uguaglianza dei
cittadini, in www.federalismi.it, n.7/2009; M. LUCIANI, I diritti costituzionali tra Stato e Regioni (a proposito
dell’art.117, c. 2 lett. m, Cost), in Pol. Dir., 2002, p. 345 ss.; C. TUBERTINI, Pubblica amministrazione e garanzia
dei livelli essenziali delle prestazioni. Il caso della tutela della salute, Bologna, Bononia University Press, 2008; O.
CHESSA, La misura minima essenziale dei diritti sociali: problemi e implicazioni di un difficile bilanciamento, in Giur.
Cost., 1998, p. 1170 ss.; A. MORRONE, Costituzione finanziaria e livelli essenziali delle prestazioni, in
AA.VV:, Processi di devolution e transizioni costituzionali negli stati unitari, Torino, Giappichelli, 2007, p.
171 ss.; E. BALBONI, il concetto di livelli essenziali ed uniformi come garanzia in materia di diritti sociali,
in Ist. Federalismo, 2001, 6, p. 1106 ss.; L. TRUCCO, Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria
dei diritti sociali, Relazione al Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, “I diritti sociali: dal
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In ogni caso tra i due poli, da un alto, della teoria dei diritti finanziariamente condizionati o del
principio “salus rei publicae suprema lex esto”, e dall’altro, della massimizzazione della tutela, si impone
necessariamente un punto di equilibrio38.
Ad un’analisi superficiale, quindi, la risposta alla domanda se la tutela dei diritti sociali è reversibile,
potrebbe essere semplice e diretta: i diritti costano e se le risorse sono assenti il livello di tutela non
può che riflettere la loro misura.
Ciò coglie inevitabilmente un dato di realtà: la tutela dei diritti riflette la ricchezza di un paese e i
sistemi di welfare in costruzione nei paesi in via di sviluppo lo confermano 39. Se è vero che lo
riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza”, Trapani, 8-9 giugno 2012, in www.gruppodipisa.it, 2012, p.
27 ss e C. PANZERA, I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali, in G. CAMPANELLI - M.
CARDUCCI, V. TONDI DELLA MURA, Diritto costituzionale e diritto amministrativo: un confronto
giurisprudenziale, Torino, Giappichelli, 2010, p. 57 ss. Nel senso che i livelli essenziali siano il frutto di una
scelta politica che necessita della quantificazione delle risorse corrispondenti, determinando l’esigenza di
selezionare gli obiettivi di tutela, R. BIN, Diritti e fraintendimenti: il nodo della rappresentanza, in Studi in Onore
di G, Berti, Napoli, Jovene, 2005, 368 ss. Per la necessità di una valutazione della compatibilità finanziaria
anche P. GIARDA, Sull’incompletezza del sistema di federalismo fiscale proposto dalla nuova Costituzione: ci sono rimedi?,
in A. FOSSATI (a cura di), La nascita del federalismo. Attuazione della riforma del titolo V della Costituzione, Milano,
Franco Angeli, 2003, p. 85 ss.. Spunti interessanti sulla reciproca influenza tra prestazioni e risorse, si
trovano anche in L. TORCHIA, Sistemi di Welfare e federalismo, in Quad. Cost., 2002, p. 713 ss..
38 In dottrina vi è chi attribuisce all’equilibrio di bilancio un valore di primazia anche a fronte della garanzia
dell’uguaglianza (G. BOGNETTI, La Costituzione economica italiana, Milano, Giuffré, 1993, spec . p. 46 ss.) e
chi invece ritiene che nel bilanciamento tra diritti e risorse il profilo finanziario, non è uguale a quello degli
altri valori, perché si confonderebbe il mezzo, cioè le risorse fiannziarie con i fini, cioè gli obiettivi di tutela
(M. LUCIANI, Sui diritti sociali, in Scritti in onore di Manlio Maziotti di Celso, Padova, Cedam, 1995, p.126.),
riconoscendo un livello minino di garanzia da assicurare a prescindere dalla esigenze di bilancio. Non è
possibile dare conto sulla sterminata letteratura sul tema. Tra i tanti si rinvia a C. COLAPIETRO, La
giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale, Padova, Cedam, 1996, 370 ss.; D. BIFULCO L’inviolabilità
dei diritti sociali, Napoli, Jovene, 2003, spec. p. 175; P. CARETTI, I diritti fondamentali, Torino, Giappichelli,
2011. La tendenza alla non assolutizzazione dei diritti, si rinviene ad esempio, nella giurisprudenza sul diritto
all’abitazione, garantito per i meno abbienti attraverso l’edilizia residenziale rispetto al quale la Corte (ex
plurimis sent. n. 121/2010) ha evidenziato che “la determinazione dei livelli minimi di offerta abitativa per
categorie di soggetti particolarmente disagiate , da garantire su tutto il territorio nazionale, viene
concretamente realizzata attribuendo a tali soggetti una posizione preferenziale che possa assicurare agli
stessi il soddisfacimento del diritto sociale alla casa compatibilmente con l’effettiva disponibilità di alloggi
nei diversi territori”. Si veda anche J.L. CARRO FERNÁNDEZ VALMAYOR - L. MIGUEZ MACHO,
Servicios sociales y crisis económica: los límites del estado asistencial, in A. BLASCO ESTEVE (cordinator),
El derecho publico de la crisis economica. Transparencia e sector Pubico. Hacia un nuevo derecho administrativo, Madrid,
Enero, 2012, che raccoglie gli atti del VI congresso dell’Associazione spagnola dei professori di diritto
amministrativo (11-12 febbraio 2011, Palma di Maiorca), e disponibile all’indirizzo www.aepda.es.
39 La più chiara esemplificazione mi si è presentata durante le lezioni del corso di diritto dell’assistenza
sociale che ho tenuto qualche anno fa. Tra gli studenti che frequentavano il corso vi era una ragazza
portatrice di handicap che periodicamente si sottoponeva a dialisi. Durante la lezione sulla giustiziabilità dei
diritti sociali raccontò che il Comune che le garantiva il trasporto in ospedale aveva cambiato l’orario per
ragioni organizzative, e ciò non le consentiva di frequentare le lezioni nei giorni della dialisi, e quindi era
necessario far causa al Comune. A fianco a lei era seduta una ragazza originaria della Bolivia, che
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sviluppo della personalità umana e la rimozione delle disparità sono il frutto di un processo
evolutivo, e richiedono sempre nuove mete, è altrettanto vero che, anche nei paesi più ricchi, dove
i sistemi del welfare rappresentano una conquista consolidata e di civiltà, è nella natura delle cose
che esista un punto di rottura della tenuta del sistema. Non accettare l’idea che il livello di tutela
possa variare nel tempo in ragione delle condizioni del contesto economico-sociale, non equivale
ad applicare il dettato Costituzionale, che rimane giuridicamente indeterminato, quanto piuttosto
la lettura del dettato costituzionale secondo il significato che l’interprete vi attribuisce in ragione
della propria opzione valoriale40.
Ciò però non significa sminuire la priorità giuridica, se non addirittura assiologica delle esigenze del
welfare, perché, nei paesi europei, industrializzati e con un alto livello di ricchezza, di fronte alle
politiche del rigore e alle risorse scarse a disposizione, bisogna innanzitutto intendersi sul concetto
stesso di “scarsità o assenza di risorse”.
La sensazione è che dalla “scarsità reale di risorse”, che rende difficilmente confutabile in concreto
l’affermazione secondo cui “senza l’ospedale non vi è il diritto al ricovero”41, vada distinta una
“scarsità di risorse da inefficace e inefficiente distribuzione”.
Nell’attuale fase storica gli Stati europei, sono ormai privi delle tradizionali leve finanziarie, che
tuttavia non sono state trasferite in sede europea, e non possono mettere in campo politiche
espansive e/o in deficit, se non entro rigidi limiti, che nei paesi come l’Italia, con un gravoso debito
pubblico, risultano ancora più stringenti.
È questo il vero nervo scoperto dell’introduzione dell’equilibrio di bilancio: la necessità di una
riorganizzazione della spesa cosiddetta improduttiva, che individui le vere priorità dei bisogni della
collettività, e in questa operazione, le esigenze del welfare non possono che svolgere un ruolo di
primazia.
Questo tipo di scarsità di risorse rappresenta il punto di maggior tensione tra equilibrio di bilancio
e tutela dei diritti, in particolare di quelli sociali, almeno fino a quando non si passerà ad un’Europa
realmente federale, che recuperi i poteri finanziari che tradizionalmente hanno fatto capo agli Stati.
evidentemente meravigliata della vicenda disse: “Professore, ma in Bolivia io non ho nemmeno il medico di
famiglia”.
40 Un antico maestro del diritto amministrativo, G.D. ROMANGNOSI (Vedute fondamentali dell’arte logica
(1832), in A. De Giorgi, Opere di Giandomenico Romagnosi, a cura di, Milano 2006, I, 1, p. 37) evidenziava come
le soluzioni non sono mai ottimali, ma le “migliori che nelle date circostanze si possono effettivamente
praticare come le più adatte allo scopo, in quella data età, in quel dato territorio e con quel dato cielo”.
41 L’espressione è di G. ROSSI, Principi, cit., p. 59.
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È rispetto a questo tipo di scarsità di risorse, “da inefficace e inefficiente distribuzione”, che la
tutela dei diritti sociali non può ammettere arretramenti.
È dunque necessario un ripensamento del sistema del welfare, non tanto nel senso di un suo
ridimensionamento (o arretramento), quanto piuttosto di un suo “riposizionamento” nella scala
dei bisogni delle collettività42, che ne rifletta realmente la priorità rispetto ad altre esigenze troppo
spesso espressione di interessi microsettoriali, se non semplicemente clientelari.
Si tratta come è evidente, di una vicenda politica, prima che giuridica, rispetto alla quale parte dei
rimedi finora adottati sono inefficaci.
Nelle più recenti normative sulla cosiddetta c.d. spending review43, la revisione della spesa è stata intesa
come un mero strumento di taglio, piuttosto che come occasione per una riorganizzazione e
ridistribuzione delle risorse che privilegi le esigenze del welfare. Analogamente, la logica dei
cosiddetti “tagli lineari”, troppo spesso seguita dal legislatore, non tenendo conto delle specificità
dei singoli bisogni, rischia di colpire proprio quelli più meritevoli di tutela.
Ciò nonostante, i giudici interni, proprio in controversie che coinvolgevano la tutela di diritti sociali,
si sono fatti carico dell’esigenza di garantire una certa “flessibilità” ai vincoli di bilancio e ai tagli di
spesa. Tuttavia, in assenza di un ripensamento complessivo delle priorità, i pur apprezzabili sforzi
Che l’abbassamento del livello delle prestazioni possa anche in parte ricollegarsi alla frequente e forse
troppo facile individuazione di sempre nuovi “diritti” nella dissoluzione della linea di demarcazione tra
“bisogno” o “interesse” quale situazione di fatto , e “diritto” quale situazione protetta, è un profilo che non
può più essere trascurato. Sul punto, G. ROSSI, La moltiplicazione dei diritti, Relazione al Convegno su "Diritti
della persona all'alba del terzo millennio" (Roma, 22 giugno 2007), in Astrid-online.it, 2007, secondo cui una
moltiplicazione dei diritti si traduce in un effetto inflattivo, con “impoverimenti sulle parti sociali più deboli.
(…) in termini più generali occorre recuperare alcuni valori: se non piace il termine dovere, che, pure, non
dovrebbe dispiacere, ci si può porre l’obiettivo della sobrietà individuale e collettiva dalla quale può anche
derivare una migliore qualità della vita”. Nello stesso senso U. ALLEGRETTI, Le istituzioni internazionali,
l’Europa l’Italia, rel. all’Assemblea dell’Associazione C.r.s., Roma 1995, che aveva osservato come “i fini
della comunità politica Italia eccedono la dimensione delle forze dello Stato”.
43 Ci si riferisce al decreto legge 7 maggio 2012, n. 52 (convertito con modifiche dalla Legge di conversione
6 luglio 2012, n. 94 s.m.i., c.d. 1^ spending review); al decreto legge 6 giugno 2012 n. 95, (convertito con
legge 7 agosto 2012 n. 135 s.m.i., Disposizioni urgenti per la revisione della spesa con invarianza dei servizi
ai cittadini”, c.d. 2^ spending review); al decreto legge n. 24 aprile 2014, n.66, convertito in legge 23 giugno
2014 n. 89 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale) che contiene ulteriori misure di riduzione
della spesa (c.d. 3^ spending review). Le continue e irrequiete modifiche normative evidenziano come la c.d.
spending review non sia considerata come uno strumento strategico di azione amministrativa, ma un mero
strumento di indiscriminato raggiungimento dell’obiettivo contabile. La vicenda fa venire in mente le parole
di uno studioso francese di diritto amministrativo, il prof. J.B. Auby , che in un convegno di qualche anno
fa a Roma criticando l’uso di termini inglesi nei testi legislativi italiani e anche nel dibattito dottrinario (come
ad es. performance, accountability, ecc,) si chiedeva ironicamente se non fosse vero che noi amministrativisti
italiani quando sogniamo, sogniamo in inglese. Proprio con riferimento alla vicenda della spending review c’è
da augurarsi che ciò non sia vero, perché il risveglio potrà essere improvviso e traumatico.
42
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della Corte costituzionale 44 , o della Corte dei Conti 45 , o del Tar-Consiglio di Stato 46 , di
ridimensionare la rigidità dei vincoli di bilancio, sono degli anticorpi del sistema, che non sono
sufficienti nel lungo periodo a garantirne la tenuta.
Si vedano, ad esempio, le sentenze della Corte che hanno dichiarato illegittime norme della Regione Puglia
(sentenza 11 febbraio 2010 n. 44) o della Regione Liguria (sentenza 11 luglio 2008, n. 271) nella parte in
cui escludevano il rimborso di alcuni farmaci; oppure che hanno ritenuto possibile lo sfondamento dei tetti
di spesa per le cliniche pubbliche (sentenza 2 aprile 2009 n. 94). O ancora si veda la sentenza sulla c.d social
card (sentenza 11 gennaio 2010 n. 10) che ha ritenuto legittimo un intervento di politica sociale da parte dello
Stato, attinente all’ambito dell’ assistenza e dei servizi socali, “se necessario allo scopo di garantire
effettivamente la tutela di soggetti i quali, versando in considizoni di estremo bisogno, vantino un diritto
fondamentale che, in quanto strettamente inerente alla dignità della persona (...) deve essere garantito su
tutto il territorio nazionlae in modo uniforme, appropriato e tempestivo (...)”.
In particolare, si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 80 del 2010 che ha dichiarato l’illegittimità
della disposizione legislativa che fissava un limite invalicabile al numero degli insegnanti di sostegno, facendo
riferimento alla necessità di strumenti elastici di intervento che consentano di individuare di volta in volta
“meccanismi di rimozione degli ostacoli che tengano conto della tipologia di handicap da cui risulti essere
affetta in concreto una persona” attraverso “interventi mirati”. Sulla sentenza si veda, M. LOTTINI, Scuola
e disabilità, i riflessi della sentenza n. 80 del 2010 della Corte Costituzionale sulla giurisprudenza del giudice amministrativo,
in Foro amm. Tar, 2011, p. 2403. Di sentenze additive di principio “per deficit di flessibilità” ha parlato C.
SALAZAR, «Guerra e pace» nel rapporto Corte-Parlamento: riflessioni su pecche e virtù delle additive «di principio» quali
decisioni atte a rimediare alle «omissioni incostituzionali» del legislatore, in A. RUGGERI - G. SILVESTRI (a cura
di), Corte costituzionale e Parlamento. Profili problematici e ricostruttivi, Milano, Giuffrè, 2000, p. 279 ss. Si veda
anche C. PANZERA, Tutela dei diritti fondamentali, tecniche di normazione e tipologia delle pronunce costituzionali (la
“rivoluzione
della
flessibilità”),
in
http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/
images/stories/pdf/nuovi%20pdf/Paper/0032_panzera.pdf., 9 ss..
45 Con riferimento alla “violazione” dei vincoli del patto di stabilità interno, ad esempio, la procura della
Corte dei conti della Campania ha adottato un provvediemtno di archiviazione (del 24 maggio 2013), senza
procedere alla richiesta di avvio del giudizio diretto ad accertare la responsabilità dei componenti della
Giunta del Comune di Napoli, che aveva deliberato (delib. n. 673 del 31 agosto 2012) il reclutamento di
personale a tempo determinato “nella misura strettamente necessaria a soddisfare le esigenze di continuità
dei servizi educativi della scuola dell’infanzia e degli asili comunali”, messi a rischio dalle gravi carenze di
personale docente, in violazione però dei limiti previsti dalla legge che vieta agli enti locali che nell’ultimo
rendiconto presentino un disavanzo di assumere impegni per spese non espressamente previsti dalla legge
(art. 191, co. 5 del d. lgs. 267/2000), e impedisce l’assunzione di personale a qualunque titolo se la spesa per
il personale sia pari o superiore al 50% di quella corrente (art. 76, co. 7 del d.l. 112/2008, convertito in legge
133/2008, e successivamente modificato dall’art. 14, co. 9 del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010).
Il Comune di Napoli aveva una spesa per il personale superiore al 50% della spesa corrente e nel 2011 aveva
registato un significativo disavanzo di amministrazione. Sulla vicenda si veda M. Morvillo, Un caso di scuola:
la vicenda del comune di Napoli tra diritti e vincoli di bilancio, in www.rivistaaic.it, n. 4, 2013.
46 Si veda Tar Liguria, Genova, sez. II 18 marzo 2010 n. 1183 che condanna l’amministrazione scolastica ad
aumentare il numero delle ore di sostegno inizialmente accordate a favore dell’alunna disabile
sostanzialmente disapplicando, attraverso una interpretazione adguatrice, il vincolo normativo fissato in
modo rigido dalla legge 244 del 2007 sulla formazione degli organici (art. 2, commi 413 e 414). Il Tar
interpeta il limite di legge come derogabile dall’amministrazione al fine di garantire in maniera sostanziale
ed effettiva il diritto all’istruzione riconosciuto alla persona dalla Costituzione. La norma è stata poi
dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 80 del 2010. Sul punto si veda A. PIOGGIA, Giudice
amministrativo e applicazione diretta della Costituzione: qualcosa sta cambiando?, in Dir. pubbl., 2012, 49 ss., che
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Oltre il diverso orizzonte delimitato dall’indicata operazione di riposizionamento della spesa
improduttiva e inefficace, e senza il successivo e necessario passaggio ad una Europa realmente
dotata dei poteri propri di uno “Stato” federale, la prospettiva di un regresso dei diritti sociali verso
il limite minimo che, c’è da augurarsi sia ancora in grado di garantire la dignità della persona, è una
prospettiva che non può escludersi.
È sulla necessità di un salto di qualità del processo di integrazione europeo, che i più recenti
sviluppi della crisi greca spingono ad interrogarsi, e ogni rinvio è destinato a rendere più forti le
posizioni fortemente critiche sull’Unione monetaria, e maggiormente accettabile dalle popolazioni
una eventuale, sia pure gravosa, uscita dall’euro.
Si è di fronte quindi ad un problema politico, ma come sottolineato in precedenza, è un tratto
proprio dell’equilibrio di bilancio47.
4. Equilibrio di bilancio, “sentenze che costano” e incertezza dei diritti
Se la Corte costituzionale è chiamata a garantire il rispetto dell’equilibrio di bilancio, annullando
leggi di spesa che lo compromettono, può invece nell’affermare un diritto costituzionalmente
tutelato, emettere “sentenze che costano”?
La domanda, già oggetto in passato di attenzione da parte della dottrina, è tornata alla ribalta con
la riforma dell’art. 81 della Costituzione. Naturalmente valgono anche rispetto al nuovo articolo 81
le argomentazioni che in passato ne hanno affermato l’ammissibilità: l’art. 81 riferisce la copertura
alla legge e non ad altri atti giuridici; le pronunce del giudice costituzionale non possono essere
assimilate alle leggi; le decisioni costose non possono essere riservate solo alla rappresentanza
politica, se non a prezzo di far abdicare la Corte costituzionale al suo ruolo istituzionale.48
peraltro evidenzia l’ormai avvenuta riduzione della distanza tra logiche e strumenti di tutela delle situaizoni
soggettive del giudice amministrativo e ordinario.
47 Osserva A. MAJOCCHI, Dal Fiscal Compact all’Unione fiscale, in G. BONVICINI - F. BRUGNOLI (a cura
di), Il Fiscal Compact, Roma 2012, p. 52, che “con il permanere di una situaizone di crisi dei debiti sovrani,
occorre affermare con chiarezza che il punto decisivo è essenzialmente politico: si tratta di trasferire a livello
europeo il potere – che è stato finora custodito gelosamente dagli stati membri – di gestire in autonomia le
decisioni fondamentali di politica economica, completando così la costuzione dell’Unione economica e
monetaria” e che “i modesti avanzamenti ottenuti con il Trattato di Lisbona sono del tutto inadeguati”.
48 Sul punto, per tutti, si rinvia a AA.VV., Le sentenze della Corte costituzionale e l’art. 81 u.c. della Costituzione,
Milano, Giuffré, 1993; L. Carlassarre, Priorità costituzionali e controllo sulla destinazione delle risorse, in
Costituzionalismo.it, n. 1, 2013, 9 ss; F. GROSSO, Sentenze costituzionali di spesa che non costino, Torino,
Giappichelli, 1991; G. SCACCIA, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, in Giur. Cost.,
1998, p. 3980 ss.; T. GROPPI, La quantificazione degli oneri finanzairi derivanti dalle decisioni della Corte costituzionale:
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L’equilibrio di bilancio, e in generale il rapporto risorse-diritto, non incidono sull’an delle “sentenze
che costano”, cioè sulla loro ammissibilità, quanto piuttosto sulla considerazione degli effetti
materiali della decisione di accoglimento in caso di significativo impatto finanziario, come
spartiacque tra pretese di tutela individuali e “sostenibilità” della loro garanzia.
La “sostenibilità della tutela” , tuttavia, non esprime la prevalenza delle esigenze finanziarie, né
segna la resa alla logica del “diritto finanziariamente condizionato”; esprime piuttosto, nel rapporto
tra risorse e diritti, l’elemento della “relazionalità” delle situazioni soggettive49.
Il rapporto infatti tra risorse e diritti non è un rapporto binario, bensì un “rapporto multipolare”,
nel senso che come un sistema di “vasi comunicanti”50, la tutela o il sacrificio dell’uno, finisce per
limitare o aumentare le risorse a disposizione per gli altri.
In questo senso, se è vero, come sottolineato da attenta dottrina, che i diritti sono gli obiettivi di
tutela, mentre le risorse rappresentano semplicemente il mezzo, e che il bilanciamento tra diritto
e risorse è destinato ad essere un bilanciamento tra “valori ineguali”51, ciò non significa che la
considerazione delle risorse deve essere estranea alle decisioni della Corte costituzionale, ma più
semplicemente che il profilo del costo nel giudizio di bilanciamento con il diritto non è destinato
sempre a soccombere perché ciò può comportare il sacrificio di un altro diritto.
La reale comparazione avviene quindi tra differenti diritti, tutti egualmente protetti, in relazione
alle risorse.
profili organizzativi e conseguenze sul processo costituzionale, in P. COSTANZO (a cura di) L’organizzaione e il
funzionamento della Corte costituzionale, 1996, p. 269 ss..
49 Sulla relazionalità delle situazioni soggettive come conferma dell’impossibilità di assolutizzazioni del
nozione di diritto soggettivo, della necessità di darne una definizione meno legata a concezioni
soggettivistiche e sulla inadeguatezza della dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo rispetto alla tutela
connesssa all’attvità amministrativa di prestazione, G. ROSSI, Principi, cit,, spec. Cap. VI, e in precedenza
dello stesso autore, Introduzione al diritto amministrativo, Torino 2000, spec. p. 270-285. Evidenziava A.
FALZEA, Gli interessi legittimi e le situazioni soggettive, in Riv. dir. civ., 2000, I, p. 683, che delle situazioni
protette “varieranno le modalità con le quali si atteggia l’interesse giuridico – in ragione della natura del bene
che ne forma oggetto, del grado di certezza del suo conseguimento, dell’incontro con altri interessi tutelati
dal diritto e del confronto tra la rispettiva tutela, di altre possibili contingenze; e varierà, in relazione alle
specifiche variabili, la tutela del diritto: ma resta fermo il punto secondo il quale la rilevanza giuridica apre
all’interesse tutte le vie della tutela giuridica, che si adatterà alle circostanze secondo il criterio universale
dell’adeguamento degli effetti alla sostanza degli interessi espressi dal fatto giuridico”.
50 L’espressione è di A. Ruggeri, Crisi economica e diritti sociali sotto stress: il punto su una ricerca, Relazione di sintesi
del Seminario su Salute, assistenza sociale, istruzione fra garanzie costituzionali e innovazione normativa in
alcuni ordinamenti statali, Università della Calabria, Arcavacata, p. 3 del paper, disponibile con integrazioni
in S. GAMBINO (a cura di), Diritti sociali e crisi. Problemi e prospettive, Torino, Giappichelli, in corso di
pubblicazione.
51 L’espressione è di M. LUCIANI, Sui diritti sociali, in Scritti in onore di Manlio Maziotti di Celso, Padova, Cedam,
1995, p.126.
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È inevitabile dunque che la Corte costituzionale sia chiamata a farsi carico quando adotta “sentenze
che costano”, degli effetti materiali delle sue decisioni.
Il problema si sta in particolare ponendo con riferimento alle numerose previsioni di legge
(contenute per lo più in decreti legge) che mosse dall’esigenza di contenimento della spesa, o di
reperimento di risorse, hanno inciso su diritti costituzionalmente garantiti, imponendo sacrifici o
limitazioni eccessivamente gravose.
La Corte sembra stia iniziando a modulare gli effetti della decisione di incostituzionalità, pur in
presenza dell’art. 136 della Costituzione, che collega invece alla pronuncia, la cancellazione ex tunc
della norma incostituzionale.
È però inevitabile che la natura intrinsecamente politica della decisione, e l’approccio
inevitabilmente casistico ed episodico tipico della funzione giurisdizionale, portino con sé un certo
grado di incertezza, che la scarsità di risorse dovute alla crisi è destinata ad acuire.
Le sentenze degli ultimi anni in tema ad esempio di c.d. blocco degli stipendi dei magistrati52, di
professori e ricercatori universitari53, o di altre categorie di impiego pubblico54, o in tema di c.d.
Corte cost. 2012 n. 223 relativa al blocco degli stipendi dei magistrati evidenzia che “tale disciplina, in
quanto suscettibile di determinare effetti permanenti del blocco dell’adeguamento soltanto per le categorie
interessate dal medesimo blocco, determina per ciò stesso la violazione dell’art. 3 Cost., nonché dei ricordati
principi costituzionali posti a presidio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. La disciplina in
esame realizza, infatti, una ingiustificata disparità di trattamento fra la categoria dei magistrati e quella del
pubblico impiego contrattualizzato, che, diversamente dal primo, vede limitata la possibilità di
contrattazione soltanto per un triennio”; che “la disciplina censurata eccede i limiti del raffreddamento delle
dinamiche retributive, in danno di una sola categoria di pubblici dipendenti...” e “(... ) oltre a superare i limiti
costituzionali indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (...), travalica l’effetto finanziario voluto,
trasformando un meccanismo di guarentigia in motivo di irragionevole discriminazione”.
53 Corte cost. 17 dicembre 2013 n.310, dichiara legittimo il blocco degli stipendi del personale non
contrattualizzato quali i professori e ricercatori universitari previsto dal d.l. n. 78 del 2010 (art. 9 c. 21),
evidenziando che “ il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi
una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi quali quelli in esame, che trovano
giustificazione nella situazione di crisi economica” e che “le norme impugnate superano il vaglio di
ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del
pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi
statuti professionali delle categorie che vi appartengono – e per un periodo di tempo limitato, che
comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio”.
Rispetto alla pronuncia differente (n. 223/2012) resa con riferimento al blocco dei meccanismi di
adeguamento retributivo per il personale della magistratura, la Corte evidenzia che “la legge, sulla base dei
principi costituzionali, ha messo al riparo la magistratura da qualsiasi forma di interferenza, che potesse, sia
pure potenzialmente, menomarne l’autonomia e l’indipendenza, sottraendola alla dialettica negoziale” e che
quindi “la dichiarazione di illegittimità costituzionale, “va ricondotta alle specificità dell’ordinamento della
magistratura, specificità non sussistenti nella fattispecie in esame”.
54 Corte cost. 12 dicembre 2013 n. 304, con riguardo al trattamento retributivo del personale di carriera
diplomatica previsto dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (art. 9, c. 21) evidenzia che “nel caso in esame,
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contributo di solidarietà a carico di dipendenti pubblici e magistrati55, non hanno infatti seguito un
andamento lineare, dando luogo a risultati non sempre uniformi
È nelle più recenti, ed emblematiche, sentenze del 2015, la n. 10/2015 e la n. 70/2015, che la Corte
nell’equilibrio tra diritto e risorse mostra un atteggiamento non univoco, massimizzando ora il polo
delle risorse finanziarie (nella sentenza n. 10), ora il polo della tutela (nella sentenza n. 70).
Nella sentenza n. 10/2015, che come noto riguarda vicenda della c.d. Robin Hood Tax56, la tutela
delle risorse pubbliche (e la preoccupazione per le casse dello Stato) è tale da fare agire la Corte
sulla modulazione degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, nel senso che, pure a fronte
della affermazione della illegittimità costituzionale del prelievo fiscale, vengono fatti salvi gli effetti
la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea
“cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di
contenimento della spesa pubblica (…)” e che “in assenza di un’esigenza costituzionale di parità di
trattamento ed a fronte di una situazione di fatto in cui lo stesso verificarsi della “progressione di carriera”
rappresenta un’eventualità di non sicura attuazione la norma censurata non può dirsi irragionevole viste le
sue finalità di contenimento della spesa pubblica per far fronte alla grave crisi economica. Spetta infatti al
legislatore, nell’equilibrato esercizio della sua discrezionalità e tenendo conto anche delle esigenze
fondamentali di politica economica (sentenze n. 477 e n. 226 del 1993), bilanciare tutti i fattori
costituzionalmente rilevanti.”
In senso analogo, Corte cost. 4 giugno 2014 n. 154, con riferimento al blocco della degli stipendi agli
appartenenti alla guardia di finanza previsto dal d. l. 78/2010 (art. 9 c. 21).
55 Corte Cost. 11 ottobre 2012 n. 223 ha anche dichiarato incostituzionale sia la riduzione ((d.l. n. 78 del
2010, art. 9 c. 22) di una particolare indennità percepita da magistrati prevista in compensazione dell’attività
di supplenza dei magistrati alle lacune organizzative dell’apparato della giustizia, sia la riduzione per gli
stipendi dei dipendenti pubblici superiori a 90.000 del 5% per la parte che eccede il predetto importo e fino
a 150.000, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro. Dopo aver riconosciuto la natura tributaria
dei due strumenti, e non una semplice riduzione del trattamento economico, la Corte evidenzia come
“l’irragionevolezza non risiede nell’entità del prelievo denunciato, ma nella ingiustificata limitazione della
platea dei soggetti passivi. La sostanziale identità di ratio dei differenti interventi “di solidarietà”, poi, prelude
essa stessa ad un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato ai pubblici
dipendenti, foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole
per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà
economica, anche modulando diversamente un “universale” intervento impositivo. L’eccezionalità della
situazione economica che lo Stato deve affrontare è, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al
legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento
degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano. Tuttavia, è
compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali
dell’ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con
altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale è fondato
l’ordinamento costituzionale”. Nello stesso senso Corte cost.16 maggio 2014, ord. n. 133, che dichiara
inammissibile il ricorso avverso la decurtazione citata perché già dichiarata incostituzionale nella sentenza
223/2012.
56 La Corte Costituzionale, su questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia,
ha dichiarato incostituzionale l’addizionale IRES prevista per il settore petrolifero ed energetico (c.d. Robin
Hood Tax) dal d.l.n. 112/2008, come modificata dal d.l.. n. 69/2013.
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prodotti per il passato, escludendo così il rimborso57. È singolare, poi, che nel giudizio a quo in cui
la questione era stata sollevata, il giudice tributario non abbia seguito le indicazioni delle Corte,
condannando alla restituzione delle somme indebitamente pagate.58
Nella sentenza n. 70/2015, come noto relativa al blocco della perequazione delle pensioni superiori
a tre volte il trattamento minimo INPS per gli anni 2011-2013,59 adottata dal governo Monti, la
Corte dichiara incostituzionale il blocco, senza questa volta modulare gli effetti della dichiarazione
di incostituzionalità, e imponendo così in linea di principio la restituzione delle intere somme non
Le problematiche di giustizia costituzionale che sottendono la decisione, a partire dall’inammissibilità
stessa della questione se la decisione non incide sul giudizio a quo, sono molteplici e troppo ampie perché se
ne possa dare conto. Molto critico verso la sentenza n. 10 del 2015 è A. RUGGERI (Crisi economica e diritti
sociali sotto stress: il punto su una ricerca, Relazione di sintesi cit., p. 6 del paper), che ritiene la sentenza n. 10/2015
(insieme alla sentenza n. 238 del 2014), affetta “da radicale nullità-inesistenza, non da mera invalidità, sì da
non potere vantare la “copertura” di cui sono per Costituzione provviste, ex art. 137 ult. c.” ciò perché “in
tali giudizi la Corte non si è limitata a bilanciare risorse e diritti; ancora di più (e, dal mio punto di vista,
peggio…), la Corte ha bilanciato anche se stessa e la Costituzione, ha disposto di sé, della propria natura,
della funzione. Perché (…) la Corte, a conti fatti, ha abdicato al carattere “giurisdizionale” della propria
funzione (pur nella sua peculiare accezione), avendo inopinatamente ritenuto di potersi sgravare dell’obbligo
di prestare osservanza ai canoni che presiedono all’esercizio delle proprie competenze. Così come il rispetto
delle norme sulla normazione è condizione di riconoscibilità degli atti idonei a produrre nuovo diritto, allo
stesso modo il rispetto dei canoni che governano il processo costituzionale è condizione di riconoscibilità
delle decisioni della Corte, della loro riconducibilità alla categoria alla quale appartengono”.
58 La Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, decisione depositata il 14 maggio 2015, ha
ritenuto che dal dispositivo della sentenza non si evincerebbe la modulazione nel tempo, limitandosi a
sancire l’incostituzionalità dal giorno successivo alla sua pubblicazione, e che nel contrasto tra motivazione
e dispositivo, debba prevalere quest’ultimo sia perché nell’ordinamento, a differenza di altri paesi, non vi è
una previsione che consente di modulare gli effetti della decisione, sia per non snaturare la natura del giudizio
di incostituzionalità nel quale la Corte è chiamata a decidere se le questioni non sono manifestamente
infondate. La dichiarazione di incostituzionalità non riguarderebbe il giudizio a quo, con il paradosso che
non beneficerebbe della incostituzionalità chi ha sollevato la quesitone.
59 L’art. 24, c.25, del d. l. n. 201 del 2011 (c.d. salva Italia) aveva limitato la rivalutazione automatica per gli
anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il
trattamento minimo INPS, escludendolo per tutti gli altri. Già in passato la Corte aveva affrontato il
problema della legittimità di blocchi della rivalutazione delle pensioni imposti per esigenze di contenimento
della spesa. In particolare, ha ritenuto legittimo (ord. n. 256 del 2001) l’azzeramento della perequazione per
l’anno 1998 (art. 59 legge n. 449/1997) perché limitato ai soli trattamenti di importo medio - alto, superiori
a cinque volte il trattamento minimo. Così come in una più recente sentenza (n. 316 del 2010) la Corte ha
riconosiuto legittimo l’azzeramento temporaneo della rivalutazione (previsto dall’art. 1, comma 19, della
legge n. 247/2007) perché limitato ai trattamenti particolarmente elevati, superiori a otto volte il trattamento
minimo INPS, sottolineando, con un monito per il legislatore, che travalicherebbero i limiti segnati dai
principi di ragionevolezza e proporzionalità misure di sospensione a tempo indeterminato del meccanismo
perequativo, o la reiterazione di misure con effetto analogo, perché anche le pensioni “sia pure di maggiore
consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto
della moneta”.
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corrisposte, anche relative a pensioni di importo elevato60. È noto che il Governo ha ottemperato
alla sentenza della Corte con un apposito decreto legge61, prevedendo però la restituzione, per le
pensioni solo fino a sei volte il trattamento minimo, di una somma forfettaria e una tantum, che
decresce al crescere dell’importo della pensione, e che non corrisponde all’intero importo non
percepito dai titolari dei trattamenti pensionistici. I giudici di merito, nonostante la vigenza del
nuovo decreto, hanno invece condannato l’INPS a restituire l’intera somma dovuta; è prevedibile
un significativo contenzioso e che la Corte sarà chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della
normativa con cui la sentenza è stata attuata.
Nella recentissima decisione assunta nella camera di consiglio del 23 giungo 2015, e relativa al
blocco degli scatti stipendiali dei dipendenti pubblici, la Corte si è mostrata sensibile alle esigenze
finanziarie, facendo più esplicito riferimento al concetto di “incostituzionalità sopravvenuta”. Ha
dichiarato incostituzionale il blocco per la sua durata indeterminata, ritenendo così legittima
l’imposizione di sacrifici ai cittadini se lo richiedono esigenze di finanza pubblica in periodi di crisi
economica, ma le misure devono avere carattere temporaneo. Dal giorno di pubblicazione della
sentenza quindi il blocco degli scatti stipendiali cessa di avere effetti, tuttavia è esclusa la necessità
di restituzione delle somme non erogate ai dipendenti pubblici. Si è così limitato l’impatto
finanziario della decisione che nelle stime dell’Avvocatura dello Stato, era stimato in circa 35
miliardi di euro.
La sensazione è che la “incostituzionalità sopravvenuta” rappresenterà sempre più il criterio guida
nella ricerca dell’equilibrio tra risorse e diritti, in un ottica solidaristica diretta all’individuazione di
una “tutela sostenibile”.
È prevedibile che la Corte vi farà riferimento anche nella citata vicenda del blocco delle rivalutazioni
delle pensioni se sarà chiamata a pronunciarsi sul recente decreto che ha dato attuazione alla
sentenza n. 70/2015, almeno per escludere la restituzione alle pensioni di elevato importo, nel caso
in cui non ritenesse rispettoso del principio di ragionevolezza la soluzione adottata dal Governo.
Il quadro è caratterizzato da estrema fluidità e le vicende successive è prevedibile che siano
connotate da analoga incertezza.
Il Tribunale di Napoli, sezione lavoro, ha emesso il relativo decreto ingiuntivo in data 29 maggio, cioè
otto giorni dopo l’entrata in vigore del decreto legge col quale il Governo si è adeguato alla sentenza numero
70 della Corte Costituzionale.
61 D. L. 21 maggio 2015, n. 65, entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, cui è seguita la
circolare INPS del 25 giugno 2015 con le istruzione operative.
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Anche da questo punto di vista, l’equilibrio di bilancio quale strumento a difesa delle risorse
pubbliche e a garanzia della sostenibilità del sistema del welfare mostra la sua connotazione politica,
oltre che giuridica.
Come parte della dottrina ha evidenziato, è forse giusto chiedersi quanto sia utile “pretendere che
le Corti Costituzionali salvino le finanze pubbliche, brandendo la scure del pareggio, visto che la
decisione di porre un ragionevole freno all’indebitamento è esclusivamente politica”.62
E ciò tanto più in questa fase storica in cui, finché l’Europa non recupererà il reale ruolo di Stato
federale, la tutela dei diritti, e in particolare di quelli sociali, non può che passare, come evidenziato
in precedenza, per la ricerca di un difficile quanto necessario nuovo equilibrio nell’ordine di priorità
dei bisogni.
5. Equilibrio di bilancio nel rapporto Stato-autonomie locali
La scarsità di risorse e i vincoli derivanti dalla legislazione della crisi incidono anche nel rapporto
Stato-autonomie locali, amplificando le difficoltà, già di per sé delicate, inerenti la ricerca
dell’equilibrio tra le esigenze di unità/uniformità e le esigenze di articolazione/differenziazione
sottese ad ogni forma di riconoscimento di autonomia.
Con riguardo ai profili finanziari, le maggiori fibrillazioni si registrano in ordine a due
problematiche che all’inizio della crisi erano per la verità ancora in corso di assestamento.
a) Si tratta innanzitutto del ruolo statale di “coordinamento della finanza pubblica” su cui la
giurisprudenza della Corte si è esercitata all’indomani dell’approvazione della riforma del titolo V,
gradualmente definendone i caratteri e cercando di conciliare il rispetto dell’autonomia degli enti
minori con il necessario ruolo unitario svolto dallo Stato, che nella fase attuale mostra una rilevante
vis espansiva.
b) Ulteriore ambito è il finanziamento delle funzioni degli enti autonomi, e in particolare il
meccanismo introdotto dalla legislazione di attuazione del c.d. federalismo fiscale (legge n.
42/2009), che limita la garanzia del finanziamento statale alle sole funzioni connesse ai livelli
essenziali delle prestazioni sulla base del criterio del c.d. fabbisogno standard. La crisi e la relativa
legislazione sembrano ridimensionare la portata del modello di “federalismo competitivo”
delineato dalla legislazione di attuazione dell’art. 119 della Costituzione, caratterizzato da un più
62
Così G. SCACCIA, op. cit., p. 246.
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elevato spazio di differenziazione in ragione di specificità locali e della maggiore o minore ricchezza
tra le diverse aree del paese.
In entrambi gli ambiti indicati, è opinione comune che la crisi abbia determinato un
riposizionamento del punto di equilibrio a favore dell’esigenza di unità-uniformità e una certa
standardizzazione delle prestazioni, a discapito delle esigenze autonome63.
Nei due prossimi paragrafi si cercherà di dare conto della tendenza centripeta in atto, tuttavia nella
consapevolezza che, se da un lato limita le prerogative delle autonomie locali, dall’altro è portatrice
di un contributo di chiarezza, di cui la riforma del titolo V era debitrice.
5.1 Il ruolo statale di coordinamento della finanza pubblica tra originarie incertezze del
dettato costituzionale e incertezze legate alla crisi
All’indomani della riforma del 2001 del titolo V della Costituzione, si è assistito ad un processo di
assestamento dell’assetto dei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali. La Corte costituzionale ha
come noto in alcune parti integrato il dettato normativo, supplendo alla incertezza delle scelte
politiche a monte che non avevano determinato un adeguato contemperamento delle ragioni
dell’autonomia con quelle di unità dell’ordinamento.
I profili finanziari non si sono sottratti all’opera di riscrittura operata dalla Corte e ciò sia sul fronte
dell’autonomia di entrata, che su quello dell’autonomia di spesa.
Con riguardo all’autonomia di entrata, ad esempio, sono note le difficoltà in ordine al rapporto tra
potestà impositiva statale e regionale sorte dopo il 2001 intorno ai tributi istituiti con legge statale
ma il cui gettito era attribuito alla Regione (es. Irap64, tasse automobilistiche65, ecc.). Le Regioni
ritenevano di essere ormai legittimate a modificarne il regime, introducendo ad esempio nel proprio
territorio, esenzioni, dilazioni dei termini, modifiche al procedimento di riscossione, ecc..
La Corte, come noto, in un opera di riequilibrio, ha riconosciuto la illegittimità costituzionale degli
interventi regionali, perché si trattava di tributi istituti con legge statale non modificabili con leggi
Ritiene che sia in atto una “forte opera di centralizzazione delle legislazione in capo allo Stato, S.
Mangiameli, Il sistema territoriale e la crisi, in Id., Le Regioni italiane tra crisi globlae e neocentralismo, Milano, Giuffré,
2013, p. 50. Nello stesso senso, P. Vipiana, Le ripercussioni della crisi economica sull’assetto delle autonomie in Italia:
un ritorno all’accentramento, in P. Vipiana (a cura di), Tendenze centripete e centrifughe negli ordinamenti statali
dell’Europa in crisi, Torino, Giappichelli, 2014, cui si rinvia anche per gli altri contributi contenuti nel volume
che analizzano la problematica con riferimento agli altri paesi europei, e in particolale a Regno Unito, Belgio,
Francia e Spagna.
64 Corte cost. 26 settembre 2003 n. 296.
65 Corte cost. 15 ottobre 2003 n. 311 e 26 settembre 2003 n. 297.
63
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regionali, ritenendo inoltre che, in assenza di una normativa statale di coordinamento che evitasse
il rischio di doppia imposizione, la potestà impositiva regionale era da considerarsi come
“congelata” e quindi non esercitabile.
Tuttavia, a garanzia dell’autonomia regionale, lo Stato non poteva, dopo la riforma, eliminare
eventuali gli spazi di autonomia già concessi nella legge istitutiva del tributo66. La giurisprudenza
della Corte, come noto, è stata poi recepita nella legge n. 42/2009 di attuazione dell’art. 119 della
Costituzione, che ha distinto tra tributi propri della regione, da istituire con legge regionale, e tributi
propri derivati, istituti con legge statale, ma con attribuzione alle regioni del relativo gettito.
L’opera di contemperamento svolta dalla Corte, precedente alla crisi economico finanziaria, ha
riguardato anche l’autonomia di spesa, e in particolare si è concentrata principalmente sulla
legittimità dei limiti eventualmente imposti dallo Stato alla spesa di Regioni ed enti locali, la cui
autonomia di spesa a differenza del passato riceveva un riconoscimento diretto in Costituzione.
La Corte Costituzionale ha affrontato direttamente il problema a partire dalla giurisprudenza sui
vincoli ai bilanci di Regioni ed enti locali fissati dallo Stato a garanzia de rispetto del Patto di stabilità
e crescita in sede europea.
Come noto, nel riconoscere la legittimità delle norme del c.d. Patto di stabilità interno, con le quali
già a partire dalla legge finanziaria del 2000 lo Stato aveva iniziato a fissare limiti alla spesa degli
enti pubblici, la Corte costituzionale ha ricondotto la legittimità della normativa statale alla materia
concorrente del “coordinamento della finanza pubblica”, consentendo l’introduzione di vincoli
anche ai bilanci degli enti territoriali minori, perché lo Stato rimane l’unico responsabile del
mancato rispetto degli obblighi assunti in sede europea, mentre la complessiva spesa pubblica è
prodotta da un numero elevato di enti diversi dallo Stato.
Una volta ammessa la compatibilità della previsione di limiti di spesa anche riguardo a Regioni ed
enti locali, si è poi registrata una certa mobilità del confine tra normativa statale di principio e
normativa regionale di dettaglio.
La Corte ha inizialmente precisato, con riferimento a Regioni ed enti locali, che i vincoli ai bilanci
per essere considerati rispettosi della loro autonomia, devono limitarsi a porre limiti generali al
disavanzo o alla spesa corrente, senza riferirsi all’entità di una singola voce di spesa67.
In questo senso Corte cost. 26 gennaio 2004, n. 37.
Corte Cost.17 dicembre 2004 n. 390, secondo cui si risolve «in una indebita invasione, da parte della legge
statale, dell'area (...) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può
prescrivere criteri (...) ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel
66
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Lo status di “norma di principio”, tuttavia, non ha impedito alla Corte di precisare che “il carattere
finalistico dell'azione di coordinamento esige che al livello centrale si possano collocare non solo
la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresì i poteri puntuali
eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento - che di per sé eccede inevitabilmente,
in parte, le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali - possa essere concretamente
realizzata”68.
Mossa forse dalla delicatezza della materia trattata (la disciplina dell’accesso dei Comuni al mercato
dei capitali), la Corte ha recuperato notevoli spazi di intervento in capo allo Stato, e l’orientamento
è stato poi confermato anche in altri ambiti69.
La crisi economico finanziaria ha accelerato l’opera di riposizionamento del ruolo dello Stato, tanto
che la Corte richiamata a decidere in tema di vincoli di bilancio ne ha accentuato il carattere di
specificità.
Ferma restando la regola secondo cui condizione di legittimità delle norme statali è che si “limitino
a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (…) e non prevedano in modo esaustivo
strumenti e modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi”70, a proposito dei vincoli alla spesa
per il personale, in precedenza considerata una tipologia di spesa specifica, e quindi norma di
dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi». La Corte si era già espressa
nella precedente sentenza 20 gennaio 2004 n. 36 in cui aveva sottolineato che “la legge statale può stabilire
solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa». Nello stesso senso Corte cost. 9 novembre 2005 n. 417 secondo cui “ le norme
che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non
costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost.”, a proposito
di restrizioni specifiche a spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei
all'amministrazione, per missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonché alle
spese per l'acquisto di beni e servizi.
68 Così Corte cost. 30 dicembre 2003 n. 376, che sottolinea come “il coordinamento finanziario può
richiedere, per la sua stessa natura, anche l'esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione
tecnica, di rilevazione di dati e di controllo: onde, attesa la specificità della materia, non può ritenersi preclusa
alla legge statale la possibilità, nella materia medesima, di prevedere e disciplinare tali poteri, anche in forza
dell'art. 118, primo comma, della Costituzione”.
69 Con riguardo, ad esempio, all’obbligo per regioni ed enti locali di utilizzare i prezzi delle convenzioni
Consip s.p.a. come base d'asta al ribasso per gli acquisti di beni e servizi, Corte cost 9 novembre 2005 n. 417
evidenzia come la norma “pur realizzando un'ingerenza non poco penetrante nell'autonomia degli enti
quanto alla gestione della spesa, non supera i limiti di un principio di coordinamento adottato entro l'ambito
della discrezionalità del legislatore statale” a cui riconduce anche le norme che fissano l'obbligo di
trasmissione agli organi interni di revisione contabile delle delibere di acquisto in via autonoma in ragione
del loro «carattere strumentale» rispetto all’ obbligo di adottare i parametri previsti dalle convenzioni.
70 Cfr. Corte cost., 19 luglio 2012 n. 193; 7 giugno 2012 n. 148 e 14 giugno 2012 n.151.
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dettaglio, ne ha invece riconosciuto il carattere di norma di principio, ritenendola comunque un
rilevante aggregato di spesa71 dall’ “importanza strategica”72.
In materia di accesso degli enti locali al mercato dei capitali, invece, la necessità di giustificare vincoli
specifici legati alla delicatezza della materia, ha portato la Corte a ricondurre la disciplina non più
al “coordinamento della finanza pubblica”, quanto piuttosto alle materie dell’ “ordinamento civile
e tutela del risparmio”73, oggetto di legislazione esclusiva statale; di fatto quasi anticipando, per
questo particolare ambito, la scelta, ancora de iure condendo, contenuta nel disegno di legge
costituzionale in discussione in Parlamento74, di spostare il “coordinamento della finanza pubblica”
dalle materie concorrenti a quelle di legislazione esclusiva statale75.
La tendenza centripeta si è manifestata inoltre con riferimento alle molteplici norme di
contenimento della spesa contenute nei numerosi decreti-legge (dalle denominazioni dal forte
Più sentenze della Corte, a proposito dei limiti alla spesa per il personale posti dalle norme del patto di
stabilità, e delle sanzioni per il suo mancato rispetto (previsti a partire dalla legge 296/2007, e poi dal d.l. n.
112 del 2008, novellato dal d.l. n. 78 del 2010) hanno precisato che “la spesa per il personale, per la sua
importanza strategica ai fini dell’attuazione del patto di stabilità interna (data la sua rilevante entità),
costituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa di parte corrente,
con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale
della legislazione statale”, così Corte cost. 1 aprile 2011 n.108.
72 Così Corte cost., ord. 3 marzo 2011 n. 69 e più di recente Corte cost. 28 marzo 2014 n. 61 a proposito
della previsione di un limite massimo di spesa per il trattamento economico di tutti i dipendneti di regioni
ed enti locali per gli anni 2011-2013. Nello stesso senso le sentenze 7 giugno 2012 n. 148, e 30 luglio 2012
n. 215.
73 In questo senso Corte costituzioanle n. 52/2010, chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale della
nuova disciplina introdotta dal d l. 112/2008.
74 Disegno di legge costituzionale S 1429 presentato dal Governo Renzi l’8 aprile 2014, che integra il catalogo
delle materie di legislazione esclusiva statale e vi inserisce anche il “coordinamento della finanza pubblica”,
elimina le competenze concorrenti, elenca le materie di competenza regionale e prevede che lo Stato possa
intervenire a tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o per la tutela dell’interesse nazionale”.
Per un commento si veda, R. Bin, Coerenze e incoerenze del disegno di legge di riforma costituzionale: considerazioni e
proposte, in www.astrid-online, 22 aprile 2012, p. 14 ss; G. SCIACCA, Prime note sull’assetto delle competenze
legislative statali e regionali nella proposta di revisione costituzionale del Governo Renzi, in www.astrid-online.it, 16 aprile
2014. Definisce la proposta di legge come una “controriforma”, P. CARETTI, La riforma del titolo V Cost.,
in Rivista AIC, 2, 2014, p.3.
75 Come già invece accaduto per la materia dell’ “armonizzazione contabile”, divenuta materia di legislazione
esclusiva statale per effetto della legge costituzionale n. 1/2012. La nuova collocazione dell’armonizzazione
contabile ha come noto rafforzato la recente disciplina statale (per Regioni ed enti locali d.lgs. 118/2011 su
delega della legge 42/2009), adottata sulla base delle precedente collocazione della materia nel catalogo di
legislazione concorrente, che ha uniformato i sistemi contabili di Regioni e Comuni, e di recente oggetto di
modifica da parte del d. l. n. 66/2014. Per lo Stato e per le altre amministrazioni pubbliche invece la disciplina
è contenuta nel d.lgs. 91/2011.
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impatto mediatico, salva Italia, cresci Italia, Italia riparte, ecc), che si sono succeduti dopo l’inizio
della crisi economica76.
Nell’elevare le norme di contenimento della spesa pubblica a principi fondamentali del
coordinamento della finanza pubblica, la Corte non è arrivata fino a ritenerle espressione del
principio salus rei publicae suprema lex esto, pur avanzato in alcuni recenti casi dall’Avvocatura di Stato,
per consentire una deroga temporanea alle regole costituzionali di distribuzione delle competenze
Stato e regioni. Secondo la Corte, infatti, “la Costituzione esclude che uno stato di necessità possa
legittimare lo Stato ad esercitare funzioni legislative in modo da sospendere le garanzie
costituzionali di autonomia degli enti territoriali” ribadendo così l’inderogabilità delle
competenze.77
Tuttavia, in alcune sentenze che hanno riguardato norme che imponevano, ad esempio, vincoli
organizzativi (quali riduzione del numero di componenti degli organi, dei compensi, ecc.) con
l’obiettivo di realizzare la riduzione dei costi degli apparati amministrativi di Regioni e ed enti locali,
la Corte ha privilegiato il profilo finanziario, rispetto al loro rilievo organizzativo, ritenendo non
intaccata l’autonomia delle Regioni.
In particolare, con riferimento alla normativa di riordino delle comunità montane78, la Corte ha
negato che la normativa contestata potesse riferirsi alla materia “ordinamento degli enti locali”,
invece che al coordinamento della finanza pubblica, in quanto il suo obiettivo principale era da
individuarsi nel contenimento della spesa e non nel riordino delle comunità montane. Se la
prevalenza del coordinamento della finanza pubblica sugli altri titoli di legislazione concorrente o
residuale risiede nello stabilire se obiettivo prevalente della normativa è il contenimento della spesa,
sono evidenti la notevole elasticità e vis espansiva della funzione di coordinamento della finanza
Ne elenca venticinque dal 2008 ad oggi P. VIPIANA, op. cit., p. 14, note 15-23.
Così Corte cost. 148/2012; in senso analogo Corte cost. 2012 n.151.
78 Corte cost. 24 luglio 2009 n. 237, sulla legittimità delle normativa statale (l. 244/2007che aveva come
obiettivo la riduzione della spesa corrente per il funzionamento di tali enti di una quota pari ad almeno un
terzo della quota del fondo ordinario di finanziamento per l’anno 2007.
Nello stesso senso, Corte cost. 8 maggio 2009, n. 139, con riferimento alla legittimità della normativa statale
(l. 244/2007) che imponeva la riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione e degli
organi esecutivi dei consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario, nonché dei consorzi tra Comuni
compresi in bacini imbriferi montani, secondo cui “la mera previsione di una riduzione dei componenti dei
consigli di amministrazione e degli organi esecutivi dei consorzi di bonifica (...) non eccede il carattere di
norma di principio” analogamente alla previsione di un numero minino e massimo di componenti gli organi,
“essendo evidente che l'obiettivo di realizzare il disegno di coordinamento della finanza pubblica non
sarebbe altrimenti raggiungibile ove si lasciasse alla Regione la facoltà di scegliere il numero dei componenti
dei predetti organismi, senza alcuna determinazione del loro numero minimo e massimo”.
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pubblica, e non è un caso che la Corte sia arrivata ad affermare che “dall’accertata natura di
principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica di una norma consegue
la legittima prevalenza su ogni tipo di potestà legislativa regionale (…) anche quelle a statuto
speciale79, oppure abbia ritenuto legittimo che norme statali prevedessero in capo agli enti pubblici
delle regioni, non semplicemente la riduzione, ad esempio, di spese per “consumi intermedi”, ma
addirittura che i risparmi ottenuti dovessero essere versati all’entrata del bilancio statale.80.
La lettura che emerge dalla giurisprudenza della Corte sembra ora confermata dalla legge rinforzata
n. 243/2012, di attuazione dell’art. 81 della Costituzione, che dopo aver individuato i limiti al
ricorso all’indebitamento, e il concorso alla sostenibilità del debito Regioni ed enti locali, prevede
la possibilità di introdurre a loro carico “ulteriori obblighi in materia di concorso al conseguimento
degli obiettivi di finanza pubblica nel complesso delle amministrazioni pubbliche” (art. 9 c.5)81.
La crisi economico finanziaria e la legislazione che ne è seguita hanno condotto ad uno stadio
ulteriore, sul piano dell’autonomia finanziaria, la lettura in senso centralista del rapporto Statoautonomie locali. Tuttavia è altrettanto vero che la crisi, rendendo meno compromissori gli
interventi normativi, ha anche innanzitutto messo a nudo i nodi politici non sciolti, anche in materia
finanziaria, della riforma del titolo V del 2001.
Se dopo quasi 15 anni di attuazione della riforma, le esigenze contingenti legate alla crisi economica
hanno determinato (sia pure con qualche forzatura non condivisibile) il recupero di un “sano
centralismo” in materia di autonomia di spesa, si è di fronte ad un dato che si fa fatica a considerare
negativo.
Così Corte costituzionale 15 maggio 2014 n. 127, che ha affermato la legittimità della normativa statale
che imponeva tagli con riflessi sugli assetti organizzativi degli enti, anche con riguardo al Trentino Alto
Adige, il cui statuto attribuisce alla Regione e alla Provincia autonoma di Trento competenza legislativa
primaria in materia di organizzazione amministrativa (compresa quella degli enti collegati) e, rispettivamente,
di ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto. Nello stesso senso, Corte cost.
229/2011, che ritiene direttamente applicabili alla Regione Sardegna i principi di coordinamento della
finanza pubblica, e lesiva dell’art. 117 c. 3 Cost., la legge reg. Sardegna n. 16/2010, che recava norme in tema
di patto di stabilità territoriale.
80 In questo senso, Corte cost. 9 luglio 2008, n. 289, in Le Regioni, 2008, 6, p. 1235 ss., (con nota di A.
BRANCASI, Continua l’inarrestabile corsa verso una concezione statalista del coordinamento finanziario), la quale,
peraltro ritiene applicabili i vincoli anche alle regioni a statuto speciale.
81 Critica la previsione P. Vipiana, op. cit., p. 29, secondo cui “si tratta di un’autorzzazione di interventi
limitativi imprecisati sull’autonomia finanzairia degli enti substatali, che avrebbe dovuto essere inserita nel
testo costituzionale”.
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5.2 Il finanziamento delle funzioni delle autonomie locali tra esigenza di uniformità,
esigenza di differenziazione ed esiguità di risorse
La ricerca dell’equilibrio tra esigenze di uniformità ed esigenze di differenziazione è al centro anche
della problematica del finanziamento delle funzioni di regioni ed enti locali, e anche su questo
differente profilo dell’autonomia finanziaria, che attiene alla corrispondenza tra funzioni e risorse,
la crisi e la relativa legislazione hanno inciso in modo significativo.
Come noto il finanziamento delle funzioni si è retto nell’ordinamento italiano su un sistema a
finanza derivata con un grado elevato di dipendenza finanziaria degli enti autonomi dai
trasferimenti statali.
L’art. 119 della Costituzione, nella nuova formulazione del 2001, ha modificato l’assetto precedente
prevedendo la tipicità delle fonti di finanziamento delle funzioni di Regioni ed enti locali, facendo
riferimento a tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito, quote del fondo perequativo
per la perequazione dei bisogni per i territori con minore capacità fiscale. La norma prevede che
le fonti di finanziamento citate siano idonee a “finanziare integralmente l’esercizio normale delle
funzioni amministrative”. Ad esse si aggiungono poi per singoli enti e in particolari circostanze le
risorse derivanti da trasferimenti diretti e interventi speciali.
A fronte del riconoscimento costituzionale dell’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali, la
riforma ha attribuito allo Stato la responsabilità della garanzia unitaria dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti diritti sociali e civili, che dovrebbe svolgersi sul presupposto che, fermo
restando un certo livello di prestazioni garantite in tutto il territorio nazionale, esiste poi un grado
di differenziazione delle prestazioni tra aree più ricche e aree meno ricche del paese.
La legge di attuazione n. 42/2009 dell’art. 119, sul fronte del finanziamento delle funzioni, ha
accolto questa impostazione perché, oltre a sostituire il criterio della spesa storica con quello della
spesa standard, ha legato i trasferimenti statali, comprese le quote del fondo perequativo, alle sole
funzioni collegate ai livelli essenziali delle prestazioni e per i comuni alle funzioni fondamentali
fissate in sede statale82..
Come noto, per quanto riguarda le funzioni foondamentali degli enti locali, il calcolo dei costi standard
di cui era stata incaricata la società Sose s.p.a. del Ministero dell’economia (art. 5 d.lgs. 26 novembre 2010,
n. 216), è terminato recentemente ed a partire dal 16 maggio 2015 sulla piattaforma telematica, accessibile
liberamente all’indirzzo www.opencivitas.it, è possibile consultare per ogni Comune e Provicia la spesa effettiva
sostenuta per la singola funzione fondamentale e il relativo costo standard.
82
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Il finanziamento delle funzioni non collegate ai livelli essenziali, e per i comuni, le funzioni diverse
da quelle fondamentali sono lasciate all’esercizio dell’autonomia finanziaria degli enti. Ciò al fine di
una maggiore responsabilizzazione dei livelli di governo a livello locale e contemporaneamente una
maggiore trasparenza e possibilità di controllo da parte delle rispettive comunità.
Tutto l’impianto, tuttavia, si regge su un’ambiguità di fondo riguardo uno snodo invece centrale di
ogni operazione di potenziamento dell’autonomia, dovuto alla natura fortemente compromissoria
della riforma del titolo V, in cui non era chiara l’accettazione dell’idea che vi possa essere un certo
tasso di “disuguaglianza accettabile” per l’ordinamento83.
Secondo una lettura che privilegia il polo della uniformità, sotteso al principio di uguaglianza
sostanziale, facendo leva sull’art. 119 c. 4 della Costituzione che imporrebbe il finanziamento
integrale delle funzioni di Regioni ed enti locali, il finanziamento limitato alle sole funzioni connesse
ai livelli essenziali, e non per le altre, non sarebbe compatibile con il dettato costituzionale 84
Secondo una lettura che invece privilegia il polo della differenziazione, l’art. 119 c. 4 della
Costituzione si limita a prevedere che le fonti di finanziamento previste nei tre commi precedenti
(cioè tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito e quote del fondo perequativo) siano
“sufficienti a finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni”; tuttavia tra le fonti di
finanziamento sono previste anche le “entrate proprie” che sono frutto dell’esercizio
dell’autonomia di entrata, con ciò confermando che il dettato costituzionale non esclude la lettura
nel senso che siano finanziate integralmente solo alcune funzioni (come è stato previsto dalla
normativa di attuazione, quelle connesse ai livelli essenziali delle prestazioni)85.
Così G. ROSSI - A. BENEDETTI, La competenza legislativa statale esclusiva in materia di livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in Il Lavoro nelle pubbliche amministrazioni., 2002, p. 22, secondo cui “la
tensione tra uniformità e differenziazione trova quindi nell’interrogativo sul tasso di disuguaglianza
accettabile il suo snodo centrale, a prescindere dal quale ogni discussione sulla dinamica dei confini tra
competenze centrali e competenze autonomistiche è condannata alla sterilità”.
84 In questo senso S. GAMBINO, Principio di eguaglianza come limite al federalismo fiscale, in. S. GAMBINO - G.
D'IGNAZIO - E. JORIO (a cura di), Il federalismo fiscale. Commento articolo per articolo alla legge 5 maggio 2009 n
42, Rimini, Maggioli, 2009, p. 297, secondo cui è costituzionalmente incompatibile con le previsioni dell’art.
119 c. 4 “una differenziazione fra le funzioni attribuite ai diversi livelli di governo, con la previsione
dell’integrale copertura finanziaria delle sole funzioni concernenti i livelli essenziali delle prestazioni (…) nel
mentre tale copertura finanziaria non è assicurata alle altre funzioni pubbliche del sistema regionale e degli
altri enti autonomi della Repubblica”. Dello stesso autore si veda anche Autonomia, asimmetria e principio di
eguaglianza: limiti costituzionali al federalismo fiscale, in Pol. Dir., 1, 2009, 3 ss.
85 La legge 42/2009 era stata criticata da altro punto di vista da altra dottrina che evidenziava il pericolo di
un impianto in cui al potenziamento dell’esercizio dell’autonomia finanziaria e alla contestuale previsione
della competenza statale di garanzia ultima dei livelli essenziali delle prestazioni, non si accompagnasse
l’attribuzione allo Stato di un ruolo di reale dominus delle complessive risorse e della loro ripartizione. In
83
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Una certa alterazione del modello delineato, deriva dalla vigente versione dell’art. 119 della
Costituzione, come riformulato dalla legge costituzionale n. 1/2012, che prevede ora che le
autonomie territoriali “concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari
derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea” e ribadisce la regola previgente secondo cui
possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. Tuttavia, la capacità
di indebitamento da parte degli enti territoriali è sottoposta a nuovi limiti che derivano dal nuovo
quadro delineato dall’equilibrio di bilancio sia nelle fasi avverse che nelle fasi favorevoli del ciclo
economico.
In particolare, nelle fasi sfavorevoli del ciclo, gli enti territoriali diversi dallo Stato non possono
ricorrere all’indebitamento per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni, perché la possibilità di
ricorrere all’indebitamento per tener conto della componente ciclica è prevista solo per lo Stato.
La legge 1/2012 demanda alla legge rinforzata la previsione delle modalità, nelle fasi avverse del
ciclo economico o al verificarsi degli eventi eccezionali con cui lo Stato concorra ad assicurare il
finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle
funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali; e ciò anche in deroga all’art. 119 della
Costituzione (art. 5 c. 1 lett. g). La legge n. 243/2012, come noto, ha previsto, nello stato di
previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un Fondo straordinario per il concorso dello
Stato, nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali, al finanziamento dei livelli
essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. Il Fondo,
alimentato dalle risorse derivanti dal ricorso all'indebitamento statale, è ripartito tra Regioni ed enti
locali (con d.P.C.M.)86, e determina un insieme di flussi compensativi dallo Stato agli enti territoriali
questo senso G. Rossi, I miei dubbi sul federalismo fiscale, in Europa del 21 gennaio 2009, che riguardo al disegno
di legge di attuazione del federalismo fiscale evidenziava come “nel disegno di legge si prevede che tutto il
processo di definizione e di distribuzione dei mezzi finanziari, a partire dalla redazione dei decreti delegati,
sia deliberato in sedi di discussionie partecipate nelle quali lo Stato verrebbe ad essere uno dei soggetti
partecipanti. È molto dubbia la costituzionalià di questa impostazione. La corrispondenza tra responsabilità
e risorse sulla quale si regge l’intero disegno , verrebbe negata proprio per lo Stato, che non ha fini
determiabili ma, soprattutto in un contesto di pressione fiscale e di debito pubblico ai limiti della
sostenibilità, non avrebbe la possibilità di manovrare i suoi strumenti e di adeguarli alle necessità che
potrebbero porsi”.
86 Il decreto è adottato sentita la Conferenza permanente per il coorinamento della finanza pubblica e previo
parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari (art. 11 c. 3).
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per la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse
del ciclo e in presenza di eventi eccezionali87.
L’equilibrio di bilancio limita la possibilità di spesa anche nelle fasi favorevoli del ciclo perché gli
enti territoriali minori sono tenuti a concorrere alla sostenibilità del debito pubblico (art. 12 legge
243/2012). In particolare, la legge prevede che i documenti di programmazione economicofinanziari e di bilancio dello Stato determinino la misura del contributo del complesso degli enti
territoriali al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato (istituito dalla legge 432/1993) 88. Il
meccanismo consente allo Stato di conseguire un avanzo o un pareggio anche per effetto del
contributo proveniente dagli enti territoriali, con un flusso compensativo questa volta dalla periferia
verso il centro89.
A ciò si aggiunge l’ulteriore limite che le operazioni di indebitamento, quando possibili, siano
effettuate garantendo in ambito regionale l’equilibrio di comparto90 e la contestuale adozione di
Secondo A. BRANCASI, La nuova regola costituzionale del pareggio di bilancio. Effetti sui rapporti Parlamento
Governo e sugli indirizzi delle politiche sociali: il caso italiano, in Rivista telematica gruppo di Pisa, 2012, (e
disponibile all’indirizzo www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/ 2012/08/ Brancasi.pdf), p. 7, il “consorso dello
Stato al finanziamento dei livelli essenziali non può che avvenire mediante trasferiemnti finanziari, con la
conseguenza di alterare l’impianto complessivo della finanza regionale e locale, che è invece caratterizzato
dalle entrate proprie di tali enti”. Nel senso che la impossibilità di indebitarsi da parte enti locali nelle fasi
avverse del ciclo e in caso di eventi eccezionali, e la concentrazione in questi casi, a livello centrale degli
interventi di finanziamento, non siano una deroga all’impianto finanziario delineato dall’art. 119 della
Costituzione, ma piuttosto un suo “coerente corollario”, D. MORGANTE, La costituzionalizzazione del
pareggio di bilancio, in www.federalismi,it, n. 14, 2012, p. 34.
88 Anche in questo caso il riparto del contributo è effettuato con d.P.C.M., sentita la conferenza sentita la
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e previo parere delle Commissioni
parlamentari competenti per i profili finanziari (art. 12 c. 3)
89 La Corte costituzionale (con sentenza 5 aprile 2013 n. 63) ha ritenuto rispettoso dell’autonomia finanziaria
degli enti la previsione dell’art. 66 del d. l. 1/2012, che imponeva la destinazione delle risorse derivanti dalla
dismissione dei beni dell’ente territoriale al Fondo per l’ammortamento dei titoli dello Stato, con l’obiettivo
di riduzione dei debiti dell’ente medesimo. Secondo la Corte il vincolo di destinazione ha natura di principio
fondamentale della materia del coordinamento delal finanza pubblica, per la correlazione funzionale tra
operazione di dismissione dei terreni demaniali, sia dello Stato che delle Regioni ed altri enti territoriali, e
riduzione del debito rispettivo, ponendosi come espressione del perseguimento di un obiettivo di interesse
generale in un quadro di necessario concorso anche delle autonomie al risanamento della finanza pubblica.
Ha invece dichiarato illegittima la restante parte della disposizione nella parte in cui prevedeva che il vincolo
di destinazione valesse anche in assenza di debito dell’ente o per la parte eventualmente eccedente, perché
non essendo correlata all’esigenza del risanamento del debito del singolo ente, si risolve in una indebita
appropriazione dello Stato di risorse appartenenti agli enti territoriali, perché realizzate mediante dismissione
di beni loro proprietà.
90 Le operazioni di indebitamento vanno effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale
che garantiscano, per l'anno di riferimento, l'equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli enti
territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione (art. 10 c. 2).
87
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piani di ammortamento91 collegati alla vita utile dell’investimento. Il ricorso all’indebitamento è
però consentito “nel limite delle spese per rimborsi di prestiti risultanti dal proprio bilancio di
previsione” (art. 10 c. 3).
Ai nuovi vincoli di bilancio che incidono sui margini di operatività delle autonomie locali, si
aggiunge la generalizzata scarsità di risorse legata alla crisi economico e finanziaria ,che riduce anche
le risorse “supplementari” di cui gli enti con una maggiore capacità fiscale potrebbero disporre per
l’esercizio di funzioni ulteriori rispetto a quelle collegate all’esercizio dei livelli essenziali delle
prestazioni e non fondamentali, nel caso dei Comuni.
È evidente che per un Comune, le funzioni non fondamentali, non oggetto di finanziamento statale,
sono le prime ad essere “tagliate”. Ciò produce, per via finanziaria, una certa standardizzazione
delle funzioni, che ridimensiona di fatto la valorizzazione delle specificità locali. Non è un caso, del
resto, se con l’inizio della crisi economica, non hanno avuto seguito le proposte attuative dell’art.
116 c.3 della Costituzione, che come noto consente con legge dello Stato, e sulla base di un
procedimento avviato dalla Regione, e sentite le autonomie locali, la possibilità di “attribuire
ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”92.
Si tratta di un fenomeno che si è verificato anche in altri paesi, come ad esempio la Spagna, dove
però la standardizzazione non è avvenuta soltanto per via per così dire “finanziaria”, ma si è
prodotta per via legislativa, riformando l’assetto delle competenze a livello locale.
Come noto, il legislatore spagnolo, nella recente legge 27 dicembre 2013 n. 27 è intervenuto sulla
nozione di “competenza impropria”. Fino alla legge di riforma, i Comuni erano titolari di
competenze proprie, previste dalla legge statale o dalle Comunità Autonome; i comuni erano però
liberi di svolgere, in ambiti di competenza statale o delle comunità autonome (come ad esempio
istruzione, sanità, assistenza) attività supplementari, c.d. competenze improprie. La legge citata ha
limitato la possibilità di esercizio di “competenze improprie” da parte dei Comuni: secondo la
Di durata non superiore alla vita utile dell'investimento con indicazione dell'incidenza delle obbligazioni
assunte sui singoli esercizi finanziari futuri nonché delle modalità di copertura degli oneri corrispondenti
(art. 10 c. 1).
92 Ciò è accaduto sia in Lombardia, Piemonte e Veneto che avevano avviato il procedimento nel 2006, che
in Toscana, che aveva avviato il procediemnto nel 2003. Sul punto si vedano, M. MEZZANOTTE, La legge
di stabilità 2014 e l’art. 116 c. 3 , Cost., in www.forumcostituzionale.it, 14 luglio 2014.; L. Michelotti, A dieci anni
dalla costituzionalizzazione del regionalismo asimetrico: una mano sul freno a leva oppure un piede sull’acceleratore per l’art.
116 , terzo comma, Cost.?, in Le Regioni, n. 1-2/2012, p. 110 ss.; M. CECCHETTI, Attuazione della riforma
costituzionale e differenziazione delle regioni di diritto comune, in Osservatorio sul federalismo, 2002, disponibile
all’indirizzo www.federalismi.it/ federalismi/document/ACFA98.pdf; A. Morrone, Il regionalismo differenziato,
Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Federalismo Fiscale, 1, 2007, 139 ss.
91
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nuova legge il Comune ha le competenze attribuite o delegate dallo Stato o dalla Comunità
autonoma, ed è poi titolare di competenze complementari: queste comprendono sia attività in
ambiti di competenza statale e delle comunità autonome, che attività riferiti ad interessi
esclusivamente locali. Il comune non può svolgere competenze complementari (ex competenze
improprie) se non dopo aver dimostrato lo svolgimento di tutte le competenze proprie e delegate,
e quando si tratta di competenze complementari riferite ad ambiti di competenza statale o di
comunità autonome, è discusso se ciò sia ancora possibile, ed alcune comunità autonome lo
consentono, ma previa autorizzazione.93
In Italia, la soluzione non è stata affidata a una legge, e ciò consente di conservare alcuni margini
di elasticità: è vero che l’assenza di risorse rischia di appiattire le differenze, tuttavia al tempo stesso,
quasi in un processo osmotico, stimola l’esercizio dell’autonomia finanziaria dei singoli enti che per
conservarle, dovranno sperimentare forme di finanziamento nuove, che un maggiore
coinvolgimento, ad esempio, di risorse private.
Non mancano però irrigidimenti ricavabili dalla più recente giurisprudenza della Corte
costituzionale che in tema di c.d. piani di rientro 94 dai deficit sanitari regionali95 sembra invece
Sugli effetti della legge sull’assetto delle competenze a livello locale si veda J.M. DIAZ LEMA, La proyecion
del principio de sostenibilidad financiera sobre il marco competencial y la reordinacion del “mapa” local, in J. M. DIAZ
LEMA (a cura di) , Sostenibilidad financiera y administracion local. Un estudio comparado, Valencia, Tirant Lo Blanch,
2014, p. 101 ss.. Si rinvia anche agli altri contributi contenuti nel volume sia con riferimento ancora alla
Spagna, che agli altri paesi europei, quali Germania, Francia e Portogallo. Si veda anche F. J. VILLAR
ROJAS, Crisis economico-financiera: crisis de la administracion publica, in A. M. GONZALES SANFIEL
(cordinator), El derecho ante la crisis: nuevas reglas de juego, Barcellona, Atelier, 2013, che sottolinea la
“recentralizacion competencial”.
94 Previsti negli accordi conclusi ai sensi della legge 296/1997, tra il Governo e le Regioni interessate per
porre rimedio a rilevanti disavanzi sanitari.
95 In particoalre, la sentenza della Corte n. 104/2013 nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge
regionale Abruzzo (n. 33/2012, art. 3), che prevedeva deroghe al piano di rientro a favore dei malati
oncologici, qualifica le norme statali che rendono vincolanti i piani di rientro come principi fondamentali
espressione del coordinamento della finanza pubblica, dirette al contenimento della spesa pubblica sanitaria,
e ritiene che l’introduzione di livelli aggiuntivi di protezione sia una “incoerenza della legislazione regionale
rispetto agli obiettivi fissati dal Piano di rientro del deficit sanitario”, perché interferisce con l’esercizio del
potere sostitutivo del Governo, e con le funzioni amministrative del Commissario straordinario, dirette ad
assicurare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto alla salute, che “devono essere
poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali”. Per un commento alla sentenza, F.LOSURDO,
Coordinamento della finanza pubblica e tutela della salute nella “legislazione della crisi” (nota a Corte cost., sent. n. 104 del
2013), Osservatrio dell’A.I.C., ottorbre 2013.
Si vedano anche Corte cost. n. 123/2001, relativa alla Regione Calabria che aveva aumentato i costi a carico
del Fondo sanitario regionale per le prestazione di riabilitazione in favore degli anziani disabili; Corte cost.
n. 325/2011 relativa alla Regione Puglia, che aveva esteso l’ambito dei soggetti esentati dal pagamento del
ticket, e Corte Cost. n. 141 del 2010 che aveva istituito i distretti socio-sanitari montani
93
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intendere che le ragioni delle risorse finanziarie siano in grado di determinare una riallocazione
delle competenze e un appiattimento dell’autonomia, nel senso di escludere che le Regioni in
materia sanitaria possano prevedere prestazioni o livelli di tutela integrativi96.
Le recenti tendenze centripete si possono leggere come un esautoramento dell’autonomie locali,
anche sul fronte del finanziamento delle funzioni, tuttavia se il punto di partenza rispetto a cui
misurare la differenza è indefinito, perché nel titolo V il punto di equilibrio tra unità e articolazione
era assolutamente incerto, la conclusione rischia di essere una forzatura nella misura in cui
presuppone che l’assenza del ruolo dello Stato fosse la scelta operata dal legislatore costituzionale,
a tutto vantaggio dell’autonomia.
Il ruolo dello Stato in realtà non era assente, ma semplicemente ancora da scolpire, ed è per questo
che il recupero di spazi di intervento statale ha radici più profonde e precedenti sia alla crisi
economico finanziaria, che all’equilibrio di bilancio.
In ogni caso, un orizzonte in cui è più nitido il ruolo statale non è una prospettiva necessariamente
da disprezzare.
6. Considerazioni conclusive.
Le vicende recenti legate alla crisi economico finanziaria e gli sviluppi di ordine normativo che ne
sono derivati
hanno reso centrali i profili finanziari delle scelte pubbliche ma
contemporaneamente ne hanno aumentato la delicatezza.
L’autonomia finanziaria sia di entrata che di uscita, a partire da quella statale, ha sommato ai
condizionamenti fattuali derivanti dalle dinamiche dei mercati finanziari, i condizionamenti
derivanti dai nuovi vincoli giuridici legati all’introduzione del principio del pareggio di bilancio in
Costituzione, più restrittivi rispetto ai valori di convergenza dell’area euro.
La restrizione dei margini di manovra e la contestuale riduzione delle risorse connessa alla crisi
hanno amplificato le incertezze sul ruolo dello Stato che nell’attuale contesto mondiale, in cui il
rilievo del collegamento con il territorio si fa più evanescente, rimane tuttavia titolare della
responsabilità ultima della garanzia dei bisogni della comunità di cui è esponenziale.
Evidenzia I. CIOLLI, Le ragioni dei diritti, cit., p. 127, come “il rischio di questa tendenza è che in momenti
di difficoltà finanziaria solo la prestazione fornita dallo Stato sia considerata essenziale e che allo stesso
tempo il legislatore statale mediante un accentramento legislativo, disponga una menomazione tale alla
legislazione regionale da rendere impossibile la formulazione di standard migliorativi che costano” .
96
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A questo disallineamento che può definirsi istituzionale, si aggiunge il disallineamento di ordine
finanziario, nel senso che non vi è corrispondenza reale tra responsabilità e risorse. Alla perdita
dei poteri di governo della moneta, non trasferiti completamente dalla Banca Centrale Europea, si
aggiunge la riduzione dei margini di manovra per mettere in campo politiche espansive e in deficit
Il venir meno delle principali leve finanziarie ed economiche di tradizionale pertinenza statale
accentua l’asimmetria di cui soffrono gli Stati dell’Unione europea se considerati singolarmente
rispetto agli altri Stati nazionali extraeuropei, soprattutto di quelli di dimensione subcontinentale97.
In un contesto come quello attuale caratterizzato da “sistemi giuridici ed economici in
competizione e con un asimmetrico grado di apertura e di permeabilità”98 ciò rappresenta un serio
handicap che rischia di moltiplicare gli effetti depressivi delle politiche di rigore, fino ad incidere
sulla effettiva garanzia dei diritti di rilievo costituzionale.
Le problematiche poste dal principio dell’equilibrio di bilancio, che pure non esclude margini di
flessibilità rispetto alla statica corrispondenza tra entrate e uscite, intercettano il tema della crisi
della sovranità, che non riguarda solo lo Stato, ma anche le persone.
Come acutamente osservato, “l’idea che la crisi della sovranità sia un problema solo per gli stati
non è accettabile” dal momento che “è un problema innanzitutto per le persone perché senza
sovranità i loro diritti politici (e non solo) non sono garantiti e le politiche redistributive non si
possono attuare”99.
I profili finanziari, in precedenza confinati al ruolo di semplice strumento di realizzazione degli
obiettivi di tutela, entrano invece più direttamente in contatto con l’attuazione del mandato
costituzionale di realizzazione del principio di eguaglianza sostanziale, declinato sia in senso
assoluto come realizzazione e garanzia della dignità della persona e sottrazione dalla marginalità, la
cui responsabilità ultima è in capo allo Stato, sia in senso relativo, questa volta nel rapporto stato
Il fenomeno è efficacemente evidenziato da G. ROSSI, La prospettiva della costruzione dello Stato europeo, in
versione provvisoria 2015, in nuovi-lavori.it, p. 4 del paper, (e in corso di pubblicazione in versione definitiva
in Riv. It. Dir. Pubbl. Com.), che utilizzando in modo diverso una frase di Jean Monnet, che teorizzava una
Europa che “non fait, faitfaire”, ritiene invece che nell’attuale fase si è di fronte ad un Europa che “non fait et
non faitfaire” perché “l’attenzione delle istituzioni europee è volta essenzialmente a impedire agli Stati di
utilizzare il pubblico potere per favorire le proprie imprese rispetto a quelle concorrenti degli altri paesi
membri. È una Unione girata verso l’interno, su se stessa, anziché, come dovrebbe, verso l’esterno, per
reggere il confronto con gli Stati di grandi dimensioni”.
98 Così G. ROSSI, Pubblico e privato nell’economia semiglobalizzata, cit., 2.
99 Cfr. M. LUCIANI, Sovranità, cit., p. 164. Si veda anche dello stesso autore, Costituzione, istituzioni e processi
di costruzione dell’Unità nazionale, Relazione al Convegno su “Sviluppo capitalistico e unità nazionale. Le forme
economiche, politiche e culturali dell’unità nazionale e della sua crisi”, Roma, 25-27 maggio 2011.
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autonomie-locali, come limite alla differenziazione rispetto a singole specificità locali o al livello di
ricchezza tra le varie aree del paese.
Rispetto al primo profilo, l’equilibrio di bilancio impone in questa fase un riposizionamento delle
esigenze del welfare nella gerarchia delle priorità meritevoli di tutela, troppo spesso confuse con
micro interessi o esigenze di natura clientelari, che consenta di recuperare le risorse che si
disperdono nei mille rivoli delle pieghe dei bilanci pubblici.
L’operazione è destinata a recuperare margini di manovra per la tutela dei diritti, al di là dei quali
però il tradizionale modello redistributivo è destinato ad eclissarsi se intanto non saranno recuperati
a livello sovranazionale le tradizionali leve finanziarie ed economiche di pertinenza statale.
Con riferimento al secondo aspetto, cioè alle fibrillazioni del rapporto tra esigenza di uniformità
ed esigenza di differenziazione delle autonomie locali, si registra sul piano dell’autonomia
finanziaria un recupero rispetto al passato di spazi di intervento in capo allo Stato, come dimostrano
i più recenti orientamenti della Corte costituzionale in tema “coordinamento della finanza
pubblica”. La scarsità di risorse legata al crisi, inoltre, mettendo a rischio il finanziamento stesso
da parte dello Stato delle funzioni connesse alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni e delle
funzioni fondamentali dei comuni, sta facendo prevalere di fatto il polo di uniformità, rispetto a
quello della differenziazione, ridimensionando la praticabilità di forme più o meno accentuate di
federalismo competitivo.
Le fibrillazioni della forma di Stato, sia in senso sociale, che in senso territoriale, evidenziano come
si sia di fronte ad una questione principalmente politica, e ciò non deve stupire, perché la natura
intrinsecamente politica, come si è visto, accompagna il principio dell’equilibrio di bilancio sin dalla
genesi della riforma costituzionale (legge 1/2012),
traspare dalle indicate difficoltà della
giustiziabilità di una legge di bilancio che lo violasse, e dalle più recenti sentenze della Corte
costituzionale che nel bilanciamento tra risorse e diritti hanno ammortizzato l’impatto finanziario
della decisione mediante un più diretto uso dello strumento della incostituzionalità sopravvenuta e
della “modulazione” degli effetti nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità.
Politico è anche il futuro dell’equilibrio di bilancio, che si giustifica in questa fase solo se considerata
di transizione verso un’Europa che sia davvero uno Stato federale e che recuperi i pieni poteri di
sostegno dell’economia e di governo della moneta.
Una politica che ne è priva e che sia semplicemente strumento di riequilibrio monetario tra Stati in
surplus e Stati in deficit, diretta solo a raggiungere obiettivi macroeconomici e di bilancio
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eterodeterminati a livello sovranazionale, è destinata a soccombere nella competizione a livello
globale, e a produrre anche tra gli stessi Stati europei una competizione destinata a trasfigurare la
funzione di emancipazione dei diritti e di sviluppo economico-sociale e a produrre disuguaglianza
tra i cittadini dell’Unione a seconda della maggiore o minore ricchezza dello Stato di appartenenza.
100
.
Il passaggio verso un Europa federale dovrebbe invece correggere gli attuali disallineamenti
istituzionali e finanziari che nell’attuale contesto europeo (e mondiale) privano gli Stati, responsabili
ultimi della tutela dei diritti, dei tradizionali strumenti per garantirli101.
La traccia da seguire è allora fissata nell’etimologia della parola crisi, analoga anche in lingue non
solo geograficamente lontane .
“Crisi” infatti ha tra le radici etimologiche il verbo greco “”, che ha tra i suoi significati
anche “separare”, e si riferiva in agricoltura alla trebbiatura, cioè all’operazione con cui si separano
i chicchi del grano dagli steli e dalle spighe 102 , segnando il “passaggio” ad una nuova fase di
lavorazione.
Nella lingua cinese, invece, la parola “crisi”, wéijī (危机), ha in comune il carattere “jī” (机) con la
parola “occasione”, jīhuì (机会); la crisi quindi può segnare l’occasione per un cambiamento.
Si veda sul punto, F. BILANCIA, Crisi economica e asimmetrie territoriali nella garanzia dei diritti sociali tra mercato
unico e unione monetaria, in www.rivistaaic.it, 2/2014..
101 I principlali disallineamenti dell’ attuale contesto non solo europeo, che ne spiegano la criticità, sono
individuati da G. ROSSI, La prospettiva della costruzione dello Stato europeo, cit., p. 2-3, che individua un primo
disallineamento fra le funzioni che hanno gli Stati e i poteri necessari per esercitarle, perché
“all’impoverimento della forza degli Stati non ha corrisposto una diminuzione degli obiettivi che devono
perseguire”, ma al contrario un ulteriore ampliamento, con una “moltiplicazione dei diritti da soddisfare,
dovuta a una pluralità di concause a partire dalla moltiplicazione delle fonti (normative e giurisprudenziali)
e delle sedi (dei diversi livelli territoriali) dalle quali promanano”. Un secondo disallineamento è individuato
nella quasi totale non corrispondenza “fra la forma degli atti e il potere sostanziale di condizionare i loro
contenuti” come accade “nei settori più esposti alle dinamiche non controllabili da singoli Stati”, come ad
esempio, le delibere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che stabiliscono il prezzo dell’energia,
mentre sono ben altri i soggetti che hanno il potere di determinarlo. Un ulteriore disallineamento è
individuato tra “i soggetti che assumono alcune decisioni e quelli che sono destinatari dei loro effetti”, come
ad esempio “il caso del recente accordo fra gli Stati Uniti d’America e la Cina sulle emissioni inquinanti che
influirà sul riscaldamento globale, sullo scioglimento di ghiacciai e sul livello delle acque, produce effetti
(come di per sé non potrebbe fare un accordo fra due soggetti) su tutti gli altri soggetti che sono terzi. Un
ulteriore disallineamento è individuato “fra le dimensioni della finanza e quella delle istituzioni, anche
internazionali, che dovrebbero governarla” e fra “la localizzazione dei fenomeni dai quali nasce il
deterioramento dell’ambiente e la delocalizzazione degli effetti inquinanti”.
102 Così I. CIOLLI, Le ragioni dei diritti, cit., p. 20.
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Nell’attuale fase storica, la legislazione che è derivata dalla “crisi” economica si può giustificare
solo se è destinata a segnare il “passaggio” ad una fase nuova o a diventare l’ “occasione” per fare
dell’Unione europea uno stato realmente federale103.
Come è stato evidenziato, però, “in attesa di un’auspicabile Costituzione federale, utilizziamo al
meglio gli strumenti che abbiamo; e il meglio è ancora lo Stato”104, a cui però va aggiunta, ora più
che in passato, la Corte Costituzionale.
“L’alternativa, facilmente prevedibile, è quella di un disfacimento dell'Unione e di una crescente difficoltà,
nel contesto mondiale, degli stati, troppo piccoli che la compongono”, così G. ROSSI, Pubblico e privato
nell’economia semiglobalizzata, cit., p. 32.
104 G. CORAGGIO, Intervento, in AA.VV., Dalla crisi economica al pareggio di bilancio: prospettive, percorsi e
responsabilità, (Atti del 53° convengo di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, 20-22 settembre
2012), Milano, Giuffré, 2013 p. 559, a cui si rinvia per gli altri interessanti contributi contenuti nel volume.
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