Erodoto – Libro IV

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Erodoto – Libro IV
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Erodoto
Le Storie. Libro IV
Ἰστορίαι. Δ' βιβλίο
L’ecumene di Erodoto (484? a.C. - 425 a.C.)
L’ecumene di Ecateo (550? a.C. - 476? a.C.)
440-429 a.C.1
1 Riproposizione integrale e redazione delle note: © associazione culturale Larici, 2008.
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1. Dopo la presa di Babilonia, Dario condusse personalmente una spedizione
contro gli Sciti2. Dato che l’Asia era fiorente di uomini e vi affluivano grandi
ricchezze, Dario ebbe il desiderio di vendicarsi degli Sciti, in quanto per
primi, attaccato il paese dei Medi3 e sconfitto in battaglia chi ad essi si
opponeva, avevano dato inizio alle offese. Infatti, come già prima ho
ricordato4, gli Sciti dominarono per ventotto anni la parte settentrionale
dell’Asia: essi, gettatisi all’inseguimento dei Cimmeri5, irruppero nell’Asia
mettendo fine al dominio dei Medi, che vi regnarono prima dell’arrivo degli
Sciti. Quando poi gli Sciti, rimasti per ventotto anni fuori della loro patria,
tornarono, dopo così tanto tempo, a casa loro, li attendeva un’impresa
ardua quanto la conquista della Media: trovarono ad accoglierli un esercito
non piccolo, perché era accaduto che le loro mogli, prolungandosi l’assenza
dei mariti, s’erano unite con gli schiavi.
2. Gli Sciti accecano tutti gli schiavi a causa della preparazione del latte che
bevono; essa avviene così: prendono dei tubi d’osso, somigliantissimi a
flauti, li introducono nei genitali delle cavalle e vi soffiano dentro con la
bocca, e mentre alcuni soffiano altri mungono. Procedono in tal modo,
dicono, perché le vene della cavalla insufflata si riempiono e le mammelle si
inturgidiscono. Quando hanno munto il latte, lo versano in panciuti vasi di
legno e lo fanno agitare dagli schiavi accecati disposti tutt’intorno ai vasi:
scremano la parte di latte che rimane in superficie e la considerano la più
pregiata, mentre considerano meno buona la parte che resta in basso. Per
questa ragione gli Sciti accecano chiunque catturino, perché non sono
agricoltori, ma nomadi6.
3. Da questi loro schiavi, dunque, e dalle loro mogli, nacque una
2 Non si conosce la data esatta della spedizione di Dario I il Grande – re di Persia e di
Babilonia dal 521 al 486 a.C. – ma fu probabilmente tra il 514 e il 511 a.C., a potere
consolidato. Anche il motivo della guerra è incerto: alcuni presumono sia dovuto al rifiuto
di dargli una donna scita, altri propendono per l’ambizione di vincere un popolo guerriero
ritenuto invincibile.
3 I Medi erano un popolo seminomade stanziato a sud del Mar Caspio, all’incirca sull’area
dell’odierno Azerbaijan.
4 Cfr. Libro I, 106.
5 I Cimmèri (o Cimmerii) occupavano i territori a nord del Mar Nero, ossia l’attuale Crimea
(nome derivato da Cimmeria).
6 Non è noto il motivo dell’accecamento. Plutarco affermò che, se gli schiavi avessero
goduto della vista, avrebbero perso l’equilibrio continuando a girare attorno ai vasi.
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generazione di giovani, i quali, appresa la propria origine, si opposero agli
Sciti che rimpatriavano dalla Media7. Per prima cosa cercarono di isolare il
paese scavando un ampio fossato che si estendeva dai monti del Tauro fino
alla Palude Meotide8, là dove è più ampia; poi, schierandosi di fronte agli
Sciti che tentavano di fare irruzione, ingaggiavano battaglia. Si scontrarono
varie volte, ma gli Sciti non riuscivano a prevalere con le armi e allora uno
di essi disse: «Che stiamo facendo, o Sciti! Se combattiamo contro i nostri
schiavi, assottigliamo le nostre file facendoci uccidere, e uccidendo loro
diminuiamo il numero dei nostri futuri sudditi. Per me occorre mettere via
lance e archi; ciascuno deve prendere la frusta del cavallo e spingersi più
vicino a loro; finché ci vedevano con le armi si credevano uguali a noi e di
uguale nascita, ma quando, anziché con le armi, ci vedranno con la frusta,
capiranno che sono nostri schiavi e, riconoscendolo, non opporranno
resistenza».
4. Udito il consiglio, gli Sciti lo misero in pratica; e i loro nemici, sbalorditi
da quanto avveniva, si dimenticarono della battaglia e si diedero alla fuga.
Così gli Sciti dominarono l’Asia e poi, cacciati via dai Medi, rientrarono nel
loro paese. Ed ecco perché Dario, volendo vendicarsi, raccolse un esercito
contro di loro.
5. A sentire gli Sciti, il loro sarebbe fra tutti il popolo più recente e avrebbe
avuto origine come segue. In quella regione, allora desertica, nacque un
primo uomo, che si chiamava Targitao. E di questo Targitao essi dicono – ma
per conto mio non è credibile, ma così affermano – padre e madre
sarebbero stati Zeus e la figlia del fiume Boristene9. Nato dunque da tali
genitori, Targitao ebbe tre figli, Lipossai, Arpossai e Colassai 10, il più giovane
dei tre. Durante il loro regno sul suolo della Scizia caddero dal cielo degli
oggetti d’oro, un aratro col suo giogo, un’ascia bipenne e una coppa11. Il più
vecchio dei fratelli li vide per primo e subito si avvicinò per afferrarli; ma
mentre si avvicinava l’oro divenne rovente. Egli allora si ritrasse e si fece
sotto il secondo fratello, ma l’oro di nuovo reagì come prima. L’oro
arroventandosi si difese dai primi due, ma al sopraggiungere del terzo
fratello, il più giovane, smise di essere incandescente, ed egli se lo portò a
7 A differenza di alcune interpretazioni, pare chiaro che la reazione dei giovani non fu in
risposta allo sdegno dei reduci sciti verso l’evidente infedeltà delle loro donne, ma fu
generata dal timore di tornare alla condizione di schiavi.
8 I monti del Tauro circondano la parte meridionale dell’attuale Anatolia (Asia Minore) e dai
quali sgorgano le sorgenti del Tigri (o Dicle) e dell’Eufrate (o Fırat). La palude Meotide è il
braccio di mare situato a nord del Ponto Eusino (antico nome del Mar Nero) e corrisponde
all’odierno Mar d’Azov.
9 Boristene è l’antico nome del fiume Dnepr, che nasce a sud dell’altipiano del Valdai
(Russia occidentale), attraversa Belorussia e Ucraina (dove bagna Kiev) e sfocia nel Mar
Nero.
10 Questi nomi si trovano anche scritti alla greca: Lipoxais, Arpoxais e Colaxais.
11 Gli oggetti simboleggiano le tre classi dell’antica società iranica: contadini, guerrieri e
sacerdoti.
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casa. In seguito a ciò, i due fratelli maggiori, riconoscendo al più giovane la
potestà regale, gliela cedettero integralmente.
6. Da Lipossai sarebbe nata la tribù scita detta degli Aucati, da Arpossai, il
fratello di mezzo, i Catìari e i Traspi, dal più giovane la stirpe dei re, i
Paralati; tutti insieme si chiamano Scoloti, dal nome del re, ma i Greci li
chiamarono Sciti.
7. Gli Sciti ritengono che dalla loro origine, dagli anni trascorsi
complessivamente dal primo re Targitao sino all’invasione di Dario, siano
trascorsi mille anni e non uno di più. I re custodiscono l’oro sacro con la
massima cura e ogni anno lo venerano con grandi sacrifici propiziatori. Se
durante la festa uno dei custodi dell’oro si addormenta all’aperto, costui,
dicono gli Sciti, non arriva alla fine dell’anno, perciò gli regalano tanta terra
quanta riesca a fare il giro in un giorno a cavallo12. Essendo il paese
sterminato, Colassai lo spartì in tre regni fra i propri figli, assegnando un
territorio maggiore al regno in cui è custodito l’oro. I territori situati verso
nord, oltre le estreme regioni abitate della Scizia, non si possono né vedere
né attraversare più di tanto, si dice, perché vi cadono piume13: il suolo e
l’aria ne sarebbero pieni, e le piume appunto impedirebbero la visuale.
8. Questo raccontano gli Sciti su di sé e sui territori settentrionali; ecco
invece cosa narrano i Greci residenti sul Ponto14. Eracle, spingendo i buoi di
Gerione, sarebbe giunto nella terra ora occupata dagli Sciti, allora desertica.
Gerione risiedeva lontano dal Ponto, abitava nell’isola detta dai Greci Eritia,
al di là delle colonne d’Eracle, di fronte a Cadice, nell’Oceano15. L’Oceano,
dicono i Greci, ha origine nell’estremo oriente dove sorge il sole e scorre
tutto intorno alla terra: così dicono, ma non sanno dimostrarlo con i fatti 16.
12 Tale dono ricompensava il custode del fatto che compiva un servizio in cui poteva perdere
la vita.
13 Nel cap. 31, Erodoto suppone che le piume siano fiocchi di neve.
14 Il Ponto è la regione storica estesa nella zona nord-orientale dell’Asia Minore, affacciata
sul Mar Nero.
15 Il riferimento è alla decima delle mitiche dodici fatiche di Ercole (in greco: Eracle). Da
Euristeo, Ercole aveva ricevuto l’ordine di recuperare le mandrie di Gerione, un gigante
con tre teste e tre busti, figlio del dio Poseidone (Nettuno) e di Calliroe, figlia di Oceano.
Le mandrie erano custodite dal pastore Eurizione nell’isola Eurizia (o Eritia), situata ai
confini dell’Occidente. In quel luogo Ercole eresse due colonne: su una innalzò una statua
rivolta a est, con una chiave nella mano destra, come per aprire una porta; sull’altra
incise l’iscrizione “Ecco i confini di Ercole”, a indicare il limite invalicabile delle terre note.
Secondo i più recenti studi, le Colonne d’Ercole erano originariamente su due isole dello
stretto di Sicilia. Nel IV secolo a.C., in seguito alla conquiste di Alessandro Magno a
Oriente, il geografo Eratostene spostò il confine occidentale del mondo greco per
preservare la centralità della Grecia, identificando le Colonne d’Ercole con lo stretto di
Gibilterra.
16 Erodoto allude alla teorie di Ecateo di Mileto, che visse attorno al 500 a.C. e fu tra i primi
autori greci di scritti di storia e geografia. Grazie ai suoi numerosi viaggi nella terra
abitata allora conosciuta (impero persiano, Grecia, Egitto, bacino del Mediterraneo), egli
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Da là giunse Eracle nel paese detto Scizia: sorpreso dall’inverno e dal gelo,
si avvolse nella propria pelle di leone e si addormentò, ma, nel frattempo,
per sorte divina, le cavalle staccate dal suo carro sparirono mentre
pascolavano.
9. Appena sveglio, Eracle si mise a cercarle, percorrendo in lungo e in largo
tutto il paese, finché giunse nella regione cosiddetta di Ilea17. Qui, in una
grotta, trovò una creatura dalla duplice natura, mezza donna e mezza
serpente, donna dai glutei in su e rettile in giù 18. Eracle guardandola pieno
di stupore le chiese se avesse visto in giro, da qualche parte, delle cavalle.
Gli rispose che erano in mano sua, le cavalle, e che non gliele avrebbe
ridate se prima non faceva l’amore con lei: un prezzo che Eracle accettò. Ma
ella, poi, differiva la restituzione delle cavalle desiderando starsene con
Eracle il più a lungo possibile, mentre lui voleva riprenderle e andarsene;
infine la donna gliele rese e disse: «Io ti ho salvato queste cavalle, giunte
fino a qui, e tu mi hai dato il compenso: da te ho concepito tre figli. Spetta
a te ora indicarmi come agire una volta che siano adulti: li tengo qui –
perché io sono la regina di questa regione – o li mando da te?». Così gli
chiedeva ed Eracle le rispose: «Quando ti accorgerai che i ragazzi sono
divenuti ormai uomini, regolati come ti dico e non sbaglierai: se ne vedi uno
capace di tendere quest’arco come faccio io19 e di legarsi la cintura in questo
modo, insedialo in questo paese; chi invece non riesce a compiere le azioni
che dico, mandalo via. Agendo così tu stessa ne sarai felice e avrai
realizzato il compito che ti affido».
10. Eracle dunque, dopo aver teso uno degli archi – fino ad allora ne
portava due – e mostrato come si doveva allacciare la cintura, consegnò alla
donna l’arco e la cintura, che portava sulla punta del fermaglio una coppa
d’oro; dopodiché si allontanò. La donna, quando i suoi figli divennero adulti,
impose loro i nomi di Agatirso al primo, Gelono al secondo, Scita 20 al più
giovane; poi, memore delle raccomandazioni di Eracle, eseguì quanto lui le
aveva prescritto. E così due dei suoi figli, Agatirso e Gelono, non risultando
capaci di superare la prova stabilita, se ne andarono via dal paese, scacciati
disegnò una carta geografica che perfezionava quella di Anassimandro. Oltre che in
questo punto, Erodoto si manifesta contrario alla teoria di Ecateo in II, 21 e 23 e,
soprattutto, in IV, 36: «Rido quando vedo che molti hanno disegnato la mappa della terra,
ma che nessuno ne ha dato una spiegazione ragionevole: raffigurano un Oceano che
scorre intorno alla terra, tonda come se l’avessero fatta col compasso, e disegnano l’Asia
grande come l’Europa».
17 L’Ilea (che significa “terra coperta di boschi”) – poi identificata con la Piccola Tartaria –
corrisponde oggi all’ampio territorio tra l’Ucraina occidentale e la Polonia sud-orientale.
18 Questa figura di donna era forse la divinità suprema del popolo cimmerio. Nelle mitologie
antiche erano diffuse le divinità ctonie, cioè quelle divinità – generalmente femminili –
legate ai culti infernali e agli dèi sotterranei, personificazione delle forze oscure.
19 Da uno scolio all’Iliade (VIII, 325) si sa che gli Sciti tendevano l’arco tirando la corda
verso la spalla e non verso il petto.
20 O Scite.
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dalla madre; il più giovane invece, Scita, avendola portata a compimento, vi
rimase. Da Scita figlio di Eracle, raccontano, discesero tutti i re succedutisi
sul trono di Scizia, e a quella antica coppa risale l’attuale uso scita di
portare una coppa appesa alla cintura. Questo dunque aveva compiuto per
Scita sua madre. Così raccontano i Greci residenti sul Ponto.
11. Esiste ancora un’altra tradizione, a cui mi sento più incline, che narra
così. Gli Sciti nomadi che vivevano in Asia, premuti in guerra dai
Massageti21, attraversarono il fiume Arasse22 e si trasferirono nel territorio
dei Cimmeri – e infatti il paese attualmente occupato dagli Sciti si dice
appartenesse un tempo ai Cimmeri – e, vedendo giungere gli Sciti, i
Cimmeri si consultarono sul da farsi, visto che in arrivo si profilava un
esercito immenso: si contrapposero così due pareri, vigorosamente
sostenuti entrambi, più forte però quello dei re. Il popolo riteneva che fosse
il caso di ritirarsi e di non rischiare in pochi contro molti, mentre i re
volevano battersi fino all’ultimo contro gli invasori per la loro terra. Nessuno
era disposto a cedere, né il popolo ai sovrani né i sovrani al popolo; infine i
sudditi decisero di andarsene, abbandonando il paese agli invasori senza
combattere, i re invece preferirono giacere uccisi in patria che fuggire
insieme con gli altri: pensavano ai privilegi di cui avevano sempre goduto e
ai mali che prevedibilmente avrebbero patito in esilio, lontano dalla patria.
Presa questa risoluzione, i re si divisero dunque in due gruppi di eguale
numero e si affrontarono. Essendo tutti periti l’uno per mano dell’altro23, il
popolo dei Cimmeri li seppellì presso il fiume Tira24 – dove è ancora visibile
la loro tomba –; e dopo averli seppelliti in tal modo, i Cimmeri uscirono dal
paese. Quando gli Sciti sopraggiunsero, conquistarono una regione ormai
deserta.
12. Ancora oggi in Scizia ci sono le mura cimmerie e i varchi cimmeri, e c’è
una regione che si chiama Cimmeria e il cosiddetto Bosforo Cimmerio25. Ed
21 Erodoto descrive i Massageti nel Libro I. Essi vivevano nelle sterminate pianure a oriente
del Mar Caspio, erano guidati dalla regina Tomiri e avevano costumi assai strani: per
esempio, quando un massageto diventava molto vecchio «i suoi parenti si raccolgono tutti
insieme e lo uccidono; insieme a lui immolano altri animali e, fattene cuocere la carne, se
ne cibano». Il re persiano Ciro mosse loro guerra e riuscì a catturare il figlio di Tomiri,
Spargapise, ubriacandolo. Nella battaglia che seguì, Ciro fu sconfitto e ucciso. Erodoto
specifica che questa è, per lui, la versione più attendibile sulla morte di Ciro.
22 L’Aras o Araks (anticamente Arasse) è il fiume che segna i confini tra la Repubblica
autonoma di Nakhchivan (exclave dell’Azerbaijan) e l’Iran e tra la Turchia e l’Armenia.
Confluisce nel fiume Kura (antico Cyrus), che sfocia nel Mar Caspio. A volte l’Arasse è
identificato con il basso Volga confermando l’incertezza sull’origine degli Sciti e
sull’estensione del loro territorio.
23 I re cimmeri sembrano troppi per essere tutti sovrani, probabilmente erano i membri della
classe aristocratica.
24 Il Tira (o Tire) è un affluente di un ramo del delta del Danubio, identificabile con il Dnestr,
che nasce dai Carpazi e sbocca nel Mar Nero.
25 Con “varchi cimmeri” si indica lo stretto tra il Mar Nero e il Mar d’Azov. La Cimmeria è
l’odierna penisola di Crimea (anticamente detta anche Tauride) e il Bosforo Cimmerio
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è chiaro che i Cimmeri, fuggendo in Asia davanti agli Sciti, colonizzarono la
penisoletta su cui ora sorge la città greca di Sinope 26. Ed è anche chiaro che
gli Sciti, nell’inseguirli, sbagliarono direzione e penetrarono nel paese dei
Medi. Infatti, i Cimmeri in fuga si tennero costantemente lungo la costa,
mentre gli Sciti, passando sulla sinistra del Caucaso, li inseguirono finché
piegando verso l’interno invasero il paese dei Medi. E questa è la terza
versione: la raccontano tanto i Greci quanto i Barbari.
13. Inoltre, Aristea, un uomo del Proconneso27, figlio di Castrobio, scrisse in
un suo poema epico di essere giunto, posseduto da Febo, fino agli
Issedoni28; a nord degli Issedoni, disse, abitano gli Arimaspi che hanno un
solo occhio, più in là dei quali vivono i grifoni custodi dell’oro29; oltre i grifoni
e fino al mare gli Iperborei30. Questi popoli, tranne gli Iperborei, avrebbero
premuto sui loro confinanti, a partire dagli Arimaspi: gli Issedoni furono
spinti fuori del loro paese dagli Arimaspi, gli Sciti dagli Issedoni, e i
Cimmeri, stanziati lungo le coste del mare meridionale31, abbandonarono la
loro terra scacciati dagli Sciti. Insomma, neppure Aristea è d’accordo con gli
Sciti sulla storia di questa regione.
corrisponde allo stretto a sud di Kerc (Kerch), città dell’Ucraina meridionale posta sulla
costa orientale della Crimea.
26 Sinop (antica Sinope) è il nome sia della città che della regione situata sul lato
settentrionale dell’Asia minore, confinante col Ponto e affacciate sul Mar Nero.
27 Aristea di Proconneso (oggi Isola di Marmara nel mare omonimo), poeta e sciamano
vissuto intorno al VI secolo a.C., scrisse il poema epico Arimaspea (o Gli Arimaspi) di cui
ci sono pervenute soltanto alcune citazioni. Nell’Arimaspea erano descritte le più antiche
conoscenze degli abitanti delle rive settentrionali del Ponto, in quanto sappiamo che gli
Arimaspi monocoli e i grifoni custodi dei tesori – citati da Erodoto più avanti – costituivano
gli elementi tipici della cultura popolare centro-asiatica.
28 Il territorio degli Issedoni era delimitato dalle catene montuose del Tien Shan (monti
Azzurri) e dell’Altai, in una zona a cavallo tra Mongolia, Cina, Siberia e Kazakistan.
Erodoto ha già spiegato che il fiume Arasse li separava dai Massageti: «I Massageti hanno
fama di essere un popolo grande e valoroso: le loro sedi si trovano a est, dove sorge il
sole, al di là del fiume Arasse, di fronte agli Issedoni; c’è chi sostiene che questo popolo
sia di razza scita» (I, 201).
29 I grifoni, favolosi animali della mitologia greca, sono raffigurazioni ispirate ai
protoceratopi, dinosauri quadrupedi lunghi circa due metri e provvisti di un becco adunco,
estintisi oltre 60 milioni di anni fa. Uova (congelate nel permafrost) e scheletri di
protoceratopo sono stati trovati in quantità nel territorio degli antichi Issedoni. I grifoni
erano indicati come i “guardiani dell’oro” perché nella zona ci sono i graniti dei monti
Azzurri e degli Altai (la radice di Altai significa “oro”) che costituivano la tradizionale fonte
dell’oro degli Sciti: il metallo affiorava in superficie a causa dell’erosione e il vento lo
accumulava, suggerendo l’immagine dei grifoni a difesa di mucchi d’oro. Il grifone era
rappresentato con le ali, che il protoceratopo non aveva, per semplice deduzione: un
animale provvisto di becco che deponeva le uova non poteva che essere un uccello.
30 Nei miti della religione greca, ripresi dagli storici (tra cui Erodoto), gli Iperborei erano un
popolo che viveva in una regione lontanissima, a nord della Grecia, chiamata Hyperborea
o Hyperboria (cioè “oltre Borea”, il vento del Nord). Essa era considerata un paese
perfetto, illuminato dal sole per sei mesi l’anno, in cui era nato Apollo, dio della luce. Al di
là delle terre degli Iperborei, vi erano quelle degli Arimaspi.
31 Si tratta del Mar Nero, considerato meridionale rispetto al mare degli Iperborei. Invece,
nel successivo cap. 37, è chiamato settentrionale.
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14. Di dov’era nativo Aristea, l’autore di queste notizie, l’ho detto; ora
invece riferirò quanto su di lui udivo raccontare a Proconneso e a Cizico 32.
Narrano infatti che Aristea, il quale per nobiltà di natali non era inferiore a
nessuno nella sua città, entrò un giorno in una officina di scardassiere33 di
Proconneso e vi morì; l’artigiano chiuse il negozio e si avviò per avvertire i
parenti del defunto. Si sparse per la città la voce che Aristea era morto, ma
giunse a contraddirla un uomo di Cizico, proveniente da Artace34, il quale
sosteneva di aver incontrato Aristea che si dirigeva a Cizico e di aver
chiacchierato con lui. E mentre costui ribadiva con ostinazione il suo
discorso, i parenti del defunto già erano sulla porta dell’officina con il
necessario per rimuovere il cadavere. Aprirono la porta del locale, ma di
Aristea non c’era traccia, né vivo né morto. Sei anni dopo Aristea riapparve
a Proconneso e vi compose il poema ora intitolato dai Greci Arimaspea, e
dopo averlo composto sparì per la seconda volta.
15. Così si racconta in queste due città, ecco invece cosa so essere capitato
agli abitanti di Metaponto in Italia35, 240 anni dopo la seconda scomparsa di
Aristea, secondo quanto ho scoperto con le mie ricerche a Metaponto e a
Proconneso. I Metapontini affermano che Aristea in persona apparve nel
loro paese, ordinò di edificare un altare ad Apollo e di erigergli accanto una
statua con la scritta “Aristea di Proconneso”; spiegò che essi erano i soli
Italioti nel cui paese fosse venuto Apollo e che lui, che ora era Aristea, lo
aveva seguito, ma che allora, quando accompagnava il dio, era un corvo.
Detto ciò sarebbe scomparso. I Metapontini, a quanto asseriscono, inviarono
una delegazione a Delfi per interrogare il dio sul significato di
quell’apparizione, e la Pizia36 li avrebbe esortati a obbedire al fantasma,
perché obbedendo sarebbe stato meglio per loro. Essi accettarono il
responso ed eseguirono quanto prescritto. E oggi proprio accanto al
monumento di Apollo si erge una statua intitolata ad Aristea, circondata da
piante di alloro; il monumento di Apollo si trova nella piazza. E questo basti
sul conto di Aristea.
16. Quanto al paese da cui è partito il mio discorso, nessuno sa con certezza
cosa vi sia al suo nord: in effetti non ho mai potuto raccogliere notizie da
qualcuno che si dichiarasse testimone oculare di tali contrade. E nemmeno
quell’Aristea da me ricordato poco fa, neppure lui affermò nel suo poema di
32 Anche Cizico, come Proconneso, era una colonia greca sul Mar di Marmara. Vi si venerava
la dea Cibele – culto che si riteneva introdotto dagli Argonauti – alla quale era dedicato un
celebre tempio sul monte Dindimo.
33 Cardatore.
34 Artace era il villaggio che dava il nome al porto di Cizico.
35 Metaponto fu fondata da coloni greci dell’Acaia intorno alla metà del VII secolo a.C. tra i
fiumi Bradano e Basento. Diventò una delle città più importanti della Magna Grecia.
36 Pizia (o Pitia) era il nome dato alla sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di
Apollo, nel santuario di Delfi, ai piedi del monte Parnaso.
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essere andato oltre gli Issedoni: delle regioni ulteriori parlava per sentito
dire, e indicava negli Issedoni le sue fonti. Ebbene, quanto noi con certezza
siamo stati in grado di apprendere grazie alle nostre fonti, spingendoci
avanti il più possibile, ora qui sarà esposto.
17. Muovendo dal porto dei Boristeniti37 – che si trova giusto a metà
dell’intera costa scitica – e muovendo da qui si incontrano per primi i
Callippidi, che sono Ellenosciti38, e più a nord un altro popolo, i così chiamati
Alizoni39. Alizoni e Callippidi praticano le stesse usanze degli Sciti, ma
seminano grano e se ne cibano, e cipolle e agli e lenticchie e miglio. Al di là
degli Alizoni vivono gli Sciti aratori40, che seminano il grano pure loro, ma
non per cibarsene, bensì per venderlo; oltre gli Sciti aratori si trovano i
Neuri41; a nord dei Neuri, per quanto ne sappiamo, non ci vive uomo.
18. Queste popolazioni sono stanziate lungo il fiume Ipani42 a ovest del
Boristene. Attraversato il Boristene, la prima regione che si incontra,
partendo dal mare, è l’Ilea43; oltre l’Ilea, nell’interno, dimorano gli Sciti
agricoltori, quelli che i Greci residenti sul fiume Ipani chiamano Boristeniti,
mentre a se stessi danno il nome di Olbiopoliti. Questi Sciti agricoltori
abitano un territorio che si estende verso est per tre giorni di cammino fino
al fiume chiamato Panticape44 e verso nord per undici giorni di navigazione a
risalire il Boristene. A settentrione di questi Sciti il territorio è per ampio
tratto disabitato; poi dopo il deserto vivono gli Androfagi45, una stirpe a sé,
estranea al gruppo degli Sciti. Ancora più a nord ormai è deserto pieno e,
per quanto ne sappiamo, non vi è stanziato nessun popolo.
19. Proseguendo, a est degli Sciti agricoltori, oltre il Panticape, si è ormai
nel paese degli Sciti nomadi46 che non arano e non seminano niente. L’intera
Scizia a eccezione dell’Ilea è spoglia di alberi. I nomadi occupano un
37 Il porto dei Boristeniti, alla foce del fiume Boristene (Dnepr), si chiamava Olbia ed era
situato vicino all’odierno villaggio di Parutino, in Ucraina. Partendo da Olbia, Erodoto
elenca le tribù che si incontrano, tra i fiumi Dnepr e Bug meridionale, procedendo da
ovest a est e dalla costa verso l’interno.
38 O Greco-Sciti.
39 Gli Alizoni occupavano la Podolia, regione posta nella zona centro-occidentale e sudoccidentale della attuale Ucraina.
40 Gli Sciti aratori (o coltivatori) occupavano la Moldavia, la Valacchia e parte della
Transilvania.
41 Secondo la descrizione di Erodoto, i Neuri vivevano sui territori dell’odierna Polonia. Alcuni
storici hanno ipotizzato che i Neuri – mescolanza di Sciti, Greci ed Ebrei – siano stati gli
antenati di Finni, Lapponi ed Estoni per le affinità linguistiche, ma è una teoria non
sufficientemente dimostrata.
42 Il nome odierno del fiume Ipani è Bug meridionale, che scorre interamente in Ucraina.
43 Cfr. nota 17.
44 Il fiume Panticape risulta un affluente di sinistra del Boristene (Dnepr), ma non è
identificabile con precisione.
45 Gli Androfagi sono descritti nel cap. 106.
46 Agli Sciti nomadi si tramanda l’origine dei Cosacchi.
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territorio che si estende per quattordici giorni di viaggio in direzione est fino
al fiume Gerro47.
20. Al di là del Gerro ci sono i territori cosiddetti “regi”: vi abitano gli Sciti
più nobili e più numerosi, che giudicano come loro servi gli altri Sciti; essi si
spingono verso sud fino alla regione del Tauro48, verso est fino al fosso
scavato a suo tempo dai figli degli schiavi ciechi e fino al porto cosiddetto di
Cremni, sulla palude Meotide49; parte di loro arrivano fino al fiume Tanai50. A
nord degli Sciti regi vivono i Melancleni51; oltre i Melancleni ci sono paludi e
la zona, per quanto ne sappiamo, è deserta di uomini.
21. Passato il Tanai, non è più Scizia: il primo tratto di territorio abitato
appartiene ai Sauromati52, stanziati a partire dal recesso della palude
Meotide e in direzione nord per quindici giorni di viaggio: una regione del
tutto spoglia di alberi sia coltivati che selvatici. Al di sopra dei Sauromati, la
seconda porzione di territorio è dei Budini53, che abitano una terra ricoperta
interamente di alberi d’ogni specie.
22. Oltre i Budini, verso nord, dapprima c’è un deserto 54, per sette giorni di
viaggio; dopo la zona desertica, piegando alquanto verso oriente, ci sono i
Tissageti55, popolazione numerosa ed etnicamente distinta; vivono di caccia.
Di seguito, negli stessi territori, sono stanziati quelli chiamati Iurci, che
vivono anch’essi di caccia, nel modo seguente. Si appostano in agguato
sopra gli alberi (che sono numerosissimi in tutta la regione): ciascun
cacciatore ha pronto un cavallo, a cui ha insegnato ad acquattarsi sul ventre
per dare meno nell’occhio, e un cane; quando avvista la preda dall’alto
dell’albero, le scaglia addosso una freccia, poi balza giù sul cavallo e la
47 Erodoto spiega nel cap. 56 che il fiume Gerro è un affluente del Boristene (Dnepr)
proveniente da nord, ma non è identificabile con esattezza.
48 La regione del Tauro è l’odierna Crimea: cfr. nota 8. Gli Sciti regi (o, meglio, reali)
costituivano l’aristocrazia dominante, che ebbe il merito di conferire al popolo scita la
fisionomia di gruppo strutturato per circa cinque secoli.
49 L’area della palude Meotide (Mar d’Azov) faceva parte del regno delle Amazzoni, popolo
favoloso di donne guerriere della mitologia greca.
50 Tanai (o, meglio, Tanais) è il nome greco arcaico del fiume Don, a lungo considerato la
separazione tra Europa e Asia, ed era anche il nome di una colonia greca, fondata nel III
secolo a.C. sul delta del Don nel Mar d’Azov, zona già occupata nell’Età del Bronzo. I Greci
vi si insediarono nel VII secolo a.C.
51 Melancleni significa “dal mantello nero” (cfr. cap. 107).
52 I Sauromati erano gli appartenenti a una tribù sarmatica iranica di lingua indoeuropea,
più conosciuti con il nome di Álani. I Sàrmati abitavano inizialmente nella Russia
meridionale a est del Don, fino ai monti Urali, e lungo il basso corso del Volga.
53 I Budini – forse una tribù protoslava – abitavano dal VI secolo a.C. le zone lungo i fiumi
Don e Volga.
54 Il deserto si trovava nella regione sulla riva destra del Volga vicino all’odierna città di
Simbirsk (già Uljanovsk).
55 Probabilmente, i Tissageti – che abitavano la valle del Kama, fiume tributario del Volga – e
i loro vicini Iurci (o Iirci), nominati subito dopo, erano popoli finnici, dediti alla caccia e
ancora poco civilizzati.
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insegue, mentre il cane la bracca. Oltre gli Iurci, verso occidente, vivono
altri Sciti, che si ribellarono agli Sciti regi e sono così giunti a stabilirsi in
questa regione.
23. Fino a questi Sciti tutta la regione fin qui descritta è pianeggiante e
fertile: più avanti si fa pietrosa e aspra56. Superata anche la zona pietrosa,
un’ampia regione ai piedi di alte montagne è abitata da uomini che, si dice,
sono tutti calvi dalla nascita, uomini e donne indistintamente, hanno il naso
schiacciato e il mento largo, parlano una lingua tutta propria ma si vestono
come gli Sciti, e vivono dei frutti degli alberi. Pontico si chiama l’albero del
cui prodotto si cibano57, ha le dimensioni di una pianta di fico, più o meno, e
produce un frutto grande come una fava e che ha il nocciolo; quando è
maturo lo filtrano attraverso panni e ne cola un succo denso e scuro, che
chiamano “aschi”; se lo sorseggiano e se lo bevono mescolato col latte; di
ciò che resta del frutto spremuto fanno delle focacce e se le mangiano.
Animali non ne allevano molti perché non vi sono buoni pascoli. Ognuno
abita sotto una pianta: d’inverno ne avvolge le fronde in un feltro bianco
impermeabile, d’estate ne fa a meno58. Nessuno commette soprusi nei loro
confronti, perché sono considerati uomini sacri, né essi si fabbricano armi
da guerra. Sono loro a dirimere le controversie che sorgono fra i popoli
confinanti e d’altra parte ogni esule che si rifugi presso di loro non subisce
torti da nessuno. Si chiamano Argippei59.
24. Fino a tali uomini calvi, dunque, il paese e le genti al di qua sono
ampiamente noti; infatti alcuni Sciti si spingono fino a loro e non è difficile
ricavarne informazioni; come pure si ricavano dai Greci del porto di
Boristene e degli altri empori del Ponto. Gli Sciti che arrivano sino agli
Argippei negoziano in sette lingue per mezzo di altrettanti interpreti.
56 Il limite della pianura non era, per gli antichi, in una zona precisa del nord-est. Fu Plinio il
Vecchio a indicare che gli Iperborei erano stanziati oltre i Monti Ripei, vicino al Polo Nord:
«Alle spalle di quei monti [Ripei] e oltre il vento del nord si trova un popolo fortunato – se
dobbiamo crederci! – cui è stato dato il nome di Iperborei; vivono sino a un’età carica di
anni, e sono rinomati per mitiche meraviglie. Si crede che lì si trovi uno dei poli su cui il
cosmo è imperniato, e lì termini il giro delle stelle; la luce vi durerebbe sei mesi, quando il
sole è di faccia; non però, come dicono gli incompetenti, dall’equinozio primaverile
all’autunno. In realtà, questa gente vede sorgere il sole una volta all’anno, al solstizio
estivo, e una volta tramontare, a quello di inverno. La zona è solatìa e di clima
felicemente temperato, esente da ogni aria nociva. Le loro case, boschi e foreste; i culti
divini si svolgono singolarmente, o per raggruppamenti; le lotte intestine sono ignorate, e
così pure qualsiasi malattia. La morte viene solo per sazietà di vivere...».
57 Il pontico è il ciliegio selvatico.
58 L’usanza esiste ancora oggi nelle regioni fredde, dalla Scandinavia alla Mongolia, e,
soprattutto, tra i popoli nomadi. Tende, mantelle e stivali sono realizzati con la lana degli
ovini feltrata, ossia sottoposta a uno specifico trattamento e a una lunga manipolazione
per rendere l’infeltrimento irreversibile e il tessuto impermeabile.
59 Tribù mongolica, probabile antenata dei Baskiri (o Baschiri), stanziati nella parte sudoccidentale dei monti degli Urali e nelle pianure adiacenti.
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25. Se fino a costoro il paese è conosciuto, sui territori a nord degli uomini
calvi nessuno è in grado di riferire con esattezza. La regione è tagliata fuori
da alte montagne invalicabili, che nessuno oltrepassa. Da parte loro gli
uomini calvi raccontano, ma non mi pare credibile, che sulle montagne
abitano uomini con piedi caprini, oltre i quali vivono altri uomini che
dormono per sei mesi consecutivi60. Ma questo proprio non lo accetto
assolutamente. A est dei Calvi si sa con certezza che vivono gli Issedoni 61,
ma delle regioni più settentrionali, a nord tanto dei Calvi che degli Issedoni,
non si sa nulla, se non quanto questi stessi popoli raccontano.
26. Ecco dunque quanto si narra sulle usanze degli Issedoni. Quando a un
uomo muore il padre, tutti i parenti gli portano animali da allevamento: li
sacrificano, ne tagliano le carni e vi aggiungono anche, tagliato a pezzi, il
cadavere del padre dell’ospite; mescolano assieme tutte le carni e
banchettano. La testa del morto, però, la radono, la puliscono, la indorano e
poi la trattano come una immagine sacra, offrendole annualmente grandi
sacrifici. Il figlio onora il padre così, come i Greci commemorano i defunti.
Inoltre hanno anch’essi fama di essere giusti: e le donne fra loro godono
degli stessi poteri degli uomini.
27. Anche sugli Issedoni, dunque, siamo informati. Più oltre verso nord sono
gli Issedoni a parlare dell’esistenza di uomini muniti di un solo occhio e di
grifi custodi dell’oro: gli Sciti lo riferiscono avendolo udito dagli Issedoni, e
noi, che lo abbiamo appreso dagli Sciti, chiamiamo quegli uomini, con voce
scita, “Arimaspi”: in lingua scita àrima vuol dire “uno” e spu “occhio”62.
28. Tutta la regione qui menzionata soffre di inverni molto rigidi, e per otto
mesi vi regna un freddo addirittura insopportabile; in tal periodo versando a
terra dell’acqua non produrrai fango: il fango lo formerai accendendo un
fuoco. Si gela il mare e tutto il Bosforo Cimmerio e sul lastrone di ghiaccio
gli Sciti residenti al di qua del fossato si mettono in marcia e si spingono
oltre con i loro carri, verso il paese dei Sindi63. L’inverno si mantiene così per
otto mesi; e per i quattro mesi restanti la temperatura è ancora fredda. È
un tipo di inverno diverso da tutti gli inverni degli altri paesi: non ci sono
piogge degne di nota nella stagione in cui le si aspetterebbe, mentre
d’estate non smette mai di piovere; i tuoni, assenti quando altrove si fanno
sentire, sono fittissimi in estate. Un tuono che si produca d’inverno è accolto
60 Probabile allusione alle lunghe notti invernali del Nord, che costringono gli abitanti a stare
rinchiusi per mesi.
61 Cfr. nota 28.
62 Con maggior probabilità, l’etimologia di Arimaspi deriva dal sanscrito aryama e aspa, cioè
“coloro che amano i cavalli”.
63 Si suppone che i Sindi – di ceppo sarmatico – fossero un popolo attestato sul lato
orientale della Palude Meotide (Mar d’Azov) e su parte del Caucaso che abitavano di fronte
ai Maeoti, altra tribù scitica. Nel cap. 86 sono però considerati gli abitanti della Penisola di
Taman (Crimea orientale) sul lato del Mar d’Azov, cioè gli stessi Maeoti.
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con stupore, come un prodigio; lo stesso se si verifica un terremoto,
d’inverno come d’estate, in Scizia è considerato un prodigio. I cavalli
riescono a sopportare un simile inverno, ma i muli non ce la fanno
assolutamente, e neppure gli asini, mentre in altri paesi i cavalli nel gelo
muoiono per assideramento e invece asini e muli resistono.
29. Secondo me è questa la ragione per cui in quel paese la razza di buoi
“senza corna”64 è, appunto, priva di esse; me ne dà una prova anche un
verso di Omero, dall’Odissea: «e in Libia... ove spuntan ratto a gli agnellin
le corna»65, molto esatto: nei paesi caldi le corna crescono rapidamente.
Invece nei paesi a clima rigido le corna o crescono poco o non spuntano
affatto.
30. Ecco dunque cosa accade lassù per il freddo. Ma io mi meraviglio proprio
– e lo dico perché fin dal principio il mio racconto cercava digressioni –, mi
meraviglio che in tutta la regione dell’Elide66 non possano nascere muli:
perché il paese non è freddo né ci sono altre cause palesi. Gli Elei, dal canto
loro, affermano che da loro non nascono muli per una maledizione67. Così
quando è il momento di far accoppiare le cavalle, le portano nei paesi vicini,
lì le fanno montare dagli asini finché si ingravidano, dopodiché se le
riportano indietro.
31. Quanto alle piume di cui l’aria secondo gli Sciti sarebbe piena e che
impedirebbero sia di inoltrarsi nel paese sia di spingere lo sguardo
nell’interno, la mia opinione è la seguente: a nord di queste regioni nevica
in continuazione, un po’ meno d’estate che d’inverno ovviamente. Ora, chi
ha già visto da vicino la neve cadere fitta fitta, sa cosa voglio dire: i fiocchi
di neve sono simili a piume. E poiché l’inverno là è quello che è, le regioni
settentrionali di questo continente non sono abitabili. Credo dunque che gli
Sciti e i loro vicini descrivano la neve come piume per paragone 68. E questo
basti sulle regioni dette le più remote del mondo.
64 O “mutili”.
65 Odissea, IV, 107-109.
66 L’Elide è una regione storica del Peloponneso, il cui centro era Olimpia.
67 La maledizione è quella di Enomào, re di Pisa (città scomparsa già in epoca classica, nei
pressi della posteriore Olimpia), il quale aveva condannato gli incroci, ritenuti nocivi alla
purezza della razza equina. Secondo la mitologia, Enomao aveva messo in palio la mano
della figlia Ippodamia a chi fosse riuscito a vincerlo in una gara di corsa col carro,
altrimenti questi sarebbe stato ucciso. Enomao vinceva sempre perché suo padre, il dio
Ares, gli aveva donato un tiro di cavalle rapide come il vento, e il carro era guidato da
Mirtilo, figlio di Ermes, il più esperto degli aurighi. Solo Pelope superò la prova dopo che
Ippodamia lo convinse a corrompere Mirtilo, che fece cadere il padrone durante la corsa
provocandone la morte. Dalle fonti risulta chiaro che Enomào era amante incestuoso della
figlia e aveva escogitato quella gara impari per impedirne l’allontanamento. La leggenda si
conclude con l’uccisione di Mirtilo perché aveva tentato di violentare Ippodamia.
68 Anticamente la neve era spesso confrontata con la lana, per esempio, nell’Apocalisse è
scritto «I capelli della testa erano candidi, simili a lana candida, come neve» (I, 14).
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32. Degli Iperborei non discorrono né gli Sciti né gli altri abitanti di questo
continente, a eccezione degli Issedoni. Ma io credo che anch’essi non dicano
niente, altrimenti ne parlerebbero pure gli Sciti, come parlano degli uomini
con un occhio solo. Si fa menzione degli Iperborei in Esiodo 69 e anche in
Omero, negli Epigoni, ammesso che Omero abbia effettivamente composto
tale poema70.
33. Le notizie di gran lunga più sostanziose sul conto degli Iperborei le
forniscono i Deli71: essi affermano che le offerte sacre, avvolte in paglia di
grano, provenienti dagli Iperborei arrivano nelle mani degli Sciti e dagli Sciti
via via passano di gente in gente fino a giungere nel lontanissimo occidente,
fino all’Adriatico. Da qui vengono inviate verso sud: i primi Greci a riceverle
sono quelli di Dodona72, da dove poi scendono al Golfo Maliaco73 per essere
traghettate in Eubea74; di città in città giungono a Caristo75; Andro76 viene
saltata: i Caristi le recapitano direttamente a Teno77, e infine i Teni a Delo
Così dunque arrivano a Delo le sacre offerte, ma in un primo tempo gli
Iperborei mandarono a portarle due ragazze, di nome, secondo i Deli,
69 Esiodo, poeta greco dell’VIII-VII secolo a.C., scrisse: «Gli Iperborei dai bei cavalli che la
terra dai molti pascoli aveva generato numerosi presso le rapide correnti dell’Eridano
profondo», dove per Iperborei si intendono le popolazioni dell’Alto Adriatico e per Erìdano
il fiume Po.
70 Il poeta greco Omero (VIII secolo a.C.) menziona nel poema Epigoni, a lui attribuito con
molta incertezza, gli Iperborei come i figli dei sette re che avevano partecipato con Edipo
alla prima spedizione contro Tebe, capitale della Boezia, città dalle sette porte. I sette re
si erano posti ciascuno accanto ad una porta ed erano caduti sotto le mura di Tebe nel
tentativo di conquistarla. Gli Epigoni mossero verso la città per vendicare i padri e
riuscirono a impadronirsene.
71 I Deli (o Delii) erano gli abitanti dell’isola di Delos (o Delo) nell’arcipelago delle Cicladi. I
reperti archeologici hanno dimostrato che l’isola era abitata fin dal 3000 a.C. Secondo la
mitologia greca, vi trovò rifugiò Latona per partorire i figli avuti da Zeus – Apollo, dio della
luce e della musica, e Artemide (Diana), dea della caccia – e, quindi, sfuggire l’ira di Era.
Gli antichi Greci consideravano Delo il loro più importante santuario e sacra l’isola.
Presumendo che gli Iperborei fossero i Greci del Ponto, il loro rapporto con i Deli viene
spiegato indicando la rotta Fenicia-Ponto, utilizzata per il trasporto di grano, oppure, più
semplicemente, con il fatto di possedere un culto in comune.
72 Dodona era un’antica città dell’Epiro (regione occidentale della Grecia) con la sede di uno
dei più famosi santuari dedicati a Zeus, il quale dava i suoi responsi (i cosiddetti “oracoli
di Dodona”) a mezzo dei sacerdoti e delle sacerdotesse che ascoltavano lo stormire delle
foglie delle querce del vicino bosco sacro, guardavano il volo delle colombe che vi avevano
il nido e interpretavano il suono dei grandi cembali di bronzo mossi dal vento.
73 Il Golfo Maliaco si trova nella Locride orientale (o Locride Opunzi, Grecia centrale) che
comprende parte della costa davanti all’isola di Eubea e la pianura delle Termopili.
74 Dopo Creta, Eubea è la più grande isola del Mare Egeo, adiacente a parte della costa sudorientale della penisola, con capoluogo Calcide. Ha nome Eubea perché un tempo era
famosa per i suoi numerosi, ottimi buoi.
75 Città dell’Eubea.
76 L’isola di Andro (o Andros) costituisce un prolungamento della catena montuosa di
Negroponte. Un breve braccio di mare la separa dall’isola di Tino.
77 Tenos (ora Tynos o Tino) è un’isola dell’arcipelago delle Cicladi, a nord di Delo. È con
Syros, Mykonos, Naxos e Paros una delle isole che circondano l’isola sacra di Delos.
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Iperoche e Laodice78. Insieme con loro, per proteggerle, gli Iperborei
inviarono cinque concittadini come accompagnatori: oggi si chiamano
Perferei e a Delo godono di grandi privilegi. Ma poiché i delegati non
rientrarono in patria, gli Iperborei, ritenendo grave la possibilità di non più
rivedere le persone di volta in volta inviate, portarono le loro offerte ai
confini, le consegnarono ai popoli limitrofi avvolte in paglia di grano,
pregandoli di farle proseguire ulteriormente. Spedite in tal modo, narrano,
le offerte giungono a Delo. Io so di un sistema di offerta molto simile in uso
fra le donne della Tracia e della Peonia79: quando sacrificano ad Artemide
regina, non compiono i riti se non hanno paglia di grano.
34. Che facciano questo lo so. In onore delle vergini degli Iperborei che
andarono a Delo e vi morirono si recidono i capelli sia le ragazze sia i
ragazzi di Delo: le ragazze si tagliano un ricciolo prima delle nozze, lo
avvolgono intorno a un fuso e lo depongono sopra la tomba – la tomba si
trova all’interno del santuario di Artemide, sulla sinistra, e sopra vi è
cresciuto un olivo –; tutti i ragazzi di Delo legano un loro ricciolo intorno a
un ciuffo d’erba e lo depongono anch’essi sul tumulo. Tali dunque le
onoranze che ricevono dagli abitanti di Delo.
35. Sempre i Deli raccontano che anche Arge e Opi80, due vergini iperboree,
giunsero a Delo viaggiando attraverso le stesse genti su menzionate e ben
prima di Iperoche e Laodice. Ma mentre queste ultime vennero a portare a
Ilizia81 il tributo che gli Iperborei si erano imposti per rendere grazie del
rapido parto, Arge e Opi sarebbero venute insieme con le dee in persona; e
dicono che a esse altre onoranze furono tributate a Delo: per loro infatti le
donne raccolgono denaro invocandone i nomi nel carme composto per
l’occasione da Olene di Licia82; dalle donne di Delo le isolane e le donne
ioniche hanno imparato a celebrare negli inni Opi e Arge e a fare la questua
– Olene venne dalla Licia e compose anche gli altri antichi inni che si
cantano a Delo –; e quando le cosce delle vittime bruciano sull’altare, la
cenere residua viene utilizzata per essere sparsa sulla tomba di Opi e di
Arge. La tomba si trova nel retro del santuario, verso est, proprio accanto
78 Probabili epiteti della dea Artemide.
79 Tracia e Peonia erano regioni settentrionali esterne ai confini dell’antica Grecia (Ellade).
Delimitavano, rispettivamente a est e a nord, la Macedonia.
80 Arge significa “la splendente” e Opi “la veggente”. Entrambi sono epiteti di Artemide.
81 Secondo l’Inno ad Apollo di Omero, nell’imminenza del parto di Latona (cfr. nota 71), Era
catturò Ilizia mentre stava tornando dal nord dagli Iperborei, ma le altre dee che volevano
presenziare alla nascita la riportarono a Delo. Non appena Ilizia mise piede sull’isola,
iniziarono le doglie di Latona. Da quel momento Ilizia fu considerata dai Greci la dea
protettrice del parto.
82 Olene (o Olen) di Licia – regione storica situata sulla costa meridionale dell’Anatolia – è un
poeta leggendario ritenuto da Pausania (IX, 27, 2) il più antico compositore di inni greci.
Lo si considera infatti l’inventore del poema epico e il primo profeta del dio Apollo a Delo.
La sede dell’oracolo viene descritta come una caverna ipogea da cui usciva il vento divino
e sulla cui imboccatura era posto un alto treppiede.
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alla sala da banchetto dei Cei.
36. E questo sia sufficiente sul conto degli Iperborei. Né sto qui a raccontare
la storia di Abari, il quale si dice fosse un Iperboreo, che avrebbe portato la
sua freccia in giro per il mondo senza mai toccare cibo 83. Se esistono degli
uomini iperboreali allora esistono anche gli iperaustrali84. Io rido quando
vedo che molti hanno disegnato la mappa della terra, ma che nessuno ne ha
dato una spiegazione ragionevole: raffigurano un Oceano che scorre intorno
alla terra, tonda come se l’avessero fatta col compasso, e disegnano l’Asia
grande come l’Europa85. Ora in poche parole spiegherò io quanto è vasto
ciascun continente e quali contorni presenta.
37. Il territorio dei Persiani si estende fino al mare meridionale, il cosiddetto
Eritreo86; sopra di loro verso nord sono stanziati i Medi, oltre i Medi i
Saspiri87 e al di là dei Saspiri i Colchi88 sulle rive del mare settentrionale,
dove sfocia il fiume Fasi89. Questi quattro popoli occupano la regione fra i
due mari.
38. Da qui, in direzione ovest, si dipartono dall’Asia e si inoltrano nel mare
due penisole, che ora descriverò. La prima si allunga in mare, a nord, a
cominciare dal Fasi lungo il Ponto e l’Ellesponto90 fino al capo Sigeo nella
Troade91, e a sud si protende in mare, questa stessa penisola, dal golfo di
83 Abari era un leggendario taumaturgo greco che fu nominato primo sacerdote di Apollo per
aver esaltato in versi il viaggio del dio agli Iperborei. Secondo il mito, ottenne inoltre da
Apollo il dono dello spirito profetico e una freccia d’oro, a cavalcioni della quale egli soleva
fendere il cielo. Erodoto non crede a questa leggenda – probabile prodotto della cultura
sciamanistica greco-scita manifestatasi dopo la colonizzazione del Mar Nero – perché dice
che Abari “portò” la freccia e non che da essa “fu portato”.
84 Il termine originale greco viene tradotto con “iperaustrali” o “ipernoti”.
85 Per l’allusione alle teorie di Ecateo, cfr. nota 16.
86 Per Mare Eritreo gli antichi Greci intendevano il Mar Rosso, il Golfo Persico e l’Oceano
Indiano fino all’India.
87 I Saspiri (o Sasperi) appartenevano a una tribù che viveva a nord della Media. Assieme
agli abitanti della Colchide occupavano il territorio dell’attuale Georgia. È probabilmente a
loro che si deve la formazione del regno di Iberia (Sasperi = Speri = Hberi = Iberi).
88 Abitanti della Colchide, l’antica regione affacciata sul Mar Nero, attualmente parte della
Georgia. Nella mitologia greca, vi era custodito il “vello d’oro” (cfr. nota 284).
89 Il mare settentrionale (o boreale) è il Mar Nero e Fasi era una divinità-fiume della
Colchide, oggi chiamato Rioni. Figlio di Elio e dell’Oceanina Ocirroe, Fasi scoprì l’adulterio
della madre e la uccise. Inseguito dalle Erinni si gettò nel fiume Arturo, che da allora
cambiò nome in Fasi (attuale Rion, in Georgia).
90 Ellesponto è l’antico nome dello stretto dei Dardanelli, che divide il Mar Egeo dal Mar di
Marmara e dal Mar Nero (Ponto Eusino), vicino a Troia. Il suo nome (letteralmente “mare
di Elle”) deriva da un mito: Elle, sorella di Frisso e figlia di Atamante e Nefele, durante il
viaggio verso la Colchide in groppa all’ariete dal vello d’oro (cfr. nota 284) cadde in questo
braccio di mare che da allora si chiama Ellesponto.
91 La Troade è l’antica regione a nord-ovest dell’Asia Minore, delimitata a nord dal Mar di
Marmara e dallo stretto dei Dardanelli, e a est dal monte Ida. Sul promontorio del Sigeo si
ergeva, secondo Omero, la superba reggia di Priamo, re di Troia.
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Miriando92, adiacente alla Fenicia, fino al promontorio Triopico 93. In questa
penisola sono stanziati trenta popoli.
39. Questa è la prima penisola; la seconda si estende verso il Mare Eritreo a
partire dalla Persia, comprende in successione il territorio persiano, l’Assiria
e l’Arabia94; l’Arabia termina, ma solo per convenzione, nel Golfo Arabico95,
nel quale Dario fece sfociare un canale proveniente dal Nilo. Dalla Persia alla
Fenicia96, la regione si presenta pianeggiante e ampia; dalla Fenicia la
penisola si protende nel mare a noi vicino lungo la Siria Palestina e l’Egitto,
dove termina. In questa regione vivono tre soli popoli.
40. Ecco dunque i territori asiatici occidentali a partire dalla Persia; i paesi
oltre la Persia, la Media, la Saspiria e la Colchide, verso est, verso i primi
raggi del sole, corrono da una parte lungo il Mare Eritreo e dall’altra, a nord,
lungo il Mar Caspio e il fiume Arasse, che scorre verso il levar del sole.
L’Asia è abitata fino all’India: da qui in poi, verso oriente, nessuno ci vive e
nessuno sa dire come sia.
41. Tali sono la forma e l’estensione dell’Asia. La Libia97 appartiene alla
seconda penisola, essa infatti succede immediatamente all’Egitto; all’altezza
dell’Egitto tale penisola si fa ben stretta. Dal nostro mare al Mare Eritreo98 ci
sono centomila orgie, vale a dire mille stadi99; dopo tale parte stretta la
penisola, che ora si chiama Libia, torna ad essere assai ampia.
42. Mi meraviglio dunque di quanti separano con tanto di confini Libia, Asia
ed Europa, che sono molto differenti tra loro. Nel senso della lunghezza
l’Europa si sviluppa lungo Asia e Libia insieme, in larghezza non mi pare
neppure che possa essere paragonabile100. La Libia infatti si rivela essere
interamente circondata dal mare, fuorché nel tratto di confine con l’Asia. Per
quanto ne sappiamo il primo ad averlo dimostrato fu il re d’Egitto Neco101:
92 Il golfo di Miriando (o Miriandico) è l’odierno golfo di Alessandretta, tra Turchia e Siria.
93 Il Triopico, oggi Triopio, è un sottile promontorio della Caria sud-occidentale, in Anatolia,
dove i Dori greci – guidati dal mitico Trioper – avevano fondato la città di Cnido. Il
promontorio era unito al continente da un breve e stretto istmo.
94 Col nome di Arabia sono compresi i territori dei Fenici, dei Palestinesi e degli Ebrei.
95 Nell’antichità il Mare Arabico indicava l’Oceano Indiano.
96 Non si conoscono i confini della Fenicia, ma corrispondono all’incirca all’attuale Libano.
97 Con Libia, gli antichi Greci indicavano tutta l’Africa conosciuta e, in particolare, il litorale
africano del Mediterraneo. Nella storia, le prime menzioni della Libia si riferiscono ai
soldati libici assunti come mercenari dagli Egizi nel primo millennio a.C. La costa libica era
divisa tra Fenici, a ovest, e Greci, a est.
98 In questo caso è il Mar Rosso.
99 Lo stadio corrispondeva a circa 185 metri, quindi l’orgia era 1,85 metri.
100 In realtà, Erodoto non poteva fare confronti, non conoscendo i confini dell’Europa.
101 Il faraone Neco regnò dal 609 al 595 a.C., dando all’Egitto un periodo di indipendenza e
splendore. Neco, progettando di unire il Nilo col Mar Rosso per creare un passaggio fra i
due mari, si valse di marinai fenici per effettuare la circumnavigazione dell’Africa, su cui
mostra perplessità Erodoto alla fine di questo capitolo. Tuttavia, il fatto che i marinai
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interrotto lo scavo del canale che dal Nilo porta al Golfo Arabico, egli inviò
dei Fenici su delle navi con l’incarico di attraversare le Colonne d’Eracle102
sulla via del ritorno, fino a giungere nel mare settentrionale103 e così in
Egitto. I Fenici, pertanto, partiti dal Mare Eritreo, navigavano nel mare
meridionale; ogni volta che veniva l’autunno, approdavano, in qualunque
punto della Libia fossero giunti, seminavano e aspettavano il tempo della
mietitura. Dopo aver raccolto il grano, ripartivano, cosicché al terzo anno
dopo due trascorsi in viaggio doppiarono le Colonne d’Eracle e giunsero in
Egitto. E raccontarono anche particolari attendibili per qualcun altro ma non
per me, per esempio che nel circumnavigare la Libia si erano trovati il sole
sulla destra.
43. Così si seppe la prima volta com’è la Libia; poi l’hanno confermato i
Cartaginesi104 a dirlo, in quanto l’Achemenide105 Sataspe, figlio di Teaspe106,
non circumnavigò la Libia, benché fosse stato inviato con tale compito: ebbe
paura della lunghezza della navigazione e della solitudine e tornò indietro,
senza portare a termine la prova che sua madre gli aveva imposto. Sataspe
aveva violentato una ragazza, figlia di Zopiro figlio di Megabisso107; quando
poi per la sua colpa stava per venire impalato per ordine del re Serse108, sua
videro sorgere il sole alla loro destra, conferma la realtà del viaggio, perché le navi,
doppiato il Capo di Buona Speranza e risalendo verso nord, dovettero effettivamente
avere alla loro destra l’oriente, che fino ad allora avevano avuto a sinistra. Di Neco parla
anche la Bibbia: alleatosi con l’Assiria per combattere Babilonia (609 a.C.), fu intercettato
da Giosia e costretto a combattere a Meghiddo. L’Egitto vinse e Giosia fu ucciso, ma a
causa di questa battaglia l’Egitto non poté aiutare gli Assiri (2Re 23,29; 2Cr 35,20-24).
Ritornando in Egitto, Neco prese con sé il nuovo re Ioacaz, figlio di Giosia, e lo sostituì con
Eliachim (2Re 23,31-35; 2Cr 36,1-4). Nel 605 a.C. Babilonia conquistò tutto il territorio
che l’Egitto aveva in Palestina dopo la battaglia di Carchemis (Ger 46,2) e Neco rimase nel
suo paese (2Re 24,7), ma nel 601 a.C. Babilonia invase Egitto ma questa risultò una
battaglia inconcludente (Ger 46,17; 46,25).
102 Come detto (cfr. nota 15), ai tempi di Erodoto le Colonne di Eracle (o Ercole) erano
probabilmente due isole nello stretto di Sicilia. Esse rappresentavano il limite del mondo
conosciuto e il limite della conoscenza.
103 O australe: Mar Mediterraneo.
104 La città di Cartagine fu fondata sul Mar Mediterraneo attorno al 814 a.C., da coloni o
profughi fenici provenienti dalla città di Tiro e guidati da Didone (o Elissa). La città acquisì
il dominio commerciale del Mediterraneo e si tramanda che Annone il Navigatore (inizio
del VI secolo a.C.) si sia spinto lungo la costa dell’Africa fino alla Sierra Leone.
105 Gli Achemenidi furono la prima dinastia dell’impero persiano, fondata da Achemenes
quando i Persiani ottennero l’indipendenza dai Medi, intorno al 700 a.C.
106 Teaspe è Teispe (675-640 a.C.), il figlio di Achemenes, mitico capostipite della dinastia
che fondò l’impero persiano. Teispe fu il primo ad assumere il titolo di “re di Ansan e di
Persia” dopo aver conquistato l’Ansan, antico regno dell’Elam, in Mesopotamia.
107 La storia di Gobria Megabisso (o Megabizo) è narrata da Erodoto nel Libro III. Gobria era
un sacerdote (evirato) di Artemide e fu uno dei maggiorenti persiani chiamati a esprimersi
sulla forma di governo da dare all’impero. In quell’occasione, Otane si pronunciò per la
democrazia, Megabisso per l’oligarchia e Dario per la monarchia. Gli argomenti di
Megabisso e di Dario mettevano l’accento sull’uso efficace e illuminato del potere; quello
di Otane sul problema del suo controllo.
108 Serse I, figlio di Dario I e di Atossa (figlia di Ciro il Grande), regnò sull’impero persiano
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madre, sorella di Dario, intercedette per lui, affermando che gli avrebbe
imposto una punizione ancora maggiore: lo avrebbe costretto a navigare
intorno alla Libia fino a tornare, ultimato il giro, nel Golfo Arabico. A queste
condizioni Serse si dichiarò d’accordo, sicché Sataspe venne in Egitto, prese
con sé navi e marinai egiziani e salpò alla volta delle Colonne d’Eracle; le
varcò, doppiò il capo estremo della Libia, che si chiama Solunte109, e diresse
la rotta verso sud, percorrendo in molti mesi un lungo tratto di mare; ma gli
restava pur sempre il tratto maggiore, voltò la prua e se ne tornò in Egitto.
Da qui si recò presso re Serse e gli raccontò che nel punto più lontano
raggiunto avevano costeggiato un paese abitato da piccoli uomini110 vestiti
con foglie di palma, i quali, tutte le volte che accostavano a riva, fuggivano
verso le montagne abbandonando i loro villaggi; essi vi erano entrati senza
danneggiarli, limitandosi a catturarvi qualche animale. Per giustificare il
mancato periplo della Libia spiegò che l’imbarcazione non era più in grado di
proseguire, ma si era bloccata. Serse non riconobbe come vere le sue parole
e lo fece impalare, eseguendo l’antica sentenza, perché non aveva
comunque compiuto la prova stabilita. Un eunuco di questo Sataspe scappò
via a Samo111 appena apprese la morte del padrone; si portò via grandi
ricchezze che poi finirono nelle mani di un uomo di Samo: io ne conosco il
nome, ma preferisco non menzionarlo.
44. La maggior parte dell’Asia fu esplorata all’epoca di Dario, il quale,
desiderando sapere dove andasse a sfociare in mare il fiume Indo, che è
uno dei due soli fiumi al mondo popolati da coccodrilli112, inviò su navi
persone di cui si fidava che gli avrebbero riferito la verità, fra le quali Scilace
degli Achemenidi dal 486 a.C. al 465 a.C. Combatté contro la Grecia e riuscì ad occupare
l’Attica e Atene, ma fu sconfitto a Salamina e a Platea e costretto a ritirarsi. Fu
assassinato in una congiura organizzata dal suo primo ministro Artabano e gli successe il
figlio Artaserse.
109 La localizzazione del promontorio Solunte suscita perplessità negli studiosi in quanto nel
Periplo di Annone il Navigatore – un cartaginese del VII-VI secolo a.C., che, per fondare
nuove colonie fenice arrivò fino al Golfo di Guinea con sessanta navi e trentamila uomini –
si cita il promontorio Soloente, identificato nell’attuale Capo Cantin (o, secondo altri, Capo
Spartel) all’ingresso dello stretto di Gibilterra. Se Solunte e Soloente fossero lo stesso
promontorio, le Colonne d’Eracle (cfr. nota 15) sarebbero state effettivamente fra Spagna
e Africa, ma al tempo di Erodoto non si conosceva ancora la Spagna.
110 Sono i Pigmei – il cui nome deriva dalla parola greca pygmâios, cioè alto un cubito (cfr.
nota 204), piccolo – che costituiscono, molto probabilmente, la popolazione più antica
delle foreste equatoriali e tropicali africane.
111 Erodoto parla delle vicende belliche e politiche di Samo (Samos) nel Libro III. L’isola di
Samos è l’ottava per grandezza della Grecia, situata vicino alla Turchia, in cui nacquero il
filosofo matematico Pitagora e il tiranno Policrate. Vi fu costruito il primo tempio greco
dedicato alla dea Era.
112 L’altro fiume è il Nilo. Confrontando il testo con II, 32, si pensa che Erodoto confonda il
Nilo con il Niger.
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di Carianda113. Essi salparono dalla città di Caspatiro114 e dalla terra dei
Patti115 navigando sul fiume in direzione est, verso il levar del sole, fino al
mare; per mare poi puntarono verso occidente e dopo ventinove mesi
giunsero nello stesso luogo116 da cui il re egiziano aveva spedito a
circumnavigare la Libia i Fenici di cui ho già detto. Dopo il loro periplo, Dario
sottomise gli Indiani117 e cominciò a servirsi di questo mare. E così si è
accertato che l’Asia, a eccezione delle regioni più orientali, è per il resto
simile alla Libia118.
45. Invece a nessuno è chiaramente noto, né dalla parte d’oriente né da
quella di settentrione, se l’Europa sia circondata dal mare; si sa però la sua
lunghezza, che è pari a quella degli altri due continenti insieme. Non riesco
a comprendere perché per una terra sola ci siano tre nomi diversi, derivati
da donne, e perché le furono imposti come confini i fiumi Nilo d’Egitto e Fasi
di Colchide – altri indicano il Tanai119 della Meotide e lo stretto dei Cimmeri
–; né sono riuscito a sapere chi abbia fissato questi confini e da dove ricavò
le denominazioni. Molti Greci affermano che la Libia è così chiamata dal
nome di una donna del luogo; a sua volta Asia sarebbe stato il nome della
moglie di Prometeo. L’appellativo Asia per altro se lo rivendicano i Lidi 120
sostenendo che deriva da Asio, figlio di Coti figlio di Mane121, e non dall’Asia
di Prometeo; da questa Asio avrebbe preso nome anche la tribù Asiada a
Sardi122. Quanto all’Europa, come nessuno sa se è circondata dal mare, così
nessuno sa né da dove abbia preso il suo nome né chi sia stato a
imporglielo, a meno di sostenere che lo si ricavò da Europa di Tiro123; prima
113 Per incarico di Dario I, il navigatore e geografo greco Scilace di Carianda (isola
antistante le coste della Caria) era partito dall’odierna Peshawar (Pakistan settentrionale)
e aveva esplorato il corso del fiume Indo sino alla foce e le coste del Mare Eritreo (Oceano
Indiano) e del Golfo Arabico (Mar Rosso). Il suo resoconto del viaggio, compiuto tra il 519
e il 509 a.C., è perduto.
114 La città è citata anche in III, 102: alcuni storici la identificano con Multan (Pakistan),
altri con Kabul (Afghanistan).
115 O regione Pattiica o dei Pashtun (o Pathan o Afghani), gruppo etnico-linguistico che
ancora oggi abita in prevalenza l’Afghanistan orientale e meridionale e il Pakistan
occidentale.
116 Il Golfo di Suez.
117 Indiani o Indi.
118 Ossia delimitata da fiumi e da mari.
119 Antico nome del Don (cfr. nota 50).
120 La Lidia era un’antica regione dell’Asia Minore, situata ad occidente della Frigia, a nord
della Caria e a sud della Misia. Secondo Erodoto, la Lidia sarebbe stata la patria di
provenienza degli Etruschi.
121 In mitologia, da Giove discese Mane, primo dominatore delle regioni dell’Asia Minore; da
Mane nacque Coti e da questi discesero Asio (o Adie) e Ati; da Ati, infine, discesero Lidio,
Miso, Care e Tirreno. Ati divise tra i primi tre figli il regno paterno di Coti, mandando il
quarto, Tirreno, con molti sudditi, a procurarsi un nuovo regno.
122 Sardi era la capitale del regno di Lidia nel VII secolo a.C. situata alla confluenza dei fiumi
Ermo e Pattolo. Secondo Erodoto, furono i re di Sardi a inventare la moneta.
123 Tiro era una città fenicia, situata lungo la costa dell’attuale Libano. Nella mitologia greca,
Zeus si innamorò di Europa, unica figlia femmina di Agenore, un pastore della terra di
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dunque non avrebbe avuto nome, come gli altri continenti. Ma Europa
sicuramente era di origine asiatica e non giunse mai nel nostro continente,
quello ora detto Europa dai Greci: si limitò a passare dalla Fenicia a Creta, e
da Creta in Licia124. E qui si arresti il mio discorso: noi ci serviremo dei nomi
tradizionali.
46. Il Ponto Eusino, verso cui Dario muoveva le sue truppe, è la regione che
presenta, fra tutte, le popolazioni più ignoranti, escludendo gli Sciti: infatti
nell’ambito del Ponto non sapremmo segnalare per sapienza nessun popolo,
se non gli Sciti, né conosciamo alcun uomo di dottrina, se non Anacarsi125.
La sola ottima trovata, in campo umano, la più astuta a nostra conoscenza,
è dovuta alla stirpe degli Sciti; nient’altro suscita la mia ammirazione. La
grandissima trovata è che nessuno, se li assale, può più sfuggire loro e
nessuno è in grado di sorprenderli, se non vogliono farsi trovare: essi non si
costruiscono né mura né città e le case se le trascinano dietro, tirano con
l’arco da cavallo, non vivono di agricoltura ma di allevamento, dimorano su
carri; come potrebbero non essere invincibili, inattaccabili?
47. E questo l’hanno ottenuto grazie al terreno favorevole e alla presenza di
fiumi che si rivelano loro alleati; la regione infatti è pianeggiante, erbosa e
ricca di acqua, attraversata da fiumi che sono poco meno numerosi dei
canali d’Egitto. Ora menzionerò i fiumi più rinomati e navigabili dal mare
verso l’interno: l’Istro, con le sue cinque foci, il Tira, l’Ipani, il Boristene, il
Panticape, l’Ipaciri, il Gerro e il Tanai126; ed ecco come si presenta il loro
corso.
Canaan, e incaricò Ermes di spingere il bestiame di questi fino alla riva del mare presso
Tiro, dove Europa e le sue compagne usavano passeggiare. Zeus stesso si confuse nella
mandria, sotto le spoglie di un toro bianco come la neve, con un petto robusto e due
piccole corna, simili a gemme, tra le quali correva un’unica striscia nera. Europa fu colpita
dalla sua bellezza e, poiché il toro si rivelò mansueto come un agnello, cominciò a giocare
con lui ponendogli dei fiori in bocca e appendendo ghirlande alle sue corna; infine gli balzò
sulla groppa e si lasciò condurre al piccolo trotto fino alla riva del mare. All’improvviso il
toro si lanciò nelle onde e cominciò a nuotare, ed Europa sgomenta, volgendo il capo,
fissava la riva sempre più lontana: con la mano destra stringeva il corno del toro, con la
sinistra un canestro colmo di fiori. Giunto su una spiaggia cretese, nei pressi di Gortina,
Zeus si trasformò in aquila e amoreggiò con Europa in un boschetto di salici presso a una
fonte; o come altri dicono, sotto un platano sempreverde. Europa generò tre figli:
Minosse, Radamanto e Sarpedonte.
124 La Fenicia era sulla costa orientale del mar Mediterraneo, oggi suddivisa tra Libano, Siria
e Israele. Creta è la più grande isola della Grecia e la quinta del Mediterraneo per
superficie. La Licia era una regione dell’Asia Minore.
125 Il filosofo Anacarsi lo Scita era uno dei Sette Sapienti greci (o Sette Savi) – tra cui erano
Solone da Salamina, Talete di Mileto, Biante di Priene e Pittaco da Mitilene – che diventò
simbolo della saggezza non corrotta dalla civiltà. Ad Anacarsi fu attribuita l’invenzione
della ruota del vasaio. Dal cap. 76, Erodoto ne racconta le vicende.
126 Si ricorda che l’Istro (o Ister) è il Danubio e il Tira un suo affluente, probabilmente il
Dnestr; l’Ipani è il Bug meridionale; il Boristene è il Dnepr; l’Ipaciri, il Panticape e il Gerro
sono affluenti non identificati del Dnepr; il Tanai è il Don.
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48. L’Istro, il maggiore dei fiumi che conosciamo, ha sempre la stessa
portata, d’estate come d’inverno; e scorrendo per primo da occidente tra i
fiumi della Scizia è anche il più imponente, perché anche altri corsi d’acqua
si versano in lui. Di questi fiumi, dunque, che lo ingrossano, cinque passano
attraverso la Scizia: gli Sciti li chiamano Porata e i Greci Pireto, Tiaranto,
Araro, Napari e Ordesso127. Il primo da me nominato, il Pireto, è grande e
mescola le sue acque all’Istro verso oriente; il secondo, il Tiaranto, più
verso occidente ed è più piccolo; l’Araro, il Napari e l’Ordesso si gettano
nell’Istro scorrendo in mezzo agli altri due. Questi fiumi lo ingrossano e
sono fiumi della Scizia, mentre il Mari128 sfocia nell’Istro provenendo dal
paese degli Agatirsi129.
49. Dalle vette dell’Emo130 scendono in direzione nord altri tre affluenti
dell’Istro, e cioè l’Atlante131, l’Aura e il Tibisi; attraverso la Tracia132 e i Traci
Crobizi133 scorrono l’Atri, il Noe134 e l’Artane135 e si immettono nell’Istro. Dal
127 Sicuramente il fiume Porata o Pireto è l’attuale Prut (o Pruth), per l’identificazione degli
altri mancano riferimenti certi.
128 È chiamato Mari l’odierno fiume Maros, in Romania.
129 Gli Agatirsi (o Agathyrsi) era un popolo composto dagli Sciti, dai Traci e dall’unione dei
due (Traco-sciti), che, nel periodo di Erodoto, aveva occupato la pianura del fiume, nella
regione ora conosciuta come Transilvania (cfr. cap. 100 e ss.).
130 Con monte Emo si intendono i monti Balcani, allora in Tracia. Il nome Emo deriva dalla
mitologia greca. Tifone (o Tifeo), figlio di Gea (dea della terra) e di Tartaro, era un mostro
che la madre destinò sin dalla nascita a lottare contro Zeus e gli abitanti dell’Olimpo,
colpevoli ai suoi occhi di aver sconfitto i Titani, suoi figli. Secondo Esiodo (VIII-VII secolo
a.C.), Tifone aveva cento teste di drago e una voce tonante, ma, dopo un’aspra lotta, fu
ferito gravemente da Zeus su un alto monte e il suo sangue colò a fiotti lungo pendici. Da
quel momento il monte si chiamò Emo (cioè “sangue” in greco). Tifone, poi, fuggì in
Sicilia, dove Zeus lo seppellì vivo sotto l’Etna, che ancora oggi freme e sputa fuori il fiato
del gigante moribondo.
131 O Atlas.
132 La Tracia storica si estendeva verso est dalla Macedonia al Mar Nero e al Mar di
Marmara, compreso il sud dell’attuale Bulgaria, e verso sud dal Danubio al Mar Egeo.
133 I Traci Crobizi erano una tribù dei Daci e dei Geti (o Geto-daci). Abitavano in Dacia, che
era un’ampia regione dell’Europa centrale, delimitata a nord dai monti Carpazi, a sud dal
Danubio, ad ovest dal Tisa (fiume Tibisco, che scorre principalmente in Ungheria) e ad est
dal Tyras (fiume Nistro, in Moldavia). La capitale della Dacia era Sarmizegetusa. Gli
abitanti di questa regione appartenevano al ceppo tracico. Erano conosciuti come Geton
(al plurale, Getae) dai greci, e come Dacus (al plurale, Daci) dai romani, oltre che Dagae
e Gaete, secondo la Tabula Peutingeriana. Gli scrittori antichi sono unanimi nel
considerare i Geti e i Daci uno stesso popolo. Nelle diverse fasi storiche la Dacia ha avuto
confini differenti; nel I secolo a.C., il re Burebista (Byrebistas) unificò i popoli della Tracia
in un unico regno che si estendeva dal fiume Bug Meridionale, nell’Ucraina fino al Danubio
nella Slovacchia, e dai monti Balcani nella Bulgaria fino alla Transcarpazia in Ucraina.
134 O Noi.
135 Il fiume Artane, non identificato con precisione, è citato da Flavio Arriano di Nicomedia
(I-II secolo) in una lettera all’imperatore Adriano: «Da capo Melano al fiume Artane, dov’è
porto per picciole navi presso al tempio di Venere, sono altri centocinquanta stadii, e
dall’Artane al fiume Psile pur centocinquanta: e vi si potrebbono fermare sicure le navi
picciole sotto un sasso che sporge in fuori, non lungi di là dove il fiume mette in mare» (in
G.B. Ramusio (1485-1557), Delle Navigationi et Viaggi, tomo IV).
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paese dei Peoni136 e dal monte Rodope il fiume Scio137 si getta nell’Istro
dividendo a metà il monte Emo. Dal paese degli Illiri138 scende verso nord il
fiume Angro che irrompe nella Pianura Triballica139 e nel fiume Brongo, e il
Brongo nell’Istro: così l’Istro riceve entrambi questi due notevoli corsi
d’acqua. Dalla regione a nord degli Umbri140 si gettano nell’Istro procedendo
anch’essi verso settentrione i fiumi Carpi e Alpi141. L’Istro in effetti attraversa
tutta l’Europa a cominciare dal paese dei Celti142, che sono gli ultimi abitanti
dell’Europa verso occidente prima dei Cineti143; scorrendo attraverso
l’Europa, l’Istro va a finire nella pianura della Scizia.
136 Gli antichi Peoni abitavano, in età classica, nella valle del fiume Axios (oggi Vardar),
nell’attuale Macedonia slava. Erodoto parla dei Peoni nel Libro V.
137 I Monti Rodopi sono una catena montuosa nell’Europa meridionale, compresa per più
dell’83% nell’area della Bulgaria meridionale e per il resto in Grecia. Il fiume Scio è l’Iskar,
che scorre principalmente in Bulgaria ed è un affluente del Danubio. Molto spesso i Rodopi
sono considerati il luogo mitologico di nascita del leggendario suonatore di lira Orfeo e
della moglie Euridice, ma anche la trasformazione voluta da Zeus della regina Rhodope di
Tracia e del re Haemus che si erano dimostrati particolarmente vanitosi.
138 Popolazione di lingua indoeuropea, stanziata, dal 1000 a.C., nella parte nord-occidentale
della penisola balcanica, in quei territori che ora fanno parte di Slovenia, Croazia, Bosnia,
Montenegro e Albania. Il nome indicava in origine una tribù che viveva in una zona
compresa tra Scodra (odierna Scutari) e il fiume Mati. In seguito, Greci e Romani estesero
il nome a tutte le tribù della costa orientale adriatica di lingua affine. Sulle origini o sulle
sedi degli Illiri la tradizione greca offre le notizie più antiche, ma anche le più vaghe. Dopo
essersi infiltrati in Grecia e aver contribuito al popolamento dell’Italia (dove sono stati
riconosciuti di certa origine illirica gli Iapigi e i Messapi), si ridussero sul versante
occidentale della penisola balcanica in seguito all’invasione celtica e, mescolati anche con
elementi traci, si distinsero in vari gruppi: Istri, Giapidi, Liburni, Dalmati. Sebbene fossero
venuti presto a contatto con i Greci, che fondarono colonie ed empori sulla costa e nelle
isole, come Epidamno (627 o 625 a.C.), Apollonia (circa 600 a.C.), Corcira Nera, Lisso
(Alessio), Faro (Lesina), si mantennero barbari e feroci ed esercitarono largamente la
pirateria, specialmente dopo la costituzione, intorno alla metà del III sec. a.C., di un
ampio Stato nella parte meridionale della regione (Illiride greca e parte della Dalmazia)
sotto il re Agrone e la regina Teuta, sua moglie, che gli successe nel 231-230 a.C.
139 I Triballi erano una popolazione trace la cui patria originaria si trovava nei pressi della
confluenza dei fiumi Angro e Brongo, nell’attuale Moravia sud-occidentale. Il loro territorio
comprendeva verso sud la “pianura triballiana”, che corrisponde alla regione del Kosovo.
140 Gli Umbri sono qui considerati gli abitanti di tutta l’Italia settentrionale. All’epoca di
Erodoto, gli Umbri – che occupavano all’incirca il territorio compreso tra il fiume Tevere e
il mare Adriatico – cominciavano ad aggregarsi in città (Assisi, Foligno, Gubbio, Nocera
Umbra, Spoleto, Gualdo Tadino, Città di Castello, Todi, Terni, Narni ecc.) e non più in
piccoli villaggi fortificati e posti sulle alture.
141 Ci sono dubbi sull’interpretazione dei nomi Carpi e Alpi, anche se l’opinione corrente
vuole che siano dei toponimi indicanti le catene montuose dei Carpazi e delle Alpi, da cui
provengono molti affluenti del Danubio. Altri ritengono che il Carpi e l’Alpi (o Alpis) siano i
fiumi Culpa e Sava nell’antica Pannonia (odierna Croazia).
142 I Celti erano una popolazione indoeuropea che, nel periodo di massimo splendore (V-III
secolo a.C.), si estese in un’ampia area dell’Europa, dalle Isole britanniche fino al bacino
del Danubio, oltre ad alcuni insediamenti isolati più a sud, nelle penisole iberica, italica e
anatolica.
143 I Cineti (o Cinesii) costituivano un’antica popolazione di origine ligure, stanziata nella
parte sud occidentale della Penisola iberica nella regione odierna dell’Algarve (Portogallo
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50. In tal modo, cioè col concorso degli affluenti nominati e di molti altri,
l’Istro diventa il più grande dei fiumi, giacché, a confrontare le singole
portate d’acqua, al Nilo spetta il primato di volume: nel Nilo nessun fiume
confluisce, nessun corso d’acqua vi sfocia e contribuisce a ingrossarlo.
L’Istro ha sempre identica portata, d’estate e d’inverno, e la ragione a mio
parere è la seguente: d’inverno è come è, un po’ maggiore di quanto
comporta la sua natura; in effetti d’inverno queste regioni sono bagnate ben
poco dalla pioggia, per lo più si coprono di neve. D’estate la neve caduta
nell’inverno, copiosissima, si scioglie e affluisce da ogni parte nell’Istro; lo
ingrossa, dunque, la neve, ma anche continue e violente piogge; perché
d’estate piove. Il sole fa evaporare verso di sé tanta più acqua d’estate che
in inverno, quanto maggiori d’estate rispetto all’inverno sono le acque che si
mescolano all’Istro. I due contrari fenomeni si compensano a vicenda, e
l’Istro appare sempre uguale a se stesso.
51. L’Istro è solo uno dei fiumi della Scizia; dopo l’Istro c’è il Tira,
proveniente dalle regioni settentrionali: ha origine da un grande lago che
segna il confine fra la Scizia e la terra dei Neuri 144. Alla sua foce sorge un
insediamento di Greci, i cosiddetti Tiriti145.
52. L’Ipani146, terzo fiume, viene dalla Scizia, da un grande lago sulle cui
rive vivono bianchi cavalli selvaggi; questo lago si chiama a buon diritto
Madre dell’Ipani. Dal lago e per cinque giorni di navigazione l’Ipani scorre
poco profondo e la sua acqua è dolce, ma da lì, e per quattro giorni verso la
foce, l’acqua si fa terribilmente amara: vi confluisce infatti un ruscello
amaro, ma così amaro che, pur essendo piccolissimo, rovina tutto l’Ipani,
che è un fiume grande come pochi. La sorgente si trova al confine fra gli
Sciti aratori e gli Alizoni. Il nome della sorgente e della località da cui
scaturisce è Esampeo, in lingua scita, o le Sacre Vie, in lingua greca.
All’altezza degli Alizoni, il Tira e l’Ipani si accostano, oltre divergono e
scorrono ampiamente distanziati.
53. Il quarto fiume è il Boristene147, il maggiore fra questi dopo l’Istro e il
meridionale) e scomparsa nel III secolo a.C. Poiché all’epoca di Erodoto non si conosceva
la Penisola iberica, si è pensato che i Cineti fossero gli antichi abitanti della Sardegna.
144 Si suppone che i Neuri costituissero una tribù che viveva lungo il corso del fiume Bug, a
ovest del Dnepr, all’incirca nella regione della Polonia moderna. Di loro parlano anche
Plinio il Vecchio e Claudio Tolomeo, ma non si sa con certezza se essi volessero indicare le
popolazioni germaniche o quelle slave.
145 Abitanti di Tiras, una colonia di Mileto alla foce dell’omonimo fiume Tiras (Dnestr)
fondata nel VII secolo a.C.
146 L’Ipani è il fiume Bug meridionale (in greco antico: Hypanis), che nasce dalle colline della
Podolia (regione dell’Ucraina) e scorre in un’area paludosa. Presso le foci nel Mar Nero,
formanti una laguna, sorgeva la colonia greca Olbia, poco lontano dall’odierna Odessa.
147 Il Boristene è il fiume Dnepr, che nasce dall’altopiano del Valdai (Russia occidentale),
attraversa Belorussia e Ucraina (dove bagna Kiev) e sfocia nel Mar Nero. Il Dnepr ha
sempre rappresentato la principale via di comunicazione tra il Mar Nero e il mar Baltico.
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più utile, a nostro giudizio, non solo fra i fiumi della Scizia, ma in assoluto,
secondo solo al Nilo dell’Egitto148; al Nilo in effetti non si può paragonare
alcun fiume, ma dei restanti il Boristene è il più utile: offre al bestiame
pascoli bellissimi e assai curati, pesci particolarmente buoni in gran
quantità, ha un’acqua gradevolissima a bersi, scorre puro in mezzo a corsi
d’acqua limacciosi; sulle sue rive le messi sono splendide e dove il terreno
non è coltivato cresce un’erba foltissima. Alla sua foce si cristallizzano
spontaneamente mucchi di sale senza fine, fornisce pesci enormi privi di
lische, adatti alla conservazione sotto sale, che si chiamano “storioni”, e
molte altre autentiche meraviglie ittiche. Fino alla regione del Gerro,
distante quaranta giorni di navigazione, si sa che proviene da nord, più oltre
non c’è essere umano che sappia dire per che regioni scorra: evidentemente
fluisce attraverso un deserto verso il paese degli Sciti agricoltori. Questi
Sciti abitano attorno alle sue rive per un tratto pari a dieci giorni di
navigazione. Il Boristene è l’unico fiume, col Nilo, di cui non so indicare le
sorgenti; del resto nessun Greco credo lo sappia. Il Boristene, in un tratto
ormai non lontano dal mare, riceve le acque dell’Ipani, che sfocia nella
medesima palude. La zona compresa tra i due fiumi, un vero cuneo di terra,
è detta Promontorio di Ippolao149; vi sorge un tempio di Demetra150; oltre il
santuario, sull’Ipani, abitano i Boristeniti. Tali sono le notizie su questi fiumi.
54. Il quinto fiume, poi, si chiama Panticape151: proviene anch’esso da nord
e da un lago; fra il corso suo e quello del Boristene vivono gli Sciti
agricoltori; sbocca nell’Ilea, oltrepassata la quale confluisce nel Boristene.
55. Il sesto è il fiume Ipaciri, che ha origine da un lago e attraversa nel
mezzo gli Sciti nomadi e sfocia presso la città di Carcinitide 152, chiudendo
sulla sua destra l’Ilea e il cosiddetto Corso d’Achille153.
56. Settimo è il fiume Gerro154, che si divide dal Boristene proprio nel punto
fino al quale si spinge la nostra conoscenza del Boristene: la regione in cui
si separa si chiama Gerro, come il fiume stesso. Prosegue poi verso il mare
148 Il Nilo è lungo 6.650 km, mentre il Dnepr 2.287 km. Tra i fiumi citati da Erodoto, il
Dnepr è superato anche dal Danubio (2.850 km circa).
149 Identificato con la piccola penisola di Nikolaev (ora Mykolayiv), città della Ucraina
meridionale.
150 Demetra (per i Romani, Cerere) è la dea del grano e dell’agricoltura.
151 Sia il Panticape che l’Ipaciri (cap. 55) non sono identificabili con sicurezza.
152 Città sul versante nord-occidentale dell’istmo di Perekop (Crimea settentrionale), cioè la
sottile lingua di terra che unisce la penisola di Crimea alla terraferma, tra la baia di
Karkinit (Mar Nero) e il lago Siva.
153 Il Corso d’Achille (o Pista d’Achille) non è descritto da Erodoto, ma era molto noto: era
una lunga striscia sabbiosa, parallela alla costa, cui era unita in un solo punto. Era anche
chiamata Leuca (la bianca isola) e si credeva che Teti l’avesse donata ad Achille, il quale
la abitò ed ebbe un tempio a lui dedicato.
154 Come detto (cfr. note 47 e 126) il Gerro non è stato identificato, ma potrebbe essere il
Sejm, affluente del Desna, a sua volta affluente del Dnepr, che corre nel distretto di Kiev.
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segnando il confine fra la regione degli Sciti nomadi e il paese degli Sciti
regi; si immette nell’Ipaciri.
57. Ottavo è il fiume Tanai: ha origine da un lago155 e va a sfociare in un
lago ancora più grande, la Palude Meotide, che separa gli Sciti regi dai
Sauromati156. Nel Tanai si getta un altro corso d’acqua, l’Irgi157.
58. Tali sono dunque i fiumi famosi di cui godono gli Sciti. Per il bestiame il
foraggio che cresce nella Scizia è il più attivo a produrre bile 158 fra tutte le
erbe a nostra conoscenza; ci si può rendere conto che è così sventrando gli
animali.
59. Le risorse fondamentali gli Sciti le hanno dunque facilmente a
disposizione; per il resto ecco le loro consuetudini. Venerano soltanto le
seguenti divinità: Estia, principalmente, poi Zeus e la Terra, che ritengono
moglie di Zeus, poi Apollo, Afrodite Urania, Eracle e Ares 159. Questi sono gli
dèi di tutti gli Sciti; gli Sciti regi compiono sacrifici anche in onore di
Posidone160. In lingua scita Estia si chiama Tabitì, Zeus – a mio parere, il
nome è appropriatissimo – è detto Papeo161; Terra si dice Apì, Apollo
Getosiro162, Afrodite Urania Argímpasa e Posidone Tagimasáda163. Di regola
non edificano né statue, né altari, né templi, se non ad Ares: per Ares è
un’usanza normale.
60. La tecnica sacrificale è identica per tutte le cerimonie ed è la seguente:
la vittima sta in piedi con le zampe anteriori legate, il sacrificante si pone
dietro la bestia e la fa cadere dando uno strappo all’estremità della corda;
mentre l’animale cade il sacrificante invoca il dio cui il sacrificio è destinato,
155 Il Tanai (o Tanaïs, come scritto in molti testi antichi) è il Don, che nasce vicino a Tula, a
sud-est di Mosca, da una laguna chiamata Ivan. Sfocia nel Mar d’Azov (antica palude
Meotide).
156 Cfr. nota 52.
157 Probabilmente si fa riferimento al principale tributario del Don: il fiume Donec (Donets),
ma potrebbe essere il Kuban (cfr. nota 260).
158 La bile, secreta dal fegato, aiuta la digestione dei grassi e l’assorbimento delle vitamine
in essi contenuti, oltre ad avere un’azione battericida dei microbi nocivi introdotti con il
cibo. È noto che alcune erbe – specie quelle officinali – stimolano questa attività.
159 Nella mitologia greca, Estia (per i Romani, Vesta) era figlia primogenita di Crono
(Saturno) e di Rea (Opi), la più anziana nella prima generazione degli dèi dell’Olimpo.
Suoi fratelli e sorelle, in ordine di nascita, furono: Demetra (Cerere), Era (Giunone), Ade
(Plutone), Poseidone (Nettuno) e Zeus (Giove). La Terra (Gea o Gaia) non era considerata
dai Greci la moglie di Zeus, ma la nonna, essendo la madre di Crono. Dei figli di Zeus
citati, i gemelli Apollo e Afrodite Urania (Diana) ed Eracle (Ercole) erano figli illegittimi,
mentre Ares (Marte) era stato concepito con la moglie Era.
160 Poseidone o Posìdone (per i Latini, Nettuno) era il dio del mare, dei cavalli e, soprattutto,
dei terremoti, particolarmente frequenti nella Penisola balcanica.
161 Erodoto collega il nome Papeo con il termine greco pappas (padre): per i Greci, Zeus era
il padre degli dèi e degli uomini.
162 O Ghetosiro.
163 O Thagimasada.
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poi passa un laccio intorno al collo dell’animale, vi introduce un bastone e lo
gira fino a strozzare la vittima; fuoco, offerta di primizie e libagioni non ce
ne sono. Dopo averla strozzata e scuoiata si accinge a cuocerla.
61. E poiché la Scizia è terribilmente povera di legname ecco quale sistema
di cottura hanno escogitato. Quando scuoiano la bestia, separano la carne
dalle ossa e la gettano, se ce l’hanno, in lebeti164 di fabbricazione locale,
molto simili ai crateri di Lesbo165, ma assai più grandi. Qui dentro la
cuociono accendendovi sotto il fuoco con le ossa delle vittime. Se non hanno
un lebete a disposizione, alcuni introducono tutte le carni nel ventre della
vittima, vi aggiungono acqua e le mettono ad arrostire sul fuoco d’ossa166.
Le ossa bruciano benissimo e le pance contengono agevolmente le carni
disossate; in questo modo un bue basterà a cuocere se stesso e così ogni
altro capo di bestiame. Quando le carni sono cotte il sacrificante sceglie
come primizie pezzi di carne e di interiora e le scaglia davanti a sé. Gli Sciti
sacrificano anche altre specie di animali e soprattutto cavalli.
62. Agli altri dèi offrono sacrifici così e con questi animali, ad Ares invece
come segue: nei vari distretti di ciascuno dei regni hanno un santuario di
Ares fatto così: vengono accatastate fascine di legna per tre stadi167 in
lunghezza e altrettanti in larghezza; l’altezza è inferiore. Sopra la catasta si
costruisce un piano quadrangolare scosceso su tre lati e accessibile dal
quarto. Ogni anno vi ammassano sopra centocinquanta carri di legna, dato
che le intemperie riducono di volta in volta il materiale168. Su questo cumulo
in ogni distretto viene piantata una spada169 antica di ferro, a mo’ di
immagine di Ares170, e a questa spada offrono annuali sacrifici di bestiame e
di cavalli in maggior numero che non agli altri dèi. I nemici catturati vivi li
uccidono in ragione di uno su cento, non come fanno con gli animali, ma in
un altro modo: gli versano del vino sulla testa e li sgozzano sopra un vaso;
portano poi tale recipiente in cima alla catasta di legna e versano il sangue
sulla spada. Il sangue lo portano di sopra, sotto invece accanto al santuario
compiono un altro rito: tagliano la spalla destra e il braccio delle vittime e li
scagliano in aria, poi, quando hanno finito con le altre vittime se ne vanno;
164 Nell’antichità classica, il lebete era un recipiente di bronzo o terracotta usato per bere e
cuocere cibi, per sacrifici e abluzioni rituali, anche come premio nelle gare ginniche.
165 Originario della civiltà assira, ma diffuso tra Fenici, Greci e Romani, il cratere era un
grande vaso nel quale si miscelavano l’acqua e il vino (di solito, in proporzione di 3 a 1)
da servire nei banchetti. Nel VII secolo a.C., fu inventato a Lesbo il “simposio conviviale”:
dopo il banchetto, i commensali bevevano secondo le prescrizioni del simposiarca,
intonavano canti conviviali (skólia) o si intrattenevano con la recita di carmi, con danze,
conversazioni, giochi ecc.
166 Sulle coste del Mar Nero non c’era abbondanza di legna.
167 Lo stadio era, nella Grecia antica, un’unità di misura di lunghezza pari a 600 piedi, circa
177 metri nel sistema attico e circa 185 metri nel sistema alessandrino.
168 Le misure sembrano comunque esagerate, data la scarsità di legno nella regione.
169 O scimitarra.
170 Ares è il latino Marte, il dio che incorporava lo spirito violento e brutale della guerra.
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il braccio resta lì dove cade, lontano dal cadavere.
63. Tali sono dunque i loro riti sacrificali. Maiali non ne usano per niente, e
nemmeno ne vogliono allevare nel loro paese171.
64. Ecco poi come si regolano per la guerra. Quando uno Scita ha abbattuto
il primo nemico, ne beve il sangue: di tutti quelli che ha ucciso in battaglia
porta la testa al re, perché se si presenta con delle teste partecipa alla
spartizione del bottino eventualmente conquistato, altrimenti no. Effettuano
così lo scalpo: incidono la pelle tutto intorno alla testa all’altezza delle
orecchie, la afferrano e la strappano via; poi con una costola di bue
ciascuno la scarnifica e la rende morbida con le sue mani; dopo la concia se
la tiene come se fosse una pezzuola: la appende ai finimenti del proprio
cavallo e se ne vanta, perché chi possiede più pezzuole è considerato il più
valoroso. Non pochi con questi scalpi si fanno persino dei mantelli da
indossare, cucendoli assieme come fossero casacche da pastori. Molti poi
asportano la pelle della mano destra ai cadaveri dei nemici, con tutte le
unghie, e ne fanno coperchi per le faretre. La pelle umana risulta 172 appunto
spessa e lucida, la più lucida forse, per bianchezza, fra tutte le pelli. Molti
scorticano addirittura interi uomini, ne tendono la pelle fra dei legni e la
portano in giro a cavallo.
65. Tali sono dunque le loro consuetudini. Le teste poi, non di tutti, ma
quelle dei peggiori nemici, le trattano così: segano la calotta cranica sotto le
sopracciglia e la ripuliscono; poi, se uno è povero si limita a rivestirla
esternamente con pelle di bue non conciata e se ne serve così come
tazza173, se invece è ricco, oltre alla pelle di bue esterna, la riveste d’oro
internamente. Fa così anche con i familiari, se sia sorta una lite, chi riesca a
prevalere in giudizio davanti al re. E quando uno riceve degli ospiti un po’
importanti, gli mostra queste teste e gli spiega che si tratta di parenti che
gli hanno portato guerra e sui quali lui ha trionfato: e ne parla come di una
autentica impresa valorosa.
66. Una volta all’anno, ogni anno, ciascun governatore di distretto nella
propria provincia mescola vino e acqua in un cratere; a tale cratere
171 In Medio Oriente, il maiale – considerato un dio nell’antico Egitto – non veniva né
mangiato né sacrificato da ebrei e musulmani: era vietato ucciderlo e chi lo toccava
rimaneva impuro. La vera origine di questa pratica è incerta: sia l’Antico Testamento
(Levitico 11,7-8 e Deuteronomio 14, 8) che il Corano (Sura II, 173) dichiarano il maiale
impuro, ma occorre considerare che, all’epoca, la carne di maiale, piuttosto grassa,
deperiva molto facilmente nelle regioni calde, provocando infezioni e disidratazione se
consumata, e che, rispetto agli erbivori, non era conveniente allevare il maiale, in quanto
si ciba per lo più delle stesse cose che sostentano gli uomini.
172 Nell’originale il verbo è all’imperfetto (“risultava”) perché riferito al momento in cui è
avvenuta la constatazione.
173 È un uso che si è riscontrato spesso tra le popolazioni cosiddette “barbare”, come gli
Unni, i Longobardi, gli Avari e i Bulgari.
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attingono tutti gli Sciti che abbiano ucciso dei nemici. Gli Sciti che non
l’abbiano fatto non possono assaggiare questo vino e stanno seduti in
disparte disprezzati: il che per loro è un’orrenda vergogna; gli Sciti, poi, che
hanno ucciso parecchi nemici bevono contemporaneamente con due coppe.
67. Fra gli Sciti ci sono molti indovini che si servono per i loro vaticini di
numerose verghe di salice: portano dei grossi fasci di verghe e li
appoggiano per terra, li sciolgono e posando le verghe una per una
profetizzano; sempre profetizzando raccolgono ancora i fuscelli e di nuovo li
posano uno per uno. Questa è l’arte divinatoria ricevuta dai loro padri; gli
androgini Enarei, invece, fanno risalire agli insegnamenti di Afrodite la loro
tecnica di divinazione, che si fa con la corteccia di tiglio174: tagliano in tre
striscioline la corteccia del tiglio, poi pronunciano l’oracolo intrecciandole e
slegandole dalle dita.
68. Quando il re degli Sciti si ammala, manda a chiamare i tre indovini più
rinomati, i quali danno il loro responso nel modo suddetto; per lo più essi
affermano che il tale o il tal altro (e indicano le persone a cui si riferiscono)
ha spergiurato in nome del focolare reale175. In effetti è consuetudine degli
Sciti, quando vogliono fare il giuramento più solenne, giurare sul focolare
reale. Subito l’individuo dichiarato spergiuro viene catturato e condotto dagli
indovini; quando è davanti a loro lo accusano: dalla divinazione, affermano,
risulta che lui ha spergiurato sul focolare reale e che per questa regione il re
è malato. Quello nega, sostenendo di non aver spergiurato e protesta. Visto
che nega, il re manda a chiamare altri indovini, in numero doppio; se anche
questi osservando il rituale divinatorio lo riconoscono colpevole di spergiuro,
immediatamente gli si taglia la testa: e i suoi beni se li spartiscono a sorte i
primi indovini; se invece gli indovini sopraggiunti lo scagionano dall’accusa,
si chiamano altri indovini e poi altri ancora; se la maggior parte di loro è per
l’innocenza, tocca ai primi indovini di essere mandati a morte.
69. E li uccidono così: caricano di fascine un carro e vi aggiogano dei buoi,
174 Gli Enarei sono citati da Erodoto nel Libro I: «quando [gli Sciti] giunsero nella Siria
Palestina il re d’Egitto Psammetico andò loro incontro e con donativi e suppliche li distolse
dall’avanzare più oltre. Essi poi, durante la loro ritirata, toccarono la città di Ascalona, in
Siria, e mentre la maggior parte di loro proseguì senza causare danni, alcuni, rimasti
indietro, saccheggiarono il tempio di Afrodite Urania. [...] Sugli Sciti che saccheggiarono il
tempio di Ascalona e sui loro discendenti la dea scatenò la “malattia femminile”: sono gli
Sciti stessi a dare questa spiegazione per la loro malattia, e del resto chi si reca in Scizia
può constatare in che stato si trovino coloro che gli Sciti chiamano “Enarei”» (cap. 105).
In sostanza, la dea Afrodite tolse la virilità agli Sciti saccheggiatori, lasciando loro in dono
la capacità di predire il futuro. Durante tale pratica, gli Enarei si servivano del tiglio,
perché era la pianta sacra ad Afrodite.
175 Al tempo di Erodoto, il focolare reale era l’altare dedicato alla dea Estia (cfr. nota 159),
che era considerata la dea del fuoco che arde in ogni braciere al centro di ogni casa e nel
tempio maggiore di ogni città greca. Il fuoco sacro di Estia non doveva mai spegnersi e,
attorno a esso, si svolgevano tutti i riti propiziatori della famiglia e della città.
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incatenano gli indovini per i piedi e gli legano le mani dietro la schiena, li
imbavagliano e li costringono in mezzo alla legna; appiccano fuoco ai
sarmenti e lasciano andare i buoi, dopo averli così terrorizzati. Molti buoi
finiscono carbonizzati insieme con gli indovini, molti, anche mezzo
bruciacchiati, riescono a scampare quando il timone del carro sia stato
ridotto in cenere dalle fiamme. Anche per altre colpe spediscono al rogo gli
indovini nel modo suddetto, e li chiamano pseudoindovini176. Se è il re a
mandarli a morte non ne risparmia nemmeno i figli: i maschi li uccide tutti,
alle femmine invece non torce un capello.
70. Ecco come si comportano gli Sciti quando giurano: versano del vino in
una grande coppa di terracotta e vi aggiungono un po’ di sangue delle
persone che stringono il patto; a tale scopo si colpiscono con una lesina o si
praticano col coltello una piccola incisione superficiale; poi immergono nella
coppa una spada, delle frecce, un’ascia e un giavellotto177. Fatto ciò,
pronunciano molte preghiere rituali e vuotano, bevendo, la coppa, sia quelli
che stringono il patto sia i più autorevoli del loro seguito.
71. Le tombe dei re si trovano fra i Gerri, nel punto estremo fino al quale il
Boristene è navigabile. Là, quando muore il re, scavano una enorme fossa di
forma quadrata; quando la fossa è pronta, prendono il corpo del re tutto
cosparso di cera, col ventre che è stato aperto e ripulito, riempito di
cipero178 in polvere, di aromi, di semi d’apio179 e di aneto e poi di nuovo
ricucito, e lo trasportano su di un carro presso un altro popolo. Quelli che
ricevono il cadavere trasportato si comportano esattamente come gli Sciti
regi: si recidono un pezzo di orecchio, si radono i capelli tutto intorno alla
testa, si tagliuzzano le braccia, si graffiano la fronte e il naso, si trafiggono
con frecce la mano sinistra. Di là portano sul carro il cadavere del re presso
un altro popolo a loro sottomesso; li seguono gli abitanti della prima regione
in cui erano giunti. Quando hanno fatto il giro di tutti i popoli, portando il
cadavere, si trovano fra i Gerri, gli ultimi fra i popoli loro soggetti, nel luogo
delle sepolture. Depongono il morto nella camera sepolcrale sopra un
pagliericcio e piantano lance ai due lati del cadavere; sopra le lance
appoggiano dei legni, poi ricoprono con stuoie l’impalcatura così ottenuta;
nell’ampio spazio libero della camera seppelliscono una delle concubine del
re dopo averla strangolata, nonché un coppiere, un cuoco, uno scudiero, un
servo, un messaggero, e cavalli, una scelta di tutti gli altri beni e coppe
d’oro; d’argento niente e neppure di bronzo. Dopodiché tutti si affannano a
innalzare un grande tumulo, impegnandosi al massimo, in gara, per farlo il
176 O falsi indovini.
177 Il giuramento suggellato nel sangue era praticato anche da Medi e Libici (I, 74) e dagli
Arabi (III, 8).
178 Il cipero (cyperus) è una pianta della famiglia delle Ciperacee – cui appartiene il papiro –
con tuberi commestibili. Presso gli antichi Egizi era il simbolo della gioia e della giovinezza
e veniva usato – tenendolo in bocca insieme ad altre erbe – per sconfiggere i cattivi odori.
179 Sedano.
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più alto possibile.
72. Ed ecco ancora cosa fanno quando è trascorso un anno: prendono i più
adatti di tutti i servi rimasti (che sono Sciti di nascita, perché servi
divengono solo gli Sciti per imposizione del re, non essendoci da loro servi
comprati per denaro) e ne strangolano cinquanta; ammazzano anche
cinquanta cavalli di gran pregio: ne svuotano il ventre, lo purificano, lo
riempiono di paglia e lo ricuciono. Fissano poi su due paletti una mezza
ruota rovesciata, l’altra mezza ruota su altri due paletti e ne piantano in
terra tanti così in tale modo; poi infilano grossi pali dentro i cavalli nel senso
della lunghezza fino alla gola e li appoggiano sulle ruote. Le prime mezze
ruote sostengono le spalle dei cavalli le mezze ruote posteriori reggono le
pance all’altezza delle cosce; le zampe restano penzolanti da entrambe le
parti. Mettono morsi e redini ai cavalli, tendono le redini in avanti e le
legano a dei pioli. Su ciascun cavallo issano ciascuno dei cinquanta giovani
strangolati: li issano così dopo avergli infilato lungo la colonna vertebrale,
fino alla gola, un bastone la cui parte inferiore conficcano in un foro
praticato nell’altro palo, quello che attraversa il cavallo. Sistemano questi
cavalieri tutto intorno alla tomba del re e poi si allontanano.
73. Ecco dunque come seppelliscono i re; quando muoiono gli altri Sciti, i
loro parenti più stretti li trasportano, stesi su carri, in giro dagli amici:
ciascuno degli amici, accogliendo il corteo, allestisce un banchetto per gli
accompagnatori e imbandisce anche per il morto parte di tutto ciò che offre
agli altri180. I semplici cittadini vengono trasportati così per quaranta giorni,
poi li si seppellisce. Dopo i funerali gli Sciti si purificano come segue: si
ungono la testa e poi se la insaponano e la lavano; per il resto del corpo
procedono in questo modo: fissano a terra tre bastoni in piedi uno contro
l’altro, vi stendono sopra coperte di lana, le serrano il più stretto possibile,
poi in un catino piazzato in mezzo alle pertiche e sotto le coperte gettano
pietre arroventate dal fuoco.
74. Nel loro paese cresce la canapa, pianta molto simile al lino, ma più
grossa e più alta; caratteristiche che la rendono assai superiore al lino.
Cresce spontanea o coltivata e da essa i Traci ricavano anche dei tessuti
molto simili a quelli di lino: e se uno non è molto esperto non riesce a
distinguere se sono di lino o di canapa; chi non ha mai visto la canapa, poi,
crederà senz’altro che il vestito sia di lino181.
75. Dunque gli Sciti prendono i semi di canapa, si infilano sotto la tenda
fatta di coperte e li gettano sulle pietre roventi; i semi gettati bruciano
180 Quest’ultima è un’usanza mantenuta nella Russia medioevale. Per quanto riguarda i riti e
la sepoltura nei kurgan (tumuli) praticati dagli Sciti, il racconto di Erodoto (capp. 71-73) è
stato ampiamente confermato dagli scavi archeologici.
181 Bisogna tener presente che i Greci conoscevano molto poco la canapa.
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producendo un fumo che nessun bagno a vapore greco potrebbe superare.
Gli Sciti urlano di gioia per il fumo che sostituisce per loro il bagno; in effetti
non si lavano il corpo con acqua. Le loro donne per esempio pestano legno
di cipresso, di cedro e pezzetti di incenso su una pietra scabra, vi versano
su acqua, poi si spalmano l’intruglio, una sostanza grassa, sul corpo e sul
viso: e non solo gli resta addosso il profumo dell’impasto, ma quando se lo
tolgono, il giorno dopo, hanno la pelle pura e luminosa182.
76. Anche gli Sciti evitano assolutamente di adottare usanze straniere, di
qualunque altro popolo e in modo particolare dei Greci; prova ne furono le
vicende di Anacarsi183 e dopo di lui, ancora, di Scile184. Anacarsi, dopo aver
visitato gran parte del mondo dando prova ovunque della sua saggezza,
stava rientrando in patria e, navigando attraverso l’Ellesponto, approdò a
Cizico185; a Cizico trovò gli abitanti intenti a celebrare con straordinaria
magnificenza una festa in onore della Madre degli dèi; Anacarsi promise
solennemente alla dea, se tornava a casa sano e salvo, di offrirle sacrifici
come li aveva visti fare dai Ciziceni e di istituire una notte di veglia. Quando
arrivò in Scizia, si inoltrò nella cosiddetta Ilea (una regione situata presso il
Corso d’Achille, interamente ricoperta di alberi di ogni specie) 186 e vi compì
tutto il rituale festivo della dea, con tanto di timpano e sacre immagini
appese al collo187. E uno Scita che lo aveva osservato mentre eseguiva tale
rituale andò a riferirlo al re Saulio188; il re accorse di persona e, appena vide
Anacarsi e cosa faceva, lo uccise subito con una freccia. E oggi se uno pone
domande su Anacarsi, gli Sciti negano di conoscerlo, solo perché se ne andò
in Grecia, fuori del suo paese, e adottò usanze straniere. Come ho appreso
da Timne189, uomo di fiducia di Ariapite, Anacarsi era zio paterno del re scita
Idantirsi e figlio di Gnuro figlio di Lico a sua volta figlio di Spargapite. Se
dunque Anacarsi apparteneva a questa famiglia, sappia di essere morto per
mano del fratello: Idantirsi infatti era figlio di Saulio e fu Saulio a uccidere
Anacarsi.
77. Per la verità io ho udito anche un’altra versione, raccontata dagli
abitanti del Peloponneso, secondo la quale Anacarsi, inviato dal re degli
Sciti, divenne discepolo dei Greci; al suo ritorno avrebbe spiegato a chi lo
aveva mandato in Grecia che tutti i Greci erano impegnatissimi a studiare
182 Alcuni storici hanno sollevato dubbi su questa usanza perché nella Russia meridionale
non crescono il cedro e l’incenso.
183 Cfr. nota 125.
184 Cfr. capp. 78-80.
185 Cfr. nota 32.
186 Cfr. note 17 e 153.
187 L’usanza di appendere al collo piccole immagini votive della dea e di Attis verrà ripresa
dalla religioni cristiana, particolarmente ortodossa, con croci e icone di metallo.
188 Saulio era fratello di Anacarsi – come detto più avanti – e regnò intorno al 521 a.C.; suo
figlio fu Idantirso, citato in seguito.
189 Timne è uno dei tre informatori ricordati per nome da Erodoto; gli altri sono lo spartano
Archia figlio di Samio (III, 55) e Tersandro di Orcomeno (IX, 16).
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ogni tipo di scienza, a eccezione degli Spartani, i quali peraltro erano gli
unici con cui si potesse scambiare un discorso assennato. Ma questo
racconto è stato inventato di sana pianta dai Greci stessi, e Anacarsi fu
ucciso realmente come poco sopra è stato detto.
78. Anacarsi insomma trovò la fine che trovò per aver accettato usanze
straniere e fraternizzato con i Greci. Molti anni più tardi Scile figlio di
Ariapite subì una sorte del tutto analoga. Scile era uno dei tanti figli del re
scita Ariapite: era nato non da una donna del posto, bensì da una
Istriana190, che gli insegnò personalmente il greco, a parlarlo, a leggerlo e a
scriverlo191. Molto tempo più tardi Ariapite morì in un agguato tesogli da
Spargapite, re degli Agatirsi, e Scile ereditò il regno e la moglie di suo
padre, che si chiamava Opea; Opea era una cittadina scita che ad Ariapite
aveva dato un figlio, Orico. Regnando sugli Sciti, Scile non si adattava
affatto al sistema di vita degli Sciti, ma inclinava assai più volentieri alle
abitudini elleniche a causa dell’educazione ricevuta, ed ecco come si
comportava. Quando conduceva l’esercito scita verso la città dei Boristeniti
– questi Boristeniti si autodichiarano coloni di Mileto –, appena giunto nel
loro territorio, Scile abbandonava i soldati nei dintorni della città; lui entrava
oltre le mura e ne faceva chiudere le porte, smetteva la veste scita e
indossava un costume greco: così vestito si intratteneva nella piazza del
mercato senza scorta di dorifori192 o di alcun altro (le guardie vegliavano alle
porte che nessuno Scita lo vedesse abbigliato da Greco). In tutto e per tutto
si comportava come un vero Greco e offriva anche sacrifici agli dèi secondo
il rituale ellenico. Passato un mese, o anche più, si rivestiva da Scita e se ne
190 Abitante della colonia di Istria, alla foce dell’Istro (Danubio). Come Erodoto specifica più
oltre, la colonia era dei Milesi. La città di Mileto fu fondata, forse dai Cretesi, sulla costa
occidentale della Caria, alla foce del Meandro (ora Menderes), in Asia Minore, e diventò la
principale città della Ionia, centro molto importante della vita intellettuale, economico e
politica occidentale. I Milesi fondarono numerosissime colonie e scali commerciali
nell’Ellesponto (Dardanelli), nella Propontide (Mar di Marmara) e nel Ponto Eusino (Mar
Nero). Dopo essere stata conquistata da Creso, re di Lidia dal 560 al 546 ca. a.C., Mileto
cadde sotto il dominio persiano. Dal 499 al 494 a.C. (quindi poco prima della nascita di
Erodoto) Mileto guidò la rivolta degli Ioni contro il governo persiano ma, sconfitta, fu rasa
al suolo da Dario I. La città venne ricostruita in epoca ellenistica ma non riconquistò
l’antico splendore; fra il 300 e il 600 d.C. decadde definitivamente.
191 A differenza delle lingue antiche (come ebraico, greco e latino), la lingua scitica non ha
una documentazione precisa, ma frammentaria, pur rappresentando la lingua dell’Oriente
e del Nord per eccellenza. Nel 1643, nel II Libro del De hellenistica Commentarius, Claude
Saumaise sintetizzò le poche conoscenze dell’epoca – per lo più provenienti da mercanti –
affermando che tutte le lingue europee derivano dalla lingua scitica: «Non c’è quasi
nessuna nazione dell’Europa o dell’Asia che non provenga dal Nord. È di là che si sparsero
i popoli, la cui espansione occupò la maggior parte dei due continenti. Ed è la Scizia che
ha respinto verso Nord, con le loro lingue, quasi tutte le nazioni che hanno invaso. Il
paese degli Sciti era davvero il più vasto e il più ampio verso l’Oriente e l’Occidente, e ha
generato, portandosi al sud, diverse popolazioni, in Europa da un lato, in Asia dell’altra».
A queste considerazioni sono seguiti confronti linguistici che le hanno confermate.
192 Il doriforo era un soldato armato di lancia.
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andava. Agiva così spesso: a Boristene193 si costruì un palazzo e vi installò
una donna del luogo, che aveva sposato.
79. Ma era destino che le cose gli andassero male, ed ecco quale ne fu il
motivo scatenante. Scile desiderò ardentemente essere iniziato ai misteri di
Dioniso Bacco194: ma quando stava già per ricevere l’iniziazione195, si verificò
un prodigio eccezionale. Nella città dei Boristeniti possedeva una vasta,
lussuosa dimora, come ho ricordato poco fa, intorno alla quale erano
installate sfingi e grifoni di marmo bianco196. Su questo palazzo il dio scagliò
un fulmine. Il palazzo andò completamente distrutto dalle fiamme, ma
nondimeno Scile portò a termine l’iniziazione. Gli Sciti biasimano assai i
Greci per i loro riti bacchici: secondo loro non è normale inventare un dio
che porta gli uomini alla pazzia. Quando Scile fu iniziato a Bacco, uno dei
Boristeniti si premurò di andare dagli Sciti a dire: «Voi ci prendete in giro,
Sciti, per i nostri baccanali e perché il dio si impossessa di noi; ora questo
demone si è impossessato anche del vostro re, che adesso baccheggia e
folleggia per opera del dio. Se non mi credete, venite con me e ve lo
mostrerò». Lo seguirono i maggiorenti Sciti: il Boristenita li guidò e di
nascosto li fece salire su di una torre. Passò nei pressi Scile nel tiaso 197 e gli
Sciti lo videro, invasato da Bacco: la considerarono una sciagura terribile e
tornarono a riferire alle truppe quanto avevano visto.
80. Quando poi Scile fece ritorno nelle proprie sedi, gli Sciti s’erano già
scelti come capo Octamasade, fratello suo, nato dalla figlia di Tereo198, e gli
si ribellarono. Scile, appena ebbe inteso cosa si tramava contro di lui e per
quale ragione, se ne fuggì in Tracia. Octamasade lo venne a sapere e marciò
in armi contro la Tracia. Sul fiume Istro si trovò di fronte i Traci, e già
193 Città sul Ponto Eusino (Mar Nero), nell’odierna regione della Bessarabia.
194 Dioniso Bacco (o Bacchico; per i Romani, Bacco o Iacco) era il dio del vino, dell’estasi e
della forza vitale, perpetuamente giovane, figlio di Zeus e di Semele. Insegnò agli uomini
– dalla Grecia all’India – la viticoltura.
195 Di solito, le cerimonie di iniziazione consistevano in un percorso obbligato e irto di
difficoltà che vincolava gli adepti al dio; le iniziazioni erano tante quanti erano i vari gradi
per arrivare alla salvezza attraverso il rapporto individuale con la divinità.
196 La sfinge e il grifone avevano un doppio ruolo: proteggevano il palazzo dagli spiriti
maligni ed erano un segno della devozione di Scile per Dioniso, cui erano dedicati quegli
animali.
197 Il tiaso era l’associazione che celebrava il culto a un dio – soprattutto quello orgiastico di
Dioniso Bacco – con processioni, canti e danze sfrenate.
198 Il re di Tracia, Tereo, è una figura della mitologia greca, forse figlio di Ares e fratello di
Driante. Il poeta latino Ovidio (43 a.C.-18 d.C.) raccontò nel sesto libro delle Metamorfosi
che Tereo, su richiesta della moglie Progne, si recò ad Atene per prendere la cognata,
Filomela. Quando Tereo la vide, se ne innamorò e, ritornato in Tracia, la violentò, le recise
la lingua per non farle rivelare lo stupro e la tenne prigioniera. Ma Filomela iniziò a tessere
una tela sulla quale ricamò la sua triste storia e la fece portare a Progne, che così scoprì
la verità. Progne liberò la sorella che mise in atto la vendetta: uccise il proprio figlioletto
Iti e con le sue carni imbandì il desco di Tereo il quale, ignaro, se ne cibò e solo alla fine
del pasto Filomela gli presentò il capo mozzato di Iti. Tereo tentò invano di uccidere le due
donne, ma esse si trasformarono in uccelli ed egli stesso in upupa.
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stavano per scontrarsi, quando Sitalce199 mandò a dire a Octamasade
quanto segue: «Che ragione abbiamo per misurarci l’uno con l’altro? Tu sei
figlio di mia sorella e hai nelle tue mani mio fratello. Tu restituiscimi mio
fratello e io ti consegnerò il tuo Scile. Non mettiamo a repentaglio i nostri
eserciti». Questo gli diceva Sitalce per mezzo di un araldo; in effetti presso
Octamasade si trovava un fratello di Sitalce, come rifugiato. Octamasade
approvò la proposta: consegnò il proprio zio materno a Sitalce e si prese il
fratello Scile. Sitalce, quando ricevette il fratello, se lo portò via,
Octamasade invece a Scile fece tagliare la testa lì sul posto. Tanto dunque
rispettano gli Sciti le proprie costumanze e tanto puniscono quelli che
adottano usanze straniere.
81. Quanto al numero degli Sciti non sono stato in grado di ottenere
informazioni sicure, ho udito anzi versioni assai differenti: e in effetti li
dicevano troppi o troppo pochi, per un popolo come gli Sciti. Ma ecco
quanto ho constatato di persona. Tra i fiumi Boristene e Ipani c’è una
regione, che si chiama Esampeo e ho menzionato anche un po’ fa 200,
dicendo che vi zampilla una sorgente amara, la cui acqua affluendo
nell’Ipani lo rende imbevibile. In questa regione c’è un vaso di bronzo sei
volte più grande del cratere dedicato agli dèi da Pausania figlio di
Cleombroto201 all’imboccatura del Ponto. Per chi non lo avesse mai visto
fornisco le seguenti indicazioni: il vaso degli Sciti contiene facilmente
seicento anfore e il suo spessore è di sei dita202. La gente del luogo mi
diceva che tale recipiente fu fabbricato con punte di frecce; un loro re, che
si chiamava Arianta, volendo conoscere il numero degli Sciti, ordinò a tutti
di portare ciascuno una punta di freccia; per chi non l’avesse fatto
minacciava la morte203. Fu portato dunque un enorme quantitativo di punte
di freccia e il re decise di ricavarne un monumento per i posteri: con le
frecce venne fabbricato il vaso di bronzo e lo si consacrò nell’Esampeo.
Questo è quanto ho udito raccontare circa il numero degli Sciti.
82. Il paese in sé non presenta particolari meraviglie, se si escludono i
fiumi, che sono davvero molto grandi e numerosi. Ma escludendo i fiumi e la
vastità della pianura la cosa più degna di meraviglia è la seguente: impressa
199 Sitalce, figlio di Tereo e re della tribù tracia degli Odrisi, ampliò il proprio regno fino a
occupare il territorio dell’attuale Bulgaria. Era personaggio noto agli Ateniesi, in quanto fu
loro alleato contro Perdicca II, re di Macedonia, e le città calcidesi. Morì nel 424 a.C.
200 Cfr. cap. 52.
201 Il generale spartano Pausania – figlio cadetto di Cleombroto I, ventiduesimo re di Sparta
che governò dal 380 al 371 a.C. – conquistò nel 478 Bisanzio e, forse in questa occasione,
dedicò il cratere di bronzo (cfr. nota 165) alle porte del Ponto. Più volte sospettato di
connivenza con la Persia, fu infine accusato di volersi impadronire del potere a Sparta e
per evitare l’arresto si rifugiò nel tempio di Atena Calcicca, dove morì di fame (468 a.C.).
202 Sei dita corrispondevano a circa 11 centimetri.
203 Comune in molti Paesi, l’usanza di porre in un vaso una freccia per ogni soldato serviva a
contare le perdite a fine guerra: i superstiti riprendevano la freccia e quelle rimaste
corrispondevano ai caduti.
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su di una roccia ti mostrano l’orma di Eracle, che è in tutto e per tutto simile
alla pianta di un piede umano, ma è lunga due cubiti 204 e si trova presso il
fiume Tira. Questo è tutto e ora tornerò al racconto che avevo cominciato a
esporre.
83. Mentre Dario si preparava a combattere contro gli Sciti e inviava vari
messaggeri per impartire gli ordini qui di procurare fanteria, là navi, e là di
aggiogare le rive del Bosforo Tracico205, Artabano, figlio di Istaspe206 e
fratello di Dario, lo pregava di non guidare assolutamente una spedizione
contro gli Sciti, dei quali sottolineava l’inafferrabilità. Ma poiché nonostante
gli ottimi consigli non riusciva a convincerlo, rinunciò, e Dario, ultimati i
preparativi, mosse il suo esercito da Susa207.
84. A quel punto un Persiano, Eobazo, che aveva tre figli e tutti e tre in
procinto di partire per la spedizione208, pregò Dario di lasciargliene uno in
patria. E Dario gli rispose, come si risponde a un amico che avanza una
richiesta moderata, che glieli avrebbe lasciati tutti. Eobazo era molto
contento, pensando che i figli venissero dispensati dagli obblighi militari, ma
Dario ordinò agli addetti a simili incombenze di uccidere tutti i figli di
Eobazo. Ed essi furono lasciati dove si trovavano, sgozzati.
85. Dario, partito da Susa, giunse nella Calcedonia209, sul Bosforo, dove a
mo’ di giogo era stato gettato il ponte; da lì, imbarcatosi sulle navi,
raggiunse le cosiddette rocce Cianee, che a sentire i Greci un tempo erano
erranti210; qui si sedette su di un promontorio a contemplare il Ponto, un
204 Il cubito era la lunghezza dell’avambraccio dalla punta del gomito a quella del dito medio
a mano aperta, equivalente a circa 45 centimetri. L’impronta eccezionale (circa 90 cm)
corrispondeva alla statura superiore alla norma che i Greci attribuivano agli eroi.
205 Bosforo Tracico (o Tracio) è lo stretto che mette in comunicazione il Ponto Eusino (Mar
Nero) con la Propontide (Mar di Marmara), controllato dai Traci.
206 Istaspe (o Hystaspe) di Persia era un achemide, re dei Parti. La Partia era una regione
del Medio Oriente – corrispondente all’attuale parte nord-orientale dell’Iran (a sud-est del
Mar Caspio) – in cui l’agricoltura non poteva essere esercitata, perciò la sua economia si
basava sulla pastorizia e sui commerci con l’Oriente (era infatti lungo la “via della seta”).
Il figlio di Istaspe, Artabano, fu ufficiale sotto Serse I e uccise sia Serse che il figlio Dario,
ma il motivo è oscuro.
207 Susa (odierna Shush) fu, nel VI millennio a.C., capitale del regno dell’Elam (attuale
provincia del Khuzistan, in Iran) e raggiunse l’apice della sua potenza tra il XIII e il XII
secolo a.C. Un secolo dopo essere stata devastata dal sovrano assiro Assurbanipal nel 640
a.C., diventò la capitale dell’impero achemenide di Dario I che la ricostruì completamente.
Nel 331 a.C. fu conquistata da Alessandro Magno.
208 Quando il re partiva per la guerra, tutti i persiani in età per le armi dovevano
accompagnarlo.
209 Calcedonia era una città della Bitinia, in Asia Minore, affacciata sulla Propontide (Mar di
Marmara), all’estremità meridionale del Bosforo, di fronte a Bisanzio.
210 Le rocce o rupi Cianee sono le isole Simplegadi, due enormi rocce all’ingresso del Ponto
Eusino (Mar Nero) che, secondo il mito, erano spinte dal vento una contro l’altra per
sbarrare il passaggio, finché la nave degli Argonauti non riuscì a oltrepassarle, causando
così la stabilità delle rocce. Tuttavia, esse rimasero pericolose poiché, per il vento, era
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panorama degno davvero di essere ammirato. In effetti il Ponto è il più
stupendo di tutti i mari esistenti, lungo undicimila e cento stadi211, e largo,
nel punto di maggiore ampiezza, tremilatrecento. L’imboccatura di questo
mare è larga quattro stadi; 120 invece è lungo lo stretto formato
dall’imboccatura, chiamato Bosforo, sul quale fu gettato il ponte. Il Bosforo
si protende nella Propontide; la Propontide, larga 500 stadi e lunga 1400,
immette nell’Ellesponto212, largo solamente sette stadi e lungo 400.
L’Ellesponto si apre su di un’ampia distesa marina, il Mare Egeo.
86. Le misure sono state calcolate così: una nave in una intera giornata di
navigazione può percorrere al massimo 70.000 orgie, e altre 60.000 di
notte213. Ebbene dal Bosforo al fiume Fasi214 – cioè fra i punti estremi del
Ponto nel senso della lunghezza – ci sono nove giorni e otto notti di
navigazione: vale a dire 1.110.000 orgie, che fanno 11.100 stadi. Dal paese
dei Sindi215 fino alla Temiscira sul fiume Termodonte216 – cioè nel punto di
maggiore larghezza del Ponto – ci sono tre giorni e due notti di navigazione,
vale a dire 330.000 orgie che fanno 3.300 stadi. Ecco dunque le misure del
Ponto, del Bosforo e dell’Ellesponto, calcolate da me come ho detto; vi è poi
un lago comunicante con il Ponto, di dimensioni non molto inferiori, che si
chiama Meotide217 e che dà origine al Ponto.
87. Dario, dopo aver contemplato tale mare, tornò indietro fino al ponte,
che era stato progettato da Mandrocle di Samo 218. Dopo aver contemplato
anche il Bosforo, eresse colà due colonne di marmo bianco, con inciso,
nell’una in caratteri assiri nell’altra in caratteri greci219, l’elenco di tutte le
popolazioni da lui guidate fino lì; e guidava tutte le genti su cui comandava:
senza contare la flotta, aveva con sé 700.000 uomini, cavalieri compresi, e
le navi radunate erano 600. Queste due colonne, in seguito, se le portarono
in città gli abitanti di Bisanzio e le utilizzarono nella costruzione dell’altare di
Artemide Ortosia220, a eccezione di un blocco soltanto, che fu abbandonato
facile andarvi a cozzare contro.
211 Per la lunghezza dello stadio, cfr. note 99 e 167.
212 Si ricorda che la Propontide è il Mar di Marmara e l’Ellesponto è lo stretto di Gallipoli, da
cui si passava dal punto più stretto dei Dardanelli.
213 Le misure date sono approssimate per eccesso, forse perché il percorso notturno della
nave non può essere uguale in inverno come in estate, quando le notti sono più brevi.
214 Cfr. nota 89.
215 Cfr. nota 63.
216 Il fiume Termidonte è l’odierno Terme Çayi, sulla costa meridionale del Ponto, in
Cappadocia, che sfocia nel Mar Nero. Secondo il mito, la città di Temiscira (attuale Ünye)
fu fondata dalle Amazzoni.
217 Si ricorda che la Palude Meotide è l’odierno Mar d’Azov.
218 Come detto più avanti, Mandrocle di Samo fece passare in Grecia l’esercito persiano
gettando un ponte di barche attraverso il Bosforo, allora opera di alta ingegneria.
219 Le due iscrizioni dovevano essere redatte in greco e in caratteri cuneiformi persiani che
Erodoto chiama impropriamente assiri. L’uso persiano di mettere iscrizioni in più lingue
nei paesi soggetti è testimoniato dai ritrovamenti archeologici.
220 Artemide Orthosia (o Orthia) era una delle Ore, figlie di Zeus e di Temi. Venerata
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presso il tempio di Dioniso a Bisanzio: è tutto ricoperto da un’iscrizione in
caratteri assiri. Il punto esatto del Bosforo in cui re Dario gettò il ponte, per
quanto posso congetturare, si trova a metà strada fra Bisanzio e il santuario
posto all’imboccatura dello stretto221.
88. Dario poi, soddisfatto del ponte di barche, donò al suo progettista,
Mandrocle di Samo, dieci regali di ogni genere. Grazie a essi Mandrocle,
come primizia da offrire agli dèi, commissionò un quadro raffigurante tutto il
lavoro impiegato per la costruzione del ponte sul Bosforo, con Dario seduto
in prima fila e l’esercito nell’atto di attraversarlo, e dopo averlo fatto
dipingere lo dedicò nel tempio di Era, accompagnato da questa iscrizione:
«...Poi che sui flutti pescosi del Bosforo un ponte costrusse, / Volle
Mandrocle alla Diva questo ricordo offrire. / Ei s’acquistò una corona per sé,
per i Sami la gloria, / Del suo re Dario il comando con precisione
eseguendo». Questo fu il ricordo lasciato dal costruttore del ponte.
89. Ricompensato Mandrocle, Dario passò in Europa; aveva ordinato agli
Ioni222 di navigare sul Ponto fino al fiume Istro, una volta sull’Istro di
aspettarlo lì e intanto di unire con un ponte le due rive del fiume. In effetti
la flotta la guidavano Ioni, Eoli223 ed Ellespontini. Le navi, superate le rocce
Cianee, navigarono dritte verso l’Istro; risalirono il fiume per due giorni di
navigazione fino allo stretto a partire dal quale si divide in varie bocche e lì
prepararono il passaggio. Dario, attraversato il Bosforo sul ponte di barche,
si inoltrò nella Tracia, poi, giunto alle sorgenti del fiume Tearo224, vi si
accampò per tre giorni.
90. Le popolazioni che abitano sulle sue rive sostengono che il Tearo, ricco
di virtù curative, sia ottimo in particolare per guarire uomini e cavalli dalla
scabbia. Le sue sorgenti sono ben 38225, tutte zampillanti dalla medesima
roccia; e alcune sono fredde, altre calde. Per raggiungerle la strada è
ugualmente lunga sia che si parta dalla città di Ereo presso Perinto sia da
Apollonia sul Ponto Eusino: due giorni di viaggio. Il fiume Tearo confluisce
soprattutto a Sparta, dove aveva un famoso santuario, era simbolo della prosperità e
invocata dalle donne durante il travaglio del parto.
221 Su entrambe le coste del Bosforo c’era un tempio; quello più importante era sulla
sponda asiatica, dedicato a Zeus Orthios.
222 Gli Ioni erano gli antichi Greci abitanti dell’Attica e dell’Eubea, oltre che della Ionia vera e
propria che aveva come principali città Smirne, Clazomene, Teo, Lebedo, Colofone ed
Efeso. Dal VII secolo a.C. le città ioniche caddero sotto il dominio della Lidia e, dopo la
sconfitta di Creso, sotto quello persiano. In seguito tornarono indipendenti, ma, essendo
sotto l’influenza di Atene, tentarono di liberarsi schierandosi con Sparta, ma ricaddero
sotto il dominio persiano per gli accordi della Pace di Antalcida, nel 386 a.C.
223 Gli Eoli erano greci originari della Tessaglia e della Beozia che migrarono in Asia Minore
lungo la costa del mare Egeo, fondando la Eolia (antica Misia). Il nome “Eoli” deriva dal
fatto che erano considerati i discendenti di Eolo, figlio di Elleno, il mitico patriarca degli
Elleni. Città importanti furono Cuma, Focea ed Elea.
224 O Tenaro; è forse il Bunardere.
225 In alcune traduzioni il numero è 39.
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nel Contadesdo, il Contadesdo nell’Agriane e l’Agriane nell’Ebro, il quale
sfocia in mare presso la città di Eno226.
91. Dunque, giunto sul Tearo e posto l’accampamento, Dario, soddisfatto del
fiume, eresse anche lì una colonna, su cui aveva comandato di incidere la
seguente iscrizione: «Le sorgenti del fiume Tearo forniscono l’acqua migliore
e più bella di tutti i fiumi; e a esse, guidando un esercito contro gli Sciti,
giunse il migliore e il più bello di tutti gli uomini, Dario figlio di Istaspe, re di
Persia e di tutto il continente». Queste le parole fatte incidere lì.
92. Lasciato il Tearo, Dario arrivò a un altro fiume, che si chiama Artisco e
scorre attraverso il paese degli Odrisi227. Ecco cosa fece quando giunse a
questo fiume. Indicò un determinato luogo al suo esercito e dispose che
ogni soldato, passandogli vicino, gettasse una pietra nel punto indicato.
L’esercito eseguì l’ordine, sicché, quando Dario guidò oltre le sue truppe, sul
posto lasciò giganteschi mucchi di pietre.
93. Prima di toccare l’Istro sconfisse come primo popolo i Geti228, che si
ritengono immortali. Infatti i Traci che vivono sul promontorio Salmidesso
sopra le città di Apollonia e Mesambria229, i cosiddetti Scirmiadi e Nipsei, si
erano arresi a Dario senza combattere. I Geti invece optarono per la follia e
furono subito ridotti in schiavitù, benché fossero i più valorosi e i più giusti
fra i Traci.
94. Essi si ritengono immortali in questo senso: sono convinti che lo
scomparso non muoia propriamente, bensì raggiunga il dio Salmossi230. Altri
Geti questo stesso dio lo chiamano Gebeleizi231. Ogni quattro anni mandano
uno di loro, tratto a sorte, a portare un messaggio a Salmossi, secondo le
necessità del momento. E lo mandano così: tre Geti hanno l’incarico di
tenere tre giavellotti, altri afferrano per le mani e per i piedi il messaggero
designato, lo fanno roteare a mezz’aria e lo scagliano sulle lance. Se muore
trafitto, ritengono che il dio sia propizio; se non muore, accusano il
226 Perinto (le cui rovine sono individuabili nell’attuale villaggio turco di Ereğli, provincia di
Tekirdağ) era un’antica città tracia, fondata dai Sami nel 600 a.C. sulle coste della
Protondite (Mar di Marmara) vicino a Bisanzio. La città di Apollonia è l’odierna Sizopol
(Bulgaria). L’Agriane è il fiume Erkene e l’Ebro è il fiume Evros che sbocca sulla costa egea
della Tracia e ha presso la sua foce la città di Eno (nell’area dell’attuale Alexandroupoli).
227 Gli Odrisi erano un’antica popolazione della Tracia stanziata lungo le rive dell’Ebro, di cui
il fiume Artisco è un subaffluente (antico Teke).
228 Geti era il nome dei Daci, cfr. nota 133.
229 Salmidesso è forse l’odierno Capo Midia in Romania; Apollonia è Sizopol in Bulgaria e
Mesambria è Mesember in Bulgaria.
230 Salmossi, o più propriamente Salmoxis o Zalmoxis, era un uomo-dio della tribù trace dei
Geti (o Daci), di cui Erodoto racconta le vicende nei capitoli successivi.
231 Gebeleizis (o Gebeleixis) era il dio della tempesta, dei lampi e dei tuoni. In seguito, si è
fuso con Salmoxis come il dio supremo dei Geti. Alcuni storici sono convinti che i nomi di
Salmoxis e di Gebeleizis derivino dal popolo lituano.
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messaggero, sostenendo che è un uomo malvagio, e quindi ne inviano un
altro; l’incarico glielo affidano mentre è ancora vivo. Questi stessi Traci di
fronte a un tuono o a un fulmine, scagliano in cielo una freccia
pronunciando minacce contro Salmossi, perché credono che non esista altro
dio se non il loro.
95. Come ho appreso dai Greci residenti sul Ponto e sull’Ellesponto, questo
Salmossi era un uomo che sarebbe stato schiavo a Samo, schiavo di
Pitagora figlio di Mnesarco232. Poi, divenuto libero, si sarebbe assai arricchito
e avrebbe fatto ritorno, da ricco, nel proprio paese. Poiché i Traci
conducevano una vita grama e rozza, Salmossi, che conosceva il sistema di
vita degli Ioni e abitudini più progredite di quelle dei Traci – avrebbe
frequentato i Greci, e fra i Greci Pitagora, che non era certo il savio più
scadente –, fece costruire un salone, in cui ospitava i cittadini più
ragguardevoli; fra un banchetto e l’altro insegnava che né lui né i suoi
convitati né i loro discendenti sarebbero morti, ma avrebbero raggiunto un
luogo dove sarebbero rimasti per sempre a godere di ogni bene. Mentre così
operava e diceva, si costruiva una stanza sotterranea. E quando la stanza fu
ultimata, Salmossi scomparve alla vista dei Traci: scese nella dimora
sotterranea e vi abitò per tre anni. I suoi ospiti ne sentivano la mancanza e
lo piangevano per morto; ma egli dopo tre anni si mostrò ai Traci e in tal
modo i suoi insegnamenti risultarono credibili.
96. Questo si racconta che abbia fatto Salmossi. Io questa storia della
camera sotterranea non la rifiuto, ma neppure ci credo troppo; penso
comunque che questo Salmossi sia vissuto molti anni prima di Pitagora. Se
sia stato un uomo e se ora sia un dio locale per i Geti, chiudiamo qui la
questione. I Geti insomma, con tutte le loro convinzioni, furono sconfitti dai
Persiani e subito si aggregarono al resto della truppa.
97. Come Dario giunse all’Istro, e con lui l’esercito di terra, e quando tutti lo
ebbero attraversato, Dario ordinò agli Ioni di smontare il ponte di barche e
di seguirlo sulla terra ferma con tutti gli uomini della flotta. Quando già gli
Ioni stavano per obbedire e smontare il ponte, Coe figlio di Erxandro,
232 Pitagora (circa 572 a.C.-490 a.C.) fu un matematico, legislatore, filosofo e guaritore, ma
alcuni storici ne mettono in dubbio la veridicità storica. Dopo l’apprendistato presso Talete
e un soggiorno di 22 anni in Egitto, fondò un’importante scuola filosofica a Crotone, ma,
convinto della superiorità della tradizione orale, non lasciò scritti. Era figlio di Mnesarco,
un mercante di Tito, che gli dette il nome “Pitagora” (cioè “colui che è annunziato dalla
Pizia”) perché consultò la sacerdotessa di Delfi (cfr. nota 36) per un viaggio che avrebbe
dovuto intraprendere. La sacerdotessa non solo gli disse che il viaggio era da fare, ma gli
profetizzò che la moglie avrebbe dato alla luce un bambino bello e saggio, che, con la sua
opera, avrebbe contribuito a elevare la cultura e il sapere del genere umano, ma
soprattutto avrebbe contribuito alla sua elevazione spirituale. Mnesarco rimase turbato da
questo oracolo e, per tale motivo, cambiò il nome della moglie da Partenide in Pitaide (da
Pitia) e, quando questa partorì a Sidone, in Fenicia, chiamò il figlio Pitagora.
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stratego dei Mitilenesi233, chiese a Dario se gli faceva piacere ascoltare un
parere da parte di chi volesse esporlo e gli disse: «O re, tu ti appresti a
marciare attraverso un paese in cui non si vedrà terreno coltivato o città
abitata; lascia dunque in piedi questo ponte e lascia a presidiarlo quelli che
l’hanno costruito. Se troviamo gli Sciti e le cose vanno nel modo voluto,
avremo una via di ritorno, se invece non riusciamo a trovarli, avremo per lo
meno una via di ritorno sicura: io non temo affatto che noi saremo sconfitti
in battaglia, ma ho paura piuttosto, se non riusciamo a trovarli, di dover
patire assai vagando senza costrutto. Qualcuno potrebbe obiettare che ti
parlo nel mio interesse, per restare qui; ma io voglio semplicemente
esporre in pubblico la proposta più vantaggiosa per te che ho saputo
trovare; quanto a me ti seguirò e davvero non vorrei essere lasciato qui».
Dario fu assai contento di questo suggerimento e così rispose a Coe:
«Straniero di Lesbo, quando sarò tornato sano e salvo nel mio palazzo,
preséntati senz’altro da me, perché io possa ricambiare il tuo buon consiglio
in modo eccellente e concreto».
98. Detto ciò, fece 60 nodi a una correggia234, convocò a rapporto i tiranni
degli Ioni e disse loro: «Ioni, gli ordini relativi al ponte che vi avevo
impartito vanno modificati; prendete questa cinghia e regolatevi come vi
dico: a partire dal momento in cui mi vedete avanzare contro gli Sciti, a
partire esattamente da quel momento, sciogliete un nodo ogni giorno che
passa; se in questo arco di tempo io non sono di nuovo qui e i giorni
superano il numero dei nodi, salpate e tornate nel vostro paese. Ma fino ad
allora, dato che ho cambiato idea, sorvegliate il ponte di barche, mettete
tutto il vostro impegno nel conservarlo e custodirlo. Così facendo mi
renderete un servigio assai gradito». Così parlò Dario; poi si mise in marcia.
99. La Tracia si estende sul mare come propaggine della Scizia: oltre il golfo
formato dalla Tracia ci si trova subito in Scizia; vi sbocca il fiume Istro dopo
aver piegato il suo corso in direzione del vento di Euro 235. Passo ora a
descrivere, partendo dall’Istro, la regione costiera, per dare indicazioni sulle
dimensioni della Scizia. Oltre l’Istro si è già nella Scizia antica, volta verso il
sud e il vento Noto fino alla città detta Carcinitide236. Il territorio contiguo si
233 Mitilene è tuttora la capitale dell’isola di Lesbo, nel Mar Egeo. Erodoto parla di Coe anche
in V, 37-38 dicendo che fu nominato tiranno di Mitilene da Dario per meriti acquisiti.
Quando a Mileto si decise la rivolta contro i Persiani, Coe fu lapidato dai Greci.
234 La correggia è una striscia di cuoio annodata usata prevalentemente da cintura. Qui
fungeva da calendario, come spiegato in seguito.
235 Euro è il vento proveniente da est. Secondo la mitologia greca, Eolo, dio dei venti, ebbe
da Zeus il compito di controllare i venti, che avevano provocato molti danni, tra cui il
distaccamento della Sicilia dal continente. Tra i venti, c’erano quattro fratelli, figli di Astreo
(Cielo stellato) e di Eos (Aurora), favorevoli alla navigazione: il violento Borea dal nord, il
dolce Zefiro, vento da ovest, il caldo e piovoso Austro o Noto da sud, il portatore di bel
tempo Euro da est.
236 Cfr. nota 152.
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affaccia sullo stesso mare ed è montuoso237 fino al Ponto: lo abitano i Tauri,
fino al Chersoneso cosiddetto “roccioso”238, che si estende verso il mare in
direzione del vento di levante. E infatti sono due i tratti di confine scitico che
corrono lungo il mare, a sud e a est, proprio come avviene in Attica; e in un
certo senso si potrebbe dire che i Tauri vivono nella Scizia come nell’Attica
un eventuale popolo distinto dagli Ateniesi che abitasse il Capo Sunio239 nel
suo tratto più proteso sul mare, dal demo di Torico a quello di Anaflisto240; il
paragone vale, naturalmente, con le debite proporzioni. Tale è il territorio
dei Tauri. Per chi non abbia mai navigato lungo tali coste dell’Attica, mi
spiegherò con un altro esempio: sarebbe come se un popolo distinto dagli
Iapigi tagliasse fuori una parte della Iapigia241, partendo da Brindisi fino a
Taranto, e abitasse il promontorio. Ho fatto due esempi, ma potrei citare
molti altri territori cui la Tauride242 somiglia.
100. Al di là della Tauride, vivono gli Sciti, al di sopra dei Tauri e lungo il
mare orientale, come pure a ovest del Bosforo Cimmerio e della Palude
Meotide sino al fiume Tanai, che sfocia in una insenatura di questo lago 243. A
partire poi dall’Istro la Scizia superiore, verso l’interno, è delimitata prima
dagli Agatirsi, poi dai Neuri, dagli Androfagi e infine dai Melancleni244.
101. Dunque la Scizia ha la forma di un quadrato245, con due lati prospicienti
il mare, sicché le sue dimensioni sono uguali, tanto nell’interno quanto
lungo la costa: dall’Istro al Boristene dieci giorni di viaggio, dal Boristene
alla Palude Meotide altri dieci; e venti giorni dal mare verso l’interno fino al
paese dei Melancleni, che abitano sopra gli Sciti. Una giornata di viaggio la
calcolo di circa duecento stadi: in tal modo i lati trasversali della Scizia
237 In realtà solo le coste meridionali della Crimea sono montagnose.
238 Chersoneso (Taurico, o Scitico) era un toponimo usato per indicare una penisola,
l’odierna Crimea. Per la precisione, il luogo citato da Erodoto corrisponde alla penisola di
Kerc (Kerch) che si estende fino al «mare esposto al vento di levante» cioè al Bosforo
Cimmerio e al Mar d’Azov. In alcune traduzioni, infatti, si trova «fino alla penisola
Trachea», anziché «fino al Chersoneso cosiddetto “roccioso”»: Trachea significa “aspra”.
239 Capo Sunio è l’estrema punta sud dell’Attica, su cui era uno dei più famosi templi della
Grecia, che, dedicato a Poseidone, era visibile da grande distanza.
240 Capo Sunio è l’estrema punta sud dell’Attica, su cui era uno dei più famosi templi della
Grecia, che, dedicato a Poseidone, era visibile da grande distanza.
241 La Iapigia (o Japigia) era la regione corrispondente all’attuale Puglia (Italia), abitata da
un popolo di probabile origine illirica dal II millennio a.C. Il nome fu attribuito dai Greci,
che considerarono gli Iapigi discendenti del mitico Dedalo tramite suo figlio Iapige.
Erodoto descrive la Iapigia come vista dal mare e come parte di un più vasto territorio. Il
percorso da Brindisi (in alcune traduzioni citata con l’antico nome di «porto di Brentesio»)
a Taranto corrispondeva a un giorno di viaggio.
242 Odierna Crimea, in Ucraina.
243 Lago o palude.
244 Gli Agatirsi vivevano nella Transilvania occidentale (cfr. cap. 48); i Neuri nella parte
orientale del palatinato di Leopoli, Belza e Volinia; gli Androfagi e i Melancleni non lontano
da Mosca.
245 In realtà, la Scizia si estendeva su un territorio un po’ più vasto di quanto raccontato da
Erodoto. Per la misura di uno stadio, cfr. note 99 e 167.
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dovrebbero misurare 4000 stadi e altrettanti anche i lati perpendicolari alla
costa verso l’interno. Tale è dunque l’ampiezza di questo paese.
102. Gli Sciti, rendendosi conto che da soli non potevano respingere in
campo aperto l’esercito di Dario, inviarono messaggeri alle popolazioni
confinanti, i cui re, a loro volta riunitisi, discutevano sul da farsi, vista
l’entità dell’esercito invasore: erano convenuti i re dei Tauri, degli Agatirsi,
dei Neuri, degli Androfagi, dei Melancleni, dei Geloni, dei Budini e dei
Sauromati246.
103. Fra queste popolazioni i Tauri hanno le seguenti abitudini: sacrificano
alla vergine i naufraghi e i Greci catturati anche al largo; fanno così:
cominciato il rito di consacrazione, colpiscono la vittima sulla testa con un
bastone. Secondo alcuni gettano poi il corpo della vittima giù da una rupe
(in effetti il santuario sorge su di una rupe) e ne piantano la testa su di un
palo. Altri concordano sul trattamento riservato alla testa, ma sostengono
che il corpo non viene scagliato giù dalla rupe bensì seppellito nella terra.
Sono i Tauri stessi ad affermare che la divinità a cui offrono questi sacrifici è
Ifigenia, la figlia di Agamennone247. Ecco come si comportano con i nemici
presi prigionieri: gli tagliano la testa e se la portano ciascuno a casa propria,
poi la piantano su di un lungo bastone e la sistemano sul tetto della casa,
bene in vista, per lo più sopra il comignolo; tali trofei, dicono, vengono
innalzati come custodi di tutta la casa. I Tauri vivono di saccheggio e di
guerra.
104. Gli Agatirsi248 amano molto il lusso e spesso portano ornamenti d’oro;
con le donne si uniscono comunitariamente per essere tutti fratelli tra loro e
per impedire l’esistenza di invidie e odi reciproci, essendo tutti parenti. Per
246 Questi popoli sono già stati nominati nei capp. 17-22, tranne gli Agatirsi (cap. 48) e i
Geloni, che erano sciti agricoltori di origine greca. Erodoto li descrive nei capitoli seguenti.
247 Il mito è notissimo grazie alla tragedia di Euripide, Ifigenia in Tauride. Ifigenìa (o
Ifianassa) era figlia di Agamennone e di Clitemnestra. Al padre, l’oracolo suggerì di
immolarla alla dea Artemide (Diana), perché, avendo Agamennone ucciso per sfida una
cerva, la dea, incollerita, impediva la partenza dei marinai dalla città di Aulide, sulle coste
della Beozia, per Troia. Al momento del sacrificio, la dea si impietosì e salvò la giovane
sostituendola con una cerva. Le navi riuscirono a prendere il mare e tutti credettero che
Ifigenia fosse morta ma la dea l’aveva portata in Tauride, per farne la propria
sacerdotessa. Anni dopo Oreste, figlio di Agamennone, dopo aver ucciso la madre
Clitemnestra per vendicare la morte del padre, venne a sapere che per placare le Erinni
materne avrebbe dovuto conquistare la statua di Artemide in Tauride e portarla ad Argo.
Oreste si recò in Tauride con l’amico Pilade, ma i due vennero catturati dal re Toante che
usava sacrificare tutti gli stranieri che giungevano nel suo paese. I prigionieri vennero
affidati ad Ifigenia che riconobbe il fratello ed escogitò un espediente per fuggire.
Asserendo che la statua era stata contaminata dai prigionieri, ebbe la possibilità di recarsi
sulla spiaggia per compiere una purificazione portando con sé sia la statua che Oreste e
Pilade. Parlando di un rito segreto riuscì ad essere lasciata sola con i prigionieri e realizzò
così un piano di fuga.
248 Cfr. nota 129.
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gli altri costumi si avvicinano ai Traci.
105. I Neuri249 possiedono usi sciti. Una generazione prima della spedizione
di Dario dovettero abbandonare l’intera regione a causa dei serpenti. In
effetti la loro terra era già ben ricca di serpenti, ma ancora di più ne scesero
dal nord, dalle zone desertiche; finché i Neuri, duramente infastiditi,
andarono ad abitare con i Budini lasciando il loro paese. Non è escluso che
questi uomini siano degli stregoni: in effetti gli Sciti e i Greci residenti in
Scizia raccontano che una volta all’anno ciascuno dei Neuri si trasforma in
lupo per pochi giorni, poi di nuovo riprende il proprio aspetto250. Di questa
storia non riescono davvero a convincermi, nondimeno la raccontano, e
giurano di dire la verità.
106. Gli Androfagi251 possiedono i costumi più selvaggi al mondo: non
praticano la giustizia, non possiedono alcuna legge. Sono nomadi, si
vestono alla maniera degli Sciti, ma parlano una lingua propria e sono gli
unici fra queste popolazioni a cibarsi di carne umana.
107. I Melancleni si vestono tutti di nero, che è poi la spiegazione del loro
nome, e seguono le consuetudini degli Sciti.
108. I Budini252, popolo grande e numeroso, hanno tutti gli occhi azzurri e i
capelli rossi. C’è nel loro paese una città di legno, che si chiama Gelono: il
muro di cinta misura su ogni lato trenta stadi, è alto e interamente di legno,
e di legno sono pure le case e i santuari; in questa città si trovano infatti
santuari di divinità greche, abbelliti alla maniera greca con statue, altari e
templi di legno; ogni due anni celebrano feste in onore di Dioniso e riti
bacchici. In effetti i Geloni anticamente erano Greci che, respinti dai loro
empori, erano andati a stabilirsi fra i Budini. E parlano una lingua che è un
misto di greco e di scita.
109. I Budini non parlano la stessa lingua dei Geloni, e neppure il sistema di
vita è lo stesso; perché i Budini sono una popolazione autoctona, nomade,
e, unici in tutta la regione, si nutrono di pinoli, mentre i Geloni lavorano la
terra, si cibano di frumento, possiedono orti, si distinguono sia per l’aspetto
fisico sia per il colore della pelle. Dai Greci anche i Budini vengono chiamati
Geloni, ma si tratta di un errore. Il loro paese è interamente ricoperto di
boschi di ogni specie; nella maggiore di queste selve c’è un lago vasto e
profondo, circondato da paludi e canneti. Nel lago si catturano lontre e
249 Cfr. note 41 e 144.
250 L’accenno alla loro trasformazione in lupo è la più antica notizia a noi giunta sulla
licantropia.
251 Gli Androfagi non sono di razza scitica (cap. 18); il nomadismo e il cannibalismo che li
caratterizzano possono far forse pensare a una tribù finnica.
252 Cfr. nota 53.
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castori e altri animali dal muso quadrato253, le cui pelli vengono cucite
insieme a formare pellicce, mentre i testicoli risultano utili per curare le
malattie dell’utero.
110. Ed ecco quanto si racconta dei Sauromati 254. Quando i Greci
combatterono contro le Amazzoni (gli Sciti chiamano le Amazzoni Oiorpata,
nome che in greco significa “quelle che uccidono i maschi”: oior vuol dire
“maschio” e pata “uccidere”)255, si dice che, dopo aver vinto la battaglia del
Termodonte256, i Greci rientravano allora con la flotta, conducendo su tre
navi tutte le Amazzoni che erano riusciti a catturare; ma esse in mare
aperto assalirono gli uomini e li sterminarono. Non conoscevano però le navi
e non sapevano come governare il timone, manovrare le vele e i remi; così,
dopo aver trucidato tutti i maschi, procedevano alla deriva, in balia delle
onde e del vento, finché non giunsero alla Palude Meotide e precisamente a
Cremni257; Cremni appartiene al paese degli Sciti liberi. Qui le Amazzoni
sbarcarono e si avviarono verso il territorio abitato. Subito si imbatterono in
una mandria di cavalli, che rubarono; una volta a cavallo presero a razziare
i beni degli Sciti.
111. Gli Sciti non riuscivano a capire la faccenda: non conoscevano né la
lingua né l’abbigliamento né la razza delle Amazzoni, pieni di stupore si
chiedevano da dove mai fossero usciti quei tipi; credevano che fossero
maschi in giovanissima età, e ingaggiarono battaglia con loro. Poi, dopo la
battaglia, gli Sciti si impadronirono dei cadaveri e si accorsero così che si
trattava di donne. Si consultarono sul da farsi e decisero di smettere
assolutamente di ucciderle e di mandare da quelle donne i loro ragazzi più
giovani, tanti quante calcolavano che fossero esse. I giovani dovevano
accamparsi vicino alle Amazzoni e comportarsi esattamente come le
Amazzoni; se esse li attaccavano non dovevano battersi, ma fuggire;
quando l’inseguimento fosse cessato, dovevano tornare ad accamparsi
vicino a loro. Escogitarono tale tattica gli Sciti, perché desideravano avere
figli da quelle donne.
112. I giovani inviati eseguirono gli ordini ricevuti. Quando le Amazzoni
compresero che erano venuti senza intenzioni ostili, li lasciarono in pace: e
giorno dopo giorno un accampamento si accostava sempre di più all’altro.
Essi non possedevano nulla, come le Amazzoni, tranne le armi e i cavalli; e
253 Forse alci.
254 Già citati (e annotati) nei capp. 21, 57 e 102.
255 L’etimologia erodotea è inesatta, perché oior significa sì uomo, ma pata è da collegare
all’iranico pataya, padrone, quindi oiorpata significherebbe “padrone degli uomini”. Le
abitudini delle donne dei Sauromati (cap. 117) ricordavano ai Greci quelle delle mitiche
Amazzoni.
256 Cfr. nota 216.
257 Cremni (“luogo degli scogli”) è identificato nella penisola che separa il Mar d’Azov dal
Mar Nero, ovvero la Crimea.
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vivevano allo stesso modo delle donne, di caccia e di rapina.
113. Verso mezzogiorno le Amazzoni si disperdevano, da sole oppure in
coppia, allontanandosi le une dalle altre per soddisfare i propri bisogni.
Quando se ne accorsero, anche gli Sciti presero a fare lo stesso, e qualcuno
riuscì ad avvicinare una di queste Amazzoni isolate, che non lo respinse,
permettendogli anzi di intrattenersi con lei. Non potendo parlargli, dato che
non si comprendevano, gli fece capire a gesti di tornare il giorno dopo in
quello stesso luogo e di portare con sé anche un altro, indicando di venire in
due; anche lei avrebbe portato una compagna. Il giovane tornò al proprio
campo e raccontò agli altri l’accaduto; il giorno dopo tornò nel posto
indicato conducendo con sé un compagno e trovò la prima Amazzone ad
aspettarlo con una seconda. Gli altri giovani, quando vennero a saperlo, si
ammansirono a loro volta le Amazzoni restanti.
114. In seguito unirono gli accampamenti e abitarono insieme, ciascuno con
la donna a cui si era unito la prima volta. I mariti non furono capaci di
imparare la lingua delle mogli, ma le mogli compresero il linguaggio dei
mariti. Quando riuscirono a capirsi fra di loro, gli uomini dissero alle
Amazzoni: «Noi abbiamo genitori e anche dei beni; smettiamola dunque di
condurre questo genere di vita e torniamo a vivere con tutta la gente; come
mogli avremo voi e non altre». Ma esse a tale proposta risposero: «Noi non
potremmo abitare insieme con le vostre donne: le nostre usanze e le loro
sono ben differenti; noi tiriamo con l’arco, scagliamo lance, andiamo a
cavallo e non abbiamo mai imparato i lavori femminili; invece le vostre
donne delle cose che abbiamo detto non ne fanno nessuna: attendono
invece ai lavori femminili restando sui carri, a caccia non ci vanno, non si
muovono mai. Non potremmo andare d’accordo con loro. Perciò se volete
tenerci come mogli e mostrarvi giusti, andate dai vostri genitori, prendete la
parte dei beni che vi spetta e tornate qui; dopodiché ce ne vivremo per
conto nostro». I giovani si convinsero e agirono così.
115. Quando ebbero ottenuta la parte dei beni loro spettante e furono
tornati dalle Amazzoni, le donne dissero ancora: «Noi abbiamo paura, anzi
terrore, di dover vivere in questo paese, dopo avervi sottratto ai vostri padri
e dopo i molti danni arrecati ai vostri territori. Voi ci ritenete degne di
esservi mogli, ecco allora come dobbiamo fare, noi e voi insieme:
allontaniamoci da questo paese, andiamo ad abitare al di là del Tanai». E
anche in questo i giovani obbedirono.
116. Attraversato il Tanai, si avviarono in direzione del levare del sole per
tre giorni di viaggio a partire dal Tanai, poi dalla Palude Meotide per altri tre
giorni si diressero verso nord. Quando giunsero nella località dove tutt’oggi
dimorano, vi si insediarono. E da allora le donne dei Sauromati vivono
secondo le antiche abitudini: vanno a caccia a cavallo, assieme ai mariti e
anche senza di loro, vanno in guerra e sono abbigliate esattamente come i
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maschi.
117. I Sauromati parlano la lingua degli Sciti, ma con qualche errore, fin da
principio, perché le Amazzoni non l’avevano imparata bene. Ed ecco cosa è
stabilito per le nozze: nessuna fanciulla può sposarsi se non ha prima ucciso
un uomo in guerra. Alcune di loro, non riuscendo a soddisfare tale compito,
muoiono vecchie senza essersi sposate.
118. Giunti dai sovrani, riuniti, dei popoli ora elencati, i messaggeri sciti
presero la parola spiegando che il re persiano, dopo aver sottomesso tutti i
paesi dell’altro continente, aveva gettato un giogo sul collo del Bosforo ed
era passato nel loro continente. Dopodiché aveva soggiogato i Traci e
gettato un ponte sul fiume Istro, desiderando fare suoi anche tutti questi
territori. «Voi», dissero, «non statevene da parte tranquilli, non permettete
la nostra distruzione: uniamo i nostri intenti e affrontiamo l’invasore.
Pensate di non farlo? Noi, se ci schiacciano, o abbandoniamo il nostro paese
oppure vi resteremo, ma venendo a patti col nemico. Che altro dovremmo
fare, se non intendete aiutarci? Ma la vostra sorte, in questo caso, non sarà
certo migliore: perché il re persiano è qui contro di voi non meno che contro
di noi, e non si accontenterà di avere sottomesso noi, non vi risparmierà di
certo. E ve ne portiamo una solida prova. Se il Persiano si fosse mosso solo
contro di noi, nel desiderio di vendicarsi della antica schiavitù, avrebbe
dovuto attaccare unicamente il nostro territorio e tenersi lontano dagli altri:
sarebbe stata la dimostrazione agli occhi di tutti che l’attacco era diretto
contro gli Sciti e non contro gli altri. Invece, da quando è passato in questo
continente, sta sottomettendo tutte le popolazioni che incontra sulla sua
strada. Ha già assoggettato i Traci e, in particolare, i Geti, che sono nostri
confinanti».
119. Di fronte a questo messaggio degli Sciti, i re intervenuti dalle varie
popolazioni si consultarono fra loro, e le opinioni risultarono divergenti. I re
dei Geloni, dei Budini e dei Sauromati la pensavano allo stesso modo e
promisero agli Sciti di aiutarli, invece i re degli Agatirsi, dei Neuri e degli
Androfagi, nonché quelli dei Melancleni e dei Tauri, risposero agli Sciti
quanto segue: «Se non foste stati voi per primi ad agir male nei confronti
dei Persiani e a cominciare la guerra, ora le vostre parole, la vostra
richiesta, ci sembrerebbero giuste e prestandovi ascolto condivideremmo il
vostro destino. Ma si dà il caso che voi abbiate invaso la Persia senza di noi
e dominato sui Persiani per tutto il tempo che il dio vi ha concesso; ora i
Persiani, e li ridesta il medesimo dio, vi restituiscono la cortesia. Per parte
nostra, noi non ci siamo macchiati di torto allora, contro questi uomini, e
neppure adesso lo faremo per primi. Se il re persiano assalirà anche il
nostro paese, dando lui inizio all’ingiustizia, noi certo non subiremo
passivamente. Ma fino a quel momento saremo spettatori, in tranquilla
attesa; a dire il vero siamo convinti che i Persiani non sono qui per
combattere contro di noi, ma solo contro quanti a suo tempo si macchiarono
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di colpe».
120. Tale risposta fu riferita agli Sciti; come l’ebbero appresa, essi decisero
di non ingaggiare mai battaglia in campo aperto, dato che questi alleati gli
venivano a mancare; decisero invece di dividersi in due gruppi e di
arretrare, di ritirarsi lentamente e progressivamente, interrando i pozzi e le
sorgenti presso cui passavano e distruggendo la vegetazione che cresceva
dalla terra. A uno dei due contingenti, a quello guidato dal re Scopasi, si
sarebbero aggregati i Sauromati; insieme, se i Persiani si fossero diretti
verso di loro, avrebbero dovuto ritirarsi, fuggendo dritti verso il Tanai lungo
la Palude Meotide; quando poi i Persiani fossero tornati indietro, avrebbero
dovuto inseguirli e incalzarli. Questo contingente comprendeva solo una
delle tre parti del regno ed era assegnato al settore che ho detto. Le altre
due parti, al comando di Idantirsi, la maggiore, e di Tassaci, la terza258, si
sarebbero unite, accogliendo anche i Geloni e i Budini, e ritirate a loro volta,
precedendo di un giorno di cammino i Persiani, sottraendosi al contatto e
mettendo così in esecuzione il piano prestabilito. Innanzitutto dovevano
ripiegare in direzione dei paesi che avevano rifiutato l’alleanza, per
coinvolgere anche loro nel conflitto. Non avevano voluto spontaneamente
entrare in guerra contro i Persiani? Ce li avrebbero spinti contro la loro
volontà. Poi dovevano retrocedere verso la Scizia e passare al contrattacco
se, consultandosi, lo avessero ritenuto opportuno.
121. Con tale piano di guerra gli Sciti affrontarono l’esercito di Dario,
mandando in avanscoperta i migliori cavalieri. E fecero partire intanto sia i
carri, in cui vivono i loro figli e tutte le donne, sia tutto il bestiame, a
eccezione di quanto bastava per il loro sostentamento (solo questi animali
trattennero), con l’ordine di procedere sempre in direzione nord.
122. Mentre carri e bestiame erano in viaggio, le avanguardie degli Sciti
avvistarono i Persiani a tre giorni di distanza dall’Istro; avvistàtili si
accamparono a un giorno di cammino da loro cominciando a distruggere
tutti i prodotti della terra. I Persiani, come videro apparire la cavalleria degli
Sciti, le si slanciarono contro, sulle tracce dei cavalli in continuo
ripiegamento; e finirono per dargli la caccia dritti verso levante e verso il
fiume Tanai (era il primo dei due gruppi di Sciti quello che attaccavano). Gli
Sciti attraversarono il Tanai e così fecero i Persiani, che erano alle loro
calcagna, finché, oltrepassato il paese dei Sauromati, non giunsero in quello
dei Budini.
123. Durante il tempo in cui avanzavano in Scizia e nel territorio dei
Sauromati, i Persiani non avevano nulla da saccheggiare, dato che la terra
era incolta; una volta entrati nel paese dei Budini, vi trovarono la città dalle
mura di legno, svuotata completamente e abbandonata dai Budini, e la
258 Per il re Idantirsi, cfr. cap. 76. Tassaci (o Taxacis) era un suo generale.
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diedero alle fiamme. Fatto ciò, proseguirono, sempre tallonando gli Sciti,
finché, percorso tutto il paese, giunsero nel deserto. Questo deserto è
totalmente disabitato: si estende a nord del territorio dei Budini per ben
sette giornate di cammino. Oltre il deserto vivono i Tissageti 259, dal cui
paese provengono quattro grandi fiumi che scorrono attraverso il paese dei
Meoti per andare a sfociare nel lago cosiddetto Meotide; si tratta del Lico,
dell’Oaro, del Tanai e del Sirgi260.
124. Ebbene, quando Dario giunse nel deserto, fermò la sua corsa e fece
accampare l’esercito sulle rive dell’Oaro; quindi ordinò la costruzione di otto
grandi fortezze, dislocate a uguale distanza l’una dall’altra (circa sessanta
stadi), le cui rovine esistevano ancora ai miei tempi261. Mentre egli
attendeva a questi lavori, gli Sciti in fuga rientrarono nella Scizia compiendo
un largo giro verso nord. Visto che gli Sciti erano del tutto scomparsi e non
si vedevano proprio più, Dario lasciò le fortezze, costruite a metà, e arretrò
verso ovest; credeva che quelli fossero tutti gli Sciti e che stessero
ripiegando verso occidente.
125. Spingendo in gran fretta il suo esercitò arrivò in Scizia e qui subito si
imbatté in entrambi i contingenti; trovatili, si gettò al loro inseguimento, ma
essi si tenevano costantemente a una giornata di distanza. Dario non
cessava di incalzarli e gli Sciti, secondo il loro piano, si ritiravano in
direzione dei popoli che avevano rifiutato l’alleanza, cominciando dal paese
dei Melancleni. Sciti e Persiani vi penetrarono e lo sconvolsero, poi gli Sciti
guidarono i Persiani verso il territorio degli Androfagi; messolo sottosopra,
condussero i Persiani nella terra dei Neuri, vi portarono la rovina e andarono
poi verso gli Agatirsi. Gli Agatirsi, vedendo che anche i loro vicini
scappavano a causa degli Sciti e subivano gravi danni, prima che
piombassero nel loro territorio, inviarono agli Sciti un araldo con
l’intimazione di non oltrepassare i loro confini; se avessero tentato di farlo,
avvertivano, per prima cosa avrebbero dovuto combattere contro di loro.
Lanciato l’avvertimento, gli Agatirsi accorsero a presidiare i confini, bene
intenzionati a difendersi dagli invasori; invece i Melancleni, gli Androfagi e i
Neuri non avevano impugnato le armi quando Sciti e Persiani insieme
avevano fatto irruzione nel loro paese: dimentichi delle minacce
pronunciate, erano fuggiti uno dopo l’altro disordinatamente verso il nord,
verso il deserto. Gli Sciti, dopo l’intimazione degli Agatirsi, rinunciarono a
penetrare nelle loro contrade e dal paese dei Neuri attirarono i Persiani nel
259 Cfr. nota 55.
260 Il Lico (o Lycus), fiume della Sarmazia che sfocia nel Mar d’Azov (Palude Meotide), è oggi
chiamato, in ucraino, Kalmius. L’Oaro (o Oarus, o Opharus) è generalmente identificato
con il fiume Volga, anche se sfocia nel Mar Caspio e non nel Mar d’Azov. Il Tanais è, come
si sa, il Don. Il Sirgi (o Sirgis) è probabilmente il Kuban, che è il secondo maggior fiume
che sfocia nel Mar d’Azov, ma qualcuno ritiene sia il Donec (Donets): cfr. nota 157.
261 Dario non avrebbe avuto né il motivo, né il tempo per costruire queste fortezze in Scizia.
È probabile che la tradizione popolare giunta a Erodoto associasse a Dario alcuni tumuli.
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proprio.
126. Visto che la faccenda andava per le lunghe e non aveva l’aria di voler
cessare, Dario inviò un cavaliere presso il re degli Sciti Idantirsi col
seguente messaggio: «Sciagurato individuo, perché continui a fuggire?
Davanti a te hai due possibilità. Se ti ritieni capace di opporti alla mia
potenza, fermati, smetti di vagare qua e là e combatti; se invece ti riconosci
inferiore, allora cessa comunque di correre, porta in dono al tuo signore
terra e acqua e vieni a colloquio con me».
127. Al che il re degli Sciti Idantirsi rispose: «Per me, Persiano, le cose
stanno così: io prima d’ora non sono mai fuggito per paura davanti a
nessuno e nemmeno adesso sto scappando davanti a te. E attualmente non
faccio niente di diverso da quanto faccio di solito anche in tempo di pace. E
ti spiego pure per quale motivo non mi misuro subito con te: noi non
possediamo città, né terre coltivate, per le quali nel timore che vengano
espugnate o devastate dobbiamo correre a scontrarci in battaglia. Se
proprio fosse necessario arrivare rapidamente a tanto, noi abbiamo le
tombe dei nostri antenati262. E allora trovàtele, queste tombe, tentate di
devastarle e saprete immediatamente se per esse ci batteremo o meno;
prima, se non ci sembra il caso, rifiuteremo lo scontro. Questo valga per la
battaglia; quanto ai miei padroni io credo di avere come tale soltanto Zeus,
mio antenato, ed Estia, regina degli Sciti. A te, poi, invece di terra e acqua
in dono, ti manderò regali che più ti si addicono; e in cambio del fatto che
hai detto di essere mio padrone, io ti dico di andare in malora». (E questa è
la risposta degli Sciti).
128. L’araldo partì per portare a Dario il messaggio, ma intanto i re sciti
erano pieni di rabbia per aver udito la parola “schiavitù”. Inviarono dunque il
contingente a cui erano aggregati i Sauromati e di cui era a capo Scopasi
con l’ordine di avviare trattative con gli Ioni che sorvegliavano il ponte
sull’Istro. Gli Sciti rimasti decisero di mettere fine al vagare qua e là dei
Persiani e di attaccarli ogni volta che tentassero di procurarsi vettovaglie.
Spiarono dunque il momento in cui gli uomini di Dario cercavano di fare
provviste e agivano come stabilito. E sempre la cavalleria scita metteva in
fuga la cavalleria persiana: i cavalieri persiani cercavano riparo, a precipizio,
presso la fanteria, che li avrebbe volentieri soccorsi; ma gli Sciti, dopo aver
disperso la cavalleria nemica, si ritiravano per timore dei fanti. Gli Sciti
compivano incursioni del genere anche di notte.
129. Alleati dei Persiani contro gli Sciti che assalivano l’accampamento di
Dario si rivelarono, e dirò una cosa molto sorprendente, il raglio degli asini e
l’aspetto dei muli. In effetti, come anche sopra ho spiegato, nella Scizia non
esistono né asini né muli; in tutto il territorio scitico non ci sono neppure un
262 Le tombe reali erano nel paese dei Gerri, cfr. cap 71 ss.
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asino e neppure un mulo, a causa del gran freddo. Insomma gli asini con le
loro bizze scompigliavano la cavalleria degli Sciti; spesso nel bel mezzo di
un attacco contro i Persiani, i cavalli, come udivano gli asini ragliare, si
impaurivano, recalcitravano, attoniti, rizzando le orecchie, sia perché non
avevano mai udito prima la voce degli asini, sia perché non ne avevano mai
visto l’aspetto; e questo fatto costituì per i Persiani un piccolo vantaggio
bellico.
130. Gli Sciti, quando vedevano i Persiani in preda allo sconforto, per
trattenerli più a lungo in Scizia e perché, permanendovi, soffrissero per la
totale mancanza di risorse, facevano così. Lasciavano indietro ogni volta
delle greggi con qualche pastore e di nascosto si ritiravano altrove; i
Persiani sopraggiunti avrebbero razziato il bestiame e con ciò ripreso
fiducia.
131. La manovra si ripeté più volte; infine Dario non sapeva più che fare.
Allora i re sciti, che se ne accorsero, gli inviarono un araldo a portargli dei
doni: un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. I Persiani interrogarono
l’emissario sul significato dei doni, ma lui rispose di aver solo ricevuto
l’ordine di consegnarli e di tornare indietro al più presto; e invitava i
Persiani, se erano sapienti, a indovinare cosa volessero dire quei regali.
Udito ciò, i Persiani si consultarono fra loro.
132. Il parere di Dario era che gli Sciti in tal modo mettevano nelle sue
mani se stessi, la terra e l’acqua, basandosi sul fatto che il topo vive sulla
terra, nutrendosi come l’uomo, e la rana nell’acqua, e che l’uccello somiglia
molto al cavallo; quanto alle frecce, le interpretava come una resa
dell’esercito. Tale fu l’opinione espressa da Dario; opposto fu il parere di
Gobria, uno dei sette uccisori del Mago263; secondo Gobria i doni volevano
dire: «Persiani, se trasformati in uccelli non cercherete protezione in cielo, o
trasformati in topi non vi sprofonderete sotto terra, o trasformati in rane
non andrete a tuffarvi negli stagni, trafitti da queste frecce non potrete più
tornare nel vostro paese».
133. Mentre così i Persiani cercavano di interpretare quei doni, la frazione
dell’esercito scitico precedentemente assegnata a sorvegliare la Palude
Meotide giungeva proprio allora al fiume Istro per trattare con gli Ioni.
Appena arrivati al ponte, gli Sciti tennero questo discorso: «Ioni, noi
veniamo a portarvi la libertà, sempre che vogliate starci ad ascoltare.
Sappiamo che Dario vi ha ordinato di sorvegliare il ponte per soli sessanta
giorni, e di tornare nel vostro paese se lui non si presenta entro questo
termine. Ecco dunque come potrete regolarvi per essere esenti da colpe ai
suoi occhi e ai nostri: restate qui i giorni stabiliti e poi andatevene». Questi
Sciti dunque, quando gli Ioni ebbero promesso di fare così, si ritirarono in
263 Cfr. nota 107.
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tutta fretta.
134. Invece gli Sciti rimasti indietro attesero che i doni giungessero a Dario
e gli si schierarono di fronte alla fanteria e alla cavalleria, come per
attaccarlo264. Ma le file serrate degli Sciti furono attraversate da una lepre: e
ciascuno di loro come la vedeva le dava la caccia. Visto che gli Sciti
rompevano lo schieramento fra urla e clamore, Dario volle sapere cosa fosse
quello scompiglio fra i nemici; ma quando apprese che essi stavano
inseguendo una lepre, si rivolse ai suoi abituali interlocutori e osservò:
«Questi uomini ci disprezzano assai; e adesso mi sembra che Gobria abbia
detto bene circa i doni degli Sciti. Insomma, visto che ora anch’io la penso
così, ci occorre un buon piano per garantirci una ritirata sicura». Al che
Gobria disse: «Mio re, io già quasi le sapevo, per averne sentito parlare, le
difficoltà che avremmo incontrate con queste genti, e ben di più me ne sono
reso conto qui, vedendo che loro si fanno beffe di noi. Pertanto ecco cosa
ritengo meglio fare: non appena scende la notte, accendiamo i fuochi come
al solito; poi, mentendo a quei soldati che sono troppo deboli per affrontare
un lungo viaggio265, impastoiamo tutti gli asini266 e allontaniamoci, prima che
gli Sciti, marciando dritti sull’Istro, arrivino a distruggere il ponte, oppure
prima che gli Ioni prendano una decisione tale da rovinarci».
135. Questo fu il parere di Gobria; più tardi, quando scese la notte, Dario
mise in pratica il suggerimento; i soldati sfiniti dalla fatica e quelli la cui
perdita era meno grave li lasciò in quello stesso accampamento, con tutti gli
asini impastoiati; le ragioni per cui abbandonò gli asini e gli uomini deboli
erano le seguenti: gli asini perché ragliassero, gli uomini proprio per la loro
debolezza; il pretesto addotto fu che Dario si apprestava ad attaccare gli
Sciti col meglio dell’esercito e loro nel frattempo avrebbero dovuto
presidiare l’accampamento. Impartite tali disposizioni a quelli che lasciava
indietro, Dario ordinò di accendere i fuochi e si allontanò rapidamente in
direzione dell’Istro. Gli asini, isolati dal grosso, ragliavano per questo ancora
più forte, sicché gli Sciti, sentendoli, pensavano che i Persiani si trovassero
sempre lì.
136. Quando fu giorno, gli uomini abbandonati si accorsero di essere stati
traditi da Dario; allora tendevano le mani verso gli Sciti e cercavano di
spiegare la situazione; appena messi al corrente, gli Sciti raccolsero in fretta
le loro forze, il gruppo formato dai due terzi degli Sciti e quello unito ai
264 La traduzione di questo passo è ambigua, nel senso che la fanteria e la cavalleria
potrebbero essere sia dei Persiani che degli Sciti: «gli Sciti... si schierarono contro la
fanteria e la cavalleria persiane...» oppure «gli Sciti... presero posizione contro i Persiani
con fanti e cavalieri». Erodoto non ha però mai accennato a una fanteria scitica.
265 Abbandonare i soldati ritenuti incapaci era stato uno stratagemma usato contro i
Massageti, descritti da Erodoto nel Libro I, mentre qui si rivela una necessità.
266 Cioè legare una fune alle zampe anteriori degli animali per evitarne l’allontanamento.
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Sauromati, ai Budini e ai Geloni267, e si gettarono all’inseguimento dei
Persiani puntando verso l’Istro. Dato che l’esercito persiano era composto di
fanti che non conoscevano i percorsi e strade tracciate non ne esistevano,
mentre l’esercito scita era composto di cavalieri e conosceva bene anche le
scorciatoie, finirono per non incontrarsi: e gli Sciti giunsero al ponte molto
prima dei Persiani. Quando seppero che i Persiani non erano ancora arrivati,
dicevano agli Ioni che stavano sulle navi: «Ioni, i giorni del vostro computo
sono trascorsi e voi non vi comportate giustamente restando ancora qui. Ma
visto che prima aspettavate per paura, adesso smontatelo, su, questo
passaggio e andatevene via al più presto, liberi, felici, grati agli dèi e agli
Sciti. Quanto a colui che prima era il vostro padrone noi lo ridurremo in tale
stato che non farà mai più guerra a nessuno».
137. Di fronte a tale invito gli Ioni presero consiglio. L’Ateniese Milziade 268,
stratego e tiranno dei Chersonesiti d’Ellesponto, era dell’idea di obbedire agli
Sciti e rendere libera la Ionia. Ma Istieo di Mileto espresse un parere
opposto: in quel momento, sosteneva, ciascuno di loro era tiranno di una
città grazie a Dario269; una volta dissolta la potenza di Dario, lui, Istieo, non
sarebbe più stato in condizione di governare Mileto e lo stesso sarebbe
accaduto agli altri: infatti ogni città avrebbe preferito darsi un regime
democratico che non restare sotto un tiranno. Istieo esponeva la sua
opinione e tutti si schierarono con lui, mentre prima avevano caldeggiato la
proposta di Milziade.
138. A votare così, tutte persone che godevano della considerazione del re,
furono i tiranni dei Greci d’Ellesponto Dafni di Abido, Ippocle 270 di Lampsaco,
Erofanto di Pario271, Metrodoro di Proconneso, Aristagora di Cizico272 e
Aristone di Bisanzio273: questi erano dell’Ellesponto; dalla Ionia invece
267 Il primo gruppo era capeggiato dal re Idantirsi e da Taxacis (cap. 120), l’altro dal re
Scopasi (cap. 128).
268 L’aristocratico ateniese Milziade (550?-488 a.C.) si proclamò governatore della penisola
di Gallipoli (antico Chersoneso Tracico; oggi, in turco, Gelibolu Yarimadası) intorno al 520
a.C. come raccontato da Erodoto in VI, 39-41. Spodestato nel 492 a.C., si rifugiò ad
Atene, dove fu eletto come uno dei dieci generali (strategoi) della città-stato. Rinomato
per la sua tattica militare e la sconfitta dei Persiani a Maratona, Milziade fu ferito in una
guerra (perduta) contro i Persiani e morì di cancrena.
269 Con la conquista a opera del re persiano Ciro, le città della Ionia (cfr. nota 222), pur
conservando una certa autonomia erano soggette ai satrapi, diretti sottoposti del re di
Persia, tra cui fu Istieo di Mileto, che, attorno al 500 a.C. (quindi dopo il fatto qui
raccontato da Erodoto), guidò la ribellione contro il dominio persiano. Con l’aiuto di Atene,
i rivoltosi si spinsero fino a Sardi, incendiandola, evento che provocò un’immediata
controffensiva persiana. Istieo fu catturato e giustiziato, Mileto fu distrutta e l’egemonia
della Persia sul territorio ionico nuovamente ristabilita.
270 O Ippoclo.
271 O Paro.
272 Aristagora di Cizico (ucciso intorno al 497 a.C.) fu tiranno di Mileto e perciò detto anche
Aristagora di Mileto. Erodoto ne parla in VI, 1-9.
273 Erodoto ne parla anche in VI, 51 e 61-65.
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venivano Stratti di Chio274, Eace di Samo275, Laodamante di Focea276 e Istieo
di Mileto, l’antagonista di Milziade. Dell’Eolia277 c’era soltanto un personaggio
famoso, Aristagora di Cuma278.
139. Costoro, dunque, avendo approvato l’idea di Istieo, decisero di
regolarsi così, a parole e in concreto: di smontare il ponte dalla parte degli
Sciti, ma solo per la lunghezza di un tiro di freccia, tanto per dare
l’impressione di star facendo qualcosa, mentre in realtà non facevano nulla,
e perché gli Sciti non tentassero con la forza di attraversare il fiume
servendosi del ponte; di affermare, mentre smontavano il ponte dalla parte
della Scizia, che si sarebbero comportati come piaceva agli Sciti. Questo
aggiunsero al parere di Istieo, poi agli Sciti rispose Istieo per tutti: «Sciti –
disse – siete venuti a portarci ottimi consigli e a tempo debito. Voi ci
indicate la migliore via da seguire e noi vi secondiamo come si deve. Come
vedete, stiamo smontando il passaggio e ce la metteremo tutta, perché
vogliamo essere liberi. Però, mentre noi smontiamo il ponte, per voi è il
momento di cercare quegli altri, di trovarli e di prender vendetta per noi e
per voi stessi, come si son meritato».
140. Per la seconda volta gli Sciti credettero che gli Ioni dicessero la verità e
si gettarono alla ricerca dei Persiani, ma si sbagliarono completamente sul
percorso da quelli seguito. La colpa fu degli Sciti stessi, che avevano
distrutto i pascoli dei cavalli e interrato le sorgenti in tutta la regione. In
effetti, se non lo avessero fatto, avrebbero avuto la possibilità, volendo, di
scovare i Persiani a occhi chiusi; ora invece le decisioni che avevano creduto
buone si rivelarono un errore. Gli Sciti cercarono i Persiani nel proprio paese
attraverso i territori dove c’erano acqua e foraggio per i cavalli, credendo
che anche i Persiani si ritirassero lungo questo percorso; i Persiani, invece,
stettero bene attenti a seguire le tracce del loro precedente passaggio,
ritrovando il guado, ciò nonostante, a stento. Poiché giunsero di notte e
trovarono il ponte smontato, furono colti da autentico panico all’idea che gli
Ioni li avessero abbandonati.
141. Ma c’era con
del mondo: Dario
gran voce Istieo
appello, ricollocò
ponte.
Dario un uomo, un Egiziano, dotato della voce più potente
gli ordinò di piazzarsi sulla riva dell’Istro e di chiamare a
di Mileto. Quello eseguì e Istieo, obbedendo al primo
tutte le navi per traghettare l’esercito, ricomponendo il
142. In tal modo i Persiani trovarono scampo; gli Sciti che li stavano
274 Erodoto ne parla anche in VIII, 132.
275 Figlio di Silosonte, fratello di Policrate, il quale riconquistò Samo con l’aiuto di Dario (III,
139 ss.). Erodoto lo cita anche in VI, 13-25.
276 Citato anche in V, 81.
277 Cfr. nota 223.
278 Citato anche in V, 37.
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cercando li mancarono per la seconda volta. E ora giudicano gli Ioni, in
quanto uomini liberi, i più malvagi e vigliacchi del mondo; altrimenti,
valutandoli come schiavi, li dicono fedelissimi ai loro padroni, molto poco
inclini a liberarsene. Tali sono gli insulti che da allora gli Sciti riservano agli
Ioni.
143. Dario marciando attraverso la Tracia giunse a Sesto nel Chersoneso279;
di là passò in Asia con le navi, lasciando in Europa, col grado di stratego,
Megabazo280, un Persiano; a Megabazo una volta Dario aveva concesso un
riconoscimento grandissimo, pronunciando di fronte ai Persiani parole assai
lusinghiere: Dario stava mangiando delle melagrane, e aveva appena aperto
la prima, quando suo fratello Artabano281 gli chiese che cosa avrebbe
desiderato possedere che uguagliasse in numero i semi della melagrana. E
Dario rispose che avrebbe preferito avere altrettanti Megabazo piuttosto che
la sottomissione della Grecia. Con tali parole tanto lo aveva allora onorato
fra i Persiani; e in questa circostanza lo lasciò comandante in capo con un
esercito di 80.000 uomini.
144. Megabazo lasciò imperitura memoria di sé presso gli abitanti
dell’Ellesponto grazie a una sua frase: giunto a Bisanzio e venuto a sapere
che i Calcedoni si erano stabiliti in quella regione diciassette anni prima dei
Bizantini282, sentenziò che i Calcedoni erano stati ciechi per altrettanti anni;
se non fossero stati ciechi infatti non avrebbero scelto come loro sede il
luogo peggiore, avendo a disposizione il migliore. Questo Megabazo, lasciato
colà come stratego, cercava di sottomettere tutti gli abitanti dell’Ellesponto
che non parteggiavano per i Persiani.
145. Mentre Megabazo operava in tal senso, contemporaneamente un’altra
grande spedizione armata raggiungeva la Libia283, per la ragione che
spiegherò dopo aver premesso le seguenti informazioni. Alcuni discendenti
279 L’antica colonia lesbia di Sesto era sulla riva dell’Ellesponto (stretto dei Dardanelli);
caduta sotto il dominio persiano, fu la prima città liberata dagli Ateniesi nel 479-478 a.C.
Legato alla città è il mito di Ero e Leandro, due giovani innamorati che abitavano sulle
opposte rive dello stretto. Ogni notte Leandro attraversava a nuoto il mare che separava
le città di Sesto e di Abido per raggiungere l’amata. Una notte che il mare era in tempesta
non volle rinunciare all’incontro e morì tra i flutti.
280 Megabazo (in greco, Megàbazos) era un generale del re di Persia. Dopo il ritorno di Dario
dalla spedizione scitica (513 a.C.), assoggettò la Tracia, ottenendo anche la sottomissione
della Macedonia. Inoltre, mise in guardia Dario dagli intrighi di Istieo, che poco dopo
provocarono l’insurrezione degli Ioni (cfr. nota 269).
281 Cfr. note 108 e 206.
282 Sia Calcedonia che Bisanzio erano colonie di Megara (città dorica nell’Attica occidentale);
la prima fu fondata nel 674, la seconda nel 657 a.C.
283 La spedizione citata è quella compiuta da Ariande, satrapo dell’Egitto, contro la città di
Barce, in Cirenaica, che avvenne nel 510 a.C. contemporaneamente all’invasione della
Tracia, ed è narrata ai capp. 200-205. Erodoto la userà come pretesto per raccontare la
geografia dell’Africa settentrionale.
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degli Argonauti284, scacciati dai Pelasgi285 che avevano rapito a Braurone286 le
donne ateniesi, scacciati cioè da Lemno287, si spinsero per mare verso
Sparta288, si sistemarono sul Taigeto289 e accesero dei fuochi. Gli Spartani li
videro e inviarono loro un messaggero, per sapere chi fossero e da dove
venissero; alle domande dell’inviato risposero di essere dei Mini, discendenti
degli eroi che avevano navigato sulla nave Argo290; gli Argonauti erano
appunto approdati a Lemno e avevano originato tale schiatta291. Gli
Spartani, dopo aver udito della ascendenza dei Mini, mandarono una
seconda volta a chiedere con quali intenzioni fossero venuti nel loro paese e
perché avessero acceso il fuoco; ed essi dichiararono di essere tornati dai
284 Gli Argonauti sono figure della mitologia greca. In numero di 45, 51 o 55 secondo le
fonti, parteciparono alla spedizione finalizzata alla conquista del “vello d’oro”, la pelle di
ariete che Ermes aveva donato a Nefele, sposa di Atamante, re dei Mini. Nefele venne
ripudiata da Atamante per sposare Ino, figlia del re Cadmo, che odiava i due figliastri, Elle
e Frisso, desiderando vedere un proprio figlio sul trono. Sospettando ciò, Nefele chiese
aiuto agli dèi ed Ermes mandò un ariete per prendere i ragazzi, ma durante il volo sullo
stretto tra Europa e Asia uno dei fratelli, Elle, cadde dal prodigioso animale e annegò in un
mare che divenne il “mare di Elle”, cioè l’Ellesponto. Frisso giunse invece in Colchide dove
fu ospitato dal re Eete al quale regalò il vello dell’animale quand’esso fu sacrificato nel
tempio di Zeus in onore degli dèi. Eete nascose il vello in un bosco vigilato da un drago
che non dormiva mai. Nel frattempo, Pelia, re di Iolco (in Tessaglia), aveva spodestato il
fratello Esone, padre del piccolo Giasone che fu messo in salvo dalla madre Alcimeda che
lo portò da Chirone, un centauro sapiente. Cresciuto, Giasone ritornò in Grecia per
reclamare il trono che gli spettava, ma Pelia disse che, se Giasone avesse recuperato il
vello d’oro, gli avrebbe ceduto il trono senza guerre. Perciò Giasone partì sulla nave Argo
con numerosi uomini per raggiungere la Colchide (cfr. nota 88) e, dopo molte avventure,
recuperò il vello grazie alla magia della figlia di Eete, Medea, che, innamoratasi di
Giasone, addormentò il drago custode. Dopo aver sposato Medea, Giasone tornò da Pelia
che gli rifiutò il trono e per questo fu ucciso da Medea. I due fuggirono fino a Corinto, dal
re Creonte, dove Giasone sposò sua figlia Glauce per dare al re un erede. Medea si
vendicò sterminando tutta la nuova famiglia di Giasone, che, disperato, si suicidò.
285 Con Pelasgi si indicavano i gruppi che parlavano una lingua diversa dal greco e
precedettero gli Elleni, dimorando in zone dell’Anatolia, del Mar Egeo e della Grecia, ma in
seguito, con Pelasgi si indicarono anche le popolazioni indigene pre-indoeuropee del
Caucaso e dell’Asia Minore. In questo passo, Erodoto si riferisce ai Pelasgi della Tracia.
286 Braurone era una località sulla costa orientale dell’Attica. Deve il suo nome al culto per la
dea Artemide Brauronia: qui le fanciulle ateniesi di età inferiore ai dieci anni servivano la
dea per un anno. Questo obbligo, durante il quale le fanciulle erano soprannominate
arktoi (orsette), era spiegato narrando che un orso aveva preso l’abitudine di entrare in
Braurone e, nutrito dalla popolazione, era diventato mansueto. Tuttavia, una giovine
infastidì l’orso che la uccise, ma fu a sua volta ucciso dal fratello della ragazza. La dea
Artemide si incollerì e pretese che, per punizione, le fanciulle la servissero nel santuario.
287 Lemno (o Lemnos) è un’isola collinosa nella parte settentrionale del Mar Egeo, poco
lontana dagli stretti del Mar di Marmara. I primi abitanti dell’isola furono i popoli di origine
tracia. Secondo la mitologia, Zeus prese per un piede Efesto e lo scagliò giù dall’Olimpo.
Efesto rotolò per un giorno intero (o, secondo altri miti, per nove giorni e nove notti),
fermandosi sull’isola di Lemno, dove gli Scinti, popolazione locale, lo raccolsero e lo
curarono. Efesto rimase zoppo ma fu riconoscente agli Scinti e insegnò loro a forgiare il
ferro. A Lemno approdarono anche gli Argonauti, trovandovi le Amazzoni.
288 Sparta (o Lacedemone) è una città della Grecia situata nel Peloponneso meridionale, tra
i rilievi del Parno e del Taigeto. L’antica Sparta, che sorgeva vicino all’attuale, si sviluppò
nel X secolo a.C. dalla fusione di quattro villaggi dorici: Cinosura, Limnai, Pitana e Mesoa.
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loro antenati292 perché espulsi da Lemno a opera dei Pelasgi; a sentir loro
tale ritorno era senz’altro legittimo; chiedevano di coabitare con gli Spartani
partecipando delle loro prerogative, in una porzione di territorio assegnata a
sorte. Gli Spartani decisero di accogliere i Mini alle condizioni desiderate: ad
agire così li convinse soprattutto il fatto che alla spedizione di Argo avevano
preso parte i figli di Tindaro293. Accolsero i Mini, gli diedero dei terreni e li
distribuirono fra le varie tribù. Essi ben presto sposarono ragazze del luogo
e concessero ad altri come mogli le donne che si erano portate con sé da
Lemno.
146. Ma non passò molto tempo che i Mini cominciarono a comportarsi in
maniera insolente: pretesero di partecipare al regno e compirono vari altri
gesti empi. Finché gli Spartani, avendo deciso di eliminarli, li catturarono
tutti e li gettarono in una prigione. Gli Spartani eseguono solo di notte le
eventuali sentenze capitali, di giorno mai294. L’uccisione era comunque
imminente quando le mogli dei Mini, che erano cittadine di Sparta e figlie
degli Spartiati più illustri, chiesero il permesso di entrare nelle prigioni per
parlare ciascuna col proprio marito; e la richiesta fu accolta nella
convinzione che non celasse alcun inganno. Le donne, come furono dentro,
ecco cosa fecero: scambiarono i loro abiti con quelli dei mariti, sicché i Mini
travestiti, fingendosi donne, poterono uscire; scappati via con quel trucco, si
accamparono nuovamente sul monte Taigeto.
289 Il Taigeto è una catena montagnosa che si erge nel Peloponneso, separa la Laconia dalla
Messenia e domina la città di Sparta. Omero la definì «grandissima» e gli autori bizantini
«montagne dalle cinque dita». La cima più alta, Taleton, era anticamente dedicata al Sole,
mentre ora ha il nome del profeta Elia. Nell’antichità, sul monte Taigeto venivano
abbandonati i bambini nati deformi.
290 I Mini erano gli abitanti della Tessaglia dominati dal re Atamante, ai quali appartenevano
anche Pelia e Giasone (cfr. nota 284).
291 Gli Argonauti trovarono Lemno abitata da donne, che avevano ucciso gli uomini per
vendicarsi di essere trascurate. Soltanto il re Toante era riuscito a fuggire grazie all’aiuto
di sua figlia Ipsipile, la quale accolse poi gli Argonauti. Questi ebbero figli con le donne
lemnie e perciò i rifugiati a Sparta si dichiaravano discendenti degli Argonauti, anzi Mini,
poiché questi erano una stirpe della Tessaglia, la regione da cui erano partiti.
292 Infatti molti Argonauti erano originari del Peloponneso: Periclimeno di Pilo, Eufemo del
Tenaro e in particolare i Tindariti, ricordati poco dopo, cioè Castore e Polluce, figli di
Tindaro, re di Sparta.
293 Figura mitologica, Tindaro (o Tindareo) era figlio di Ebalo e di Batea (o, in altre versioni,
di Periere e di Gorgofone) ed era il re di Sparta. Destituito dal fratellastro Ippocoonte,
fuggì presso re Testio di Calidono. Testio aveva due figlie: Altea, che sposò Oineo, e Leda,
che sposò Tindaro ed ebbe quattro figli: Castore, Polluce, Elena e Clitennestra, ma,
secondo il mito, Castore ed Elena erano figli di Zeus, che aveva sedotto Leda sotto le
spoglie di un maestoso cigno. Per riconquistare il trono, Tindaro si alleò con Eracle (o
Ercole per i Romani) e vinse il fratellastro. Intanto la bellezza di Elena aveva richiamato
moltissimi pretendenti e Tindaro si fece giurare da ognuno di loro che, chiunque fosse
stato il fortunato sposo, sarebbe corso in suo aiuto in caso di necessità. Il prescelto fu
Menelao e, quando Paride rapì Elena dando inizio alla guerra di Troia, Tindaro fece appello
al suo giuramento per farsi aiutare.
294 Era un’usanza realmente seguita a Sparta, più per tenere segreti gli affari si stato che
per pietà verso i condannati.
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147. Proprio in quei giorni, Tera, figlio di Autesione e nipote di Tisamene che
a sua volta era figlio di Tersandro e nipote di Polinice, partiva da Sparta per
andare a fondare una colonia. Questo Tera, di stirpe cadmea 295, era zio
materno dei figli di Aristodemo, Euristene e Procle296. Finché i nipoti erano
bambini, mantenne per loro la reggenza di Sparta, ma quando furono
cresciuti ed ebbero assunto il potere, Tera, che aveva assaporato il piacere
del comando, non tollerò di prendere ordini da altri: dichiarò che non
sarebbe rimasto a Sparta ma si sarebbe messo in mare per raggiungere
gente della sua stirpe. Nell’isola che oggi si chiama Tera, ma che un tempo
era detta Calliste, vivevano alcuni discendenti del fenicio Membliareo, figlio
di Pecile. In effetti all’isola oggi nota come Tera era approdato il figlio di
Agenore, Cadmo, alla ricerca di Europa; vi aveva fatto scalo e, sia che il
luogo gli fosse piaciuto sia che altre ragioni lo invogliassero a farlo, vi aveva
lasciato alcuni Fenici, fra cui Membliareo che apparteneva alla sua famiglia.
Costoro abitarono l’isola detta Calliste per otto generazioni, prima dell’arrivo
di Tera proveniente da Sparta.
148. Era verso queste genti che intendeva dirigersi Tera con una piccola
schiera formata fra le varie tribù, per abitare assieme a loro, non per
mandarli via, ma realmente con intenzioni amichevoli. Ebbene, dal
momento che i Mini, scappati dalle prigioni, si erano stabiliti sul Taigeto e gli
Spartani volevano ucciderli, Tera chiese di evitare una strage e si impegnò
personalmente a condurli fuori del paese. Gli Spartani accettarono la
295 Secondo la mitologia greca, il fondatore di Tebe fu Cadmo, figlio di Agenore e di
Telefassa (o secondo altre versioni Argiope o Antiope). Cadmo aveva due fratelli (Cilice e
Fenice) e due sorelle (Europa e Asterione). La bellissima sorella Europa fu rapita da Zeus,
celato sotto le sembianze di un toro, e Agenore mandò i figli a cercarla, dicendo loro di
non tornare senza Europa. Nel corso delle loro peregrinazioni, i tre figli fondarono città
ovunque: Fenice fu il capostipite dei Fenici, Cilice quello dei Cilici, Cadmo si stabilì in
Beozia costruendo Cadmea, la rocca di Tebe. In particolare, Cadmo (dal fenicio qadmon,
antico), alla ricerca di Europa, si fermò all’isola di Tera (o Thera – oggi Santorini, nelle
Cicladi – chiamata anche, come primo nome o come appellativo, Kallistè, o Calliste, cioè
“bellissima”) e vi lasciò alcuni compagni, fra cui il consanguineo Membliareo. Costoro
abitarono l’isola, secondo Erodoto, per otto generazioni prima dell’arrivo di Tera (oppure
Theras), figlio di Autesione e reggente di Sparta. Tuttavia, l’esatta genealogia di Tera non
è chiara, poiché egli risulta essere un discendente dell’argonauta Eufemo di Tenaro, figlio
di Poseidone e di Europa. Eufemo era il marito di Laonome, sorella di Eracle (Ercole), e
aveva la facoltà di camminare sulle acque. Durante il viaggio alla ricerca del vello d’oro,
Tritone offrì agli Argonauti una zolla di terra, che Eufemo accettò. In seguito la zolla cadde
in mare, dando origine all’isola di Tera. Medea profetizzò che Eufemo avrebbe un giorno
governato la Libia; ebbe infatti da Malache un figlio, Leucofane, che fu antenato di Batto,
fondatore di Cirene. In V, 58 Erodoto ha scritto che Cadmo introdusse tra i Greci «molte
novità e in particolare l’alfabeto».
296 La sorella di Tera, Argia, era sposata ad Aristodemo, figlio di Aristomaco e discendente di
Eracle, e fu madre di Euristene e Procle, che ricevettero in eredità dal padre il trono di
Sparta e dettero vita alle due dinastie regali (Agiade ed Euripontidi). Erodoto spiega le
origini della diarchia in VI, 52.
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proposta, sicché Tera partì, con tre penteconteri297, per raggiungere i
discendenti di Membliareo conducendo con sé anche i Mini; non tutti però,
anzi pochi: i più in effetti si diressero verso i Paroreati e i Cauconi 298 e li
scacciarono dai loro territori, dove poi, divisisi in sei gruppi, fondarono sei
città, Lepreo, Macisto, Frisse, Pirgo, Epio e Nudio299; ma quasi tutte queste
città sono state messe a sacco dagli Elei ai miei tempi. L’isola di Calliste fu
poi chiamata Tera dal nome del suo colonizzatore.
149. Suo figlio però si era rifiutato di partire con lui; allora Tera affermò che
lo avrebbe lasciato “pecora fra i lupi” e da questa espressione derivò al
ragazzo il soprannome di Eolico300, che poi finì per prevalere. Di Eolico fu
figlio Egeo, da cui prende nome la grande tribù spartana degli Egidi 301. Agli
uomini di questa tribù i figli non sopravvivevano; allora, consigliati da un
oracolo, eressero un tempio dedicato alle Erinni di Laio e di Edipo 302. In
seguito lo stesso (accadde) anche a Tera ai discendenti di questi uomini.
150. Sin qui le versioni degli Spartani e dei Terei coincidono, gli avvenimenti
successivi li narrano come segue i soli Terei. Grinno figlio di Esanio,
discendente di Tera e re dell’isola omonima, si recò a Delfi portando dalla
sua città cento buoi da sacrificare303; lo accompagnavano altri concittadini,
fra i quali Batto, figlio di Polimnesto, della stirpe del Minio Eufemo 304. E
mentre Grinno, re dei Terei, la consultava su altre questioni, la Pizia 305 gli
297 Navi con cinquanta rematori.
298 I Paroreati costituivano un popolo che abitava il distretto della Trifilia, tra Arcadia ed
Elide (cfr. nota 66). I Cauconi abitavano il Peloponneso occidentale dall’epoca preistorica
(cfr. I, 147).
299 Lepreon (o Lepreum), Makistos (anticamente chiamata anche Platanistous), Friza e la
vicina Frixa, Pirgo (o Pirgos, o Pyrgos), Epion (o Epium, o Epeum), Nudium (o Noudium)
erano state fondate in luoghi strategici del Peloponneso occidentale, nell’odierna provincia
di Olimpia.
300 In altre traduzioni è Oiolico, dalla fusione di ois e lycos, cioè pecora e lupo.
301 Gli Egidi (tribù dell’Egeo) furono i fondatori del culto di Apollo Carneo a Sparta. Le
Carnèe erano le feste celebrative di Apollo protettore degli animali. Nel corso della festa,
che durava nove giorni, avvenivano gare musicali e poetiche e gare a premio di atletica
tra giovani che portavano grappoli d’uva sulla testa. I risultati erano considerati presagi
per il futuro.
302 Poiché Eolico era figlio di Tera, egli risultava un discendente di Laio ed Edipo. Infatti,
secondo il famoso mito, Edipo aveva involontariamente ucciso il padre Laio e sposato la
madre Giocasta e successivamente aveva maledetto i figli Eteocle e Polinice (avo di Tera:
cfr. cap. 147) che non lo rispettavano. Le Erinni (Furie, per i Romani) erano le
personificazioni femminili della vendetta.
303 I re di Tera avevano anche funzioni sacerdotali.
304 Batto I – diciassettesimo discendente di Giasone, capo dei Mini (Argonauti): cfr. note
284 e 295 – era il soprannome del fondatore della colonia di Cirene, sulle coste della Libia
quasi al confine con l’Egitto. Il vero nome era Aristotele o Aristeo ed era stato esiliato
dalla nativa Tera per motivi politici insieme alla sua fazione. Giunto in Libia, fondò Cirene
e ne fu il sovrano assoluto per quarant’anni. Alcuni storici hanno detto che il soprannome
“Batto” viene dal fatto che balbettava, altri (come Erodoto: cfr. cap. 155) che deriva dalla
parola libica che designava il re (batto).
305 Cfr. nota 36.
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rispose invitandolo a fondare una città in Libia. E Grinno ribatté: «Signore,
io sono un po’ vecchiotto e pesante per muovermi; ordinalo a uno di questi
giovani di intraprendere l’impresa». E mentre rispondeva così indicava
Batto. Questo è quanto accadde allora; più tardi, dopo il loro ritorno, non
tennero più conto del responso: neppure sapevano dove si trovasse la Libia
e non avevano il coraggio di inviare dei coloni senza una destinazione
definita.
151. Per sette anni, a partire da allora, non cadde pioggia sull’isola di Tera e
in quei sette anni tutte le piante dell’isola, tranne una, seccarono. I Terei
consultarono l’oracolo e la Pizia rinfacciò loro la colonia in Libia. Visto che al
loro male non esisteva rimedio, inviarono a Creta dei messi per scoprire se
qualcuno del luogo, nativo di Creta o straniero residente 306, fosse mai stato
in Libia. Nel compiere il giro dell’isola i messi giunsero alla città di Itano307;
qui presero contatto con un pescatore di porpore 308, di nome Corobio, il
quale dichiarò di essere giunto in Libia, e precisamente nell’isola di Platea 309,
trascinato dai venti. I messi lo allettarono con una ricompensa e lo
condussero a Tera; da Tera poi partirono alcuni uomini in esplorazione, non
in molti, inizialmente. Quando Corobio li ebbe condotti nella sunnominata
isola di Platea, lo lasciarono lì, con provviste per un determinato numero di
mesi, dirigendosi in gran fretta verso Tera per riferire sull’isola ai loro
concittadini.
152. Ma si assentarono per più tempo di quello previsto, sicché a Corobio
venne a mancare tutto; più tardi una nave di Samo, in navigazione verso
l’Egitto agli ordini di Coleo, fu trascinata dai venti fino all’isola di Platea. I
Sami, appreso da Corobio per filo e per segno l’accaduto, gli lasciarono
provviste per un anno; essi poi salparono dall’isola decisi a raggiungere
l’Egitto, ma venivano portati fuori rotta dal vento di Levante. E siccome il
vento non calava, finirono per attraversare le Colonne d’Eracle e giungere a
Tartesso310, con la scorta di un dio. A quell’epoca l’emporio di Tartesso era
306 “Straniero residente” o “forestiero abitante” corrisponde, in Erodoto, alla parola meteco,
che ricorre solo in questo passo e non ha un senso specifico, se non quello di non cretese.
307 Itano (ora Paleocastro) è sulla corta costa orientale dell’isola di Creta. Nel XIII secolo i
Veneziani vi costruirono una fortezza, non più esistente.
308 La porpora (Haustellum brandaris) è un mollusco, in conchiglia, appartenente alla
famiglia dei Muricidae. È una delle specie da cui i Romani estraevano la porpora per
colorare i tessuti. Scrisse Plinio il Vecchio: «Il migliore dell’Asia è quello di Tiro; di Gerba
quello dell’Africa, e sulla spiaggia del mare di Getulia; in Laconia quello d’Europa. Di
questo sono ornati i fasci e le scuri Romane, e sempre questo dà maestà alla giovinezza.
Distingue il senatore dal cavaliere; è utilizzato per placare gli dei, e fa risplendere ogni
veste [...] Le porpore si prendono con strumenti simili a nasse, piccoli e con maglie
larghe, gettati in profondità».
309 L’isola di Platea fu scoperta intorno al 700 a.C.: si tratta dell’odierna isola di Bomba, nel
golfo omonimo, nella Cirenaica storica (parte orientale della Libia).
310 Tartesso è un’antica città-stato protostorica dell’Iberia meridionale, di ubicazione incerta,
probabilmente nei pressi della foce del Guadalquivir e ora forse sotto il livello del mare.
Nell’VIII secolo a.C. fu conquistata dai Fenici, ma in seguito riacquistò un certo
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vergine, sicché i Sami, al loro ritorno, ricavarono dalle merci il profitto più
elevato fra i Greci di cui abbiamo notizia precisa; dopo naturalmente
Sostrato di Egina figlio di Laodamante311, con il quale nessuno è in grado di
gareggiare. Come decima dei guadagni i Sami prelevarono sei talenti di
bronzo e ne fecero un grande vaso, nella forma di un cratere argolico, con
all’esterno teste di grifi in rilievo a scacchiera. Lo dedicarono nel tempio di
Era appoggiandolo su tre giganti di bronzo alti sette cubiti, inginocchiati. A
questa impresa risalgono i solidissimi vincoli di amicizia che legano
Cirenei312 e Terei ai cittadini di Samo.
153. Quando i Terei che avevano lasciato Corobio a Platea giunsero a Tera,
proclamarono di aver colonizzato un’isola in Libia. Allora i Terei decisero di
inviare coloni, col criterio di un fratello tirato a sorte ogni due da tutti i loro
distretti che sono sette; e decisero che loro guida, e anche re, fosse Batto.
In tal modo spedirono a Platea due penteconteri313.
154. Questo lo raccontano i Terei; circa gli avvenimenti successivi i Terei
concordano senz’altro con i Cirenei; ma i Cirenei riferiscono assai
diversamente le vicende di Batto; ecco la loro versione. In Creta sorge la
città di Oasso314; a Oasso visse un re, Etearco315, il quale aveva una figlia, di
nome Fronima, che rimase orfana di madre; per lei allora Etearco decise di
risposarsi. Ma la nuova moglie pensò bene di essere a pieno titolo matrigna
di Fronima, procurandole guai e macchinando di tutto contro di lei: la
accusò persino di dissolutezza riuscendo a convincere il marito che le cose
stavano proprio come lei sosteneva. Etearco, messo su dalla moglie, meditò
ai danni della figlia un empio progetto. Si trovava a Oasso un mercante di
Tera, Temisone; Etearco lo ospitò a pranzo a casa sua e lo impegnò con
giuramento a rendergli il servizio che gli avesse chiesto. Quando ebbe
giurato, Etearco condusse da lui la figlia e gliela consegnò, con l’invito a
portarsela via e a gettarla in mare. Temisone si disgustò per l’inganno del
giuramento, sciolse il rapporto di ospitalità ed ecco che fece: presa con sé la
ragazza, salpò e quando fu al largo, liberandosi dal vincolo del giuramento,
legò la ragazza con delle funi e la lanciò in mare; quindi la issò a bordo e se
ne tornò a Tera.
predominio. I Greci di Focea – oggi Foça, città sull’estrema propaggine turca, nel golfo di
Izmir – fondarono due colonie in Spagna, Mainake (presso Malaga) e Hemeroskopeion
(presso Denia) per favorire il commercio con Tartesso. Città che furono distrutte dai
Cartaginesi. Erodoto parla di Focea e Tartesso anche in I, 163.
311 Laodamante era il re di Tebe che guidò gli Epigoni contro la sua città (cfr. nota 70).
312 Cirene (presso l’attuale villaggio di Shabhat) era il nome dell’antica città portuale,
fondata dai Greci nel 630 a.C., situata nell’odierna Libia presso il confine con l’Egitto (cfr.
nota 304).
313 Cfr. nota 297.
314 Oasso (od Oaxo) era l’odierno villaggio di Axos, a metà strada tra Iraklion (o Candia) e
Rethymno, che fu un’antica e importante città costruita dai Greci Dori intorno al Mille a.C.
315 Di Etearco, re degli Ammoni, Erodoto parla in II, 32-33. La storia degli Ammoni è
raccontata dal cap. 181 di questo libro.
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155. In seguito Fronima se la prese come concubina Polimnesto, un
personaggio autorevole a Tera. Passò del tempo e la ragazza diede alla luce
un figlio impedito nella parola e balbuziente, al quale, secondo quanto
narrano Terei e Cirenei, fu posto nome Batto316; io credo peraltro che avesse
un altro nome, mutato poi in Batto, dopo il suo arrivo in Libia, sulla base
dell’oracolo emesso per lui a Delfi e grazie all’onore che gliene derivò. In
effetti i Libici chiamano “batto” il re e io credo che la Pizia vaticinando gli si
sia rivolta in lingua libica perché sapeva che sarebbe diventato re in Libia.
Infatti, quando fu adulto, Batto si recò a Delfi per consultare l’oracolo a
proposito della sua voce, e la Pizia, interrogata, gli rispose: «Batto sei qui
per la voce, ma Febo Apollo ti manda nella Libia nutrice di armenti quale
fondatore di colonia», che è come se in greco gli avesse detto: «O re, sei
venuto per la tua balbuzie...». Lui replicò: «Signore, sono venuto fino a te
per interrogarti sulla mia favella, e tu mi profetizzi l’impossibile,
ordinandomi di colonizzare la Libia! E con quali mezzi, con quali forze?». Ma
le sue parole non persuasero certo l’oracolo a un diverso responso; e visto
che otteneva sempre la stessa risposta Batto piantò lì tutto e fece ritorno a
Tera.
156. Da allora a lui personalmente e agli altri cittadini di Tera tutto andava
storto. I Terei, non comprendendo il senso delle loro sciagure, mandarono a
Delfi una delegazione per chiedere lumi sulle presenti disgrazie; e la Pizia
sentenziò che, se avessero colonizzato Cirene in Libia insieme con Batto,
avrebbero avuto migliore sorte. Allora i Terei fecero partire Batto con due
penteconteri. Gli inviati navigarono fino alla Libia, ma quando poi, non
sapendo che altro fare, tornarono a Tera, i Terei li respinsero via, non li
lasciarono accostare a terra, anzi intimarono loro di ripartire per la Libia.
Essi, costretti a farlo, raggiunsero di nuovo la Libia e colonizzarono nei suoi
pressi un’isola, quella chiamata, come si è detto, Platea317. E si dice che
l’isola sia grande come l’attuale città di Cirene.
157. Per due anni abitarono Platea senza che gliene venisse alcun
vantaggio, finché, lasciato sul posto uno di loro, gli altri si recarono tutti a
Delfi; qui giunti, si rivolsero all’oracolo, dichiarando che stavano abitando la
Libia, ma che, malgrado ciò, non ci avevano guadagnato nulla. La Pizia a
tale protesta rispose: «Se meglio di me tu conosci la Libia ricca di armenti,
tu senza esservi andato meglio di me che vi sono andato318, assai ti ammiro
per la tua sapienza». Udito il responso, Batto e suoi tornarono indietro; il
dio infatti non li scioglieva dall’obbligo di fondare una colonia, prima che
avessero raggiunto la Libia vera e propria. Arrivati nell’isola, raccolsero
316 Cfr. nota 304.
317 Cfr. nota 309.
318 Si sa da Pindaro (Pitica IX, 4 ss.) che Apollo era andato in Libia portandovi dalla
Tessaglia la ninfa Cirene, figlia di Ipseo, re dei Lapiti, di cui era innamorato, per farla
regina di una terra ricca di greggi.
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l’uomo che vi avevano lasciato e andarono a colonizzare un territorio del
continente libico, in faccia a Platea; tale località, attorniata da bellissime
alture boscose e bagnata da un fiume su uno dei lati, si chiama Aziri319.
158. Abitarono questo posto per sei anni; al settimo dei Libici, promettendo
loro di accompagnarli in una zona migliore, li convinsero ad abbandonare
Aziri e li guidarono da lì verso occidente. E perché i Greci non vedessero,
attraversandolo, il territorio più bello, calcolarono i tempi del viaggio in
modo da farveli transitare di notte; si tratta della regione detta di Irasa320. Li
condussero poi presso una sorgente, che si afferma sia di Apollo321 e
dissero: «O Greci, a voi conviene stanziarvi qui, perché qui il cielo è
forato»322.
159. Finché vissero Batto, il fondatore, che regnò per quaranta anni 323, e
suo figlio Arcesilao, che regnò per sedici, i Cirenei colà residenti rimasero
tanti quanti vi erano stati mandati a fondare la colonia. Sotto il terzo re,
Batto soprannominato Felice, la Pizia con un responso sollecitò tutti i Greci a
imbarcarsi per andare ad abitare con i Cirenei, in Libia; i Cirenei dal canto
loro li attiravano con la prospettiva di una spartizione delle terre. Ecco le
parole dell’oracolo: «Chi nella Libia assai amabile verrà dopo che la terra sia
stata divisa, dico che un giorno se ne pentirà». A Cirene dunque convenne
una gran massa di gente, sicché i Libici324 circostanti e il loro re (che si
chiamava Adicrane), vedendosi sottrarre molte terre e sentendosi derubati e
oltraggiati dai Cirenei, mandarono un messaggero in Egitto e si
consegnarono al re egiziano Aprieo325; Aprieo raccolse un grosso esercito di
Egiziani e lo inviò contro Cirene. Ma i Cirenei sconfinarono in armi nel
319 È Aziris, antica città greca in Cirenaica.
320 Irasa era una città in Cirenaica, di cui si conosce il re Anteo, il quale ebbe una figlia di
nome Alceis o Barce. Anteo è a volte identificato con l’omonimo gigante, figlio di
Poseidone e di Gea, che viveva in una spelonca nella valle del fiume Bagrada, presso
Zama, in Libia, cibandosi di carne di leone. Poiché la sua forza veniva accresciuta dalla
madre ogni volta che toccava terra, Eracle (Ercole) riuscì a uccidere il gigante Anteo
sollevandolo dal suolo.
321 Citata anche da Callimaco (Inno ad Apollo, 88) e da Pindaro (Pitica IV, 294), la “fonte di
Apollo” era una sorgente alla quale il dio accompagnò, trasformato in un corvo bianco, la
gente di Batto. Qui fu fondata una città ed eretto un tempio ad Apollo. La sorgente fu
dedicata alla ninfa Cirene che, nei boschi di mirto che accerchiavano i primi insediamenti,
si abbandonò alla passione con Apollo (cfr. nota 318).
322 Con “cielo forato” si allude forse alle abbondanti piogge nella zona di Cirene, in contrasto
con il resto del paese (cfr. cap. 185).
323 I regnanti di Cirene, fondata nel 631 a.C., furono: Batto I (631-590 a.C.), Arcesilao
(590-575 a.C.), Batto II, detto il Felice (o il Beato; 575-560 a.C.; durante il suo regno
avvenne l’attacco egiziano citato nel cap. 159), Arcesilao II il Difficile (560-550 a.C.),
Batto III lo Zoppo (550-530 a.C.), Arcesilao III (530-510 a.C.), Batto III il Bello (510-470
a.C.).
324 O Libi.
325 Erodoto parla di Aprieo (o Apries) in II, 162 ss. Aprieo fu il quarto faraone della XXVI
dinastia egizia, saita, succedendo al padre Psammetico II nel 588 a.C.
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territorio di Irasa dalle parti della sorgente di Teste326 e si scontrarono con
gli Egiziani, riportando la vittoria. Gli Egiziani, dato che non si erano mai
misurati con i Greci e combattevano con disprezzo della propria vita, furono
massacrati al punto che ben pochi di loro fecero ritorno in Egitto. Ne seguì
che gli Egiziani, rimproverandogli anche questa sconfitta, si ribellarono ad
Aprieo.
160. Figlio di Batto Felice fu Arcesilao il quale, come divenne re, per prima
cosa lottò contro i propri fratelli, finché questi, lasciando Cirene, se ne
andarono altrove in Libia a fondare di propria iniziativa la città che oggi si
chiama, come allora, Barca327. E mentre fondavano Barca sobillavano i Libici
contro i Cirenei. Più tardi Arcesilao marciò contro i Libici che li avevano
accolti, gli stessi appunto che si erano ribellati. I Libici, per paura di
Arcesilao, fuggirono verso le regioni orientali della Libia e Arcesilao li
incalzò, finché non li raggiunse a Leucone di Libia e i Libici non decisero di
scendere in campo. Nello scontro i Libici sbaragliarono i Cirenei, al punto
che 7000 soldati di Cirene caddero sul luogo della battaglia. Dopo questa
disfatta, Arcesilao, che stava male e aveva bevuto un farmaco, fu
strangolato dal fratello Learco328; Learco a sua volta fu ucciso a tradimento
dalla moglie di Arcesilao, che si chiamava Eryxo329.
161. Il regno passò nelle mani di Batto, figlio di Arcesilao, che era zoppo per
una malformazione al piede. I Cirenei, vista la disgrazia che li aveva colpiti,
mandarono a chiedere all’oracolo di Delfi con quale sistema di governo
avrebbero potuto vivere nel modo migliore330. La Pizia li esortò a far venire
da Mantinea in Arcadia un riformatore331. I Cirenei dunque fecero la richiesta
e i Mantinei mandarono un uomo fra i più illustri della città, di nome
Demonatte332. Arrivato a Cirene, costui studiò la situazione nei dettagli e
istituì tre tribù, dividendo i cittadini in base al seguente criterio: formò una
tribù con i Terei e i Perieci, una coi Peloponnesiaci e i Cretesi, la terza con
326 Questa fonte è forse quella di Apollo che Callimaco chiamò “Kyre” (cfr. nota 321).
327 Barca (o Barce) era un’antica città greca in Cirenaica (attuale Libia nord-orientale),
identificabile nella città di Al Marj.
328 Secondo Plutarco (Moralia, 260) Learco – amico del re e non fratello – fu ucciso per
motivi politici e per ordine del faraone Amasi, che era imparentato con lui (cfr. II, 181).
329 O Erisso.
330 L’instabilità di Cirene era dovuta all’aumento della popolazione (cap. 159), al disastro
militare a Leucon e alle faide reali (cap. 160).
331 Mantinea era una piccola città greca del sud-est dell’Arcadia, nel Peloponneso, famosa
per la bontà della sua costituzione. Polibio la ricorda fra le città dotate delle migliori leggi,
insieme a Sparta, Creta e Cartagine (VI, 43).
332 Di Demonatte di Mantinea, satrapo persiano insediatosi a Cirene intorno al 560-570 a.C.,
si ricordano le riforme citate da Erodoto e, più specificamente, la riorganizzazione della
“Grande Agorà”, a pianta parallelepipeda ed edifici pubblici perimetrali in seguito all’arrivo
di molti coloni di diverse etnie, religioni e stratificazioni sociali. Tra gli altri edifici, fu
costruito un santuario ipetrale (senza copertura centrale) dedicato a Demetra – dea del
grano e dell’agricoltura, protettrice del matrimonio e delle leggi sacre – e di sua figlia
Persefone.
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tutti gli isolani; poi riservò al re Batto soltanto le aree dei santuari e le
funzioni religiose, mettendo a disposizione del popolo tutte le altre
prerogative che prima spettavano ai re.
162. Così stavano le cose all’epoca del re Batto, ma sotto suo figlio Arcesilao
si produsse, sul problema delle prerogative, un grosso rivolgimento.
Arcesilao, figlio di Batto lo zoppo e di Feretime, dichiarò che non si sarebbe
attenuto agli ordinamenti di Demonatte di Mantinea e rivendicò gli stessi
privilegi appartenuti ai suoi antenati. Tentò quindi un colpo di stato, ma fu
sconfitto e dovette riparare a Samo, mentre sua madre si rifugiava a
Salamina di Cipro333. A quell’epoca a Salamina comandava Eveltonte, lo
stesso Eveltonte che consacrò il braciere di Delfi che si trova nel tesoro dei
Corinzi334, mirabile oggetto. Giunta presso di lui, Feretime chiese un esercito
che li scortasse a Cirene. Eveltonte in realtà era disposto a donarle
qualunque cosa tranne un esercito; Feretime, prendendo quanto le veniva
offerto, diceva che anche così andava bene, ma che sarebbe stato ancora
meglio se le avesse dato l’esercito richiesto. Rispondeva così ogni volta che
riceveva un regalo, finché Eveltonte le inviò in dono un fuso d’oro e una
conocchia, con tanto di lana; di fronte alla consueta risposta di Feretime,
Eveltonte replicò che erano quelli i regali adatti a una donna, non un
esercito.
163. Nel frattempo Arcesilao, che si trovava a Samo335, radunava uomini col
miraggio di una distribuzione delle terre. Raccolto un contingente notevole,
si recò a Delfi a consultare l’oracolo sul suo rientro in patria. E la Pizia gli
rispose: «Con quattro Batti e quattro Arcesilai, otto generazioni di uomini, il
Lossia336 vi concede di regnare su Cirene: più di tanto vi esorta a non
provarci neppure. Tu, dunque, torna nel tuo paese, ma stattene tranquillo. E
333 Situata a nord dell’isola di Cipro, Salamina fu il teatro della battaglia navale del 450 a.C.
tra i vittoriosi Ateniesi e i Persiani.
334 In I, 14 Erodoto descrive il tesoro dei Corinzi: «Ecco insomma come i Mermnadi avevano
conquistato il potere, sottraendolo agli Eraclidi. Gige, quando fu re, inviò rilevanti offerte a
Delfi, in pratica la maggior parte di tutte le offerte in argento che vi si trovano; e oltre
all’argento dedicò anche oro in grande quantità, fra cui è degna di menzione una serie di
sei crateri d’oro: oggi si trovano nel tesoro dei Corinzi e raggiungono un peso di trenta
talenti. Però a dire il vero il tesoro non appartiene allo stato di Corinto, bensì a Cipselo
figlio di Eezione. Gige fu il primo barbaro di cui abbiamo notizia a inviare offerte a Delfi
dopo Mida, figlio di Gordio, re di Frigia. Mida aveva consacrato il trono regale da cui
amministrava la giustizia, un oggetto che merita di essere visto: questo trono si trova
dove sono collocati anche i crateri di Gige. Gli abitanti di Delfi chiamano “Gigade”, dal
nome del donatore, l’oro e l’argento offerti da Gige. Quando ebbe il potere, anch’egli inviò
spedizioni militari contro Mileto e Smirne, ed espugnò la città di Colofone, ma non ci fu
nessuna altra impresa durante i 38 anni del suo regno, e anche di questa basterà aver
fatto menzione».
335 L’alleanza fra Arcesilao e Samo è documentata da una tetradramma (moneta) di Cirene,
che porta impressi la testa di leone, simbolo di Samo, e il silfio, pianta tipica di Cirene, di
cui Erodoto parla nel cap. 169 (cfr. nota 350).
336 È il dio Apollo. Erodoto ne parla in I, 91.
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se trovi il forno pieno di anfore, non le cuocere, ma falle partire con vento
propizio; se accenderai il forno non entrare nella “cinta dalle acque”,
altrimenti morirai tu stesso, assieme al toro più bello».
164. Tale fu la risposta della Pizia. Arcesilao prese con sé gli uomini reclutati
a Samo e rientrò a Cirene, e quando fu di nuovo padrone della situazione, si
scordò dell’oracolo: cominciò a vendicarsi dei suoi avversari, che lo avevano
costretto all’esilio. Alcuni di essi si allontanarono senz’altro dal paese, altri
furono catturati da Arcesilao e inviati a Cipro per essere uccisi. Questi ultimi
furono trascinati dai venti nel paese di Cnido337, salvati dai locali e spediti a
Tera. Altri Cirenei si rifugiarono su un’alta torre, proprietà di Aglomaco;
Arcesilao fece ammucchiare intorno alla torre cataste di legna e li bruciò
vivi. Ma quando si rese conto che il suo atto corrispondeva alle parole
dell’oracolo, per cui la Pizia non gli concedeva di cuocere le anfore trovate
nella fornace, si escluse volontariamente dalla città dei Cirenei: temeva la
morte preconizzata dal dio ed era convinto che Cirene fosse il luogo cinto
dall’acqua. Aveva per moglie una sua parente, figlia del re dei Barcei338; il re
si chiamava Alazir, e presso di lui si trasferì Arcesilao; ma dei Barcei,
assieme ad alcuni esuli di Cirene, quando lo seppero, lo aspettarono in
piazza e lo uccisero, e con lui uccisero anche il suocero Alazir. Così Arcesilao
compì il suo destino: volente o nolente aveva frainteso le parole dell’oracolo.
165. Sua madre Feretime, finché Arcesilao se ne stava a Barca autore ormai
del proprio male, deteneva personalmente le prerogative del figlio a Cirene,
amministrando tutto il resto e partecipando alle sedute del Consiglio.
Quando seppe che il figlio le era morto a Barca, se ne andò in esilio in
Egitto, dove in effetti a suo credito aveva alcuni servigi resi da Arcesilao a
Cambise figlio di Ciro339. Suo figlio era infatti l’Arcesilao che aveva
consegnato Cirene a Cambise e si era autoimposto un tributo340. Giunta in
Egitto, Feretime si rivolse come supplice ad Ariande e lo esortò a vendicarla,
sostenendo che il figlio era morto per la sua politica filopersiana.
166. Ariande era quello stesso che, nominato governatore d’Egitto da
Cambise, più tardi osò paragonarsi a Dario e fece una brutta fine: infatti,
saputo e constatato che Dario desiderava lasciare un ricordo di sé quale mai
nessun re aveva realizzato, volle in questo imitarlo, fino a quando non
337 Cnido era una città greca situata nella regione della Caria, di fronte ad Alicarnasso, in
Anatolia. Fondata dai dori del Peloponneso, commerciava con l’Egitto e teneva il suo
tesoro nel santuario di Delfo.
338 Barcei, abitanti di Barca (cfr. nota 327).
339 Cambise I (600 a.C.-559 a.C.), re persiano della dinastia degli Achemenidi, era figlio di
Ciro I e padre di Ciro il Grande. Anziché limitarsi a rinsaldare l’impero, fu molto attivo sul
piano militare, lanciandosi alla conquista dell’Egitto e sottomettendo le colonie greche
nordafricane di Cirene e Barca.
340 Cfr. III, 13 dove Erodoto ricorda l’atto di sottomissione di Cirene, ma anche
l’inadeguatezza del tributo.
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ottenne la meritata ricompensa. Dario coniava monete d’oro purissimo,
privo di scorie il più possibile341, Ariande, da governatore dell’Egitto, faceva
lo stesso con l’argento: tanto che ancora oggi l’argento più puro è detto
“ariandico”. Ma quando Dario lo venne a sapere, lo mandò a morte con il
pretesto che gli si era ribellato342.
167. Nel caso nostro Ariande ebbe pietà di Feretime e le mise a disposizione
l’intero esercito egiziano, fanteria e flotta343. Come comandanti assegnò alla
fanteria Amasi, un uomo di Marafi344, e alla flotta Badra345, della stirpe dei
Pasargadi346. Prima però di dare all’esercito l’ordine di partire, Ariande
mandò un ambasciatore a Barca per sapere chi avesse ucciso Arcesilao; i
Barcei si assunsero una responsabilità collettiva, perché tutti avevano subìto
numerosi torti da Arcesilao. Appreso ciò, Ariande spedì il suo esercito
insieme con Feretime. Questa spiegazione dell’impresa era più che altro un
pretesto; secondo me, l’esercito fu mandato a soggiogare la Libia. In quel
momento delle molte e varie popolazioni libiche esistenti soltanto poche
erano sottomesse al re persiano, le altre di Dario non si curavano proprio.
168. Ed ecco come sono distribuite nel territorio le popolazioni libiche 347. A
partire dall’Egitto i primi abitanti della Libia sono gli Adirmachidi, che hanno
usanze per lo più di tipo egiziano, ma vestono come gli altri Libici. Le loro
donne su ciascuna gamba portano un cerchietto di bronzo; portano capelli
lunghi e quando acchiappano un pidocchio gli danno un morso in cambio dei
molti ricevuti e lo gettano via. Sono gli unici Libici a fare così; e sono anche
gli unici a mostrare al loro re le ragazze vergini che stanno per sposarsi: e
quelle che rispondono ai gusti del re perdono con lui la propria verginità.
Questi Adirmachidi si estendono dall’Egitto fino al porto detto di Plino348.
169. Confinano con loro i Giligami, il cui territorio si estende verso occidente
fino all’isola di Afrodisiade349. Fra le due regioni si situa l’isola di Platea,
quella colonizzata dai Cirenei, e sul continente sorgono il porto di Menelao e
la città di Aziri, che fu abitata dai Cirenei. E da qui si comincia a trovare il
341 Il “darico” persiano fu la moneta d’oro più diffusa dell’antichità e la più famosa proprio
per la sua purezza. I tributi pagati a Dario in oro e argento sono ricordati da Erodoto in
III, 89 e 95; da essi il re traeva il metallo necessario a coniare monete. In Grecia fino al V
secolo a.C. le monete erano soltanto d’argento.
342 Ariande fu punito da Dario perché aveva osato rivaleggiare con lui battendo moneta.
343 Si tratta della spedizione citata nel cap. 145, avvenuta intorno al 510 a.C.
344 I Marafi sono ricordati da Erodoto fra le più antiche famiglie persiane (I, 125).
345 O Badre.
346 Alla tribù dei Pasargadi appartenevano gli Achemenidi, la famiglia di Ciro e di Dario.
347 Erodoto divide i popoli libici in due gruppi prendendo come punto di riferimento il fiume
Tritone, che sbocca nel lago Tritonide (capp. 178 e 191); quelli a occidente, verso i monti
dell’Atlante, sono dediti all’agricoltura e quelli a oriente, al nomadismo. Ogni gruppo è
diviso in tribù, di cui Erodoto dà l’elenco.
348 Attuale golfo di Sollum.
349 L’isola di Afrodisiade è stata identificata nell’isolotto di Chèrsa, a nord-est di Derna che
fu capitale della Cirenaica.
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silfio350: infatti il silfio cresce da Platea fino all’imboccatura della Sirte. I
Giligami possiedono usanze molto simili a quelle degli altri.
170. A ovest dei Giligami risiedono gli Asbisti, oltre Cirene, nell’interno; gli
Asbisti non arrivano fino al mare: la zona costiera appartiene ai Cirenei. Fra
i Libici essi non sono certo i meno abili guidatori di quadrighe, anzi, e come
leggi prendono a modello, per lo più, quelle dei Cirenei.
171. A occidente degli Asbisti ci sono gli Auschisi; risiedono a sud di Barca e
raggiungono il mare all’altezza della città di Evesperidi351. In mezzo agli
Auschisi vivono i Bacali, un piccolo popolo; raggiungono il mare presso
Tauchira352, città della Barcea. Hanno le stesse usanze dei Libici stanziati
oltre Cirene.
172. A ovest degli Auschisi abitano i Nasamoni353, un popolo alquanto
numeroso: essi d’estate lasciano le greggi sulla costa e si addentrano
nell’interno fino alla località di Augila354, per la raccolta dei datteri; qui le
piante crescono in gran numero, rigogliose e tutte fruttifere. Vanno a caccia
di locuste, le fanno seccare al sole, le tritano, le mescolano al latte e si
bevono il tutto. Normalmente possiedono ciascuno molte mogli in comune e
si uniscono ad esse, un po’ come i Massageti 355: piantano un bastone
davanti alla casa e si congiungono con loro. La prima volta, quando un
Nasamone prende moglie, è usanza che la sposa passi la prima notte con gli
invitati al banchetto, unendosi con tutti; ognuno di loro, dopo il rapporto, le
offre in dono ciò che si era portato da casa. Giuramenti e arte divinatoria
funzionano in questo modo: giurano su quanti hanno fama di essere stati
fra loro giustissimi e valorosissimi, toccandone le tombe, e divinano il futuro
350 Il silfio è una pianta delle Ombrellifere, scomparsa dal I secolo d.C. e perciò di difficile
identificazione, che cresceva soltanto in Cirenaica, di cui rappresentava la principale
risorsa commerciale. Il silfio era infatti molto richiesto sia come spezie che per le sue virtù
medicinali (soprattutto, secondo Plinio il Vecchio, come contraccettivo o abortivo) e spesso
riprodotto sulle monete. Secondo la leggenda, la pianta era un dono del dio Apollo.
351 O Euesperidi, è l’odierna Bengasi, che durante la dinastia tolemaica (che governò l’Egitto
dal 305 a.C. al 30 a.C.) aveva nome Berenice.
352 Tauchira (attuale Tocra) era una città sul litorale della Cirenaica la cui provincia si
componeva, nei tempi classici, di cinque città di origine greca che formavano la cosiddetta
Pentapoli: la capitale Cirene (presso l’attuale villaggio di Shabhat) con il suo porto di
Apollonia (oggi Marsa Susa), Arsinoe (l’antica Tauchira e l’attuale Tocra, chiamata Arsinoe
da Tolomeo II – secondo re dell’Egitto ellenistico dal 285 a.C. – in onore della sorella e
moglie Arsinoe II), Berenice (Bengasi) e Barca (Al Marj).
353 Tauchira (attuale Tocra) era una città sul litorale della Cirenaica la cui provincia si
componeva, nei tempi classici, di cinque città di origine greca che formavano la cosiddetta
Pentapoli: la capitale Cirene (presso l’attuale villaggio di Shabhat) con il suo porto di
Apollonia (oggi Marsa Susa), Arsinoe (l’antica Tauchira e l’attuale Tocra, chiamata Arsinoe
da Tolomeo II – secondo re dell’Egitto ellenistico dal 285 a.C. – in onore della sorella e
moglie Arsinoe II), Berenice (Bengasi) e Barca (Al Marj).
354 Augila è oggi un’importante oasi della parte orientale della Libia.
355 Cfr. nota 21.
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recandosi ai sepolcri dei loro antenati, recitando preghiere e mettendosi lì a
dormire; l’oracolo si deduce da quanto ciascuno vede in sogno. Ed ecco
come si scambiano pegno di reciproca fedeltà: uno porge da bere dalla
propria mano e a sua volta beve dalla mano dell’altro; se non hanno a
disposizione niente di liquido raccolgono della polvere da terra e la leccano.
173. Limitrofi dei Nasamoni sono gli Psilli, i quali però perirono tutti come
segue. Il vento Noto356, a furia di soffiare, aveva prosciugato le riserve
d’acqua, sicché il loro territorio, situato all’interno della Sirte, era arido; gli
Psilli di comune accordo decisero di marciare in guerra contro il Noto
(riferisco ciò che raccontano i Libici), ma quando furono nel deserto
sabbioso le raffiche del Noto li seppellirono. Dalla loro definitiva scomparsa il
territorio appartiene ai Nasamoni.
174. Oltre i Nasamoni, verso sud, nella regione popolata dalle fiere vivono i
Garamanti357, che evitano ogni essere umano e qualunque compagnia; non
possiedono armi da guerra, né sanno come difendersi.
175. Questi dunque vivono oltre i Nasamoni; lungo la costa, invece, a ovest,
ci sono i Maci, che si tagliano i capelli a cresta, lasciando crescere la parte
centrale della capigliatura e radendosi a zero sulle due parti laterali; in
guerra, per proteggersi il corpo, vestono pelli di struzzo358. Da una altura
detta delle Cariti il fiume Cinipe359 scorre attraverso il paese e sfocia in
mare. Il colle delle Cariti è ricoperto da una folta boscaglia, mentre tutta la
Libia fin qui descritta è completamente spoglia. Dal mare al colle ci sono
venti stadi360.
176. Accanto ai Maci vivono i Gindani; le loro donne, intorno alle caviglie,
portano ciascuna svariati anelli di cuoio in gran numero e con il seguente
criterio (così si racconta): una striscia intorno alle caviglie per ogni uomo
con cui si siano unite; e quella che ne ha di più è stimata la migliore, per
essere stata amata dal maggior numero di uomini.
177. Il tratto di costa che si protende sul mare nel territorio dei Gindani è
356 Il vento da sud, chiamato anche Austro (cfr. nota 235).
357 I Garamanti (o Garamantes) erano una popolazione di lingua berbera che regnava nella
regione del Fezzan (attuale Libia) e costituirono una potenza regionale nel Sahara
all’incirca tra il 500 a.C. e il 500 d.C. con capitale in Garama, corrispondente all’attuale
Germa. Il nome dei Garamenti risale a un mito pervenutoci in un frammento de Le
Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a.C.) in cui si dice che la cretese Acacallide fu
esiliata in Libia per volere del padre, il re Minosse, in quanto sedotta dal dio Apollo. In
Libia Acacallide generò (da Apollo) Garamante, che fu il padre di Nasamone.
358 Erodoto, in VII, 70, rileva un uso simile tra gli Etiopi d’Oriente (Asia), che hanno scudi di
pelli di gru.
359 Il Cinipe (oggi Macer) è un fiume collocato ad oriente dell’antica Leptis Magna, nel Golfo
della Sirte (attuale golfo di Sidra), che ha dato nome alla regione (cfr. cap. 198).
360 In alcune traduzioni gli stadi sono duecento; per la misura cfr. nota 167.
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abitato dai Lotofagi, che vivono cibandosi esclusivamente del frutto del
loto361. Il frutto del loto è grande quanto una cipolla e ricorda, per la
dolcezza, il dattero. I Lotofagi ne ricavano anche un vino.
178. Accanto ai Lotofagi, lungo la costa, ci sono i Macli; anch’essi si nutrono
con il loto, ma non esclusivamente come i Lotofagi ora citati. Il loro
territorio si estende fino a un grande fiume che si chiama Tritone e sfocia
nella vasta palude Tritonide362; nella palude si trova l’isola detta di Fla, che
gli Spartani, così si racconta, dovevano colonizzare in seguito a un oracolo.
179. E anche un’altra leggenda si racconta: Giasone, terminata la
costruzione della nave Argo sotto il monte Pelio, vi imbarcò le bestie per un
grande sacrificio e un tripode di bronzo; poi circumnavigò il Peloponneso
con l’intenzione di raggiungere Delfi. Come fu all’altezza del capo Malea si
levò un forte vento di nord che lo trascinò fino in Libia. Prima di scorgere la
terraferma finì fra le secche della palude Tritonide363; non sapeva come
uscirne, ma gli apparve, si dice, Tritone. Il dio ordinò a Giasone di
consegnargli il tripode, con la promessa di mostrargli la via d’uscita e di farli
così ripartire senza danni. Giasone obbedì e Tritone gli mostrò come
navigare fuori dalle secche; poi il dio depose l’oggetto nel proprio santuario,
non senza aver divinato dal tripode e preannunciato a Giasone e ai suoi
tutto il futuro: quando un discendente degli Argonauti si fosse portato via
quel tripode, allora, inevitabilmente, cento città greche sarebbero state
fondate sulle rive della Palude Tritonide. E pare che i Libici abitanti del
luogo, udito ciò, abbiano nascosto il tripode.
180. Accanto ai Macli vivono gli Ausei; Ausei e Macli abitano intorno alla
palude e il fiume Tritone segna il confine fra loro. I Macli si fanno crescere i
361 I Lotofagi sono un popolo mitico di cui parla Omero nell’Odissea: essi offrirono a Ulisse e
ai suoi marinai i fiori di loto che avevano la caratteristica di far perdere la memoria. Tra le
ipotesi di identificazione di questa pianta, c’è quella che la indica come il giaggiolo di
Barberia (Zizyphus lotus), dai cui frutti si ottiene una bevanda alcolica dagli effetti
inebrianti.
362 Il fiume Tritone e il lago Tritonide non sono stati identificati con certezza, anche se si sa
che insistono nella regione di Gafsa (la romana Capsa), nel sud della Tunisia. Poiché il
lago Tritonide dovrebbe essere un braccio di mare, in quanto Giasone (cfr. nota 284) si
trovò nelle sue secche prima di vedere terra (cap. 179), esso potrebbe essere la piccola
Sirte (golfo di Gabès), oppure il lago Faroon, larga distesa paludosa ad ovest del golfo di
Gabès, o ancora il tratto di mare tra l’isola di Djerba e la terraferma (quindi a est del golfo
di Gabès). Un’ultima ipotesi è che il lago si trovi non sulla costa ma nell’interno tunisino: il
lago potrebbe essersi trasformato in una estesa palude poi disseccatasi (attuale lago
salato di Chott El Djerid) e l’isola sarebbe l’odierna città di Tozeur, poiché nella zona sono
presenti piccoli fiumi, cascate e sorgenti che mostrano la presenza di acqua sotterranea.
Sia il fiume Tritone che il lago Tritonide erano dedicati al dio Tritone, figlio del dio del mare
Poseidone. Tritone – metà uomo e metà pesce – calmava le tempeste col suono del suo
corno di conchiglia, aiutando così Giasone e gli Argonauti a mantenere la rotta.
363 Secondo Pindaro (Pitica IV, 20-27) Giasone giunse al lago Tritonide durante il ritorno
dalla Colchide, quando la nave Argo dovette essere trasportata via terra per dodici giorni.
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capelli lunghi dietro, gli Ausei davanti. Nell’annuale festa dedicata ad
Atena364 le ragazze degli Ausei si dividono in due gruppi e combattono fra
loro a sassate e a colpi di bastone; dicono di onorare in tal modo le patrie
tradizioni in gloria della divinità locale, che noi chiamiamo Atena; le ragazze
che muoiono per le ferite riportate le chiamano “false-vergini”. Ecco cosa
fanno prima di lasciarle combattere: a spese della comunità adornano una
ragazza, di volta in volta la più bella, con un elmo di Corinto 365 e una
armatura completa greca, la fanno salire su un carro e la conducono in giro
per la palude. Con quali armi ornassero le ragazze prima che i Greci
giungessero a stabilirsi fra loro, non saprei dirlo, suppongo con armi
egiziane; in effetti secondo me lo scudo rotondo e l’elmo sono arrivati in
Grecia dall’Egitto. A sentir loro Atena nacque figlia di Posidone e di Tritonide,
la palude, ma poi, avendo qualcosa da rimproverare al padre, si affidò a
Zeus, che l’avrebbe adottata come figlia propria. Così raccontano. Praticano
la comunanza delle donne, senza matrimoni e accoppiandosi come animali.
Quando un bambino di una donna comincia ad assumere una sua
fisionomia, entro tre mesi gli uomini si riuniscono e lo dichiarano figlio di
quello a cui più assomigli.
181. Ecco dunque elencati i Libici nomadi della costa, oltre i quali, verso
l’interno, c’è la Libia popolata da bestie feroci; al di là di essa comincia un
ciglio sabbioso e desertico, che va da Tebe in Egitto 366 fino alle Colonne
d’Eracle. In questa zona, a circa dieci giorni di cammino l’una dall’altra, si
trovano delle collinette ricoperte da agglomerati di grossi blocchi di sale;
proprio dalla cima di queste collinette scaturisce uno zampillo d’acqua fresca
e dolce, nel bel mezzo del sale; attorno vi abitano uomini che sono gli ultimi
oltre la regione delle bestie feroci, verso il deserto: a partire da Tebe i primi
(a dieci giorni di cammino da Tebe) sono gli Ammoni367, padroni del
364 Nella mitologia greca, Atena (o Athena) figlia di Zeus e di Metide, era la dea della
sapienza in tutti i suoi aspetti, delle arti, della tessitura e della lavorazione dei metalli, ed
era la protettrice degli eroi in guerra. Suoi simboli sacri erano la civetta e l’ulivo. È
raffigurata vestita di una corazza di pelle di capra (egida: cfr. cap. 189) donatale dal padre
Zeus e con l’elmo e lo scudo con la testa della Gorgone Medusa, dono votivo di Perseo.
Poiché non ebbe mariti o amanti, era nota come “Athena Parthenos” (La vergine Atena).
365 L’elmo di Corinto, o elmo corinzio, era di cuoio o di bronzo e spesso adornato alla
sommità con una cresta o un grifone. Adottato nell’Attica e in Magna Grecia, era molto
coprente e limitante per la vista e l’udito, perché dotato di copriguance fisse che
nascondevano gran parte del volto. Deve il nome alla città greca di Corinto, antico e
importante porto del Peloponneso, ora posta sullo sbocco del canale che unisce Megaride
con Argolide costruito tra il 1881 e il 1893. Secondo la leggenda, Corinto fu fondata da
Sisifo – il più astuto tra i mortali, secondo la mitologia – nel 1429 a.C.
366 Tebe era una città molto importante dell’Alto Egitto, situata presso le attuali Karnak e
Luxor. Era anche detta “la città di Amon”, perché messa sotto la protezione del dio Amon,
re di tutti gli dei. Nel 663 a.C. fu completamente distrutta dall’invasione di Assurbanipal e
i suoi abitanti resi schiavi e deportati. In età cristiana il nome della città mutò in Tria
Kastra, quindi divenne el-Uqsur, da cui l’attuale Luxor. Lungo la riva del Nilo, si stende la
necropoli tebana e assai note sono la Valle delle Regine e la Valle dei Re.
367 Gli Ammoni erano gli abitanti dell’oasi di Siwa – nell’Egitto nord-occidentale, quasi al
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santuario derivato dal santuario di Zeus a Tebe; infatti anche a Tebe, come
ho già precedentemente ricordato, Zeus viene rappresentato con volto di
capro. Gli Ammoni possiedono anche un’altra sorgente d’acqua, che è
tiepida all’alba e più fresca nell’ora in cui il mercato è più affollato; a
mezzogiorno poi è decisamente fredda: è allora che la usano per innaffiare
gli orti; col declinare del giorno l’acqua perde a poco a poco la freschezza,
finché il sole tramonta e l’acqua è tiepida; poi si scalda sempre più fino a
mezzanotte, quando bolle furiosamente; poi la mezzanotte passa, si va
verso l’aurora e l’acqua di nuovo si raffredda. E per indicare questa
sorgente, la chiamano “fonte del sole”368.
182. Dopo gli Ammoni, attraverso il ciglio sabbioso, a distanza di altri dieci
giorni di viaggio, c’è un colle di sale simile a quello degli Ammoni, con tanto
di sorgente, intorno al quale vivono uomini. Il nome di questa località è
Augila369. È qui che vengono i Nasamoni a fare la loro provvista di datteri.
183. Ad altri dieci giorni di cammino da Augila ci sono una collina di sale,
una sorgente e palme da datteri in gran numero, come nelle altre località; vi
abitano uomini che si chiamano Garamanti370, popolazione assai numerosa;
riescono a coltivare accumulando terra sopra lo strato di sale. Da lì la strada
più breve conduce presso i Lotofagi371, e sono trenta giorni di viaggio; fra
loro si trovano anche i buoi che pascolano camminando all’indietro; si
comportano così per la seguente ragione: hanno le corna piegate in avanti,
e quindi pascolano retrocedendo perché avanzando le corna si
pianterebbero per terra. Nessun’altra caratteristica li distingue dagli altri
buoi a parte il modo di incedere e la pelle, per spessore e ruvidezza. Questi
Garamanti sulle loro quadrighe danno la caccia agli Etiopi Trogloditi372; in
effetti gli Etiopi Trogloditi sono gli uomini più veloci al mondo nella corsa tra
quelli di cui abbiamo sentito parlare. I Trogloditi si cibano di serpenti,
lucertole e altri rettili del genere; parlano una lingua che non somiglia a
nessun’altra, anzi emettono strida assai acute, come i pipistrelli.
confine con la Libia – che era il centro di culto del dio egizio Amon (o Ammone, o
Ammonio) che per i Greci equivaleva a Zeus (cfr. II, 42) e per altri al dio Sole. Nel VI
secolo a.C. l’imperatore persiano Cambise II, dopo avere sottomesso l’Egitto, cercò di
conquistare l’oasi con un esercito che si perse nel deserto senza più fare ritorno. Al
celebre oracolo ospitato nel tempio di Amon a Siwa si rivolse anche Alessandro Magno (IV
secolo a.C.) ricevendone la consacrazione a figlio della divinità.
368 La “fonte del Sole” – di cui hanno parlato altri autori antichi, come Lucrezio – è stata
identificata vicino al grande tempio di Amon. È una sorgente sulfurea di acqua calda, che
di giorno sembra raffreddarsi, a mano a mano che l’aria si riscalda. Il fenomeno naturale,
non spiegato, nell’antichità era considerato prodigioso.
369 Cfr. nota 354. Per i Nasamoni, citati in seguito, cfr. nota 353.
370 Cfr. nota 357.
371 Cfr. nota 361.
372 I Greci definivano “Nomadi Trogloditi” un gruppo di popolazioni che abitava a oriente del
Nilo, particolarmente nelle regioni vicine all’Etiopia.
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184. Ad altri dieci giorni di cammino dai Garamanti ci sono una collina di
sale e una sorgente; attorno vi abitano uomini che si chiamano Ataranti:
che sono gli unici uomini al mondo, a nostra conoscenza, a non avere nomi
personali; tutti assieme si chiamano Ataranti, ma individualmente non
hanno nomi. Maledicono il sole, quando picchia forte, e oltre a maledirlo
pronunciano al suo indirizzo tutte le imprecazioni possibili, perché con il suo
ardore li sfinisce, loro e la loro terra. Dopo dieci ulteriori giorni di marcia,
altra collina di sale, altra sorgente e altri uomini stanziati intorno a essa.
Poco oltre si innalza il monte chiamato Atlante 373. L’Atlante è un monte
stretto e arrotondato su ogni versante, ma tanto alto che le sue vette, pare,
non si possono nemmeno vedere: non sono mai sgombre di nubi, né
d’estate, né d’inverno; a sentire gli abitanti del luogo, l’Atlante è la colonna
che sorregge la volta celeste. La popolazione ha derivato il suo nome da
quello del monte: si chiamano infatti Atlanti. Affermano di non cibarsi di
alcun animale e di non sognare.
185. Fino agli Atlanti sono in grado di elencare i nomi dei popoli stanziati nel
ciglio sabbioso, oltre non più; ma la zona di sabbia si estende fino alle
colonne d’Eracle e oltre. In tale regione si trova una miniera di sale ogni
dieci giorni di viaggio e uomini stanziati; tutte queste genti si costruiscono
abitazioni con blocchi di sale374; si tratta già di zone della Libia prive di
piogge: in effetti i muri fatti di sale non resterebbero in piedi se vi piovesse.
Il sale estratto dal suolo si presenta di colore bianco o rosso. Al di là di
questa striscia di territorio, verso il sud e l’interno della Libia, il paese è un
deserto senz’acqua, senza animali, senza pioggia e alberi, senza la minima
traccia di umidità.
186. Così dall’Egitto fino alla Palude Tritonide i Libici sono nomadi che si
cibano di carne e bevono latte, che si astengono rigidamente dalle femmine
dei bovini, per la stessa ragione degli Egiziani, e che non allevano maiali.
Neanche le donne dei Cirenei considerano lecito mangiare carne di vacca: se
ne astengono in onore dell’Iside egiziana375; per questa dea anzi osservano
digiuni e celebrano feste. Le donne dei Barcei evitano di consumare carne di
373 Si suppone che Erodoto inserisca la tradizione greca che vede in Atlante il Titano che
regge le colonne su cui poggia il mondo (Odissea I, 53 ss.) – attribuendo agli indigeni
l’idea che il monte sia una colonna del cielo – perché ha informazioni vaghe e confuse.
L’Atlante è un sistema montuoso dell’Africa nord-occidentale, tra Marocco, Algeria e
Tunisia, ed è diviso in sette diverse catene montuose, la cui vetta più elevata è lo Jebel
Toubkal (4165 m). Deve il nome ad Atlante, che, secondo la mitologia greca, fu costretto
da Zeus a tenere sulle spalle l’intera volta celeste, in quanto si era alleato con il padre di
Zeus, Crono, contro gli dèi dell’Olimpo. Fu trasformato in monte da Perseo e continuò a
sorreggere la volta celeste.
374 Le case di sale si pensa fossero in Tunisia, cosa che confermerebbe il precedente
riferimento ai monti Atlante.
375 Iside (o Isis, o Isi) è la dea egizia della maternità e della fertilità, sorella e sposa di
Osiride, da cui ebbe Horo. Iside è spesso simboleggiata da una vacca ed è raffigurata con
le corna bovine, tra le quali è racchiuso il sole, ma ha anche altre iconografie.
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vacca e anche carne suina.
187. Tale è dunque la situazione. A ovest della palude Tritonide i Libici non
sono più nomadi, non ne possiedono le usanze, e non fanno ai loro bambini
quanto i nomadi praticano abitualmente. Ecco infatti cosa fanno i nomadi
libici, se proprio tutti non saprei dirlo con certezza, ma certo parecchi di
loro. Quando i loro bambini hanno quattro anni, con grasso estratto dalla
lana di pecora gli cauterizzano le vene sulla sommità del capo, altri invece le
vene delle tempie, allo scopo di impedire per sempre all’umore
flemmatico376 che scorre giù dalla testa di nuocere alla salute del ragazzo. E
dicono di essere sanissimi grazie a ciò. Ed effettivamente i Libici sono i più
sani fra quanti uomini conosciamo; che questa ne sia la spiegazione non
potrei affermarlo con certezza, ma è un fatto che sono sanissimi. Nel caso
che i bambini, mentre li cauterizzano, vengano presi da convulsioni, hanno
trovato un rimedio: li salvano aspergendoli con orina di capro. Riferisco
quanto raccontano i Libici.
188. Ecco come i nomadi eseguono i sacrifici: staccano come primizia
l’orecchio della vittima e lo scagliano al di sopra della casa, fatto ciò torcono
il collo all’animale. Sacrificano soltanto al sole e alla luna; o meglio tutti i
Libici al sole e alla luna, quelli che abitano nei pressi della palude Tritonide
ad Atena prima di tutto, poi a Tritone e a Posidone377.
189. La veste e l’egida delle statue di Atena i Greci le presero dalle donne
libiche, tranne pochi particolari (l’abito femminile libico è di cuoio, le frange
che pendono dalle egide sono semplici strisce e non rappresentano serpenti
376 Nella medicina antica, il flegma o umore flemmatico è uno dei quattro umori esistenti nel
corpo umano (sangue, acqua, bile, flegma). Se essi sono in equilibrio, l’uomo è in buona
salute, se anche uno solo prevale, egli si ammala. Il flegma era ritenuto di origine
cerebrale e perciò i Libici cauterizzando le vene della testa eliminavano l’eccesso di
flegma. Erodoto sostiene che essi sono sanissimi per questa abitudine, ma
precedentemente ha attribuito la loro salute al clima: «Quanto poi alla popolazione
umana, gli abitanti dell’Egitto seminato […] si purgano ogni mese per tre giorni di seguito
e si curano la salute con emetici e lavaggi, perchè ritengono che tutte le malattie derivino
dai cibi con cui ci si nutre. Del resto sono gli Egiziani, dopo i Libici, la gente più sana del
mondo; secondo me in grazia del clima, perchè non ci sono trapassi di stagione. Sono i
cambiamenti che per lo più sviluppano le malattie, qualsiasi cambiamento, e specialmente
quelli di stagione» (II, 77).
377 Il culto di Posidone (o Poseidone) fu in realtà introdotto dai Greci che fondarono la
colonia di Cirene (cfr. nota 312), ma Erodoto afferma che era un dio libico: «Dall’Egitto
vennero in Grecia quasi tutte le divinità. Di una loro origine barbara io sono convinto
perché così risulta dalle mie ricerche; e penso a una provenienza soprattutto egiziana.
Infatti a eccezione di Posidone e dei Dioscuri, come ho già avuto modo di dire, nonché di
Era, di Estia, di Temi, delle Cariti e delle Nereidi, le altre divinità sono tutte presenti da
sempre in quel paese, fra gli Egiziani: riporto quanto essi stessi dichiarano. Quanto alle
divinità che sostengono di non conoscere io credo che tutte siano espressione dei Pelasgi,
tranne Posidone. Conobbero questo dio dai Libici; infatti nessun popolo conosce Posidone
fin dalle origini tranne i Libici, che da sempre lo onorano. Quanto al culto degli Eroi, esso
è del tutto estraneo alle consuetudini egiziane» (II, 50).
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); per il resto il modello è rispettato fedelmente. D’altra parte persino il
nome rivela la provenienza libica dell’abbigliamento dei Palladi378: le donne
di Libia portano intorno alla veste delle pelli di capra rasate e ornate con
frange, tinte di rosso, e da queste pelli (egee) i Greci derivarono il termine
“egida”379. A mio avviso anche il grido acuto rituale che accompagna i
sacrifici è originario della Libia: esso è molto in uso fra le donne della Libia,
e con begli effetti. I Greci poi hanno appreso dai Libici ad aggiogare tiri a
quattro cavalli380.
190. I nomadi, eccetto i Nasamoni, seppelliscono i defunti alla maniera dei
Greci; i Nasamoni li seppelliscono seduti: e quando qualcuno sta per esalare
l’ultimo respiro, stanno attenti a metterlo seduto, che non muoia coricato.
Le loro abitazioni sono fatte di gambi di asfodelo e di giunco intrecciati, e
sono trasportabili381. Tali sono dunque gli usi di queste genti.
191. A ovest del fiume Tritone, presso gli Ausei, vivono già dei Libici
agricoltori, che si chiamano Massi, abituati a possedere dimore fisse. Essi
portano capelli lunghi sul lato destro del capo, mentre radono il sinistro, e si
tingono il corpo col minio. Sostengono di essere discendenti degli eroi di
Troia382. Questa zona e la restante Libia occidentale sono ben più popolate
da animali e folte di vegetazione rispetto alla regione dei nomadi. In effetti
la parte orientale della Libia, quella abitata dai nomadi, si presenta piatta e
sabbiosa, fino al fiume Tritone; invece a partire dal Tritone verso occidente,
il paese degli agricoltori è assai montuoso, boscoso e ricco di fiere. In
questa regione383 si trovano i serpenti più grossi e i leoni, gli elefanti; e orsi,
378 Da Pallade, epiteto della dea Atena.
379 Di solito si ritiene che il termine “egida” derivi dalla capra, ma un passo di un’opera di
Eschilo (VI-V secolo a.C.) fa presumere che l’egida sia il cerchio di nubi tempestose che si
addensa sulla testa di Zeus al momento del tuono divino, poi diventato una pelle di capra
per la somiglianza tra i due termini in greco (aix, capra, e kataigís, uragano). Nell’Iliade di
Omero, l’egida è lo scudo di Zeus, fabbricato da Efesto con una pelle di capra, usato per
scatenare tempeste e non per combattere.
380 Ossia le quadrighe.
381 L’arte di intrecciare l’asfodelo (principalmente nelle aree interne, anche collinari) e il
giunco (in pianura, vicino all’acqua) è molto antica. Nelle case essi erano utilizzati per
realizzare pavimenti e soffitti (incannicciato), sostegni verticali e tutti i contenitori
necessari all’arredo. Inoltre, nell’antica Grecia l’asfodelo era usato frequentemente per
ornare le tombe, perché si credeva che nel luogo dove soggiornavano le anime dei morti
crescesse abbondante.
382 Troia, antica città dell’Asia Minore all’entrata dell’Ellesponto, in Turchia, fu il teatro della
guerra narrata nell’Iliade di Omero. Evidentemente i Massi si credevano discendenti di
coloro che riuscirono a scappare dalla distruzione di Troia a opera degli Ateniesi.
383 Da questo punto, Erodoto inizia la descrizione della fauna della Libia occidentale, che è
in linea di massima attendibile: pitoni, leoni e orsi sono presenti nel Nord-Africa, come
pure gli elefanti, che più tardi sparirono da queste zone per lo sfruttamento fatto da
Cartaginesi e Romani; gli asini con le corna potrebbero essere antilopi, gli uomini e le
donne selvatici forse gorilla, mentre cinocefali e acefali sono soltanto creature fantastiche.
Erodoto è stato il primo a usare il termine elefante per indicare l’animale nativo
dell’Africa: «Dove il sole va a declinare dopo il culmine meridiano si trova l’estrema
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aspidi, asini con le corna, i cinocefali, gli acefali (che hanno gli occhi sul
petto, a quanto, almeno, asseriscono i Libici), gli uomini e le donne selvatici,
e molte altre specie di animali non inventati.
192. Nel paese dei nomadi non si trova alcuno di questi animali, ma ci sono
altri delle specie seguenti384: antilopi e zorcadi e bubali e asini, non gli asini
con le corna ma un’altra specie che non beve (e davvero proprio non si
abbeverano), e gli orici, con le cui corna si fabbricano i manici delle cetre
fenicie (le dimensioni di questo animali sono simili a quelle di un bue); e poi
ancora piccole volpi e iene e istrici e arieti selvaggi e ditti e sciacalli e
pantere; e borii e coccodrilli di terra lunghi tre cubiti385, assai simili alle
lucertole, struzzi terrestri e piccoli serpentelli, muniti ciascuno di un unico
corno. In Libia insomma vivono questi animali e tutti quelli che si trovano
anche altrove, tranne il cervo e il cinghiale; cervi e cinghiali, in Libia, non ce
ne sono affatto386. In Libia esistono tre specie di topi: gli uni vengono
chiamati bipedi, gli altri zegeri – questo nome è libico, ed ha in greco il
significato di “bounoi”, colline – gli altri echini387. Tra il silfio388 vivono anche
le donnole, uguali a quelle di Tartesso. Ecco dunque gli animali del paese dei
Libici nomadi; almeno per quanto avanti abbiamo potuto spingere le nostre
indagini.
193. Accanto ai Massi della Libia vivono gli Zaueci389, le cui donne guidano i
carri in battaglia.
194. Accanto agli Zaueci stanno i Gizanti390, presso i quali le api producono
miele in abbondanza, ma ancor più abbondante, si dice, è il miele prodotto
dagli artigiani391. Tutti costoro si tingono il corpo col minio e si cibano di
carne di scimmia; scimmie ne hanno a iosa a disposizione, sulle montagne.
regione occidentale del mondo abitato, l’Etiopia: essa produce grandi quantitativi d’oro,
elefanti di enormi dimensioni e ogni specie di pianta selvatica, ebano, e uomini di alta
statura, i più alti, i più belli e i più longevi.» (III, 114).
384 Nell’elenco che segue, zorcadi, bubali e orici si possono identificare con varie specie di
antilopi, gli arieti selvaggi con le pecore selvatiche, i coccodrilli terrestri con grandi
lucertole, le donnole simili a quelle di Tartesso sono probabilmente furetti. Ditti e borii non
sono stati identificati.
385 Per la misura del cubito, cfr. nota 204.
386 Oggi, in Africa, esistono sia i cervi che i cinghiali.
387 Echino è il nome abbreviato (da echinoderma) dato al porcospino.
388 Cfr. nota 350.
389 O Zaveci.
390 I Gizanti erano popolazioni della costa orientale della Tunisia.
391 Un miele fabbricato artigianalmente coi fiori di tamarisco e col grano è accennato in VII,
31 («Nel penetrare dalla Frigia in Lidia, la strada si divideva, a sinistra verso la Caria e a
destra verso Sardi. Per chi si dirige a destra è assolutamente inevitabile attraversare il
Meandro e passare accanto alla città di Callatebo, dove artigiani fabbricano miele con
tamarisco e grano…»). Il miele ricavato dalle palme è accennato in I, 193 («In tutta la
pianura [assira] crescono spontaneamente le palme, quasi tutte fruttifere; da esse
ricavano cibi solidi, vino e miele…»).
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195. I Cartaginesi392 dicono che di fronte ai Gizanti si trova un’isola, detta
Cirauni393, lunga 200 stadi e assai stretta, raggiungibile a piedi dalla
terraferma, ricca di ulivi e di vigneti; vi si troverebbe un lago nel quale le
ragazze del luogo, mediante penne di uccelli spalmate di pece, trarrebbero
pagliuzze d’oro dal limo. Non so se questo sia vero, scrivo quanto si
racconta; ma potrebbe anche essere: io stesso ho visto con i miei occhi a
Zacinto394 trarre della pece dall’acqua di un lago. A Zacinto ci sono parecchi
laghi, il più grande misura settanta piedi su ogni lato ed è profondo due
orgie; immergono in questo lago una pertica che porta fissato sull’estremità
un ramo di mirto, e con questo mirto tirano su una pece che odora di
bitume, ma per il resto è di qualità migliore della pece di Pieria 395; la
raccolgono versandola in una fossa scavata accanto al lago; quando ne
hanno accumulata parecchia, allora dalla fossa la travasano nelle anfore.
Qualunque cosa cada nel lago passa sotto terra e ricompare nel mare, che si
trova a circa quattro stadi di distanza dal lago. Sicché anche le notizie
provenienti dall’isola situata sulla costa libica potrebbero rispondere alla
realtà.
196. I Cartaginesi affermano l’esistenza di un territorio libico, con relative
popolazioni, anche al di là delle Colonne d’Eracle; quando si recano presso
queste popolazioni con le loro mercanzie le scaricano sulla spiaggia in
bell’ordine, risalgono sulle navi e mandano un segnale di fumo; gli indigeni
vedono il fumo e accorrono verso il mare, depositano dell’oro in cambio
delle merci e quindi si allontanano dalle merci stesse. I Cartaginesi
sbarcano, esaminano l’oro e, se gli sembra adeguato al valore delle merci,
lo prendono e se ne vanno; se invece gli sembra poco, risalgono sulle navi e
aspettano: i locali tornano e aggiungono altro oro fino a soddisfarli. Nessuno
dei due cerca di raggirare l’altro: i Cartaginesi non toccano l’oro finché non
gli sembra adeguato al valore delle merci, e gli indigeni non toccano le
merci prima che gli altri abbiano ritirato l’oro396.
392 Cfr. nota 104.
393 L’individuazione dell’isola di Cirauni è incerta: potrebbe essere una delle isole di
Kerkenna, situate di fronte al porto tunisino di Sfax, oppure di Pantelleria – chiamata,
all’epoca di Erodoto, Cirani o Kirani – che era un importante scalo fenicio ed era visibile,
come oggi, dalle coste tunisine quasi quotidianamente.
394 Zacinto (o Zante) è un’isola greca vicino alle coste del Peloponneso che fa parte
dell’arcipelago delle isole Ionie. Omero la menzionò per primo sia nell’Iliade che
nell’Odissea, affermando che vi sbarcò il figlio del re Dardano di Troia, Zakynthos, intorno
al 1500-1600 a.C. In seguito, l’isola fu conquistata da re Arkeisios di Cefalonia e, poi, da
Ulisse, re di Itaca.
395 Pieria è oggi una piccola prefettura situata nella Macedonia greca, ma anticamente
apparteneva alla Tessaglia. Il nome deriva dal paese di Pieris e dal Monte Pierio, ove
abitavano Orfeo e le Muse (perciò dette Pieridi o Piere), in quanto il Monte Olimpo è poco
distante.
396 Questo commercio “muto” è stato usato anticamente in India e forse in Cina; in seguito
si è esteso fra gli Slavi e in Siberia.
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197. Queste sono le popolazioni libiche di cui siamo in grado di indicare il
nome. La maggior parte di loro non si è mai data pensiero del re dei Medi,
né allora né adesso. Posso aggiungere riguardo a questo paese, che lo
abitano soltanto quattro gruppi etnici e non uno di più, per quanto ne
sappiamo, di cui due sono autoctoni e due no; gli autoctoni sono Libici ed
Etiopi, stanziati rispettivamente nel nord e nel sud della Libia397, Fenici e
Greci invece vi sono immigrati.
198. Secondo me neppure per la qualità dei terreni la Libia può essere
seriamente paragonata all’Asia e all’Europa, fatta eccezione per la sola
regione di Cinipe398 (lo stesso nome indica il fiume e la regione); questa è
alla pari con le terre più fertili nella produzione di cereali e non somiglia
minimamente al resto della Libia: è una terra nera399 attraversata da
sorgenti, non ha problemi di arsura né riceve pioggia in eccesso (in questa
parte della Libia, infatti, piove). La produttività dei terreni è pari a quella
della Babilonia. Una buona terra è pure quella abitata dagli Evesperidi400:
quando produce al massimo delle sue possibilità rende cento per uno; ma la
regione del Cinipe rende anche trecento.
199. A sua volta il paese di Cirene, che è abitato da genti nomadi ed è il
tratto più elevato sul livello del mare in questa parte della Libia, presenta
sorprendentemente tre stagioni di raccolta; i primi a maturare per la
mietitura e la vendemmia sono i frutti della zona costiera; appena questi
sono stati raccolti, si presentano maturi e pronti i frutti della zona
intermedia, al di sopra della costa, zona detta “Colline”; è terminato il
raccolto nella fascia intermedia ed ecco già belli e maturi i prodotti della
fascia superiore; insomma quando è pronto l’ultimo raccolto, il primo è già
stato mangiato e bevuto. In tal modo la stagione di raccolta tiene occupati i
Cirenei per ben otto mesi. E basti quanto si è detto.
200. I Persiani401 inviati a soccorso di Feretime, partiti dall’Egitto al comando
di Ariande, giunsero a Barca e subito posero l’assedio alla città, esigendo
con vari messaggi la consegna dei responsabili dell’assassinio di Arcesilao:
ma dato che tutta la popolazione vi era implicata, i Barcei non accettarono
trattative. Allora i Persiani assediarono Barca per nove mesi, scavando
gallerie sotterranee che portassero alle mura e sferrando durissimi assalti.
Ma ecco cosa escogitò un fabbro per individuare le gallerie: portava in giro
all’interno delle mura uno scudo di bronzo e lo appoggiava al suolo della
città; dovunque altro lo appoggiasse, lo scudo suonava sordo, ma sopra le
gallerie il bronzo rimbombava. Allora i Barcei scavavano a loro volta nello
397 I Libici erano le tribù berbere della costa settentrionale dell’Africa, gli Etiopi erano le
razze negroidi del Sudan e della Costa d’Oro.
398 Cfr. nota 359.
399 Le cosiddette “terre nere” sono le più fertili in natura, essendo ricche di humus e calcio.
400 Cfr. nota 351.
401 Si riprende la narrazione interrotta al cap. 167.
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stesso punto e massacravano i Persiani che stavano scavando. Ecco dunque
cosa fu inventato contro le gallerie; quanto agli attacchi diretti, i Barcei li
rintuzzavano efficacemente.
201. Siccome le cose andavano per le lunghe e gravi erano le perdite da
entrambe le parti, e in particolare fra i Persiani, il comandante della fanteria
Amasi ideò un piano; avendo compreso che i Barcei non li si poteva
prendere con la forza, ma ingannare sì, agì come segue: una notte fece
scavare una larga fossa, vi stese sopra delle tavole poco resistenti e sopra le
tavole accumulò la terra di riporto, fino a pareggiarne il livello col terreno
circostante. Appena giorno invitò i Barcei a trattare; essi accolsero con
favore l’iniziativa, finché si decise di stipulare un accordo; e stipularono
dunque un accordo di questo tenore (da notare che giurarono solennemente
stando sopra la fossa occultata): che fino a quando quella terra sarebbe
rimasta com’era, il giuramento rimaneva valido in tutto il paese; i Barcei si
dichiaravano pronti a pagare al re di Persia un tributo adeguato e i Persiani
si impegnavano a non mutare l’assetto politico della città di Barca. Dopo il
giuramento i Barcei, fiduciosi nei patti, uscirono fuori della città e permisero
a ogni Persiano che lo volesse di entrare dentro le mura, e spalancarono
tutte le porte. Ma i Persiani fracassarono il ponte di assi nascosto e
piombarono dentro la cinta. Il tavolato che avevano allestito lo fracassarono
per mantenere il giuramento, avendo promesso ai Barcei che il patto
sarebbe restato in vigore finché quella terra rimaneva nello stato in cui era
allora. Una volta distrutto il tavolato, l’impegno non esisteva più.
202. Feretime, quando i Barcei maggiormente implicati nell’assassinio di
Arcesilao le furono consegnati dai Persiani, ordinò che venissero impalati
attorno alle mura; alle loro mogli fece tagliare i seni e li appese tutto
attorno alle mura. Quanto ai restanti Barcei invitò i Persiani a spartirseli, a
eccezione di quanti erano discendenti di Batto e non avevano partecipato
all’assassinio. A questi Feretime affidò la città.
203. I Persiani, ridotti in schiavitù gli altri Barcei, presero la via del ritorno;
quando furono all’altezza di Cirene, i Cirenei per sacro rispetto di un oracolo
li lasciarono attraversare la città. Mentre l’esercito passava in mezzo alla
città, il comandante della flotta Badre premeva perché la si occupasse, ma
Amasi, il comandante della fanteria, non lo permise, sostenendo che Barca
era la sola città greca contro la quale erano stati inviati; più tardi, quando
già l’avevano superata e stavano ormai sul colle di Zeus Liceo402, si
pentirono di non essersene impadroniti e tentarono di entrarvi una seconda
volta; ma i Cirenei non glielo permisero. I Persiani, pur senza che nessuno
402 La figura mitologica di Zeus Liceo (Giove Lupo) si rifà al re d’Arcadia, Licaone (dal greco
lykos, lupo), figlio di Pelasgo. Licaone era considerato un uomo empio e Zeus volle
accertarsene, perciò si travestì e andò dal sovrano. In un banchetto, Licaonte servì
all’ospite le carni di un bambino e Zeus, inorridito, fulminò Licaone e i suoi 49 figli,
eccettuato Nittimo, che fu salvato da Gea, dea della Terra, e poté succedere al padre.
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si opponesse in armi, ebbero paura403, si ritirarono di circa sessanta stadi e
si accamparono. Mentre stavano sistemando i bivacchi, giunse a richiamarli
in patria un messaggero inviato da Ariande. Chiesero dunque vettovaglie ai
Cirenei e, ottenutele, le caricarono su e si mossero verso l’Egitto. Da lì in poi
finirono fra i Libici, i quali uccidevano quanti di loro erano lasciati indietro e i
ritardatari per procurarsi vesti ed equipaggiamento; finché i Persiani
giunsero in Egitto.
204. Questa spedizione persiana penetrò in Libia fino agli Evesperidi. I
Barcei fatti schiavi furono deportati dall’Egitto e consegnati al re di Persia; il
re Dario diede loro da abitare un villaggio della Battriana404, a cui essi
posero nome Barca405; e ancora ai miei tempi risultava abitato nella
Battriana.
205. Neppure Feretime terminò bene i suoi giorni. Infatti quando ritornò in
Egitto, dopo essersi vendicata in Libia sui cittadini di Barca, morì di mala
morte: ancora viva brulicava di vermi. Perché le vendette degli uomini si
attirano l’odio degli dèi, quando sono eccessive. E tale era stata la vendetta
che Feretime moglie di Batto si era presa sugli abitanti di Barca.
403 Secondo lo storico greco Tucidide (V secolo a.C.), negli eserciti non era infrequente il
panico, forse dovuto al “vedere” qualche segno infausto mandato dagli dèi.
404 Battria (o Battriana, o Bactriana) era l’antico nome greco del paese situato tra lo Hindu
Kush (Caucasus Indicus) e l’Oxus (ora Amu Darya); la sua capitale, Battra (o Battria, ora
Balkh), era situata nell’odierno Afghanistan settentrionale. Fu in queste terre montagnose,
circondate dal deserto Turaniano, che predicò il profeta Zoroastro. Conquistato questo
territorio, i Greci si espansero fino all’India.
405 Si tratta di una città omonima a quella descritta alla nota 327.
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