POP-ROCK BILLY JOEL THE STRANGER
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POP-ROCK BILLY JOEL THE STRANGER
VINILE CLASSICA M. MUSSORGSKY PICTURES AT AN EXHIBITION (ANALOGUE PRODUCTIONS/SOUND & MUSIC) Alcune grandi pagine orchestrali stimolano ben più di altre l’interesse degli audiofili. Facilità dei temi e sintesi efficace del linguaggio musicale rendono un brano accessibile anche a un vasto pubblico, ma per gli appassionati di riproduzione sonora l’entusiasmo è acceso soprattutto dalla ricchezza dell’apparato strumentale, dal marcato senso del ritmo e dall’ampia articolazione dinamica. Queste doti sono tutte presenti nei “Quadri di un’esposizione” di Mussorgsky e ancor più nella celeberrima versione orchestrale realizzata da Ravel nel 1922. Se già l’originale stesura per pianoforte sembrava fatta apposta per mettere in evidenza le capacità espressive e dinamiche dello strumento, la trascrizione per formazione sinfonica consegnava al repertorio una pièce da concerto che è diventata un cavallo di battaglia delle più importanti orchestre. Mussorgsky realizzava la suite pianistica come una serie di brani “emotivamente” descrittivi dei dipinti del suo amico Hartmann, piccole fantasie orchestrali unite tra loro dal tema della “Promenade”, che diventa una sorta di filo conduttore. Ravel faceva sua questa pagina in una fedele elaborazione per un’ampia formazione sinfonica dove ai fiati e alle percussioni è riservato un ruolo di primo piano. I due episodi conclusivi di “Baba Yaga” e della “Grande porta di Kiev” rappresentano momenti fonici di grande respiro che dal vivo lasciano senza fiato. Nessuno tra i grandi direttori ha mancato di affrontarla in concerto e la discografia, di conseguenza, risulta assai vasta. Tra le tante edizioni, quella di Fritz Reiner alla testa della Chicago Symphony - una storica incisione del 1957 della RCA Living Stereo - centra i tratti esuberanti della pagina senza far mancare uno smalto nobile e raffinato anche alle parti più intime. Dopo la ristampa a suo tempo curata dalla Classic Records e ora non più disponibile, ci ha pensato la Analogue Productions a riportare su vinile da 200 grammi di alta qualità un pezzo audiofilo tra i più accattivanti. Disponendo di un buon sistema di lettura, il disco saprà affascinare sin dalle prime battute sulla tromba solista, per condurre attraverso un percorso orchestrale che non può mancare in nessuna discoteca. Marco Cicogna POP-ROCK BILLY JOEL THE STRANGER (ORIGINAL MASTER RECORDING/SOUND AND MUSIC) Sembrava averci pensato “Piano Man” dopo lo sfigatissimo debutto “Cold Spring Harbor” (addirittura masterizzato a una velocità sbagliata), a fare decollare la carriera del newyorkese (ma all’epoca domiciliato sulla West Coast) Billy Joel: un numero 27 per “Billboard”, tre singoli nei Top 100, un primo disco di platino da appendere in salotto a certificare il milione di copie vendute (con il tempo diverranno quattro). Ma con i successivi “Streetlife Serenade” e “Turnstiles” la popolarità del nostro uomo pareva immeritatamente (il secondo è forse il suo album più bello di sempre) già sfiorire e inopinatamente Joel si ritrovava nella più classica delle situazioni “make it or break it”. Un nuovo insuccesso avrebbe posto fine al rapporto con la Columbia e serviva dunque una svolta. Ce n’erano due. L’artista tornava a risiedere all’ombra della Big Apple e per la produzione si affidava a uno dei nomi caldi del momento, Phil Ramone, una vita da tecnico del suono prima della promozione alla regia per il Paul Simon di “Still Crazy After All These Years”: exploit mercantile - dritto al numero uno della classifica USA - e di critica e subito un Grammy portato a casa. Nulla tuttavia rispetto a “The Stranger”, che al primo posto non riuscirà ad arrivare, occupando in compenso per sei settimane la seconda piazza, ma da allora colleziona platini e a oggi sono dieci. Nell’anno del punk e della disco, il 1977, uno dei campioni di incassi era un album che non potrebbe essere più distante da questa come da quello. Che per quanto attiene le sue fortune commerciali una parte di merito vada ascritta al produttore non vi è dubbio: lui a persuadere l’artefice a rendere più lineari gli arrangiamenti, più puliti i suoni. Questione di dettagli rispetto ad esempio al predecessore e però dettagli decisivi, per quanto naturalmente “The Stranger” non sarebbe stato il trionfo che fu senza una “Just The Way You Are” che è da allora la ballata sentimentale per eccellenza. È tuttavia, e artisticamente soprattutto, anche il disco di una “Movin’ Out” fra il festoso e il romantico, della piccola suite fra il popolaresco e il colto di “Scenes From An Italian Restaurant”, dell’ammiccante rock’n’roll “Only The Good Die Young”, di una “She’s Always A Woman” un po’ Cohen e un po’ tanto (ma guarda!) Paul Simon. Squadra che vince non si cambia e il sodalizio Phil Ramone/Billy Joel durerà in letizia più di tanti matrimoni. La firma del primo è quindi in calce pure a quel “The Innocent” di cui sul numero 348 celebravo una ristampa Original Master Recording in forma di doppio 12” da ascoltare a 45 giri. Scrivevo che “se quest’anno avevate intenzione di acquistare una sola edizione speciale per audiofili, che sia questa” e ora che lo stesso marchio si è ripetuto tocca a me pure ripetermi. A volume adeguato si riesce quasi a convincersi di essere lì, agli A&R Recording al 799 della Seventh Avenue, in un torrido agosto newyorkese di trentasette anni fa. Eddy Cilìa BLACK BUDDY MILES THEM CHANGES (MUSIC ON VINYL) AUDIOREVIEW n. 355 settembre 2014 MUSICA Con quel vestito un po’ così (e vogliamo spendere due parole sui tamburi?), quell’espressione un po’ così e quella capigliatura afro che sembra finta tanto è esagerata che sfoggia in copertina, a priori non daresti due soldi al Buddy Miles di questo LP del 1970. Ma quanti altri album meravigliosi di black abbiamo in casa con protagonisti abbigliati in maniera tale da fare sembrare l’Elton John dei tempi belli un modello di sobria eleganza? E non merita fiducia un uomo che fu con gli Electric Flag e con la banda zingara di Jimi Hendrix? A dare una possibilità a “Them Changes” si viene premiati da un disco solido e variegato, capace di passare dalla collisione fra Hendrix e James Brown (negli studi della Stax) della canzone che inaugura e battezza al folk-pop clamorosamente bolaniano di “I Still Love You, Anyway”, dal garagistico beat di “Heart’s Delight” al serrato errebì sospinto da fiati roboanti di “Dreams”. A inaugurare la seconda facciata la sorpresa più grande, una rilettura di grande pathos del classico di Neil Young “Down By The River”. E poi: un “Memphis Train” che corre e sbuffa che è un piacere, i Booker T. & The MG’s alla benzedrina di “Paul B. Allen, Omaha, Nebraska”, il disteso midtempo di “Your Feeling Is Mine” (degno di chi lo scrisse, tal Otis Redding). Non sarà un capolavoro, ma è per certo un album che a recuperarlo se ne trae godimento. Eddy Cilìa 147