Smart-Lift ed elevazione mini-invasiva del seno

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Smart-Lift ed elevazione mini-invasiva del seno
CASI CLINICI
Introduzione
L’elevazione del pavimento del seno mascellare eseguita utilizzando un accesso crestale
è stata presentata da Tatum nel 1977 (1) e
successivamente pubblicata nel 1986 (2). La
tecnica consisteva nel preparare il sito
implantare con un modellatore d’alveolo di
grandezza adeguata all’ impianto da inserire:
si creava, infatti, una frattura a legno verde
del pavimento del seno, sospingendo lo
strumento in direzione verticale. Nel 1994,
Summers (3) ha modificato tale tecnica suggerendo l’utilizzo di uno specifico set di
osteotomi utilizzati sia per preparare il sito
implantare che per elevare il pavimento del
seno. Recentemente, Fugazzotto (4) ha presentato una tecnica per cui una fresa carotatrice, sospinta fino al pavimento del seno
mascellare, crea una carota di osso. Tale
carota viene utilizzata per fratturare la corticale del pavimento del seno mediante la
pressione idraulica di osteotomi. Da allora
sono state presentate diverse tecniche transcrestali di rialzo del pavimento del seno (513). Tali procedure si avvalgono o di osteotomi (5-7) o di frese (2, 4, 8-13) per fratturare la
corticale del pavimento del seno.
In entrambi i casi, le tecniche di accesso al
seno mascellare presentano svantaggi e vantaggi. L’utilizzo di osteotomi potrebbe
aumentare la densità dell’osso mascellare,
comprimendo e compattando il tessuto
durante la fase di rialzo della membrana di
Schneider. L’utilizzo di una fresa carotatrice
(4, 8, 13) potrebbe, invece, consentire di utilizzare il sito implantare come sito donatore
di osso autologo da utilizzare per l’incremento verticale dello stesso. L’indubbio
svantaggio legato all’utilizzo degli osteotomi
è che se viene lasciato uno spesso strato di
corticale al di sotto del pavimento del seno,
la penetrazione dello strumento richiederebbe un’energica azione percussiva che può
esitare in complicanze post-chirurgiche,
quali la Vertigine Posizionale Parossistica
Smart-Lift
ed elevazione
mini-invasiva del
seno mascellare
Leonardo Trombelli*, Pasquale Minenna**,
Giovanni Franceschetti*, Roberto Farina*, Luigi Minenna*
*Centro di Ricerca e Servizi per lo Studio delle Malattie Parodontali, Università di Ferrara
** U.O.C. di Odontostomatologia, Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, S. Giovanni
Rotondo (Foggia)
I STATO DELL’ARTE: la metodica SMART LIFT, recentemente introdotta
nelle procedure di rialzo del seno mascellare per via crestale, presenta
rispetto alle tecniche convenzionali un maggior controllo delle lunghezze
di lavoro degli strumenti e una limitata invasività intraoperatoria.
I OBIETTIVO: il presente lavoro valuta, mediante una serie di casi, efficacia clinica e morbidità della metodica SMART LIFT
Benigna (14-16). Il mancato controllo della
lunghezza di lavoro degli osteotomi potrebbe, inoltre, consentire un’eccessiva penetrazione dello strumento all’interno della cavità
sinusale, con un consensuale elevato rischio
di perforare la membrana di Schneider.
L’utilizzo, invece, di frese con controllo di
lunghezza di lavoro fornisce un maggior controllo di lavoro dello strumento, determinando così I) che l’azione di taglio della fresa sia
limitata all’osso nativo riducendo, pertanto,
il rischio di perforazione della membrana; II)
che venga lasciato un esiguo spessore di
corticale del pavimento del seno eliminando
o riducendo l’azione percussiva sull’osteotomo; III) che anche l’osso autologo presente
nel sito chirurgico possa essere utilizzato per
la procedura ricostruttiva. A oggi, sfortunataAnno IV - n°2 - maggio 2010
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
PUNTO CHIAVE
La tecnica
si avvale di frese
e osteotomi
specificamente
progettati.
PUNTO CHIAVE
Lo scopo del lavoro
è presentare
i dati preliminari
relativi a efficacia
e morbidità
della metodica.
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mente, non vi sono strumenti rotanti in
grado di preservare l’osso nativo residuo
durante la preparazione del sito implantare
e si rende, dunque, necessario l’utilizzo di
innesti ossei aggiuntivi.
Il nostro gruppo di ricerca ha recentemente
proposto una tecnica minimamente invasiva
per il rialzo del seno mascellare, denominata
Smart Lift, che si avvale di frese e osteotomi
specificamente progettati (17-20). Tale procedura è una modifica della tecnica proposta da Fugazzotto (4) e la novità principale
risiede nel fatto che tutti gli strumenti, siano
essi manuali o rotanti, vengono utilizzati in
associazione a stop di lunghezza che restringono l’azione di lavoro degli strumenti all’altezza verticale dell’osso residuo, prevenendo
così un’accidentale penetrazione dello strumento entro la cavità sinusale. Tali stop
intercambiabili presentano differenti lunghezze di lavoro (da 4 a 11 mm) e possono
essere inseriti su tutti gli strumenti.
Lo scopo del presente lavoro è presentare i
dati preliminari relativi all’efficacia clinica e
alla morbidità postoperatoria di procedure
di rialzo del seno mascellare effettuate con
metodica Smart Lift.
Materiale e metodi
Popolazione di studio
I pazienti sono stati reclutati presso il Centro
di Ricerca e Servizi per lo Studio delle
Malattie Parodontali dell’Università di
Ferrara e presso l’Unità Operativa
Complessa di Odontostomatologia,
Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, S.
Giovanni Rotondo (Foggia, Italia), da maggio
2007 a gennaio 2009.
I pazienti necessitavano di una riabilitazione
protesica a supporto implantare in sestanti
posteriori mascellari, con almeno un sito
con una quantità di osso giudicata insufficiente per il posizionamento di un impianto
secondo tecniche implantari convenzionali.
Anno IV - n°2 - maggio 2010
Prima di effettuare la chirurgia sono state
trattate tutte le patologie orali, inclusa la
malattia parodontale. I criteri di inclusione
dei pazienti a cui è stata effettuata la procedura Smart Lift sono stati:
I indicazione alla riabilitazione protesica a
supporto impiantare, mediante accurata diagnosi e piano di trattamento;
I condizioni locali e sistemiche compatibili
con la chirurgia impiantare e ricostruttiva
del seno mascellare;
I assenza di sintomi o segni clinici di patologie sinusali, come confermato da esami
clinici e radiografici;
I altezza di osso residuo (ovvero distanza tra
la cresta ossea e il pavimento del seno
mascellare) di almeno 4 mm;
I consenso informato verbale o scritto:
I volontà di partecipare e collaborare con
quanto proposto dal protocollo dello studio.
Procedura chirurgica
L’altezza ossea residua del sito dove, in
accordo con il piano protesico, si è deciso di
inserire l’impianto, viene rilevata con radiografia endorale (Figura 1) e, quando richiesto, TAC. Se ritenuto opportuno, si possono
anche utilizzare mascherine chirurgiche realizzate mediante ceratura diagnostica.
Al paziente viene somministrata una premedicazione antibiotica (2 grammi di amoxicillina 1 ora prima dell’intervento). Viene sollevato un lembo a spessore totale e si perfora
la corticale ossea con la prima fresa del kit,
denominata Locator Drill, con punta lavorante fino a una profondità di massimo 3
mm. Successivamente si utilizza una seconda fresa, Probe Drill che, avendo diametro
1,2 mm e testa non tagliente, è stata appositamente disegnata per definire la corretta
posizione e orientamento del sito implantare. Per minimizzare il rischio di perforazione
della membrana sinusale, tale fresa deve
essere utilizzata con uno stop di lunghezza, di
almeno 1 mm più corto della lunghezza di
lavoro radiografica (rWL), ovverosia della
CASI CLINICI
PUNTO CHIAVE
Nel sito implantare
viene inserito
un osteotomo
manuale
in direzione
apicale.
Figura 1 In regione #2.4 è stato progettato l’inserimento di un impianto postestrattivo, in regione #2.5 l’inserimento di un impianto con consensuale rialzo di seno
con tecnica Smart Lift. In quest’ultimo sito la radiografia
preoperatoria indica un’altezza di 8 mm di osso nativo.
Figura 2 In regione #2.4 è stato estratto l’elemento
dentario e consensualmente inserito l’impianto. In regione #2.5 la fresa Probe Drill (Ø 1,2) viene utilizzata alla
lunghezza di lavoro radiografica(rWL), meno 1 mm,
mediante stop di lunghezza.
distanza tra cresta e pavimento del seno rilevata sulla radiografia (Figura 2). Un osteotomo manuale, con diametro 1,2 mm, denominato Probe Osteotome, viene quindi inserito
nel sito implantare e sospinto gentilmente
in direzione apicale. Tale strumento è in
grado di penetrare attraverso la spongiosa
dell’osso mascellare fino alla corticale del
pavimento del seno; ciò consente di dare
all’operatore la percezione tattile della reale
distanza anatomica tra la cresta ossea e il
pavimento del seno nel sito dove verrà inserito l’impianto (Figura 3). Con il Probe
Osteotome si definisce, pertanto, la lunghezza di lavoro chirurgica (sWL), che verrà trasferita sugli stop di lavoro a cui tutti gli altri
strumenti del kit, rotanti e non, che verranno
successivamente utilizzati.
L’orientamento e la profondità del sito chirurgico può essere ulteriormente controllata
mediante il Radiographic Pin (di diametro
1,2 mm), per mezzo di radiografia endorale.
Tale strumento presenta un diametro di 4,0
mm e consente, perciò, di valutare anche la
relazione spaziale tra il sito chirurgico e la
cresta ossea residua sia in direzione vestibolo-linguale, che mesio-distale, facilitando
pertanto la scelta della lunghezza e del diametro dell’impianto da utilizzare.
A questo punto si utilizza la fresa Guide
Drill, di diametro 3,2 mm (per impianti di
diametro 3,75-4,5 mm) o 4,0 mm (per
impianti di diametro 4,8–5,0 mm). Tale fresa
segue la precedente preparazione di diametro 1.2 mm creata dalla fresa Probe Drill e
crea un allargamento dell’imbocco del sito,
per una profondità di circa 2 mm (Figura 4).
Tale allargamento facilita l’inserimento e la
corretta posizione di lavoro della successiva
fresa carotatrice, la Smart Lift Drill (di diametro 3,2 o 4,0 mm) (Figura 5). Quest’ultima
fresa, lavorando alla lunghezza di lavoro chirurgica (sWL), penetra fino alla corticale del
pavimento del seno creando una carota
ossea. Un osteotomo calibrato Smart Lift
Elevator di diametro corrispondente alla
PUNTO CHIAVE
L’allargamento
dell’imbocco
del sito facilita
la posizione
di lavoro.
Figura 3 Il Probe Osteotome viene fatto procedere
all’interno dell’osso midollare fino a raggiungere la corticale del pavimento del seno mascellare. Esso ha confermato una lunghezza di lavoro chirurgica (sWL) di 8
mm, sulla cui base viene selezionato lo stop da inserire
in tutti i successivi strumenti.
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
PUNTO CHIAVE
Si può aggiungere
un innesto
di osso autologo
corticale
o un biomateriale
sostituto.
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Figura 4 La fresa Guide Drill crea un invito per la successiva fresa carotatrice.
Figura 5 La fresa Smart Lift Drill, usata alla lunghezza
di lavoro chirurgica (8 mm), crea una carota ossea
profonda fino al pavimento del seno mascellare.
preparazione della fresa carotatrice (3,2 mm
o 4,0 mm), viene quindi inserito sospingendolo per condensare la carota ossea e, infine, azionato mediante lievi percussioni per
fratturare il pavimento del seno (Figura 6).
Qualora la carota ossea dovesse rimanere
intrappolata nella Smart Lift Drill, essa può
essere facilmente rimossa e riposizionata
nel sito chirurgico.
In relazione all’entità della ricostruzione che
si vuole ottenere si può aggiungere un innesto osseo, quale particolato di osso autologo corticale o un biomateriale sostituto dell’osso (Figura 7). L’innesto viene, anch’esso,
condensato e sospinto nel seno mediante
Smart Lift Elevator, usato alla lunghezza di
lavoro chirurgica (sWL), per prevenire un’accidentale penetrazione dello strumento
all’interno della cavità sinusale (Figura 8).
L’impianto viene inserito con viti di guarigione all’interno della stessa seduta chirurgica.
I lembi vengono suturati con suture riassorbibili (Vicryl ® , Johnson & Johnson,
Neuchatel, Switzerland, 6-0). Per ogni
impianto si è eseguita radiografia postoperatoria e controllo a sei mesi dalla chirurgia
(Figure 9 e 10). Ai pazienti è stato prescritto
una terapia analgesica a base di FANS
(Nimesulide, 100 mg) e una terapia antimicrobica con collutorio a base di clorexidina
(Dentosan ®, 0,12%, Johnson & Johnson,
Neuchatel, Switzerland, 10 ml t.i.d. per 3 settimane). Le suture sono state rimosse una
settimana dopo l’intervento chirurgico.
Figura 6 La carota ossea viene sospinta nel seno per
mezzo dello Smart Lift Elevator munito di stop di
profondità.
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Parametri clinici
Al momento della procedura chirurgica sono
stati registrati i seguenti parametri:
I lunghezza di lavoro radiografica (rWL).
Distanza tra cresta ossea e pavimento del
seno misurata sulla radiografia periapicale;
I lunghezza di lavoro chirurgica (sWL).
Distanza tra cresta ossea e pavimento del
seno misurata mediante Probe Osteotome;
I diametro vestibolo-palatale della cresta,
misurata mediante calibro nel sito impiantare;
I durata della procedura Smart Lift. In minuti, dalla perforazione della corticale ossea
all’inserimento impiantare;
I procedura ricostruttiva. Carota ossea ±
innesto osseo aggiuntivo;
CASI CLINICI
PUNTO CHIAVE
I parametri clinici
sono stati valutati
durante, subito dopo
e a una settimana
dalla procedura
chirurgica.
Figura 7 Un biomateriale a base di osso bovino deproteinizzato (BioOss, Geistlich Biomaterials, Wolhusen,
CH) viene inserito nel sito chirurgico.
Figura 8 L’innesto osseo viene sospinto nel seno per
mezzo dello Smart Lift Elevator con stop di lunghezza.
Figura 9 Radiografia immediatamente post-operatoria.
Si noti il rialzo del pavimento ottenuto a livello dell’impianto distale.
Figura 10 Immagine clinica a 6 mesi.
incidenza di perforazione di membrana
(valutata mediante Valsalva) o di altre complicanze intraoperatorie;
I stabilità primaria dell’impianto valutata a
30N di torque.
Immediatamente dopo la procedura chirurgica sono stati registrati i seguenti parametri:
I dolore provato durante la procedura chirurgica, valutato mediante VAS 100 mm (con
range da no dolore a dolore insopportabile);
I trauma percepito durante la procedura chirurgica, valutato mediante VAS 100 mm (con
range da non traumatico a massimamente
traumatico);
I presenza di complicanze correlate alla procedura di rialzo del seno.
Una settimana dopo la procedura chirurgica
sono stati registrati i seguenti parametri:
I dosaggio del FANS (Nimesulide 100 mg)
assunto nel periodo postoperatorio;
I dolore percepito al momento, valutato
mediante VAS 100 mm (con range da no
dolore a dolore insopportabile);
I presenza di complicanze postchirurgiche
correlate alla procedura di rialzo del seno.
I
Misurazioni radiografiche
Le variabili primarie dello studio sono state
misurate sulle radiografie mediante righello
digitale. Nei siti ricostruiti, si è valutata un’eventuale variazione di altezza del pavimento
del seno, misurando le seguenti variabili: I)
lunghezza dell’impianto (IL), definita come
la distanza tra apice e testa dell’impianto,
misurata sulla radiografia; II) livello osseo
(BL), definita come la distanza, misurata
radiograficamente, tra il punto radiopaco
più apicale dell’area ricostruita e la testa
dell’impianto. Entrambe le rilevazioni si
PUNTO CHIAVE
Si è valutata
un’eventuale
variazione di altezza
del pavimento
del seno.
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
mesi sono state valutate mediante Student
t-test. Il livello di significatività statistica è
stato definito al 5%.
PUNTO CHIAVE
La relazione
tra pavimento
di seno ricostruito
e impianto
è stata classificata
in 3 gruppi.
Risultati
Figura 11 Immagine radiografica a 6 mesi. Si noti l’area radiopaca ricostruita che circonda l’apice dell’impianto.
sono effettuate lungo l’asse longitudinale
centrale dell’impianto. Per esprimere la relazione tra l’altezza della cresta ossea ricostruita e la lunghezza dell’impianto, si è calcolato il rapporto BL come BL/IL. Un valore
≥1,0 indica che il pavimento del seno ricostruito ricopriva l’apice dell’impianto; un
valore <1,0 indica che l’apice dell’impianto
non è stato completamente coperto dal
pavimento del seno ricostruito.
La relazione tra pavimento di seno ricostruito e impianto è stata pertanto classificata in
3 gruppi (21):
I gruppo I. Il pavimento del seno ricostruito
è situato al di sopra dell’apice dell’impianto;
I gruppo II. Il pavimento del seno ricostruito
è situato allo stesso livello dell’apice dell’impianto;
I gruppo III. Il pavimento del seno ricostruito
è situato al di sotto dell’apice dell’impianto.
Tutte le misurazioni sono state effettuate da
un
singolo
operatore
(Giovanni
Franceschetti), non coinvolto nelle procedure chirurgiche. L’operatore non conosceva,
durante le analisi, a quale tempo di osservazione appartenessero le radiografie esaminate.
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Analisi statistica
Il paziente è stato considerato unità statistica. I dati sono stati espressi come medie ±
deviazioni standard. La variazioni del rapporto BL/IL tra i valori al baseline e i valori a 6
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Sono stati trattati 11 pazienti consecutivamente (6 maschi, 5 femmine) di età media di
48,8 anni. Si è rilevata una rWL media di
6,1±1,8 mm, una sWL media di 6,1±1,6 mm
e un diametro vestibolo-palatale della cresta
di 7,7±2,6 mm. La durata media della procedura di rialzo del seno è stata 23,4±8,8
minuti. Non si sono registrate perforazioni
di membrana o altre complicanze chirurgiche né durante, né immediatamente dopo la
chirurgia. Sono stati inseriti 14 impianti, con
3 pazienti che hanno contribuito a 2 impianti ciascuno. Gli impianti hanno avuto una
lunghezza media di 10,3±1,2 mm (range 9,013,0 mm). Tutti gli impianti hanno mostrato
stabilità primaria immediatamente dopo
l’inserimento. In 10 impianti sono state inserite viti transmucose, in 4 viti di copertura.
La carota ossea creata dalla Smart Lift Drill è
stata utilizzata in tutti i casi, per elevare il
pavimento del seno. In 3 casi si è ulteriormente aggiunto un particolato di osso autologo, in 5 casi un biomateriale a base di
idrossiapatite (Biostite®, Gaba-Vebas,
Roma, Italia) e collagene, in 5 casi osso
bovino deproteinizzato (Bio-Oss®; Geistlich
Biomaterials, Thiene, Italia), in 1 caso un
biomateriale a base di idrossiapatite arricchita con magnesio (Sintlife®, Finceramica,
Faenza, Italia).
I valori medi del rapporto BL/IL sono stati
1,2±0,1 (intervallo: 1,1-1,5) al baseline e
1,2±0,1 (intervallo: 1,0-1,4) ai 6 mesi di
osservazione (p> 0,05). Al baseline tutti gli
impianti (14 impianti su 14, 100%), sono
stati classificati nel gruppo I mentre ai 6
mesi di osservazione 13 dei 14 impianti
(93%) osservati appartenevano al gruppo I
(Figura 11).
CASI CLINICI
Figura 12 Punteggio VAS immediatamente postoperatorio (post-op) e a 7 giorni dalla chirurgia relativamente
al dolore e allo scomfort percepito dal paziente.
Il punteggio VAS è stato immediatamente
dopo chirurgia 9,4±13,4 (range 0-37) mm
relativamente al dolore e 17,0±22,2 (range 067) mm relativamente al trauma percepito;
al settimo giorno postoperatorio è stato
2,1±4.9 (range 0-14) mm relativamente al
dolore (Figura 12). A 7 giorni dalla chirurgia 7
pazienti hanno riferito di aver assunto
Nimesulide 100 mg, con un dosaggio medio
di 2,9±2,1 compresse durante i primi 7 giorni
postoperatori.
Nessun paziente e nessun impianto è stato
perso nei primi 6 mesi postoperatori. La riabilitazione protesica è stata inserita entro i
4-6 mesi dalla chirurgia in tutti i casi.
Discussione e conclusioni
Il presente studio ha risultati clinici preliminari di una procedura chirurgica minimamente invasiva per il rialzo di seno con
accesso crestale.
I siti chirurgici avevano un’altezza ossea residua media di 6,1 mm, mentre la lunghezza
media degli impianti è stata di 10,3 mm. A 6
mesi dalla chirurgia, si è osservato, su radiografie periapicali, tessuto osseo mineralizzato neoformato che ricopriva la porzione apicale dell’impianto nel 93% dei casi. Nessuna
complicanza chirurgica è stata registrata né
durante, né dopo la procedura ricostruttiva.
Questa tecnica deriva, essenzialmente, da
una procedura descritta precedentemente
(4), che suggeriva l’utilizzo combinato di
frese carotatrici e osteotomi per il rialzo di
seno con approccio crestale. I risultati riportati da Fugazzotto (4) erano di una percentuale di successo implantare, a 13-48 mesi di
follow-up, del 98,0%. La tecnica implicava l’utilizzo di una fresa carotatrice che doveva
penetrare fino a 1 mm dal pavimento del
seno; successivamente doveva essere utilizzato un osteotomo che, mediante l’azione
percussiva del martello, doveva penetrare
fino a 1 mm meno della profondità iniziale
della fresa carotatrice per far implodere la
carota ossea, all’interno del seno. La pressione idraulica esercitata dall’osteotomo
doveva fratturare il pavimento del seno consentendo di ottenere un aumento verticale
dell’osso crestale nel sito implantare. Tale
tecnica, però, presenta alcuni indubbi svantaggi: I) è strettamente operatore-dipendente poiché non presenta alcun dispositivo di
controllo di azione della fresa carotatrice e
dell’osteotomo; II) un’eccessiva penetrazione della fresa carotatrice o dell’osteotomo
potrebbe causare un danno diretto alla
membrana sinusale.
La nostra procedura chirurgica si avvale dell’utilizzo di un set chirurgico in cui tutti gli
strumenti presentano tacche a 4-5-6-7-8-910-11 mm per garantire il controllo della
lunghezza di lavoro dello strumento.
L’azione di lavoro degli strumenti deve essere, infatti, confinata all’osso nativo residuo.
La lunghezza di lavoro degli strumenti viene
prima stabilita radiograficamente, poi confermata con il Probe Drill e il Probe
Osteotome. La fresa Probe Drill è fornita di
una testa tagliente che consente una facile
penetrazione nell’osso mascellare fino al
raggiungimento della corticale del pavimento del seno. A questo punto viene inserito
l’osteotomo manuale Probe Osteotome per
definire la lunghezza di lavoro chirurgica che
PUNTO CHIAVE
La procedura
chirurgica
per il rialzo del seno
con accesso crestale
non ha avuto
alcuna complicanza.
PUNTO CHIAVE
Il set chirurgico
garantisce
il controllo
della lunghezza
di lavoro
dello strumento.
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PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
PUNTO CHIAVE
Con la metodica
l’aumento dell’osso
si effettua
condensando
una carota ossea.
PUNTO CHIAVE
Non è stata
registrata
alcuna perforazione
di membrana
durante o dopo
la chirurgia.
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Anno IV - n°2 - maggio 2010
viene percepita tattilmente dall’operatore
quando lo strumento incontra la corticale del
pavimento. Una volta definita la lunghezza di
lavoro chirurgica, vengono inseriti su tutti gli
strumenti degli stop di profondità di misura
corrispondente. Il fine è controllare al meglio
l’azione di lavoro degli strumenti, minimizzando conseguentemente il rischio di perforazione della membrana sinusale.
In passato è stata proposta una tecnica (8)
associata all’utilizzo di frese carotatrici dotate
di spalla-stop per perforare il pavimento del
seno. Sfortunatamente, però, la lunghezza di
lavoro di tali strumenti veniva determinata
solo radiograficamente, esponendo, pertanto,
l’operatore a un alto rischio di sotto o sovraestimazione della reale altezza di osso residuo.
Con la presente metodica, l’aumento verticale dell’osso residuo viene effettuato mediante
condensazione di una carota ossea all’interno
del seno. Tale condensazione eleva la membrana sinusale, creando lo spazio per la formazione di un coagulo. È logico che il contributo dato dalla carota ossea alla neoformazione di osso dipende dal sito impiantare,
vale a dire maggiore sarà l’altezza ossea residua del sito, maggiore sarà l’altezza della
carota ossea che viene condensata all’interno
del seno. Nei casi in cui, pertanto, vi sia una
limitata altezza di osso residuo, la neoformazione di osso può essere coadiuvata dall’utilizzo di un innesto aggiuntivo. Nel nostro studio sono stati utilizzati in associazione alla
carota ossea, materiali da innesto (particolato di osso autologo corticale, osso bovino
demineralizzato o biomateriali a base di
idrossiapatite). Durante la procedura ricostruttiva, la pressione idraulica per rialzare la
membrana è stata esercitata per mezzo del
biomateriale, evitando assolutamente per
mezzo degli stop di profondità incontrollate
penetrazioni dell’osteotomo nella cavità del
seno. Studi precedenti hanno suggerito un
aumentato potenziale osteoinduttivo/osteoconduttivo correlato all’utilizzo aggiuntivo di
sostituti dell’osso (22), dopo aver confrontato
procedure di rialzo del seno transcrestale con
e senza inserimento di biomateriale. Tali
autori hanno riportato un guadagno radiografico medio di 4,1 mm nei siti ricostruiti con
biomateriale e 1,7 mm nei siti ricostruiti
senza biomateriale. Nel presente studio non
è stata registrata nessuna perforazione di
membrana durante o immediatamente dopo
chirurgia. Una revisione sistematica condotta
recentemente (23) ha riportato che un’incidenza della perforazione della membrana
associata a procedure di rialzo di seno transcrestale da 0% a 21,4% e un’incidenza di
infezioni post-operatorie da 0% 2,5%. Uno
studio (24) condotto su cadavere umano ha
valutato la risposta della membrana a procedure di rialzo di seno transcrestale con osteotomo e ha riportato perforazione di membrana in 6 (24%) di 25 impianti; il rischio di
perforazione aumentava all’aumentare dell’entità del rialzo. Uno studio endoscopico
(25) ha dimostrato che è possibile sollevare
la membrana fino a 5 mm senza avere una
sua perforazione. Un altro studio (26), analizzante anch’esso il rialzo di seno mediante
endoscopia, ha riportato, però, risultati
discordanti: il rialzo di seno con osteotomi
ha determinato il distacco della membrana in
un’area estesa, sia lateralmente che apicalmente alla porzione terminale dell’impianto.
In 2 degli 8 pazienti si è osservata una perforazione della membrana con fuoriuscita di
particelle di biomateriale. A oggi, non è ancora chiaro se e fino a che punto la perforazione
di membrana possa compromettere la
sopravvivenza implantare. A tal proposito,
uno studio preclinico (27) ha dimostrato che
impianti inseriti con procedura di rialzo di
seno crestale ed esposti volutamente per 4-8
mm all’interno del seno sono stati ricoperti
parzialmente da mucosa, evidenziando nella
parte esposta depositi batterici, con potenziale rischio di infezione sinusale.
Un eccessivo trauma percussivo durante il
rialzo di seno per mezzo di osteotomi può
causare la Vertigine Posizionale Parossistica
CASI CLINICI
Benigna (BPPV), una sindrome caratterizzata
fenomeni di vertigine episodica, scatenata da
movimenti del capo di lateralizzazione ed
estensione verso il lato affetto (14-16). Tale
sindrome è autolimitante, ovvero i sintomi
che la caratterizzano possono diminuire o
svanire entro i 6 mesi dalla comparsa, ma
necessita di un intervento professionale (28).
Nella presente serie di casi clinici non si sono
osservati episodi di BPPV né durante la procedura chirurgica, né nella prima settimana
postoperatoria. L’utilizzo di una fresa carotatrice fino a 1mm dalla corticale del pavimento
del seno ha, probabilmente, ridotto al minimo la necessità di percuotere l’osteotomo
con il martelletto per fratturare la corticale
stessa. La tecnica Smart Lift può considerarsi,
in tal senso, meno traumatica rispetto alle
convenzionali tecniche osteotomiche di elevazione del pavimento del seno.
La metodica Smart Lift, dunque, rappresenta
un’opzione mini-invasiva per il rialzo di seno
con accesso crestale. La tecnica si basa su un
set di strumenti manuali e meccanici che,
grazie all’utilizzo di stop di profondità, previene eventuali complicanze chirurgiche e garantisce facilità e rapidità di utilizzo. Ulteriori
studi clinici randomizzati sono, però, necessari per valutare l’efficacia clinica della tecnica rispetto ad altre tecniche di rialzo del seno.
Ringraziamenti
Si ringrazia Meta CGM s.p.a., Reggio Emilia,
Italy, per aver prodotto e fornito il kit chirurgico.
Bibliografia
1. Tatum OH. Lecture presented to Alabama
Implant Study Group. 1977.
2. Tatum H Jr. Maxillary and sinus implant reconstructions. Dent Clin North Am 1986; 30:
207–229.
3. Summers RB. The osteotome technique: Part
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PUNTO CHIAVE
Non si sono
registrati casi
di BPPV durante
la procedura
e nella prima
settimana dopo.
Anno IV - n°2 - maggio 2010
33
DentalClinics
PERIODICO DI ODONTOIATRIA GENERALE
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$ALLARICERCAITALIANA
ILCEMENTOENDODONTICOCHEINDUCE
LAFORMAZIONEDIDENTINA
3IGILLOENDODONTICO
"IOCOMPATIBILITË
!TTIVITËANTIBATTERICA
)NDURISCEINAMBIENTEUMIDO
EINPRESENZADIFLUIDIBIOLOGICI
/TTURAZIONIRETROGRADE
3TABILITËDIMENSIONALE
FILLOSILICATOBREVETTATO
"IOATTIVITËCONFORMAZIONEDIAPATITE
)NCAPPUCCIAMENTIDIRETTI
!DATTAMENTOMARGINALE
.ONSIDEGRADANELTEMPO
!DEGUATAESPANSIONE
!PECIFICAZIONI
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