BUDAPEST E IL PAESE MAGIARO

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BUDAPEST E IL PAESE MAGIARO
BUDAPEST E IL PAESE MAGIARO
Finalmente dopo vari decenni sono riuscito a coronare un sogno di gioventù.
Erano gli anni dell’immediato dopo guerra, nella ditta dove lavoravo c’era un anziano, più vicino
ai settanta che ai sessanta, tutto sale e pepe come i suoi lunghi baffi, Luigi Tosolini di Feletto,
detto “Vigj campanel”. Quando noi ragazzi non filavamo diritti, l’urlo di Vigj ci rimetteva in
ordine. Durante la pausa meridiana, allora diventava più “mugnestri” e seduti in circolo
ascoltavamo i suoi racconti di gioventù, vissuti sulle rive del Danubio e precisamente a Budapest.
Ci raccontava di donne meravigliose, di palazzi alti fino a 10 piani, del metrò che passava sotto il
fiume il quale era largo “come di Felét a Culugne”, attraversato da immensi ponti sospesi
sull’acqua.
La guerra del 15-18 interruppe purtroppo questa bella esperienza del nostro Luigi, costretto a
rientrare in patria, vestire il grigioverde e andare sul Carso a sparare sui cari amici ungheresi che
lui ci garantiva più bravi degli italiani, perché sapevano tutti leggere e scrivere, mentre i nostri,
coetanei di Luigi sì e no appena il 50%.
Anche io come Vigj dovetti andarmene per il mondo per 35 anni, però di tanto in tanto mi
risuonavano nelle orecchie le sue parole, i suoi racconti, allora sentivo un desiderio prepotente di
visitare questo popolo, nonostante avessi avuto modo dì vedere e conoscere tanti paesi, fra altri mi
mancava anche il paese magiaro. La proposta di “Onde Furlane” è arrivata al momento giusto,
eccoci alla partenza.
Sono le 6,30 di lunedì 10 settembre 1990, giornata splendida anche perché l’estate di quest’anno è
stata avara di pioggia. Il paese è ancora immerso nel silenzio, sulla provinciale passa qualche rara
auto. Mia moglie ed io siamo i primi sui gradini del bar “da Alfredo”, con i nostri bagagli in attesa
del pullman, seguiti a ruota dalla coppia Totis.
Bepi ci racconta che la mattina del giorno prima ha fatto in bici: Martignacco-Bovec (Jugoslavia)
via Caporetto, tot. km. 166, alle 11.oo era già di ritorno a casa. Al grido di meraviglia di Fidelma
risponde, con la sua proverbiale allegria: “O soi lat par tignimi in forme, e j’e une robe di nie”.
Nel frattempo è arrivato tutto il gruppo dei mirtignacchesi, le due coppie Basaldella e Pretto, non
ultima l’Aurora che è la simpatica mascotte del gruppo, beata lei che non è arrivata ancora agli
“anta”.
Ecco che con precisione cronometrica arriva il pullman, Elio, l’autista gentilmente ci aiuta a
caricare i bagagli e un quarto d’ora dopo ci fermiamo in Via Volturo di fronte alla nostra radio per
caricare la maggior parte dei partecipanti. Vi sono rappresentati tutti i ceti sociali, c’è il
rappresentante, il libero professionista, c’è l’artigiano, l’insegnante, l’operaio, la casalinga, il
pensionato, c’è pure la coppia di sposini freschi freschi ancora caldi! Il pullman si muove.
Partiamo, sono le 7,30, direzione Tarvisio.
L’autostrada dalla Stazione di Carnia in poi è un gioiello d’ingegneria del cemento armato.
Dopo un’oretta di viaggio ci rendiamo conto che i 47 componenti del gruppo per la maggior parte
mai conosciutisi prima, familiarizzano fra di loro con facilità straordinaria, compreso il
sottoscritto, creando un’atmosfera allegra e spensierata che ci accompagnerà per tutto il viaggio,
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come fossimo stati amici di vecchia data. Diciamo che è naturale che sia così, altrimenti che
“amici di Onde furlane” siamo?
Verso le 9.oo entriamo in Austria, o nel Norico come chiamavano i romani questa regione, in quei
tempi la città più ricca era Vìrunum, odierna Klagenfurt, a cui faceva capo Aquileia per il
commercio di oro, ferro e sale di cui la regione era particolarmente ricca.
Ci si accorge subito che siamo in una nazione fra le più, civili d’Europa e quando dico “civili” non
alludo certo a quante auto circolano sulle strade.
Verso le 10.oo sul pullman si gioca alla tombola, fin qui niente di male, anzi le donne vanno in
visibilio “e quant che le femine e iè contente dut al funsie te cjase”. Il bello viene subito dopo
incominciato il gioco, Antonietta chiama i numeri estratti ed il fortunato si precipita a marcarli in
attesa del prossimo, ma la cartella ha un sistema diabolico per segnare i numeri usciti: ci sono
come delle finestrelle trasparenti da calare sui numeri estratti. Aimé quando il fondo stradale si fa
scabroso il pullman sobbalzando, manda su e giù, allegramente, le finestrelle annullando i numeri
buoni già chiamati e magari inserendone altri fasulli creando un guazzabuglio indescrivibile. Io mi
sono divertito un mondo, non così mia moglie che dice: “O levi par 1 e cumò alè parat ju dut”,
cerco di calmarla però senza successo, dicendole che non ha importanza, in fondo l’utile viene
devoluto alla nostra radio che ne ha bisogno. Niente da fare, se per me la tombola è un gioco quasi
infantile, per lei è una cosa seria.
Intanto siamo arrivati a Graz abitanti 250.000, la seconda città dopo Vienna, è bagnata dal fiume
Mur, affluente della Drava che a sua volta è affluente del Danubio. Pranziamo in un ristorantino
senza pretese, il cibo è discreto, al nostro tavolo siede una simpatica, coppia della nostra
compagnia, abitano a Carpacco, lui come hobby dipinge, ed è veramente bravo ha già pubblicato
un libro illustrando egregiamente il Friuli.
Entrando in territorio ungherese vediamo che la campagna si fa più brulla e man mano che
andiamo avanti il paesaggio appare come un’immensa steppa incolta. Verso le I9.oo siamo già alla
periferia di Budapest, e dopo una mezz’eretta in mezzo al traffico cittadino scendiamo davanti
all’Hotel Budapest che per questi giorni sarà la nostra casa. Qui ci aspetta la prima sorpresa,
siccome un ascensore è rotto gli ospiti vengono deviati sull’unico rimasto in funzione, carico
massimo 4 persone magre. Coda. Nel nostro turno salgono, oltre mia moglie, altre due persone
grassocce, pardon, bene in carne, suona il campanello, la porta non si chiude, la cabina non parte,
le signore incredule si chiedono: “Cosa succede?”, rispondo: E’ già successo, a tavola, mangiate
come ‘ludre’ e ora, o quella che è salita per ultima esce, oppure fate una mezz’oretta di aerobica,
forse dopo l’ascensore ce la farà.” Così che l’ultima entrata, esce brontolando, la rimasta è una
simpatica toscanona in cerca di coalizione contro un comune nemico, rivolgendosi a mia moglie,
dice: “Suo marito ci considera grasse, a me non pare” e così dicendo si palpeggia, inchiodandomi
con uno sguardo inquisitore. Naturalmente Fidelma si schiera apertamente dalla parte della
toscanona. Finalmente riesco ad entrare in camera e scoppiare a ridere divertito, dall’altra parte
delta barricata: “Rît, rît, secàt !”.
Per il resto nulla da eccepire, un albergo abbastanza moderno, caratteristica forma cilindrica, con
300 camere divise su quindici piani. E’ situato nel quartiere di Buda ai piedi delle colline vicino ad
un grande parco. Una zona relativamente tranquilla, dalle ampie finestre della nostra camera
all’undicesimo piano, si gode una bella vista, rivolta a sud-est verso le colline.
Appena il tempo per una rinfrescatina e giù di corsa a cena.
Sala da pranzo in stile rustico, ricavata nello scantinato dell’Hotel.
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Alla nostra tavola siamo tutti di Martignacco più Luciano di Remanzacco e Matiussi” el citadin di
Udin”, due simpatiche e allegre persone. Appena seduti ci viene servito un bicchierino di
“barakpalinka” grappa di albicocche. Qui è di prammatica dare il benvenuto all’ospite con questa
forte e profumata acquavite. Menù locale, ricco e vario, buono anche se un po’ piccante. Il tutto
accompagnato da musica Tzigana, l’orchestrina sfodera un repertorio dove predominano i motivi
italiani. In Ungheria nel 90 % dei ristoranti c’è l’orchestrina con a capo il primo violino, in
magiaro “Primasc”.
Verso le 22,30 ci ritiriamo in camera, Fidelma vincendo il suo proverbiale sonno precoce mette
mano ai bagagli per sistemare le cose, in questi momenti guai a toccarla (leggi disturbarla) allora
per il povero marito l’unica cosa da fare è rifugiarsi sotto le coperte.
Sono le 6,30 di martedì 11 in quel di Budapest, appena apro gli occhi ti vedo come il solito la dolce
metà già da tempo alzata, e già impegnata a riassettare e stirare. “Ce timp isal” chiedo con voce
flebile per non disturbarla troppo, “No ai timp jo di cjalà pal balcon, o ai i lavórs di fa” è la
lapidaria risposta.
Scendiamo al piano rialzato diretti verso uno dei due ristoranti dove viene servita la prima
colazione. Al ‘buffet’ adocchio fra i latticini, il famoso yogurt “kefir” una specialità della zona
danubiana e lo consiglierò, in seguito, a molti dei nostri amici. Le Stefanute approfitta per fare il
pieno e alle mie occhiatacce si giustifica così: “Cui sa a ce ore che lin a gustà”. La paura di
rimanere a stomaco vuoto si trasforma in lei in panico e allora giù.
Subito dopo arriva Luciano e ci annuncia che siamo i primi, di tutta la nostra banda, ad essere
già alzati.
La maggioranza degli ospiti in Hotel sono di lingua tedesca seguiti dai francesi poi vengono gli
inglesi e un paio di gruppetti italiani.
La guida finalmente arriva alle 9.00, si chiama Juditt, è una simpatica ragazza che parla benissimo
la nostra lingua e subito assieme al nostro capo gruppo Sergio fanno il programma.
Partiamo all’assalto
della città armati di
macchine
fotografiche,
cineprese, o come il
sottoscritto con la
biro e taccuino di
appunti a portata di
mano, da notare che
il clima di allegria ci
accompagna
costantemente.
A mezzogiorno,
completato il primo
“Tour de force” ci
rendiamo conto di
una cosa che la
maggioranza di noi
ignorava e cioè che
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la capitale ungherese oltre ad essere bella, è una città pulita.
Pranzo al ristorante “Gambrinus” in centro Pest, il cibo è discreto, la verdura senz’olio è usanza
locale, ma non ci viene servito il caffè, speriamo che non sia usanza locale pure questo.
Approfitto di un momento di calma e, siccome l’indomani pomeriggio saremo liberi, chiedo alla
nostra guida di poter visitare, con un taxi, un’interessante e recente ritrovamento archeologico del
Paleolitico inferiore, a circa 50 km. dalla città. Sarebbe un vero peccato non approfittare di questa
occasione, dato che questo ritrovamento è la più vecchia testimonianza di un insediamento umano
in Europa, risalente a circa 500.000 anni fa. La Judit prende nota e mi promette che si interesserà.
Nel pomeriggio, sempre in pullman, gita a “Szentendre” San Andrea, a pochi km fuori città. E’ un
villaggio caratteristico di circa 12 mila abitanti, l’acciottolato pulito delle sue stradine, le facciate
delle casette tutte bianche con il contrasto di porte e finestre rosso-bordeaux. In fondo alle stradine
in discesa c’è il Danubio che scorre spazioso e calmo, qui fra il verde della campagna pare ancora
più maestoso, mi ricorda tanto il Nilo fra Luxor ed Assuan, qui mancano solo i palmizi. Visitiamo
una casa museo con le opere di una famosa ceramista Margit Kovàcs, da qualche anno scomparsa,
era veramente una grande artista, a giudicare dai suoi lavori.
Usciti di nuovo all’aperto la guida ci
lascia mezz’ora di libertà, Fidelma ne
approfitta per tuffarsi nei vari
negozietti per turisti, intanto io torno
ad ammirare il fiume. Ci rimane poi il
tempo di entrare al “Càfe Nostalgia”,
(pronuncia la g dura), dove oltre un
eccellente cappuccino assaggiamo
degli ottimi pasticcini, ambiente
caratteristico, ne è valsa la pena
entrare.
Orszàghaz (Parlamento)
Rientro in hotel per una rinfrescatina
ma ahimè l’ascensore è ancora rotto,
di conseguenza davanti all’unico
funzionante coda decametrica.
Cena in un ristorante di periferia, la cui specialità è il pesce, io che mangerei pesce anche a
colazione, ero a nozze! Abbiamo avuto modo di assaggiarlo in tutte le varietà, accompagnati da
un’orchestra melodica con vasto repertorio anche di musica moderna. A me sta a cuore “Szomorù
Vasàrnap” Triste domenica, famosa melodia degli anni 30 di Reszso Seress, parla di una ragazza
che decide di suicidarsi dopo essere stata abbandonata. Timidamente ne faccio richiesta al
Primasc il quale gentilmente mi accontenta. Appena scorrono le prime note della struggente
melodia tutti fanno silenzio per non perdere nessun passaggio. Terminato il pezzo è superfluo
aggiungere che ci fu un clamoroso battimani all’indirizzo dell’orchestrina. Passato qualche minuto
Judit annuncia dall’altoparlante che oggi la coppia Pretto festeggia le nozze d’argento,
immaginarsi la festa che facciamo ai due fortunati. Segue subito la marcia nuziale con tutta la
solennità che il momento richiede, il primo violino si dimostra all’altezza della situazione,
regalando ai festeggiati e a noi tutti dei numeri di alto virtuosismo. Naturalmente ci ricordammo di
loro nella immancabile mancia.
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Verso le 23.oo rientro in hotel dove ci attende la solita coda davanti all’ascensore per salire
all’undicesimo piano.
Mercoledì 12 settembre, ci svegliamo con un bel tempo.
Abbondante colazione, in seguito scendiamo nell’ampia “hall” e seduti su comode poltrone
scriviamo le solite cartoline che prima o poi verranno regolarmente cestinate, ma se per caso non
le mandi, sono pronte le rampogne: “Vergogniti, nancje une cartoline !!”.
Alle 9.oo arriva puntuale la Judit a cui chiedo subito notizie sugli orari per la mia trasferta
archeologica del pomeriggio, mi garantisce che per mezzogiorno mi spiegherà tutto. Allora mi
accordo col tassista per il prezzo e per l’orario ci sentiremo per telefono, qui è tutto a posto.
Partiamo per il secondo giro della città. Ieri abbiamo visitato Pest, che sta a levante del Danubio,
oggi è il turno di Buda che è situata sulle colline a ponente del fiume. Saliamo sul monte Gellert =
Gerardo, dal nome dei primo vescovo cristiano che veniva da Roma nei primi secoli del
cristianesimo, ma i pagani del posto lo ammazzarono con il supplizio della botte irta di chiodi,
chiudendolo nella stessa e facendolo rotolare dalle falde del monte. Dalla cima alta 140 m. sul
livello del mare si gode uno stupendo panorama di una parte di Buda e di tutta Pest, con il fiume
che le divide come un nastro perlaceo riflettente la luce di questo sole settembrino. Due monumenti
colpiscono l’occhio, uno sulla sommità del monte, eretto ai soldati sovietici che nell’ultima guerra
espugnarono la città dopo un lungo assedio a prezzo di enormi perdite umane, cacciando i tedeschi
e i fascisti ungheresi. Il secondo monumento è circa a metà monte e rappresenta Gerardo il vescovo
martire.
Riprendiamo il discorso del Danubio il quale è attraversato 5 ponti, il più vecchio è il ponte delle
catene che risale al 1849,
seguito dopo 25 anni dal ponte
Margherita, il quale collega le
due sponde all’isola omonima,
dopo 47 anni viene il turno del
ponte della Libertà, nel 1903 si
aggiunse il ponte Elisabetta, nel
1937 il ponte Petöfi, mentre il
“ponte Arpàd fu terminato nel
1950. Non dimentichiamo che
tutti questi gioielli
dell’architettura furono distrutti
dai tedeschi per tentare di
bloccare l’avanzata dell’Armata
Rossa, ma fu uno scempio
inutile perché i russi gettarono
un ponte più a sud, sull’isola
Csepel e continuarono
l’avanzata. Naturalmente tutti i
ponti furono ricostruiti nella loro forma originale come oggi li vediamo.
Ponte delle Catene
Siccome devo annotare tutto, devo dire che oggi c’è un vento tremendo, fastidioso e freddo
nonostante splenda il sole. Qui sulle alture di Buda la bora magiara spazza via tutto, compreso
quello sparuto gruppo di turisti che vengono dal Friuli, che indossano molto probabilmente solo
abiti estivi o quasi. Conclusione, corsa a chi arriva prima al pullman.
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Alle 11,30 inizia il giro in battello lungo il Danubio, che guardandolo da vicino, ti accorgi che non
è per niente blu, né qui né tanto meno a Vienna dove qualche anno fa lo vidi addirittura color
fango. Se pensiamo che fino al 1866 l’acqua del fiume era potabile, addirittura c’erano i venditori
o acquaioli, che in quel anno rimasero disoccupati perché il Consiglio cittadino costruì
l’acquedotto. Il grado d’inquinamento finora è contenuto, tanto è vero che si vedono di frequente i
pescatori sulle sponde, dagli ultimi rilievi risulta che vi vivano circa 50 specie di pesci.
Appena a bordo ci viene dato il benvenuto con lo champagne, man mano che il battello avanza
possiamo ammirare le bellezze architettoniche degli edifici sulle due sponde, ma arrivati all’altezza
dell’isola Margherita, mancando il tempo di visitarla, ci limitiamo a circumnavigarla e ad
osservare i suoi splendidi parchi, giardini e gli impianti termali. Per vedere meglio le bellezze
sopra descritte e per scattare qualche foto saliamo sul ponte, ma il vento è tremendo, non da
tregua, solo Bepi, il reporter ufficiale del gruppo, non si scompone e continua imperterrito il suo
servizio, abituato a ben altre battaglie quando scala lo Jof Fuàrt o lo Jof di Montasio.
Sono arrivate le 13.oo andiamo a pranzo in un ristorante nella zona di Buda, si chiama “Règi
Orszàghaz” = Vecchio Parlamento. Come il solito pietanze abbondanti. Il primo violino
dell’orchestra è un buontempone e nella pausa fra un pezzo e l’altro si diverte con l’archetto a
sollevare le gonne alle signore, le quali fingono di gridare, in verità si divertono da matte.
Siccome nel pomeriggio siamo liberi chiedo per l’ennesima volta a Juditt le delucidazioni sulla mia
trasferta archeologica del pomeriggio. Le fornisco i gettoni per la telefonata e attendo, dopo lungo
parlottare appende la cornetta e mi dice sospirando: “Mi scusi per non essermi interessata prima,
il museo di Vertesszóllós (così si chiama la località) chiude fra mezz’ora”. Io rimango ammutolito,
domattina partiamo per Pecs, mi sento come derubato da qualche cosa che non rivedrò più. “Ma
benedete frute a le doi dis che o continui a dital !”. Forse la ragazza non ha dato troppo peso alla
cosa e si è dimenticata della richiesta di quello strano tipo che ti arriva da uno sperduto paesino
del Friuli e si preoccupa durante, l’unico pomeriggio libero, di andare a visitare delle ossa e
scheggie di sasso vecchie, di 500.000 anni fa, invece di seguire la compagnia in giro per i negozi di
Budapest, dove non vendono cultura, ma solo “pezòs”. Certo lei non può sapere che al maniaco dei
sassi sepolti sarebbe piaciuto anche ascoltare Bach, dal meraviglioso organo della cattedrale
gotica di Mattia, e visitare almeno qualcuno dei numerosi musei di questa capitale, ma questo è un
altro discorso.
Questo mio fantasticare, mentre
seguo di malavoglia il gruppo, mi
porta alla Vaci utca = Vicolo Voci,
che è una zona pedonale del centro
chiusa al traffico. Vi si trovano negozi
di ogni ben di Dio, a colpo d’occhio
non mi pare tiri aria di crisi, come si
legge sui giornali, qui tutti spendono
come da noi. Entriamo in un negozio
di dischi, peraltro fornitissimo e
pieno zeppo di clienti, dopo un po’ di
pazienza riesco a comperare delle
cassette di musica ungherese fra le
quali anche la Szomorû Vasàrnap,
che l’onnipresente Serafino mi promette di tradurre, speriamo mantenga la parola.
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Al rientro facciamo conoscenza con una signora italiana di Ascoli, abita a Budapest da 45 anni, ha
sposato un ungherese, fa la traduttrice per una casa editrice, non è molto tenera con il regime
passato, di cui fa una critica pungente. I suoi figli sono tutti laureati e sistemati, uno è direttore
della televisione di Stato. Ci racconta che ha conoscenti a Feletto. Salutandoci ci fa capire che ha
una struggente nostalgia dell’Italia. Passa veloce un’auto targata Roma e lei grida: “Romanaccio,
vai piano e non bere!” Con una punta di dispiacere la perdiamo di vista mentre viene inghiottita
dalla folla anonima della capitale magiara.
Eccoci a cena in un ristorante della periferia, un ambiente a prima vista senza pretese, ma carino,
sistemato in un ampio giardino, dove trovano posto il buffet, la sala da pranzo, il palcoscenico, la
pista da ballo, il tutto coperto con delle stuoie e il pavimento in terra battuta, qua e la qualche
albero di cui si vede solo il tronco, perché i rami stanno al di sopra del soffitto di stuoie. Ci siamo
divertiti un mondo, mangiato e bevuto in abbondanza come sempre, i vini ungheresi sono buoni e
costano meno di quelli italiani. I vari spettacoli folcloristici che si sono susseguiti con ballerini e
cantanti, erano eseguiti da autentici artisti, specialmente la soprano bionda, bella e brava, di
conseguenza i battimani erano interminabili, meritatissimi senz’altro. La pista da ballo ha visto il
susseguirsi anche delle coppie nostrane di cui la coppia Pretto è stata la più assidua. Bravi.
Alle 22,30 rientrando in pullman lungo il Danubio, abbiamo modo di ammirare una vista
incantevole, le luci che illuminano i palazzi delle due rive, si riflettono sull’acqua del fiume,
danzando come fuochi fatui. In fondo si staglia la sagoma illuminata del ponte delle catene
(Szechenyi hid) che fa come da cerniera fra le due sponde, e di fronte a questo scenario ti prende
una rabbia impotente di non essere un poeta per poter declamare queste bellezze.
23.oo passate, domattina bisogna alzarsi presto per accaparrarsi l’ascensore, in più ci sono le
valige da portare, Fidelma sta già trafficando a piegare ed impachettare, mentre il sottoscritto,
lieve, lieve per non disturbarla, s’infila sotto le coperte.
Mattina di giovedì 13, ore 7,30, ascensore dopo 3 giorni
ancora rotto, questi gravi e prolungati disservizi per noi
incomprensibili, sono certamente retaggio degli ex regimi
dell’Est, auguriamoci che piano piano questi paesi con
l’avvento della democrazia tornino alla normalità. Una
cosa è ben chiara ed evidente, che non tutto nei paesi
comunisti era negativo, come nei regimi capitalisti non
tutto è positivo.
Abbiamo già fatto colazione, caricati i bagagli, sono seduto
nel pullman, manca qualche decina di minuti alla partenza,
sono solo, anche l’autista è andato a prendere il caffè.
Butto già a caldo le mie impressioni sulla capitale magiara.
La prima cosa che mi ha colpito è, come ho già detto, la
pulizia ed insisto su questa qualità di vita, perché se la
confrontiamo con le città svizzere dove ho vissuto tanti
anni, è normale amministrazione, ma se confrontiamo con
Roma la nostra capitale ti cadono le braccia. Qui siamo
rimasti per tre giorni feriali, ma non abbiamo trovato
spazzature in giro, cartacce o plastica, tutto è pulito come
le facciate dei palazzi e le arterie lungo il Danubio.
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Lo città con due milioni e 300.000 abitanti, ti prende e ti coinvolge nella sua vita allegra, ma non
depravata, città bella, ma non sfarzosa, metropoli con tanto verde più a Buda che a Pest.
La splendida architettura delle sue costruzioni, dal Gotico della chiesa di Mattia al neogotico del
Parlamento, dal neoclassico del duomo di S. Stefano, al barocco di tante altre chiese, sono tutti
rappresentati in un’armonia di stili e di colori, nei bellissimi palazzi lungo le rive del fiume e
nell’entroterra.
Jales Romains, scrittore e urbanista francese, n. 1885 – m. 1972, membro dell’Accadèmie
Française, diceva che Budapest sul Danubio e Parigi sulla Senna, sono le più belle città fluviali
d’Europa, ma aggiungeva, la capitale magiara era la più bella. E se lo diceva un francese !
Verso le 8.00 si parte con un tempo splendido, dopo una trentina di km. il panorama cambia, al
verde della campagna coltivata intensamente, ora davanti ai nostri occhi appare una sterminata
pianura arsa, è la Puszta che occupa quasi un terzo del territorio ungherese.
Ci fermiamo a Kecskemét, una ridente cittadina di 80 mila abitanti, veniamo in seguito informati,
che ha ben 13 musei. Siamo ricevuti dal Vice Sindaco molto entusiasta di accogliere i turisti italiani
chissà se fra se penserà alla valuta che il turismo di massa porta, e di conseguenza qualche cosa
possa entrare pure anche nella cassa del
suo comune. Alla fine congedandosi
regala ad ognuno una bottiglietta di
barakplìnka e un opuscoletto illustrato
con le notizie storico-economiche della
sua città.
Lasciamo a malincuore questa cittadina
per spostarci di nuovo di pochi km. in
mezzo alla Puszta e precisamente a
Lajosmizse dove andiamo a visitare una
cooperativa agricola con estesi frutteti.
Però qui la primaria occupazione è
l’allevamento dei cavalli e il loro
addestramento, di cui i cavallerizzi ci
danno varie dimostrazioni, tutte impeccabili, dell’arte equestre.
Intanto è già passato mezzogiorno ed il nostro autista Elio ci porta di nuovo verso nord per una
trentina di km. e vicino al villaggio di Nagykörös c’è un ristorante ricavato da una vecchia fattoria
“Lou”, con il caratteristico tetto di paglia. Qui finalmente mangiamo il vero Gulas che in magiaro
si scrive “Gulyasc” il quale non ha niente a che fare con il piatto che noi conosciamo. Appena
seduti ci viene servita una brodaglia come un minestrone con dentro vari pezzi di carne, patate,
cipolle e porcheriole varie, il tutto abbondantemente condito con paprika e altre spezie. Ma se agli
occhi non piace, al palato si rivela squisito, con dei profumi e sapori mai assaggiati, allora evviva
il Gulyasc.
Mario da bravo artista del legno, uscito nel giardino prospiciente la sala da pranzo, osservando
una fioriera, ti scopre un fregio scolpito, veramente originale. Matita e un pezzo di carta e lo
schizzo è già nel taschino del nostro ebanista. “Mario tu nus fasaras viodi el capolavór finit”.
Verso le 15.oo siamo in marcia alla volta dì Pecs. Man mano che andiamo verso sud, la campagna
cambia e dopo un po’ la troviamo florida e ben tenuta.
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Lasciamo la pianura alle nostre spalle e ci inoltriamo in un paesaggio collinoso con estesi vigneti.
Di tanto in tanto appaiono pittoreschi paesini con molte casette nuove.
A Dunaföldvar riattraversiamo il Danubio e dopo 25 km, a Paks costeggiamo di nuovo, per un po’,
il Grande Fiume, come lo chiama Claudio Magris nei suo splendido volume “Danubio” facendo
una descrizione da epopea a questo storico corso d’acqua.
Eccoci a Pecs (pronuncia Pecc), Fünfkirchen in tedesco, Cinquechiese in italiano, abitanti 160 mila
è la terza città ungherese in ordine di grandezza. Sono le 18.oo il pullman ci sbarca davanti
all’Hotel Pannonia che per due giorni sarà la nostra dimora, non è tanto grande ma pulito e
tranquillo.
A cena, una tavola tutta per noi di Martignacco, tutti allegri come uccellini, ma è giusto così, una
volta tanto abbiamo lasciato i pensieri a Tarvisio e li riprenderemo più tardi possibile al rientro.
Dopo cena andiamo a fare una passeggiata per la città, verso le 23.00 tutti a nanna.
Venerdì 14, dopo la solita abbondante colazione, usciamo assieme ai Totis, scopo ricognizione
negozi. Sul pullman , prima di partire per la visita della città chiedo a Juditt se nel giro è compresa
la visita agli affreschi delle cinque cappelle paleocristiane del 4.o secolo d.C, mi risponde di si,
dopo aver chiesto alla guida locale. Giriamo la città in lungo e in largo, il cui pezzo forte è il
museo di una fabbrica di ceramica dove sono raccolti dei veri capolavori in maiolica. Mentre
usciamo chiedo a Juditt se le cappelle hanno fatto la fine dei Paleolitico di Budapest. “Nooo!
signor Nobile nel pomeriggio abbiamo tutto il tempo per completare la visita alle cappelle” è la
risposta.
Dopo pochi km., ci fermiamo a Pécvárad e sull’altura sopra il paese c’è un castello, restaurato e
adattato a ristorante. Il posto è bellissimo, ma c’è un piccolo disguido, le sale sono occupate dai
ministri del nuovo governo magiaro, così noi comuni mortali aspettiamo fino alle 15.00 per poter
mangiare. Intanto saliamo sui bastioni a goderci il panorama, ma la vista seppur meravigliosa, non
basta per calmare gli stimoli della fame degli stomaci vuoti.
Rientro a Pecs alle 17.30, “Juditt mi hai fregato di nuovo!”, cappelle paleocristiane chiuse, negozi
per spendere i restanti fiorini, chiusi riusciamo a malapena a comperare un salame ricordo, poi
tutto chiuso.
“O soi néri, vué alè làt dut in strucje”. (Sono nero, oggi è andato tutto storto!)
Alle 20.30 cena “al Minareto”, che è un ambiente non lontano dall’Hotel, ed è ricavato da un
labirinto di scantinati, ad ogni modo è un posto piuttosto squallido. Anche qui come negli altri
ristoranti, siamo condannati ad ingurgitare, carne, cibi piccanti, dolci farciti, vino, barakpálinka,
ascoltare musica assordante, violini tzigani, “Triste Domenica” per la ragazza disperata che si
getta dal Danubio, guide che si dimenticano, Matiuss che ti mene le viole, fortunat lui. !
Ma torniamo “al Minareto” , notiamo che alla fine della cena come al solito Bepi seguito a ruota
dalla mia dolce metà, battono tutti di un paio di piatti nella gara abbuffatoria.
Rientro in camera, di nuovo aria di valige, domani si rimpatria, la cuccagna sta per finire. 23.15
tutto torna calmo e Morfeo ci accoglie nel suo regno.
Sabato mattina 05.00 sveglia, alle 06.00 troviamo l’ascensore libero, portiamo le valige nella Hall,
poi ci mettiamo in fila con i soliti tedeschi in attesa che aprano il buffet per la colazione. Tutti i
nostri amici del gruppo dormono beati, per noi mattinieri incalliti, abituati alle latitudini di Berna e
Lugano, dove la giornata lavorativa comincia alle 07.00 in clima di lotta e lavoro, alzarsi alle
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06.00 è normale amministrazione, sia nella Confederazione Helvetica, che a Martignacco, oppure
a Budapest, brutta abitudine vero?
Finalmente alle 08,00 siamo tutti seduti in pullman, pronti per partire. Arriva Juditt per salutarci,
Sergio le consegna il ricavato della mancia collettiva, pure io ho partecipato con la mia quota,
anche se per conto mio non se l’era meritata, però devo essere obiettivo, la quasi totalità del nostro
gruppo e stata contenta di lei, il mio caso è un’eccezione.
Alle 9.oo attraversiamo la Drava, che segna il confine fra Ungheria e Jugoslavia. Il primo paesino
Jugoslavo è Terezino Polje dove c’è la dogana. Vediamo numerosi camion carichi di barbabietole
da zucchero, che fanno la nostra stessa strada.
Ci rendiamo conto che le strade ungheresi erano molto meglio delle iugoslave, dove in certi tratti,
di queste ultime, pare di viaggiare sul fondo di un fiume in secca. La zona è una pianura ondulata,
bella e fertile. Passiamo a Bielovar, cittadina della Croazia, a un’ottantina di km. dopo il confine.
Da questa località veniva Miro, un mio amico che conobbi a Berna nel ’58. Pittore simpatico, ma
anima inquieta, parlava correntemente quattro lingue. A 18 anni scappò da casa e si unì ai
partigiani di Tito, dopo tre anni di lotte, finita la guerra si sposa con un’ex-partigiana che gli da un
figlio. Fonda una ditta, ma dopo un po’ s’innamora della sua segretaria, pianta tutto e fugge con
lei a Zagabria. Raggiunto dalla polizia è costretto a mantenere moglie e figlio. Scappa di nuovo in
Svizzera chiedendo asilo politico. Povero Miro chissà che fine avrà fatto, l’ultima volta che lo vidi
nel 67, lavorava per conto di una compagnia di assicurazioni bernese. “Sai mio figlio ha vent’anni,
vuole sposarsi, è tutto suo padre, muoio dalla voglia di vederlo, ma se rientro mi mettono subito in
prigione, cosa faccio Nobile?” mi chiedeva supplicante.
Intanto siamo arrivati alla capitale croata, Zagabria, 750.000 abitanti è la seconda città dopo
Belgrado ed è bagnata dal fiume Sava.
Pranziamo in un ristorante del centro, in seguito ci rimane un po’ di tempo per visitare la città alta
dove possiamo ammirare, fra altri notevoli monumenti, il duomo, in gotico francese, eretto nel
1300. Nel frattempo Fidelma è attorniata da zingarelle che tendono la mano, questa volta data la
loro giovanissima età il portamonete “de Stefanute” si apre, senza recriminazioni.
Riprendiamo la via del ritorno per le amene contrade della Slovenia, siamo tutti euforici è il
momento delle barzellette, vari barzellettieri si susseguono ai microfono, ma la rivelazione più
eclatante è Mario Pretto ti prende nel vortice della risata come un professionista dei palcoscenico,
il bello è che la persona rimasta sorpresa, più di tutti, dall’exploit, è la sua Adelina, che fra il serio
e il faceto dice: “No varès mai crodut, alè propit une bore scuindude!”, e naturalmente un altro
supplemento di risate collettive.
Dopo Lubiana, percorrendo un pezzo di autostrada da poco in funzione, leggo le indicazioni
Logatec km 5, Godòvic km. 26, quei nomi mi riportano indietro nel tempo: settembre 1943, la ditta
Tonini di Udine, dove lavoravo assieme a mio padre, viene militarizzata al completo e trasferita
nella zona di questi due paesi, dove passava la vecchia linea di confine con la Jugoslavia e
obbligati a costruire fortificazioni per i tedeschi. Esattamente 47 anni fa, l’8 settembre alle 20.oo,
l’allora capo del governo maresciallo Badoglio, annunciava l’armistizio e la sospensione delle
ostilità. Immediatamente zaino in spalla e in marcia tutta la notte e alle 7.oo della mattina dopo,
eravamo già alla stazione di Aidussina in attesa del treno che, finalmente, ci portava a casa.
Stanchi, ma felici ed euforici, perché la guerra era finita. Purtroppo era solo un’illusione, la
tragica realtà era che, la peggiore delle calamità che possa colpire l’umanità, doveva ancora
durare 8 lunghi mesi, mietendo centinaia di migliaia di innocenti, per la difesa di quelle patrie
fasulle, a cui fortunatamente nessuno crede più.
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Intanto siamo arrivati al valico di Fernetti, quasi non mi accorgo che siamo in Italia, la ragazza del
bar e i clienti parlano sloveno, come dall’altra parte della barricata, i confini dividono, ma la
lingua dei padri rimane.
Che dire di questo viaggio? Ho già detto tutto, mi rimane solo di ringraziare Onde Furlane e in
special modo Sergio Venuti, per l’ottima riuscita di tutto e speriamo di rivederci alla prossima.
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Due parole sui viaggi all’estero, ogni volta che rientro, mi convinco sempre di più che la possibilità
di vedere il mondo con i propri occhi è un fattore importante di arricchimento culturale.
Conoscendo di persona un paese straniero, e osservandolo, naturalmente, non con sguardo
malevolo o peggio di pregiudizio, si è in grado di capire meglio se stessi, il proprio paese con le
sue virtù, e i suoi difetti.
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N.B.: No stéit a cirì la sintassi o altris règulis, le pene nol è el gnò mìstir.
Jò o ài i cai tès mans.
Tàntìs grassis di vermi lèt fin insomp.
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M. Nobile
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