L`impatto delle spese per l`abitazione di residenza sulla
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L`impatto delle spese per l`abitazione di residenza sulla
L’impatto delle spese per l’abitazione di residenza sulla distribuzione dei redditi familiari in Italia Michele Raitano (Sapienza Università di Roma) 1. Introduzione Nella prima parte di questa ricerca si è mostrato come in tutti i paesi dell’Unione Europea il titolo di godimento dell’abitazione di residenza costituisca una delle determinanti principali delle condizioni di vulnerabilità delle famiglie: i proprietari, specialmente quando non gravati dagli oneri del mutuo, sono infatti, a parità di altre condizioni, ovunque meno esposti a rischi di povertà e deprivazione economica (Franzini et al. 2008). Approfondire l’analisi del legame fra la “casa” ed il benessere familiare appare dunque cruciale in un’ottica distributiva, anche al fine di identificare i nuclei maggiormente bisognosi di politiche sociali selettive. In realtà, anche per ineludibili difficoltà metodologiche e computazionali (Frick e Grabka 2003), le analisi distributive sulle condizioni di benessere delle famiglie si concentrano di solito principalmente sulle diseguaglianze di reddito (Baldini e Toso 2009), dedicando poca attenzione al ruolo svolto dal possesso dell’abitazione di residenza, nonostante questa rappresenti per la larghissima maggioranza della popolazione la principale componente della ricchezza familiare e costituisca una primaria garanzia contro una serie di rischi cui possono essere soggetti individui e famiglie (Kurz e Blossfeld, 2004). Osservare la distribuzione dei redditi familiari disponibili – ovvero tutti i redditi monetari provenienti da qualsiasi fonte (lavoro, ricchezza mobiliare, terreni, fabbricati, trasferimenti, al netto delle imposte sul reddito)1 – potrebbe dunque non essere sufficiente per valutare le condizioni di benessere relativo delle famiglie. A tal fine, l’analisi va necessariamente estesa incorporando, mediante una metrica monetaria, il vantaggio/svantaggio, in termini di maggior consumo potenziale o maggiore spesa effettiva, che deriva alle famiglie a seconda che vivano in una casa di proprietà o debbano sostenere un affitto. 1 Sulla definizione di reddito familiare disponibile e sulle modalità di inclusione dei proventi delle diverse fonti, si vedano Smeeding e Weinberg (2001) ed il rapporto pubblicato nel 2001 dal Canberra Group on Household Income Statistics. 1 In altri termini, la mancata considerazione dei vantaggi e/o degli oneri differenziali collegati al titolo di godimento dell’abitazione di residenza potrebbe distorcere di molto la valutazione del tenore di vita delle famiglie, alterando sia la dimensione assoluta dei principali indicatori distributivi (medie ed indici di dispersione), sia la posizione relativa delle diverse famiglie lungo la scala distributiva. Nel presente capitolo, dopo aver sinteticamente richiamato alcune caratteristiche relative alla distribuzione delle famiglie per titolo di possesso della casa in Italia e nella UE15 (paragrafo 2), si intende dunque valutare quale sia l’impatto sulla distribuzione dei redditi familiari in Europa ed in Italia delle spese per l’abitazione di residenza o, al contrario, dei vantaggi connessi al vivere in una casa di proprietà o pagando un affitto agevolato. Tuttavia, prima di procedere all’analisi empirica, bisognerà attentamente valutare le implicazioni delle diverse modalità suggerite in letteratura per misurare i benefici o i costi dell’housing (paragrafo 3). L’analisi empirica – basata sui micro-dati rilevati nel 2007 nell’ambito dell’indagine europea EU-SILC e nella sua versione nazionale ITSILC curata dall’ISTAT – verrà quindi successivamente condotta facendo uso di diverse modalità alternative di imputazione degli oneri per la casa all’interno della definizione del reddito familiare, anche al fine di verificare quanto i risultati varino a seconda della modalità prescelta. Nello specifico, nell’analisi si indagherà come la valutazione monetaria degli aspetti legati all’housing modifichi il tenore di vita delle famiglie (paragrafo 4), la dimensione dei principali indicatori distributivi (paragrafo 5) e la posizione relativa dei diversi nuclei lungo la scala distributiva (paragrafo 6). Il paragrafo 7 conclude riassumendo le principali risultanze. 2. La distribuzione del titolo di godimento dell’abitazione di residenza Fra i paesi dell’Unione Europea a 15 si osserva un’ampia eterogeneità in termini di distribuzione dei titoli di godimento delle abitazioni (figura 1)2. La quota di famiglie proprietarie dell’abitazione di residenza (con e senza mutuo) è infatti superiore al 70% nei Paesi dell’Europa Meridionale e in quelli Anglosassoni, mentre i valori minimi si registrano in Austria e Germania3. Al contempo, 2 Nell’indagine EU-SILC il titolo di godimento dell’abitazione di residenza viene registrato mediante 4 modalità: proprietario, affittuario a prezzo di mercato, affittuario a canone agevolato ed uso gratuito (ad esempio, i figli che vivono in abitazione intestate ai genitori senza pagare un canone di locazione). Non si distingue quindi esplicitamente chi sta pagando un mutuo sulla prima casa. L’incrocio delle informazioni sul titolo di godimento con quelle derivate dal prospetto dei redditi, dove viene registrato se e quanto si paga come mutuo (sia come capitale che come interessi) consente però di distinguere l’ulteriore gruppo dei mutuatari. Per l’Italia, il modulo nazionale dell’indagine SILC registra invece direttamente i mutuatari all’interno della sezione relativa al titolo di godimento dell’abitazione. 3 In Germania nel prospetto dei redditi familiari non sono rilevate le spese connesse al mutuo sull’abitazione di residenza; non è dunque possibile identificare i mutuatari all’interno del gruppo dei proprietari. 2 relativamente molto elevata è in Francia, Regno Unito e Finlandia la quota di chi vive in affitto pagando un canone agevolato4. In Italia, la distribuzione del titolo di possesso dell’abitazione è differenziata per macro-area geografica, soprattutto a causa della nettamente minore diffusione della proprietà con mutuo nelle Regioni del Mezzogiorno (figura 2). Molto limitata è nel nostro paese la quota di affittuari a canone agevolato, a conferma della scarsa rilevanza di housing policies pubbliche (la differenza fra il canone di mercato e quello agevolato rappresenta un trasferimento in natura a vantaggio dei beneficiari), mentre soprattutto nelle Isole significativa è la quota di chi occupa abitazioni concesse dai proprietari gratuitamente. Come lecito attendersi, il titolo di possesso dell’abitazione è d’altronde correlato alle condizioni socio-economiche familiari. Distinguendo la popolazione in base al decile della distribuzione dei redditi disponibili equivalenti di appartenenza (figura 3), si osserva come la quota di mutuatari cresca costantemente col reddito della popolazione, confermando così che l'accesso al credito non costituisce un perfetto sostituto del reddito. Contestualmente, con l’eccezione del decile più ricco in 4 Un canone di locazione agevolato può essere legato a 3 ordini di motivi: regolamentazione stringente del settore privato; affitto di una casa di edilizia pubblica; affitto agevolato di una casa di un ente o di proprietà del datore di lavoro. L’indagine EU-SILC rileva (non per tutti i paesi, fra i 15 non per Danimarca e Paesi Bassi) chi paga un affitto agevolato, ma senza distinguere tra questi 3 aspetti, la cui distinzione sarebbe invece cruciale per capire gli effetti distributivi delle housing policies. 3 cui sono relativamente abbastanza diffusi sia l’affitto a prezzi di mercato che l’uso gratuito, la quota di affitti a “prezzo intero” e di “usi gratuiti” tende a ridursi al passaggio verso decili più ricchi. Come ricordato in introduzione, il titolo di possesso dell’abitazione è generalmente correlato in modo molto robusto con una serie di indicatori di vulnerabilità e deprivazione (Franzini et al. 2008, Sauli e Tormalehto 2010). A conferma di tale regolarità, in Italia si osserva che chi paga un mutuo o 4 un affitto a prezzo di mercato, con frequenza maggiore rispetto a chi è caratterizzato dagli altri titoli di godimento dell’abitazione, dichiara nelle interviste dell’indagine IT-SILC di dover sostenere un onere gravoso per le spese annue per l’abitazione (per bollette, manutenzione ordinaria, affitto, interessi sul mutuo), di non essere in grado di sostenere senza indebitarsi una spesa inattesa di 600 euro o di riuscire ad arrivare con difficoltà alla fine del mese (figura 4). Il titolo di possesso dell’abitazione appare dunque un elemento fondamentale di definizione del tenore di vita delle famiglie. Al di là di quanto identificato mediante gli indicatori qualitativi “soggettivi” mostrati nella figura 4, appare dunque necessario procedere ad una misurazione monetaria dei vantaggi e degli oneri connessi all’housing. 3. La misurazione monetaria dei benefici dell’housing: metodologie e criticità Uno dei più interessanti temi di ricerca della letteratura sulle diseguaglianze economiche riguarda quale variabile considerare come indicatore del well-being di individui e famiglie (Baldini e Toso 2009). Nelle analisi solitamente ci si concentra su indicatori monetari, quali il reddito, il consumo o il patrimonio, ma negli ultimi anni si è registrata un’attenzione crescente verso filoni di ricerca che tentano di superare l’idea della metrica monetaria come proxy esaustiva del benessere individuale, da un lato proponendo, in linea con le elaborazioni teoriche di Amartya Sen, indicatori multidimensionali di capabilities in cui il reddito sia affiancato ad altre dimensioni fondamentali (ad esempio, istruzione, salute, diritti), dall’altra suggerendo, in linea con gli studi di psicologia 5 economica, la possibilità di misurare il benessere direttamente attraverso questionari che registrino il grado di “felicità” degli intervistati. La stragrande maggioranza degli studi dell’economia della diseguaglianza, soprattutto qualora seguano un’ottica di comparazione internazionale, considera comunque tuttora come principale indicatore di benessere, di cui valutare la distribuzione all’interno di una popolazione, il reddito familiare disponibile equivalente5, che è definito dalla somma di tutte le entrate percepite da ogni componente del nucleo da ogni fonte (lavoro, capitale, proprietà, trasferimenti), al netto delle imposte sui redditi e dei contributi. Il reddito disponibile potrebbe infatti rappresentare la migliore approssimazione del concetto di “reddito entrata” (Simons 1938), che è ritenuto in letteratura la migliore misura del benessere economico (Canberra Group 2001) ed è esprimibile mediante ciò che in un determinato periodo di tempo una famiglia potrebbe consumare senza intaccare il proprio patrimonio (ovvero mediante la somma fra il consumo effettivo e la variazione netta della ricchezza in quel dato periodo). Tuttavia, la letteratura evidenzia chiaramente come il reddito disponibile non sia un indicatore esaustivo del “reddito entrata”, e dunque del tenore di vita familiare, per molteplici ragioni: in esso non vengono inclusi i trasferimenti pubblici in natura (Gradìn et al. 2008); è molto difficile misurare alcune tipologie di reddito (tra le quali capital gains e stock options; Smeeding e Weinberg 2001); è particolarmente complicato imputare il valore monetario dei benefici che si ottengono dai fringe benefits, dall’auto-consumo e dal lavoro informale all’interno del nucleo (Baldini e Toso 2009); all’interno del reddito disponibile si includono solo i flussi di entrate cash, senza incorporare aspetti legati al patrimonio, che andrebbero invece presi in considerazione sia perché fra reddito e patrimonio degli individui non sussiste talvolta una correlazione molto stretta (Wolff e Zacharias 2009), sia, soprattutto, perché un incremento del “reddito entrata” è collegato all’utilizzo dei beni durevoli di proprietà – in primis dell’abitazione di residenza –, dal momento che per “consumare” i servizi di tali beni non si deve pagare un costo (Frick et al. 2007). Pur restando in un’ottica economica, il benessere di una famiglia va dunque legato ai redditi ricevuti sia in moneta che in natura (come trasferimento diretto e/o mancata necessità di spesa). Fra questi ultimi, cruciali per diffusione ed importanza, sono i fitti imputati, ovvero il beneficio, in termini di minor spesa per affitti, goduto da chi vive in una casa di proprietà o pagando un canone di locazione agevolato: il reddito monetario di chi è proprietario dell’abitazione o la usa a titolo gratuito andrebbe dunque incrementato dell’affitto che avrebbe dovuto alternativamente pagare al 5 Per tenere conto dei rendimenti di scala legati al vivere in nuclei più o meno ampi, i redditi familiari vengono resi equivalenti mediante apposite scale, ovvero dividendo il reddito complessivo per dei parametri che tengono conto della diversa numerosità familiare. Mediante le scale di equivalenza si attribuisce, dunque, ad ogni individuo il reddito equivalente della propria famiglia. 6 prezzo di mercato per una casa delle stesse caratteristiche, mentre quello di chi paga un affitto a canone agevolato (o vive in una casa a titolo gratuito) andrebbe incrementato della differenza fra il canone di mercato e quello effettivo (Frick e Grabka 2003). Gli studiosi di diseguaglianze economiche sono quindi concordi nel ritenere che nella definizione del reddito disponibile andrebbero inclusi i fitti imputati (Canberra Group 2001)6: la loro esclusione distorcerebbe infatti in modo molto significativo l’osservazione della distribuzione del tenore di vita in una popolazione (Yates 1994). La considerazione dei fitti imputati avrebbe il pregio ulteriore di consentire di assegnare un valore monetario ai trasferimenti pubblici in natura di cui beneficia chi paga affitti inferiori ai canoni di mercato in seguito ad housing policies. Chiarito cosa si intende nella teoria per fitto imputato, le difficoltà si spostano su un altro piano, ovvero su come attribuire un valore monetario a tale forma di beneficio in kind. In letteratura sono stati proposti 3 metodi di stima (Frick and Grabka 2003, Frick et al. 2008): 1. Il metodo del costo opportunità (o rental equivalence method): il valore dell’affitto imputato viene determinato mediante stime econometriche. Il processo di stima avviene in due stadi: nel primo si prende a riferimento il sotto-campione di chi vive pagando un affitto al valore di mercato e si regrediscono tali affitti su una serie di caratteristiche dell’abitazione (ad esempio, metratura, disponibilità di giardini, terrazzi, zona in cui è situata); nel secondo stadio, relativo al sotto-campione di proprietari e inquilini a canone agevolato o gratuito, i coefficienti stimati consentono di ricostruire, sulla base delle caratteristiche dell’abitazione, il prezzo che si dovrebbe pagare sul mercato per prendere in affitto l’abitazione in cui si vive7. Il principale difetto di tale metodo di imputazione consiste sovente nell’esiguità del sotto-campione degli affitti a prezzi di mercato su cui si deve basare la stima dei coefficienti: empiricamente si sconsiglia l’applicazione del rental equivalence method quando meno del 10% delle famiglie vive in case affittate ai valori di mercato. 2. Il metodo del mercato dei capitali (user cost method): si considera l’investimento nell’abitazione di residenza al pari di una qualsiasi forma di destinazione alternativa del risparmio e si attribuisce una rendita figurativa annua basata sul tasso di rendimento che si otterrebbe sul mercato su un investimento di valore uguale a quello della proprietà immobiliare (sottraendo a questo il valore residuo del mutuo). Rispetto al metodo del costo 6 I fitti imputati vanno riferiti unicamente all’abitazione di residenza. I vantaggi economici delle seconde case, qualora affittate, sono invece inclusi nel reddito disponibile come entrate monetarie da proprietà e fabbricati (Sauli e Tormalehto 2010). 7 Solitamente le regressioni sono condotte mediante procedure a là Heckman per tenere conto del possibile selection bias dei sotto-campioni di proprietari e affittuari. Nella regressione del secondo stadio si aggiunge generalmente una componente casuale di eterogeneità individuale. In alcuni casi il metodo del costo opportunità anziché mediante regressioni viene condotto attraverso stratificazioni per celle legate alle caratteristiche dell’abitazione; tuttavia, in questo modo, si perde la maggiore variabilità dei valori imputati ottenibile mediante le regressioni a due stadi. 7 opportunità, lo user cost method ha il difetto di basarsi su un’autodichiarazione dei soggetti sul valore della propria casa (su cui poi applicare il tasso di rendimento prestabilito), che potrebbe risultare imprecisa e distorta (chi prova un forte valore affettivo potrebbe ad esempio sovrastimare il valore potenziale della casa) e consente di calcolare il fitto imputato unicamente per i proprietari. 3. Diretta autovalutazione da parte delle famiglie di quanto dovrebbero pagare sul mercato per affittare l’abitazione di residenza. Tale metodo è fortemente sconsigliato, dato che l’autovalutazione fornita dagli individui risente di distorsioni presumibilmente ancora maggiori di quelle relative al valore della casa8 (gli anziani potrebbero ad esempio avere minori informazioni sui costi degli affitti nell’area di residenza). Una volta calcolati in base ad uno di questi tre metodi, i fitti imputati possono essere depurati dalla spese ordinarie di manutenzione e dagli esborsi per interessi sui mutui per determinare i “fitti imputati netti” (D’Ambrosio e Gigliarano 2007)9. Nell’indagine EU-SILC quasi tutti i paesi calcolano i fitti imputati mediante il rental equivalence method (sviluppato attraverso regressioni o celle di stratificazione)10. Il valore fornito da Eurostat nei micro-dati è al netto delle sole spese per manutenzione ordinaria sostenute dai proprietari (non sono dunque detratte le spese per le bollette sulle utenze domestiche, né quelle per gli interessi sui mutui). La molteplicità delle metodologie proposte per stimare il valore monetario dei benefici dell’housing evidenzia d’altro canto come in letteratura non ci sia un consenso unanime sulla procedura da seguire. Nessuno dei tre metodi proposti è infatti, come visto, scevro da difetti e, cosa ancor più grave, alcuni lavori empirici condotti confrontando i diversi approcci alla quantificazione dei fitti imputati evidenziano come i risultati relativi alla distribuzione dei redditi siano fortemente sensibili al metodo di stima prescelto (Frick et al. 2008). Lo stesso rental equivalence method, che appare da preferirsi in quanto non esposto, a differenza degli altri due, ai rischi derivanti da valutazioni soggettive, può d’altronde dare origine a situazioni di dubbia plausibilità sulla sua capacità di interpretare correttamente il tenore di vita delle famiglie, come manifestato all’estremo dai frequenti casi in cui il fitto figurativo eccede il reddito disponibile monetario (Sauli e Tormalehto 2010). In particolare, la considerazione dei fitti imputati porterebbe a sovrastimare il tenore di vita di famiglie ricche di patrimonio immobiliare e povere di 8 La distorsione dell’auto-dichiarazione del fitto imputato sarebbe più grave di quella che riguarda il valore della casa di proprietà, data la maggiore difficoltà di reperire informazioni adatte per identificare il “prezzo ombra” d’affitto. 9 Nelle analisi sui flussi di reddito si considera la spesa per interessi sul mutuo, mentre la parte di spesa destinata a rimborsare il capitale prestato non viene considerata perché corrisponde ad una riduzione del debito, cioè ad un aumento del patrimonio della famiglia (Frick e Grabka 2003). 10 Unicamente in Estonia, Islanda, Slovacchia e Svezia i fitti imputati vengono calcolati mediante il capital market approach. Si veda Sauli e Tormalehto (2010) per dettagli sulle strategie di imputazioni seguite dai singoli Stati membri della UE. 8 reddito (situazione frequente soprattutto fra gli anziani), sottostimandone quindi i rischi di deprivazione materiale ed esclusione sociale (Marlier e Atkinson 2007) e ciò avrebbe anche conseguenze di rilievo in presenza di politiche sociali basate l'accesso alle quali dipendesse dal livello del reddito determinato al lordo dei fitti imputati: esse potrebbero escludere dai benefici persone con un reddito monetario particolarmente limitato. La domande da porsi diventano allora le seguenti: siamo sicuri che l’intero valore degli affitti imputati vada aggiunto al reddito disponibile per identificare il più esaustivo “reddito entrata”? In altri termini, è sempre corretto assumere una liquidità al 100% dei fitti figurativi ed una loro perfetta sostituibilità con i redditi monetari? Un maggior valore dell’abitazione di residenza, e quindi del fitto imputato, segnala sempre un incremento della disponibilità di consumo potenziale di valore uguale al fitto figurativo? Allo stato attuale delle conoscenze, in letteratura questi quesiti sono ancora insoluti, anche se alcuni autori hanno proposto dei metodi pragmatici per farne fronte. In particolare, una via fruttuosa sembra essere quella seguita da Sauli e Tormalehto (2010), i quali, ritenendo che un eccessivo consumo di housing (all’estremo, un anziano povero che vive da solo in un castello) non possa essere interamente interpretato come un maggior consumo potenziale, hanno proposto di stabilire un limite superiore alla quota di fitti imputati che si può aggiungere al reddito disponibile, definendo tale limite in base al fitto imputato ad una casa delle stesse caratteristiche (eccetto la metratura), ma con il numero di stanze minimo affinché si possa vivere senza sovra-affollamento. Il fitto imputato verrebbe dunque a corrispondere a quello di una casa con un numero massimo di stanze predefinito: la scelta di vivere in un’abitazione con un eccesso di metratura darebbe allora origine ad un incremento del patrimonio della famiglia, ma non del suo “reddito entrata”. La riflessione sul concetto di fitto imputato mette dunque in luce come la sua stima sia particolarmente complessa e “non robusta” ed induce ad esplorare la possibilità di definire misure alternative del benessere economico familiare. A tal fine, particolarmente interessante, e più intuitivo per i “non economisti”, appare l’out of pocket approach, ovvero l’idea di sottrarre direttamente dal reddito disponibile le voci di spesa cash effettivamente sostenute per l’abitazione (manutenzione, bollette, affitti, interessi sul mutuo), anziché incrementare tale reddito del beneficio potenziale derivante dal non aver dovuto sostenere tali spese. La valutazione del reddito al netto di alcune spese viene solitamente criticata in letteratura (Sauli e Tormalehto 2010) sulla base della considerazione che in tal modo le analisi distributive, anziché basarsi sulla sola disponibilità potenziale di consumo, verrebbero ad essere inficiate dalle diverse preferenze individuali rispetto al consumo effettivo di determinati beni (ad esempio, ceteris paribus, apparirebbe più povero chi preferisse vivere in un quartiere più costoso). 9 Tale considerazione appare però meno dirimente se riferita alle spese per l’abitazione di residenza per una duplice considerazione: i) aspetti di scelta e preferenza inficiano la stessa imputazione dei fitti figurativi, come discusso a proposito della sovra-dimensione della casa; ii) a differenza di altre tipologie di beni di consumo, oltre a rispondere ad un bisogno primario degli individui, le spese per l’abitazione di residenza (forse in misura anche maggiore delle “mancate spese” per proprietari e beneficiari a canone agevolato e gratuito) sembrano avere un carattere di maggiore “necessità”, cosicché le considerazioni legate alle differenti preferenze individuali potrebbero risultare di secondo ordine. La sottrazione delle spese effettive permetterebbe inoltre di evitare di incorrere nelle indeterminatezze metodologiche inerenti alla stima degli affitti potenziali. In aggiunta, è presumibile che “lavorare” in sottrazione, anziché in aggiunta, contribuirebbe a modificare la posizione relativa di molte famiglie nonché la stessa dimensione degli indici distributivi. Da quest’ultima prospettiva appare interessante chiedersi nelle analisi distributive quale sia l’effettiva disparità di consumo potenziale una volta che una serie di spese ritenute (in una certa misura) necessarie ed incomprimibili, quali quelle per l’housing, vengano dedotte dal reddito disponibile. In altri termini, riecheggiando aspetti che richiamano le capabilities a là Sen, la linea teorica da seguire consisterebbe nell’indagare la distribuzione di quella parte del reddito di cui una famiglia è davvero libera di decidere la destinazione (verso consumi ulteriori o accumulazione di ricchezza), al netto cioè di quei consumi che appaiono necessari per esercitare una serie di diritti primari dell’individuo. Chiaramente una simile linea di ricerca richiederebbe da un lato di estendere la considerazione delle spese necessarie ad altre componenti basilari oltre l’housing (ad esempio, i consumi alimentari di base o le spese sostenute per i servizi di cura, così risolvendo anche la problematica dell’imputazione dei benefici monetari dei trasferimenti in kind), dall’altro di identificare delle procedure per valutare se e quanta parte della spesa corrente possa essere ritenuta in una qualche misura necessaria. Questo lavoro non ha lo scopo di risolvere questi problemi metodologici, ma intende porre la questione e mostrare le implicazione distributive dei diversi modi di tenere conto dell'housing. Pertanto, nel seguito del lavoro si condurrà un’analisi dell’impatto del’housing sulla distribuzione dei redditi nei paesi della UE15 ed in Italia, confrontando la distribuzione dei redditi monetari disponibili con alcune distribuzioni alternative costruite sia aggiungendo a tali redditi i fitti imputati, sia sottraendo da essi alcune delle spese sostenute per l’abitazione di residenza. 10 4. Spese per la casa e tenore di vita delle famiglie in Italia L’analisi empirica del presente lavoro viene condotta prendendo a riferimento i redditi annui conseguiti dalle famiglie nel corso del 200611. L’unità di osservazione è dunque la famiglia; per tenere conto del diverso numero di componenti dei nuclei si considerano sempre i redditi equivalenti, ottenuti omogeneizzando i redditi familiari complessivi mediante la scala “OCSE modificata”12. La variabile solitamente utilizzata in letteratura nella valutazione del tenore di vita familiare è il reddito disponibile equivalente, esprimibile, come detto, dalla somma di tutte le entrate percepite da ogni componente del nucleo da ogni fonte (lavoro, capitale, proprietà, trasferimenti), al netto delle imposte sui redditi e dei contributi. Nella definizione del reddito disponibile rientrano alcune componenti di entrata cash legate all’housing – i contributi pubblici per l’abitazione di residenza, le entrate da subaffitto ed i redditi da affitto di terreni e fabbricati –, ma sono escluse le entrate figurative connesse all’utilizzo dei servizi dell’abitazione di residenza. Parimenti, il reddito disponibile è al lordo delle spese per la casa, che sono raggruppabili nelle tre seguenti categorie: 1. spese ordinarie connesse al consumo dei servizi dell’abitazione di residenza: manutenzioni ordinarie, condominio, immondizia, bollette per le utenze domestiche (riscaldamento, gas, luce, acqua, telefono fisso); 2. interessi sul mutuo; 3. affitto. Seguendo l’out of pocket approach richiamato in precedenza, si possono sottrarre tali componenti di spesa dal reddito disponibile, identificando due misure del potere d’acquisto effettivamente a disposizione delle famiglie una volta pagate le spese “necessarie” per l’abitazione di residenza: a. Reddito equivalente al netto degli affitti e degli interessi sul mutuo: il reddito disponibile di affittuari (agevolati e non) e proprietari che devono sostenere un mutuo viene decurtato di tali componenti di spesa. b. Reddito equivalente al netto delle spese totali per l’abitazione di residenza: il reddito disponibile di tutte le famiglie viene ridotto della spesa per affitti e interessi sul mutuo e degli esborsi ordinari per l’abitazione (manutenzioni, condominio e bollette; 11 Si fa infatti uso dei micro-dati dell’indagine EU-SILC (e della sua versione italiana IT-SILC) del 2007, nella quale sono riportati i redditi conseguiti nei 12 mesi precedenti l’intervista. 12 La scala di equivalenza OCSE modificata, adottata ufficialmente in sede comunitaria, identifica un numero di componenti equivalenti del nucleo (attraverso cui dividere il reddito familiare per ottenere il reddito equivalente di ogni componente) pari alla somma di 1 per il primo componente adulto, 0,5 per ogni altro componente di almeno 14 anni d’età e 0,3 per ogni minore di 14 anni. 11 quest’ultima voce incide dunque anche sul reddito di proprietari senza mutuo e utilizzatori a titolo gratuito). Come discusso nel paragrafo precedente, per valutare con maggiore precisione il benessere economico delle famiglie, la letteratura economica, anziché ridurre il reddito disponibile delle spese effettivamente sostenute, suggerisce di incrementare le entrate aggiungendo come fonte di introito figurativo la spesa che non deve sostenere chi vive in una casa di proprietà o in affitto agevolato o ad uso gratuito. Come ulteriore dimensione del reddito familiare, considereremo allora il: c. Reddito equivalente al lordo dei fitti imputati: il reddito disponibile dei proprietari (con e senza mutuo), degli inquilini a canone agevolato e degli utilizzatori a titolo gratuito viene incrementato del valore dell’affitto annuo che avrebbero dovuto alternativamente pagare sul mercato per vivere in una casa delle stesse caratteristiche13. Il valore dei fitti imputati è fornito da Eurostat al netto della spesa per le manutenzioni ordinarie e del canone effettivamente versato dai locatari agevolati. Tab. 1: Quota del reddito familiare disponibile equivalente destinato a spesa per abitazioni o incrementabile da fitti imputati, per decile di reddito disponibile equivalente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale Spese ordinarie per l'abitazione 29.2 18.0 14.7 12.9 11.6 10.5 9.3 8.2 7.3 5.6 Affitti e interessi sul mutuo 13.5 7.3 7.4 5.7 5.4 4.9 4.0 4.1 3.2 2.6 Totale spese per l'abitazione 42.7 25.3 22.1 18.6 17.0 15.4 13.3 12.3 10.5 8.2 Fitti imputati 52.3 35.8 29.2 26.3 22.8 21.1 18.9 16.8 15.1 10.9 12.6 5.7 18.3 24.6 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 L’importanza dei costi e dei benefici connessi all’utilizzo dei servizi dell’abitazione di residenza risalta immediata osservando la loro dimensione relativa rispetto al reddito disponibile (tabella 1 e figura 5). In media, il 18,3% del reddito familiare viene speso per oneri ordinari (12,6%) ed affitti e mutui (5,7%). Viceversa, i fitti imputati rappresentano una fonte aggiuntiva di entrata pari ad 1/4 del reddito disponibile. 13 Il valore dei fitti imputati al netto delle spese per manutenzione ordinaria (stimato per l’Italia dall’ISTAT tramite il rental equivalence method) viene riportato nei micro-dati dell’indagine EU-SILC. 12 La rilevanza dell’housing sul benessere economico delle famiglie varia però in modo sostanziale a seconda della loro posizione sulla scala dei redditi, segnalando come le diverse modalità di computazione del consumo dei servizi dell’abitazione di residenza possano modificare in misura sostanziale la dimensione degli indici di dispersione e la posizione relativa dei diversi gruppi della popolazione (tabella 1 e figura 5). In termini relativi, il peso delle spese per l’abitazione si riduce costantemente passando dai decili più poveri a quelli più abbienti, evidenziando un ampliamento delle differenze in termini di consumo potenziale una volta che vengano dedotte le spese per l’housing. Al contempo, però, a segnale di quanto possa avere differenti implicazioni considerare tali spese in aggiunta o in sottrazione al reddito disponibile, i fitti imputati rappresentano una quota aggiuntiva di introiti fortemente decrescente all’aumentare del reddito familiare: per le famiglie appartenenti ai primi 3 decili della distribuzione dei redditi disponibili i fitti imputati rappresentano, in media, una quota aggiuntiva di entrate in natura pari, rispettivamente, al 52,3%, al 35,8% ed al 29,2% del reddito monetario, mentre tali quote sono pari al 15,1% ed al 10,9% nei due ultimi decili. La notevole importanza relativa dei fitti imputati per le famiglie più povere è legata all’ampia diffusione della proprietà immobiliare e degli affitti agevolati anche fra le famiglie appartenenti ai decili meno abbienti in termini di reddito disponibile. In linea con quanto rilevato nel paragrafo precedente, appare tuttavia discutibile assumere una perfetta sostituibilità fra reddito monetario e figurativo nella valutazione del benessere economico, soprattutto per i nuclei “poveri di reddito e ricchi di patrimonio”. La scelta di valutare il tenore di vita familiare e la sua distribuzione sia mediante l’imputazione dei redditi in natura sia mediante l’out of pocket approach appare 13 avvalorata dall’osservazione di così rilevanti differenze nell’impatto dei costi e benefici dell’housing nei vari punti della distribuzione. Differenti scelte di imputazione, di dubbia robustezza teorica e metodologica in base a tutti gli approcci qui considerati (solo reddito disponibile, aggiunta integrale dei fitti figurativi, sottrazione totale delle spese), potrebbero conseguentemente fornire visioni distorte e profondamente discordi della realtà in esame. Appare dunque necessario presentare un’evidenza empirica che, in modo trasparente, valuti il fenomeno da diversi punti di vista, evidenziando chiaramente le diverse implicazioni delle differenti assunzioni metodologiche. La quota di reddito disponibile spesa per i servizi per la casa non è particolarmente eterogenea per macro-area geografica (tabella 2), anche se si osserva in media un maggior onere per le famiglie residenti al Nord-Ovest rispetto a quelle residenti nelle Isole a causa della maggior diffusione delle spese per mutui nella prima macro-area (si veda la figura 2; si ricordi che i mutui sono relativamente più diffusi fra i nuclei più abbienti, anche a causa dei vincoli stringenti nell’accesso al credito bancario). Il valore dei fitti imputati si differenzia invece in misura molto maggiore per macro-area ed è massimo nel Centro, presumibilmente anche a causa dell’elevato valore di mercato degli affitti nelle aree di Roma e Firenze (tabella 2)14. Tab. 2: Quota del reddito familiare disponibile equivalente destinato a spesa per abitazioni o incrementabile da fitti imputati, per macro-area geografica Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole Totale Spese ordinarie per l'abitazione 13.1 12.6 11.9 12.6 12.2 Affitti e interessi sul mutuo 6.7 5.9 5.5 5.5 3.8 Totale spese per l'abitazione 19.8 18.5 17.4 18.1 16.0 Fitti imputati 23.4 27.5 29.1 20.8 21.9 12.6 5.7 18.3 24.6 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Come atteso, il peso relativo dell’housing cambia in misura sostanziale a seconda del titolo di godimento dell’abitazione di residenza (tabella 3). Le spese totali per l’abitazione (l’unica voce, come detto, calcolabile per ogni tipologia di famiglia) rappresentano in media il 38% del reddito disponibile di chi affitta a canoni di mercato ed il 28,5% di chi usufruisce di un canone agevolato, mentre un onere molto meno gravoso (il 13,5%) va ovviamente a carico dei proprietari senza mutuo e di chi occupa una casa a titolo gratuito. Ben diverso è il peso relativo dei fitti imputati (non esistenti per i soli inquilini a prezzo di mercato): il vantaggio in natura è infatti massimo per utilizzatori a titolo gratuito (32,3%), proprietari senza mutuo e affittuari agevolati (29,0%), mentre 14 I dati standard della versione italiana IT-SILC forniscono al più il dettaglio regionale; non è quindi possibile inferire da essi il differente impatto di spese per la casa e fitti imputati nelle principali aree metropolitane del nostro paese. 14 il vantaggio dei mutuatari, 21,8%, andrebbe ridotto del 10,3% di spese da loro sostenute per gli interessi sul mutuo, identificando così un fitto imputato netto dell’11,5%. Tab. 3: Quota del reddito familiare disponibile equivalente destinato a spesa per abitazioni o incrementabile da fitti imputati, per titolo di possesso dell’abitazione di residenza Proprietario Mutuatario Affittuario Affitto agevolato Uso gratuito Totale Spese ordinarie per l'abitazione 13.5 9.5 10.7 12.3 13.5 Affitti e interessi sul mutuo 0.0 10.3 27.3 16.2 0.0 Totale spese per l'abitazione 13.5 19.8 38.0 28.5 13.5 Fitti imputati 29.0 21.8 0.0 28.9 32.3 12.6 5.7 18.3 24.6 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Una diversa immagine della distribuzione delle spese totali e dei fitti imputati emerge anche se raggruppiamo le famiglie per fascia d’età del capofamiglia15 (tabella 4). In termini relativi le spese sono infatti massime per le due classi estreme, mentre i fitti imputati avvantaggiano particolarmente gli over64 fra i quali, come richiamato, rientrano quei nuclei familiari (spesso di pensionati) poveri di reddito ma “ricchi” di patrimonio immobiliare, vivendo in una casa di loro proprietà. Tab. 4: Quota del reddito familiare disponibile equivalente destinato a spesa per abitazioni o incrementabile da fitti imputati, per classe d’età del capofamiglia <35 35-44 45-54 55-64 >64 Spese ordinarie per l'abitazione 10.5 10.5 10.7 12.2 16.3 Affitti e interessi sul mutuo 10.1 7.7 5.0 3.4 3.7 Totale spese per l'abitazione 20.6 18.2 15.7 15.6 20.0 Fitti imputati 20.6 18.4 19.2 23.5 34.9 Totale 12.6 5.7 18.3 24.6 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Le modalità di valutazione di costi e benefici dell’housing modificano dunque in modo molto sensibile il reddito relativo delle famiglie a seconda del titolo di godimento della casa. Al di là di quanto indicato dal valore medio mostrato nella tabella 3, appare interessante valutare come si distribuiscano le famiglie in base alla variazione del reddito indotta dalle diverse modalità di computazione dell’housing (tabelle 5-7). Limitandoci a considerare le sole spese annue per affitti e interessi sui mutui (tabella 5), che non comportano una riduzione dei redditi di proprietari e “utilizzatori gratuiti”, si evidenza come sia tendenzialmente più gravosa la spesa per affitti che per interessi sul mutuo (le rate di rimborso, 15 Il capofamiglia viene identificato come la persona nel nucleo con il più alto reddito da lavoro o da trasferimento. 15 come detto, vanno considerate come controparte di un aumento patrimoniale)16: per il 40% degli inquilini a canone di mercato ed il 18% degli “agevolati” l’affitto rappresenta più di 1/4 del proprio reddito monetario, mentre solo il 7% dei mutuatari destina al costo del servizio del debito più di 1/4 delle proprie entrate correnti. Tab. 5: Distribuzione della riduzione del reddito familiare disponibile equivalente a causa di affitti e interessi sul mutuo, per titolo di possesso dell’abitazione Proprietario Mutuatario Affittuario Affitto agevolato Uso gratuito Totale 0-10% 100.0 60.9 13.8 39.0 100.0 80.5 10%-24% 0.0 31.9 45.7 42.9 0.0 12.3 25%-49% 0.0 6.0 29.9 15.3 0.0 5.5 50%-74% 0.0 0.7 5.4 1.2 0.0 0.9 75%-100% 0.0 0.5 5.2 1.5 0.0 0.8 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Il peso relativo degli oneri cresce d’altronde di molto se si aggiungono anche le spese ordinarie per manutenzione, condominio e bollette (tabella 6): hanno infatti un onere superiore ad 1/4 del proprio reddito i 2/3 degli affittuari, la metà degli agevolati ed 1/4 dei mutuatari. Tab. 6: Distribuzione della riduzione del reddito familiare disponibile equivalente a causa di affitti, interessi sul mutuo e spese ordinarie per l'abitazione per titolo di possesso dell’abitazione Proprietario Mutuatario Affittuario Affitto agevolato Uso gratuito Totale 0-10% 49.7 21.8 2.5 6.6 52.8 38.0 10%-24% 40.7 55.0 32.2 47.6 36.5 41.3 25%-49% 7.6 19.6 42.4 34.7 7.5 15.1 50%-74% 1.0 1.9 13.4 7.5 1.5 3.1 75%-100% 1.0 1.7 9.5 3.6 1.7 2.4 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Tab. 7: Distribuzione dell’incremento del reddito familiare disponibile equivalente grazie ai fitti imputati per titolo di possesso dell’abitazione Proprietario Mutuatario Affittuario Affitto agevolato Uso gratuito Totale 0-10% 9.4 8.7 100.0 19.0 7.1 21.4 10%-24% 46.5 64.6 0.0 37.7 45.1 42.1 25%-49% 30.7 23.1 0.0 27.8 30.6 25.6 50%-74% 8.1 2.1 0.0 9.2 8.1 6.4 75%-100% 5.3 1.5 0.0 6.4 9.0 4.6 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Guardando ai vantaggi derivanti dai fitti imputati (tabella 7), il quadro, come atteso, muta sostanzialmente di segno e di direzione del vantaggio relativo, dando ora origine ad un reddito 16 Nella valutazione delle condizioni di benessere delle famiglie e della loro utilità attesa, non si può però minimizzare la vulnerabilità delle famiglie di mutuatari davanti a shocks occupazionali improvvisi che potrebbero rendere molto gravoso il rimborso delle rate di capitali. 16 figurativo superiore ad 1/4 del disponibile per circa la metà dei proprietari e dei “gratuiti” e per oltre il 40% degli “agevolati”. L’importanza del peso relativo dei benefici e dei costi dell’housing è dunque ben diversa per titolo di godimento dell’abitazione. L’evidenza empirica per l’Italia conferma inoltre quanto sia significativo e molto eterogeneo all’interno della popolazione l’impatto dell’housing sul benessere economico, suggerendo da un lato la necessità di incorporare tale impatto, ma dall’altro confermando la necessità di valutarlo da differenti prospettive. Passiamo dunque di seguito a valutare in quale misura il diverso concetto di reddito familiare scelto modifichi il livello del benessere economico della popolazione e, soprattutto, la sua distribuzione. 5. Valutazione dell’impatto dell’housing e indicatori distributivi Data la differente distribuzione della proprietà immobiliare nei paesi della UE15 ed il diverso costo degli affitti e dei mutui che vi si osserva (Frick et al. 2008), la graduatoria dei redditi medi potrebbe risentire sensibilmente del modo in cui si tiene conto del valore di spese e benefici per l’housing. In media, nel complesso dei 15 paesi, rispetto al disponibile il reddito cresce del 17,5% se si includono i fitti imputati, si riduce del 21,7% se si sottraggono tutte le spese per la casa (tabella 8). Le variazioni rispetto al reddito disponibile medio sono però eterogenee fra paesi: il peso dei fitti imputati è infatti relativamente maggiore nel Regno Unito e nei paesi dell’Europa Meridionale (dove relativamente più diffusa è la proprietà immobiliare, si veda la figura 1), mentre le spese da sottrarre sono in media particolarmente elevate (oltre 1/5 del reddito disponibile) nei Paesi Bassi, in Danimarca, in Germania, nel Regno Unito ed in Grecia, mentre il dato dell’Italia è inferiore alla media della UE15, anche in ragione della minor diffusione dei mutui nel nostro paese (si veda la figura 1)17. Al di là dell’impatto sulla dimensione del “reddito entrata”, che viene accresciuto per definizione dall’inclusione dei fitti imputati, la letteratura internazionale è concorde nel rilevare come tale inclusione tenda a comprimere la diseguaglianza della distribuzione del benessere economico fra le famiglie, dal momento che la diffusione della proprietà immobiliare, e dunque il valore relativo dei fitti imputati, dovrebbe risultare meno sperequata della distribuzione delle entrate monetarie da altre fonti (Frick et al. 2008, Sauli e Tormalehto 2010)18. 17 Si noti che la variazione relativa del reddito medio dei paesi della UE15 non muta se si considera il reddito familiare complessivo anziché quello equivalente. 18 Frick et al. (2007) rilevano però come l’entità della riduzione della diseguaglianza dipenda sensibilmente dalla metodologia seguita per calcolare il valore dei fitti imputati. 17 Tab. 8: Reddito familiare equivalente medio nei paesi della UE15 Austria Belgio Germania Francia Lussemburgo Paesi Bassi Danimarca Finlandia Svezia Irlanda Regno Unito Grecia Italia Portogallo Spagna 20,354 18,636 19,689 18,477 35,139 20,739 23,803 19,661 19,204 25,237 24,278 11,864 17,202 9,858 13,528 Y al lordo dei fitti imputati 21,894 21,195 22,900 21,594 40,443 21,567 26,037 22,238 21,841 29,107 29,876 14,013 20,541 12,134 16,457 UE15 19,103 22,442 Y disponibile 7.6 13.7 16.3 16.9 15.1 4.0 9.4 13.1 13.7 15.3 23.1 18.1 19.4 23.1 21.7 Y al netto delle spese totali per l’abitazione 17,060 14,945 14,337 15,250 30,840 14,070 17,348 16,457 15,773 22,121 18,021 9,232 14,777 8,499 11,685 17.5 14,953 var % var % -16.2 -19.8 -27.2 -17.5 -12.2 -32.2 -27.1 -16.3 -17.9 -12.3 -25.8 -22.2 -14.1 -13.8 -13.6 -21.7 Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC 2007 L’analisi empirica condotta sui dati EU-SILC 2007 conferma che nella quasi totalità dei paesi della UE15 aggiungere al reddito disponibile i fitti imputati fornisca una quadro distributivo meno sperequato (tabella 9 dove la diseguaglianza viene valutata mediante l’indice di Gini; le eccezioni sono rappresentate da Francia, Danimarca e Paesi Bassi, dove il Gini aumenta in misura molto limitata). L’inclusione dei fitti imputati nel reddito familiare produce due effetti opposti (ISTAT 2010): da un lato, amplia la disuguaglianza fra i redditi di proprietari e inquilini (cresce dunque la diseguaglianza between groups). Dall’altro, contribuisce a ridurre la diseguaglianza complessiva perché i fitti imputati sono tendenzialmente distribuiti fra i proprietari in modo meno diseguale rispetto ai redditi da altra fonte (si riduce dunque la diseguaglianza within groups). La differenza dell’indice di Gini calcolato sui redditi con e senza i fitti imputati segnala che, nella gran parte dei paesi europei, il secondo effetto è quello prevalente. In Italia, in particolare, il Gini si riduce di 29 punti percentuali (circa il 10%) se si tiene conto nel reddito familiare dei fitti imputati. In generale, la riduzione del Gini è maggiore per i paesi più diseguali, come evidente se si compara la differenza percentuale rispetto al paese più egualitario (la Svezia) che si registra negli indici calcolati con e senza fitti imputati. In particolare, il Gini italiano eccede del 31,3% quello svedese se calcolato in base al reddito disponibile, del 22,1% se in base al reddito al lordo dei fitti imputati. La graduatoria fra paesi si modifica in misura minore, anche se si osserva un’inversione nelle posizioni relative di Germania e Regno Unito; l’Italia resta sempre quint’ultima in graduatoria, indipendentemente dal tipo di reddito familiare considerato. 18 Tab. 9: Indice di Gini dei redditi familiari equivalenti nei paesi della UE15 Indice di Gini Austria Belgio Germania Francia Lussemburgo Paesi Bassi Danimarca Finlandia Svezia Irlanda Regno Unito Grecia Italia Portogallo Spagna Ranking Y-disp Y-fittimp Y-spese Y-disp Y-fittimp Y-spese 0.274 0.269 0.311 0.266 0.281 0.279 0.252 0.272 0.245 0.325 0.333 0.337 0.322 0.382 0.317 0.269 0.251 0.303 0.267 0.270 0.281 0.252 0.267 0.240 0.295 0.291 0.314 0.293 0.351 0.279 0.313 0.326 0.378 0.318 0.316 0.344 0.321 0.323 0.301 0.352 0.394 0.398 0.357 0.419 0.344 6 4 9 3 8 7 2 5 1 12 13 14 11 15 10 6 2 13 5 7 9 3 4 1 12 10 14 11 15 8 2 7 12 4 3 8 5 6 1 10 13 14 11 15 9 Distanza % dal più egualitario Y-disp Y-fittimp Y-spese 12.0 10.0 26.8 8.8 14.6 14.0 2.7 11.0 0.0 32.6 36.0 37.7 31.3 55.9 29.4 12.2 4.7 26.0 11.2 12.2 17.2 5.0 11.1 0.0 22.8 21.2 30.8 22.1 46.0 16.0 4.0 8.4 25.7 5.7 5.0 14.4 6.6 7.4 0.0 17.0 31.2 32.4 18.8 39.4 14.4 Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC 2007 La confortante sensazione di riduzione delle diseguaglianze legata all’housing è però completamente rovesciata allorché si segua l’out of pocket approach: il reddito effettivamente a disposizione delle famiglie una volta sostenute le spese per l’abitazione delle famiglie è infatti in tutti i paesi della UE molto più disperso di quanto risulti considerando la distribuzione delle sole entrate cash. In Italia il Gini dei redditi al netto delle spese cresce ora fino ad un valore di 0,357 (rispetto al disponibile, 35 punti percentuali, con un aumento dell’11%, anche se la distanza relativa con l’egualitaria Svezia si riduce in ragione dell’ampio aumento che si registra nel paese scandinavo). Il confronto fra gli indici dei redditi al lordo dei fitti imputati ed al netto delle spese evidenzia dunque in modo molto chiaro come una scelta apparentemente neutrale e simmetrica rispetto a come considerare l’impatto dell’housing sul benessere economico delle famiglie (come un onere o un beneficio) modifichi completamente il quadro relativo alla distribuzione del tenore di vita della popolazione. L’assoluta differenza del quadro distributivo che emerge dalla modalità di considerazione dell’impatto dell’housing è ancora più evidente se per l’Italia si disegnano le curve di Lorenz della distribuzione dei redditi in base alle quattro definizioni qui adottate (figura 6). Le curve di Lorenz non si intersecano mai, segnalando una dominanza in termini di minor dispersione in ogni punto della distribuzione dei redditi delle curve più vicine alla bisettrice: se ne deduce quindi che in ogni 19 punto della distribuzione (ovvero in ogni suo percentile) i redditi al netto delle spese sono più dispersi ed asimmetrici di quelli disponibili ed ancor di più di quelli al lordo dei fitti imputati19. Tab. 10: Quota di reddito posseduta dai diversi decili della distribuzione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 3.2 5.2 6.3 7.4 8.4 9.4 10.6 12.2 14.4 22.9 Al netto di affitti e interessi sul mutuo 2.1 4.5 5.7 6.9 8.1 9.3 10.7 12.5 15.1 25.2 Al netto delle spese totali per l'abitazione 1.3 4.0 5.4 6.6 7.9 9.2 10.8 12.7 15.6 26.5 100 100.0 100 Reddito disponibile Al lordo dei fitti imputati 2.6 4.7 5.9 7.0 8.1 9.3 10.6 12.4 14.9 24.7 100 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 La maggiore sperequazione della distribuzione dei redditi al netto delle spese in Italia è confermata dall’osservazione della quota di reddito che afferisce ad ogni decile della distribuzione, che per i primi 5 decili è sempre minore di quella che si registra considerando i redditi disponibili o al lordo dei fitti imputati (tabella 10). In particolare, al primo 50% della distribuzione afferisce il 19 La dominanza fra due curve di Lorenz garantisce che tutti gli indici di diseguaglianza che soddisfano alcuni assiomi minimali (anonimato, indipendenza dalla media, indipendenza dalla popolazione e principio del trasferimento decrescente) identificheranno come meno diseguale la distribuzione più vicina alla bisettrice (Baldini e Toso 2009). 20 28,3% del complesso dei redditi disponibili, il 30,5% di quelli al lordo dei fitti figurativi e solo il 25,2% del totale dei redditi al netto di tutte le spese sostenute per la casa di residenza. Passiamo dunque di seguito a valutare nel dettaglio come variano livelli e distribuzione dei redditi nelle cinque macro-aree del nostro paese e per titolo di godimento dell’abitazione di residenza a seconda del concetto di reddito familiare prescelto come misura dell’effettivo benessere economico. Tab. 11: Reddito familiare equivalente in Italia per macro-area e titolo di possesso dell’abitazione di residenza Y disponibile Y al lordo dei fitti imputati Macro-area geografica Nord-Ovest 19,233 22,758 Nord-Est 18,961 23,090 Centro 18,578 22,705 Sud 13,531 15,720 Isole 13,350 15,579 Titolo di possesso dell'abitazione di residenza Proprietario 17,656 21,592 Mutuatario 21,398 25,282 Affittuario 14,657 14,657 Affitto agev. 13,793 16,949 Uso gratuito 14,349 17,963 Totale 17,202 20,541 Var % Y al netto delle spese per affitti e int. sul mutuo Var % Y al netto delle spese totali per l'abitazione Var % 18.3 21.8 22.2 16.2 16.7 18,245 18,070 17,787 13,023 12,932 -5.1 -4.7 -4.3 -3.8 -3.1 16,293 16,208 16,138 11,732 11,681 -15.3 -14.5 -13.1 -13.3 -12.5 22.3 18.2 0.0 22.9 25.2 17,656 19,559 11,386 11,844 14,349 0.0 -8.6 -22.3 -14.1 0.0 15,889 17,848 9,988 10,437 12,930 -10.0 -16.6 -31.9 -24.3 -9.9 19.4 16,436 -4.5 14,777 -14.1 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Coerentemente con quanto mostrato in precedenza nella tabella 2, la considerazione dei fitti imputati incrementa il reddito pro-capite in misura maggiore per i residenti nel Centro che per quelli delle altre macro-aree, mentre la sottrazione delle spese effettive riduce lievemente il divario fra redditi settentrionali e meridionali (tabella 11). In media, come atteso, le distanze fra proprietari ed altri gruppi si ampliano (con l’eccezione di chi usa la casa a titolo gratuito): in particolare il divario fra il reddito medio di proprietari senza mutuo ed inquilini a canoni di mercato passa dal 17% in base al reddito disponibile al 32,1% se calcolato al lordo dei fitti imputati al 37,1% se sono sottratte le spese totali per la casa; in base alle stesse tre definizioni di reddito, il vantaggio relativo dei mutuatari rispetto ai proprietari senza mutui si attenua, rispettivamente, dal 21,2% al 17,1% ed al 12,3% (tabella 11)20. 20 Si ricordi che il maggior reddito medio dei mutuatari è coerente con la presenza di un selection bias che non consente alle famiglie meno abbienti di accedere ai mutui e/o induce a non richiederli. 21 Come noto (Franzini e Raitano 2010), la distribuzione dei redditi in Italia, pur in un quadro generalizzato di alte diseguaglianze, è diversamente sperequata all’interno delle macro-aree, dato che i maggiori livelli degli indici di Gini si registrano all’interno delle regioni centrali e meridionali (tabella 12). L’inclusione dei fitti imputati tende a ridurre il valore dell’indice di Gini in misura relativamente maggiore nel Centro e nel Nord-Est, mentre l’esclusione delle spese per l’housing dal reddito disponibile amplia, come atteso, le distanze interne in tutto il paese ed in misura relativamente maggiore nelle due macro-aree settentrionali (tabella 12). Tab. 12: Indice di Gini dei redditi familiari equivalenti per macro-area Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole Italia Reddito disponibile Al lordo dei fitti imputati 0.306 0.289 0.320 0.322 0.331 0.322 0.275 0.252 0.280 0.296 0.308 0.293 Al netto di affitti e interessi sul mutuo 0.321 0.303 0.332 0.333 0.339 0.333 Al netto delle spese totali per l'abitazione 0.348 0.330 0.355 0.354 0.359 0.356 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Oltre alla diseguaglianza lungo l’intera scala distributiva è interessante valutare come si modificano gli indicatori di povertà relativa al variare della modalità di computazione del benessere economico delle famiglie (tabella 13)21. In media, in Italia la diffusione della povertà relativa (quota di famiglie equivalenti con reddito inferiore alla soglia) passa dal 19,9% in base ai redditi disponibili al 17,7% includendo i fitti imputati al 25,1% escludendo le spese, così confermando, anche per quanto riguarda la coda bassa della distribuzione, che l’aggiunta dei benefici figurativi per l’housing tende a comprimere l’immagine delle sperequazioni dei redditi del nostro paese, mentre la considerazione delle spese effettivamente sostenuta tende a dilatarla. Valutata in base ad una soglia unica nazionale, per macro-area la distanza in termini di tasso di povertà relativa si amplia di molto se i redditi sono calcolati al lordo dei fitti imputati22, dato che il poverty ratio si riduce di molto nel Centro-Nord ed aumenta lievemente nel Mezzogiorno (tabella 13). Viceversa, se si detraggono le spese si osserva ovunque un aumento generalizzato della diffusione della povertà relativa e l’incremento è maggiore nelle tre macro-aree più ricche del nostro paese. 21 In linea con la definizione ufficiale adottata in sede Eursotat, la povertà relativa è valutata in riferimento ad una soglia pari al 60% della mediana della distribuzione dei redditi equivalenti. 22 La soglia di povertà è valutata rispetto alla specifica distribuzione dei redditi a cui ci si riferisce: la soglia aumenta quindi (crescendo la mediana) se sono inclusi i fitti imputati, si riduce se sono detratte le spese. I movimenti della povertà relativa per macro-area sono dunque legati anche alle posizioni relative delle macro-aree rispetto alla modifica della soglia nazionale. 22 Tab. 13: Tassi di povertà relativa per macro-area Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole Italia Reddito disponibile Al lordo dei fitti imputati 13.0 11.8 15.7 32.5 36.1 19.9 10.6 7.1 10.8 33.8 36.9 17.7 Al netto di affitti e interessi sul mutuo 16.5 15.2 18.6 34.1 37.5 22.7 Al netto delle spese totali per l'abitazione 19.8 18.3 20.9 35.7 38.5 25.1 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 L’intensità della povertà – valutata attraverso il poverty gap23 – muta anch’essa sensibilmente a seconda di come si valutino gli effetti dell’housing (tabella 14). In media la distanza fra i redditi disponibili dei poveri e la soglia è pari al 31,2% di questa, ma il divario si riduce leggermente se si incorporano i fitti imputati (28,2%) ed aumenta sostanzialmente (42,9%) quando dai redditi disponibili si detraggono le spese per la casa. Per macro-aree, a parte un minor svantaggio per i “poveri” del Nord-Est, il poverty gap è molto meno eterogeneo del poverty ratio indipendentemente dalla tipologia di reddito considerata; va comunque notato che la considerazione delle spese della casa fa peggiorare di molto l’intensità della povertà dei residenti nel Nord-Ovest. Tab. 14: Poverty gap per macro-area (in % della soglia) Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole Italia Reddito disponibile Al lordo dei fitti imputati 31.8 27.4 31.6 32.2 33.8 31.8 27.7 25.9 27.1 28.8 29.1 28.2 Al netto di affitti e interessi sul mutuo 38.6 32.0 36.0 36.4 35.5 36.0 Al netto delle spese totali per l'abitazione 47.3 41.3 42.3 42.1 40.2 42.9 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Il quadro della povertà si modifica radicalmente quando diffusione ed intensità di questa siano valutati raggruppando le famiglie in base al titolo di godimento dell’abitazione di residenza (tabelle 15 e 16). In base ai redditi disponibili, la maggior quota di famiglie povere si osserva fra i “gratuiti” e gli inquilini a canone di mercato, seguiti da vicino dagli “agevolati”. Confermando l’endogeneità rispetto al reddito disponibile della scelta/possibilità di contrarre un mutuo, solo il 6,6% dei mutuatari ha entrate cash inferiori alla soglia. Le distanze fra i cinque gruppi di famiglie si amplificano invece se i rischi di povertà vengono valutati incorporando i fitti figurativi o 23 Il poverty gap è un indicatore di “quanto sono poveri i poveri” ed è espresso mediante la media delle distanze fra i redditi delle famiglie povere e la soglia (valutate in percentuale della soglia). 23 escludendo le spese totali per l’abitazione: rispetto al quadro rilevato mediante i redditi disponibili, nel primo caso il poverty ratio si riduce per tutti i gruppi (soprattutto per proprietari e “gratuiti”) eccetto per gli inquilini a canoni di mercato, fra i quali risulta ora povero il 42,6%24, nel secondo caso la diffusione della povertà aumenta invece in misura generalizzata con aumenti molto consistenti per le due tipologie di affittuari e per i mutuatari (che ad ogni modo rimangono la categoria dove la povertà relativa è meno diffusa). Tab. 15: Tassi di povertà relativa per titolo di possesso dell’abitazione Proprietario Mutuatario Affittuario Affitto agevolato Uso gratuito Totale Reddito disponibile Al lordo dei fitti imputati 18.6 6.6 28.4 26.3 30.3 19.9 13.2 5.9 42.6 23.0 23.6 17.7 Al netto di affitti e interessi sul mutuo 17.9 10.9 45.2 36.4 28.8 22.7 Al netto delle spese totali per l'abitazione 20.7 12.3 47.7 39.3 30.5 25.1 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Tab. 16: Poverty gap per titolo di possesso dell’abitazione (in % della soglia) Proprietario Mutuatario Affittuario Affitto agevolato Uso gratuito Totale Reddito disponibile Al lordo dei fitti imputati 29.7 30.5 34.0 32.4 36.8 31.8 23.6 21.7 34.8 26.9 30.8 28.2 Al netto di affitti e interessi sul mutuo 29.4 32.3 48.0 36.3 37.4 36.0 Al netto delle spese totali per l'abitazione 37.1 40.3 55.1 41.9 42.9 42.9 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Anche in base al titolo di possesso dell’abitazione si osservano differenze meno marcate nei poverty gaps se valutati in base ai redditi disponibili (tabella 16). L’inclusione dei fitti imputati riduce in discreta misura l’intensità della povertà con l’eccezione degli affittuari per i quali (data la crescita del reddito mediano e la costanza del loro reddito) il divario si accresce leggermente. Viceversa, sottraendo le spese dal reddito, nonostante la riduzione del valore della soglia di povertà, la distanza relativa da questa cresce in tutti i cinque gruppi di famiglie considerate ed in misura particolarmente ampia per affittuari e mutuatari. L’analisi finora presentata conferma dunque come l’inclusione dei fitti imputati tenda ad accrescere le distanze medie fra la popolazione di proprietari e affittuari (Sauli e Tormalehto 2010). L’impatto dell’housing sulle diseguaglianze fra sottogruppi definiti in base al titolo di godimento 24 L’aumento del poverty ratio fra gli inquilini è legato al fatto che l’inclusione dei fitti imputati accresce il reddito mediano nazionale e dunque la soglia di povertà relativa mentre il loro reddito rimane invariato. 24 della popolazione ed all’interno di questi si può valutare in modo metodologicamente più corretto sia calcolando quale quota della diseguaglianza complessiva sia legata alle differenze within groups piuttosto che alle differenze medie fra questi (between groups; figura 7)25, sia direttamente osservando l’indice di Gini in ogni sottogruppo (tabella 17). La scomposizione dell’indice di Theil nelle due componenti evidenzia che, indipendentemente dalla tipologia di reddito presa a riferimento, la gran parte delle diseguaglianze osservate è legata alla eterogeneità interne ai gruppi piuttosto che alle distanze medie fra queste (figura 18). Ad ogni modo, coerentemente con le indicazioni della letteratura (Frick e Grabka 2003), la considerazione dell'housing, in qualsiasi modalità, tende ad aumentare le distanze medie fra i gruppi aumentando lievemente la componente between, soprattutto qualora i redditi siano computati al lordo dei fitti figurativi. La conferma del peso preponderante della componente within si registra anche notando i livelli molto elevati (e simili a quello complessivo italiano) dei Gini interni ai vari sottogruppi (tabella 17). In base ai redditi disponibili le minori eterogeneità interne si osservano fra mutuatari e “agevolati”, mentre l’inclusione dei fitti imputati (che come noto non rileva per gli affittuari) comprime le distanze relative interne ai gruppi che, come atteso visto quanto mostrato in precedenza, crescono 25 La scomposizione della diseguaglianza fra componente between e within – ovvero il calcolo di quanto incide sulla sperequazione complessiva la distanza dei redditi medi dei sottogruppi rispetto alla diseguaglianza dei redditi che si osserva all’interno di ogni sottogruppo – è calcolata in base all’indice di Theil che, rispetto al Gini, gode della proprietà di essere perfettamente scomponibile nelle due componenti. 25 invece sostanzialmente quando si sottraggono interamente le spese sostenute per l’abitazione di residenza. Tab. 17: Indice di Gini della diseguaglianza within, per titolo di possesso dell’abitazione di residenza Proprietario Mutuatario Affittuario Affitto agevolato Uso gratuito Reddito disponibile Al lordo dei fitti imputati 0.322 0.277 0.329 0.291 0.322 0.281 0.253 0.329 0.254 0.289 Al netto di affitti e interessi sul mutuo 0.322 0.294 0.374 0.307 0.322 Al netto delle spese totali per l'abitazione 0.347 0.311 0.399 0.337 0.343 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 6. Modalità di considerazione dell’housing e posizione relativa delle famiglie L’analisi distributiva condotta nei paragrafi precedenti ha evidenziato come le modalità di valutazione dei costi/benefici dell’housing non siano affatto neutrali rispetto alla dimensione del fenomeno osservato. Al di là dell’impatto sul valore degli indicatori sintetici di povertà e diseguaglianza, ancora più importante appare valutare se e quali individui si spostano lungo la scala distributiva a seconda della tipologia di reddito familiare considerata. Dal punto di vista di policy, infatti, finanziatori e beneficiari delle politiche di tax and transfer sono identificati sulla base del reddito individuale; l’impatto redistributivo delle politiche pubbliche, e le stesse categorie di beneficiari dei trasferimenti means tested, potrebbero infatti variare in larga misura se (ed in quale modo) negli indicatori di reddito e di capacità contributiva degli individui si incorporassero anche gli effetti differenziali dell’housing. In questa prospettiva appare molto interessante osservare in quali quintili della distribuzione si posizionano le famiglie in base al titolo di godimento della casa, a seconda del modo in cui si incorporino o meno costi e benefici dell’abitazione (figure 8a-8c). In particolare emerge evidente lo slittamento verso il basso degli affittuari a prezzo di mercato: fra questi, in base ai redditi disponibili il 27,7% si posizionerebbe nel 40% più ricco della popolazione, il 52,1% nel più povero (figura 8a); includendo i fitti imputati le due quote passerebbero invece, rispettivamente, al 17,6% ed al 68,3% (figura 8b), mentre al netto delle spese totali si situerebbe nei due quintili più ricchi il 20,4% e nei due più poveri il 63,9%. 26 27 Simmetricamente, valutando come si distribuisce per titolo di godimento della casa la popolazione di ogni quintile (figure 9a-9c), la quota di affittuari nel quintile più povero passerebbe dal 18,8% in base ai redditi disponibili, al 30,1% includendo nei redditi i fitti imputati ed al 27,4% escludendo le spese. Contestualmente, la quota di inquilini nel quintile più ricco scenderebbe dall’8,2% al 5,3% o al 5,9% a seconda di come si consideri l’impatto dell’housing. 28 Spostamenti relativi di simile entità ci fanno capire quanto diventi rilevante a fini redistributivi la specifica definizione di reddito che si prende a riferimento per identificare beneficiari e contribuenti delle politiche sociali e quanto il diritto ad accedere o meno alle prestazioni del welfare possa discendere da prassi seguite riguardo alla misurazione della situazione economica familiare piuttosto che da metodologie robuste e condivise sulla valutazione del loro benessere economico. 29 Tab. 18a: Tavola di mobilità fra quintili della distribuzione in base a diverse definizioni di reddito equivalente (valori %) Reddito al netto delle spese totali per l’abitazione Reddito disponibile 1 2 3 4 5 Totale 1 2 3 4 5 Totale 16.9 2.7 0.4 0.0 0.0 20.0 3.1 14.1 2.5 0.2 0.0 20.0 0.0 3.2 14.7 2.1 0.1 20.0 0.0 0.0 2.5 16.1 1.5 20.0 0.0 0.0 0.0 1.6 18.4 20.0 20.0 20.0 20.0 20.0 20.0 100.0 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Tab. 18b: Tavola di mobilità fra quintili della distribuzione in base a diverse definizioni di reddito equivalente (valori %) Reddito al lordo dei fitti imputati Reddito disponibile 1 2 3 4 5 Totale 1 2 3 4 5 Totale 16.3 3.7 0.0 0.0 0.0 20.0 3.4 12.6 4.0 0.0 0.0 20.0 0.3 3.5 13.0 3.2 0.0 20.0 0.0 0.3 2.9 14.9 1.9 20.0 0.0 0.0 0.0 1.9 18.1 20.0 20.0 20.0 20.0 20.0 20.0 100.0 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Tab. 18c: Tavola di mobilità fra quintili della distribuzione in base a diverse definizioni di reddito equivalente (valori %) Reddito al netto delle spese totali per l’abitazione Reddito al lordo dei fitti imputati 1 2 3 4 5 Totale 1 2 3 4 5 Totale 15.5 3.8 0.7 0.1 0.0 20.0 4.5 11.5 3.5 0.5 0.0 20.0 0.0 4.8 11.8 3.3 0.2 20.0 0.0 0.0 4.0 13.8 2.3 20.0 0.0 0.0 0.0 2.4 17.6 20.0 20.0 20.0 20.0 20.0 20.0 100.0 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 La differenza delle distribuzioni relative alle tre principali modalità di valutazione dell’housing presentate in questo lavoro emerge ancora più evidente se si osserva la matrice di mobilità della popolazione fra quintili definiti in base ai diversi concetti di reddito (tabelle 18a-18c). In particolare va osservato che i valori sulla diagonale principale sono sempre ampiamente inferiori a 20, valore che segnalerebbe la persistenza nel quintile indipendentemente dal tipo di reddito considerato, e si registrano spostamenti sia verso l’alto che verso il basso della scala distributiva. Ad esempio, il 13,7% di chi in base ai redditi disponibili occupa il secondo quintile ed il 2% di chi si posiziona nel 30 terzo cadrebbe nel più povero se dai redditi fossero detratte le spese per la casa (tabella 18a)26. Ancora più dissimili sono le distribuzioni con fitti imputati e senza spese, come evidente guardando ai valori lungo la diagonale principale (tabella 18c): ad esempio, il 19% di chi in base ai redditi al lordo dei fitti si situa nel secondo quintile ed il 3,5% di chi si posiziona nel terzo finirebbe nel 20% più povero se i redditi fossero considerati al netto delle spese totali per l’abitazione. La scelta della modalità di inclusione del ruolo dell’housing nella valutazione del benessere economico della famiglia può comportare, come detto, profondi implicazioni nella definizione dei gruppi sociali verso cui si rivolgono le politiche pubbliche redistributive ed i trasferimenti means tested. A conferma di ciò, concentrandoci sulla coda bassa della distribuzione, si nota quanto per nulla irrilevante sia la quota di famiglie che entrerebbero o uscirebbero dalla povertà relativa in base a differenti definizioni del reddito nazionale (tabelle 19 e 20, riferite, rispettivamente, alle entrate e alle uscite dalla povertà). Tab. 19: Quota di “non poveri relativi” che lo diventano in base a una diversa definizione di reddito equivalente (valori %) Non poveri su reddito disponibile, ma su reddito … Proprietario Mutuatario Affittuario Aff. agev. Uso gratuito Totale Al lordo fitti imp. 0.9 0.3 19.8 3.0 1.0 Al netto spese abitaz. 3.2 6.2 26.9 17.6 2.8 3.2 7.1 Non poveri su reddito al netto delle spese per l'abitazione, ma poveri su reddito … Al lordo Disp. fitti imp. 1.1 0.7 0.0 0.1 5.0 0.0 0.8 0.0 2.2 2.5 1.4 0.7 Non poveri su reddito al lordo dei fitti imputati, ma poveri su reddito … Al netto spese abitaz. 9.6 6.8 13.4 21.8 11.0 10.3 Disp. 7.1 1.0 0.0 7.2 9.6 5.8 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 In media, se si abbandonasse il reddito disponibile come unità di riferimento, la caduta in povertà relativa riguarderebbe il 3,2% della famiglie se si includessero i fitti figurativi ed il 7,2% se si sottraessero le spese. I rischi di discesa sotto la soglia riguarderebbero soprattutto gli inquilini (fra i quali 1/5 ed oltre 1/4 finirebbero per avere un reddito inferiore al 60% della mediana nelle due definizioni alternative) e gli affittuari agevolati nel caso l’housing venisse valutato sottraendo le spese effettive dal reddito corrente. A conferma di un quadro distributivo completamente difforme a seconda che si scelga di imputare i benefici potenziali o si segua l’out of pocket approach, i movimenti discendenti sarebbero ancora più evidenti qualora dal reddito al lordo dei fitti imputati si passasse a quelli al netto delle spese: in media il 10,3% della popolazione verrebbe a cadere sotto la 26 Tali percentuali sono facilmente calcolabili dividendo le frequenze delle celle per quelle delle marginali, che, per definizione trattandosi di quintili, sono sempre uguali a 20. 31 soglia ed i rischi sarebbero consistenti per tutti i gruppi considerati (anche se, al solito, minori per i mutuatari date le migliori caratteristiche socio-economiche di chi li richiede/ottiene) e molto elevati soprattutto per gli inquilini a canone agevolato, per i quali, dunque, il differente approccio di valutazione dell’housing incide dunque profondamente sulle posizioni lungo la scala distributiva. Tab. 20: Quota di “poveri relativi” che non lo sono in base a una diversa definizione di reddito equivalente (valori %) Poveri su reddito disponibile, ma non su reddito Proprietario Mutuatario Affittuario Aff. agev. Uso gratuito Totale Al lordo fitti imp. 2.9 1.3 0.0 0.0 5.8 Al netto spese abitaz. 32.9 14.7 0.0 21.1 24.3 2.5 23.9 Poveri su reddito al netto delle spese per l'abitazione, ma non su reddito Al lordo Disp. fitti imp. 40.2 12.7 52.3 47.3 16.1 40.5 42.8 33.0 27.7 6.5 33.7 22.7 Poveri su reddito al lordo dei fitti imputati, ma non su reddito Al netto spese abitaz. 6.6 0.7 6.1 2.0 6.6 5.9 Disp. 5.8 5.2 33.4 9.5 2.8 14.4 Fonte: elaborazioni su dati IT-SILC 2007 Simmetricamente, ampi flussi di uscita dalla povertà relativa si accompagnano a differenti definizioni del benessere economico delle famiglie. Passando dal disponibile al reddito al lordo dei fitti figurativi le uscite dalla povertà sarebbero minime (in media il 2,5%, con un minor rischio soprattutto a vantaggio dei “gratuiti”), mentre, corroborando le evidenze concernenti le entrate in povertà, la composizione della popolazione con reddito inferiore alla soglia muterebbe sostanzialmente se si seguisse l’out of pocket approach: in media il 23,9% dei poveri relativi in base al reddito disponibile si situerebbe oltre la soglia (il cui valore, ricordiamo, in tal caso si riduce in ragione del minor reddito mediano) ed il minor rischio riguarderebbe tutti i gruppi considerati ed in particolar modo i proprietari senza mutuo (circa 1/3 uscirebbe dallo status di deprivazione relativa). Modifiche minori del quadro della povertà relativa si registrerebbero se si passasse dai redditi al lordo dei fitti a quelli al netto delle spese, mentre frequenti movimenti di uscita dalla povertà relativa si registrerebbero se si scegliesse di aggiungere i fitti anziché sottrarre le spese (in media le uscite ammonterebbero al 33,7%). 7. Conclusioni Prendendo spunto dall’evidenza empirica che mostra come in tutti i paesi occidentali il titolo di godimento dell’abitazione di residenza sia fortemente associato alle condizioni di deprivazione socio-economica e di vulnerabilità delle famiglie, nel presente lavoro si è ragionato sulle possibili 32 modalità di inclusione dei costi e dei benefici dell’housing nella valutazione del benessere economico e si è evidenziato, da una parte, che la mancata considerazione di tali elementi, che per buona parte della popolazione rilevano per oltre 1/4 del reddito disponibile, alteri profondamente la valutazione delle condizioni economiche familiari, dall’altra che non esiste allo stato attuale in letteratura una metodologia condivisa e scevra da difetti per incorporare gli effetti dell’housing nel concetto di “reddito entrata”. Per tale ragione, nella parte empirica di questo lavoro, riferita in primo luogo al caso italiano, anziché far riferimento ad un unico concetto di reddito familiare si è preferito costruire più variabili di reddito al fine di confrontare quanto la metodologia prescelta incida sulla dimensione della distribuzione del benessere economico delle famiglie e sulle loro posizioni relative. Concentrandoci principalmente su indicatori distributivi, si è confermato quanto rilevanti, soprattutto per le famiglie meno abbienti, siano le spese effettivamente sostenute per l’abitazione di residenza e/o i benefici figurativi a vantaggio di chi deve sostenerne in minor misura (in quanto proprietario o affittuario con canone agevolato o a titolo gratuito) e, soprattutto, si è verificato come la metodologia seguita per considerare o meno l’impatto dell’housing alteri profondamente il quadro distributivo osservato all’interno di una popolazione. Da una parte, si è constatato che, rispetto al benchmark rappresentato dal concentrarsi sul solo reddito disponibile, l’imputazione dei fitti figurativi (l’approccio teorico preferito dalla gran parte degli economisti) riduce sostanzialmente la diseguaglianza nei redditi e la diffusione della povertà relativa, mentre l’out of pocket approach (ovvero sottrarre dal reddito disponibile le spese effettivamente sostenute) amplifica di molto la sperequazione del benessere economico ed i rischi di povertà relativa. Una scelta apparentemente simmetrica – sottrarre le spese effettive o aggiungere il beneficio in natura per chi non le sostiene – comporta effetti sulla diseguaglianza osservata completamente opposti, fornendo quindi una quindi una risposta del tutto divergente alla domanda circa l’impatto dell’housing sulla distribuzione dei redditi. Dall’altra parte, si è registrato che, al di là della variazione del valore degli indici sintetici, la metodologia di considerazione dell’impatto dell’housing modifica profondamente le stesse posizioni relative degli individui (svantaggiando in primo luogo chi deve pagare un affitto a prezzi di mercato), che tendono a posizionarsi in misura per nulla irrilevante in quintili diversi della distribuzione dei redditi a seconda di come spese e benefici per la casa vengano o meno inclusi nella valutazione del benessere economico. Di conseguenza, le politiche redistributive ed assistenziali possono identificare platee di beneficiari e contribuenti fortemente differenziate in base alla scelta sul se e come inserire nella misura del tenore di vita e della capacità contributiva gli aspetti legati al consumo dei servizi dell’abitazione di residenza. 33 In conclusione, la riflessione teorica e l’analisi empirica condotta in quest’articolo hanno confermato la necessità di inserire considerazioni legate all’housing nelle analisi distributive, ma hanno altresì evidenziato l’assoluta “non robustezza” dei risultati rispetto alla specifica modalità di inserimento prescelta. Il compito dei ricercatori appare dunque duplice: in un’ottica di policy, chiarire quali sono gli effetti per i diversi gruppi sociali derivanti dal tipo di variabile di reddito scelta (sovente in modo non trasparente nelle sue implicazioni) dai policy makers come indicatore di capacità contributiva; in un’ottica di ricerca, estendendo ad altre componenti di spesa ed entrata le riflessioni qui proposte a proposito dell’impatto dell’housing, approfondire ulteriormente lo studio del più adatto indicatore del tenore di vita di individui e famiglie. L’idea di valutare esplicitamente la sperequazione di ciò che le famiglie possono effettivamente consumare una volta sostenute alcune spese ritenute “necessarie” appare fruttuosa, ma richiede futuri approfondimenti teorici che esulano dagli obiettivi perseguiti in questo articolo. 34 Bibliografia Baldini M., Toso S. (2009), Diseguaglianza, Povertà e Politiche Pubbliche, Il Mulino, Bologna. 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