Gianni Casari IL MARE DELL`INFELICITÀ

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Gianni Casari IL MARE DELL`INFELICITÀ
Gianni Casari
IL MARE DELL’INFELICITÀ
LietoColle
Libriccini da collezione
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Gianni Casari, Il mare dell’infelicità – LietoColle
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Gianni Casari, Il mare dell’infelicità – LietoColle
ANDREA ARSINORI
(L‟ultimo tratto)
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Gianni Casari, Il mare dell’infelicità – LietoColle
Parte prima
Andrea si era lasciato andare: lasciato il lavoro, lasciati gli amici,
lasciato il suo posto nella piccola cittadina veneta, lasciata quella
sensazione di fiduciosa attesa di un bene futuro, era scivolato in una
grigia apatia, buttando tempo, illusioni e aspirazioni.
Anche l‟aspetto era mutato: l‟inutilità della sua esistenza aveva
creato due solchi profondi ai lati della bocca, un infossamento alle
guance, e i capelli incolti gli scendevano un po‟ mossi, fino a
toccargli le spalle.
Nato in un piccolo paese tra distese di campi, corsi d‟acqua
trasparenti, nebbie autunnali opalescenti e in seno ad una famiglia di
contadini, era di fatto destinato ad una vita senza troppe complicazioni e difficoltà, con tutte le certezze delle comunità rurali, dove i
compiti erano chiari per tutti e i ruoli non erano intercambiabili; ma
“qualcuno” aveva deciso a suo favore, regalandogli inventiva, creatività e una fantasia immaginifica che lo avrebbero portato lontano
dalle sue origini per obbedire alla sua genialità d‟artista, recidendo
definitivamente le sue radici, allontanandolo dalla semplicità di quel
mondo.
Per un breve periodo aveva camminato lungo i bordi dei campi,
vissuto solamente al margine di quella vita, della sua vita, diventandone prigioniero, assoggettato ad una uniformità che lo opprimeva e
tormentava: uno stato di inferiorità alla quale veniva immolata la
serenità, la pace, ogni aspettativa e la sua stessa sopravvivenza. Ma
spiccò il volo: conquistò la sua libertà, accettandone i rischi, lottando
con le sue limitatezze di uomo, abbandonandosi alle passioni del
mondo, sognando l‟empatia e l‟amore per il prossimo.
Ospite della sua stessa vita, creò capolavori pittorici che si conte~ 11 ~
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sero musei pinacoteche e gallerie private; in particolare gli autoritratti
e i ritratti, specialmente quelli della moglie Vittoria, nei quali i balenii
luminosi e i chiaroscuri incastonavano come una pietra rara, preziosa, il volto tanto amato: un‟atmosfera tesa, di accadimento e di
trepida attesa aleggiava in quei ritratti, dove la libertà artistica priva di
recinzioni e concetti pretestuosi dava voce alla sua creatività e realizzava i suoi sogni.
Questa fu la “risposta” al suo Maestro di pittura all‟Accadamia, il
quale continuò fino alla fine del corso a insistere sul concetto formulato dal filosofo viennese Ludwig Wittgenstein:
...Se per i colori esistesse una teoria dell’armonia essa comincerebbe con il distribuire i colori in differenti gruppi; con il vietare mescolanze o certi accostamenti e
con il permettere altri; e, come le teoria dell’armonia, , non giustificherebbe le sue
regole…
Ma ora doveva appartarsi per capire il perché della sua sconfitta
familiare, come se questo potesse mettere a posto tutti i pezzi di un
puzzle ormai impossibile a ricomporsi, e scelse di vivere in solitudine.
Trascorse più di un anno in questo stato, finché l‟offesa e la
rabbia si stemperarono nel distacco e nell‟indifferenza; tutti i perché
non trovando una risposta furono accantonati definitivamente e
quanto gli era successo (il figlio perduto alla sua nascita, l‟insidia a
sua moglie da parte del suo migliore amico, che diverrà il secondo
marito di Vittoria, e la conseguente fine del loro matrimonio), dopo
giorni e notti e settimane e mesi di analisi e valutazioni fu archiviato
come un inutile capitolo di vita passata.
Fu un volontario esilio, tra le prealpi venete, in una baita sul
Nevegal. Qui molte volte si abbandonava al silenzio; chiudeva gli occhi e lasciava che il vento serale, benefico, entrasse come un fremito
confuso ed estraneo e si fondesse con l‟alito della notte sospesa su di
lui, portatrice di oblio ristoratore.
Le lunghe passeggiate che lo portavano fino al lago di Santa
Croce -un francobollo azzurrognolo racchiuso in una inesauribile
varietà di verdi- lo aiutavano a rafforzare il suo distacco dal mondo,
liberandolo da ogni orpello e da inutili fardelli. Quelle ore di marcia
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lo fiaccavano fisicamente, tant‟è che talvolta lo accompagnava in
macchina Bruno, un taciturno boscaiolo che si era affezionato a quel
signore dai lunghi capelli e spesso condivideva in silenzio i suoi solitari pomeriggi; tuttavia queste passeggiate gli regalavano serenità e
pace. Finchè venne il momento di partire.
Andrea incontrò Bruno, il boscaiolo, per congedarsi; una lacrima
scese lentamente dagli occhi di Bruno che, rapidamente, la tolse con
il rovescio della mano. Rimasero silenziosi per l‟intera mattinata e
tutto il pomeriggio finché il crepuscolo, schiarendo un poco il cielo,
annunciò l‟arrivo della sera.
L‟aria si era fatta più fresca, l‟azzurrità dell‟acqua aveva perso la
sua brillantezza, spegnendosi nel grigio di quella luce che sembrava
accartocciata su se stessa, senza più vigore, e dove le ombre avanzavano coprendo ogni cosa.
Due giorni dopo, compilando la scheda informativa con i suoi
dati anagrafici, Andrea Arsinori si stabiliva al Grand Hotel di
Ascona.
La mattina seguente dopo aver telefonato alla S.B.B. di Bellinzona,
succursale della banca centrale di Zurigo, e appreso dalla segretaria
del direttore che l‟avrebbe potuto incontrare soltanto il lunedì
successivo causa impegni con il gruppo dirigente della suddetta
banca, iniziò ad “esplorare” Ascona e dintorni.
La colazione allo “Zeller”, sul lungolago, con un profumatissimo
café-crème; il pranzo alla “Migros” e le cene al “Continental” lo misero
in contatto con una serie di lavoratori estremamente capaci e gentili
che si prodigavano senza cadere nell‟affettato e nel lezioso.
Le passeggiate, sotto platani centenari, vecchi che ormai parlavano
dei loro acciacchi (crepe profonde incidevano i loro tronchi, rami
secchi attendevano d‟essere tagliati, il fogliame rado sembrava faticare ad infittire, ma la loro venustà compensava qualsiasi magagna,
qualsiasi difetto), arrivavano come un sussurro a calmare la sua diffidenza, ad addolcire le orlature della sua anima annerite dalla tristezza.
Ascoltava il passo di gente nuova, che sorridendo alla vita si con~ 13 ~
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trapponeva alla solitudine e ai silenzi del Nevegal: un microcosmo
ciarliero e solare che un poco lo frastornava, anche se era deciso, fermamente deciso, a non ritornare sui suoi passi.
Ormai da oltre cinque anni la sua produzione artistica era stata
volutamente interrotta, tant‟è che le quotazioni sul mercato erano lievitate in modo significativo; per esempio qualche mese prima, al
Christie’s, il suo “Autoritratto col girasole” era stato venduto per ottocentomila dollari (probabilmente, vi era un “motivo artistico”: nel centro
del girasole, proprio nel suo cuore, aveva ritratto il volto di sua moglie Vittoria), una cifra impensabile per un artista contemporaneo e
ancora vivente. Ma non intendeva riprendere la pittura; ciò di cui ora
sentiva il bisogno era il rapporto umano.
Cercava, curioso, di recuperare la sua “socialità” familiarizzando
con coloro che incontrava, fossero di volta in volta il cameriere, il
commesso, il lift-boy o il direttore dell‟albergo, anche se le difficoltà
e le discrepanze culturali e mentali spesso lo mettevano in imbarazzo, turbandolo, e provocando un gesto di stanchezza.
In tali momenti l‟atteggiamento cambiava improvvisamente:
Andrea si rabbuiava, si infastidiva per un nonnulla, diversamente da
un tempo, quando la comprensione e la disponibilità erano senza
barriere o preclusioni. Forse chiedeva troppo a se stesso e di conseguenza agli altri: dopo tanti anni di forzato - ma accettato - isolamento, in così poco tempo avrebbe voluto ritrovare il giusto equilibrio, un corretto confronto con coloro con cui veniva in contatto.
Nel centro di Bellinzona, dunque, di fronte al Palazzo Civico, su
due piani di un edificio ottocentesco, stava la succursale della S.B.B.
Accompagnato dalla segretaria nell‟ufficio del direttore, Andrea
conosce il dottor Otto Schultz, un signore sulla cinquantina, o poco
più, dal viso aperto e una luce onesta negli occhi. Dopo le formalità,
il signor Schultz affronta subito la questione: d‟altronde, Andrea, per
telefono, aveva accennato quali fossero le sue priorità e quello che gli
necessitava. Infatti il direttore aveva preparato in linea di massima un
contratto, che diede in esame ad Andrea. Alcuni punti vennero
modificati, altri ridefiniti ed ogni richiesta esaudita. Vennero ben
chiariti, precisati, due punti per Andrea fondamentali: i quadri sareb~ 14 ~
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bero stati custoditi nel caveau della banca centrale di Zurigo, mentre
i soldi in quella di Bellinzona.
In un bar della elegantissima piazza Nosetto i due ordinarono un
caffè e definirono gli ultimi dettagli (sarebbero diventati buoni amici e Otto
aiuterà più e più volte Andrea a districarsi nei complessi meandri burocratici e
legali, sino all’atto finale), e alla richiesta di un posto, più familiare del
Grand Hotel, il dottor Schultz non ebbe dubbi: il “Garni Silvia” (un
bed-and-breakfast poco lontano dal “Continental”).
Al rientro, la sera faceva capolino con gli ultimi chiarori e la piana
di Magadino si offriva nella sua uniformità e si preparava ai silenzi
della notte.
Andrea, quella sera, cenò in albergo e comunicò la sua partenza
per l‟indomani.
Il “Garni Silvia” occupava l‟intero mezzanino di un edificio a tre
piani. Seconda di tre figli, Silvia si dedicava al funzionamento del
garni, mentre gli altri due fratelli gestivano un negozio di frutta e verdura situato al piano terra; l‟ultimo piano, mansardato, era la sua
abitazione. Oltre al negozio di frutta e verdura, un ampio spazio era
adibito a magazzino per tutti e tre i fratelli.
Silvia, dagli ampi fianchi, prosperosa e giunonica, aveva sempre il
sorriso sulle labbra; pronta al dialogo (trilingue: italiano, francese e
tedesco, parlate alla perfezione) si mostrava aperta, sensibile e
disponibile verso i suoi ospiti.
Era coadiuvata da una italiana di Rapallo, Giovanna, persona squisita, moglie di un pasticciere che lavorava al Grand Hotel. Tutto era
ordinato e pulito, le colazioni erano abbondanti (tanto che talvolta
Andrea saltava il pranzo), varie e gustosissime: si toccava il vertice
con il müesli del venerdì, un capolavoro culinario con cereali, frutta
secca e yogurt fatto in casa proprio da Silvia. Con la signora
Giovanna Andrea instaurò, quasi subito, un rapporto di affettuosa
complicità: divoratrice di libri, con una tristezza segreta negli occhi, e
sensibile alle manifestazioni artistiche, lei cercava con questi interessi
di salvarsi dall‟ottusità e dall‟aridità del marito.
Era più di un mese che l‟uomo “godeva” dei servizi del “Garni
Silvia”, quando un forte dolore alla spalla gli provoca un torcicollo e
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