Quando parliamo di Shoah ai nostri ragazzi, ai nostri bambini

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Quando parliamo di Shoah ai nostri ragazzi, ai nostri bambini
PER UNA DIDATTICA DELLA SHOAH
(Melissa Zaccaria)
Quando pensiamo alla didattica della Shoah immediatamente ci scontriamo con
alcune domande: cosa dobbiamo raccontare ai nostri ragazzi, qual è lo scopo
del nostro agire educativo, quali sono i mezzi che utilizziamo per un racconto di
fatti così assurdi, lontani, impossibili da concepire, in particolare se i nostri
bambini frequentano la quinta classe primaria?
Innanzi tutto credo si debba partire dai termini. Dobbiamo soffermarci sulle
parole. Il fenomeno della Shoah è stato così unico, totalizzante, sistematico e
universale che per definirlo è stato necessario coniare un nuovo termine:
genocidio. Per genocidio s’intende l’insieme dei comportamenti criminali agiti
con la precisa volontà di eliminare per sempre un popolo dalla faccia della
terra: questo era uno dei piani della follia nazifascista, eliminare dalla terra,
per sempre, gli ebrei. Sono riusciti ad eliminarne sei milioni. Noi uomini
abbiamo inventato il genocidio e gli abbiamo dovuto poi dare un nome,
purtroppo però ora non possiamo dis–inventarlo, ma possiamo lavorare
affinché questo non si ripeta più.
A livello internazionale nel 1948 è stata ratificata la Convenzione per la
prevenzione e la repressione del genocidio: da quel momento, oltre che
introdurre la responsabilità individuale nel reato di genocidio, tutti gli Stati si
sono trovati in obbligo di prevenire e reprimere il genocidio,lottando contro
ogni comportamento che in qualche modo conduca a pensieri criminali in tal
senso.
Se la Shoah è stata il genocidio del popolo ebreo, il Porrajmos è stato il
genocidio del popolo rom e sinti da parte della medesima follia. Ecco dunque
un’altra parola su cui soffermarci: Porrajmos. In lingua romaní significa
«devastazione», «grande divoramento», grande perdita. Con questo termine si
indica lo sterminio criminale di circa cinquecento mila rom e sinti. Molte
comunità romanès preferiscono invece il termine Samudaripen, che significa
uccisione totale, genocidio. Quelle delle comunità romanès venivano definite
come“vite indegne di essere vissute” e per questo dovevano essere cancellate
per sempre, attraverso la reclusione, la sterilizzazione, l’eliminazione. Questa è
“l’altro” genocidio, commesso nello stesso periodo storico, dagli stessi attori:
non esiste comparazione fra la sofferenza umana, ma abbiamo il dovere di
parlare ai nostri ragazzi anche di questa volontà di togliere il diritto
all’esistenza ad un gruppo definito asociale, inferiore, piaga, vita non degna di
essere vissuta.1
Un’altra parola che merita interesse è la parola Olocausto: utilizziamo in
modo equivalente la parola Olocausto e la parola Shoah. Ma questo non è
totalmente corretto. Olocausto è una parola che deriva dal greco e che significa
sacrificio
volontario,
immolazione:
gli
ebrei
non
si
sacrificarono
volontariamente al disegno malato della follia nazifascista; essi furono vittime
innocenti, inermi, senza colpa. Meglio dunque utilizzare la parola Shoah, che in
ebraico biblico significa "distruzione totale", "distruzione assoluta" e "catastrofe
che annienta". La Shoah fu infatti un lungo processo
nel quale gli ebrei
vennero dapprima identificati, isolati, spogliati dei loro beni e della loro dignità
di uomini, poi ghettizzati ed infine sterminati.
Quali attività didattiche quindi una volta chiariti questi termini? Come in
concreto parlare di Shoah? Sicuramente è necessario partire dai luoghi: andare
a visitare luoghi della memoria, il Ponte della Memoria
Lungofiume Amalia
Fleischer nella nostra città, o il non troppo distante Campo Fossoli.2 Il campo di
Fossoli ricordiamolo, venne inizialmente istituito come campo per prigionieri di
guerra, prevalentemente inglesi. Dopo l'8 settembre 1943, con la gestione
della Repubblica sociale, diventò un campo di concentramento per ebrei e
prigionieri politici; all'inizio del 1944 un settore cominciò a essere diretto dal
comando nazista di Verona: questa parte viene ribattezzata Durchgangslager,
campo di transito per deportati destinati a Auschwitz, Ravensbrück, BergenBelsen, Mauthausen. Un punto di attesa, ci dice Primo Levi, che proprio in
questo campo fu rinchiuso dal 20 gennaio al 22 febbraio 1944, quando venne
deportato ad Auschwitz,
dove l'«insufficiente conoscenza del futuro», lasciava
spazio alla speranza che questo non potesse essere poi così terribile”.3 Molti
1
Si veda in proposito Santino Spinelli, Rom, genti libere. Dalai editore.
CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI FOSSOLI CARPI, Fondazione ex Campo Fossoli , Carpi (Modena)
3
Dall’articolo http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:1647
2
sono dunque gli spunti di lavoro didattico a partire da Fossoli, fino ad arrivare
al periodo compreso fra il 1954 e il 1970, quando esso fu utilizzato dall’Opera
assistenziale profughi giuliano-dalmati per i propri assistiti, famiglie di profughi
italiani provenienti dai territori dell’Istria passati alla Yugoslavia. 4
Ma non solo i luoghi della memoria della Shoah, ma anche quelli che hanno
reso eterni episodi criminali, dettati dall’odio e dalla furia assassina,
come
raccontano le lapidi disseminate nel nostro territorio. Proprio davanti alla
nostra scuola si trova una lapide in ricordo del giovanissimo Domenico Gallina,
ucciso per strada, dopo essere stato percosso, all’età di soli 23 anni:
“In
questo luogo fu spietatamente finito Domenico Gallina vittima della furia
fascista scatenata alla caccia di Giovanni Bertoni. Faenza memore lo ricorda.
Faenza, 17.12.1979” 5. Una ricerca storica, con gli alunni anche più piccoli, sui
luoghi, sui fatti vicini a noi, per capire l’assurdità del comportamento umano,
per leggere su pietra di cosa può essere capace l’uomo. Questi azioni sono
state compiute da quella stessa delirante ideologia che poi condurrà allo
sterminio degli ebrei, del popolo rom e di altri gruppi minoritari, su cui sarebbe
giusto approfondire.
A seguire è indispensabile l’incontro con il Testimone, il racconto di come la
Grande Storia è entrata a far parte della sua vita; i testimoni da pochi anni
raccontano, e come scrive Shlomo Venezia la forza del ricordo è una forza
benefica e allo stesso tempo disperata (…) Testimoniare rappresenta un
enorme sacrificio, riporta in vita una sofferenza lancinante che non mi lascia
mai. Tutto va bene e, d’un tratto, mi sento disperato. Appena provo un po’ di
gioia, qualche cosa si blocca dentro; la chiamo la malattia dei sopravvissuti…
Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia. Qualunque cosa veda. (…)
Non ho più avuto una vita normale. 6 L’incontro con il Testimone va preparato in
anticipo per evitare il solo impatto emotivo: è bene fornire ai ragazzi chiari e
precisi elementi di conoscenza, attivare percorsi di criticità, insegnare a porsi
4
Anna Maria Ori, Il campo di Fossoli. “Villaggio San Marco, 1954-1970”, APM edizioni. Nel dopoguerra, tra i
problemi della ricostruzione, della guerra fredda, delle lotte operaie e degli squilibri politici, si attua, nell’indifferenza
generale, il dramma dell’esodo italiano dall’Istria. Secondo stime ufficiali fra il 1945 e il 1954 da 200 a 250 mila
istriani italofoni abbandonano Fiume, Pola e altre località della costa.
5
Si rimanda al testo Gaspare Mirandola, Topografia della memoria, Bacchilega editore.
6
Shlomo Venezia, Sonderkommando, Auschwitz.
dei perché. Infine, fortunatamente, la letteratura, la cinematografia e il web 7 si
arricchiscono continuamente di materiale che può aiutarci nel nostro lavoro di
racconto storico.
Sorge però una domanda legittima: questo per la Shoah. E per il Porrajmos?
Come spiegare ai bambini il Porrajmos? La memoria del popolo rom è
essenzialmente interna al gruppo, il loro sterminio è stato a lungo taciuto. Il
nostro lavoro di docenti di fronte a questo stallo è certamente quello di
prendere coscienza di questa situazione, studiare la storia del popolo rom e
provare ad uscire da questa posizione di non conoscenza. Un documentario
bello, appassionato, ideato da Santino Spinelli, rom abruzzese, poeta, docente
universitario e soprattutto musicista ci racconta del Porrajmos.8 Parte dalle
testimonianze del padre e di altri rom e sinti italiani e compone un’ora di
musica capace di restituire il dramma dimenticato di un intero popolo che ha
pagato, tra il 1940 e il 1945, un prezzo altissimo ai deliri del nazifascismo. Un
dramma che, per certi versi non si è concluso con la fine della Seconda Guerra
mondiale. I campi nomadi di oggi sono, come sostiene Santino nelle interviste
alla radio, nel documentario, una inaccettabile forma moderna di segregazione
razziale, il frutto di una ideologia razzista che affonda le sue radici nella cultura
nazi-fascista. Qualcosa si sta facendo però: due mesi fa, finalmente, la
cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente Joachim Gauck hanno
inaugurato a Berlino, nei giardini del Tiergarten un monumento dedicato ai 500
mila Rom e Sinti uccisi dal nazismo; esso si trova non molto lontano dal
monumento dedicato alle vittime ebraiche, inaugurato nel 2005, e da quello
dedicato alle vittime omosessuali, inaugurato nel 2008 9. Un riconoscimento, un
monumento ad imperitura memoria del dolore provato da quel popolo.
Dimitris Argiropoulos, docente presso l’Università di Bologna, in un intervento
ad un recente corso10 indicò il senso e la direzione del nostro lavoro quotidiano:
dobbiamo oggi, cominciando dal qui ed ora tendere ad aggiustare l’ignoranza.
7
Si pensi solamente ai contenuti e agli spunti di lavoro presenti nel sito dello Yad Vashem, http://www.yadvashem.org/
8
Parente, Ricciardi, (regia) Porrajmos. Parole in musica, produzione Gianni Rodari
9
5 I l memoriale, disegnato nel 1992 dall’artista israeliano Dani Karavan, è costituito da uno specchio d’acqua rotondo circondato da pietre rotte. Al
centro galleggia una piattaforma triangolare su cui ogni giorno viene poggiato un fiore fresco. L’iscrizione sul monumento è tratta dalla
poesia Auschwitz, scritta dal poeta rom Santino Spinelli
10
Corso di storia e didattica della Shoah. Università di Bologna – Forlì Campus, Fondazione Fossoli, 18.19 ottobre
2012
Il nostro compito di adulti educatori è quello di creare un progetto di memoria,
cercando e valorizzando le memorie. Insegniamo ai nostri bambini, a farsi delle
domande fin da piccoli , ad accogliere il conflitto, ad accettare quei no che
fanno andare avanti, lavorando in gruppo, creando comunità, rete.
Ricordiamoci sempre ciò che scrive Primo Levi: E’ accaduto, quindi può
accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può
accadere e dappertutto … occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare degli
incantatori, da quelli che dicono belle parole non sostenute da buone ragioni” 11
Ancoriamoci dunque alle nostre realtà vicine, avventuriamoci in una ricerca
storica locale, riflettiamo con i nostri giovani studenti sulle radici dei pensieri
razziali, omofobi e sulle loro conseguenze. Parliamo con loro, ragioniamo,
investiamo il nostro tempo, leggiamo la nostra Costituzione, insegniamo loro
ad amarla e rispettarla. Parliamo di pace: ascoltiamoli e rispettiamoli.
Instilliamo in loro il dubbio, provochiamoli; ricordiamoci e ricordiamo loro che
alla base delle ideologie c’è un continuo, silenzioso lavorio di corruzione delle
menti e dei cuori: facciamoli invece sentire orgogliosi di essere menti pensanti
e libere.
Auschwitz
Auschwitz
Muj sukkó
Faccia incavata
Kiá kalé
occhi oscurati
Vust surdé;
labbra fredde;
kwit.
silenzio.
Jiló cindó
Cuore strappato
bi dox,
senza fiato,
bi lav
senza parole,
nikt rubvé
nessun pianto
Santino Spinelli,
rom italiano
11
Shlomo Venezia, op.cit. p.6