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Tempo libero è quello dedicato alla lettura vera, non a quella ipotetica.
Quel tempo è l’unico bene solo nostro – come scrive Seneca nelle
battute iniziali cupe e gravi , delle Lettere a Lucilio. Tempo che viene
eroso da occupazioni molteplici e da quello che con impavido
eufemismo chiamiamo secondo lavoro, mentre è il terzo o il quarto.
Tempo che ci viene sottratto dai ladri di tempo i disturbatori effigiati
da Orazio nella IX Satira.
E ai quali Kraus riserva un desolato
aforisma: “Molti desiderano ammazzarmi. Molti desiderano fare
un’oretta di chiacchiere con me. Dai primi mi difende la legge”.
Tempo libero per il libro, significa liberare la lettura da ambizioni
fuorvianti. La prima è di identificarla con il “Possesso” intellettuale di
un testo. Bisognerebbe emanciparsi dal desidero di “possedere” dico
idealmente, un libro. Leggere è un processo senza fine, che solo una
immaginazione debole può limitare alla lettura di un’opera. Allo stesso
modo il linguaggio erotico ci illude quando al verbo possedere fa
seguire, come complemento oggetto, una persona. Niente è più fugace
che quel modo di possedere. Però il delirio paranoico di onnipotenza ci
fa scegliere, tra i verbi, il meno adeguato. Meglio esporre quello che ci
dà un libro alle mutazioni che trasformano lui e noi. Non illudersi di
cristallizzarlo per una breve eternità, come nel forziere di una banca
trasformato in cripta.
Un’altra eredità patologica, trasmessa dalla scuola, è il culto della
completezza. Ideale impossibile, ci fornisce l’alibi più rigoroso e
insieme più diffuso per non leggere. Né si può dimenticare quel
personaggio del cimitero di Lee Masters, che diceva di avere
immaginato qualcosa di grandioso decidendo, da ragazzo, di leggere
tutta l’Enciclopedia Britannica. Gli ideali che a nostra insaputa ci
orientano nei sotterranei della mente e ci tolgono libertà di
movimento hanno una relazione arcana con progetti simili. Eppure il
significato di un libro non è mai in ciò che è, ma in ciò che siamo noi
dopo averlo letto. Il libro vive perché ci modifica. Questo tendiamo a
dimenticarlo, io naturalmente per primo. Ma resta il suo significato
essenziale. La follia – in greco mania – della completezza persegue una
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totalità irreale per inibirci l’unico spazio aperto a noi, quello della
parzialità.
Non ho ancora visitato parti della Grecia in attesa di leggere libri che
non leggerò mai. Non visiterò mai
quelle parti della Grecia. Ma il
ricordo di una valle sconosciuta a
Creta, sorvolata dai corvi, è più emozionante per me che le rovine del
palazzo di Cnosso.
Alle aberrazioni della completezza concorre un imperativo brutale
che definirei da economia dell’indigenza, tipica dei periodi di guerra:
non lasciare nulla nel piatto. Che sarebbe come imporre a un
commensale di mai desistere, anche se scopre un errore nella scelta.
Sembra che l’ingestione completa sia indispensabile per esprimere un
giudizio, mentre si sa che, ad esempio, per il vino, può bastare un
assaggio.
Inoltre i libri non vanno letti per essere giudicati, ma per essere
goduti. Longanesi paragonava i critici letterari, quando giudicano un
testo, ai commissari di polizia quando interrogano un indiziato.
Contiguo al culto della completezza è il culto della “Introduzione”.
Leggere un libro prima di leggerne un altro. La scuola ci abitua a
differire la lettura di un genio per una mediocrità che lo spieghi. Il
risultato è di smettere la lettura del primo e di non passare mai al
secondo. La noia della traversata spinge molte volte a cambiare rotta.
E Groucho Marx, chiesta una guida per addentrarsi nell’Ulysses di
Joyce, aveva poi ricusato il volume di Gilbert, dicendo che il commento
esigeva più spiegazioni che il testo. Un’altra immagine penitenziale e
burocratica del libro è quella dello “strumento di lavoro”.
Esistono i modi professionali di leggere. Li conosciamo tutti,
altrimenti non avremmo letto tutti i libri che non abbiamo letto.
Procedere per sondaggi, per scorci, per segmenti. Per sequenze,
per attacchi e conclusioni. Non è escluso che anche il tempo libero vi
faccia ricorso. Io sono convinto, senza essere affiliato a nessuna setta
spiritica, che la sola presenza fisica dei libri, in una biblioteca, agisca su
chi li possiede. Si legge anche per osmosi.
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Leggere è un’arte che si acquisisce non meno che quella di scrivere.
Cerco di insegnarla, ma nel senso del francese apprendre, che significa
contemporaneamente di impararla. E’ un’arte che non si finisce mai di
imparare.
Riacquistare il senso della lettura come felicità, non come costruzione:
ecco l’infanzia che bisogna ritrovare da adulti. Cercare i libri come
piaceri, non come strumenti. Piaceri golosi, furtivi, inesauribili. Amare
la voracità, non la continenza. Altrimenti si leggono – fino in fondo –
pochi libri all’anno e non sempre i migliori. Acquistare più libri in una
volta per leggerli parallelamente. Scoprire la poligamia. Certo la
monogamia riserva gioie inenarrabili, ma forse per questo di solito non
si raccontano e si preferiscono le sue infrazioni.
A volte un contatto fugace è più desiderabile della convivenza. Un
libro può offrire il meglio solo in certe parti. Tentare di trovarle e
indugiare su quelle. Non voglio suggerire la volubilità, ma la mobilità.
Tempo libero per il libro significa lettura sottratta a ogni finalità.
Significa leggere nel presente.
Parlo di una esperienza che mi è
quasi sempre preclusa.
Per avvicinarla bisogna dimenticare la lettura professionale e anche
quella del bibliofilo. Credo che la bibliofilia sia contenuta in un gene
che trasmette la brama di conoscere attraverso l’alfabeto. Nei casi più
gravi, in cui temo di rientrare, è la voluttà di inghiottire l’universo
attraverso i libri.
Ma qui una finalità, anche se irresponsabile, permane.
La stanchezza evocata da Mallarmé per avere letto tutti i libri diventa
nel bibliofilo la disperazione per non esserci riuscito. Donde il suo
sogno di svegliarsi nella mattina descritta da Nietzsche e scoprire la
felicità di camminare lasciando i libri alle spalle.
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Non leggere per (per imparare, per divertirsi, per scrivere, per
parlare, per pensare, per evadere, per ricordare). Leggere senza per,
anche se l’uomo progetta di continuo il proprio senso.
Leggere nel presente per leggere il presente. Il sapere delle tradizioni
di Oriente e di Occidente ha sempre affermato la centralità del
presente, la porta che schiude
l’accesso al tempo.
Nella civiltà della tecnica – ha scritto Heschel - noi consumiamo il
tempo per guadagnare lo spazio. Ma il tempo – aggiungeva – è il cuore
dell’esistenza. Penso che questo fosse il senso della frase rivolta da
Diogene ad Alessandro, che sostava davanti a lui accovacciato:
“Scostati, che mi togli il sole”.
Frase che è stata interpretata come volontà di circoscrivere la
gloria di Alessandro. Ma io dubito che Diogene, paragonandolo al sole,
volesse ridimensionarlo. Semmai il contrario. L’accento batte piuttosto
sul senso totale ed eterno del presente. L’accento batte piuttosto sul
senso totale ed eterno del presente. La figura di Alessandro oscura il
sole e toglie a Diogene il bene della luce.
Leggere nel presente, aderire a ciò che accade. Leggere come
ascolto dell’interiorità, come dialogo con l’autore e con se stessi.
Un grande collezionista di quadri mi diceva che il piacere di
possederli era soprattutto di poterli contemplare in silenzio, a lungo,
quando voleva. Non si proponeva scopi ulteriori. Come un monaco
potrebbe pregare, se non per ottenere, ma per ringraziare di pregare.
Leggere nel presente scoprirebbe il senso più importante del tempo e
della lettura. Uso il condizionale perché è una meta ardua. Però ho
cominciato a perseguirla. Forse, quando avrò duecentoquarantadue
anni, la raggiungerò ogni giorno. Per ora constato che leggere nel
presente vede finalmente la convergenza tra felicità e salvezza.
Traduzione in Polacco – Maria Sobòtka
Czasem wolnym jest ten dedykowany prawdziwemu czytaniu,
nie hipotetycznemu. Ten czas jest naszym jednym dobrem, na
wyłączność- jak pisze Seneka w początkowych, głębokich i poważnych
słowach z Listów do Lucilio. Czas który jest niszczony przez wielorakie
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zajęcia i przez to, co zuchwale i eufemistycznie nazywamy drugą praca,
podczas gdy jest ona trzecia lub czwarta. Czas który jest nam kradziony
przez przeszkadzających złodziei czasu, naszkicowanych przez Orazio w
IX Satyrze. I właśnie nim Kraus zadedykował posępny aforyzm:
„ Wielu pragnie mnie zabić. Wielu pragnie pogawędzić ze mną przez
godzinę. Od pierwszych chroni mnie prawo.”
Czas wolny dla książki oznacza uwolnić lekturę od mylnych
ambicji.
Pierwszą z nich jest identyfikowanie lektury z „posiadaniem”
intelektualnym tekstu. Trzeba uwolnić się od chęci „posiadania”,
mówiąc idealistycznie, jakiegoś tekstu. Czytanie jest procesem bez
końca, który tylko mała wyobraźnia może ograniczyć do przeczytania
dzieła. W ten sam sposób język erotyki zwodzi nas kiedy do czasownika
posiadać dodaje jako dopełnienie jakąś osobę. Nic bardziej mylnego niż
ten sposób posiadania. Ale szaleńczy zapał wszechmocy nakazuje nam
wybrać spośród czasowników ten najmniej odpowiedni. Lepiej, to co
daje nam książka poddać zmianom, które przekształcają ją i nas. Nie
łudząc się że zatrzymamy ją na krótką nieskończoność, jak w
bankowym sejfie zamienionym w kryptę.
Kolejną chorobliwą spuścizną, odziedziczoną ze szkoły, jest kult
kompetencji. Ten niedościgniony ideał dostarcza nam najbardziej
rygorystyczne a zarazem najpowszechniejsze usprawiedliwienie aby nie
czytać. Nie da się też zapomnieć postaci z cmentarza Lee Masters, który
mówił że wyobraził sobie coś wielkiego, decydując się jako chłopiec aby
przeczytać całą Encyklopedię Brytyjską.
Ideały, które nieświadomie kierują nami w zakamarkach umysłu i
zabierają nam swobodę ruchu, mają niejasny związek z takimi planami.
Jednakże znaczenie książki nigdy nie jest zawarte w tym czym jest, ale
w tym czym my jesteśmy po jej przeczytaniu. Książka żyje ponieważ
zmienia nas. Mamy tendencję aby zapominać o tym , ja oczywiście jako
pierwszy. Ale pozostaje jej najważniejsze znaczenie.
Szał -po grecku mania- kompetencji prześladuje nierealną
całość aby zablokować jedyną dostępna dla nas przestrzeń, którą jest
stronniczość. Nie zwiedziłem jeszcze niektórych części Grecji w
oczekiwaniu na przeczytanie książek, których nie przeczytam nigdy. Nie
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odwiedzę nigdy tych części Grecji. Ale wspomnienie nieznanego
wzgórza na Krecie, nad którym latają kruki, jest dla mnie bardziej
emocjonujące niż ruiny pałacu Cnosso.
Z aberracją kompetencji konkuruje brutalny nakaz, który
zdefiniowałbym jako ekonomia biedy, typowa dla okresów wojny: nie
zostawiaj nic na talerzu. To jest jakby nakazać konsumującemu aby
nigdy się nie zawahał, nawet jeśli odkryje jakiś błąd w wyborze. Wydaje
się, że połykanie dopełnia nawet to, co najważniejsze aby wyrazić osąd,
jednakże wiadomym jest że, na przykład, dla wina, wystarczy go tylko
spróbować. Poza tym książki nie mają być czytane aby zostać ocenione,
ale aby się nimi delektować. Longanesi porównywał krytyków
literackich kiedy oceniają jakiś tekst do funkcjonariuszy policji kiedy
przesłuchują podejrzanego.
Tuż obok kultu kompetencji znajduje się kult „Kolejności”.
Przeczytać najpierw jedną, a potem kolejną książkę. Przyzwyczaja nas
do tego szkoła, aby przedłożyć czytanie geniuszu przed przeciętność,
która go tłumaczy. W rezultacie przestajemy czytać ten pierwszy i nigdy
nie przechodzimy do kolejnego. Znudzenie przejściem popycha często
do zmiany kursu.
Groucho Marx, poproszona o przewodnik do przygotowania się do
Ulyssesa Joyce'a, odrzuciła tom Gilbert'a, mówiąc że jego komentarz
potrzebował więcej wyjaśnień niż sam tekst.
Kolejną pokutującą biurokratyczną wizją książki jest „ narzędzie
pracy”.Istnieją profesjonalne metody czytania. Wszyscy je znamy, w
przeciwnym razie nie przeczytalibyśmy tych wszystkich książek, które
przeczytaliśmy.
Postępować poprzez sondaże, skróty, fragmenty. Poprzez
sekwencje, zaczepienia, konkluzje. Nie wykluczone że także czas wolny
jest pomocny. Jestem przekonany, nie będąc członkiem żadnej
spirytualistycznej sekty, że sama obecność fizyczna książek w
biblioteczce, oddziałuje na tego kto je posiada.
Czyta się również dla osmozy.
Czytanie
jest sztuką której się uczy nie mniej niż pisania. Próbuję uczyć jej, ale w
znaczeniu francuskiego apprendre, które oznacza jednocześnie nauczyć
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się jej. To jest sztuka której nauka nigdy nie ma końca.
Odzyskać sens lektury jako szczęścia, nie jako konstrukcji: to
dzieciństwo, które jako dorośli trzeba odzyskać. Poszukiwać książek
jako przyjemności nie jako narzędzia. Łakome, sekretne,
niewyczerpalne przyjemności.
Kochać zachłanność, nie powściągliwość. W przeciwnym razie
czyta się niewiele książek rocznie i nie zawsze te najlepsze. Kupować
więcej książek naraz aby czytać je równocześnie. Odkryć poligamię.
Oczywiście monogamia pozwala na radości niedopowiedzenia, ale
może dlatego o nich się nie mówi i wybiera się od niej odstępstwa.
Czasami przelotny związek jest bardziej pożądany od wspólnego
życia. Książka może dać z siebie to co najlepsze tylko w niektórych
fragmentach. Próbować je znaleźć i zwolnić przy nich. Nie chcę
sugerować niestałości ale mobilność. Czas wolny poświęcony książce
oznacza lekturę wolną od jakiegokolwiek celu. Oznacza czytanie w
teraźniejszości. Mówię tu o doświadczeniu, które prawie zawsze było
mi zabronione.
Aby przybliżyć się do lektury trzeba zapomnieć o czytaniu zawodowym
jak również o czytaniu bibliofila. Uważam że miłość do książek zawarta
jest w jakimś genie, który przekazuje głód wiedzy poprzez alfabet. W
najpoważniejszych przypadkach, do których obawiam się że przynależę,
jest rozkosz pochłaniania wszechświata przez książki.
Ale tutaj pewna celowość pozostaje, choć nieświadoma.
Zmęczenie po przeczytaniu wszystkich książek, wspomniane przez
Mallarme, staje się dla bibliofila desperacją, że mu się nie udało. Stąd
też jego marzeniem jest obudzić się pewnego ranka, opisanego przez
Nietzsche, i odkryć szczęście w chodzeniu, pozostawiając książki z tyłu.
Nie czytać aby ( aby się nauczyć, aby się rozerwać, aby pisać,
aby mówić, aby myśleć, aby uciec, aby pamiętać). Czytać bez celu,
chociaż człowiek wiecznie obmyśla swój sens.Czytać w chwili obecnej,
aby przeczytać daną chwilę.
Wiedza tradycji Wschodu i Zachodu potwierdzała zawsze priorytet
teraźniejszości, drzwi które uchylają dostęp do czasu. W cywilizacji
techniki- napisał Heschel- konsumujemy czas aby zyskać przestrzeń. Ale
czas- dodaje- jest sercem egzystencji.Myślę że to był sens zdania
skierowanej przez Diogenesa do Aleksandra, który zatrzymał się przed
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nim skulony: „Przesuń się gdyż zasłaniasz mi słońce”
Zdanie które zostało zinterpretowane jako chęć pomniejszenia
chwały Aleksandra. Ale ja wątpię czy Diogenes, porównując go do
słońca, chciał go poniżyć. Wprost przeciwnie. Akcent pada raczej na
ogólny i wieczny sens teraźniejszości.
Osoba Aleksandra zasłania słońce i odbiera Diogenesowi dobro, jakim
jest światło.
Czytać w obecnej chwili i uczestniczyć w tym co się wydarza. Czytanie
jako wsłuchanie się we wnętrze,
jako dialog pomiędzy autorem a
sobą samym.
Pewien wielki kolekcjoner obrazów mówił mi że przyjemnością
posiadania była przede wszystkim możliwość kontemplowania ich w
ciszy, przez długi czas, kiedy chciał. Nie wyznaczał sobie dodatkowych
celów. Tak jak mnich mógłby się modlić, nie po to aby coś otrzymać, ale
aby podziękować że może się modlić.
Czytanie w teraźniejszości odkryłoby najważniejszy sens czasu i lektury.
Używam tu trybu warunkowego gdyż jest to żmudny cel. Ale zacząłem
do niego podążać. Może kiedy będę miał 242 lata będę go osiągać
każdego dnia. Jak na razie stwierdzam że czytanie w danej chwili daje w
końcu zbieżność między szczęściem a ratunkiem.
@Traduzione in Polacco di Maria Sobotka – 04.04.2014
Traduzione in Francese – Boris Zatta
Le temps libre est celui qui est consacré à la vraie lecture, non à
l'hypotétique. Ce temps n'est que notre unique bien - ainsi Sénèque
écrit dans le lourd et sombre début des Lettres à Lucile. Temps qui est
rongé par des nombreux occupations et par ce que nous dénommons,
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avec un intrépide euphémisme, deuxième travail, tandis qu'il est le
troisième ou le quatrième. Ce temps qui nous est dérobé par les
voleurs de temps, des perturbateurs représentés par Orace dans sa IXème Satire. Et que Karl Kraus lui dédie un aphorisme désolé: '' Il y a
beaucoup de gens qui désirent me tuer. Et beaucoup de gens qui
désirent passer une petite heure à bavarder avec moi. C'est la loi que
me défend des premiers.''
Le temps libre pour le livre, il signifie libérer la lecture des
ambitions fourvoyées.
Avant tous il faut l'identifier avec la 'Possession' intellectuelle d'un
texte. Il serait nécessaire s'émanciper du désir de ''posséder'', je dis
idéalement, un livre. Le lire est un processus infini, que seulement une
faible imagination peut limiter la lecture d'une œuvre. Le langage
érotique nous trompe à la même façon, lorsque au verbe posséder fait
suivir, comme complément d'object, une personne.
Rien est plus fugace que ce mode-là de posséder. Mais le délire
paranoïaque de omnipotence nous fait choisir, parmi les verbes, le
moins adapté. C'est mieux démontrer cela que nous donne un livre aux
mutations qui transforment il et nous. Il ne faut pas s'illuder de le
cristalliser pour une brève éternité, ainsi comme dans le coffre-fort
d'une banque transformé en crypte.
Un autre héritage pathologique, transmis par l'école, c'est le culte
de l'exhaustivité. C'est un idéal impossible, qui nous donne l'alibi le
plus rigoreux et, au même temps, le plus diffusé pour ne pas lire. Ni on
ne peut pas oublier ce personnage du cimetière de Lee Masters, qui
disait d'avoir imaginé quelque chose de grandiose en decidant,
lorsqu'il était un garçon, de lire complétement l'Enciclopédie
Britannique.
Les ideaux, qui nous orientent à notre méconnaissaince dans les
souterrains de l'ésprit et qui nous lèvent la liberté de mouvement, ils
ont une rélation mistérieuse avec des projects semblables. Cependant
le signifié d'un livre n'est pas en ce qui est, mais en ces qui nous
sommes aprés l'avoir lu. Le livre est vif parce que nous modifie. Nous
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tendons à oublier ça: moi naturellement, je suis le prémier. Pourtant
on reste dans son signifié essentiel.
La folie - en grec mania - de l'exhaustivité poursuit une irréele
totalité pour nous interdire l'unique espace ouvert à nous, cela de la
partialité. Je n'ai pas visité des parties de la Grèce, en attendant de lire
livres que je ne lirais jamais. Je n'ai ancore visité ces parties de la
Grèce. Mais le souvenir d'une vallée inconnue à Crète, survolée par
des corbeaux, m'est plus émouvant que les ruines du palais de Cnosse.
Aux aberrations de l'exhaustivité il concourt à un impératif brutal
que je definirai comme une économie de l'indigence, typique des
périodes de guerre: on ne peut pas laisser rien dans son plat. Qu'il
serait comme imposer à un convive de ne renoncer jamais, même s'il
découvre un erreur dans sa choix. Il semble que l'ingestion compléte
soit indispensable pour exprimer un jugement, alors qu'on sait que,
par exemple, pour le vin, il peut suffire une dégustation. En outre les
livres ne sont pas lus pour être jugés, mais pour être plaisi. Longanesi
comparait les critiques littéraires, lorsqu'ils jugent un texte, aux
commissaires de police lorsqu'ils interrogent un suspect.
Contigu au culte de l'exhaustivité c'est le culte de l' ''introduction''.
Lire un livre avant de en lire un outre. L'école nous habitue à différer la
lecture d'un génie pour une médiocrité qui l'explique.
Le résultat est de cesser la lecture du premier et de ne passer
jamais au deuxième. L'ennui de la traversée pousse beaucoup de fois à
changer route. Et lorsque on avait demandé à Groucho Marx une
conduite pour s'enfoncer dans l'Ulysses de Joyce, il avait refusé le
volume de Gilbert, en disant que le commentaire exigeait plus
d'explications que le texte.
Une autre image pénitentielle et bureaucratique du livre est celle
du ''instrument de travail''
Il existent des modes professionels de lire. Nous le connaissons
tous, autrement nous n'aurons pas lit tous les livres que nous n'avons
pas lu. Avancer par des sondages, par des moments, par des segments.
Par des séquences, par des attaques et par des conclusions. Il n'est pas
exclu que aussi le temps libre y fait recours. Je suis convaincu, sans
être affilié à aucune secte spirite, que la seule présence physique des
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livres, dans une bibliothèque, elle agisse sur qui les possède.
On lit aussi par osmose.
Lire est un art qu'on va à acquérire pas moins que celle d'écrire. Je
cherche de l'enseigner, mais dans le sens français que signifie en
même temps de l'apprendre. C'est un art qui nous ne finons jamais
d'apprendre.
Il faut racheter le sens de la lecture comme félicité, pas comme
construction: voilà l'enfance qu'il faut retrouver dans son âge mûr. Il
faut chercher les livres comme des plaisirs, pas comme des
instruments. Ce sont des plaisirs gourmands, furtifs, inépuisables. Il
faut aimer la voracité, pas la continence. Autrement on lit - jusqu'au
fond - peu des livres par an et pas toujours les meilleurs. Il faut
acheter plusieurs livres en une fois pour les lire parallèlement. Il faut
découvrir la polygamie. Certainement la monogamie resèrve des joies
inénarrables, mais peut-être pour ça solitement on ne les raconte pas
et on prefère ses infractions.
Quelquefois un contact fugitif est plus désirable de la cohabitation.
Un livre peut offrir le mieux seulement en certaines parties. Il faut
tenter de les trouver et se tarder sur celles. Je ne veux pas suggérer
l'incostance, mais la mobilité.
Le temps libre pour le livre signifie la lecture soustraite à tout fin. Il
signifie 'lire dans le présent'. Je parle d'une expérience que m'a été
presque toujours barré. Pour l'approcher il faut oublier la lecture
professionelle et aussi celle du bibliophile. Je crois que la bibliophilie
est contenue en un gène qui transmet la convoitise de connaître par
l'alphabet. Aux cas les plus graves, dans lesquels je crains de faire
partie, c'est la volupté de engloutir l'univers par les livres.
Mais ici une finalité, même si irresponsable, reste. La fatigue
evoqué par Mallarmé pour avoir lu tous les livres, elle devient dans le
bibliophile la désespoir pour ne l'avoir pas reussi. Dont son rêve de se
réveiiler dans le matin décrit par Nietzsche et de découvrir le félicité
de marcher en laissant des livres derrière soi. Il ne faut pas lire 'pour'
(pour apprendre, pour s'amuser, pour écrire, pour parler, pour penser,
pour s'évader, pour se souvenir). Lire sans 'pour', même si l'homme
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projette sans cesse son sens. Il faut lire dans le présent pour lire le
présent. Le savoir des traditions d'Orient et d'Occident a affirmé
toujours la qualité centrale du présent, la porte qui s'ouvre lentement
sur l'accès au temps.
Dans la civilisation de la téchnique - il a écrit Heschel - nous
consommons le temps pour gagner l'espace. Mais le temps - il ajoutait
- c'est le cœur de l'existence. Je pense que celui-ci était le sens de la
phrase adressé par Diogène à Alexandre, qui restait blotti devant lui:
''Éloigne-toi, qui m'ôte le soleil'' C'est une phrase qui a été interpreté
comme volonté de circonscrire la gloire d'Alexandre. Mais je doute que
Diogène, en le comparant au soleil, voulait le diminuer. Si jamais c'était
le contraire. L'accent plutôt bat sur le sens total et éternel du présent.
La figure d'Alexandre obscurcit le soleil et lève à Diogène le bien de la
lumiére.Il faut lire dans le présent, il faut adhérer à celui qui arrive. Il
faut lire comme écoute de l'intériorité, comme dialogue avec l'auteur
et avec soi-même.
Un grand collectionneur de tableaux me disait que le plaisir de les
posséder c'était surtout de les pouvoir contempler en silence,
longtemps, lorsqu'il le voulait. Il ne se proposait pas autres raisons.
Comme un moine pouvait prier, sinon pour obtenir, mais pour
remecier de prier.Le lire dans le présent, ferait découvrir le sens le plus
important du temps et de la lecture. Je emploie le conditionnel parce
que c'est un but ardu. Pourtant j'ai commencé à la poursuivre. Peutêtre, quand j'aurai deux cent quarante-deux ans, je le rejoindrai
chaque jour. Pour ce moment je constate que lire dans le présent voit
enfin la convergence entre la félicité et le salut.
@Traduzione dal Polacco di Boris Zatta – 28.04.2014
Traduzione in Italiano – Irene Butera
Il tempo libero è quello dedicato alla vera lettura, non alla ipotetica.
Questo tempo non è che il nostro unico bene –così scrive Seneca nel
suo grave e scuro inizio di Lettere a Lucilio. Tempo che è rosicchiato da
varie occupazioni e da quello che chiamiamo, con un coraggioso
eufemismo, secondo lavoro, mentre è invece il terzo o il quarto.
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Questo tempo ci viene rubato dai ladri del tempo, da quei disturbatori
rappresentati da Orazio nella sua Satira IX. E ai quali Karl Kraus dedica
un triste aforisma: “Ci sono molte persone che desiderano uccidermi.
Molte persone che desiderano passare un’oretta a chiacchierare con
me. La legge mi difende dai primi.” Tempo libero per il libro significa
liberare la lettura dalle ambizioni fuorvianti. Prima di tutto bisogna
identificarla nella “possessione” intellettuale di un testo. Basterebbe
emanciparsi dal desiderio di “possedere”, dico intellettualmente, un
libro. Leggere è un processo infinito che solo una debole
immaginazione può limitare alla lettura di un’opera. Il linguaggio
erotico ci inganna allo stesso modo, facendo seguire il verbo possedere
da una persona, come complemento oggetto. Niente è più fugace che
questo tipo di possedere. Eppure il delirio paranoico di onnipotenza ci
fa scegliere, tra i verbi, il meno adatto. È meglio rivelare ciò che ci da
un libro alle mutazioni che lo e ci trasformano. Non bisogna illudersi di
poterlo imprigionare in una breve eternità, come in una cassaforte di
una banca, trasformata in cripta.
Un’altra eredità patologica tramandata dalla scuola, è il culto della
completezza. È un ideale impossibile che ci fornisce l’alibi più rigoroso
e il più diffuso per non leggere. Non ci si può dimenticare di quel
personaggio del cimitero di Lee Masters, che diceva d’aver immaginato
qualcosa di grandioso decidendo, quand’era ragazzo, di leggere tutta
l’Enciclopedia Britannica. Gli ideali che ci orientano, a nostra insaputa,
nei meandri dello spirito e ci danno libertà di movimento hanno una
misteriosa relazione con simili progetti. Pertanto il senso di un libro
non si trova in ciò che esso è, ma in ciò che diventiamo noi dopo averlo
letto. Il libro vive per modificarci. Tendiamo a dimenticarlo: io
naturalmente, sono il primo. Eppure rimane il suo significato
essenziale. La mania –dal greco manìa- della completezza persegue
un’irreale totalità, per vietarci l’unico spazio aperto per noi, quello
della parzialità. Non ho visitato alcune zone della Grecia, aspettando di
leggere libri che non leggerò mai. Non ho mai visitato quelle parti della
Grecia. Ma il ricordo di una valle sconosciuta di Creta, sorvolata da
corvi, è più emozionante per me che il ricordo del palazzo di Cnosso.
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Partecipa alle anomalie di completezza un imperativo brutale, che
definirei come economia dell’indigenza, tipico dei periodi di guerra:
non lasciare niente nel piatto. Che sarebbe come imporre a un ospite
di non lasciare nulla, anche se scopre di aver fatto una scelta sbagliata.
Sembra che la completa ingestione sia indispensabile per esprimere un
giudizio, nonostante si sappia che, con il vino ad esempio, basta
assaggiarlo. Inoltre i libri non possono essere letti per esser giudicati,
ma per esser graditi. Longanesi comparava i critici letterari quando
giudicano un libro, ai commissari di polizia che interrogano un
sospetto.
Accanto al culto della totalità c’è il culto dell’“intromissione”.
Leggere un libro prima di un altro. La scuola ci abitua a fare differenza
tra la letteratura di un genio e la mediocrità che lo spiega. Il risultato è
smettere di leggere i primi e non passare mai ai secondi. La noia della
traversata spinge molte volte a cambiare rotta. E quando si domandò a
Groucho Marx una guida per immergersi nell’Ulisse di Joyce, rifiutò il
volume di Gilbert, dicendo che le critiche esigevano più spiegazioni del
testo stesso. Un’altra immagine penitenziaria e burocratica del libro è
quella dello “strumento di lavoro”. Esistono modi professionali di
leggere. Lo sappiamo tutti, altrimenti non avremmo letto tutti i libri
che abbiamo letto. Avanzare per ricerche, momenti, segmenti. Per
sequenze, inizi e conclusioni. Non è escluso che il tempo libero si serva
di esse. Sono certo, senza essere adepto di alcuna setta spiritica, che la
sola presenza fisica dei libri, dentro una biblioteca, agisca su chi li
possiede.Si legge anche per osmosi.
Leggere è un’arte che si acquisisce tanto quanto quella di scrivere.
Io cerco di insegnarla, ma con il significato francese di apprendre, che
significa anche imparare. È un’arte che non smettiamo mai di
imparare. Bisogna recuperare il senso della lettura come felicità, non
come costrizione: è l’infanzia che va ricercata nell’età adulta. Bisogna
ricercare i libri come piaceri, non come strumenti. Quelli che sono
piaceri gustosi, furtivi, interminabili.
È necessario amare la voracità, non la continenza. Altrimenti si
leggono –fino alla fine- pochi libri l’anno e non sempre dei migliori. Si
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- Sequenza D -->Polacco-->Francese-->Italiano
comprano più libri insieme per leggerli parallelamente. Bisogna
scoprire la poligamia. Certamente la monogamia riserva gioie
inenarrabili, ma forse per questo di solito non si raccontano e si
preferisce infrangerla. A volte un contatto fugace è più desiderabile
della convivenza. Un libro può offrire il meglio solamente in certe parti.
Bisogna provare a trovarle e soffermarsi su esse. Non sto suggerendo
l’infedeltà, ma la mobilità. Il tempo libero per il libro significa una
lettura sottratta da qualsiasi finalità. Significa “leggere nel presente”.
Parlo di un’esperienza che mi è stata quasi sempre negata.
Per avvicinarcisi, ci si deve dimenticare della lettura professionale o
quella del bibliofilo. Credo che la bibliofilia sia contenuta in un gene
che trasmette la bramosità di conoscere attraverso l’alfabeto. Nei casi
più gravi, tra i quali credo di trovarmi, è la gioia di ingurgitare
l’universo attraverso i libri. Ma qui una finalità, seppure irresponsabile,
rimane. La stanchezza richiamata da Mallarmé per aver letto tutti i
libri, diventa per un bibliofilo disperazione per non esserci riuscito. Da
lì, il sogno di svegliarsi nella mattina descritta da Nietzsche e scoprire
la felicità di camminare lasciando i libri dietro di sé.
Non bisogna leggere “per” (per imparare, divertirsi, scrivere, parlare,
pensare, scappare, ricordarsi), ma leggere “senza per”, nonostante
l’uomo progetti sempre il suo sentire.
Bisogna leggere nel presente per leggere il presente. I saperi
dell’Oriente e dell’Occidente affermano sempre la caratteristica
centrale del presente, la porta che lentamente si apre alle soglie del
tempo.
Nella civiltà tecnica –scrive Heschel- consumiamo tempo per
guadagnare spazio. Ma il tempo –aggiunge- è il cuore dell’esistenza.
Penso che questo qui sia il senso della frase di Diogene indirizzata ad
Alessandro Magno che restava fermo davanti a lui: “Spostati, che mi
copri dal Sole”. È una frase interpretata con la volontà di circoscrivere
la gloria di Alessandro. Ma dubito che Diogene, comparandolo al Sole,
volesse sminuirlo. Al massimo sarebbe il contrario. L’accento cade
piuttosto sul senso totale ed eterno del presente. La figura di
Alessandro oscura il sole e priva Diogene del bene della luce. Bisogna
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- Sequenza D -->Polacco-->Francese-->Italiano
leggere nel presente, per partecipare a ciò che accade. È necessario
leggere per ascoltare l’interiorità, come dialogo tra l’autore e sé stessi.
Un gran collezionista di quadri mi disse che il piacere di possederne era
soprattutto quello di poterli contemplare in silenzio, a lungo, quando
voleva. Non si dava altre motivazioni. Come un monaco può pregare,
non per l’orazione, ma per la gratificazione della preghiera.
Leggere nel presente farebbe scoprire il senso più importante del
tempo e della lettura. Mi servo del condizionale perché l’obiettivo è
arduo.
Comunque ho iniziato a dedicarmene. Magari quando avrò
quattrocentodue anni, lo raggiungerò un giorno. Per il momento
affermo che leggere nel presente sia l’incontro tra la felicità e la
salvezza.
@Traduzione da Francese2 di Irene Butera
Nota
Irene Butera ha tradotto per questa sequenza dopo aver tradotto da Spagnolo2.
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