Documentazione disponibile - Centro Interregionale Gis
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Documentazione disponibile - Centro Interregionale Gis
Prototipo software per la consultazione e gestione dei Piani Territoriali Paesistici I prodotti utilizzati La cartografia raster La “mosaicatura” dei piani Consultabili, confrontabili, duplicabili. Alcuni aspetti tecnici La sovrapposizione tra elaborati 2 2 3 3 5 6 8 L’esempio campione: i PTP della Regione Molise 11 Approccio, metodologia e problemi pratici 15 La costruzione degli “shape files” 20 Il programma di visualizzazione I tasti di “Vettorizzazione” e “Ripristino” Sommario del tema Dissolve La visualizzazione delle relazioni Il tasto di Aggiornamento I layouts 26 28 29 29 30 30 31 Il programma di editing Il tasto “S”, che elimina sovrapposizioni tra poligoni Il tasto “E”, che esplode i poligoni Il tasto “A” che ricalcola area e lunghezza La procedura di editing 31 32 33 34 34 1 Prototipo software per la consultazione e gestione dei Piani Territoriali Paesistici Il presente lavoro è stato avviato nell’ambito di una ricerca tesa a costituire un “Sistema Cartografico di Riferimento” nazionale, ad uso della Pubblica Amministrazione. L’obiettivo di questo specifico studio era quello di individuare strumenti software che potessero fornire un ausilio nella definizione, consultazione e implementazione dei Piani Paesistici. L’idea era quella di giungere a una razionalizzazione della spesa, realizzando un prototipo che potesse venire utilizzato da più utenti, evitando duplicazioni nell’investimento, e ad una qualche forma di standardizzazione “de facto”, definendo legende, categorie e forme di rappresentazione concordate con diverse Regioni, che potessero venir prese a riferimento per rendere più facilmente interpretabili e confrontabili i diversi elaborati. L’esame di alcune specifiche situazioni ha permesso di meglio focalizzare i problemi reali connessi allo studio, e di meglio definirne obiettivi e portata. I prodotti utilizzati Per motivi di comodità e di diffusione dei prodotti e del formato (shape), abbiamo utilizzato prodotti della famiglia ESRI, e in particolare ArcView e procedure sviluppate nel linguaggio Avenue. Non abbiamo utilizzato ArcView serie 8, nonostante l’idea di sviluppare gli applicativi in Visual Basic invece che nel linguaggio Avenue fosse attraente, per gli stessi motivi di diffusione. Per adesso le istallazioni della serie 8 sono ancora poche (sono parecchio più costose, anche se ESRI offre degli accordi molto convenienti per chi vuole effettuare il passaggio) e la casa madre dichiara che (per adesso almeno) non si tratta di una nuova versione della serie 3, ma di un nuovo prodotto che avrà una sua vita autonoma e parallela, senza sostituire la serie più economica e diffusa. Abbiamo ritenuto di sviluppare due programmi separati ed autonomi, uno di consultazione, e uno per l’editing. Il motivo di questa scelta diversificata è abbastanza ovvio, le operazioni da effettuare in fase di costruzione o rielaborazione sono molte e non perfettamente prevedibili. Operazioni quindi che vengono effettuate da operatori esperti, che hanno bisogno di uno strumento flessibile e potente, da adattare di volta in volta alle diverse esigenze. La visualizzazione e consultazione dei piani vengono invece effettuate da un pubblico più largo e meno esperto, che richiede un interfaccia utente chiaro e semplice, e comportano operazioni ripetitive, compatibili con una procedura relativamente chiusa. La distinzione si fa ancora più netta se il prodotto per la consultazione e visualizzazione evolve verso una applicazione in rete. Non abbiamo lavorato su questa opzione, ma è abbastanza ovvio che questa è la naturale evoluzione del modulo sviluppato in MapObjects (mentre non lo è, o almeno non necessariamente) per le procedure previste in ArcView. In linea di principio quindi abbiamo ritenuto che le elaborazioni tese a costruire e rimaneggiare i Piani andassero svolte sotto ArcView, sviluppando sotto questo ambiente una serie di esempi, coperture campione, legende tipo e funzioni ausiliarie. Avevamo pensato inizialmente di sviluppare il modulo di consultazione con MapObjects. La soluzione avrebbe comportato dei notevoli vantaggi, primo tra tutti la possibilità di diffondere il programma in forma gratuita o quasi. Abbiamo però trovato un ostacolo nella gestione delle legende. ArcView permette di normalizzare le legende entro un file “.avl”, che il programma interpreta come parte integrante del file (qualora abbia lo stesso nome, o meglio la stessa radice, 2 degli altri file che nel loro insieme costituiscono lo “shapefile”) aprendo e visualizzando lo strato con quelle specifiche forme di rappresentazione in modo automatico. Si tratta di una facilitazione notevole per un applicativo di questo genere, che non siamo riusciti a riprodurre in forma soddisfacente sotto MapObjects. I due programmi quindi, sia quello di visualizzazione che di editing, sono stati in definitiva, e per questo motivo, sviluppati sotto ArcView 3.2. Analizzeremo in seguito alcuni dei problemi incontrati e alcune delle procedure approntate. La cartografia raster Uno dei problemi che abbiamo dovuto affrontare è stato quello delle carte base in formato “raster”. Alcuni tipi di coperture “raster” (carte tecniche regionali, ortofotopiani) sono difficilmente gestibili in formato non compresso (a parte il problema dello spazio occupato, bisogna “pescare” di volta in volta la tavoletta o porzione che interessa, o a mano o attraverso una procedura non semplicissima), per cui abbiamo sperimentato alcune forme di accorpamento e compressione. I prodotti esaminati (e i più diffusi) sono stati due: MrSid ed ER Mapper. Entrambi hanno la caratteristica di comprimere in modo radicale le immagini raster, e di permettere di unificare in un unico file compresso un numero molto elevato di moduli. Ad esempio la carta tecnica del Lazio, contenuta originalmente in circa 500 immagini per un’occupazione complessiva di 500 Mbytes, è stata compressa con MrSid ad un unico file di 40 Mbytes. Il formato MrSid è incorporato in forma standard in ArcView (attivando un’estensione), e tutte le zoomate e operazioni di pan vengono effettuate in tempi molto brevi, dato che il software decomprime di volta in volta solo la porzione di file relativa alla finestra di visualizzazione. La perdita di informazione (nitidezza di immagine) è abbastanza irrilevante. Il formato ER mapper ha caratteristiche simili. Non è incorporato in forma standard, ma degli add on di semplice istallazione sono disponibili in rete. Entrambi i prodotti si integrano in modo soddisfacente nel sistema, ma alla fine abbiamo optato per una terza soluzione, che è quella di utilizzare un “catalogo” di immagini, gestito da un’estensione di ArcView. La velocità di visualizzazione resta buona (la procedura “pesca” solo quelle immagini che vengono toccate dalla finestra di visualizzazione) la qualità dell’immagine è quella originale e, salvo una semplice operazione di generazione dell’indice del catalogo, non richiede complesse rielaborazioni. L’inconveniente è la mancata compressione, e quindi la forte occupazione su disco. Quindi non escludiamo, per altre applicazioni, una delle soluzioni di compressione indicate. Per Regioni molto estese, difficilmente una documentazione che contenga una Carta Tecnica Regionale potrà venire contenuta su un unico CD senza compressione. Ma nel nostro caso, avendo utilizzato come Regione campione il Molise, non se ne è riscontrata l’esigenza. La “mosaicatura” dei piani Eravamo partiti con l’idea che uno degli strumenti base da inserire nel prototipo fosse costituito da procedure atte a “mosaicare” insieme i diversi moduli che costituiscono il Piano Paesistico di una Regione, al fine di poterne ricavare quadri di sintesi complessivi. Infatti i Piani Paesistici coprono in genere delle estensioni relativamente ridotte, definite in base a criteri diversi, ma che riguardano, nel loro insieme l’intera Regione. Per molte applicazioni e finalità la Regione ha difficoltà a fare riferimento ai singoli elaborati, ed ha bisogno di un quadro generale di insieme. In diversi casi questo quadro di insieme, somma dei singoli Piani Territoriali Paesistici (PTP) 3 diventa uno strumento a sé, un Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) complementare o sostitutivo dei PTP. I singoli piani possono essere molto numerosi, il Lazio è ad esempio coperto da 28 strumenti zonali, la Sicilia da 10. La consultazione, distribuzione e uso delle cartografie su supporto cartaceo e della documentazione testuale è molto difficile, e la conservazione e duplicazione del materiale onerosa. L’ipotesi di partenza era quella che i diversi piani, i diversi pezzi del “puzzle” regionale avessero una base e un’impostazione comune, e che quindi il lavoro di ricomposizione potesse consistere semplicemente nella digitalizzazione e fusione dei vari strati informativi, e nella definizione di categorie comuni (sacrificando in alcuni casi un dettaglio informativo più spinto in un elaborato, per renderlo compatibile e confrontabile con le categorie usate per un'altra zona) e forme di rappresentazione standard. L’adozione di una legenda comune non comporta necessariamente una perdita di informazione; se un certo fenomeno, causa l’adozione di un comune denominatore tra i valori assunti da un attributo nei vari moduli, viene rappresentato in sole tre categorie (p.es. 0-25/26-50/51-100) mentre uno dei moduli zonali ne distingueva quattro (p.es. 025/26-50/51-75/76-100), l’informazione più dettagliata non va perduta, ma resta consultabile e visualizzabile, associata a un altro attributo degli elementi grafici (categoria originale/ categoria standardizzata). Di fatto abbiamo riscontrato situazioni molto meno favorevoli. In teoria i singoli piani, benché affidati generalmente a gruppi di professionisti diversi, dovrebbero avere un aspetto e un contenuto relativamente omogeneo, in quanto è sempre previsto un momento di coordinamento, costituito ad esempio da un comitato scientifico a cui partecipano i diversi capigruppo o i loro rappresentanti. Inoltre la base di partenza per ogn’uno dei Piani, cartografia di base e informazioni conoscitive sul territorio, dovrebbe essere comuni, fornendo un ulteriore elemento di continuità tra i vari strumenti contermini. In diversi casi abbiamo però constatato difformità di impostazione molto profonde, che arrivano fino al materiale di partenza, alla interpretazione delle preesistenze, per non parlare dell’impostazione e individuazione delle zonizzazioni di piano. Affiancando elaborati di base, sullo stato di fatto, si evidenzia a volte, a titolo di esempio, come solo uno o due dei moduli riporti le aree di vegetazione ripariale attorno ai fiumi. Leggendo il mosaico appare evidente la difformità, anche a questi livelli di partenza, con aree vegetazionali estese individuate per un comparto, che scompaiono di colpo arrivate ai confini della zona. In casi come questi è chiaro che una procedura automatica o guidata che sia può fare ben poco. Non si tratta di rendere confrontabili informazioni più o meno equivalenti ma rappresentate in modo diverso. Il problema è molto più sostanziale: l’informazione di base stessa è diversa, e in molti casi del tutto mancante. In queste situazioni il Piano di insieme, il Piano Paesistico Regionale, è in pratica definito da un progetto ex novo, e la preesistenza di Piani Paesistici di zona, disomogenei, di difficile consultazione, con lacune informative e per forza di cose in genere datati e in parte superati, costituisce al meglio una fonte informativa di confronto, e al peggio un intralcio. Il prototipo software deve quindi tener presente questa situazione, o meglio la possibilità di un riscontro di situazioni del genere (non sempre le cose hanno caratteristiche così negative, in diversi casi il coordinamento tra i diversi progettisti di PTP è stato efficace ed effettivo). Al modulo software per agevolare la costruzione di un mosaico tra i vari elaborati zonali, andrebbe aggiunto un modulo, forse più importante, per guidare ed agevolare la progettazione ex novo degli strumenti, che preveda uno strato omogeneo e comune per le analisi e informazioni di base 4 sull’intera estensione regionale, e omogenei criteri per la definizione e rappresentazione delle diverse categorie di analisi o di vincolo. Funzionalità di questo tipo non sono state per ora inserite nel prototipo da noi sviluppato, ma potrebbero essere oggetto di sviluppi futuri. Consultabili, confrontabili, duplicabili. Lavorare con i PTP ha evidenziato, se ce ne fosse ancora bisogno, i vantaggi della cartografia digitale e dei sistemi GIS. Gli elaborati originali della maggior parte dei PTP sono dei pesanti faldoni, che contengono eliografie sbiadite e polverose, con documentazione organizzata in volumi di testo altrettanto sbiaditi e di difficile lettura. Difficili da trovare, consultare, interpretare. Quasi impossibile operare dei confronti tra le varie carte, verificare ad esempio quante delle indicazioni della carta vegetazionale sono state trasformate in vincoli, ecc. Da questo punto di vista la superiorità della tecnologia digitale appare enorme. Costruire un CD con tutti i contenuti dei piani non è semplice né economico (ma ovviamente per il futuro, con delle adeguate specifiche, tutto il materiale dovrebbe già venire elaborato e reso disponibile in forma digitale, dai testi alle carte alle tabelle di dati). Ma una volta raggiunto un risultato, il contenuto di venti pesanti faldoni viene archiviato in un unico CD, con i testi tradotti in digitale (e quindi interrogabili con ricerche indicizzate, associati a tabelle e grafici, ecc.), carte chiare, “zoomabili” e affiancabili, procedure di ricerca e stampa più o meno agevoli ecc. Inoltre, sotto questa forma, la reperibilità delle informazioni, e quindi la loro cogenza e utilità, diventa enormemente maggiore. In troppe occasioni piani e strumenti importanti per il territorio sono rimasti lettera morta per la difficoltà per il pubblico o per i tecnici di consultare o reperire i necessari elaborati. Senza ricorrere ad esempi estremi (quali quello del vincolo idrogeologico, teoricamente importante e valido, ma esistente in pratica in un'unica copia manoscritta disegnata a mano sulle tavolette IGM e giacente presso un ufficio inaccessibile del Ministero LLPP), in molti casi la disponibilità al pubblico di questi strumenti viene attuata attraverso la messa a disposizione, entro orari limitati dalla disponibilità del personale, di un'unica copia presso la Regione. In queste situazioni, l’utilizzazione dello strumento da parte del pubblico, compresi tecnici e operatori, si annulla o quasi. E anche la possibilità di avanzare osservazioni o ricorsi in fase elaborativi si riduce di molto. La digitalizzazione del Piano, specie se accompagnata da una adeguata strumentazione per la consultazione, cambia completamente il livello di accessibilità e fruibilità di questi strumenti. Un CD è duplicabile in forma semplice e a bassissimo costo (pochi minuti e poche migliaia di lire: un CD vergine costa sulle 2500 lire, e in 600 Mbyte si possono inserire tutte le cartografie di piano di una media Regione, con tanto di carte tecniche). E l’altra opzione, di organizzazione dei dati in rete, garantisce un accesso ancora più generalizzato, con l’ulteriore garanzia dell’aggiornamento del dato. Non a caso la legge regionale del Lazio (LR 6 luglio 1998, n. 24) sulla “Pianificazione e tutela dei beni e delle aree sottoposte a vincolo paesistico” prevede, all’art. 3, l’istituzione del Sistema Informativo Territoriale Regionale, quasi che il SIT sia una naturale e necessaria conseguenza. I PTP sono uno strumento base del quale tutte le Regioni si sono dotate, i vantaggi di una loro informatizzazione sono evidenti, e tale informatizzazione costituisce sovente il primo passo verso la creazione di un SIT. Non è una consequenzialità automatica, ma ha comunque un senso. Restano comunque da affrontare e superare i soliti problemi di confidenzialità e proprietà del dato. I Piani dovrebbero per definizione essere pubblici, duplicabili e distribuibili. E quanto più vengono conosciuti e diffusi tanto meglio. Ma in molti casi ciò può scontrarsi con i diritti di proprietà di certi elementi (la Carta Tecnica Regionale che fa da sfondo a molti di questi elaborati, ad esempio) o la confidenzialità di certe informazioni. In una organizzazione in rete alcuni di questi problemi possono venire superati, attraverso l’uso di permessi di accesso 5 adeguatamente strutturati, o attraverso visualizzazioni di elaborati con modalità che non permettono di estrarre alcune informazioni (quali ad esempio i vettoriali di origine delle carte). Su CD si può optare per soluzioni diverse, ad esempio sfumando e sfuocando leggermente la carta base, in modo da renderla ancora leggibile come sfondo, ma meno appetibile dell’originale autorizzato, e quindi di valore commerciale scarso o nullo. Resta comunque un problema generale che riguarda la possibilità di distribuire liberamente dei dati cartografici di pubblica utilità, che dovrebbe spingere ad estendere l’ambito, per ora molto limitato, delle informazioni considerate di pubblico dominio, e quindi accessibili a tutti e a titolo gratuito. Un’importante passo in questa direzione dovrebbe essere l’attuazione del “Sistema Cartografico di Riferimento”, che dovrebbe risolvere il problema almeno per quanto attiene a tutte le espressioni della Pubblica Amministrazione. Alcuni aspetti tecnici Una delle prestazioni che si richiede da un software quale quello in discussione, come si è detto, è la mosaicatura. Un gran numero di PTP di zona deve poter essere collazionato, e deve essere possibile consultare l’insieme nel suo complesso, sia graficamente che analiticamente. A parte il tempo necessario per organizzare il materiale, e i problemi di revisione e di verifica della compatibilità delle informazioni, dal punto di vista tecnico la soluzione è relativamente semplice. Si tratta di unificare le coperture delle zone contermini in modo da creare una carta continua (verificando quindi che coordinate e proiezioni siano compatibili, e adattando le linee comuni di confine), di definire una classifica comune per le informazioni riportate, creando dei nuovi campi di attributi per far si che le informazioni originali non vadano perdute. Figura 1 – Uno schema semplificato che rappresenta lo stesso strato tematico per due PTP contermini Ad esempio, le due cartine della figura 1 fanno riferimento allo stesso tema per due zone contermini, ma la classifica della zona 2 è più dettagliata, o disaggregata, di quella usata per la zona 1. 6 Figura 2 – Le due zone “incollate” e la tabella ampliata con i nuovi attributi Va quindi definita una nuova codifica, che costituisce il minimo comune denominatore tra le due legende (nell’esempio riportato coincide, per semplicità, con la legenda della zona 1) e vanno aggiunti due campi di attributi; uno con il codice di zona, e uno con la nuova codifica unificata. La nuova copertura con la mosaicatura dei due piani, in questo modo, contiene tutte le informazioni iniziali, ed è quindi possibile, selezionando in base al campo “zona”, rappresentare i dati della fig. 1 a partire dalla nuova copertura complessiva. Ma d’altra parte la copertura unica permette di calcolare aree complessive, estrarre tematismi o effettuare incroci sul complesso dell’area. L’operazione di mosaicatura comporta inoltre una serie di difficoltà tecniche, che rientrano però nelle usuali procedure di gestione di un SIT. Si tratta di riportare tutte le coperture zonali di origine ad un comune sistema di coordinate (il che può comportare problemi di riproiezione, ma nel caso di PTP afferenti ad un'unica Regione non è in genere il caso), e di modificare i confini delle singole tessere del mosaico in modo che le “attaccature” risultino perfette, senza sovrapposizioni lungo i bordi (overlapping) o lacune. Questo si ottiene in genere costruendo una copertura “master” con i confini precisi tra le zone, definite come poligoni chiusi. Estendendo poi le aree o le linee contenute nei vari strati di piano leggermente oltre questi limiti, e usando quindi il limite della copertura “master” per ritagliare perfettamente i confini degli strati zonali. Se le cartografie dei piani per le singole zone sono su supporto cartaceo, ancora da digitalizzare, bisognerà istruire gli operatori al digitizer di prevedere questa “sbordatura” oltre i confini. Se si utilizza, come noi abbiamo fatto, ArcView per gestire queste operazioni, il “ritaglio” si effettua con un comando di “clipping” (dopo aver attivato l’estensione di “geoprocessing”, presente come estensione standard dalla versione 3.1 in poi), dopo aver selezionato il poligono da usare come maschera nella copertura “master”. Le coperture di zona risultanti dall’operazione di ritaglio potranno poi venire unificate in un'unica copertura regionale mediante un comando di “merge”. 7 Figura 3 – Una copertura “master” con i confini delle due zone (A), e un elaborato di zona che “sborda” oltre i confini (B). Figura 4 – Il risultato del “ritaglio”. A sinistra (C) la zona perfettamente “rifilata”, e a destra (D) lo “sfrido” eliminato. Dato che si tratta di operazioni standard, già previste dal programma ArcView, e gestite da menu molto esplicativi, non è il caso di creare delle procedure specifiche o guidate per gestirle. La sovrapposizione tra elaborati Alla cartografia digitale si chiede anche la possibilità di sovrapporre, e di interpretare quindi congiuntamente, due o più elaborati (overlay). Bisogna distinguere due tipi di operazioni. L’analisi spaziale vera e propria, che costituisce l’aspetto più caratteristico e la maggiore potenzialità di un sistema SIT, e la semplice sovrapposizione visiva. Figura 5 – Ipotizziamo di voler analizzare due strati informativi, ad esempio una altimetria (a sinistra) e un’area di rispetto (destra) L’analisi spaziale permette di effettuare incroci anche complessi tra strati informativi diversi, ottenendo nuove cartografie e nuove informazioni derivate dall’elaborazione. Prendendo 8 esempio dalla figura, se si hanno informazioni relative a un vincolo (una certa distanza da un corso fluviale) e una carta sull’uso del suolo, se ne può generare una nuova che contiene le aree vincolate classificate per uso del suolo, con la relativa tabella con le superfici. E si può eventualmente isolare una estensione che interessa (area vincolata e forestata) con le relative informazioni. Figura 6 – Una intersezione spaziale tra due strati, e la selezione e le statistiche per una classe. Di nuovo, si tratta di funzioni tipo disponibili in ArcView (in questo caso “Intersect”, sempre dopo aver attivato l’estensione “Geoprocessing”, seguita dal comando “Statistics” per ottenere la somma complessiva delle aree che interessano, o “Dissolve” per unificarle effettivamente). L’ausilio che abbiamo predisposto per queste situazioni, e per altre analoghe, è l’aggiunta di un bottone alla View, che crea o aggiorna nella tabella di attributi del tema selezionato le colonne Area (calcolata in ettari), e la lunghezza per i tematismi lineari. Anche se queste elaborazioni sono molto importanti e potenti, il loro uso avviene in genere in fase di elaborazione del piano, e dato che le possibili combinazioni e incroci sono praticamente infinite, la procedura non è molto sistematizzabile. Oltre all’aggiunta del bottone per l’aggiornamento delle tabelle, non c’è molto altro che si possa fare per aiutare nell’utilizzo degli elaborati. In fase di consultazione dei piani avviene più sovente che si voglia semplicemente visualizzare una sovrapposizione tra due carte, il che è sempre possibile, ma presenta a volte qualche problema. Va notato prima di tutto che, mentre negli elaborati cartacei una mappa è una costruzione rigida di informazioni grafiche, in una cartografia digitale la stessa carta è quasi sempre rappresentata da una “vista” già predisposta, contenente una sovrapposizione di tematismi. Una carta sui vincoli della legge Galasso sarà costituita da uno strato di sfondo (in genere un “raster” della carta tecnica), dalle poligonali che evidenziano le aree di rispetto definite dal vincolo, da una copertura lineare con l’idrografia, e da altre informazioni complementari, quali legende, simboli ecc. Quindi alcune sovrapposizioni saranno già presenti nella presentazione “standard” del Piano. E alcune soluzioni tipo sono già incorporate in queste presentazioni. Ad esempio la cartografia “raster” della carta tecnica, per quanto chiamata “di sfondo”, in genere viene sovrapposta alle campiture di vincolo o ad altre informazioni, “svuotando” le aree bianche per lasciar vedere ciò che c’è sotto. La cosa è semplice quando si tratta di un bitmap bicolore (bianco/nero), solo leggermente più complessa se si tratta di una carta che per qualche motivo (p.es. se si sono utilizzati determinati strumenti di compressione) è stata registrata come toni di grigio (in questo caso bisogna fissare una soglia per i toni chiari “svuotati”). 9 L’altro caso semplice è quello della sovrapposizione tra coperture lineari e coperture per superfici (raster o vettoriali). In questo caso il solo problema è quello di definire spessori e colori per la copertura lineare che rendano agevolmente leggibile le informazioni sovrapposte. Il caso più comune e che presenta le maggiori difficoltà si verifica quando si vogliono confrontare due strati informativi rappresentati da superfici. Ad esempio visualizzare una carta con zonizzazioni di piano sovrapposta a una carta dell’uso del suolo. In alcuni casi il problema può venire semplificato, visualizzando i soli confini di una delle due carte, il che ci riporta al caso anteriore (sovrapposizione tra coperture lineari e coperture per superfici), ad esempio la sovrapposizione di un area vincolata come parco su una carta dell’uso del suolo; in questo caso una delle due zonizzazioni (area a parco) è semplice da interpretare, e resta leggibile anche se ridotta al solo perimetro. Negli altri casi la visualizzazione richiede qualche accorgimento, onde evitare che lo strato sovrapposto nasconda in tutto o in parte quello sottostante. I metodi possibili sono due: per campiture o per trasparenza. Il metodo per campiture funziona meglio nel caso di sovrapposizioni tra superfici a colori piani (tipicamente due coperture vettoriali), quello per trasparenza quando dei colori piani vanno sovrapposti a un ortofotopiano o un’altra immagine raster del genere (DTM, carta delle pendenze ecc.). Nelle versioni di ArcView che abbiamo utilizzato la trasparenza non è disponibile, ma lo è in altri programmi, e nella versione ArcView 8. Quando si propongono delle sovrapposizioni, si ricorre quindi alla campitura rigata o puntinata, avendo in genere cura di mantenere come copertura sottostante quella più estesa (con campiture che coprono tutta o molta della superficie della mappa). In ArcView usando questa forma di rappresentazione bisogna generalmente usare un accorgimento non sempre noto, dato che le campiture rigate standard, con background trasparente, diventano opache quando si stampano o si esportano come immagine. Si mantengono trasparenti in stampa o in esportazione immagine solo le campiture della serie di simboli “carto” (c:\…\symbols\carto.avp), che vanno appositamente caricati. Figura 7 – Esempio di sovrapposizione utilizzando campiture rigate. In genere per una agevole visualizzazione si mantiene la copertura sottostante a colori pieni, e si campisce in rigato trasparente quella sovrapposta (la sovrapposizione di due carte a campiture rigate dà un risultato di difficile lettura). Un accorgimento, che fino a un certo punto si può sistematizzare con una procedura, è quello di sovrapporre con campitura rigata la copertura con la minor percentuale di area campita tra le due esaminate. Il tentativo di sovrapporre più di due 10 coperture con vaste aree di sovrapposizione risulta in genere in un elaborato o una visualizzazione quasi illeggibili. Nella procedura approntata si è messo a disposizione anche un altro sistema, molto comodo, che è quello della “vettorizzazione” della campitura. Viene trattato in dettaglio nella descrizione della procedura di visualizzazione, e si attiva con un tasto che mantiene il colore base della legenda, ma sostituisce la campitura piena con una campitura rigata e trasparente, sia in visualizzazione che in stampa. E’ meno flessibile rispetto alla scelta di una campitura vettoriale specifica (i simboli “carto”), ma molto più veloce e semplice da usare. Figura 8 – Sovrapposizione, mediante l’uso di trasparenza, di poligonali vettoriali su un ortofotopiano L’esempio campione: i PTP della Regione Molise Come esempio campione di Piano Territoriale Paesistico abbiamo utilizzato quello della Regione Molise. E’ difficile dire se si è trattato di una scelta indovinata o meno. Ma forse sì, in quanto il Piano presenta diverse difficoltà e peculiarità, che coprono una buona gamma dei possibili problemi che si possono incontrare. I PTP del Molise sono stati elaborati in base a 10 zone di “vincolo” o di Piano, delle quali solo 8 sono coperte da strumenti. Le altre zone sono state lasciate scoperte per scelta, in quanto non si ritenne necessario ricorrere al PTP come strumento di piano, a causa delle problematiche territoriali o della struttura insediativa. In questo il Molise si differenzia da altre situazioni, dove la somma dei PTP in genere coincide con la superficie complessiva della Regione. 11 Figura 9 – Le zone di piano (o di “vincolo”) della Regione Molise. In verde quelle coperte dallo strumento. I piani sono stati elaborati nel 1991 in formato cartaceo, seguendo un certo criterio di coordinamento tra piano e piano. Successivamente è stato dato incarico ad una società di servizi di digitalizzarne i contenuti, e di renderli accessibili tramite un programma di consultazione. Questo è avvenuto vari anni fa, e la piattaforma utilizzata è stata quella di ArcInfo, organizzando i dati in coperture separate, articolate in “tiles” (o tessere) corrispondenti alle singole aree di piano, ma coordinate entro un sistema di “library” che permetteva di visualizzarle in forma unificata su tutta la Regione. Gli elaborati sono raggruppabili in tre categorie: • Carte di analisi; • Carte di sintesi; • Carte di progetto. Ogn’una di queste categorie a sua volta si articola in temi: Carte di analisi: AN1 GEOLITOLOGICA AN2 GEOMORFOLOGICA AN3 IDROGEOLOGICA AN4 GEOPEDOLOGICA E DELLE ATTITUDINI COLTURALI AN5 VEGETAZIONALE E DEI CARATTERI FAUNISTICI AN6 ESPOSIZIONI DEI VERSANTI AA1 USI PRODUTTIVI DEL SUOLO AA2 SISTEMA INSEDIATIVO AA3 INFRASTRUTTURE AI1 VINCOLI AI2 DISCIPLINA URBANISTICA VIGENTE AI3 INTERVENTI PUBBLICI AE1 ASSETTO SOCIO - ECONOMICO AP1 CARATTERI PERCETTIVI 12 Carte di sintesi S1 CARATTERISTICHE QUALITATIVE DEL TERRITORIO S2 ALTERAZIONE E DEGRADO DEL TERRITORIO Carte di progetto P1 TRASFORMABILITA' DEL TERRITORIO P2 TRASFORMAZIONI PRIORITARIE DI SISTEMAZIONE E RIPRISTINO P3 SCOSTAMENTI E INCOMPATIBILITA' E ogni tema comporta in genere più di uno strato informativo. Quindi 3 categorie (p. es. Carte di Analisi), per 16 temi (p. es. Sistema Insediativo), articolati in 158 strati informativi (p. es. Tratturi e percorsi storici), articolati a loro volta in 8 zone, per un totale di 1264 tessere cartografiche (non tutte effettivamente esistenti, molti strati contengono solo una o due tessere, mancando l’informazione per le altre zone). Gli 8 piani furono elaborati da gruppi diversi, seppure sotto un coordinamento di insieme assicurato da un comitato di supervisione che doveva garantire la congruità degli elaborati. In realtà tale congruità è molto relativa. A volte un tematismo che per un gruppo aveva una certa valenza, per un altro ne aveva una diversa. Quindi le classi altimetriche di una zona possono essere solo due, e per un’altra zona cinque. Questo tipo di problema è stato risolto individuando un minimo comun denominatore, e affiancando alla legenda originale una nuova legenda “riclassificata”, che dovrebbe avere una sua validità e uniformità su tutta la Regione. Le 2542 voci degli elaborati originali sono quindi state sintetizzate in 602 voci “riclassificate”. A volte però la riclassifica non risolve il problema, perché fenomeni uguali possono essere stati letti e presentati in forme diverse. Addirittura, un certo fenomeno che in un piano è stato individuato come “di area”, in un altro piano può essere stato interpretato come “puntuale”, o “lineare”. Ad esempio i tratturi in un piano sono definiti come area (corridoio) e in un altro come linea (tracciato). In molti di questi casi gli strati informativi, per fenomeni in realtà identici, restano separati. In altri casi ancora un certo fenomeno è stato analizzato in dettaglio in un piano, e considerato irrilevante e trascurato in un altro, e così via. Inutile dire che nella gestione di una massa così importante di dati, sfuggono molti errori di ogni genere, codifiche errate, associazioni di informazioni incongruenti in uno stesso strato ecc. Ad esempio nella cartografia di piano riferita alle “incompatibilità e scostamenti”, a fianco a “insediamenti produttivi” abbiamo trovato “isoiete”. Non avendo gli elementi per effettuare la correzione (e non essendo la revisione del piano lo scopo che ci eravamo prefissi), la codifica è restata quella; qualcun’altro dovrà metterci le mani. Ma è un’occasione per sottolineare che un eccesso di complessità comporta di conseguenza anche forti difficoltà nel controllare gli errori e la coerenza dell’insieme, difficoltà di consultazione, e in ultima analisi perdita di utilità e significato del tutto. La regola del KISS (“Keep It Simple, Stupid!”) è sempre valida. Lo specifico progetto del Centro Interregionale aveva come finalità quella di individuare possibili strumenti software di interrogazione e di editing, e quindi potremmo anche sorvolare su questi problemi, che non ci riguardano direttamente. Ma viene spontaneo avanzare alcune osservazioni in proposito. 13 La prima riguarda la scarsa utilità di molti degli elaborati cartografici, che hanno un senso in quanto elementi di indagine, a supporto di scelte effettuate, ma che nelle forme in cui sono stati raccolti e consegnati non sono praticamente consultabili. L’uso di strumenti informatici costituisce certamente un salto qualitativo determinante. I faldoni cartacei erano destinati a raccogliere polvere in qualche scaffale, e salvo qualche elaborato finale con cogenza operativa, le cartografie non venivano in pratica più consultate se non da qualche raro specialista o studioso. Che incontrava comunque difficoltà sia nel reperimento dell’oggetto che nella sua lettura. Un piano informatizzato può essere agevolmente riprodotto copiando un CD, o reso consultabile in rete, e la sua analisi e interpretazione, attraverso “query” a cursore, richieste di sintesi, o sovrapposizione di tematismi, è enormemente maggiore. Ma l’informatizzazione non è un toccasana, e proprio il processo di informatizzazione, che richiede un recupero e una sistematizzazione del dato, ne evidenzia, se esistono, i limiti di partenza. Per una valida gestione di insieme, a livello di Regione, definizione e codifica dei dati devono essere rigidamente predefiniti; un processo di riclassifica a posteriori è faticoso, e porta nel migliore dei casi a una forte perdita di informazioni. Vanno inoltre distinte chiaramente quelle informazioni cartografiche che sono il risultato di ricerche originali, da quelle che sono recuperate da altre fonti, soggette a revisione e aggiornamento. Analizzando gli strati del PTP Molise si incontrano ad esempio informazioni sulla pendenza del terreno, o sull’uso del suolo, che la ditta preposta alla digitalizzazione ha faticosamente recuperato dalle basi cartacee, ma che sono oggi disponibili in forma molto più dettagliata da fonti di facile accesso. I PTP, come tutti gli altri strumenti di piano, non possono essere autoreferenziali (completi di una serie di elaborati sviluppati ad hoc), ma devono fare riferimento a un Sistema Informativo Regionale, che comprenda strati di informazione autonomamente e periodicamente aggiornati. Si potrebbero anche sollevare dei dubbi sul senso che può avere, a fronte del rilevante sforzo e investimento necessari, un meccanico recupero e informatizzazione dei singoli piani, qualora la finalità sia, come in genere è, la gestione a livello regionale. In effetti la casistica teorica può variare tra due estremi: da una parte ci si può trovare con una serie di piani di Zona sviluppati in base a specifiche chiare e precise, e coordinati in maniera talmente perfetta, da permettere una trasposizione meccanica e senza inconvenienti (omogeneità di definizione degli strati, suddivisione standard dei fenomeni in classi, uniformità dei criteri di lettura e interpretazione ecc.); all’altro estremo una situazione che presenta difformità di impostazione e rappresentazione tali da rendere velleitario qualsiasi tentativo di ricompaginazione. Il primo caso ovviamente non presenta problemi, le tessere incastrano perfettamente a formare un quadro regionale complessivo. Nel secondo caso invece ogni tentativo è inutile; il piano regionale va riprogettato, salvando il salvabile dagli elaborati di zona. Ma non si tratta più di un lavoro meccanico di compilazione, bensì di un nuovo progetto, che richiede una revisione radicale e competenze specialistiche. Non è, o non è soltanto, un compito da informatici. Almeno in una delle Regioni con cui abbiamo preso contatto abbiamo incontrato una situazione di questo tipo; il PTP regionale, più che un collage di PTP di zona, è stato generato come un vero e proprio nuovo strumento, rivisto e ridefinito ad hoc. In genere la situazione che si incontra è intermedia, molte cose si possono recuperare (anche se va valutato attentamente anche il tempo trascorso: i piani e le informazioni invecchiano), altre vanno scartate e sostituite. Il lavoro deve comunque, in questi casi (che sono la maggioranza) essere svolto da un gruppo misto, dove siano presenti specialisti di pianificazione e territorio. Non va affrontato come un processo neutro, delegabile solo ad informatici. 14 Stiamo ovviamente parlando della casistica che ci siamo proposti di affrontare; i PTP sono stati elaborati all’inizio degli anni ’90, generalmente con elaborati tradizionali (carta da lucido e copie eliografiche) e nel migliore dei casi con cartografia digitale CAD, non organizzata in formato GIS. Questo approccio oggi non è pensabile, e non è ammissibile. Gli strumenti di piano per il territorio vanno elaborati e realizzati (o dovrebbero esserlo) fin dall’inizio utilizzando strumenti GIS, coordinando le informazioni con il contenuto di un Sistema Informativo Regionale, recuperando stratigrafie informative di base di uso generico, individuando una struttura dei dati che faciliti revisioni e aggiornamenti. L’utilizzo di questi strumenti non va visto come un fattore aggiuntivo, da inserire a posteriori, ma va inserito nella prassi di analisi e progettazione, condizionando fortemente metodologie e approccio ai problemi. L’informatica come strumento progettuale, e non solo come ausilio all’archiviazione e consultazione degli elaborati. L’utilizzo corretto dell’informatica dovrebbe inoltre permettere di superare il concetto di piano che si elabora, si consegna, si approva (e si archivia). In favore di una approccio dinamico, nel quale non c’è discontinuità tra progettazione, applicazione, aggiornamento, gestione e monitoraggio. La Regione Sicilia, che per la sua particolare situazione ha ritardato l’elaborazione dei PTP, e che solo adesso ne sta avviando l’attuazione, potrà essere un interessante banco di prova per verificare un approccio di questo genere, che dovrebbe permettere di evitare tutti gli inconvenienti fin qui elencati. Resta da risolvere un problema di coordinamento interregionale, che a livello conoscitivo e comparativo sarebbe importante. Progettisti e Pianificatori potrebbero reagire negativamente, vedendo in ciò un attentato al loro ambito di decisionalità e scelta, ma sarebbe molto interessante poter operare degli assemblaggi di piano tra Regioni, unendo insieme documenti perfettamente confrontabili sia per quanto attiene gli elaborati di analisi che per quelli contenenti indicazioni progettuali, vincolistiche e normative. Avrebbe un utilità metodologica, per ciò che attiene alle modalità di affrontare problemi simili in diverse Regioni, e di confrontare politiche di intervento, ed eventualmente (qualora sia previsto in futuro un adeguato monitoraggio degli effetti) i risultati conseguenti. Ma avrebbe un’utilità operativa determinante per alcune zone con problematiche interregionali, quali alcuni parchi ed aree protette che si estendono su territori di più Regioni contermini. In sede di progetto non abbiamo ancora l’ambizione di definire degli standard, né per la scelta degli strati informativi legati ai piani, né per i criteri di classifica, né per quanto attiene alle codifiche e legende. Ma sarebbe interessante se la disponibilità di questo prototipo da noi elaborato potesse costituire un punto di partenza per un confronto e una discussione su questi temi, in vista di una futura proposta di standards. Almeno per quanto riguarda simbolismi e legende. Approccio, metodologia e problemi pratici Come abbiamo detto, nel caso del Molise c’era stata una prima operazione di informatizzazione, fatta in un epoca e con strumenti diversi da quelli attualmente disponibili. La struttura era gestibile solo da macchine centralizzate e costose, e la dimensione della banca dati costituiva un fattore critico. Attualmente la situazione è alquanto mutata, i personal sono diventati molto più potenti e di minor costo, le memorie disponibili non pongono più gli stessi limiti. Una prima esigenza era quindi quella di unificare le “tessere” organizzate in “librerie”, producendo delle semplici coperture in formato “shapefile”, con una struttura uniforme e 15 standardizzata, riducendo il numero di elementi almeno da 1264 (il numero di tessere) a 158 (il numero degli strati informativi). D’altra parte doveva essere possibile anche estrarre ed analizzare il contenuto di piano per ogni singola zona di progetto, per cui l’informazione di “zona” (che nella vecchia struttura coincideva con i confini della “tessera”) doveva essere mantenuta nella nuova configurazione. A questo punto, dovendo prevedere una codifica di “zona”, e un’articolazione del dato grafico conseguente, abbiamo ritenuto utile prevedere anche la suddivisione degli strati e la conseguente codifica per limiti comunali. Il vantaggio è quello di poter consultare e interrogare gli elaborati per singolo comune, il che riteniamo possa essere utile (il sindaco del comune Tale può ottenere agevolmente la rappresentazione dei vincoli applicati entro il suo ambito amministrativo, e la tabella degli ettari soggetti ad ogn’uno dei diversi vincoli). L’inconveniente è un certo appesantimento della banca dati, e la comparsa, nelle cartografie di insieme, di alcune linee divisorie ausiliarie in più del necessario, lungo i confini comunali. Abbiamo comunque ritenuto che i vantaggi fossero maggiori degli inconvenienti. Figura 10 – Tutti gli strati sono visualizzabili per l’intera Regione (in alto), per zona di piano (a sinistra) o per singolo comune (a destra). Ad ogn’uno di questi livelli può essere richiesta una tabella di sintesi con le superfici o altre informazioni. 16 Se si richiede un elaborato particolarmente curato, di insieme, si può ricorrere ad un’operazione di “dissolve”, eliminando eventualmente la copertura ausiliaria così ottenuta al termine dell’uso. Alcuni pacchetti “software” ammettono inoltre un “dissolve” virtuale, che evita anche la costruzione di una copertura ausiliaria. Dato che ArcView non lo fa, abbiamo incluso un comando (tasto “D”) con questa funzione. Il tasto crea uno shapefile di appoggio, denominato temp.shp (che verrà eliminato e sostituito al seguente utilizzo del comando). Ogni strato poligonale ha quindi una tabella di attributi standard con i seguenti contenuti: Il codice ISTAT del comune, la zona di piano (Vincolo), il codice di provincia, l’area in ettari, la codifica originale, quella riclassificata, la decodifica del codice riclassificato, e un codice di simbolo. Tutti gli strati poligonali hanno la stessa struttura. Quelli lineari hanno la lunghezza al posto dell’area (in metri). Quelli puntuali ovviamente nè area nè lunghezza. Ma il resto dei dati è lo stesso. La tabella non è evidentemente normalizzata (la normalizzazione, in una banca dati relazionale, consiste nella minimizzazione, o al limite l’eliminazione, di ogni rindondanza, grazie ad un sistema di tabelle tra loro relazionate), ma è stata prevista così per facilitarne l’uso. Il testo descrittivo è rindondante, una corretta tabella normalizzata avrebbe contenuto solo il codice, e una seconda tabella da collegare con la decodifica. La codifica originale (liv_orig) funziona effettivamente così (come il nome del comune, o quello della provincia). Ma il vantaggio di avere il testo già decodificato è che ArcView, se si apre un tema, recupera automaticamente la legenda collegata, e disegna il tema nella maniera e con la legenda corretta. Se la tabella fosse normalizzata bisognerebbe aprire il tema, recuperare la tabella di decodifica, effettuare il “link” tra le due tabelle, e poi recuperare la legenda manualmente. E’ un compromesso utilitario. Lo stesso vale per il codice di provincia, e al limite anche per l’area di piano (attributo “Vincolo”). Il codice di provincia è estraibile da quello ISTAT, e l’articolazione in zone di piano poteva essere delegata (ma solo in questo caso, nel quale le zone di piano sono aggregazioni di comuni completi) a una tabella autonoma che elencasse i codici di comune associati ad ogni area di piano. Si è scelto di esplicitare solo la codifica riclassificata, in quanto si ritiene che quella sia l’interrogazione più interessante, con la possibilità di confronti omogenei sull’intera regione. Come si è detto, in un Piano sviluppato dall’inizio come si deve, non dovrebbe nemmeno esistere la duplice codifica. Comunque, per chi volesse recuperare la codifica originale, il dato è preservato. L’attributo “symbol” si riferisce alla rappresentazione di ArcInfo, probabilmente non servirà mai a niente, ma è stato preservato per prudenza, potrebbe essere ancora utile, se si sviluppa una 17 procedura che associa una rappresentazione al codice. Per ora la forma di rappresentazione è invece legata a un file di legenda (.avl) collegato al nome della copertura, che decodifica l’attributo “label”. Da un punto di vista puramente metodologico, avremmo preferito evitare coperture con elementi “ballerini” nel vuoto. Anche se la struttura del file “shape” non è topologica, per una corretta gestione è preferibile che la coerenza topologica sia mantenuta, e che ogni strato copra l’intera Regione, anche se poi i poligoni significativi sono piccoli ed isolati. E riteniamo preferibile evitare sovrapposizioni tra poligoni. Anche in questo caso ci sono i pro e i contro. Nel modo da noi suggerito, per ogni Comune, ad esempio, una tabella di aree avrà una somma costante: l’area complessiva del Comune. L’area vincolata (se ad esempio la cartografia rappresenta un vincolo) sarà eventualmente molto piccola, l’area non vincolata grande. La somma sarà l’insieme del Comune. Se non si agisce così si ottiene solo il primo dato, che è certamente quello significativo, ma si perde una informazione di verifica e controllo. Figura 11 – Un esempio di strato cartografico dove l’informazione significativa è sparpagliata in piccoli poligoni. In linea di principio riteniamo preferibile organizzare il dato coprendo l’intera regione, generando anche i poligoni che definiscono le aree complementari (in grigio). Per vari motivi non sempre è stato possibile attenerci a questa regola. In alcuni casi abbiamo evitato di generare le aree complementari, in quanto forse si poteva procedere all’assemblaggio di più strati in uno solo, e abbiamo voluto lasciare aperta e facilmente praticabile questa eventualità. In altri casi non l’abbiamo fatto, in quanto l’area si estende all’esterno dei confini, “sbordando” per qualche motivo (una carta, ad esempio, riporta la fascia di mare potenzialmente inquinato, un’altra alcuni elementi viabilistici contermini, ecc.). Quindi non si tratta di un’indicazione rigida, ma di una preferenza. L’altra preferenza, più motivata, è quella di evitare sovrapposizioni tra poligoni. Gli strati di vincolo, ad esempio, sono articolati su nove files. Potrebbero tranquillamente essere concentrati in un unico file, in due modalità diverse. La prima semplicemente per poligoni che si sovrappongono tra di loro (“overlap”), in forma non topologica. La seconda creando tutte le possibili intersezioni tra poligoni. Nel primo caso la struttura tipo della tabella potrebbe venire preservata, ma la somma delle aree non avrebbe un significato logico, si potrebbe ottenere un’area molto superiore all’area complessiva regionale, dato che molti vincoli si sovrappongono l’uno all’altro. Inoltre per interpretare le visualizzazioni si dovrebbe comunque procedere per 18 selezione, e quindi il vantaggio ricavato dalla unificazione del file sarebbe annullato. La seconda alternativa è più interessante, e può anche venire generata a titolo di esempio. Avrebbe il vantaggio di permettere di ricavare, con un unica interrogazione, la lista di vincoli relativi a un punto determinato del territorio. Ma richiede una struttura degli attributi completamente diversa da quella standard sopra indicata. Per quanto riguarda la cartografia di base, sulla quale “appoggiare” le informazioni, il Molise dispone di un’ottima cartografia a scala 1:5.000 (Carta Tecnica Regionale – CTR), oltre ad una carta “raster” ricavata dall’IGM 1:25.000. Il programma di visualizzazione chiede se si vuole visualizzare o meno la cartografia di riferimento. Se si attiva la richiesta della cartografia base, non viene chiesto di specificare quale si vuole. La scelta è demandata al livello di “zoom”. Da 1000 a 8.000 viene visualizzata la CTR, tra 8.000 e 40.000 la IGM. Al di sotto o al di sopra le carte apparirebbero troppo “sgranate” o troppo “infittite”, e non vengono visualizzate. Si è scelto di utilizzare la carta in formato raster, anche se per il Molise è disponibile la CTR in forma vettoriale, per vari motivi, non ultimo quello di limitare la diffusione di un’informazione (la CTR vettoriale) proprietaria e a distribuzione controllata. La cartografia raster, anche se l’abbiamo chiamata cartografia “di sfondo”, viene visualizzata dal programma come ultimo strato, al di sopra di tutti gli altri, ma rendendo trasparente il bianco della carta, il che permette in genere di leggere senza inconvenienti le informazioni sottostanti. Per quanto riguarda la forma di organizzazione del dato raster, esistevano diverse possibili soluzioni: compressione di tutte le carte in un file unico in formato MrSid o in formato ECW di ERmapper (entrambi i formati sono supportati da ArcView, anche se MrSid viene incluso “di fabbrica” e per ERmapper bisogna aggiungere un piccolo file “driver” gratuito, reperibile su internet), oppure utilizzare un’estensione aggiuntiva che “cataloga” i diversi files che nel loro insieme coprono l’area regionale. Abbiamo testato tutti e tre i sistemi, trovandoli tutti soddisfacenti. Figura 12 – La Carta Tecnica Regionale (CTR) sovrapposta a un tematismo di progetto. 19 Figura 13 – La cartografia IGM all’1:25.000 sovrapposta a un tematismo di progetto. L’area (a una scala minore) e il tema sono gli stessi della figura precedente. Nel prototipo abbiamo utilizzato la terza soluzione, quella del “catalogo”, che mantiene i files nel formato originale (nel nostro caso .TIF con file di georeferenziazione .TFW ) presentando di volta in volta quelli richiesti dalla schermata. Il vantaggio di questa soluzione è che non richiede la generazione di un nuovo file, di non semplice costruzione, e che va effettuato mediante un software complesso e non troppo economico (si tratta comunque di un operazione “una tantum”, che può essere facilmente effettuata “in service”). Inoltre non c’è nessun decadimento nella definizione delle immagini. Lo svantaggio è dato dall’occupazione di memoria molto maggiore, da un proliferare di files non facile da controllare, e dall’inclusione nel sistema di files raster originali, che non sempre la Regione ritiene di poter diffondere liberamente. Il Ministero dell’Ambiente ha messo a disposizione delle Pubbliche Amministrazioni tramite connessione in rete internet anche l’ortofotopiano a scala 1:10.000 (dettaglio equivalente a ...), e quindi il programma prevede anche un tasto per visualizzare, se connessi in rete, questo tipo di cartografia, che può risultare estremamente utile per verifiche e aggiornamenti. Trattandosi di un immagine deve per forza essere visualizzata al di sotto delle altre informazioni (strato di sfondo), e quindi in genere le indicazioni vettoriali vanno ridotte a linee (perimetro dei poligoni) per non nascondere lo sfondo. Il sito non sempre è attivo, crediamo vi siano i soliti problemi di diritti proprietari sull’informazione, e non sappiamo quindi fino a che punto ci si potrà fare affidamento. Finchè dura costituisce un iniziativa molto importante, effettuata nella giusta direzione, di garantire l’accesso a informazioni standardizzate e di dominio pubblico. La costruzione degli “shape files” Come si è detto, nella sperimentazione sul Molise abbiamo incontrato una situazione molto particolare: esistevano cioè delle coperture ArcInfo, organizzate per “tessere” e “libraries”, che andavano convertite in “shape files”. Inoltre volevamo ristrutturare il contenuto della tabella eliminando attributi inutili, ma aggiungendo la definizione esplicita (“label”), aggiungendo dei campi di misura di area o lunghezza, e in più l’informazione relativa alla disaggregazione comunale. Per quanto particolare, descriviamo la procedura seguita perchè potrebbe essere d’aiuto a qualcuno. • Per prima cosa, abbiamo creato una copertura poligonale con i confini comunali, e con solo gli attributi che si volevano incorporare nella copertura finale. Nel nostro caso: Codice ISTAT, Zona di piano e Codice Provincia. Stiamo facendo l’esempio per il Molise, dove le zone di Piano sono aggregati di comuni. Non sempre è così: in Sicilia le 20 zone di Piano tagliano i comuni. In questo caso la copertura da predisporre sarà un poco più complicata, ma la sostanza non cambia. • Poi abbiamo dovuto visualizzare il tema su ArcView, ricavandolo dalla libreria ArcInfo (in realtà abbiamo anche dovuto ricostruire la libreria ArcInfo, che per la sua configurazione è difficilmente trasportabile da un computer all’altro). In ArcView quando si aziona il comando di aggiunta di un tema, appare un opzione a scelta cui in genere non si fa caso (directory o library?). Normalmente si accetta il default: directory. Se invece si sceglie una library, appaiono i layers disponibili per quella library. Se ne sceglie uno, e si va subito incontro a quello che si può considerare un baco di ArcView. Invece di creare come “default” un tema con tutto il layer, per “default” si visualizza una sola delle tessere, a caso. Per visualizzare l’intero layer bisogna usare un tastino sconosciuto, che compare a sorpresa solo in questa situazione (con una icona simile al tasto di selezione, ma con un quadratino nero all’interno), col quale bisogna selezionare l’intera area di interesse. Nel nostro caso tutta la Regione, sbordando abbondantemente per prudenza. Solo allora il tema appare completo. Figura 14 – Quello che si vede per “default” (una tessera a caso della library) e l’intero layer, visualizzato dopo che si è selezionata l’intera area di interesse (AOI – Area Of Interest) usando il pulsantino misterioso evidenziato a sinistra. • A questo punto si è creato un tema con l’intero “layer” completo di tutte le sue tessere; bisogna ora richiamare la tabella di proprietà del tema, effettuare un “link” con la tabella che decodifica i codici “riclassificati”, e disattivare poi dalla tabella risultante tutti gli attributi ritenuti inutili. 21 Figura 15 – Due coperture sostanzialmente equivalenti, sulle “alterazioni e degrado del territorio”. In quella a sinistra sono stati generati solo i poligoni significativi, e quindi i “buchi” sono effettivamente vuoti. In quella a destra sono stati generati anche i poligoni complementari, che permettono di calcolare le aree non degradate, comune per comune. In questo secondo caso, anche i “buchi” hanno valore di area complementare, e devono esistere come poligoni. In genere questi poligoni complementari non verranno visualizzati. • Ora siamo quasi pronti alla conversione in “shape file”. C’è ancora un’operazione prudenziale da fare. Dato che la copertura ArcInfo è topologica, e lo “shape file” no, le due si comportano in modo diverso per ciò che concerne i “buchi nella ciambella”, i poligoni isola vuoti all’interno di aree poligonali. Nella copertura topologica, i “buchi nella ciambella” sono comunque dei poligoni, ma con l’attributo di codifica (e quindi la “label”) nullo. Nello “shape file” invece normalmente il buco è un buco, non c’è poligono. Ma se si avvia la conversione a “shape file” senza aver filtrato i “buchi” topologici, nello “shape file” risultante appariranno degli inutili (e pericolosi, possono ingenerare molti equivoci) poligoni con attributo nullo. Vanno quindi filtrati, selezionando dalle proprietà del tema ArcInfo solo gli elementi con “label” non nulla (<> “”). Questo vale ovviamente se si desidera generare una copertura con solo le aree di interesse, e non vale se si vogliono generare anche le aree complementari • Fatto questo si aziona il comando “Convert to shapefile” (dal menu “Theme”), e otteniamo uno shapefile come desiderato. Solo che il tema non ha ancora la disaggregazione per comuni e zone di piano. Un altra nota su questo passo. Nella conversione da una copertura ArcInfo a uno shapefile, vengono esportate solo le colonne attive della tabella, le altre scompaiono. Ma se la conversione è da shapefile a shapefile, come avviene nella operazione seguente, la tabella viene ricopiata completa. Solo le colonne attive saranno visibili nel risultato, ma anche le altre saranno presenti (anche se momentaneamente disattivate) occupando uno spazio inutile e appesantendo il tutto. In questo caso per eliminare le colonne indesiderate bisognerà editare la tabella, cancellando gli attributi in eccesso (“delete field”). • L’ultima operazione è quella di incrocio (“overlay”) tra la copertura ottenuta fin’ora e quella con i confini comunali e le zone di piano. Il caso più comune e semplice è quello tra due coperture poligonali. Volendo ottenere anche le aree complementari (immagine di destra della figura precedente) si attiverà l’estensione “geoprocessing” (dal menu “File”, comando “extensions”, e poi scelta dell’estensione che si desidera), si attiverà il pannello di comandi dal menu “View” (comando “Geoprocessing Wizard”, che compare solo dopo aver attivato l’estensione) e si sceglierà l’opzione “Union”. Il resto del procedimento è guidato con molta chiarezza. Se si vuole una copertura con solo le aree 22 significative (immagine di sinistra), si sceglierà l’opzione “intersect”. Volendo invece effettuare l’incrocio su una copertura lineare (ad esempio una copertura con i percorsi di interesse turistico, che si vuole disaggregata per comuni, per poter calcolare l’estensione dei percorsi che interessano ogni singolo comune) bisogna usare l’opzione “intersect”. Ma bisogna stare attenti, in quanto a volte nella copertura di origine, per facilitare la comprensione di certi percorsi, vengono incluse anche delle tratte esterne alla Regione, ma contermini, e che servono per creare dei collegamenti nella rete. L’operazione di intersect rischia di eliminare questi elementi di contorno. Bisogna quindi creare una copertura di intersezione che contenga anche un’area nulla (esterna all’area di interesse) tutto attorno. Questo si può fare, ad esempio, usando il comando Buffer (ma anche facendo una Union con un bel rettangolone grande) e poi effettuando una “union” del risutalto con la copertura di origine. Il comando “Buffer” è disponibile sotto il menu “Theme” (a volte è fonte di bestemmie il fatto che non si attiva il comando se non sono state “settate” le unità di misura, nelle proprietà della View. Val la pena di ricordarlo). Figura 16 – Un buffer di 20 km. attorno alla Regione Molise. • Un’ultima situazione è quella relativa alle coperture puntuali. Anche in questo caso è utile collegare ad ogni record l’informazione relativa al comune di appartenenza, per poter sapere quante abbazie benedettine ci sono nel comune Tale. Il modo più semplice è tramite un “join” tra la tabella di attributi della copertura puntuale, e quella della copertura con i confini comunali. Anche in questo caso risulta conveniente l’uso della copertura con la corona esterna: a volte ci sono punti fuori confine, in mare di fronte alla costa, in prosecuzione di percorsi ecc. Il “join” si fa selezionando come campo di unione il campo “shape” sulle due tabelle, si attiva il “join” ed è fatta. Il risultato, che è completo ma temporaneo, si rende permanente con un comando di “create shapefile”, che genera una nuova copertura di punti completa delle nuove informazioni. • Nella tabella di attributi sono state incluse le colonne “area”, per i temi poligonali, e “length” (avremmo anche potuto usare “lungh” o qualcosa di simile, ma abbiamo scelto di mantenere i nomi standard di ArcInfo), che a questo punto non sono aggiornate. Abbiamo aggiunto al progetto un tasto di aggiornamento (tasto “A”), che tra altre cose 23 ricalcola i valori di “area” con il corretto valore in ettari, e i valori di “length” con l’estensione in metri. Per quanto possibile agli shapefiles sono state associate delle legende (file *.avl) che al momento di richiamare il tema lo presentano già “vestito” con i simbolismi desiderati. Per poter gestire l’insieme di informazioni è stato inoltre creata una tabella che agisce da indice. Figura 17 – La tabella “indice”, che contiene la lista degli strati informativi disponibili, il nome del file, la categoria di appartenenza, il titolo del tema, il tipo di geometria (poligono, linea o punto), le zone (aree di piano) coinvolte dall’informazione, un campo che registra l’esistenza o meno del file, e un campo che registra l’esistenza o meno della legenda. Questa tabella è quella che permette di creare un programma flessibile, applicabile a qualsiasi collezione di strati informativi. Il programma attinge la lista e le caratteristiche degli strati da questa tabella, che può facilmente venire modificata o sostituita. Quando si apre il progetto con una View, appare nella barra dei bottoni un tasto con una “A”. Premendo il tasto si lancia una procedura che aggiorna la tabella indice. La procedura controlla l’effettiva esistenza del file (succede che il file non sia stato ancora creato, ma sia previsto, e il suo nome compaia quindi nella lista), e registra l’esistenza nella colonna “Esiste”. Poi controlla l’esistenza di una legenda collegata, e lo registra nella colonna “Legenda”. Poi apre i file, e controlla, area di piano per area di piano, l’esistenza di elementi significativi per quell’area. Controlla cioè sia l’esistenza di elementi (poligoni, linee o punti) appartenenti all’area, sia la presenza di una “Label” non nulla. Abbiamo già detto, infatti, che metodologicamente preferiamo, nel caso di coperture poligonali, una copertura continua, che contenga anche i poligoni non significativi, complementari. In questo caso, il poligono esiste, ma l’informazione è nulla (area senza vincolo, o area non di interesse paesaggistico, ecc.). Il programma aggiorna la tabella indice, e allo stesso tempo effettua una verifica dello stato delle coperture, denunciando ad esempio l’assenza della colonna “Vincolo” o altri errori di costruzione. Aggiorna i valori di AREA (in ettari) per i files poligonali, e di LENGTH (lunghezza in metri) per i files lineari. Aggiorna il campo TIPO dela tabella indice (Tipo = 1 per i poligoni; 2 per le linee; 3 per i punti). Si tratta quindi sia di una procedura di aggiornamento, che un ausilio nella sequenza di operazioni che portano alla costruzione del sistema, fornendo informazioni di “debug” e uno stato di avanzamento del lavoro. Il messaggio alla fine dell’aggiornamento (che può richiedere qualche minuto) segnala il numero di files registrati nell’indice, e il numero di quelli effettivamente riscontrati nella directory. 24 Figura 18 – Poligoni di risulta della carta geolitologica entro l’area della zona di piano 0, che non dovrebbe contenere informazioni. I poligoni sono molto piccoli, si tratta di un dettaglio molto ingrandito. Da sottolineare un altro ausilio alla costruzione del sistema di strati che può essere fornito dalla tabella indice e dalla procedura di aggiornamento. Se si è seguito l’iter descritto per la generazione degli shapefiles, è facile che si siano generati dei poligoni “sprinter” (schegge, o sfridi) in quanto in genere la copertura dei confini comunali è più precisa, o semplicemente un po’ diversa, dai confini di zona presenti nei diversi strati. Succede quindi che zone di piano per le quali è noto che non esiste informazione per quel determinato strato, appaiano invece come presenti in tabella. Si tratta di scarti che andranno eliminati. Il modo più semplice, se appartengono tutti ad una zona che si sa non dovrebbe contenere informazioni per quello strato, è quello di selezionarli con una interrogazione, eventualmente da tabella (seleziona Vincolo = 0, ad es.) e cancellarli tutti in un colpo solo. Dopo l’editing e l’eliminazione si può far girare di nuovo la procedura di aggiornamento, e la tabella riporterà la situazione corretta. 25 Il programma di visualizzazione Il programma di visualizzazione è stato concepito per un massimo di flessibilità possibile, e le funzioni inserite sono quelle che si pensa possano rivelarsi utili nelle situazioni più generiche. Il programma propone una schermata iniziale con tre tasti, che selezionano l’ambito di consultazione: Intera Regione; singola Zona; singolo Comune. Se si sceglie l’intera Regione, si passa direttamente alla scelta dei tematismi. Se si sceglie un ambito parziale, la schermata seguente richiede l’individuazione del Comune o della Zona. 26 Si può cliccare in successione su diversi comuni, se si ha qualche dubbio, e il loro nome appare al di sopra del tasto (lo stesso avviene per le Zone). Quando si è individuato quello giusto, si batte l’OK, e si passa alla selezione dei temi. La schermata di scelta propone la lista degli strati informativi disponibili, separati in coperture poligonali, lineari e puntuali. La lista degli strati disponibili è ricavata dalla tabella indice, e contiene quindi solo gli strati significativi per la scelta effettuata. Se si è scelto di visualizzare l’intera Regione, gli strati saranno tutti quelli esistenti. Se si sceglie di visualizzare una Zona, la lista conterrà solo gli strati che contengono informazioni per quella specifica Zona, e sarà quindi, in genere, più corta. Come abbiamo visto, la tabella indice non contiene questa informazione comune per comune, quindi, scegliendo di visualizzare un singolo comune, la lista conterrà tutti gli strati che contengono informazioni significative per la Zona di appartenenza del comune, anche se può succedere che non contengano informazioni per quello specifico comune. Si tratta di un compromesso, per non appesantire la tabella indice, che abbiamo ritenuto accettabile. Nella figura gli strati sono tutti quelli esistenti, e come si può vedere quelli poligonali non ci stavano in un unica lista, che è stata quindi duplicata dal programma con una lista “polig (cont)”. Vengono selezionati i tematismi che si intendono visualizzare utilizzando il cursore e cliccando sul quadratino bianco. Viene inoltre indicato allo stesso modo se si desidera visualizzare la copertura di base (non viene richiesto se si vuole la CTR o l’IGM, in quanto la scelta di quale mostrare dipenderà dalla scala di visualizzazione). E poi viene dato l’OK al programma. Le coperture verranno visualizzate in sequenza, con sopra a tutte la copertura base, seguita dalle coperture lineari, puntuali e infine le poligonali. Viene anche visualizzato un tema con i confini 27 comunali, che serve da inquadramento, soprattutto quando non siano visibili le cartografie di base. La modalità di visualizzazione dei temi è determinata dal file di legenda, che dovrebbe essere presente per ogni shapefile. Il file indice contiene l’informazione relativa all’esistenza o meno della legenda, che aiuta quindi nell’operazione di completamento delle informazioni. Il file indice è un file .DBF (NOMEF.DBF) è può quindi essere aperto come tabella e consultato da ArcView. Se la legenda non esiste, il tema viene creato lo stesso nell’identico modo degli altri, ma con una campitura unica. Se si desidera creare o modificare una legenda, la si definisce usando gli strumenti di arcView, e poi la si salva, nella stessa directory e con lo stesso nome dello shapefile (cambia la desinenza, .AVL invece che .SHP). Per aggiornare il file indice, registrando l’esistenza della nuova legenda, basterà attivare di nuovo il relativo bottone (“A”). La legenda sarà comunque attiva fin dal momento della sua creazione, indipendentemente dall’aggiornamento del file indice, che ha, in questo caso, solo funzione di pro memoria. Resta evidenziato nella barra dei comandi il tasto di inizializzazione, che permette di riproporre l’intero processo, tornando alla prima schermata, per generare una diversa presentazione. Il programma propone a questo punto alcune funzioni ausiliarie di consultazione, che descriviamo a seguito. Per rendere immediatamente riconoscibili la serie di comandi aggiuntivi che abbiamo inserito, questi sono stati in genere caratterizzati da lettere maiuscole. Ogni comando ha inoltre una targhetta (tag) che compare in giallo quando il cursore si avvicina, e un messaggio esplicativo della sua funzione che compare in basso sullo schermo. I tasti di “Vettorizzazione” e “Ripristino” Una delle funzioni che si desiderano sfruttare esaminando gli elaborati digitali, è quella di confronto tra più tematismi. Ma questo risulta in genere difficile in quanto l’ultimo tema aggiunto copre quelli precedenti. Figura 19 – Dettaglio di una carta con l’uso del suolo e, a destra, la stessa carta combinata con l’informazione sul vincolo di immodificabilità temporanea. La campitura opaca nasconde l’informazione sottostante. Per rendere confrontabili le due informazioni, è stato inserito un tasto di “vettorizzazione della campitura”, che trasforma la campitura del tematismo in una campitura rigata con le righe dello stesso colore del colore principale (di “foreground”, nell’esempio il rosso del puntinato). Questo permette di vedere in trasparenza il tema sottostante. La trasparenza viene mantenuta in fase di stampa o plottata dell’immagine (operazione che con ArcView a volte genera risultati inattesi). Il comando di vettorizzazione (bottone con una “V” sopra) ad ogni applicazione successiva ruota la campitura di 45°. Quindi se vengono vettorizzati in successione quattro strati informativi, il 28 primo avrà una rigatura a 45°, il secondo a 90° e così via. Ovviamente non consigliamo a nessuno di sovrapporre più di due, massimo tre strati (contando quello di sfondo a tinta piena). Ma nel caso, le informazioni, con molta attenzione, sarebbero ancora distinguibili. Schiacciando in successione il tasto “V” sullo stesso tema, si possono provare su uno stesso strato le varie inclinazioni di campitura rigata. Ad esempio, nel generare l’immagine riportata a seguito, il primo tentativo aveva generato una rigatura verticale, che interferiva con la campitura verde rigata delle zone coltivate ad olivo. Un nuovo comando “V” ha prodotto la campitura a 45°. A fianco al tasto di vettorizzazione ne esiste un’altro di ripristino della legenda (bottone con sopra una “R”) che fa tornare le campiture a quelle definite nella legenda di default. Figura 20 – La campitura della carta dei vincoli “vettorizzata” e resa quindi trasparente. A destra la stessa immagine, con sovrapposta la carta IGM 1:25.000. Sommario del tema Un tastino con la lettera “S” attiva una funzione che crea una tabella con il sommario del tema attivo. Si possono quindi ottenere, a seconda dell’area visualizzata, tabelle di sintesi generali per la Regione, tabelle per zona, o per singolo comune. La tabella sommario ha come titolo visualizzato il nome del tema (non il nome del file, che potrebbe generare errori, ma il nome del tema così come compare nell’indice dei files e nella legenda della View), è una tabella in formato .Dbf, e contiene i campi Label, con i nomi delle varie zone elencate nel tema, la colonna Sum_Area, con la somma complessiva delle superfici dei poligoni appartenenti a quella categoria, e la colonna Count, con il numero di tali poligoni. Funziona anche su temi lineari, fornendo la somma delle lunghezze, e il conteggio dei segmenti. La tabella, dopo creata viene caricata e visualizzata. Si tratta di una cartella provvisoria, dal nome reale temb.dbf, che verrà sovrascritta da una successiva chiamata allo stesso tasto. Per renderla permanente bisogna cambiargli nome, salvandola con il comando “Export” del menu “File”. Dissolve Per vari motivi la visualizzazione di certi strati può apparire inutilmente frazionata da linee di confine tra poligoni uguali. Queste linee sono conseguenza sia della riclassifica dei codici, che dell’inserimento delle suddivisioni provinciali e comunali. 29 Se si richiede un elaborato particolarmente curato, che non mostri queste linee indesiderate, si può ricorrere ad un’operazione di “dissolve”, eliminando eventualmente la copertura ausiliaria così ottenuta al termine dell’uso. Alcuni pacchetti “software” ammettono inoltre un “dissolve” virtuale, che evita la costruzione di una copertura ausiliaria. Dato che ArcView non lo fa, abbiamo incluso un comando (tasto “D”) con questa funzione. Il tasto crea uno shapefile di appoggio, denominato temp.shp (che verrà eliminato e sostituito al seguente utilizzo del comando), e visualizza un tema con lo stesso nome e la stessa legenda del tema selezionato, ma privo delle linee superflue. Figura 21 – L’effetto del tasto “D”. A sinistra il tema originale, con tutte le linee ausiliarie, a destra quello modificato, “pulito” da linee indesiderate. Dato che questo dovrebbe essere lo strato di sfondo, non è previsto dal programma che se ne costruiscano più di uno per volta. Se si tenta di crearne due, il secondo sostituirà il file del primo, con effetti imprevisti e indesiderati (volendo salvare un file “dissolto” bisogna andare a cercarlo da sistema, e cambiargli il nome; o dare un comando “convert to shapefile” dal menu “Theme”, con risultati equivalenti), ma va tenuto presente che questo file ausiliario contiene soltanto il campo “Label” e le aree di sintesi ricalcolate). La visualizzazione delle relazioni Ai PTP sono allegati una serie di testi esplicativi, norme, descrizioni ecc. Per la consultazione di questi testi è stata inserita, sulla barra di Menu, la voce “Specifiche”, che si apre elencando i documenti a disposizione. Cliccando su uno di questi si apre una finestra con il testo corrispondente. Il tasto di Aggiornamento Il tasto “A” è già stato descritto nelle pagine precedenti. Premendo il tasto si lancia una procedura che aggiorna la tabella indice, che agisce anche sui files, elencati aggiornando i campi di area e lunghezza. La procedura controlla l’effettiva esistenza di ogni file elencato (succede che il file non sia stato ancora creato, ma sia previsto, e il suo nome compaia quindi nella lista), e ne registra l’esistenza nella colonna “Esiste”. Poi controlla l’esistenza di una legenda collegata, e lo registra nella colonna “Legenda”. Poi apre i file, e controlla, area di piano per area di piano, l’esistenza di elementi significativi per quell’area. Controlla cioè sia l’esistenza di elementi (poligoni, linee o punti) appartenenti all’area, sia la presenza di una “Label” non nulla. La procedura aggiorna la tabella indice, e allo stesso tempo effettua una verifica dello stato delle coperture, denunciando ad esempio l’assenza della colonna “Vincolo” o altri errori di 30 costruzione. Nei singoli file aggiorna i valori di AREA (in ettari) per i files poligonali, e di LENGTH (lunghezza in metri) per i files lineari. Aggiorna il campo TIPO della tabella indice (Tipo = 1 per i poligoni; 2 per le linee; 3 per i punti). I layouts Sono stati predisposti alcuni “layout” tipo, che permettono di produrre rapidamente delle stampe di cartografie. Per ora quelli inseriti sono due, denominati “A3” e “A4”, che hanno ovviamente i due corrispondenti formati. Il programma provvede anche a modificare il titolo, inserendo il nome del Comune o della Zona rappresentati. Figura 22 – Una carta tratta dal programma, layout A3, senza alcun altro intervento. Come è noto ArcView permette di apportare facilmente modifiche, e quindi questi schemi vanno considerati come base di partenza per aggiustamenti più precisi. Il programma di editing Dato che il programma di editing può fare delle cose terribili ai files, è stato organizzato in un diverso progetto, che verrà utilizzato solo da utenti esperti. Il programma propone una serie di funzioni di ausilio nella costruzione e correzione degli shapefiles, e in particolare di quelli poligonali. Il programma è stato sviluppato nell’ipotesi che i files non siano proiettati, o meglio, che la proiezione (UTM 33 nel nostro caso) sia già incorporata “hard” nella definizione della carta, e che non sia invece effettuata sul momento dal programma stesso. Per le icone dei tasti sono state usate le stesse convenzioni del programma di visualizzazione, e i tasti nuovi (salvo i due per aggiunta o modifica grafica dei poligoni) sono caratterizzati da una lettera. 31 Il problema che si voleva fondamentalmente risolvere con questo programma, è quello della gestione del formato non topologico. Lo “shapefile” di ArcView è molto comodo da gestire, ma dato che lavora per poligoni chiusi, non garantisce in maniera intrinseca che la linea di confine tra due poligoni adiacenti coincida perfettamente. In una struttura topologica, la linea di confine è una sola, in una struttura non topologica, la linea di confine viene duplicata, una volta per definire il contorno del poligono di destra, una volta per quello di sinistra. Questo comporta il rischio sia di creare delle aree di sovrapposizione difficili da individuare (e che possono alterare completamente calcoli delle aree e altre elaborazioni), sia zone scoperte, in particolare piccole “schegge”, dette anche micropoligoni, lungo i confini. Figura 23 – Due poligoni non topologici affiancati, con aree di sovrapposizione e con “schegge” vuote. Il programma di editing mette a disposizione alcuni strumenti che aiutano a risolvere il problema. Una prima funzione “batch” dovrebbe permettere di individuare ed eliminare le sovrapposizioni eventuali, mentre altre funzioni di “taglia” e “rinomina” dovrebbero permettere di effettuare correzioni senza perdere la congruità dell’insieme. Le procedure che abbiamo individuato hanno degli evidenti punti deboli, richiedono molta attenzione nel venire applicate, salvano solo alcuni degli attributi, e possono, per strati complessi, diventare molto lente e, in situazioni limite, arrivare a bloccare completamente il computer. Le funzioni si sono dimostrate particolarmente sensibili nella gestione di poligoni molto grandi e complessi, mentre in genere gestiscono meglio un gran numero di poligoni semplici. Questo è uno dei motivi per cui le operazioni di “dissolve” vengono applicate alla fine, e non alla partenza, della procedura. Il tasto “S”, che elimina sovrapposizioni tra poligoni Il formato shapefile di ArcView è un formato molto diffuso e semplice da gestire, ma non è un formato topologico. In altri termini, ammette sovrapposizioni tra poligoni, il che può produrre effetti indesiderati. Ad esempio, può provocare errori di calcolo, dato che la somma delle aree delle diverse destinazioni di piano di un Comune, possono risultare maggiori dell’estensione territoriale totale del comune. Inoltre possono esistere dei poligoni che contengono, per errore di digitalizzazione, delle sovrapposizioni interne ad uno stesso poligono, tipo un nastro “annodato”, che passa su sè stesso). Questi poligoni “sporchi” provocano effetti indesiderati e imprevisti, come “sparate” e fuoriuscita di colore durante le zoomate ecc. La procedura attivata dal tasto “S” ripulisce tutte queste situazioni indesiderate, e restituisce un file coerente e geometricamente valido. Ovviamente bisogna pensarci due volte prima di applicarlo, dato che non sempre la sovrapposizione di poligoni costituisce un errore. Se si è 32 voluto rappresentare, ad esempio, in uno stesso file due tipologie di vincolo, non correlate, per cui esistono aree coperte da entrambi i vincoli, l’applicazione del programma in effetti distruggerà un’informazione. Noi riteniamo comunque che, almeno nell’applicazione in esame (PTP e altri strumenti urbanistici analoghi) questo tipo di rappresentazione sia da evitare. Le quattro immagini riportate a seguito chiariscono l’operato della procedura. Figura 24 – L’aspetto visivo del tema prima e dopo lo svolgimento della procedura di correzione è identico, ma se si “smontano” i poligoni che lo costituiscono, si apprezzano le differenze. Figura 25 – Quello che effettivamente ha fatto la procedura: ha eliminato tutte le aree di sovrapposizione invisibili, seguendo la sequenza di visualizzazione, eliminando cioè quelle che stavano sotto, che nel file sono le prime in sequenza, e che quindi vengono coperte da quelle che seguono. A sinistra lo “smontaggio” del file prima della procedura, e a destra dopo. Il tasto “E”, che esplode i poligoni Arc View permette di raggruppare poligoni, anche completamente isolati tra loro, in un unica entità. Ad esempio le isole di un arcipelago possono venire rappresentate graficamente da otto poligoni distinti, ma possono venire definite nella tabella degli attributi da un unico record, che registra il nome dell’arcipelago e l’area complessiva. Sulla View, di conseguenza, cliccando per selezionare una delle isole dell’arcipelago, si otterrà la selezione dell’intero arcipelago. Ciò è molto comodo per diverse situazioni e applicazioni, ma può diventare un inconveniente se si desidera modificare l’attributo di uno dei poligoni indipendentemente dagli altri. Il tasto “E” effettua una esplosione logica dei poligoni. Dopo averlo utilizzato nulla sarà cambiato dal punto di vista grafico, ma in tabella ad ogni poligono corrisponderà un record distinto, e i singoli 33 poligoni potranno quindi venire editati e modificati, sia graficamente che per gli attributi, singolarmente e uno per uno. Se il file da esplodere è un file di editing (il nome del file inizia con “ed_”) i poligoni del file vengono esplosi, e il nome del file resta lo stesso. In caso contrario si crea un nuovo file con i poligoni esplosi, e la procedura chiede il nome e la posizione del nuovo file. Il tasto “A” che ricalcola area e lunghezza Il ricalcolo delle aree e delle lunghezze viene normalmente gestito dal programma generale che aggiorna la tabella indice, e che effettua anche questa operazione sui files. Ma durante l’editing possono verificarsi modifiche ai files (ad esempio quelle conseguenti all’impiego del tasto “I”) che richiedono il ricalcolo e aggiornamento delle aree. Il tasto “A” agisce sul tema attivo, e aggiorna i relativi valori. La procedura di editing La procedura di editing si articola in più fasi. In sostanza si inizia una sequenza di operazioni di editing con un comando iniziale che crea un nuovo file di editing; si effettuano una serie di operazioni di correzione, che possono implicare ritagli, aggiunta, ridefinizioni di categoria, e che possono comportare diverse sessioni, articolate su più giornate. Una volta completato l’iter di correzione si attiva una funzione di chiusura, che effettua un dissolve tra tutti i poligoni che hanno uguale definizione per l’attributo base prescelto (per default dovrebbe essere “label”), ed effettua poi una unione con una copertura base contenente i confini comunali e di piano. Tasto “I”, inizio editing A seconda che il file di editing esista già o meno, crea un nuovo file di editing (con un nome che inizia da “ed_”) o apre un file esistente. Tasto “R”, ritaglia Chiede la definizione di una linea che ritaglia una parte di un poligono esistente, generando un nuovo poligono. Il programma di editing si muove nella logica di uno strato continuo, che copre tutta l’area regionale. Non è previsto quindi il caso dell’aggiunta di nuove aree, o della cancellazione di aree, in quanto all’interno della Regione tutte le aree sono coperte da poligoni, anche se alcuni avranno una codifica nulla. Quindi l’aggiunta si risolve nel ritaglio di un area da un’area con codifica nulla, e la sua successiva rinomina. La cancellazione in una ricodifica con un codice nullo. Tasto “N”, nomina Permette di etichettare o di ridefinire l’etichetta di un poligono. Selezionando un poligono (eventualmente un nuovo poligono appena definito tramite il tasto “R”) compare un menu a tendina, con tutte le opzioni disponibili per quello strato informativo, e una opzione aggiuntiva di “eliminazione”. Bisogna scegliere la nuova etichetta e attivare il tasto di accettazione (“ok”). Tasto “F”, fine editing Fa un’operazione di pulizia, unificando tutti i poligoni adiacenti con etichetta uguale, e incrociando poi il risultato con le informazioni di uno strato con i confini comunali e di piano. Il programma richiede di confermare se va sostituito il file iniziale, e chiede se va creato un file di 34 riserva (backup). Va tenuto conto che la procedura perde una serie di informazioni, in particolare quelle relative alla codifica di origine. Perde in realtà anche la codifica numerica ricalcolata, e il codice di simbolo ArcInfo, ma si tratta di informazioni legate in modo biunivoco con il testo dell’etichetta (“label”), e quindi eventualmente recuperabili. 35