DA FRASCHERI A GIANNICI due secoli di

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DA FRASCHERI A GIANNICI due secoli di
DA FRASCHERI A GIANNICI
due secoli di pittura savonese
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DA FRASCHERI A GIANNICI
due secoli di pittura savonese
A cura di Daniele e Julian Tiscione
Testo introdutivo e schede a cura di
Dott.ssa Silvia Bottaro
DA FRASCHERI A GIANNICI
due secoli di pittura savonese
Con il patrocinio del
Comune di Savona
Foto: Bruno Santi Laurini
Grafica: Studio grafico v360 - Cogoleto
Restauri: Centro artigianale restauri di D. Bedendo, Albissola Marina
Ringraziamenti:
Dott.ssa Ilaria Caprioli (Sindaco di Savona)
Bedendo Davide
Borghi Davide
Bottaro Silvia
Minola Ottavio
Rosa Elena
Rosso Fulvio
Santi Laurini Ilaria
Signori Alessandro
Susena Luciano
Zino Giovanna
Zunino Lorenzo
DA FRASCHERI A GIANNICI
due secoli di pittura savonese
dal 29 Settembre al 31 Dicembre 2016
Galleria Vico Spinola
Prefazione
di Daniele Tiscione
Savona è una città che dal 1800 ad oggi ha sfornato una grande quantità di artisti ma pochi di essi hanno lasciato un segno indelebile del loro passaggio e a parer nostro sono quelli che presentiamo in questa rassegna.
Purtroppo in alcuni casi l’opera non è proporzionata alla rilevanza dell’artista ma l’importante è essere rappresentato a prescindere dall’importanza dell’opera esposta.
Partendo da Frascheri per arrivare ai giorni d’oggi chiudendo il cerchio con un’artista contemporaneo che rappresenta la nostra
città nel mondo intero, la scelta non poteva cadere che su l’amatissimo Gianni Celano Giannici, artista vero a 360°, geniale e
sregolato, poeta, filosofo e opinionista …, memoria storica dell’arte savonese degli ultimi 50 anni … non me ne vogliano tutti gli
altri bravissimi artisti e cito i grandi: Lorenzini, Carrieri, Moizo, Laveri, D’angelo... che amo e stimo, ma bisognava sceglierne
uno solo…
L’impegno occorso per realizzare questa mostra, che spero sia un ulteriore contributo per la conoscenza dell’arte savonese, resterà
nella memoria solo grazie a questo catalogo, pertanto ringrazio tutti quelli che vi hanno collaborato e i prestatori delle opere.
Daniele Tiscione
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Da Fraschieri a Giannici:
due secoli di pittura nel savonese
di Silvia Bottaro
La nascita di uno spazio artistico-culturale è sempre un evento rilevante, anche se ha l’aspetto più votato al
commerciale, a maggior ragione a Savona nel suo cuore medievale, nel nostro caso in Vico Spinola, dove
prende vita una novella galleria d’arte che potrà, anche, essere in futuro un catalizzatore d’interessi per gli
Artisti, la Città, i collezionisti, i curiosi così come è avvenuto per tanti lustri nella mai dimenticata Galleria
“Sant’Andrea” di Luigi Pennone: punto di riferimento per generazioni di pittori, scultori ed amanti di Savona e del bello.
Ho avuto l’onore di ricordare ben due secoli di arte nel savonese, grazie alle mie attuali ricerche ed al mio
lavoro del passato come direttore della civica Pinacoteca e museo di Savona. Una collaborazione questa
casuale che va nella direzione del mio amore per la mia Città nativa: Savona è ricca di storia, di monumenti, di Personalità da scoprire e riscoprire, può vantare di aver dato i natali a due papi Della Rovere e di aver
ospitato, prigioniero napoleonico, papa Pio VII, di opere d’arte, in poche parole è una Città d’arte dove la
sinergia tra pubblico e privato potrebbe o meglio dovrebbe far decollare, finalmente, la propria vocazione
turistica-culturale quale volano anche sociale ed economico per questo Territorio che sta vivendo un momento molto difficile ed il nostro impegno deve essere mirato alle nuove Generazioni per renderle orgogliose di vivere in tale contesto.
Il bello, l’arte può fare molto perché la “bellezza” è un valore universale che appartiene all’Umanità. In
questo contesto mi pare che possa trovare giusta rilevanza quanto ebbe a scrivere Giovanni Paolo II, alla
vigilia del Giubileo del 2000, agli artisti (anch’egli era artista) con un tono molto amichevole tra”quanti con
appassionata dedizione, cercano nuove epifanie della bellezza” e proclamò patrono degli artisti il Beato Angelico. Come scrive Joyce in Dedalus l’artista col suo lavoro dovrebbe destare, oppure indurre, una stasi estetica, una compassione ideale oppure un terrore ideale, prodotta ed infine dissolta dal così detto ritmo della
bellezza, ovvero il legame invisibile che si crea tra l’opera d’arte e lo spettatore. Le opere oggetto di questa
prima mostra, mi sembra, che abbiamo tutte il forte desiderio di creare un legame sensibile ed intellegibile
con l’osservatore. Sono opere che mettono in luce anche la memoria personale per generare emozioni, per
far riaffiorare ricordi collettivi. I ricordi si legano al nostro cuore, alla mente, al nostro tessuto osseo che ci
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struttura come individui, così come le memorie collettive operano nella formazione della società civile.
Questi lavori sono, in un certo senso, delle vere narrazioni da “leggere” attraverso le forme, i colori, la luce,
la materia usata ed indagata attraverso la libera interpretazione e sensibilità di ogni Artista proposto.
Con queste premesse, con occhi e cuore, passiamo ad osservare le tante “voci” che danno respiro corale a
questa prima esposizione composta da scelte fatte dalla direzione stessa della Galleria, scelte che, inevitabilmente, daranno luogo a critiche che potranno alimentare nuove mostre, nuovi interessi. L’aver inserito
come unico artista ancora in attività – Gianni Celano Giannicci – è, in qualche modo, anche una scelta
simbolica nel voler affermare come quel “lievito” ottocentesco che parte dalla Scuola dei Grigi per arrivare al sapore internazionale dell’arte del Novecento che si è respirato per alcuni decenni (anni Cinquanta
–Sessanta del secolo scorso) ad Albisola abbiano dato vita, ovvero siano stati il pane per molte personalità
creative successive, tra ceramisti, pittori, incisori, fotografi, acquarellisti, collagisti, tra tradizione e ricerca,
aprendo porte ed intuizioni di respiro internazionale, non ancora completamente storicizzate.
L’Ottocento aperto al mondo - La stagione della Scuola dei Grigi a Carcare, in Valle Bormida, ha avuto finalmente molti studi, ricordo l’interesse di Gianfranco Bruno con la sua mostra del 1989 dedicata a tale
Scuola che non è stata affatto un mero fenomeno regionale, bensì uno dei momenti più felici, aperti all’aggiornamento della pittura italiana dell’Ottocento riguardo alla lezione del linguaggio, dell’interpretazione
e della tecnica desunta dal realismo francese come “per il suo profondo intendere il naturalismo romantico
di Fontanesi e, attraverso di lui, il sensibilismo psicologico dei pittori lionesi e il tonalismo di Corot, compare un superamento dello spazio rappresentativo o puramente ottico, che la prospetta come una delle più
avanzate esperienze in Italia” (G. Bruno). Forse la critica si è più occupata dei pittori di “macchia”rispetto
agli artisti appartenenti a questa Scuola, è pur vero però che la pittura di macchia è tra le componenti che
hanno inciso in modo positivo sulla loro formazione che aveva scelto la campagna savonese, vicino a Carcare, per trascorrere il periodo estivo e sarà Anton Giulio Barrili nel suo romanzo Amori alla macchia ad interessarsi delle vicende di questo cenacolo; così scriveva: “Anni fa ci veniva il Rayper, poverino, che era tanto
bravo; ed un altro dei buoni il Sig. D’Andrade e tanti altri ancora, tutte le estati che certe volte a passare per
la vallata, non si vedevano che gli ombrelli bianchi e dritti come funghi prataioli”.
Abitare il Novecento ligure, una questione di occhi e di cuore Questa sezione intende inserire
una folta schiera di artisti savonesi che, partendo, da strade e origini diverse, hanno lasciato a Savona e zone
limitrofe opere, lavori in alcune raccolte pubbliche e tanti collezionisti che conservano le loro creazioni che
testimoniano il “lievito” culturale di questo Territorio scandito dalle due guerre mondiali del Novecento e
da alcune personalità di rilievo che portarono da Vado Ligure alle Albisole, passando per Savona, altri artisti di fama, organizzarono mostre, incontri con la gente, ricerche sulla ceramica e così via di cui ancora oggi
si avverte la mancanza, il ricordo ci porta a Luigi Pennone (Lupe) ed a Tullio d’Albisola ed a Renzo Aiolfi
per la sua energia nel riaprire la civica Pinacoteca di Savona (1965) e nel valorizzare l’arte locale. In questo periodo ci furono davvero le compresenze di numerosi interessanti artisti che hanno sperimentato varie
tecniche (dalla ceramica all’incisione, al vetro al disegno, all’illustrazione) e che, brevemente, si cercherà di
illustrare nei profili sotto descritti, l’elencazione è casuale e non vuole certo fare alcuna classifica.
Fraschieri Giuseppe
“Pia De’Tolomei nel castello di Maremma”
olio su tela, cm.73x97
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Frascheri Giuseppe
La pittura di paesaggio ebbe nel secolo XIX una produzione fiorentissima che portò ad echi ed esiti, tra
Liguria e Piemonte, significativi fino agli anni Venti del Novecento (in questa mostra oltre al già ricordato
Rayper troviamo Resio, Gallo, Peluzzi ), ma un caso particolare è la pittura di Giuseppe Frascheri (Savona, 1809- Sestri Ponente, 1886), un’artista finalmente rilanciato anche nel settore del collezionismo e non
solo conservato in importanti musei nazionali ed all’estero. A Firenze (1829), grazie al Bezzuoli, il Nostro si
accosta ai modelli del purismo internazionale di storia e con riferimenti alla letteratura di Ingres e di A. Scheffer (una delle sue opere più famose Dante e Virgilio incontrano Paolo e Francesca del 1850 richiama il medesimo popolarissimo soggetto di Scheffer). Il suo inserimento nella pittura romantica è dovuto alla scelta di
temi prevalentemente letterari, prediligendo, anche, una “poetica degli affetti”. I suoi frequenti contatti con
la cultura inglese, patria di sua moglie, lo porteranno dagli anni Sessanta del sec. XIX ad inserire nella sua
pittura elementi legati alla poetica decadente. Questa mostra vuole, altresì, ricordare la sua nascita a Savona
nel 1809 e che nel 1842 divenne direttore dell’Accademia Ligustica di Genova. Desidero rammentare, oltre
agli storici dell’arte Franco Sborgi e Gianfranco Bruno coi quali ho collaborato in alcune occasioni parlando
anche di Frascheri, l’amico Bruno Barbero che ancora recentemente, prima della sua prematura scomparsa,
ha curato (assieme a Eliana Mattiauda) la mostra Romantici languori. La pittura di Giuseppe Fraschieri tra
poesia e melodramma a Savona nel 2010.
Dopo questa premessa un po’ corposa su due, come dire, Maestri dell’Ottocento di questo Territorio, passo a
tratteggiare il profilo degli altri Artisti che fanno parte di questa sezione e che hanno tratto dagli insegnamenti
di cui sopra, certamente, linfa per il loro innato talento e che sono ben presenti in tante case private, oltre che
in Collezioni pubbliche, savonesi.
Fraschieri Giuseppe
“Scena storica”
acquerello, cm.25x29
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Pia De’ Tolomei tra storia e leggenda
Narra la storia, circonfusa di leggenda, che Pia de’ Tolomei sarebbe stata la prima sposa di Nello de’ Pannocchieschi, Signore del Castel di Pietra e Podestà di Volterra e di Lucca, Capitano della Taglia Guelfa nel 1284 e vissuto almeno fino al 1322. La Tolomei, vittima di un’infelice vita coniugale, sarebbe stata assassinata ad opera del marito che la fece precipitare da una
finestra del suo maniero, Castel di Pietra (situato in Maremma), dopo averla reclusa, probabilmente a
causa della scoperta di un’infedeltà da parte di lei, oppure per liberarsene in maniera sbrigativa, desideroso di risposarsi con un’altra damigella, Margherita Aldobrandeschi Contessa di Sovana e di Pitigliano.
Sulla figura di Pia, tra realtà e mito, sono stati scritti moltissimi libri, alcuni basati su fatti esclusivamente storici,
altri coinvolgendo i molti racconti della tradizione popolare toscana. Quasi tutti sono concordi sul fatto che la
donna appartenesse alla Famiglia Guastelloni di Siena, casato di nobili e banchieri, e che avesse sposato in
prime nozze Baldo d’Aldobrandino dei Tolomei, di cui rimase vedova nel 1290, dopo aver dato alla luce due figli.
Deceduto il primo marito, a partire dal secondo matrimonio con il Signore di Castel di Pietra in poi, le vicende di
Pia si complicano decisamente: alcune versioni sostengono che la donna non fosse in grado di dare eredi a Nello
e, per questa ragione, lui l’avesse fatta uccidere da alcuni sicari. Altre ci raccontano appunto di un tradimento
da parte della donna e della gelosia del suo consorte, bramoso di sposare Margherita a discapito di sua moglie.
Innegabili certe verità storiche ma su questa appassionante telenovelas ante litteram, probabilmente, la verità non la scopriremo mai. Resta un curioso “reperto” a lei riferito (almeno dalla leggenda popolare) lungo la statale SP73bis che da Siena porta a Massa Marittima, nei pressi di Rosia. Si tratta di un ponte a
schiena d’asino, costituito da una sola arcata a tutto sesto e sorretto da un basamento a scarpa, creato a
tal modo per far sì che le acque del torrente sottostante non indebolissero le sue fondamenta. Ancora oggi
è possibile attraversarlo a piedi, ma è necessario fare molta attenzione perché il ponte è privo di parapetti.
Questo ponte fu eretto in epoca romana e successivamente ricostruito intorno all’anno Mille: la tradizione vuole che da qui sia passata la Pia de’ Tolomei per recarsi in esilio nel Castel di Pietra in Maremma. L’evento è ricordato nel Canto V del Purgatorio della Divina Commedia: “Deh, quando
tu sarai tornato al mondo / e riposato della lunga via”/ seguitò il terzo spirito al secondo, / “Ricorditi
di me, che son la Pia; / Siena mi fè, disfecemi Maremma: / salsi colui che innanelata pria / disposando
m’avea con la sua gemma”. Quel “ricorditi di me…” è uno dei più struggenti passi della Divina Commedia, riferito ad una donna che pare aver vissuto un’esistenza triste, solitaria, malinconica ed incompresa.
Ci sono forti “sospetti” che la biografia di questa gentildonna senese vissuta nel 1200 sia stata ricostruita
a tavolino, proprio a partire dal passo dantesco e integrando varie informazioni rinvenute negli archivi.
La vicenda umana di Pia, così lontana da noi temporalmente, pare avere invece un forte eco specialmente
nei nostri tempi, così tristemente ricchi di cronache che riportano storie di donne vittime di abusi, maltrattamenti e femminicidi ad opera di uomini violenti e brutali. Il personaggio ha ispirato nei secoli svariati
poemi, tragedie, romanzi, film e perfino in tempi non lontani un’opera rock firmata da Gianna Nannini. Ciò
a dimostrare di come abbia sempre suscitato interesse la storia triste di questa vera e propria “anima in pena”.
Sul ponte di Rosia sono in molti a giurare di aver visto il fantasma della nobildonna, immobile e quieta, nelle notti prive di luna, circondata da un flebile chiarore, vestita di bianco e con un velo a coprirle il volto. Che
Pia stia ancora aspettando di salire in Paradiso? In fondo è stata proprio lei a confessare a Dante che nessuno
della sua famiglia avrebbe pregato per lei…
Rayper Ernesto
“Paesaggio 1867”
olio su cartone, cm. 28x41
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Rayper Ernesto
Ernesto Rayper , (Genova,1840 – Stella Gameragna, 1873)- col suo bagaglio culturale (frequentò lo
studio ginevrino di Alexandre Calame e conobbe la pittura di paesaggio da Corot alla Scuola di Barbizon)
è stato un’artista molto ricettivo riguardo ogni sollecitazione culturale del suo tempo. Il suo interesse per i
dati paesistici era minuzioso, si può dire che in certe opere era quasi inventariale, mentre l’impostazione
spaziale e la scelta dei soggetti evocano, finanche, la produzione di Daubigny, arrivando ad approfondire il
linguaggio di Fontanesi ed avvicinandosi, in qualche modo, ai pittori di “macchia”, pur restando fedele alla
sua impostazione che privilegia la descrizione di un soggetto specifico attraverso lo studio della luce naturale
e seguendo la libertà di scrittura pittorica dei francesi.
Parodi Antonio
“Porto di Savona, la torretta “ 1904
olio su tela, cm.50x80
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Parodi Antonio
“Porto di Savona” 1904
olio su tela, cm.50x80
Parodi Antonio
Antonio Parodi, nato a Genova Pegli nel 1853 e scomparso a Savona nel 1912, è un’artista, quasi, poco
conosciuto al grande pubblico ma che merita certamente nuova attenzione, considerati i suoi studi presso
l’Accademia Ligustica di Genova ed il suo stile alquanto personale.. Affinò la sua tecnica e la sua ricerca sul
paesaggio a Milano ed a Roma per, poi, dedicarsi quasi esclusivamente al ritratto di borghesi e aristocratici.
Partecipò a numerose mostre anche in Liguria, in particolare alla Promotrice di Belle Arti di Genova dove
fino al 1891 fu presente con regolarità, si rammenta l’opera “Riviera di Vado Ligure” del 1877 che tanto
interesse suscitò.
Resio Raffaello
“Pesca notturna”
acquerello, cm.53x34
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Resio Raffaello
Raffaello Resio, (Genova, 1854 – Savona, 1927)savonese d’adozione Lui genovese di nascita, noto soprattutto come il “pittore degli angeli”, inizia come allievo di Nicolò Barabino e, quindi, si accosta ai temi
storici (ha narrato le vicende di Papi Della Rovere di Cristoforo Colombo), per passare via via a quelle letterari (rileggendo da par suo la pittura romantica di Fraschieri) da Dante a Virgilio. Raffinato acquarellista,
ha spaziato come affreschista, pittore da cavalletto fino all’ultima parte dei suoi lavori con spiccati accenti
liberty. Si trovano testimonianze della sua attività da Roma, Firenze, Napoli, Venezia e in tutta la Liguria,
soprattutto quella che non si affaccia sulla costa e, quindi, seguendo il suo “segno” si può scoprire, anche,
l’entroterra ligure da est a ovest, così ricco di testimonianze in gran parte da rileggere per togliere dall’oblio
questo artista, quasi del tutto dimenticato, come ho cercato di fare con il mio libro/ricerca lui dedicato.
Motta Domingo
“ Villa Gavotti 1939”
olio su tela, cm.65x45
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Motta Domingo
Motta Domingo Genova 1872 - 1962)
Segue gli studi classici al Liceo Ginnasio Doria, iscrivendosi, poi, all’ Accademia Ligustica di Belle Arti.
Successivamente frequentò lo studio del pittore paesista e ritrattista piemontese Vittorio Cavalleri, ed anche quello del pittore ligure Cesare Viazzi, a Palazzo Doria del Principe. Completa i suoi studi iscrivendosi all’Accademia di Belle Arti di Roma.
I suoi primi lavori sono, però, riferiti al campo della scenografia per il Teatro Carlo Felice di Genova, e altre compagnie.Il suo
esordio come pittore risale al 1896 quando, presso la Società Promotrice di Belle Arti, presenta l’opera Schiuma nera.
Verso il 1899 ha inizio la sua esperienza parigina che si rivelerà particolarmente importante. Prima di ciò partecipa assiduamente
alle mostre regionali liguri e, dal 1896, entra a far parte della Famiglia Artistica Ligure, circa venticinque artisti tra pittori, scultori
e architetti: Bardinero, G.B. Bassano, Angelo Costa, Calderara, Figari, Pennasilico, Sacheri, Guido Mejneri, Cesare Viazzi ed altri. Nel 1898 esegue il celebre dipinto “Lo spaccapietre”, di ispirazione verista, legato ad un nuovo realismo sociale, antiborghese.
Del 1899 il ritratto dal titolo lris (omaggio all’opera del compositore livornese Pietro Mascagni), di gusto postimpressionista legato
a tematiche simboliste floreali. Tornando alla sua esperienza parigina Motta segue con particolare attenzione lo studio dei colori e
di nuove tecniche, da citare l’importante dipinto Studio per un ritratto della Signora Pia Porta Crespi datato 1900, nel quale egli
dimostra di aver appreso le nuove teorie artistiche del tempo. A Parigi espone alla Galerie Georges Petit alcuni dipinti e numerose
incisioni. Con questa tecnica si era particolarmente specializzato producendo incisioni a tre colori (tricromie), rosso, giallo e blu.
Inizia ad esporre ai Salon parigini, ottenendo notevole successo. Gli editori Pierrefor, parigino, e Lebau, tedesco, pubblicano le
sue incisioni ed organizzano, nel frattempo, numerose mostre a livello europeo. Verso il 1906, arricchito da così importanti esperienze, rientra a Genova. Riprende ad esporre regolarmente presso la Società Promotrice di Belle Arti dove nel 1907 presenta le
seguenti opere: Il giardino; Ritratto di signora; La bruma; L’albero.Nel 1909 entra a far parte della Società di Belle Arti in Genova, derivazione della vecchia Promotrice. Insieme al De Albertis frequenta Plinio Nomellini, a Torre del Lago, avvicinandosi così
al divisionismo. Nel 1915 è nominato Accademico di Merito presso l’Accademia Ligustica; nel 1916 partecipa alla Mostra dell’Incisione Italiana, a Londra e ad altre importanti rassegne: a Liegi (medaglia d’argento); a Barcellona (medaglia d’oro); a New York,
Tokyo, poi a diverse personali a Parigi, Londra, ecc. Nel 1918 partecipa all’Esposizione “La giovane Liguria” a Viareggio; crea il
primo Gabinetto Calcografico Comunale e dal 1930 al 1934 dirige le Scuole d’Incisione dell’Accademia Ligustica. Pittore, incisore, scenografo, segue un percorso artistico variegato.Sensibile ritrattista, inizialmente legato ad atmosfere liberty-simboliste, interpreta il divisionismo e giunge all’esperienza del secondo futurismo, resta comunque legato al realismo e al decorativismo. Noti
i suoi cicli pittorici riguardanti i grandi musicisti, condottieri, signore della Belle Epoque, strade di Albaro, vecchia Genova.Assai
nutrita la sua partecipazione a mostre e rassegne sia in Italia, sia all’estero. Nel 1938 Mostra di Pittori Liguri dell’Ottocento, a
Palazzo Rosso; Mostra Personale a Cairo Montenotte, con C.L. Gallo ed E. Peluzzi.Partecipa assiduamente alle esposizioni della
Promotrice:1896-99, 1902, 1907-08, 1910-11, 1912, 1913-16, 1920-28, 1931-32. Collabora, anche, per quel che riguarda la calcografia con.Arnaldo Vassallo (Gandolin). Sue opere figurano nelle più prestigiose collezioni pubbliche e private: Genova-Nervi,
Galleria d’Arte Moderna; Genova, Istituto Mazziniano e Gabinetto delle Stampe di Palazzo Rosso; Londra, National Marittime
Museum; Milano, Castello Sforzesco; Roma, Galleria d’Arte Moderna; Tokyo, Museo; Cairo Montenotte, Municipio.
Gallo Carlo Leone
“Paesaggio a Cairo Montenotte 1922”
olio su tela, cm. 66x50
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Gallo Carlo Leone
Carlo Leone Gallo, (Cairo Montenotte, 1875 – ivi, 1960)- nativo di Cairo Montenotte, frequentò a Savona
lo studio del pittore De Maestri che lo avviò all’Accademia Albertina di Torino, dove ebbe come insegnanti
G. Grosso e Girardi. Molto attivo anche nel settore degli ex voto (il Santuario della Madonna del Deserto
in Millesimo ne custodisce un buon numero) che connotano da un lato il suo attaccamento al Territorio, al
lavoro che qui si svolgeva ai drammi ad esso legati. Uomo schivo, ha cantato ogni angolo della sua Cairo,
della Valle Bormida, ha ritratto i vangatori, nel solco dei grandi maestri dell’Ottocento italiano quali Pelizza
da Volpedo, ha eseguito ritratti di personaggi locali, anche per poter sopravvivere seppur fu uomo molto
povero e parco. Il sentimento dell’umiltà e della solitudine fa da contraltare a quello della bellezza del paesaggio riperso da vivo con una tavolozza ricca, emozionante, piena di luce e di poesia. Il suo motto era:
“servire l’arte anziché servirsene”.
Farfa
acquerello, cm 31x 22,5
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Farfa
Farfa (Vittorio Osvaldo Tommasini) – (Trieste, 1881- Sanremo, 1964) – ceramista, pittore, cartopittore, e molto altro questo è stato il poliedrico Farfa: è impossibile poterlo etichettare (non è, infatti, soltanto un
pittore futurista), ma come diceva di lui Jorn: “Farfa è il Futurista” perché viveva ed agiva proprio in modo
futurista. Si deve proprio ad Asger Jorn, ad Enrico Baj e a Palazzoli se, alla fine degli anni Cinquanta ed
inizio anni Sessanta sia approdato a Milano con le sue creazioni sempre innovative e ricche di originalità.
Il suo interesse ha spaziato, con grande intensità e partecipazione, dal teatro alla poesia, dalla musica all’architettura, dalla ceramica alla cucina, dalla pubblicità alla animazione (“Quarti d’ora di poesia”). Questa
panoramica ci permette di capire quali e quante fossero le sue curiosità, i suoi coinvolgimenti tanto da farci
affermare che il nostro Artista si può senz’altro ascrivere nella storia dell’arte contemporanea per la sua capacità inventiva, per i suoi collages, vere e proprie espressioni artistiche di grande risonanza dove la ricerca e
l’uso dei materiali poveri quali le carte colorate (Farfa era “cartopittore” per necessità in quanto, non avendo mezzi finanziari, non poteva comprare i tubetti dei vari colori per fare i suoi quadri) lo hanno indotto
a realizzare opere di impianto astratto-costruttivistico. Risale al 1910 la sua prima apparizione futurista a
Trieste, nel 1919 incontrò Marinetti e nel 1924 espose a Torino dove l’anno dopo partecipò alla Mostra Futurista. Fu tra i fondatori con Oriani e Fillia del Gruppo torinese futurista. Dal 1928 al 1958 visse tra Savona e Albissola Marina dove, con Tullio d’Albisola e Acquaviva, diede vita al Gruppo futurista Ligure creando, anche, molte ceramiche con le quali fece una ricerca originale sulla forma dell’oggetto, spesso in chiave
ironica e futurista. La derivazione surrealista di alcune sue opere è molto interessante, così come lo sarebbe
poter provare una conoscenza da parte di Farfa di Svevo, ma per ora ciò non è stato ancora provato. Le
opere tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando ormai il mito della macchina futurista era lontano, infatti,
prendono forme di oggetti che non hanno più connotati naturali ed il movimento origina delle figure geometriche che danno vita ad una scenografia favolistica dove nasce l’evento descritto grazie al suo linguaggio
originale e personalissimo. La latta, così cara a Farfa nel rispetto più rigoroso dei canoni estetici del Futurismo, è la materia con la quale nel 1930 ha creato “Prue” presso la fabbrica di Vincenzo Nosenzo a Zinola
(Savona), un industriale amico dei futuristi e che ha dato il via agli straordinari libri di latta ideati da Tullio
D’Albisola e al Manifesto di latta (1931) con una poesia di Farfa e una efficace illustrazione di Giovanni Acquaviva. Il suo vasto e vulcanico mondo culturale lo ha presentato anche nell’ultima veste di patafisico: nel
Farfa equilibrista della parola, nel giocoliere del domino, con la carta colorata, con i bottoni, con i lustrini.
Benech Stefano
“Natura morta 1930”
olio su tavola, cm.64x50
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Benech Stefano
Benech Stefano Savona 1884 - 1978
Nato a Savona nel 1884, dove muore nel 1978. Dopo gli studi classici, frequenta la scuola di pittura di Giacomo Grosso all’Accademia Albertina di Torino. Nella stessa città espone, a soli diciannove anni, alla Società
Promotrice di Belle Arti. In seguito, prende parte a diverse esposizioni internazionali (Vienna, Buda¬pest,
Berlino, Monaco) ed è presente a tutte le collettive della Società Promotrice di Belle Arti di Torino, Milano e
Genova. Gli sono dedicate molte personali soprattutto nelle più importanti città del Piemonte e della Liguria. Nel 1930 è nominato Accademico di merito per la classe Pittura dell’Accademia Ligustica di Belle Arti.
Appassionato cacciatore, predilige, in un primo tempo, i soggetti di caccia: cani da ferma, cavalli e cavalieri,
partite di caccia alla volpe, ecc. Successivamente affronta anche la pittura di paesaggio, d’ispirazione ligure e
piemontese, il ritratto e le nature morte. Tra i dipinti di paesaggio si ricordano: Alba sul Monferrato (1905),
Orto dei passeri (1912) e Pesco morente (1920); tra i ritratti, emergono quello della moglie e di alcune signore
dell’aristocrazia e dell’alta borghesia piemontese e ligure. Alcune sue opere figurano in Gallerie Civiche.
Gambetta Mario
“Carnevalata”
olio su tela ,cm. 60x50
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Gambetta Mario
Mario Gambetta – (Roma, 1886 – Albissola, 1968) – a Roma frequentò la scuola del frescante Bruschi, poi
seguitò come autodidatta. Diviene direttore della fabbrica “Alba Docilia” dal 1918, data del suo trasferimento
in Albissola: questo sarà l’inizio di un periodo di sperimentazioni e di ricerche nei diversi settori artistici. Uomo
di vasta cultura e fu direttore (dal 1928 al 1932) della Scuola di Ceramica di Albissola Marina proponendo il
fondamentale studio dell’”antico Savona”. Ha partecipato a numerose Biennali veneziane (dal 1930 al 1942
con una mostra personale nell’’edizione del 1940), alle Quadriennali di Roma (1931, ’35,’39,’43,’47,’56) e
molte altre significative esposizioni. Nel 1938 è stato nominato Accademico di merito della Ligustica di Genova. Ha stretto amicizia con Martini e Rambaldi, con Gio Ponti, Sbarbaro, Venturi, Capogrossi, Barile per
citare alcuni rappresentanti della cultura del periodo. La pittura e l’incisione sono state anche sue espressioni
molto originali usando la matita, il lapis a Contè, la sanguigna, il carboncino, prediligeva la china, aprendo il
suo segno alla dimensione del fantastico. La sua pittura ha un taglio prospettico originale, un disegno sempre
limpido e vitale. Spesso ci sono atmosfere metafisiche e soggetti tratti dal mondo circense. Nei ritratti, nei
paesaggi oltre alla ricerca del vero, entra in gioco un atmosfera più poetica e serena. Citiamo la sua opera ceramica presso il Palazzo delle Poste in Savona del 1933 – Il telegrafo – che fa parte della sua attività di decoro
per architetture realizzate con la ceramica.
Martinengo Emanuele
“Marina 1942”
olio su tavola, cm. 34x45
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Martinengo Emanuele
“Marina 1942”
olio su tavola, cm. 34x45
Martinengo Emanuele
Emanuele Martinengo – (Savona, 1889 – ivi, 1962) – terminati gli studi in legge, ha frequentato l’Accademia Albertina di Torino seguendo, anche, l’ambiente intellettuale torinese, fece, infatti, amicizia con
Carena, Casorati e col poeta Gozzano. Partecipò a numerose significative mostre nazionali (Biennali di
Venezia e Quadriennali di Roma) ed alle Sindacali di Genova. Scelse di dipingere tra Piemonte e Liguria
rimanendo sempre solitario e non aderendo a scuole o gruppi ma sempre con grande rigore etico, partendo da una matrice impressionistica come dire classica, cercherà “pagine” di vera novità sentendo il Bello,
la Natura come categoria culturale da conoscere per difenderla al fine di una sempre migliore qualità della
vita. Pittura la sua dal vero per cercare di carpire i segreti della luce e dell’intimità dei luoghi (libri, vasi di
fiori, seggiole), fino a fare ritratti legati agli affetti familiari di rara intensità poetica. Savona è stata da Lui
amata moltissimo, certi suoi quadri oggi sono vere pagine di storia urbana, in quanto sia gli esiti nefasti dei
bombardamenti della seconda guerra mondiale sia le decisioni, a volte, altrettanto infelici degli urbanisti
hanno stravolto il profilo del nostro centro storico e restano le sue vedute dall’alto, in alcuni suoi lavori si
possono trovare delle affinità con l’arte di Rodocanachi, che dimostrano la sua capacità tecnica e di sintesi
nell’’interpretazione, non solo reale, del paesaggio ripreso.
Martini Arturo
“ San Giorgio e il drago”
stampo in terracotta, cm. 91
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Martini Arturo
Arturo Martini ,- ( Treviso, 1889 – Milano, 1947), visse per un certo periodo a Vado Ligure quando nel
1920 sposò Brigida Pessano e qui ha lasciato un “segno” innovatore decisamente importante per il mondo
artistico e culturale savonese grazie, anche, alla sua amicizia col pittore Eso Peluzzi. Nel 1921 aderì a “Valori Plastici”dando vita a opere per privati e committenti pubblici di grande rilevanza: “Pegaso”, 1933 per il
Palazzo delle Poste di Savona, “Il benefattore”, monumento funebre per ricordare il sacerdote Cesare Queirolo di Vado Ligure del 1932-1933, il Monumento ai Caduti di Vado Ligure). Molto personale e importante
la sua produzione di ceramica improntata a una “dimensione scultorea”. Fu amico di Mario Labò, Manlio
Trucco e Tullio d’Albisola. La sua, come dire, produzione ligure, inserita nel contesto più ampio della sua
attività, mette in luce le varie fasi evolutive della sua arte: dall’iniziale adesione a Valori Plastici, alla ricerca meditativa sull’arcaismo, inteso quale ritorno alla purezza formale , alla classicità, financo alla tensione
espressiva ed emozionale ottenuta attraverso l’uso di materiali, come dire poveri, ossia la terracotta e la pietra, per ritornare ad una forma di linguaggio primario.
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Martini Arturo
“Figure”
china,cm. 44x30
Berzoini Lino
“Fiori di campo 1945”
olio su tavola, cm. 50x59
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Berzoini Lino
Lino Berzoini – (Ficarolo, 1893- Albisola Superiore, 1971) – trasferitosi a Torino nel 1919, studiò all’Accademia Albertina di Torino come allievo di Casorati e G. Grosso; iniziò la sua attività presso la manifattura
“Lenci”.Inizia ad esporre dal 1924 alla Promotrice di Belle Arti di Torino e nel 1929 alcune sue ceramiche,
prodotte dalla Lenci, sono state esposte alla Galleria Pesaro di Milano e nel 1934 è il protagonista della sua
prima mostra personale alla galleria Codebò di Torino. Tra il 1930-35 consce Tullio d’Albisola e partecipa
al periodo futurista torinese. Nel 1935 si è trasferito ad Albisola e nel 1938 presenzia alla prima Biennale di
Venezia. E’ importante notare che il suo nome compare nel 1938 nel manifesto per la “Ceramica futurista”.
La sua pittura di paesaggio en plein air lo avvicina a Casorati, di cui è stato allievo, e divine amico di Ugo
Pozzo. Farà una importante mostra assieme a Lucio Fontana e nel 1942 è presente alla Biennale di Venezia
e nel 1945 alla Quadriennale di Roma. Dieci anni dopo è stato nominato accademico di merito della Ligustica genovese nella classe pittura. Lega la sua attività di ceramista per la ditta Mazzotti per la quale crea
dei modelli, anche in gesso, cercando come egli scrisse a Tullio di “conciliare la commercialità del pezzo
col senso artistico” (D. Presotto) con un notevole campionario di sculture, monotipi e la produzione di serie ottenuta col collaggio della terra bianca dentro gli stampi. In tali opere vi è ancora il ricordo del gusto
decò della sua produzione torinese e le sue giovani donne mostrano “l’eleganza del nudo femminile”(Lupe,
1937). Importante il suo incontro con Fontana che gli farà cambiare modo di “sentire” la ceramica.
Peluzzi Eso
“Autunno a Cairo 1922”
olio su tavola, cm. 24x33
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Peluzzi Eso
Eso Peluzzi, - ( Cairo Montenotte, 1894 – Monchiero, 1985). Il suo ambiente familiare, padre liutaio e
madre – Placida Rodino – che fu una delle prime donne fotografie in Italia, probabilmente ha influenzato
molto l’inclinazione al bello, all’arte del giovane Eso. Ha compiuto studi all’Accademia Albertina a Torino
(1911-1915) avvicinandosi nei suoi lavori a soggetti romantici; si trasferì dopo la prima guerra mondiale ,
al Santuario di Savona (1919-1923 e, saltuariamente vi rimase fino agli Sessanta del Novecento) dove diede
vita a opere di grande impatto poetico in cui si è accostato all’esperienza del divisionismo (Morelli) rivolgendo, poi, la sua attenzione, forse motivata anche dal fatto di aver conosciuto e frequentato dal 1920 Arturo
Martini, al plasticismo novecentesco. Ha preso parte dalle Biennali di Venezia dal 1928 al 1948, da questa
data iniziò a lavorare a Monchiero, nelle sue amate Langhe, fino alla fine dei suoi giorni avvenuta nel 1985.
Pittore molto amato dai collezionisti e, finalmente, ben considerato dalla critica che vanta attestazioni d
aperte di M. De Micheli, G. Lagorio, F. Sborgi, M.F. Giubilei, F. Ragazzi, M. Vescovo, F. Dioli.
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Peluzzi Eso
“La cucitrice 1921”
olio su tela, cm. 100x90
Agostani Antonio
“ Figura con monocolo”
olio su tela, cm. 31x40
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Agostani Antonio
Antonio Agostani – (Savona, 1897 – ivi, 1977) – uomo ed artista solitario, autodidatta, fu sempre estraneo ad ogni tipo di scuola seppur incline all’espressionismo. Osservatore del quotidiano e vicino, in qualche
modo, alle teorie del socialismo umanitario, negli anni venti del Novecento trasse spunti di una sua pittura
forte, vera, seria. Dal “principio di verità” di Morbelli, financo a echi politici di anima anarchica, guardò
ai diseredati, agli ultimi con particolare sensibilità. Opere povere nel tessuto pigmentoso, con un lirismo
scabro, che ricorda Lorenzo Viani a volte, ha “scritto” pagine irripetibili per interni desolati, solitudine, per
figure ed ambienti che conduco al tormento interiore, alla sua partecipazione con tinte fosche, declinanti
verso il buio, la morte. Anche il paesaggio si adegua al suo ascoltare il silenzio, il dramma con desolati inverni freddi, casolari immersi in ovattate, e quindi magiche, nevicate, con il predominio di bianco sporco e
colori mai accesi ma soffocati dall’angoscia dell’evento ritratto. Ha esposto alla Quadriennale di Roma del
1939, presenziando a tutte le mostre regionali e liguri. Alla Galleria Sant’Andrea a Savona, curatore Luigi
pennone, si ricordano le sue personali del 1956 e 1961, fino al 2002 quando a Savona (Fortezza del Priamar) è stata allestita una sua mostra antologica.
Collina Raffaele
“Il chitarrista 1925”
olio su tavola, cm. 53,5x65
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Collina Raffaele
Raffaele Collina – (Faenza, 1899 – Campoligure, 1968) – fratello di Libero, anch’egli pittore e ceramista,
si diplomò all’Istituto “Aldini” di Bologna e nel 1916 si trasferì a Vado Ligure che diventerà la sua terra d’elezione. Terminata la prima guerra mondiale completò la sua formazione artistica presso l’Accademia Ligustica di Genova dove nel 1949 venne nominato Accademico di Merito. La sua pittura figurativa è vicina
alla cultura del Novecento prediligendo le figure, il paesaggio spesso definito da una accentuata vena tonale
cromatica e gli interni con figure, risentendo inizialmente della lezione di Felice Casorati e di Felice Carena.
Presente alla Biennale di Venezia del 1926. Fondamentale è stato l’incontro a Vado Ligure di Arturo Martini. Nella seconda guerra mondiale sarà tenuto prigioniero in India, a Bohpal, per cinque anni e tale periodo
influenzerà anche la sua pittura. Fondò, con altri, il “Gruppo la Goletta” che ebbe come aderenti Agostani,
Berzoini, De Salvo, Gambetta, Peluzzi. Tra il 1920 – 1930 presso la Fabbrica Mazzotti ad Albissola Marina si dedicò alla ceramica. Nella fornace di Ivos Pacetti dal 1950 ha creato molti arredi ceramici tra cui la
via Crucis (14 pannelli ceramici) per la Chiesa del Sacro Cuore di Savona. Prese parte a n. 4 edizioni della
Quadriennale di Roma. Ha lasciato un’ importante sua esperienza nell’’affresco realizzato in due Sale di
Rappresentanza del Comune di Savona, opere poco note, ma che ancora una volta fanno incontrare l’osservatore con la cultura, la qualità tecnica, e la libera “scrittura” artistica di Collina.
Fontana Lucio
“Concetto Spaziale 1945”
China su carta cm 22x27,5
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Fontana Lucio
Lucio Fontana – (Rosario di Santa Fè in Argentina 1899 – Comabbio, 1968) è stato un pittore, ceramista
e scultore italiano, argentino di nascita, fondatore del movimento spazialista, un grande geniale sperimentatore delle potenzialità spaziali della materia. Figlio d’arte, il padre Luigi era scultore, ha conseguito nel 1918
il diploma di perito edile, scuole seguite in Italia. Nel 1921 è ritornato in Argentina e ha seguito il lavoro
nell’’atelier del padre – “Fontana y Scarabelli” – dedicandosi alla scultura cimiteriale. Nel 1924 iniziò a dedicarsi alla scultura come ricerca e tra il ’25-’27 vinse diversi concorsi pubblici e ricevette le prime commissioni
significative (il Monumento all’educatrice J. Blanco a Rosario). Tornò a Milano a metà del 1927 e si iscrisse al
corso di scultura dell’Accademia di Brera con Adolfo Wildt e la scuola del marmo, si diplomò nel 1929. L’anno successivo è colmo di avvenimenti: partecipa alla XVII Biennale di Venezia e tiene la sua prima personale
alla Galleria Il Milione di Milano, organizzata da Edoardo Persico esponendo Uomo nero, un’opera che ha
dato inizio al tema delle figure umane, private del loro valore plastico e divenute sagome geometrizzanti in
gesso, su strutture esili di fili di ferro. Dal 1935 al 1939 si dedicò all’attività di ceramista in Albisola nella manifattura di Giuseppe Mazzotti con vere sperimentazioni formali e sculture a tutto tondo. E’ stato nuovamente
in Argentina dove ha insegnato (1941-1950), anche modellato e decorazione; fece nascere, in qualche modo,
il Manifesto Blanco, redatto da Bernardo Arias e altri. In quel periodo in un gruppo di suoi disegni compare
il termine “Concetto spaziale”. Nel 1947 ritorna in Italia a Milano, ed a Albissola riprende la sua attività di
ceramista, mentre nello stesso anno con un gruppo di giovani artisti e intellettuali, tra cui Milena Milani, nasce in dicembre il primo Manifesto dello Spazialismo e nel 1948 la seconda stesura del Manifesto. Nel 1949
ha avviato la ricerca sui “Buchi”(opere pittoriche con l’aggiunta di vortici di fori eseguiti col punteruolo), e
poi gli “Olii” opere materiche attraversate da lacerazioni o buchi (prima mostra personale statunitense alla
Martha Jackson Gallery di New York nel 1961). Nello stesso anno sperimenta i “Metalli”, ovvero lamiere
specchianti lacerate. I “Teatrini” sono nati nel periodo 1963-’64 e sono lavori dove le cornici lignee laccate
Fontana Lucio
Concetto Spaziale “Attese”
idropittura su tela cm 33x24
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sono sagomate e compongono forme differenziate., Nel 1966 ha ottenuto importanti successi internazionali:
mostre personali al Walker Art Center di Minneapolis, alla Marlborough Gallery di New York e alla Galerie
Alexander Iolas di Parigi. In Italia gli viene dedicata alla XXXIII edizione della Biennale di Venezia una sala
dove, con l’architetto Carlo Scarpa, ha creato un ambiente ovale labirintico illuminato da una luce bianca e
percorso da tele bianche attraversate da un unico taglio: opera dall’eco straordinaria che vince il premio della
Biennale. Il 1967 vede il culmine del rigoroso monocromatismo, e la tendenza a lacerare le tele utilizzando
segni sempre più regolari ed essenziali, con la serie delle “Ellissi”: tavole ellittiche di legno laccato variamente
colorate e attraversate da buchi eseguiti a macchina, in linea con le nuove conquiste della tecnica.
Tullio d’Albisola
Tullio d’Albisola, pseudonimo di Tullio Mazzotti (Albisola Superiore, 1899 – Albissola Marina, 1971
Figlio di Giuseppe (1865-1944), detto Bausin (da Bolzino, frazione di Varazze, dove aveva vissuto per qualche tempo), dopo la
nascita del primogenito Torido (1895-1988) e del M. aprì nel 1903 una propria fabbrica nel borgo albissolese di Pozzo Garitta,
denominandola «Fabbrica di ceramiche d’arte tradizionale e moderne Giuseppe Mazzotti», e adibì un piccolo forno alla esclusiva
produzione di ceramiche artistiche. Mentre Torido studiava all’istituto di arti e mestieri di Savona, il M., a causa delle sopraggiunte ristrettezze economiche, rimase ad aiutare il padre. Allo scoppio della guerra Torido venne assunto come disegnatore
all’Ansaldo e il M. andò al fronte nel corpo del genio telegrafisti.
Nel dopoguerra Giuseppe, aiutato dai figli, si unì in società con i fratelli ceramisti Valle nel tentativo, poi fallito, di produrre oggetti d’arte. Il M., arrestato a seguito di una rissa con un gruppo di fascisti, venne condannato a due anni di carcere. Processato e
assolto, tornò a lavorare nella fabbrica paterna, occupandosi della parte creativa e delle nuove aperture del mercato.
Nel 1925, in una favorevole congiuntura, che vedeva da una parte il crescere del turismo e dall’altra l’interesse del mercato americano per la produzione ceramica italiana, di buona qualità e a prezzo competitivo, la ditta Mazzotti si ingrandì con l’affitto di
nuovi locali ad Albisola Superiore, dove eseguire la produzione corrente, mantenendo a Pozzo Garrita la produzione artistica. In
questo stesso anno la ditta Mazzotti inviò vasi e piatti all’Esposizione internazionale di arti decorative di Parigi: la sala ligure allestita per l’occasione al Grand-Palais si impose all’attenzione del pubblico per decori e oggetti di grande suggestione (tra le altre,
spiccarono le ceramiche di Manlio Trucco, quelle di Torido e Tullio, e un grande bassorilievo di Francesco Messina).
A Faenza, dove seguirono nel 1929 un corso di specializzazione in ceramica, i fratelli Mazzotti conobbero Gaetano Ballardini e
Giuseppe Liverani, fondatori del Museo internazionale delle ceramiche, e impararono a utilizzare il forno elettrico sia per il cosiddetto «bello», il prodotto decorato e verniciato, sia per il «biscotto»; la novità venne importata ad Albisola e presto seguita dalle
altre fabbriche ceramiche. Lo «stile Albisola», che declinava il déco internazionale con una interpretazione raffinata ed elegante
degli stili ceramici tradizionali, sostenuto da una valida pratica artigianale, si andava intanto affermando con crescente successo:
aumentarono i clienti sul mercato sia francese sia italiano sia americano.
A partire dalla metà degli anni Venti nelle opere del M., instancabile sperimentatore, si avverte un crescente distacco dal déco
locale, sancito definitivamente con la sua adesione al movimento futurista, grazie anche al contatto con Nino Strada, esponente
del gruppo Nuove Tendenze di Milano. In particolare l’opera del M. (che verrà soprannominato Tullio d’Albisola proprio da
Filippo Tommaso Marinetti) attrasse ad Albisola alcuni giovani artisti del gruppo futurista torinese: l’architetto bulgaro Nicolai
Djulgheroff, il triestino Farfa (Vittorio Tommasini), Pippo Oriani, Mino Rosso, Alberto Sartoris e soprattutto Fillia (Luigi Colombo), che cominciò a collaborare con la ditta, fornendo disegni e modelli. Da questo momento, grazie all’incessante attività del M.,
Albissola divenne luogo di aggregazione di pittori, scultori, intellettuali. Nel 1925 il M. cominciò a produrre opere dalle forme
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dinamiche e bizzarre, di grande forza cromatica e dai decori chiaramente ispirati al futurismo: sono le prime ceramiche antidecorative e «antimitative», come le definirà lo stesso M. nel suo libretto La ceramica futurista (Savona 1939), caratterizzate da colori
squillanti solcati da robusti segni neri.
Nel 1927, anno in cui partecipò alla IV Biennale di arti decorative di Monza, il M. iniziò a lavorare con Bruno Munari, ideando
modelli e decori innovativi, dalle forme scomposte e reinventate in una nuova visione spaziale. Nel 1928 espose il Presepe strapaesano alla Mostra dei presepi antichi e nuovi allestita a Torino (palazzo Madama). Nell’ottobre 1929 il M. e il faentino Riccardo
Gatti parteciparono, unici ceramisti, alla mostra «Trentatré futuristi», organizzata da Fillia nella galleria Pesaro di Milano. L’evento segnò il pubblico riconoscimento del M. da parte del mondo artistico e culturale italiano.
Intanto la ditta paterna adottò quale marchio il disegno di una fornace, seguito dalla sigla «M.G.A.» (Mazzotti Giuseppe Albisola).
Tra la fine del 1930 e il 1932, insieme con Alf Gaudenzi, Giacomo Picollo e altri, il M. fondò il genovese «Gruppo Sintesi».
Nel 1930 partecipò a numerose mostre, tra le quali la Triennale di arti decorative industriali e moderne di Monza, «Arte futurista» ad Alessandria, la «Mostra futurista architetto Sant’Elia» e «Ventidue pittori futuristi» alla galleria Pesaro di Milano; nel
1931 espose alla mostra del gruppo Sintesi di Genova, alla «Mostra futurista» di Firenze, alla «Mostra futurista» di Savona. Nel
Manifesto dell’arte sacra futurista, pubblicato a firma di Marinetti e di Fillia per la prima volta su La Gazzetta del popolo di Torino del 23 giugno 1931, il M. è citato insieme con Giacomo Balla, Gerardo Dottori, Fortunato Depero, Djulgheroff, Fillia, Antonio Marasco, Bruno Munari, Enrico Prampolini, Mino Rosso, Tato (Guglielmo Sansoni), Thayaht (Ernesto Michahelles), tra «gli
artisti futuristi elettrizzati di ottimismo colore e fantasia» (Marinetti, p. 203).
Nel 1932 il M. acquistò un terreno lungo la strada Aurelia, alle foci del Sansobbia, e fece realizzare una modernissima casa-laboratorio-negozio, su progetto di Djulgheroff, cui fu aggiunto nel 1934 un nuovo edificio per i laboratori. L’azienda di famiglia (si
erano uniti all’attività anche la sorella minore Vittoria con il marito Marino Baldantoni) aveva ormai una produzione articolata in
serie e in pezzi unici, in ceramiche tradizionali e ceramiche futuriste, alle quali lavorava come ideatore creativo e sovrintendente il
M., in questi anni assiduamente presente alle principali esposizioni del movimento in Italia e in Francia (si ricordano nel 1932 la
mostra «Enrico Prampolini et les aeropeintres futuristes italiens» alla Galerie de la Renaissance di Parigi e altre mostre futuriste a
Torino, Genova, Savona, La Spezia, Catania).
Nell’ottobre 1932 uscì a sua firma su Futurismo (I, n. 7) Le ceramiche futuriste di Tullio d’Albisola: il M. intervenne ancora sulle
pagine della rivista di Marinetti (si ricordano tra gli altri scritti Le ceramiche futuriste di T. d’Albisola del 23 ott. 1932, Le realizzazioni futuriste in provincia di Savona del 6 nov. 1932, Ceramiche e vetri del 1° genn. 1933, Ceramisti d’eccezione del 2 apr.
1933, La Santabarbara futurista del 18 apr. 1933), così come su Stile futurista, il mensile torinese di Prampolini e di Fillia (Dalle
«Tre Grazie» neoclassiche alle aeroceramiche futuriste, ottobre 1934). Nel 1932 dette il via a un inedito esperimento editoriale,
realizzando con Marinetti il primo libro stampato su lamine di ferrostagno litografato a colori, sotto la doppia sigla Lito-Latta e
delle romane Edizioni futuriste di poesia. Sempre in latta è L’anguria lirica del 1934, con presentazione di Marinetti, nota esplicativa di V. Orazi, 12 litografie a piena pagina a colori di Munari.
Si tratta di una raccolta di poesie corredate da illustrazioni e stampate su 42 fogli di latta (compresa la copertina), per una tiratura
di 101 esemplari, 50 dei quali in commercio. Una assoluta novità nel panorama editoriale italiano, subito notata anche in ambito
internazionale, e che venne replicata nel 1934 con le Parole in libertà futurista. Tattili termiche olfattive di Marinetti, 15 fogli di
latta compresa la copertina, 9 testi poetici e 12 litografie a colori a piena pagina del M. (Jentsch, pp. 121, 245).
Curioso e grande sperimentatore, in questi stessi anni il M. avviò la produzione di alcune sculture seriali in lega di cromoalluminio, appoggiandosi a partire dal 1930 alla fonderia Mantegazza di Varazze .
Assidua in questi anni la sua presenza alle esposizioni futuriste: nel 1933 è a Firenze, alla galleria Pesaro di Milano, a Livorno, a
Mantova, Genova, Torino, Roma; nel 1934 a Nizza; nel 1935 a Parigi. Nel 1936 presentò nell’ambito della VI Triennale di Milano, nel padiglione dell’architettura, un pannello in ceramica di 40 m2, allegoria novecentista eseguita con la collaborazione di
Strada e dedicata a Le forze fasciste. Lo stesso anno partecipò alla «Mostra di plastica murale» a Genova, palazzo ducale, con le
sculture ceramiche di Lucio Fontana.
Il 10 apr. 1937 firmò (tra gli altri con Benedetta Cappa Marinetti ed Enrico Prampolini), su La Gazzetta del popolo, il manifesto
marinettiano Poesia e arti corporative, poi ripreso nel testo Estrazione sistematica di nuovi splendori e nuove musiche dai tecnicismi, introduttivo a Il poema non umano dei tecnicismi, pubblicato a Milano nel 1940.
All’Esposizione internazionale di Parigi del 1937 il M. presentò il Fregio delle corporazioni, un grande pannello ceramico di m
3 x 20, sempre in collaborazione con Strada. Il 7 sett. 1938 firmò con Marinetti Ceramica e aeroceramica. Manifesto futurista,
pubblicato su La Gazzetta del popolo di Torino, testo nel quale Albissola è definita «capitale ceramica d’Italia». Un anno dopo
pubblicò La ceramica futurista (Savona 1939).
Intanto, con le sanzioni del 1935-36 e la chiusura dei mercati internazionali, e ancor più con il successivo scoppio della guerra, la
produzione dell’azienda di famiglia subì una flessione. Tuttavia il M. continuava a lavorare incessantemente, sempre più interessato alla ceramica quale «presenza» nello spazio; nel 1939-40 allestì a Napoli, su bozzetto di Enrico Prampolini, all’esterno del
teatro della Triennale d’Oltremare, una grande ceramica murale, vero e proprio intervento monumentale e ambientale. Nel 1942
era a Roma, dove per l’E 42 presentava il progetto di una Strada d’oro di m 1000 x 30, eco di quelle «strade e piazze d’oroceramico» ipotizzate nel Manifesto del 1938.
Al termine della guerra, dopo la morte nel 1944 dell’anziano Bausin, sfollato a San Michele di Mondovì, i fratelli ripresero la produzione tradizionale, lavorando inizialmente soprattutto per ditte di prodotti dolciari, farmaceutici e spiriti.
Gli anni Cinquanta conobbero una nuova stagione creativa, nuovi contatti con il mercato estero e soprattutto l’intensificarsi della
collaborazione già avviata negli anni passati con artisti quali Lucio Fontana, scultore in ceramica per il M. sin dal 1935 (oltre che
illustratore, con 14 disegni, di un suo Racconto, Milano 1943), Giacomo Manzù, Giuseppe Capogrossi, Asger Jorn, Aligi Sassu,
con molti dei quali intrattenne un vivacissimo scambio epistolare. Nel 1954 fu nominato membro aggiunto all’Accademia internazionale della ceramica di Ginevra.
Nel 1959 i fratelli decisero di dividere le attività: Torido divenne unico titolare della ditta Giuseppe Mazzotti, ora G.M.A., insieme con i figli Bepi e Celina, poi con i nipoti Tullio, Marta, Rosa e Francesca. Il M., «trascinatore», «uomo di poche parole» che
«aveva sugli altri un forte ascendente, una notevole personalità», come ricorderà Torido (Mazzotti, p. 197), fondò la ditta Vittoria
Mazzotti, insieme con la sorella Vittoria e con la nipote Esa Baldantoni, attualmente Ceramiche Mazzotti, con sede nella casa
realizzata da Djulgheroff.
Negli anni Sessanta il M. si dedicò, contemporaneamente all’editoria, alla poesia (Amore del «gran fuoco», Milano 1963) e, sulla
scia di interessi «strapaesani» coltivati sin dalla fine degli anni Venti, allo studio e alla diffusione della tradizione ceramica popolare, tramite saggi (La ceramica popolare ligure, Milano 1964; Ceramiche omaggio a N.S. di Misericordia, per il 150° anniversario
dell’incoronazione di N.S. di Misericordia, Savona 1966), recensioni e articoli su riviste quali La Ceramica, Genova (La ceramica
d’Albisola, maggio 1952), Liguria, Il Letimbro. Nell’agosto 1965 venne insignito dell’onorificenza albissolese della Rosa d’oro.
Il M. morì ad Albissola Marina il 19 maggio 1971.
Il nucleo più consistente delle opere del M. è esposto nel Museo internazionale delle ceramiche di Faenza.
La vasta corrispondenza intercorsa tra il M. e i personaggi della cultura, con i quali intrattenne vivaci e costanti rapporti, è conservata dagli eredi nell’Archivio Tullio d’Albisola, ad Albissola Marina. I documenti più significativi sono stati editi a cura di D.
Presotto, in quattro volumi, con il titolo Quaderni di Tullio d’Albisola (Savona 1981-87).
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Tullio D’Albisola
“Areopittura 1967”
Tecnica Mista, cm. 27x32,5
Capogrossi Giuseppe
“Superficie 81” 1954
Olio su tela, cm. 50x60
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Capogrossi Giuseppe
Giuseppe Capogrossi – (Roma, 1900 – Roma, 1972) – si laureò in giurisprudenza e dal 1923-1924 studiò
pittura con Felice Carena. Nel 1927 con Fuasto Pirandello si recò a Parigi dove, poi, seguirono successivi svariati viaggi negli anni a seguire. Nel 1930 è stato presente alla XXVII Biennale di Venezia, alla III Sindacale
di Roma (1932) e da allora partecipò regolarmente a significative esposizioni. Espone per la prima volta nel
1927 in una mostra collettiva alla Pensione Dinesen di Roma con Cavalli, e Di Cocco; ancora con Cavalli,
Cagli e Sclavi partecipa nel 1933 alla mostra nella Galleria Bonjean di Parigi, presentata dal noto critico Waldemar George che per primo si riferì a questo gruppo con il termine Ecole de Rome (da cui quello di Scuola
Romana). Dagli inizi degli anni Quaranta avvia una trasformazione della sua ricerca pittorica: il colore si
accende nelle gamme dei rossi, viola e arancio, e la pennellata si anima. Con il graduale abbandono della
figurazione, dopo un breve periodo di esperienze a carattere neo cubista (1947-1949), approda a un rigoroso
e personale astrattismo caratterizzato da una unica forma-segno che coniugandosi in infinite variazioni arriva
a costruire lo spazio del quadro, rappresentazione simbolica di una interiore organizzazione spaziale. Esponente della Scuola romana, quindi, Capogrossi fu una figura di notevole rilievo nel panorama dell’informale
italiano insieme con Lucio Fontana e Alberto Burri. Partecipò al Premio Bergamo nel 1939, 1940 e 1942 e
più volte alla mostra Documenta di Kassel e alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1950 partecipa alla
fondazione del Gruppo Origine, insieme a Mario Ballocco, Alberto Burri ed Ettore Colla. Nello stesso periodo è presente in Albissola per dedicarsi alla ceramica sempre con i suoi segni uncinati – “le forchette” – una
sorta di linguaggio che permetterà all’Artista numerose variazioni, segni dipinti su campiture monocrome.
Nel 1960 espose, inoltre, alla II Biennale Internazionale di Tokyo. Nel 2012-2013 si svolge una retrospettiva
di Capogrossi alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Virio da Savona
“Case in periferia 1949”
acquarello, cm. 37x48
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Virio da Savona
Virio da Savona (Agamennone Vittorio) – (Verona, 1901- Savona, 1995) – acquarellista, pittore, ceramista, uomo di cultura. “La sua è stata una vita densa di opere, di sete di sapere…” (D. Laiolo), Ebbe
come maestro l’acquerellista inglese Arbethnot e nel 1932 partecipò alla collettiva che Antonio Aniante
organizzò a Parigi nella sua Galleria d’Arte “Jeune Europe”(esponevano anche De Pisis, De Chirico, Levi,
Kokoschka, ecc.) proprio con un acquerello, un paesaggio e da lì prese avvio la sua notorietà , lui parlava un
ottimo francese, musicista, generoso di carattere, piaceva al mondo parigino dove conobbe Tullio d’Albisola
con Ugo Pozzo e Stroppa in visita nella capitale francese. La sua figurazione, col passare del tempo, grazie
alla conquista di una tecnica robusta era improntata ad un forte realismo che trovò nel suo rientro in Italia
(1933) e dopo l’incontro col pittore De Salvo scelse la tecnica della tempera grassa. Visse ad Albissola Marina, una piccola Montparnasse, con importanti presenze (da Lam a Jorn, a Fontana, a Crippa, Capogrossi,
Milena Milani, per citarne alcune), amici artisti e poeti ripresi nella sua monumentale opera “IL cenacolo
degli Artisti di Albisola”. La sua prima mostra risale al 1921, con Peluzzi, Gambetta, Martinengo, al Teatro
Wanda a Savona e nel 1924 diede inizio alla sua attività di ceramista presso la fornace Mazzotti, dove conosce l’architetto Diulgheroiff. Nel 1925 fonda con Noberasco e Scovazzi la rivista “Liguria”. Nel 1934 fonda
il Gruppo degli acquerellisti liguri” con Craffonara, De Luca, A. Barabino e nel 1936 a Genova (Palazzo
Rosso) ordina la prima mostra di tale gruppo. Nel 1938 è nominato professore emerito dell’Accademia Ligustica e nel 1942 partecipa alla Mostra Nazionale di Pittura a Roma. Dal 1957 stabilisce la sua dimora a
Albisola, nel 1981 il Comune di Savona gli conferisce una onorificenza per la sua intensa attività artistica e
culturale.
Lam Wifred
“Totem 1969”
Pastelli su carta, cm.75x55
58
Lam Wifredo
Wifred Lam – ( Suangua La Granda, 1902- Parigi, 1982)- pittore, ceramista di grande rilievo internazionale. Cubano di nascita, nel 1923 s’imbarcò per raggiungere la Spagna, dove visse quattordici anni,
poi nel 1938 conobbe Pablo Picasso e alcuni dei suoi amici (Joan Mirò, Fernad Léger, Hanri Matisse, Paul
Éluard, Georges Braque). Il comandante Ernesto “Che” Guevara parlando di Wifredo Lam Castilla nel
1964, disse:“Il pittore cubano più famoso, Wifredo Lam, fa parte della rappresentazione rituale negra ed è
rintracciabile nella cultura dei paesi dove vivono persone di origine nera”, questa citazione per dire come le
sue “radici” siano state molto profonde e sempre sono emerse dalla sua ricerca. La sua vita s’intreccia, anche, con la vita politica cubana (rientrò a Cuba nel 1941e vi soggiornò per una decina di anni) e spesso vive
in condizioni non positive: nel 1944 vende la sua opera “La Jungla” al notissimo Museo d’Arte Moderna
di New York diretto da James Johnson Sweeney. Ha anche vicende familiari alquanto tristi (nel 1931 perse
la sua prima moglie Eva Piris e suo figlio).Si trasferì, poi, a Parigi e in Italia visse circa vent’anni e molti di
questi ad Albissola Marina dove nel 1959 arrivò su invito di Jorn (nel 1955 era già stato a Santa Margherita
Ligure dove produsse una decina di ceramiche alla CAS di Pinelli). La sua cultura, legata alla Antille, agli
insegnamenti avuti da bambino dalla sua governante donna primitiva ma formativa, per le simbologie, le
figure fantastiche tratte dalla tradizione popolare, lo portarono, lui laico, a ricercare una sorta di religiosità
primordiale rintracciabile solo con l’arte, attraverso il mito. Ha creato le sue ceramiche presso la Fabbrica
San Giorgio di Albissola Marina e un disegno per la celebre e unica “Passeggiata degli Artisti”di questa cittadina rivierasca.
Cuneo Renata
“Autoritratto 1942”
matita su carta, cm.29x20
60
Cuneo Renata
“Tobiolo e l’angelo”
terracotta 19x32
Cuneo Renata
Renata Cuneo – (Savona, 1903- ivi, 1986) – studiò a Firenze sotto la guida di Trentacoste e Graziosi, decise di dedicarsi per tutta la vita alla scultura e visse sempre a Savona, città alla quel fu legata da un forte
sentimento di appartenenza tanto che decise di fare una cospicua donazione alla Città di sue opere (gessi,
bronzi, disegni preparatori, ceramiche ora parzialmente esposte nella civica Pinacoteca e nel Priamar di
Savona). Fu influenzata anche dalla lezione di Felice Carena; la sua opera, in qualche modo, si riallaccia alla
tradizione verista degli anni Trenta del Novecento, risentendo parzialmente della rivoluzione posta da Arturo Martini anche se la Cuneo dissentì sempre su tale punto, riabilitando la scultura a carattere funerario e
religioso (si ricorda nel Duomo di Savona la sua scultura dedicata al Vescovo Righetti), la sua cassa processionale lignea del Venerdì Santo - Il bacio di Giuda” - e l’intensa attività svolta per la Chiesa di S.Raffaele
al Porto di Savona. Prese parte a diverse Biennali di Venezia (1934,36,40,42,48) ed alla Mostra italiana a
Budapest nel 1936. Nelle sue sculture in bronzo, pietra, o marmo come nella ceramica si trova un’intima
coerenza, uno studio assiduo del segno in “quelle forme chiuse e salde” che portano la Scultrice a creare
opere al di fuori di ogni formalismo o di eccentricità (così scrisse Zanzi nel 1950), fino ai suoi Angeli musicanti ceramici dalla plastica palpitante e fremente, fluida, con echi dalla lezione di Fontana, per arrivare ai
monumenti sparsi nelle piazze di Savona, come la cosi detta “Fontana del pesce” del 1963: segno eloquente
della sua arte e del suo amore per la Città natale.
De Salvo G.B.
“i tre cappelli”
olio su tela, cm. 47x64
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De Salvo Giovanni Battista
Giovan Battista De Salvo - (Savona, 1903- ivi, 1964) – si formò alla scuola di Eso Pleuzzi, la Scuola
d’Arte per ora ancora da indagare completamente, dal 1924 iniziò a collaborare con la fabbrica La Casa
dell’Arte di Albisola, divenuto direttore artistico di tale realtà negli anni Trenta del secolo scorso partecipò,
sempre con successo per la sua ricerca sulle forme e sui colori, alle maggiori rassegne nazionali e internazionali (biennali di Monza di Arti Decorative anni 1920-1930). La raffinatezza delle sue forme (costolature e
dischi concentrici in orizzontale) e dei colori, resi da un uso sapiente e molto personale degli smalti opachi
(mat) e delle vernici incrinate (craquelés) lo portarono a laboriose sperimentazioni con una vasta gamma
cromatica, fono as creare opere per l’arredo. L’ultima sua partecipazione con La Casa dell’Arte risale alla
VII Triennale del 1940. La sua attività artistica, libera e personale dai modelli di riferimento del postimpressionismo, ebbe successo, anche, come pittore partecipando alle Biennali veneziane (dalla XVIII alla
XXIV edizione) e ad alcune edizioni delle Quadriennali romane. Seppe unire l’elemento naturalistico ad
una visione d’insieme che resero le sue ceramiche originali.
Rambaldi Emanuele
“Parigi 1950”
olio su tela,cm. 60x50
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Rambaldi Emanuele
Emanuele Rambaldi – (Pieve di Teco, 1903 – Savona, 1968) – nel 1925 a Chiavari fondò con il critico
Attilio Podestà il Gruppo d’Azione d’Arte con Pescini, Falcone e Pierazzi che fu il primo movimento artistico moderno in Liguria. La sua formazione autodidatta, lo portò a partecipare al movimento culturale del
Novecento, osservando e lavorando sul particolare aspetto del “realismo magico” del quale Oppi è stato il
massimo esponente. Dopo una breve frequentazione del movimento futurista (Tabarin, 1922) ed aver interpretato personalmente l’insegnamento espressionista (Entrata al tabarin, 1920) e post impressionista (L’albero, 1922) e dopo qualche composizione cubista verso il 1935 ha prediletto, soprattutto, il paesaggio con
le sue famose vedute liguri, quelle parigine e quelle della Costa Azzurra, dove soggiornò intorno agli anni
Cinquanta del secolo scorso, nonché le nature morte con una forte vena poetica ed intimista. Ha manifestato un colorismo accentuato e una pittura quasi materica. Fu, anche, un ottimo disegnatore e acquafortista.
Molto intensa fu la sua attività espositiva che denota, quindi, anche fortuna critica e legata al collezionismo:
dal 1928 al 1938 ha preso parte a tutte le edizioni della Biennale di Venezia, dove nel 1940 ha avuto una
sala personale. Molte altre mostre sono state organizzate postume come nel 1975 l’antologica svoltasi a Villa
Faravelli a Imperia. Dal 1946 al 1962 fu titolare della cattedra di nudo all’Accademia Ligustica di Genova.
Nel 1927 si era avvicinato, anche, alla ceramica, collaborando con “La Fenice” di Albisola ed intorno agli
anni Trenta ha lavorato come modellatore e pittore presso la manifattura “I.L.C.A.”.
Bonilauri Mario
“Paesaggio 1952”
olio su tela, cm. 57x48
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Bonilauri Mario
Mario Bonilauri – (Milano, 1911 – Savona, 1978) – pittore, illustratore di libri, cartellonista , animatore
del Gruppo savonese del “Cavallino Rosso” con Caldanzano, Agostani, Cabiati, e il critico F. Dante Tiglio
(un gruppo culturale ed artistico fin’ora mai indagato al meglio). Lui maestro di scuola (come l’amico Gigi
Caldanzano), ha usato casa sua quale luogo d’incontro per gli amici pittori e per fare le prime mostre sperimentando sul colore e le forme, usando impasti anche molto materici. Creò gli “Uomini fiammifero”,ritratti
di maghi e giocolieri, poetici paesaggi anche lacustri, arabeggianti profili di Varigotti con le sue case bianche
protese sul mare; espose alla prima mostra d’arte Contemporanea Italiana nel 1946 e fu sempre presente
alle numerose mostre in Liguria e Italia. E’ stato un raffinato cartellonista, tanto da vincere il premio internazionale per i Giochi Olimpici della Neve a Cortina nel 1956 e la significativa segnalazione al concorso
internazionale di Vienna con il manifesto per “La Giornata mondiale del Risparmio” (1963). Il manifesto
è l’immagine “da muro” e Bonilauri ne aveva compreso il significato così moderno, la sua bidimensionalità
nel raccontare una realtà profonda. In tale settore ha ottenuto palesi riconoscimenti quali il primo premio al
concorso genovese per il cartellone della X Sindacale Internazionale d’Arte (giugno 1939), il primo premio
alla VI Mostra Nazionale 5 Bettole di Bordighera, il primo premio ex-equo al Concorso per un Bozzetto a
colori a Rieti (1963). In essi, e nei loro bozzetti preparatori a tempera, ritroviamo una stilizzazione mai povera di contenuti ma di facile di lettura grazie, anche, alla tavolozza dei colori usata con accostamenti cromatici che hanno radici nella cartellonistica futurista, il tutto in aggiunta alla “(…) bella scioltezza sostenuta
dalla freschezza della trovata …” (G. Riva). Si passa dai fosfati Thomas, alle calzature Zeus, dall’acquario di
Montecarlo, alla battaglia dei fiori di Ventimiglia, al carnevale di Savona, al Corriere Mercantile di Genova,
per citarne alcuni: oggi vere pagine di storia anche economica e del turismo.
Bonilauri Mario
“Paesaggio 1952”
olio su tela, cm. 57x48
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Fabbri Agenore
Agenore Fabbri – (Barga, Pistoia, 1911 – Savona, 1998) – scultore. Venne inb Liguria nel 1935 e da allora
fu sempre in contatto con i principali movimenti del rinnovamento culturale ed artistico italiano. Ad Albisola importante fu il suo rapporto con Fontana, Lam, Rossello ed il gruppo Co.Br.A.. La sua cifra personale,
via via, si andò a delineare sulle tematiche dell’urlo, delle lacerazioni sociali e politiche, sulla ferocia umana,
sulla lotta, sulla rabbia. Esordisce a Milano nel 1940 alla Galleria Gian Ferrari, si possono contare fino al
1997 circa una trentina di mostre molto importanti fino alle Biennali di Venezia8 una sala personale nelle
edizioni XXVI e XXX) ed alla Quadriennali di Roma, all’esposizioni all’estero (New York)ai numerosi premi ricevuti, alle importanti commesse pubbliche (a Savona ha lasciato il suo Monumento alla Resistenza).
Il suo messaggio, sempre chiaro e forte, è stato inserito nelle materie usate (dalla terracotta al bronzo) con
particolare capacità evocativa, intensità morale, poetica nella evocazione della luce e del movimento. Nel
suo inizio possiamo trovare echi da Martini e lavori improntati ad un realismo di fondo e dal 1943 forza
espressiva e urgenza morale hanno segnato il suo lavoro sia esso stato espressionista, realista o informale. Gli
acrilici su carta degli ultimi tempi mettono in luce la sua tumultuante forza immaginativa con una sorta di
implosione-esplosione di colori.
1 Fabbri Agenore
“Cavallo”
terracotta dipinta, cm. 40x40x25
70
Pollero Gian Mario
“Collage Suprematista 1947”
tecnica mista, cm. 29,5x11
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Pollero Gian Mario
Gian Mario Pollero – ( Savona, 1911- ivi, 1985) – si era formato presso la Scuola d’Arte “B. Guidobono”
di Savona dove insegnava Eso Peluzzi (una realtà ancora da indagare completamente) negli anni 19331937e si è dedicato alla pittura con ricerche sulle tecniche (l’affresco), la calcografia, la decorazione su vetro
e su ceramica, oltre alla classica pittura ad olio. Ha vissuto sempre a Savona e nella frazione di San Bernardo e fin da giovane iniziò a disegnare, seguendo le orme paterne (Andrea Pollero) esperto nella fusione dei
metalli. Termina i suoi studi tecnici nel 1927 e, ancora adolescente, resta affascinato dal manifesto dei pittori futuristi e dal Manifesto del Futurismo del 1910 di Marinetti. Tra gli anni venti e Trenta del Novecento, con altri artisti savonesi e col poeta Farfa (Vittorio Osvaldo Tommasini) ha dato vita a incontri artistici
dedicati alla ricerca sulle tecniche e sulla poetica futurista; nel 1948 farà un ritratto a Farfa. Ha elaborato la
sua filosofia artistica, partendo dalle idee nuove futuriste, in quanto convinto che l’artista moderno deve rivolgersi al contemporaneo, alle macchine, al caos, alla nuova tensione etica. Nel 1947, con gli amici Cabiati,
Bonilauri, Caldanzano, ha fondato il gruppo sperimentale del “Cavallino Rosso” con il supporto del critico
Franco Dante Tiglio, svolgendo due mostre di gruppo (agosto ’47 e gennaio ’48), sciogliendosi poi per esigenze di liberà individuale. Frequenta l’ambiente culturale di Albissola Marina (anni cinquanta -sessanta
del secolo scorso) con una produzione geometrica - astratta, con a volte contrasti optical, poi ha avviato
una fase vicina ad echi fauves - espressionistici con colori accentuati per sottolineare emozioni latenti, quasi
metafisiche e trascendenti (si rammentano le su “cattedrali”). Uomo e artista schivo e scevro dal mero dato
commerciale è stato anche scultore, creatore di gioielli, ceramista, incisore di metallo e vetro.
Pollero Gian Mario
“Collage Suprematista 1947”
tecnica mista, cm. 24,5x15
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Sassu Aligi
Aligi Sassu (Milano, 17 luglio 1912 – Pollença, 17 luglio 2000
Aligi Sassu nacque a Milano, in Lombardia, da Lina Pedretti, originaria di Parma, e Antonio Sassu, sardo, che nel 1894 era stato
uno dei fondatori del Partito Socialista Italiano a Sassari e che nel 1896 si era trasferito a Milano. Il padre, legato da una forte
amicizia a Carlo Carrà, lo condusse nel 1919, a soli sette anni, all’Esposizione Nazionale Futurista presso la Galleria Moretti di Palazzo
Cova, che vedeva riuniti i più grandi futuristi e le giovani leve.
All’inizio del 1921 la famiglia Sassu si ritrasferì in Sardegna, a Thiesi in provincia di Sassari, dove Antonio aprì un negozio. Lì
Aligi frequentò la scuola elementare e conobbe per la prima volta i cavalli, che diventeranno poi il suo marchio, ed i colori accesi
della Sardegna che permeeranno la sua pittura. Dopo una permanenza di tre anni, la famiglia ritornò a Milano e qui Aligi mostrò ancor più il suo interesse per la lettura e l’arte futurista.
Nel 1925, con la famiglia ormai in ristrettezze economiche, fu costretto a lasciare la scuola. In un primo tempo svolse il lavoro
di apprendista presso la Pressa, un’officina litografica; l’anno successivo quello di aiutante di un decoratore murale; al contempo,
frequentando i corsi serali, riuscì poi a concludere gli studi. Insieme all’amico e designer futurista Bruno Munari, si presentò a Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. Questo incontro fu proficuo: nel 1928 fu invitato da Marinetti a partecipare
con le sue opere alla Biennale di Venezia.
Poco tempo dopo, insieme a Bruno Munari, definì il Manifesto della Pittura “Dinamismo e riforma muscolare” (che rimarrà inedito fino
al 1977), assumendo come presupposto di base la rappresentazione di forme dinamiche anti-naturalistiche. In quegli anni, grazie
alle amicizie del padre, poté conoscere bene le opere di Boccioni e Carlo Carrà, di Gaetano Previati, Giandante X (così era noto
Dante Persico) e Giuseppe Gorgerino, e a loro si ispirò talvolta nei suoi dipinti. Studiò Picasso, Diego Velázquez ed il nudo plastico. Di questo periodo è L’Ultima cena, il dipinto che sintetizza l’arte di Aligi Sassu e, negli abiti moderni dei personaggi e l’ambientazione urbana, preannuncia quello che sarà il suo stile futuro.
Negli anni fra il 1927 e il 1929 dipinse in maggioranza quadri di piccole dimensioni, aventi spesso come soggetto lo sport, le industrie e le macchine; nascono così i Ciclisti, I minatori, L’operaio, Pugilatori e gli Uomini rossi. Con Giacomo Manzù, Nino Strada, Candido Grassi, Giuseppe Occhetti, Gino Pancheri, nel 1930 riuscì ad allestire a Milano la sua prima mostra importante, recensita
anche da Carlo Carrà. Nel 1934 soggiornò per un periodo di tre mesi a Parigi in rue Elisée des Beaux Artes) studiando a fondo le
opere di Matisse, Théodore Géricault, Delacroix, Cezanne ed i dipinti dei pittori dell’Ottocento esposti al Louvre.
In particolare, l’influenza di Delacroix e delle sue battaglie è chiaramente riscontrabile nei dipinti di Sassu. Ritornerà a Parigi l’anno successivo e poi agli inizi del 1936. Nel 1935 formò il Gruppo Rosso con Nino Franchina, Vittorio Della Porta ed altri. Del 1936
è Il Caffè, uno dei suoi quadri più celebri che rappresenta la Coupole di Parigi, così pure I Concilii, visione satirica del clero di Roma.
Nel frattempo il suo impegno politico aumentò e, quando in Spagna scoppiò la Guerra civile, diventò un attivo antifascista. Antifranchista e simpatizzante dei partigiani spagnoli, dipinse la Fucilazione nelle Asturie.
Accusato di complotto, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli a Roma, attraversò un periodo piuttosto problematico alla fine del
quale riprese la pittura. Sono di questo periodo i disegni con soggetti mitologici e i ritratti dei carcerati. Fu graziato nel luglio del
1938, rimanendo però un sorvegliato speciale. Solo nel 1941 poté esporre nuovamente: per la prima volta compaiono in pubblico gli Uomini rossi. L’esposizione avvenne nella “Bottega di Corrente”. Pur partecipando da tempo in modo attivo a Corrente, il
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periodico di opposizione culturale al regime, Sassu preferì optare per una “personale”, non aderendo alle mostre collettive degli
artisti del tempo.
Nel 1943 illustrò i “Promessi sposi” del Manzoni con cinquantotto acquerelli. Presenterà queste tavole successivamente, nel 1983,
nella casa Manzoni a Milano. Nel 1947, trasferitosi in provincia di Varese, lavorò alacremente dipingendo in particolare Caffè, reminiscenze di Parigi, e soggetti sacri. Poco tempo dopo si dedicò alla ceramica producendo circa un centinaio di pezzi. Ritornato in
Sardegna nel 1950, trasse ispirazione dai paesaggi che lo circondavano e dipinse scene della vita contadina e marinaresca, quali le
Tonnare; studiò i murales e i muralisti Diego Rivera e José Clemente Orozco.
Con Mazzotti e Fabbri, nel 1954, a Vallauris incontrò per la prima volta Picasso. Due anni dopo, in un nuovo incontro a La Californie, Picasso gli mostrerà le sculture che esporrà successivamente al Museo di Antibes. Lo stesso anno espose alla Biennale di
Venezia fra le altre opere I martiri di Piazzale Loreto, che Giulio Carlo Argan acquistò per la Galleria nazionale d’arte moderna e
contemporanea. Ad Albissola Capo dipinse il ciclo delle Cronache di Albisola, ben rappresentando la vita artistica della cittadina che
vedeva allora riuniti ceramisti, poeti, scrittori, critici, e di cui Aligi Sassu era protagonista insieme a Lucio Fontana, a Salvatore
Fancello e altri artisti. L’opera, eseguita su commissione del proprietario nella Trattoria Pescetto, occupava un’intera parete di trentacinque metri e, quando 14 anni dopo il locale fu chiuso, venne completamente smembrata. Oggi ne restano solo poche immagini
fotografiche.
Ad Arcumeggia eseguì gli affreschi Corridori (1957), un’opera di notevoli dimensioni in omaggio al ciclismo, Gesù inchiodato alla croce,
XI stazione della Via Crucis (1963), e San Martino dona parte del mantello al povero (1991).
Dieci anni dopo iniziò il suo periodo spagnolo (nel 1963 alle isole Baleari), con le Tauromachie, presentate dal poeta spagnolo Rafael Alberti, i personaggi mitologici, le sue sperimentazioni sugli acrilici e sui colori sempre più accesi (il rosso sarà ancora più
presente nella sua pittura). Nel 1965 suoi disegni e sculture vengono esposti alla Galleria Civica di Monza; sarà poi la volta di una
mostra antologica a Bucarest e, successivamente, alla Galleria d’Arte Moderna di Cagliari (dove, nel 1967, era presente anche
Foiso Fois). È dello stesso anno il suo trasferimento a Monticello Brianza, durante il quale eseguirà soprattutto murales.
Al 1968 appartengono vari dipinti di grandi dimensioni, fra i quali il Che Guevara, donato al Museo de L’Avana. Nel 1969, alla
Biennale, gli viene attribuito il 1º premio del muro dipinto. Nel 1972 sposa Helenita Olivares. Viaggiando fra Maiorca e l’Italia
collaborò nel 1973 ai Vespri siciliani per la riapertura del Teatro Regio di Torino. Al Vaticano gli venne dedicata una sala nella
Galleria dell’Arte moderna. Tre anni dopo realizzò due mosaici per la parrocchia di Sant’Andrea a Pescara e l’anno successivo espose
le sue opere nelle città di Rotterdam, Toronto e Maiorca. È del 1984 una prima mostra antologica a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti, e poi a Roma a Castel Sant’Angelo, a cui seguì quella di Milano, al Palazzo Reale[5].
Successivamente vennero allestite mostre a Siviglia, in Germania, a Madrid, a Toronto, Montreal e Ottawa. Nel 1986 espone
a Palma di Maiorca, alla XI Quadriennale di Roma, alla Triennale di Milano e alla Casa del Mantegna a Mantova e Monaco
di Baviera, nello stesso anno completa le centotredici tavole sulla Divina Comedia Nel 1992 partecipa in Sud America al progetto
espositivo Arte Italiana nel mondo esponendo a San Paolo, Bogotà e Buenos Aires. A Bruxelles, nella nuova sede del Parlamento
europeo, nel 1993 completò il murale in ceramica I Miti del Mediterraneo, che occupa 150 metri quadrati. Sono invece del 1994 le
incisioni Manuscriptum per la mostra itinerante in Svezia “I ponti di Leonardo”. È dell’anno successivo l’esposizione alla Galleria
d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo e del 1999 la mostra antologica a Palazzo Strozzi[7] a Firenze.
Nel 1996 donò 356 opere, realizzate a partire dal 1927, alla città di Lugano: si ha così la nascita della Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares che da allora ha allestito mostre tematiche con i suoi lavori. Il 25 giugno 1999 nasce la Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares a Maiorca per volontà dei coniugi Sassu. Il 31 marzo del 2000 viene costituita a Besana in Brianza l’Associazione
Culturale onlus Amici dell’Arte di Aligi Sassu. Morì a Pollença il 17 luglio dello stesso anno, all’età di 88 anni, proprio il giorno
del suo compleanno.
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Sassu Aligi
“Luigin Pescetto”
Ceramica cm 30x40
Acquaviva Giovanni
“Studio per la tessile”
Pastelli su carta cm 24x32
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Acquaviva Giovanni
Giovanni Acquaviva – (Marciana Marina, 1913 – Milano, 1971) – pittore futurista e non solo.
E’ senz’altro una personalità complessa, molto creativa, inventiva, innovativa, quindi, fuori dagli schemi. Ha
percorso un vero e proprio itinerario pittorico partendo da gli anni pisani (fondamentale la sua amicizia con
Giuseppe Lanza del Vasto), via via attraverso il suo cammino di magistrato, fino alla adesione al Futurismo,
nel 1919, e poi l’incontro con Farfa e Tullio Mazzotti. In questo percorso artistico il punto di partenza
sono state le “linee-forza, (anche figurine curvilinee ed allungate, come certi suoi cani), dopo ritroviamo dei
passaggi vicino al decò, per giungere alla sintesi futurista. Il mondo iconografico di Acquaviva è vasto così
come i suoi interessi (umanistici, musicali, teatrali) ed il suo disegno, sempre sensibile, vibrante e sentito nelle
trasparenze dei segni del carboncino o dell’inchiostro, spazia dal ritratto (sottilmente psicologico) al nudo,
al paesaggio con interpretazioni e prospettive originali, ritmi compositivi innovativi. Acquaviva è un poeta
dello spazio dove la lucidissima geometria dei suoi paesaggi urbani (certe piazze o scorci di vicoli paiono
anche scenografie) mette a nudo l’intima drammaticità delle cose, anche quelle minute, delle persone,
degli ambienti quotidiani. In questo modo i suoi pagliai dorati spiccano sullo sfondo blu di un cielo terso
toscano, il suo bestiario (gatti, cani, colombe) gioca col filo del ricordo delle favole ascoltate molto tempo
prima. Pino Masnata nella prefazione a “Futurismo 1909-1920-1961” ha detto che l’arte di Acquaviva fu
“un’arte di ricerca nobilmente libera da ogni speranza mercantile”. Il suo tentativo era di pervenire ad una
pittura come sintesi universale, e perciò soggettiva, di “liberare l’oggetto dalle sbarre del disegno” (…). Non
gli interessava che di rivelare “l’intima luce dell’essere”.L’albero, l’uomo, gli animali, le cose sono indagati
nella loro anima attraverso le vibrazioni della luce. Acquaviva va al di là del Futurismo in quanto inteso
come “moto di pensiero sempre attuale a livello di qualunque età: nel 1910, nel 1920, nel 1940, nel 1960
ed oltre” e con questo spirito ha firmato il manifesto di Enzo Benedetto (1967). Così continuano le sue
ricerche plastiche dinamiche e le sue “invenzioni ottiche e oggettuali”, nonché la sua ricerca sui materiali
(cementite, ducotone), fino all’arte cinetica ed ai poemi visuoverbali. La simbologia è quella dei “bolidi”, dei
melograni, dei pesci, degli aeroplani. Si sente l’eco di Sant’Elia e dei suoi grattacieli stilizzati, però, il tutto è
filtrato da una personalissima sensibilità, sottolineata dai silenti colori, e dall’idea che “la vita è bella quando
è ascensione” (Acquaviva). In questo modo le geometrie siderali, l’arte sacra delle antiche città turrite, le
facciate delle chiese, il corpo umano hanno in comune una forza creatrice infinita, così come sono infinite le
raffigurazioni artistiche.
Bozzano Guglielmo
“via Luici corsi”
acquerello, cm. 24,5X17
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Bozzano Guglielmo
Guglielmo Bozzano – (Varazze, 1913 – ivi, 1999) – la sua vita è stata scandita dal suo lavoro di insegnante presso il Liceo Artistico “N. Barabino” di Genova e la sua voglia di cultura coltivata, anche, con carteggi
e frequentazioni con artisti e intellettuali di gran livello. E’ importante ricordare il suo stretto rapporto di
collaborazione per decenni con la rivista “I Libretti di Mal’Aria” di Arrigo Bugiani. Ha partecipato a innumerevoli mostre in Italia ed all’estero (Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma), ha ricevuto il Premio
Suzzara ed il Premio Golfo di La Spezia tra i molti ottenuti. La sua pittura ha indagato il paesaggio, quello
ligustico e piemontese, con un sentimento sempre limpido, quasi fanciullesco, cercando il paesaggio dell’anima, reinventato ogni volta con poetica rinnovata. Indaga Varazze, Savona, le Langhe così amate (magiche
le sue mucche di Carrù) , poi Parigi, la Francia, la Spagna, il Portogallo alla ricerca delle radici,delle tradizioni, dei racconti, delle cose povere ma belle, come i fischietti, le forme lignee per fare il burro (Bozzano
con la sua amata moglie è stato un attento collezionista). Poi la sua arte si apre allo spazio, col mare e l’orizzonte, il tutto colora le emozioni, anche quelle più intime. Ritrae animali umili, pastorelli presepiali, galline,
oche, pesci, fiori tutto si anima sotto il suo pennello e la scelta delle tante matite per tratteggiare con segno
poetico e lieve il “cuore” delle cose. Come ceramista inizia ad esporre nel 1951. Ha lavorato con Lam,
Fontana, Sassu, Jorn, Corneille, Appel, Vandercam, Matta, Elde, Scanavino. La lezione di Fancello gli ha
lasciato un gran segno nel suo fare ceramica dove il paesaggio e sempre l’elemento ispiratore. Abbandonata
l’esperienza a Varazze presso la manifattura di Dario Ravano, sarà l’incontro con De Salvo a portarlo nelle
fornaci albissolesi, dove non aderirà ad alcun movimento, ma passerà dal disegno spontaneo alla scelta di
forme legate, in qualche modo, all’uso popolare e sceglierà l’ingobbio per rappresentare le sue esigenze di
semplicità e di rigore.
Ghersi Umberto,
vaso in terracotta, cm. 133x38
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Ghersi Umberto
Umberto Ghersi – (Albisola Superiore, 1913 – Savona, 1993) – si può dire che tutta la sua attività artistica è gravitata,sa sempre, intorno alla ceramica di cui conosceva tutti i segreti, figlio d’arte in quanto il
padre Angelo già esercitava l’antica arte di maiolicaro. E’ stato anche pittore e decoratore avendo appreso,
quindi, i primi rudimentii presso la fabbrica di stoviglie di famiglia, sarà presso la bottega “Poggi”, dopo una
prima esperienza di torniante e tecnico del reparto terre della fabbrica “La Casa dell’Arte”, che si formerà
artisticamente. Nel 1926 ha lavorato come decoratore presso altre manifatture di Albisola: la “Fenice”, la
“S.P.I.C.A.” e la “M.G.A.” dei Mazzotti. A Pozzo Garitta, in società con Bartolomeo Tortarolo (Bianco),
ha lavorato nella manifattura “Pozzo Garitta” (circa metà degli anno Trenta del secolo scorso). Dopo la seconda guerra mondiale, con altri, ha dato vita alla fabbrica di produzione di maioliche artistiche “Soesco”
(1946), ma nel 1949 debbono cedere a Noia Rodogna l’attività che prende il nome di “Rayon” dove il Nostro ha lavorato per alcuni anni. Dal 1964 alla fine dei suoi giorni ha aperto una sua manifattura: “Ghersi
Umberto Ceramiche” in Albissola Marina. Una vita per la ceramica, quindi, e dalle sue frequentazioni
(per Lui saranno fondamentali gli incontri con Fontana e Luzzati) ha tratto spunti per il suo stile, per la sua
ispirazione. I suoi soggetti più noti sono le civette, i fondali marini, il presepe (nel 1962 ha partecipato alla
Mostra del Presepe di Lodi), cavalli. Non mancano, inoltre, le sue opere ceramiche per completamento architettonico per diversi nuove case nelle due Albisole. Umberto Ghersi, è stato definito da Lucio Fontana “
maestro di rara sensibilità cromatica e mio collaboratore di importanti lavori”.
Jorn-Fabbri
“Le streghe”
olio su cartapesta, cm 61
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Jorn Asger
Asger Jorn ( Veirum, Danimarca, 1914 – Aarthus, Danimarca, 1973), Asger Oluf Jørgensen. È il fratello
di Jørgen Nash. Pittore e ceramista,l scultore, etnoarcheologo, architetto selvaggio; Nel 1936 arrivò a Parigi
per seguire l’Accademia d’Arte di Fernand Léger. Durante l’occupazione nazista della Danimarca Jorn fu
un comunista attivo nella resistenza e partecipò al gruppo artistico Høst. E’ stato particolarmente legato
a Albisola dove arriva, con la sua compagna Matie, ad aprile del 1954 con i loro quattro figli, invitato da
Enrico Baj e Sergio Dangelo (artisti del Movimento Arte Nucleare). Abitò in diversi alloggi, anche precari, prima del 1957 quando acquistò la casa nella regione Bruciati di Albissola Mare, oggi adibita a Museo
a Lui dedicato considerata la sua donazione al comune di Albissola Marina con le n. 145 opere in essa
contenute. Con l’aiuto di Umberto (Berto) Gambetta, un abile operaio albisolese, in pochi anni la casa, lo
studio e il giardino vennero trasformati in un luogo accogliente, rigoglioso, ricco di vita, di arte e poesia oggi
meta di molte visite e,comunque, testimonianza dell’arte piena di Jorn che concepiva l’arte e l’architettura
come un insieme organico di spazio, forme, colori liberi e intensi e rigogliosi in grado di migliorare la vita
delle persone e della comunità. Jorn rispettava la natura, gli animali, i bambini e condivideva volentieri con
essi e con gli amici i momenti di festa e di relax che alternava al tenace impegno artistico e intellettuale.
Ogni opera d’arte o di decorazione all’interno e all’esterno della casa è stata decisa da Jorn. Apparteneva
al Gruppo Co.BrA. (acronimo di COpenaghen - BRuxelles - Amsterdam) promotore dell’espressionismo
astratto., Fondamentale il suo incontro nel 1954 con Tullio d’Albisola che lo spinse a produrre ceramiche,
particolarmente piatti e pannelli caratterizzati in senso gestuale. In quell’anno giunsero ad Albissola Marina anche i suoi amici Appel e Corneille per creare opere ceramiche informali. Questi artisti, assieme a
Fontana, Matta, Baj, Dangelo, nell’’estate 1954, diedero vita agli Incontri Internazionali della Ceramica ad
Albisola, riallacciandosi al Movimento internazionale per una Bauhaus Immaginista, fondato nel 1953 da
Jorn. Due anni dopo, il Nostro creò con Piero Simondo e Pinot Gallizio, a Cosio d’Arroscia, il “Laboratorio
sperimentale del Mibi”(dell’Internationale Lettriste di Guy-Ernest Debord) . Dal 1958 lavorò presso la fabbrica San Giorgio di Salino sempre ad Albissola Marina. Troels Andersen, dirige a Silkeborg il Museo ove
è ospitata la collezione donata dall’artista danese alla sua città natale.
Bossi Carlo
“Porto di Savona”
olio su tela, cm. 50x30
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Bossi Carlo
“Dolonne 1966”
olio su tela, cm. 50x30
Bossi Carlo
Carlo Bossi – ( Savona, 1916- ivi, 1997) – pittore molto schivo ma cercava nell’’incontro con altri artisti
di avere un approfondimento sull’arte ecco, quindi, il fatto di aver fondato il Gruppo artistico savonese con
Lino Berzoini, Antonio Siri, Guglielmo Bozzano), prediligendo la pittura dal vero del paesaggio ligustisco e
di Savona e quello montano della Valle d’Aosta. Autodidatta, frequentatore assiduo della Galleria Sant’Andrea di Luigi Pennone ed amico, tra gli altri pittori, di Gigi Caldanzano, ha amato profondamente Savona
ripresa nei suoi angoli più antichi, molti oggi scomparsi, nella bellezza del suo porto commerciale. Presente
fin dal 1939 nel panorama dell’arte ligure e non solo, ricordiamo alcune rassegne importanti nazionali a cui
ha partecipato, tra cui la Quadriennale di Roma del 1948 e 1952, il Premio Golfo di La Spezia del 1951,
il Premio Bagutta Spotorno del 1960, il Premio Suzzara. Il paesaggio di Savona (i vicoli, le tradizioni più
radicate come quella del Venerdì Santo e del Cristo Risorto) dipinto dal vero, con luce rapida, poetica del
colore lo hanno caratterizzato nel suo limpido modo di creatore di “immagini” reali e psicologiche (molto
interessanti i suoi ritratti legati agli affetti familiari). Veri racconti visivi i suoi, lucidi, tersi nella “prosa” e con
tagli di prospettiva inaspettati. Oggi molti di quei lavori sono “racconti” di Savona di un tempo, diventano
documenti della memoria, “icone” del suo sentire la vita quotidiana pulsare e vivere sotto la delicatezza del
segno, il sentimento profondo della sua pittura. E’ stato presente, anche, all’estero in diverse esposizioni a
Buenos Aires, Cordoba, Mendoza, Montevideo, Rosario.
Milani Milena
Milena Milani (Savona, 1917 –2013
Nata a Savona nel 1917 (e non nel 1922, come dichiarò per decenni), abitava davanti agli impianti ferroviari sul Letimbro, al civico n° 6 di Via Quattro Novembre (allora, faceva parte di Via Venti Settembre), in un
edificio all’avanguardia per quei tempi. Il padre, Tullio Milani, agronomo, era nato a Livorno. La madre,
Anna Antonione, era nativa di Dogliani Più volte ha ricordato d’essere stata stata battezzata Milena poiché,
se fosse nata maschio, l’avrebbero chiamata “Lenin”. A Savona la Milani ha completato gli studi presso l’Istituto magistrale conseguendo il diploma.
Frequenta poi l’Università La Sapienza di Roma. Nel 1941 è lettrice per la poesia ai Littoriali di Sanremo.
È una presenza vivace sul giornale del Guf, Roma fascista, cui collabora con servizi sull’arte di guerra e sulla
gioventù femminile universitaria tedesca]. I rapporti con Benito Mussolini e con il fascismo tuttavia si incrinano quando Milani diventa frequentatrice a Roma del gruppo di intellettuali che si riuniscono nella terza
saletta del Caffè Aragno. Inoltre con alcuni studenti guidati da Giuseppe Ungaretti e Corrado Alvaro partecipa all’occupazione di un quotidiano fascista in via del Tritone. Nel 1942 incontra a Roma Filippo Tommaso Marinetti che la nomina “Comandante generale di tutte le donne futuriste d’Italia”.
Nel 1943 viene costretta per intervento delle SS a lasciare Roma e grazie a un lasciapassare si stabilisce a
Venezia. In questa città avviene l’incontro con il collezionista e mercante d’arte Carlo Cardazzo che diventerà suo compagno fino al 1963, col disaccordo della di lui famiglia. Giornalista sportiva, seguì il Giro d’Italia sulla rivista Il Campione
Negli anni sessanta il suo romanzo, La ragazza di nome Giulio, edito dalla casa Longanesi, diventa un caso letterario ed editoriale. Apparso nel 1964, il libro è al centro di polemiche e viene presto sequestrato, mentre
sia l’autrice che lo scrittore Mario Monti, direttore di Longanesi, sono processati e condannati a sei mesi di
reclusione per pubblicazione oscena oltraggiante il comune senso del pudore, il 22 marzo 1966. Numerosi
intellettuali italiani, a cominciare da Giuseppe Ungaretti, si schierano in quell’occasione a fianco della Milani che viene successivamente assolta con formula piena nel processo di appello nel 1967, con la motivazione
che: “Gli spunti erotici si inseriscono armoniosamente nel tessuto narrativo e rispondono alle esigenze de90
scrittive che il tema della donna condannata alla solitudine suggeriva e che sono state felicemente realizzate
nell’unità poetica dell’opera” Era difesa dall’avvocato Salvatore La Villa. Tradotto in numerose lingue e
molto venduto specialmente in Francia, Stati Uniti e Inghilterra, il libro ha raggiunto la quindicesima edizione e ne è stato tratto il film omonimo La ragazza di nome Giulio del 1970. Nel 1966 è comparsa nel film
Scusi, lei è favorevole o contrario? di Alberto Sordi.
Compagna del pittore Vittorio Agamennone, Virio Da Savona negli anni Settanta abitava in Via Amilcare
Ponchielli, ad Albissola Marina, nel noto condominio chiamato “Casa di vetro
Lottò vanamente per salvare dalla demolizione l’ottocentesca stazione ferroviaria “Letimbro”, cui era molto
legata, avendoci abitato davanti da giovane prima di partire per gli studi universitari a Roma. Ricordava la
stufa a legna della sala d’aspetto, col grande specchio, in cui vedeva riflessa il proprio viso di ragazza. Oltre
che di letteratura, Milena Milani si è anche occupata attivamente di pittura, lavorando dal 1946 al 1963
con Carlo Cardazzo alla Galleria del Naviglio di Milano; ha inoltre fatto parte della corrente artistica dello
spazialismo dalla sua fondazione, con Lucio Fontana, e ha partecipato con opere e scritti alle esposizioni di
gruppo di questo movimento.
Ebbe molti corteggiatori, tra cui Alberto Moravia che, poi, sposò Elsa Morante. Ad Albissola Marina, in
Via dell’Oratorio, fu collocata nel 1998 un’opera della Milani, l’Albero della memoria a cui sono attaccate tante
foglie in legno su ciascuna delle quali è inciso il nome di un artista locale scomparso. Dal 9 al 24 febbraio
2011 presso la Casa delle Letterature di Roma è allestita un’importante mostra a lei dedicata comprendente
edizioni originali dei suoi libri. Trascorse gli ultimi anni all’Hotel Garden in viale Faraggiana, ad Albissola
Marina: dall’alto della terrazza sul tetto dell’albergo, la Milani poteva veder le rive del torrente Sansobbia,
su cui ebbe le prime esperienze artistiche e amorose, nel 1930. Morì nell’Ospedale “San Paolo”, lo stesso in
cui era nata, e volle essere inumata nel camposanto di Albissola, lascia al comune di Savona tutta la sua famosa collezione e questa è esposta in permanenza nelle sale a lei dedicate nella Pinacoteca Civica.
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Milani Milena
“Io parlo Russo”
tecnica mista cm 23x36
Porcù Mario
“Capra”
terracotta bronzata, cm 50x25x60
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Porcù Mario
Mario Porcù (Villamassargia, 1917 – Savona, 2001) Nato in una famiglia benestante dopo la maturità
classica decide di intraprendere gli studi universitari interrotti a causa della guerra. Torna a casa dopo il
conflitto e la prigionia, e inizia da autodidatta, a dedicarsi alla scultura, sperimentando e cercando nuovi limiti artistici. Espone per la prima volta a Cagliari, ma, trovando pochi sbocchi, decide di recarsi ad Albissola Marina. Si stabilisce dal 1950 ad Albissola Marina, dove prendono vita tutte le sue opere più’ importanti
e dove vive gli anni d’oro della fioritura artistica albissolese. La prima mostra si tiene nella saletta del Bar
Testa, presentata dal suo amico Aligi Sassu. Ne seguirà un crescendo di esposizioni non solo in Italia ma
anche all’estero, dagli Stati Uniti al Giappone. La sua arte della “natura” si mescola, al movimento spazialista di Lucio Fontana, alle forme di Giuseppe Capogrossi, alla tavolozza ribelle di Asger Jorn. Partecipa nel
1963 alla realizzazione di una delle opere più importanti e famose di Albissola Marina, la “Passeggiata degli
Artisti” insieme a: Giuseppe Capogrossi, Roberto Crippa, Aligi Sassu, Wifredo Lam, Agenore Fabbri, Lucio
Fontana, Mario Rossello, Emanuele Luzzati, Franco Garelli, Antonio Sabatelli, Eliseo Salino, Giambattista
De Salvo, Federico Quatrini, Emanuele Rambaldi, Antonio Franchini, Mario Gambetta, Antonio Siri, Nino
Strada, Luigi Caldanzano
Salino Eliseo
“Sabba di streghe”
olio su tela, cm. 60 x 80
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Salino Eliseo
Eliseo Salino – (Albisola, 1919 – Savona, 1999) – inizia a lavorare presso la Fabbrica Mazzotti in Albisola
nel 1934, successivamente si iscrive ai corsi di scultura dell’Accademia di Brera a Milano grazie ad una
borsa di studio vinta durante il corso di ceramica presso l’Istituto Internazionale di Faenza. Una costante
della sua cifra stilistica sarà quella di una sottile vena di ironia e di umorismo calata nei suoi personaggi che
si collegano alla tradizione popolare ligure del secolo XIX, con una plastica personale, vivace, spontanea.
Ha partecipato alle maggiori mostre nazionali e internazionali; è stato premiato a Monza, Pesaro, Faenza, Roma, Firenze e Milano. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in Italia, al museo di
Silkeborg in Danimarca, alla galleria Bertier d’Arte moderna di New York e alla Mostra Internazionale di
Praga. Artista versatile certamente e che ha trovato nel colore delle sue opere la possibilità di dimostrare,
anche, il suo carattere, a volte gioioso altre corrosivo. E’ stato una personalità di spicco nel rinnovamento
del linguaggio plastico delle ceramica di Albisola, assieme a Tullio d’Albisola, Lam, Fontana, Sassu, Fabbri,
Jorn, Crippa, Scanavino, Luzzati ha creduto che la ceramica potesse avere un futuro nuovo nell’’interpretare le istanze contemporanee. La sua arte dinamica la ritroviamo nella pittura legata al mondo fantasioso
e dell’immaginario (le streghe). Ha aperto con il suo socio (Giovanni Poggi) le Ceramiche San Giorgio in
Albissola Marina, attive tutt’ora. Ad Arenzano (Genova) ha lasciato un poetico presepe nel Santuario del
Bambin di Praga, meta di tanti visitatori; ha realizzato il monumento allo spazzacamino (in Val d’Orco).Ha
conseguito il primo premio di scultura a Palazzo Reale (Monza) nel 1969.
Serge Vandercam
“Composizione Cobra”
Pastello su carta cm 22x29
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Serge Vandercam
Serge Vandercam – (Copenaghen, 1924 – Bruxelles,2005) – pittore, fotografo, ceramista, cineasta (nel
1958 partecipa al Festival di Venezia), ha sperimentato i più diversi mezzi di espressione (serigrafia, collages). E’ stato Sergio Dangelo che lo conobbe a Bruxelles a portarlo ad Albissola Marina nel 1953 e, poi,
frequentemente tra il 1960-1963 vi ritornò frequentemente, ospite della manifattura “San Giorgio” di Eliseo
Salino.Lo scoppio della seconda guerra mondiale segna il Nostro che cerca altro sotto la guida dello zio,
critico d’arte, Selim Sasson, rivolgendosi alla fotografia con una ricerca, che in qualche modo, ha segnato
tutta la sua attività artistica cercando i suoi “paesaggi interiori”, catturando le linee curve, aggressive tragiche così come accadeva in quel triste periodo bellico. Cercava la poesia della vita. Si riconobbe nelle teorie
del Gruppo Cobra, quando vi fu introdotto nel 1949 da C. Dotremont proprio come fotografo con la pubblicazione di L’Escalier (rivista Cobra, numero di settembre). Da un periodo surrealista, passò alla sperimentazione, nel 1957 aveva ottenuto la Medaglia d’oro esponendo alla Triennale di Milano. Tra il 1959 e il
1964 Vandercam passa da una linguaggio all’altro. L’effervescenza artistica che trovò ad Albissola lo portò a
realizzare sculture ceramiche improntate ad un linguaggio informale ma, intensamente, espressivo, a volte
drammatico: è il caso nel 1962 di un Gran vaso presentato, con altre opere, al IV Festival della Ceramica.
Inventa una sorta, anche, di bestiario fantastico e onirico, usa la terracotta smaltata, fa una ricerca sul progetto, sull’ornamento e sulla figurazione decostruita. Durante le sue passeggiate sull’arenile trova elementi
organici, rami, radici e li porta nel suo studio per arrivare ad esperienze informali della serie “Mare e radici”. Nel 1993 è stato eletto membro della classe di Belle Arti dell’Accademia Reale delle Scienze, Lettere e
Belle Arti del Belgio; ne divenne il presidente per cinque anni. Nel 2003 ritorna in Italia e la città di Albissola Marina gli conferisce la “Cittadinanza onoraria” e in quel periodo ha creato molte opere con lo stesso
spirito degli anni sessanta. L’anno dopo fu nuovamente invitato ma non potè più giungere per motivi di
salute. La sua ultima mostra (novembre 2004-gennaio 2005) si e’ tenuta alla Galleria San Carlo di Milano.
Appel Karel
“Composizione Cobra su serigrafia di Henry Moore”
tecnica mista, cm. 28x41
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Appel Karel
Karel Christian Appel ( Amsterdam, 1925- Zurigo, 2006), pittore e scultore. Ha studiato, dal 1940 al
1943, alla Rijksakademie di Amsterdam ed alla Royal Academy of Fine Arts, interessandosi dapprima alla
pittura francese moderna, ma in seguito si muove alla ricerca di nuove modalità espressive. La sua prima
mostra è del 1946 a Groninga. Nella pittura è stato influenzato da Pablo Picasso, Henri Matisse e Jean Dubuffet. Nel 1948 fondò il movimento CoBrA con Pierre Alechinsky, Guillaume Corneille, Constant, Asger
Jorn, Jan Nieuwenhuys e Christian Dotremont. Il gruppo prende il nome di COBRA, un acronimo per
Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam, le città di origine dei soci. Nel 1950 si trasferì a Parigi e da quel momento sviluppò la sua notorietà in tutto il mondo compiendo frequenti viaggi negli Stati Uniti d’America,
in Messico e in Brasile. Nel 1995 realizza la scenografia del Flauto magico per una realizzazione dell’Opera
olandese con la direzione di Riccardo Muti. Nell’estate del 1954 è ad Albisola, dove si impratichisce con
la tecnica della ceramica. Nel 1955 espone allo Stedelijk Museum di Amsterdam, nel 1957 all’Institute of
Contemporary Art di Londra. Lo stesso anno realizza le vetrate della della Paaskerke a Zaandam. Nel 1959
Karel Appel vince il Premio Internazionale per la Pittura alla Biennale di Saõ Paulo. L’anno successivo vince quello della Guggenheim International Exhibition. Negli anni Ottanta collabora con lo scrittore Jose Arquelles ed il poeta Allen Ginsberg nella realizzazione di un ciclo di dipinti e poemi visivi si occupa della scenografia per il lavoro teatrale “Peut-on danser le paysage”. Artista poliedrico che viaggiò moltissimo e che ci
ha lasciato quadri da decifrare dietro i tubetti di colore spremuti direttamente sulla tela, dietro le misteriose
immagini che lo hanno tenuto in bilico fra figurativo e informale, ma che sono sempre state un elogio alla
forza della vita.
Caldanzano Gigi
“Alla ricerca del quadro”
sanguigna cm. 55x38
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Caldanzano Gigi
pastello, cm.21x22
Caldanzano Gigi
Luigi (Gigi) Caldanzano – ( Genova, 1921- Ceriale, 2008) - figlio d’arte il padre Luigi Cadanzano è
stato un importante cartellonista italiano. Quel suo tratto di uomo di una volta, faceva da contrasto alla
sua verve, amava la musica, il teatro, la lettura. Lui maestro elementare che molto giovane aveva aderito al
secondo futurismo frequentando Marinetti, Farfa, Acquaviva, Tullio d’Albisola. Nel 1939 inizia a dipingere
su ceramica con esiti futuristi aq Pozzo Garitta (Albissola Marina) con Bianco, Ghersi e Piccone e qui realizza, nel 1940, 4 piastrelle col “Ritratto di Marinetti” (perdute) e, poi, dopo la seconda guerra mondiale,
ferquenta il gruppo del “Cavallino Rosso” (sul quale molto è ancora da scoprire) con gli amici Bonilauri,
Cabiati, Pollero, Agostani ed il critico Franco Dante Tiglio. Nel 1984 ho organizzato ed allestito la sua mostra antologica (con testi di Raffaele De Grada e Silvia Bottaro). Nel 2004 l’Associazione “Aiolfi”, a cui era
associato, gli ha conferito il “Premio Aiolfi” per la sua cristallina attività d’artista così legato a Savona, alla
tradizione, ai personaggi tipici. E’ stato un illustratore raffinato, incisivo, poetico del volume di G. Gavotti
“Cucina e vini di Liguria”, 1973, editore Sabatelli di Savona, con riferimento ai piatti, ai vini tipici della
Liguria. Come ha scritto Mario De Micheli, Gigi Caldanzano è stato un “osservatore della vita” con umore
scherzoso ma, anche, malinconico. In questa serie di illustrazioni emerge la massaia che pesta l’aglio “virile”
nel mortaio di marmo, o i vecchi pescatori mentre giocano a carte bevendo un bicchiere di vino, o la donna
che taglia la torta di farina di ceci (la torta de seixao). Le sue illustrazioni dedicate al poeta Beppin da Cà
(Giuseppe Cava) sono impareggiabili ed il ricordo corre a “Macchiette e osterie della vecchia Savona”. Ha
collaborato con la rivista “Humor Graphic”.Ha partecipato alle Quadriennali di Roma del 1948, 1955, alla
IX mostra del Golfo di La Spezia, al Festival Internazionale della Ceramica di Cannes (1955).Nel 2005 ha
realizzato presso la Ceramica San Giorgio di Albisola n. 17 piatti raffiguranti le casse processionali del Venerdì Santo di Savona, presentate in mostra presso la sede della civica Pinacoteca savonese.
Crippa Roberto
tacnica mista su incisione 1960
cm. 28x36
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Crippa Roberto
Roberto Crippa (Gaeatano) - (Monza, 1921 – Bresso, 1972) – pittore e scultore rivolto alla ricerca
sull’uomo impegnato nella sua costante conquista dello spazio visibile: angoscia che Crippa viveva personalmente e nella viscerale passione per il volo che lo portò a morte tragica e prematura. Lui architetto, studiò
all’Accademia di Brera (Milano) sotto la guida di Carpi, Funi, Carrà. I suoi primi dipinti sono del 1945; nel
1948 espose alla Triennale di Milano ed alla Biennale di Venezia dove ritornò nel 1950 e a Trieste è presente nella mostra collettiva “Arte spaziale. Ha firmato il terzo manifesto dello Spazialismo e frequenta Fontana. Nel 1951 visita New York dove il gallerista A. Jolas gli organizzò annualmente delle mostre personali.
Aderì, tra i primi, alla poetica informale dell’Action Painting. Le “sue” spirali e le ellissi si presentano nei
suoi lavori compresi tra il 1948-1952, a partire dal 1956 ha creato i “collages” e negli ultimi tempi i lavori
“M.Tapié” ovvero “la metafisica delle materie” Nel 1957 realizzò i primi sugheri, cortecce e legni, e come
scultore usa il ferro, il bronzo, pezzi di acciaio dal contenuto neo-primitivo simbolico. Nel 1960 si dedicò
alla produzione di opere in amianto, sughero, carta di giornale e velina, unite con diversi materiali e colori.
Le opere furono esposte in una mostra itinerante che raggiunse il Giappone, gli Stati Uniti e l’Australia .
Nel 1967 lo Stato della Rhodesia dedicò a Crippa un francobollo; l’anno successivo l’artista, pienamente ripresosi dal suo primo incidente di volo, partecipò alle Biennali di Venezia e di Mentone. Negli anni Settanta
Roberto Crippa si è occupato anche di arte postale (mail art). Una sua cartolina , indirizzata ad Eraldo Di
Vita a Milano, è pubblicata anche sulla sua monografia. Iniziò a lavorare la ceramica, assieme a Gianni
Dova, dal 1950 presso i Mazzotti di Albissola Marina, e non solo anche dal Bianco a Pozzo Garitta, alla
Ce. As e presso la Cooperativa Stovigliai, mettendo le stesse linee avvolgenti, vorticose delle sue tele e sperimentò la tecnica del dripping, facendo con Dova una serie “incontrollata” (Tullio d’Albisola) di vasi e piatti
su cui fece sgocciolare le vernici (D. Presotto, 1989), fino alle sue sculture a volte aggressive altre particolarmente espressive (anni Sessanta del secolo scorso), ai suoi monumentali animali (Vaso formichiere) percorso
da sottile vena ironica.
Luzzati Emanuele
“Scena teatrale”
tecnica mista su carta, cm.27x21
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Luzzati Emanuele
Emanuele Luzzati – ( Genova, 1921- ivi, 2007) – scenografo, pittore, ceramista, illustratore. Le sue opere
si aprono al mondo della fiaba, all’immaginario, ricollegandosi alla tradizione popolare indagata con un
sottile spirito ironico e con un certo distacco critico, e sollevano il sipario sull’immaginazione. E’ proprio
questo l’universo di questo Artista: l’immaginazione. Studiò all’Ecole des Beaux Arts di Parigi; ha realizzato
oltre n. 400 scenografie per prosa, lirica, danza nei principali teatri non solo italiani,. Nel 19754 fondò con
T. Conte e A.Trionfo il Teatro della Tosse a Genova. La sua poliedricità e versatilità nel decorare, illustrare,
nel far pittura e ceramica, nell’inventare scenografie, nel realizzare films e disegni di animazione (i paladini,
la Gazza Ladra, Turandot, Pulcinella, che ha vinto un “Oscar Nomination”, il lungometraggio “Il Flauto Magico” con Giulio Giannini e tra i molti lavori teatrali si può ricordare “Le Moschee” di J.P. Satre, “I
Dialoghi” di Ruzante, “La Bisbetica domata” di Shakespeare, nonché le illustrazioni e i testi per i bambini
quali “Tarantella di Pulcinella”, “I 3 Fratelli” e le illustrazioni per le fiabe di Italo Calvino) dimostrano quale interesse Luzzati nutra per la fiaba in particolare ed il teatro in generale. Dalla maschera di Pulcinella,
alla sua incredibile tavolozza il Nostro con le carte opache o lucide e le tonalità così forti, graffianti e vivide
(si vedano i suoi personalissimi verdi, blu e viola) dando vita a nuovi collages (Alì, Petruska, Ruzante, La
Principessa, il Mago Merlino). Le storie di Luzzati divengono percettibili come storie universali e la creatività esce fuori dei limiti fisici del foglio di carta o della tela: spazi, forme, linee, colori creano un’atmosfera
illusionistica dove il mondo è anti-naturalistico e dove la situazione rompe i confini del limite del quotidiano
per divenire poesia; diventa canto, suggestione, lirismo, incanto. Lele Luzzati si dedicò alla ceramica, anche
abbinata all’architettura, e lavorò a Pozzo Garitta (Albissola Marina) dal Bianco. I suoi interventi, sempre
originali ed inusitati, sottendono il grande gusto alla manualità, al fare, all’intervento creativo sulla materia
per cercare di essere più partecipe della “materia creatrice” del mondo; ecco perché Luzzati ha amato molto la ceramica.
Luzzati Emanuele
“composizione teatrale” ceramica
cm. 76x46
Porcù Mario
“Capra”
terracotta bronzata, cm 50x25x60
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Sabatelli Antonio
Sabatelli (Sabatelli Antonio) – (Albisola, 1922 – Savona, 2001) – ceramista e pittore ha lasciato, innanzitutto, storie, leggende legate alla sua scelta di vita erratica, rabbiosa. Fece moltissimi viaggi in Europa dal
dopo guerra arricchiti da incontri, frequentazioni con personalità dell’arte e della cultura e del pensiero
politico (da Camus a Satre, da Salvemini a Severini per citarne alcuni). Dopo aver interrotto sia gli studi in
medicina sia quelli in architettura, iniziò giovanissimo l’attività di ceramista frequentando in modo saltuario
il forno del Bianco e le ceramiche Isola di Tonino Tortarolo in Albisola. Personalità originale grazie alla sua
fervida creatività e dotato di spirito critico fu, anche, per un breve periodo direttore artistico della “fornogalleria” La Ruota (fine degli anni Sessanta del secolo scorso). Si dedica alla fotografia, e a collaborare con
la cineteca di Parigi e con la rivista di moda Vogue. A Torino è stato allievo di Luigi Spazzapan e fu sodale
di Carlo Levi. A Parigi, tappa fondamentale per la sua vita libera e anarchica, divenne, pure, insegnante di
ceramica all’Istituto Italiano di Rue Mauguettes. Importanti, poi, sono stati i suoi viaggi in Oriente, Cina,
India. Egli ha sviluppato sulle sue ceramiche un ricco bagaglio cromatico e magmatico riguardante il suo
grottesco, irriverente repertorio “sovra reale” (R. Barletta) non accettando malcostumi e morigeratezza di
questa umanità di cui non tollera le grettezze. La sua onnivora cultura entra spesso in gioco nelle sue opere
dove si possono trovare echi dai naifs ai fauves, financo agli ex.voto. Nel 2005 Gian Carlo Torre ha svolto a
Bogliasco (Galleria Ulisse) una sua mostra postuma di dipinti e opere su carta.
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Scanavino Emilio
“tramatura”
tecnica mista su tavola, cm. 46x51
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Scanavino Emilio
Emilio Scanavino – (Genova,1922- Calice Ligure, 1986) – iniziò nel 1942 a dipingere con la sua prima
mostra al Salone Romano di Genova e iscrisse alla Facoltà di Architettura. Partendo da un periodo figurativo, con influenze dagli espressionisti più classici e dalla sua esperienza parigina (1947) per gli influssi del
postcubismo, nel 1950 espose alla XXV Biennale di Venezia per passare al suo contatto londinese (1951)
con Bacon, Sutherland, Matta, Martin, ai suoi contatti col Gruppo Co.Bra. e con lo spazialismo di Fontana, ha trovato la sua cifra stilista affidata al segno, al suo “Alfabeto” facente parte di un linguaggio scarno,
scevro da imposizioni, libero, molto evocativo. Dal 1952 lavorò las ceramica presso le Ceramiche Mazzotti
di Albissola Marina dove incontrò la nutrita e internazionale colonia di artisti ivi gravitanti (da Fontana a
Corneille, da Lam a Capogrossdi, da Baj a Dova, da Fabbri a Sassu). Espose ancora alla XXVII Biennale
di Venezia dove nel 1958 ebbe una Sala personale e nel 1966 alla XXXIII Biennale veneziana e vinse il
Premio Pininfarina, tra i molti ottenuti. Importante il suo sodalizio con la Galleria del Naviglio diretta da
Carlo Cardazzo. Calice Ligure dal 1963 divenne la sua dimora che trasformò in atelier e pure un centro
d’incontro per molti artisti. I lavori degli anni ‘50 sono considerati fra i suoi più belli, in quanto è possibile
vedere in essi la genesi di quella trasposizione pittorica dell’interiorità con tutti i suoi tormenti, che rende
inconfondibile la sua arte. Nei suoi quadri più tardi degli anni ‘70 il “nodo” è perfettamente delineato e
riconoscibile, declinato in inquietanti forme, talvolta minacciose e macchiate di rosso sangue. Sebbene Scanavino sia un artista di difficile collocazione in una specifica corrente, lo si può considerare un astrattista
informale, alla ricerca artistica di Hans Hartung e Georges Mathieu.
Rossello Mario
“Albero”
Bronzo 1/100, cm.20x8x29
116
Rossello Mario
Mario Rossello (Savona, 8 dicembre 1927 – Milano, 14 dicembre 2000
Nato a Savona nel 1927 si forma come ceramista ad Albisola Superiore dove assorbe una tradizione antica
di artigianato ed espressione artistica che trovano sintesi ed unità nella materia dipinta e cotta.
Sono del 1954 le prime opere influenzate probabilmente dal contatto con gli artisti che si trovano ad Albisola Superiore in occasione degli Incontri internazionali della Ceramica.
Intorno al 1960 mette su casa anche a Milano in via della Spiga 15, senza abbandonare la sua Albisola, e
partecipa da protagonista al vivace dibattito in corso nella città lombarda, legando il suo nome alla corrente
Nuova figurazione.
È degli anni settanta il suo non lungo soggiorno parigino, che lo porta a vivere ancora intensi e significativi
scambi culturali.
Carlé Carlos
Scultura in terracotta 1979
cm.72x23x6
118
Carlè Carlos
Carlos Carlè – (Oncantivo, Cordoba, Argentina, 1928 – Savona, 2015) – scultore di livello internazionale. Nel
2009 ottenne la cittadinanza italiana da parte del Comune di Savona dove risiedeva. Aveva scelto stabilmente l’Italia
e, in particolare, Albissola Marina dal 1973.I suoi iniziali contatti con la ceramica avvengono nella fabbrica di refrattari del padre, dove realizza i primi manufatti. Verso la fine degli anni Quaranta intraprende a Buenos Aires, lo studio
della ceramica, del disegno e della scultura. Nel 1954 è tra i fondatori di Artesanos, primo gruppo d´avanguardia nella ceramica artistica dell´Argentina del dopoguerra e nel 1959 del Centro d´Arte Ceramico Argentino.Espone le sue
opere a Bruxelles, Praga e Italia dove si stabilisce nel 1963 e decide di dedicarsi esclusivamente alla scultura. Lavora
per circa un anno nel centro ceramico di Vietri sul Mare (Salerno) e nel 1966 si trasferisce ad Albissola Marina, dove
incontra le maggiori personalità artistiche che lì soggiornano ed in particolare Wifredo Lam. Viaggia e lavora in Francia, Germania, Olanda e Danimarca. Nel 1971 ritorna in Argentina e intensifica la sua attività espositiva;è premiato
al II Salòn de Ceramica di Buenos Aires e nello stesso al XXX Concorso Internazionale della Ceramica di Faenza.
E´ nominato membro dell´Accademia Internazionale della Ceramica di Ginevra. Nel 1974 viene premiato al XXXII
Concorso Internazionale di Faenza e riceve il Grand Prix alla V Biennale Internazionale de Céramique d´Art di Vallauris. Del 1980 è il primo viaggio in Giappone, ospite dell´ International Academy of Ceramics. Nel 1985 espone al
Hetjens Museum di Dusseldorf e al Museo de Ceramica di Barcellona. Negli anni successivi partecipa a numerose
esposizioni nel Sud America e in Europa. Nel 1991 ottiene il Gran Premio al XXXI Premio Suzzara (MN). Nel 1992
partecipa con alcune opere alla collettiva itinerante organizzata dal Museo Kyushu in Giappone. Nel 1993 la città di
Savona gli dedica una retrospettiva alla Fortezza del Priamar. Nel 1996 espone al Saga Prefectural Art Museum in
Giappone e vi ritorna due anni dopo invitato per il Shigaraki Ceramic Cultural Park a realizzare una scultura monumentale per il museo della città. Nel 1997 riceve dal Comune di Albissola Marina l´Oscar alla Carriera. Nel 2000
la città di Padova, nell´ambito della IV edizione di Scultura all´Aperto, ospita una sua mostra personale; riceve dal
Comune di Barge (CN), paese di origine dei suoi avi, la Cittadinanza Onoraria e realizza il monumento “Megaliti
per Barge”. Nel 2002 è componente della giuria dell´ International Ceramics Festival di Mino in Giappone, della VI
Biennale di Ceramica al Cairo in Egitto e della XVIII Biennale Internazionale di Vallauris in Francia; successivamente è presente con l´Accademia Internazionale della Ceramica a due mostre: “2002 Hellas” ad Atene ed al “Icheon
World Ceramic Center” in Korea. Nel 2005 è invitato ad esporre con Laura Vegas al Castello di Roccavignale (Savona) e in Palazzo Ducale a Genova, viene ordinato “l´Omaggio a Carlè”. Nel 2007 è invitato alla mostra “Concreta”
nel Palazzo Pretorio di Certaldo (FI). Nel 2008 espone nei Chiostri di Santa Caterina di Finale Ligure (SV); a ottobre
dello stesso anno, il Circolo degli Artisti di Albissola Marina rende omaggio a Carlos Carlè in occasione del suo ottantesimo genetliaco, con una personale nella Pinacoteca Civica di Savona. Ha usato soprattutto il grés nella sua vena informale e con la costante ricerca di un significato intimo, ancestrale e parallelo alle forme che hanno significati antichi
e modernissimi al contempo, dando, quindi, all’arte un forte connotato morale.
Elde Anger
“Astratto” 1969
olio e ceramica su tela cm 25x35
120
Ansger Elde
Ansgar Elde – (Resele, Svezia, 1933 – Albissola Marina, 2000) – pittore, ceramista, artista anticonformista, poeta
della cose “povere” e minimali. Dall’argilla alle sue tecniche miste, dalle sue “scatole magiche” (le valige), ai vetri
Elde ci conduce alla scoperta della cultura contemporanea attraverso la sua peculiare ed autentica lente di ingrandimento. Uomo schivo discreto, scrupoloso nell’ascoltare (la musica, la voce degli altri), curioso, a volte solitario, “viaggiatore” tra Savona ed il Santuario dove aveva il suo studio, estraniato da tutto e da tutti durante le moltissime “vernisagge” dove l’ho incontrato come assorto a prestare orecchio a suoni che solo lui poteva individuare, comprendere
ed esprimere. Artista misterioso ed affascinante, capace di stupire costantemente grazie alla sua genialità, alla sua creatività attenta, accesa da una capacità, tra l’altro, abbastanza rara di usare i materiali più disparati: carta, ferro, iuta,
tessuti, legno e così via. La sua cultura, coniugata con un estro particolarissimo e fuori dal comune, lo ha visto protagonista di importanti rassegne espositive in Italia e all’estero (Copenaghen, Parigi, Rotterdam, Bruxelles, Chicago) e
rilevanti personalità della cultura internazionale si sono occupati del suo lavoro d’artista: J. J. Thorsen, K. Koening,
Farfa, A. Tullier, C. Vila, W. Lam, T. Andersen e Lasse Soderberg che gli ha dedicato la sua “Biografia dell’argilla”
che così recita “Io sono l’argilla/ vecchia e rugosa,/ eppure con lucidi muscoli/ che si gonfiano di terra/(…) Io sono
l’argilla: / mi alzo dal mio peso”. La superficialità non è mai stata di casa nei pensieri e nelle realizzazioni di Elde, si
avverte, invece, fortissima la presenza della storia dell’arte a partire da Albertus Pictor (artista svedese della seconda
metà del sec. XV), primo maestro di Ansgar e la sua relazione con il gruppo Cobra e, soprattutto, con Ansger Jorn e
con il poeta Christian Dotremont. Altri echi, riflessi gli sono giunti da Ensor, Munch, Klee, Arp, Mirò: dalla mitologia
scandinava all’arte popolare contemporanea Elde ha portato avanti, in un certo senso, l’avventura iniziata da Jorn e
Lam, amici ed artisti che ha frequentato ad Albissola Marina durante il periodo d’oro dell’Atene Ligustica (così definita da Milena Milani), ovvero gli anni Sessanta- Settanta. Wifredo Lam ha scritto nel 1966 in “Per Elde il folle”, “ … il
sole si è annegato in un orizzonte d’argilla rossa: questo primo giorno dell’esistenza: la testa, gli occhi, il naso, le mani,
il ventre, la pipì, la merda, i piedi sulla terra”. Nella ceramica, comunque, continua la sua vena di creatore fuori dagli
schemi convenzionali: i suoi piatti sono assolutamente poco domestici, mai potranno contenere una pietanza, il loro
“consumo ed uso” è solo consentito con il senso della vista. Capacità tecnica assolutamente originale messa al servizio
della sua poetica rivolta alla conoscenza del frammento, del rottame, del brandello, del residuo. Opere provocatorie,
esplosive nei significati, luminose nella poesia sottile che le lega indissolubilmente alla vita ed alla morte.
Bonelli Giorgio
“Astratto 1966”
olio su tela, cm. 50x65
122
Bonelli Giorgio
Giorgio Bonelli - (Savona, 1941 – 1986) – pittore, ceramista. Diplomato all’Accademia Albertina di Torino, dal 1962 ha elaborato la “sua” pittura grazie, anche, ad un soggiorno a Parigi dove ha frequentato
l’Acadèmie Julian. A Torino dove ha vissuto e lavorato ha espresso una pittura figurativa/concettuale, con
un segno ed un colore molto raffinati e innovativa che lo ha portato ad essere apprezzato da alcuni critici
quali Carluccio, Jean Clair, Crispolti. Dal 1961 al 1979 è stato presente in mostre personali ad Albisola, Savona, Milano, Torino, Roma. Nel 1986 ha ottenuto il primo premio ex aequo al Primo Concorso Nazionale
della Ceramica d’Arte di Savona con l’opera Uga pelluga. Si era accostato alla ceramica agli inizi degli anni
Sessanta del secolo scorso trovando nuova forza, libertà per la sua creatività in questa materia povera e, al
contempo, nobile ed antica. Nascono, così, numerosi piatti cotti alla Ce.As. di Albisola: ceramiche poetiche,
ingobbiate con sconfinamenti nel pop, nel favolistico moderno. L’opera “Uga pelluga” pare essere una sorta
di suo testamento essendo molto evocativa, così complessa e sospesa nell’’aria come una vera “toppia” di
uva nera con pampini dai colori autunnali, una sorta di preghiera laica dalla quale emerge tutta la lievità e
la complessità spirituale del suo autore. Bonelli è morto tragicamente in un incidente nel 1986.
Giannici Gianni Celano
“X7” 2015
acrilico su tela, cm. 100x150
124
Giannici Gianni Celano
Gianni Celano Giannici- (Castel San Giovanni Piacenza, 1941- vivente)- pittore e ceramista. La sua
attività artistica è legata strettamente con Albissola Marina e con la ceramica dove dalla metà degli anni
sessanta del secolo scorso è diventato un vero protagonista. Lui stesso dice che deve tutto a Tullio Mazzotti
(Tullio d’Albisola vero animatore culturale del periodo d’oro di Albissola Marina dal secondo futurismo agli
anni Settanta del Novecento) ed a Lucio Fontana che gli comprò i suoi primi quadrai ed imparò che i veri
artisti non creano ma svelano , ovvero “levano solo la polvere dal creato e lo mostrano”. Ha partecipato nel
1966 alla mostra di ceramiche dedicate a N.S.di Misericordia, organizzata da Tullio d’Albisola per ricordare
il 150°anniversario dell’incoronazione della Madonna patrona di Savona. Sarà, ancora, una iniziativa dedicata alla Madonna di Misericordia di Savona, nel 1986 per onorare il 450° anniversario della’Apparizione
celeste, che darà corpo al “Primo Concorso Nazionale della Ceramica d’arte” che il Comune di Savona
organizzò nella Fortezza del Priamar (desidero ricordare che tra chi operò alla riuscita di tale innovativa iniziativa c’ero anch’io nella mia veste di allora di direttore della civica Pinacoteca savonese) e Giannici vinse,
ex aequo con Bonelli, il primo premio con l’opera ceramica Piccolo concerto per cielo e terra, mettendo in
luce la sua vena poetica. Negli anni Settanta è a Parigi dove collabora con vari artisti tra cui Mimmo Rotella
e partecipa a numerose mostre di arte contemporanea tra cui la Biennale di Parigi. Partecipa ad importanti
mostre tra cui la Biennale di Venezia , la Triennale di Milano e l’Esposizione di Basilea. Negli anni Successivi collabora con la manifattura ceramica albisolese “Fabbrica Casa Museo Giuseppe Mazzotti 1903”
di proprietà di Bepi Mazzotti e del figlio Tullio. Alcuni lavori, realizzati presso la manifattura ceramica
albisolese “Viglietti Ceramiche”, di propietà di Bruno Viglietti, sono presenti alla mostra “Rassegna 2000”
di Albisola del 1991. Dal 1999 una sua opera è conservata nel Giardino del Museo Mazzotti. Ha esposto
alle fiere: Fiac (Parigi), Basel (Basilea e Miami), Arco(Madrid), Miart (Milano). Nel 1965 ha partecipato alla
3 mostra d’arte contemporanea Palazzo Reale ( Milano) e al Museo d’Arte Moderna di Parigi e di Gerona.
E’ autore del trofeo ATP-Tour attribuito ogni anno al migliore tennista del tennis mondiale. Prende parte a
numerose rassegne artistiche internazionali, tra cui la Biennale di Parigi, la Triennale di Milano, la Biennale
Jeune Peinture Européenne.. Partecipa inoltre a importanti collettive: tra le altre, al Museo d’Arte Moderna
di Faenza, al Palais des Festivals di Cannes, al Palazzo della Permanente e al Palazzo Reale di Milano. Il suo
linguaggio figurativo, nel quale il colore ha un ruolo preponderante, esprime complessi contenuti attraverso
immagini spesso cariche di valenze oniriche: come, in modo particolare, nella serie del 2000-2001 delle teste, cariche di forza istintiva, dove il colore si fa prepotente costruttore di forme.
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Finito di stampare nel mese di
Settembre 2016
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