Corso AS Disturbi Depressivi 1 - OPS Osservatorio per le Politiche

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Corso AS Disturbi Depressivi 1 - OPS Osservatorio per le Politiche
Psicopatologia
dei Disturbi
Depressivi
25 Ottobre 2012
Corso AS Provincia- Gadaldi
Si intende per “sindrome depressiva” una costellazione di
segni e sintomi che si ritrovano di regola caratteristicamente
associati nella depressione patologica. È opportuno qui
precisare la doppia accezione del termine “depressione” per
indicare tanto il sintomo “flessione del tono dell’umore” che
la sindrome depressiva, cioè l’insieme dei sintomi che
accompagna tale stato emotivo quando questo si manifesta
nella sua evidenza patologica.
La confusione derivante dall’uso della stessa parola ora
nell’accezione di sintomo, ora in quella di sindrome, ha
ingenerato, e continua a provocare, non pochi equivoci, per
evitare i quali noi useremo il termine depressione
esclusivamente nel senso di “sindrome depressiva”, e con
una connotazione sempre e soltanto patologica.
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Nella descrizione di Kraepelin sono tre i fattori essenziali
della sindrome:
1.  umore depresso,
2.  inibizione ideativa,
3.  Inibizione psicomotoria.
L’ipotesi che si possa trattare di tre fattori
relativamente indipendenti viene avvalorata dalla
constatazione di stati misti, in cui combinazioni diverse
delle tre componenti sembrano essere presenti con le
corrispettive contropolari.
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Anche la scuola di Schneider pone come centrale il
binomio tristezza-rallentamento.
Altri Autori [Bini, Bazzi, 1971] accostano a questo
binomio l’ideazione olotimica, in particolare le tematiche
di colpa e di rovina. Questi tre elementi (tristezza,
inibizione, autoaccusa) possono essere ritenuti sintomi
nucleari della sindrome depressiva e non del tutto
indipendenti patogeneticamente (ad esempio la
coscienza della propria inibizione può indurre tristezza e
disistima e viceversa).
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L’autoaccusa è forse, dei tre, il più soggetto
a variabilità culturale: sarebbe preminente nelle società
fondate sulla colpa morale-religiosa, in particolare nella
sua forma di delirio di dannazione (società, come la
nostra, in cui acquistano preminenza valori materiali e
inerenti la salute fisica, potrebbero facilitare deliri
ipocondriaci e di rovina). Secondo Schneider la
depressione non fa altro che liberare le angosce
primordiali dell’uomo: paura per la salvezza dell’anima
(colpa), per il proprio corpo (ipocondria), per la
sussistenza materiale (delirio di rovina)
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I cognitivisti ritengono centrale la distorsione cognitiva
per cui il depresso ha imparato a percepirsi in modo
autosvalutante: ciò darebbe origine solo
secondariamente alla tonalità affettiva particolare.
Sul piano del decorso è tipica la fasicità e periodicità:
l’alterazione a vari livelli di ritmi biologici è un motivo
ricorrente, e per molti versi irrisolto, nell’ambito delle
ricerche sui disturbi dell’umore.
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I modelli neurofisiologici attuali individuano da un lato
una unitarietà patogenetica a livello di disfunzione
diencefalica, e d’altro lato sembrano avvalorare una certa
correlazione tra le diverse componenti fondamentali
(umore depresso, inibizione, aggressività autoeterodiretta) e diversi sistemi neurotrasmettitoriali.
L’interessamento della regione diencefalica potrebbe
inoltre spiegare, viste le funzioni controllate dai centri di
quest’area cerebrale, l’alterazione dei ritmi biologici e di
alcune funzioni vegetative
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La tendenza a manifestare sintomi psicotici (deliri,
allucinazioni) potrebbe costituire un fattore indipendente,
come suggerito, fra l’altro, dalla migliore risposta a
terapie di associazione antidepressivi neurolettici
(argomenti a favore dello psicoticismo come tratto
indipendente sono riportati da molti Autori) [Endicott et
al., 1986; Aronson et al., 1988].
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E così Ippocrate (IV sec. A.C)
descrive la Melanconia
“I malati presentano timore, paura, delirio di
indemoniamento e di colpa e tendenza al suicidio,
abbattimento dell’anima, taciturnità e ricerca della
solitudine senza motivo … è presente una interiore
consapevolezza dolorosa in sé e per sé, afflizione,
accettazione e nel contempo rifiuto della
sofferenza per rabbia, disperazione a causa dei
timori mentali, tristezza di cui non si conosce la
causa”
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I Sintomi
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L’ UMORE
È triste, cupo, con sensazioni di sfiducia, abbattimento,
svuotamento. È riscontrabile, specialmente nelle forme di
maggior rilievo clinico, quella particolare qualità definita
“tristezza vitale” da Schneider. Per questo Autore si tratta di un
“sentimento somatico diffuso”. Il “peso” della propria
condizione viene in questo caso avvertito dal paziente in termini
realmente fisici, somatici: il tormento viene quindi espresso
come una sofferenza non precisamente definibile, ma in qualche
modo localizzabile nel corpo, ora al petto, ora allo stomaco o
altrove; il malato si lamenta di “una oppressione”, di “un peso”,
di “una smania” al corpo, che non è dolore, non è angoscia, non
è un vero e proprio peso, ma qualcosa di indefinibile eppure
concreto, come se il dolore morale si fosse materializzato nel
corpo.
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Un’altra caratteristica, più specifica dell’alterazione
quantitativa dell’umore, risulta la fissità, l’areattività,
l’immodificabilità.
Kraepeklin li descrive così:
“Negli stati depressivi l’umore è di solito fosco, cupo, disperato
o angoscioso, per quanto vi siano singoli casi in cui accanto
all’arresto non si riconosce chiaramente un colorito definito
dello stato d’animo. Quello che gli ammalati risentono più
penosamente è la diminuzione dell’accessibilità emotiva, la
perdita dell’interesse intimo agli avvenimenti... In essi tutto è
vuoto e deserto, tutto è ad essi indifferente, nulla li interessa
più, tutto sembra a loro “sciocco”, la musica “suona come
qualche cosa di straniero”. Essi hanno la sensazione di trovarsi
al di fuori del mondo... non hanno più alcun “bisogno” fisico.”
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Da Cassano in “ Trattato Italiano Di psichiatria- Masson- 1999
La freccia REALTÀ
UMORE risulta impedita,
nel senso che le modificazioni degli eventi non inducono
più variazioni dell’umore. L’umore del depresso patologico
è arrestato in uno stato di stallo, in una sorta di congelamento
delle sue possibilità di risposta.
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Al contrario la freccia UMORE
REALTÀ conserva
pienamente la sua funzionalità, nel senso che lo stato
d’animo continua a condizionare l’impatto con le cose: il
soggetto con una patologia dell’umore vedrà quindi ogni
cosa nell’ottica dettata dal suo stato affettivo.
Il depresso tenderà quindi a considerare ogni accadimento
nella sua luce più sfavorevole, avvolto da un grigiore
immodificabile.
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L’anedonia, cioè la incapacità di provare piacere dalle cose
gradevoli, discende direttamente dalla immobilità del tono
dell’umore. Abitualmente questo è il sintomo preminente,
spesso preponderante anche rispetto alla tristezza.
Il malato lo esprime in genere direttamente: “non riesco
più a provare interesse, le cose che prima mi entusiasmavano,
ora mi lasciano indifferente”. “Ero un appassionato di
calcio, seguivo la mia squadra anche in trasferta, ora non
ascolto più nemmeno i risultati delle partite alla radio”. La
vita si trascina così stancamente, in un lento fluire di
abitudini, di gesti, di pensieri mai ravvivati da barlumi di
entusiasmo.
Il depresso è perfettamente consapevole di questo stato e se
ne rammarica profondamente.
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La sua estraneità affettiva al mondo che lo circonda è
motivo di rammarico e di sofferenza. Il decorrere delle
cose del mondo lo trova statico in una condizione di
arresto dei sentimenti. Egli si avverte distaccato dagli
altri, incapace di comunicare, dal momento che il
contatto e la parola, svuotati di risonanze e di
partecipazione affettiva, risultano vacui e senza senso.
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Il sentimento di solitudine, di distacco da tutti gli altri, di
alienità al mondo divengono uno dei portati più consistenti
del vissuto depressivo. Comincia così a prendere corpo il
sentimento della mancanza di sentimenti. L’assenza di
interesse si fa avvertire anche negli affetti più rappresentativi,
e ciò si traduce in penosissimi sentimenti di indegnità.
Il paziente non riesce ad essere partecipe dei sentimenti dei
suoi familiari; anche gli accadimenti che coinvolgono i
suoi cari lo lasciano per molti versi indifferente: “non riesco
più nemmeno a voler bene ai miei figli, le loro gioie
non mi toccano, mi sento come separato da loro”. La pena
che questa autoconsapevolezza provoca è grandissima: il
depresso avverte questa sua mancanza di partecipazione
affettiva come una colpa grave.
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L’ansia si accompagna spesso ai temi più specifici della
depressione. Questa si evidenzia più comunemente come
sentimento penoso di attesa, sensazione che debba accadere
qualcosa di brutto, incapacità a rilassarsi, irrequietezza
psichica aspecifica. In alcuni quadri l’ansia può essere la
manifestazione più evidente della depressione. Specie
nell’anziano è frequente l’osservazione di forme in cui lo stato
di agitazione è tale da essere il sintomo di gran lunga
preminente.
Il paziente è allora agitatissimo, irrequieto, incapace di stare
fermo. Si tende ad impiegare il termine depressione agitata o
eccitata per questi casi, meglio inquadrabili come stati misti.
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Segni e sintomi cognitivi
Cambiamenti nel corpo, nella qualità e fluidità del pensiero e
dell’eloquio, alterazioni nelle modalità associative e nei processi
logici, deficit nell’apprendimento e nella memoria sono
altrettanto fondamentali per la depressione e la mania che i
cambiamenti nell’umore e nel comportamento. Si tende
attualmente a ritenere che siano per lo più secondari alle
alterazioni del tono dell’umore e ai disturbi psicomotori.
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Modalità associative, reattività
Si rileva rallentamento delle idee.
«Gli ammalati mostrano incapacità spesso anche da essi stessi
risentita penosamente a disporre a volontà delle proprie
rappresentazioni. A quel che pare le singole idee si svolgono
lentamente e solo dopo fortissimi incitamenti. In conseguenza di ciò
uno stimolo non risveglia di per sé prontamente e facilmente una
quantità di associazioni fra le quali si debba solo fare la scelta, ma il
corso ideativo deve venir intessuto faticosamente con speciale sforzo
di volontà... Da questi disturbi derivano una grande
difficoltà e un grande ritardo del pensiero, insensatezza nel
rispondere a domande semplici, povertà di idee...» (Kraepelin)
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L’inibizione psichica si presenta, dunque, come
lentezza del flusso ideico,
viscosità del pensiero,
monotonia dei temi.
La parola è lenta, le idee si susseguono con difficoltà. La
concentrazione è difficile, tanto che il malato non riesce più
a seguire una trasmissione televisiva, a leggere il giornale, a
partecipare a una discussione. Egli avverte una sensazione
di ottundimento, di confusione, di mancanza di chiarezza.
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Apprendimento e memoria
Parte delle alterazioni riscontrate derivano dalle difficoltà di
attenzione: scarsa concentrazione e distraibilità. I pazienti
depressi «... Spesso appaiono smemorati, non sono talora in grado di
richiamare alla loro coscienza i più semplici ricordi..., debbono
riflettere a lungo prima di esporre una data, di raccontare un
avvenimento. La capacità di fissazione... suole essere diminuita..., si
hanno spesso falsificazioni dei ricordi. Talvolta si incontra anche
tendenza a invenzioni deliranti... Il
ricordo stesso del tempo della malattia è generalmente alquanto
confuso...» (Kraepelin).
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Lo stato psichico può venire così seriamente compromesso
che il paziente effettivamente può apparire indementito a
chi lo osserva: la memoria è ridotta, egli non riesce a
ricordare gli avvenimenti accaduti solo poche ore prima, la
capacità di concentrazione è totalmente scomparsa,
l’aspetto generale e il comportamento possono far pensare
a quelli di un demente. Nelle forme più gravi la diagnosi
differenziale tra pseudodemenza depressiva e vera demenza
può essere assai ardua.
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Demenza VS Pseudodemenza:
l’elemento differenziante essenziale è costituito
dall’atteggiamento del paziente depresso, il quale non solo è
conscio del proprio deficit di prestazione, ma è anche portato
a ingigantire i propri difetti e la propria incapacità, mette in
primo piano la sua inabilità, la ingrandisce, si sottrae ad ogni
impegno proprio in virtù della sua sensazione di “non
farcela” (pseudodemenza).
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È intimamente connesso a questa sensazione il sintomo
della indecisione, per cui ogni presa di posizione sembra
superiore alle proprie capacità. Ogni scelta è pressoché
impossibile e anche le piccole decisioni della vita quotidiana
sono fonte di imbarazzo e disagio intollerabili (“decidere
che cosa preparare per il pranzo – dice la casalinga – mi
sembra uno sforzo immane, superiore alle mie possibilità.
Mi dà una sensazione di angoscia e di inutilità”).
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Contenuti ideativi, ruminazioni
Il paziente depresso presenta:
1. idee di perdita,
2. autosvalutazione,
3. indegnità,
4. colpa.
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Il malato
- si rimprovera di non essere in grado di aiutare i suoi cari,
- pensa di essere di grave peso a chi lo accudisce e a cui sente di
non dare nulla, né in termini di affetto né in termini pratici.
Come specificato sopra, lo stato dell’umore condiziona l’esame
di realtà. Il depresso allora considera se stesso e la sua
posizione attuale nei termini più sfavorevoli, il concetto di sé e la
confidenza nelle proprie capacità risultano così basse da perdere
ogni contatto con la fattualità reale.
“Non sono buono a nulla, sono una larva”, “sono un
essere spregevole indegno di essere amato”, “sento di essere
un peso per tutti, i miei familiari starebbero meglio se
fossi morto”.
Niente vale a rassicurarlo,
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Allo stesso modo in cui la visione del presente si traduce in
sentimenti di autosvalutazione (Si, ho raggiunto una posizione
apparentemente di prestigio nel lavoro, ma è stato per un cumulo di circostanze
casuali, non per meriti miei. Ora comunque si accorgeranno
della mia inidoneità e mi licenzieranno”).
e mancanza di valore (Se i miei familiari mi vogliono ancora bene non è
perché ho meritato il loro affetto, ma perché sono persone buone che si stanno
guastando la vita per me”),
ogni considerazione del passato assume valenze di colpa. Fatti
apparentemente sepolti vengono riesumati per dare sostanza e
contenuto a tali convinzioni. Mancanze insignificanti rivivono
come delitti mostruosi, di cui il paziente dovrà prima o poi
pagare le conseguenze.
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Pessimismo e disperazione
Il paziente ritiene che il domani non possa portare che rovina, la
propria incapacità attuale si rifletterà ineluttabilmente nel
futuro. Innanzitutto lo stato attuale di tristezza e sfiducia è
insuperabile, è implicito nella condizione esistenziale del
soggetto.
Il futuro si presenta globalmente come un muro nero,
invalicabile e opprimente, privo di ogni spiraglio.
Se ogni cosa è vista nella sua ottica più sfavorevole, se di ogni
eventualità viene scelta solo la più negativa, ecco che allora il
futuro viene a perdere la sua connotazione più peculiare, la
possibilità.
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Il depresso viene quindi a perdere il concetto stesso del futuro e
la sua temporalità rimane ristretta nell’unico canale che dalle
colpe passate porta all’indegnità del presente e alla
ineluttabilità del futuro. La scansione dei tre momenti del
passato, presente e futuro, non più articolata nelle diverse
caratterizzazioni del possibile, viene conglobata in un’unica
temporalità, in una sorta di oggi espanso ad abbracciare ieri e
domani in una categoria unica. Talvolta il depresso esplicita
direttamente tale sentimento, usando frasi quali “il futuro non
esiste”, “non riesco a prospettarmi niente per il domani”. Ciò si
riflette nella incapacità a progettare, per cui il depresso si pone
in una posizione di passiva rassegnazione di fronte a ciò che
può portargli il domani, convinto della ineluttabilità
del suo fato.
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