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Patrick White iL GiarDiNO SOSPeSO Traduzione e cura di Mario Fortunato ROMANZO BOMPIANI White, Patrick, The Hanging Garden Copyright © 2012 by the Estate of Patrick White First published by Random House Australia Pty Ltd in 2012 This edition published by arrangement with PNLA & Associati S.r.l. / Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency © 2014 Bompiani / RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli, 8 – 20132 Milano ISBN 978-88-452-7691-0 Prima edizione Bompiani settembre 2014 Un giardino sUll’orlo dell’abisso di Mario Fortunato 1. la storia di questo breve romanzo è un lungo romanzo e credo meriti di essere raccontata (in breve). Patrick White lavorò alla stesura di The Hanging Garden nel 1981, fra gennaio e ottobre. antefatti salienti: nel 1973 aveva ricevuto il premio nobel per la letteratura e, all’inizio dell’81, spedito all’editore, Jonathan Cape, quello che sarebbe divenuto il suo libro più fortunato, l’autobiografia Flaws in the Glass. Per la prima volta, White vi parlava apertamente della propria omosessualità: una fatica notevole, immagino, per un uomo di circa settanta anni e per giunta primo e unico nobel letterario del suo paese, l’australia. appunto per rimettersi dalla fatica, cominciò a fantasticare The Hanging Garden. Confidò a vari amici, fra i quali il critico James stern, di avere in testa un nuovo romanzo, già quasi del tutto formato. Cominciò a scrivere più o meno intorno a febbraio, a quanto si desume dai ricordi di chi gli era vicino e da qualche vago accenno per iscritto. Fra interruzioni e riprese, continuò fino a ottobre, quando spiegò a una cugina di avere terminato la stesura della prima parte – in sé conchiusa – del nuovo romanzo. White disse pure che si trattava di un terzo del libro e che ogni parte avrebbe avuto, come quella appena finita, 5 la compiutezza di una novella: in ciò la struttura sarebbe risultata simile a quella dell’ultimo romanzo pubblicato, The Twyborn Affair (1979). intanto aveva detto a graham greene che quanto scritto fino a quel punto non era male. anzi, per essere precisi, gli piaceva. Poi White fu preso da altri problemi, vecchiaia inclusa. alla fine dell’81, uscì l’autobiografia, accendendo intorno al suo autore una fiammata di interesse e polemiche. e si sa che non c’è niente di peggio, per uno scrittore (benché non per il suo saldo bancario), che l’attenzione mediatica. White mise da parte The Hanging Garden e si dedicò ad altro. in pratica, smise di scrivere letteratura, se è vero che da quel momento il proprio impegno si concentrò sul teatro e la lotta contro il nucleare e per i diritti dei gay. Forse pensava di usare quella lunga sequenza narrativa in un futuro libro, come del resto aveva fatto in passato, ma questa volta non andò così. a una certa età, è inutile fare troppi progetti anche perché sappiamo tutti come va a finire. nel 1986, ebbe il tempo di pubblicare Memoirs of Many in One, ma la salute ormai era quella che era e i romanzi – specie quelli lunghi – hanno bisogno di muscoli tonici e respiro regolare. invece, il 30 settembre 1990 White morì a sydney per problemi polmonari. Prima di andarsene nel paradiso terrestre della letteratura – cioè in quel giardino segreto che è un territorio a sé, più o meno agli antipodi di religioni e ideologie – White aveva disposto che tutti i suoi manoscritti (termine quanto mai appropriato, visto che scriveva unicamente a penna) fossero dati alle fiamme. Per fortuna, però, non ne aveva fatto cenno all’amica ed esecutrice testamentaria barbara Mobbs. la quale, forte anche del fatto che White, quando aveva voluto (per esempio nel 1964), aveva lui stesso bruciato quanto non desiderava che vedesse la 6 luce, decise che non era il caso di seguire un’indicazione non espressamente rivolta a lei a voce o per iscritto. del resto, si sa che gli scrittori indulgono all’idea del falò, ma poi sanno sempre scegliersi i propri Max brod. in poche parole, non se ne fece niente e, almeno fino alla morte del compagno di White, Manoly lascaris, le trentadue casse contenenti l’intero archivio dello scrittore rimasero ad aspettare tempi migliori. Tempi che giunsero a scadenza nel 2006, quando la suddetta barbara Mobbs, d’accordo con le associazioni di beneficenza che hanno ereditato il patrimonio di White e compagno, ha venduto tutto alla national library australiana. e qui cominciano le complicazioni. in primo luogo perché il materiale andava classificato e schedato. il che non era impresa agevolissima, posto che solo la signora Mobbs era davvero in grado di decodificare la grafia di White. a ogni modo, il lavoro venne faticosamente condotto e fu così che The Hanging Garden uscì dal limbo dei ricordi personali di qualche conoscente dello scrittore ed entrò ufficialmente nella storia della letteratura. intanto erano passati quattro anni, perché la burocrazia è uguale dappertutto, e così solo nel 2010 fu chiesto a barbara Mobbs che cosa ne pensassero – lei e gli eredi che ne avevano venduto l’originale – di pubblicare il testo. la donna si disse scettica, almeno in linea di principio. Tuttavia, fu creato un team di lavoro, sotto la supervisione di Margaret Harris ed elizabeth Webby dell’università di sydney, per convertire il manoscritto in qualcosa di leggibile per chiunque. Ci fu qualche problema in particolare con le parole e le espressioni in greco, che punteggiano il racconto, ma un poco alla volta anche quelle furono decrittate. Così, a gennaio 2011, la signora Mobbs ha ricevuto la stesura definitiva e ha letto per la prima volta The Hanging 7 Garden nella sua interezza. Questa la sua reazione: “Mi sento molto incerta di fronte ai libri pubblicati post mortem, che di solito mi lasciano piuttosto fredda. Ma questo è un caso di eccellente qualità e, anche se si tratta solo di una prima parte, è in sé compiuta e completa. non ho alcun dubbio che meriti di vedere la luce.” dopo che il libro è uscito nel mondo anglosassone, nel 2012, lo scrittore americano Peter Cameron è andato oltre, sostenendo che il racconto ritrovato non è solo un magnifico dono (se non del cielo, aggiungerei, almeno dei lavoratori della national library di sydney), ma anche la migliore introduzione all’opera di White. il che ci porta fuori dalla storia del manoscritto per entrare finalmente nelle sue pagine. 2. Ho tradotto il titolo con Il giardino sospeso (invece che pensile, come sarebbe prevedibile) perché credo che, nel testo, il tema della “sospensione” sia centrale. non mi riferisco soltanto al luogo dentro e intorno a cui ruota l’intero racconto – cioè il giardino della signora bulpit, a picco sulla baia di sydney – né al clima di sospensione e attesa (ma su questo vorrei tornare) che la storia compone, e neppure al fatto che trattasi di un’opera incompiuta, cioè sospesa. la sospensione a cui vorrei alludere è infatti qualcosa che ha a che fare prima di tutto con la scrittura di White, con la sua matrice musicale, che in questo racconto tocca vertici di assoluto virtuosismo. Chiunque abbia letto i romanzi più noti dello scrittore (a cominciare da L’occhio dell’uragano), sa che il suo linguaggio, lungi dall’essere il volgare tirapiedi di ciò che di solito definia8 mo realtà, è un puro mezzo di trasporto verso una destinazione che è squisitamente metafisica. si tratta di una metafisica molto ruvida e terrena, nel suo caso, perché quanto più è ruvida e terrena tanto più diventa metafisica: del resto, le cose di questo mondo e la loro cosiddetta interazione rappresentano in definitiva l’ultima frontiera della metafisica stessa. si identificano cioè nel linguaggio, attraverso e grazie a cui la materia si manifesta. ora il linguaggio di White, e particolarmente nel Giardino sospeso, è un linguaggio non narrativo; non procede secondo la logica razionale e cartesiana, bensì per accostamenti, consonanze o, se si preferisce, secondo un metro che è perlopiù eufonico e intuitivo. naturalmente è quasi impensabile restituire in un altro idioma il ritmo contratto dell’inglese usato da White – ancora meno in italiano che è una lingua poco incline alla stringatezza. Tuttavia è possibile rendere con la massima evidenza – ed è quello che ho cercato di fare – questa natura tensiva del linguaggio, vale a dire la sospensione di cui sopra. in qualche misura, è come se lo scrittore australiano tentasse di rovesciare, o almeno attutire, l’idea di Montale secondo cui la letteratura è un’arte disperatamente semantica. White ne è convinto solo in parte (la parte che usa per imbastire il plot) e perciò ha come obiettivo quello di far regredire la lingua alla sua essenza sonora. si badi però che il verbo regredire qui non ha nessuna connotazione negativa, essendo usato alla lettera: in fondo, prima del romanzo e prima anche della poesia, la letteratura non è che canto e in definitiva puro suono. insomma, un’arte non semantica. Ma nell’arte di White tutto è contraddizione. le sue parole sono allo stesso tempo le guardiane del significato e il dissolvimento del medesimo. sono l’alfa e l’omega del senso, a patto che fra alfa e omega la distanza sia in pratica infinita. Perciò il 9 suo stile è apparentemente minuzioso e impassibile come nel nouveau roman, mentre nella sostanza è barocco, o “furioso”, come ha detto george steiner. È una furia che, nel Giardino sospeso, sembra a tratti più pacificata che in passato. Pare quasi che White voglia abbandonarsi (almeno in qualche passaggio) al semplice piacere di raccontare una storia, sgorgata di getto dalla sua immaginazione. Una storia che, solo nel suo farsi, contiene la propria necessità, come anche il suo rovescio. Ma, per cogliere la complessità di questo processo, sarà ora necessario dare un’occhiata alla storia stessa, e quindi a quel clima di sospensione e attesa di cui sopra. 3. Un bambino, diceva brodskij, è sempre e prima di tutto un esteta, perché reagisce alle apparenze, alle superfici, alle linee e alle forme. ecco a quale categoria appartengono i due piccoli protagonisti del racconto. essi riconoscono la bellezza della natura che li circonda nella sola maniera in cui gli esseri umani – quando non sono ancora dominati dalla volgarità – sanno fare, e cioè diventando parte integrante di quella bellezza. siamo durante la seconda guerra mondiale, in australia. gilbert Horsfall è un profugo inglese, figlio di un colonnello. È stato assegnato alla custodia della signora bulpit, dopo che la casa in cui viveva è stata bombardata, uccidendo fra gli altri il suo compagno di giochi, nigel. sorte analoga per eirene sklavos, figlia di un partigiano comunista greco, trucidato dai nazisti, e di un’australiana. anche eirene viene affidata alle cure della signora bulpit, una vedova infantile e impettita, che sembra un mani10 chino e probabilmente incarna lo spirito del tempo. i due ragazzi sono all’apparenza molto diversi: biondo lui, lei di carnagione scura; tanto estroverso e allegro gilbert, quanto ombrosa e chiusa eirene. sono due polarità, yin e yang, acqua e fuoco, e perciò è inevitabile che si attraggano. in sintesi, non sono che i lontani discendenti di adamo ed eva in una neanche troppo occultata versione moderna del giardino delle delizie. infatti. dopo un’iniziale diffidenza, tra i due nasce un sentimento di complicità così profondo da sfiorare, forse, l’amore. eirene e gilbert comprendono insieme che il mondo degli adulti è un universo di segni in larga misura indecifrabile e mostruoso, che si manifesta perlopiù sotto forma di perversione erotica. e il luogo in cui questa scoperta avviene è il giardino di casa bulpit – un giardino trascurato, pieno di vialetti invasi dalle erbacce, di aiuole trasformate in piccole giungle, in cui lussureggia una natura antica, primitiva, che per i due ragazzi è l’unica lingua possibile. al centro di questo caotico eden a picco sulla baia di sydney, sull’orlo di un abisso che è topografico e di conseguenza psichico, eirene e gilbert costruiscono il loro rifugio tra i rami di un albero e lì si raccolgono al riparo dal mondo, per potersi amare. Ma come sempre l’idillio dura poco, perché gli esseri umani, pur prediligendo il lieto fine, tendono a evitarlo. la storia è raccontata soprattutto dal punto di vista di eirene – che è anche iren-irene-reenie, a seconda di chi le si rivolge. Ma in White il punto di vista non è mai singolare, bensì stereofonico, perciò muta dalla terza persona alla prima e di nuovo alla terza, trasmigrando da un personaggio all’altro, reincarnandosi incessantemente come un’anima buddista intrappolata nel proprio sam . sāra. anzi, si direbbe che una delle principali preoccupazioni dello scrittore sia appunto quella di restituire tale tensione. Motivo per il quale, oltre al punto di vista, anche i 11