Schmitz, il progressista borghese. Lo Svevo politico

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Schmitz, il progressista borghese. Lo Svevo politico
Schmitz, il progressista borghese. Lo Svevo politico
Sofia Moratti
1. Il contesto storico e socio-politico di Trieste, dell’Impero
e dell’Italia all’epoca di Svevo.
La seconda metà dell’ottocento fu una fase di svolte politiche epocali
per Trieste. Dopo il 1861, anno dell’unità d’Italia e della nascita di
Svevo, l’Austria ammorbidì il proprio atteggiamento nei confronti delle
manifestazioni del nazionalismo italiano a Trieste, città allora facente
parte dell’Impero; tuttavia, esporre il tricolore rimaneva proibito. Pochi
anni dopo, l’Austria perse Venezia. Trieste divenne così l’unico porto di
mare austriaco ed acquisì un’importanza chiave. Nel 1867, l’Austria
concesse uguali diritti a tutti i cittadini del proprio Impero,
indipendentemente dall’appartenenza etnica e dalla zona di residenza;
quindi, anche a tutti i triestini. Per comprendere meglio Svevo, il
nazionalismo, italiano e non, e le questioni identitarie del suo tempo,
occorre puntualizzare che l’appartenenza ‘etnica’ veniva stabilita sulla
base della lingua dichiarata e non della cittadinanza. Secondo i criteri
dell’Impero, Trieste risultava essere città a grandissima maggioranza
italiana, anche se i cittadini del Regno d’Italia residenti a Trieste erano
relativamente pochi1 (Zoller 1924: 537). I triestini di origine slava erano
in realtà moltissimi, ma apprendevano il tedesco, o più spesso l’italiano,
e confluivano in uno di questi due gruppi etnico-linguistici, mentre i
madrelingua italiani e tedeschi disdegnavano lo studio della lingua
slovena. Gli slavi, che costituivano di fatto il proletariato triestino,
all’epoca mancavano di un’identità nazionale (Gatt-Rutter 1988: 12).
Sebbene cittadino dell’Impero Austro-Ungarico, Svevo era a tutti gli
effetti un italiano di note simpatie irredentiste (Maier 1961).
Negli anni immediatamente successivi, il Partito Liberale Nazionale
(PLN) fondò la Società del Progresso per organizzare l’italianità
triestina culturalmente, socialmente e politicamente. Col sostegno del
Partito nacque la Società Operaia Triestina: Francesco Schmitz, padre
di Svevo, risulta esserne membro dal 1874. La Società si proponeva di
incanalare i lavoratori triestini di identità culturale italiana nel
movimento nazionale italiano e, specie dopo la Comune di Parigi del
1871, intendeva prevenire il sorgere di organizzazioni di stampo
rivoluzionario-socialista. Politicamente, il PLN sosteneva la causa di
‘Trieste italiana’, ovvero dell’annessione di Trieste all’Italia.
Gli oppositori del PLN lo accusavano di ipocrisia: nei settori-chiave dei
trasporti e delle comunicazioni (specie la ferrovia) e nelle spese militari,
il PLN, lungi dal lavorare per annettere la città all’Italia, perseguiva di
fatto politiche che legavano strettamente Trieste all’Austria. Secondo i
suoi oppositori, il Partito mirava in realtà a difendere null’altro che gli
interessi dei più influenti tra i propri membri, esponenti dell’alta
borghesia triestina mercantile e finanziaria, decisi a mantenere, e
possibilmente ad incrementare, i privilegi municipali di cui godeva
Trieste. Trieste era infatti ‘città immediata’, soggetta direttamente alla
1
monarchia asburgica e non al parlamento viennese, il che dava al PLN
la possibilità di avere voce nel governo della città, attraverso la Dieta
triestina. Trieste era anche ‘porto franco’, ossia godeva di vari privilegi
fiscali, compresa l’esenzione dal pagamento dei dazi di importazione
delle merci, con grande vantaggio del ceto mercantile (Gatt-Rutter
1988: 15).
Nel 1878, in seguito al Congresso di Berlino, l’Austria-Ungheria
occupò militarmente la Bosnia-Erzegovina. Nacquero così il
nazionalismo slavo e l’irredentismo italiano militante (Gatt-Rutter
1988: 36). Le manifestazioni degli irredentisti, represse dalla polizia
austriaca a Trieste, non sfociavano (ancora) in disordini o scontri:
venivano usati solo petardi. Secondo Bobi Bazlen (1902-1965,
scrittore), “la bora fece più danni” (Bazlen 1970: 131). Vienna
desiderava abolire il porto franco di Trieste, allo scopo di trasformare
l’economia della città, traghettandola dal mercantilismo
all’industrialismo moderno. La borghesia triestina del commercio e
della finanza si sentì minacciata nei propri interessi ed attraverso il
PLN presentò ai triestini questo progetto di abolizione del porto franco
come l’ennesima prepotenza austriaca contro l’identità italiana di
Trieste. La questione, essenzialmente economica, veniva presentata
come identitaria ed il movimento irredentista veniva cavalcato ed usato
a vantaggio degli interessi della Trieste del commercio e della finanza.
L’irredentista Svevo abbracciò l’antropologia darwinista propugnata
dai liberali, fondendola tuttavia con il socialismo utopistico letterario
russo, in una crasi ideologica di assoluta originalità.
2. La prima fase della partecipazione alla vita politica del
giovane Ettore Schmitz.
Nel 1877 fu fondato il giornale organo di partito del PLN, l’Indipendente,
in cui successivamente avrebbe scritto Svevo. L’editore capo era l’ex
garibaldino Giuseppe Caprin. Il giornale rimase relativamente poco
diffuso: se ne vendevano 2000 copie al giorno, quasi esclusivamente tra
la borghesia finanziaria e commerciale. L’Indipendente fu la voce
dell’irredentismo adriatico e subì censure e confische da parte degli
austriaci (Veronese 1932: 9). Nel 1881, il ventenne Ettore Schmitz, di
professione impiegato di banca in seguito al rovescio finanziario del
padre, divenne membro dell’Associazione Triestina di Ginnastica e
seguì delle lezioni alla Società di Minerva: tra i temi trattati,
l’emancipazione della donna, il positivismo e il pensiero di Darwin.
Scopo di entrambe le associazioni era quello di promuovere l’identità e
la cultura italiana.
Nello stesso anno, Umberto I re d’Italia fece una visita di stato
all’imperatore d’Austria Franz Josef: per ciò, molti irredentisti e
nazionalisti si sentirono traditi. L’anno successivo Franz Josef visitò
Trieste e ci furono agitazioni irredentiste, represse dalla polizia, più
violente rispetto a quelle di qualche anno prima, ivi incluso lo scoppio
di una bomba che causò un morto e vari feriti. Un nazionalista italiano
di nome Wilhelm Oberdank, il Guglielmo Oberdan cui ancora oggi è
2
dedicata una piazza a Trieste, venne trovato con delle bombe,
interrogato e condannato a morte. L’esecuzione della sentenza portò a
nuove, più gravi tensioni. Erano sorte Società Segrete Oberdan, di
ispirazione radicale, che dettero a Svevo occasione di frequentare
patrioti perseguitati dalle autorità. Ettore Schmitz scriveva sempre più
spesso su l’Indipendente, firmandosi semplicemente “E.S.”; i suoi articoli
trattavano di letteratura, ma contenevano sporadiche allusioni alla
situazione politica. Svevo non sosteneva apertamente la causa
irredentista, ma si limitava a simpatizzare indirettamente. Difese la
Francia, criticando così indirettamente la Triplice Alleanza (articoli
pubblicati il 12 giugno 1883 e il 20 marzo 1887, Svevo 1968: 563-565 e
607-610); ma soprattutto, scrivendo di letteratura, tradusse e
commentò una ‘poesia-in-prosa’ di Turgenev composta pochi anni
prima, storia di un eroe che sacrifica sé stesso per chi non è in grado di
apprezzare il suo gesto. Si tratta di una evidente allusione alla vicenda
di Oberdan (articolo pubblicato 29 gennaio 1884, Svevo 1968:
572-574).
GLI OPERAI E L’UOMO DALLE MANI BIANCHE
OPERAIO Che cosa cerchi qui da noi? Che vuoi? Tu non sei come
noi. Vattene.
L’UOMO DALLE MANI BIANCHE Io sono come voi, amati fratelli.
O. Che dici! Che fantasie sono! Guarda un po’ le mie mani. Non vedi
come sono sporche? E hanno odore di catrame e di concime. Le tue
invece sono bianche e di che cosa odorano?
U. (Porgendogli la mano) Prova a sentire.
O. Hanno odore di ferro.
U. Perché pensai al vostro bene, perché volevo liberarvi, voi poveri
uomini che non sapete, perché mi levai contro i vostri tiranni. Per
questo mi misero in catene.
O. Imprigionato? E chi te l’ha fatto fare di ribellarti?
[Due anni dopo]
1º OPERAIO Senti un po’, Piotr. Ti rammenti che due anni or sono
un fannullone dalle mani bianche si mise a parlare con te?
2º OPERAIO Mi ricordo. Che c’entra costui?
1º. Verrà impiccato oggi, è stato dato l’ordine.
2º. Si è ribellato di nuovo?
1°. Certo che si è ribellato.
3
2°. Sai cosa facciamo, fratello Dimitry? Non ci dovremmo procurare la
corda con la quale verrà impiccato? Si dice che porti molta fortuna.
1°. Hai pienamente ragione; andiamo, fratello Piotr.
L’uomo di alti ideali politici ed umani, novello Cristo, si immola per gli
oppressi, che tuttavia non gliene sono grati: tra lui e loro esiste una
differenza di sensibilità e consapevolezza, riflesso delle differenze di
istruzione ed educazione tra le classi sociali della società russa
dell’epoca. Analogo è il destino dell’intellettuale radicale Svetoglub,
personaggio del racconto tolstoiano Il divino e l’umano (1906), la più
articolata letteraturizzazione (per usare un termine caro a Svevo) del
socialismo utopistico, cristiano e letterario di matrice russa:
la maggioranza della gente del popolo non solo si dimostrava
indifferente alla sua predicazione, ma per giunta aveva un
atteggiamento quasi sprezzante nei suoi confronti (Tolstoy 1985: 115).
Come l’eroe di Turgenev, anche Svetoglub sconta una condanna a
morte per essersi dedicato con alacrità e generosità incondizionate
all’educazione del popolo e, come l’Uomo dalle mani bianche,
Svetoglub è un giovane intellettuale radicale:
Nella mano del giovane, piccola e bianca, stava un libro che egli si
stringeva al petto (Tolstoy 1985: 126).
Questo stesso tema appare anche in Senilità (1898). “La figlia del
popolo” Angiolina, inconsapevole della propria condizione, “teneva
dalla parte dei ricchi”: netta la sua antipatia per le idee politiche
socialisteggianti del più istruito Brentani (Svevo 2004: 549). Classici
russi del calibro di Turgenev e Tolstoy sono tra i modelli letterari
sveviani; le opinioni politiche che emergono nelle loro opere sono tra le
matrici intellettuali del pensiero politico sveviano, sviluppato attraverso
la lettura di opere letterarie, più che con lo studio diretto di saggi di
teoria politica. Come vedremo, il socialismo utopistico di matrice russa
non è che una delle correnti intellettuali che hanno influenzato Svevo.
Il pensiero politico sveviano è il prodotto di influenze culturali diverse e
parzialmente contrastanti tra loro, sintetizzate e conciliate da Svevo in
maniera originale.
3. L’af fer marsi del socialismo, le trasfor mazioni
dell’irredentismo e la seconda fase del coinvolgimento
politico di Svevo.
Nel 1887, l’ex garibaldino Francesco Crispi divenne primo ministro, e
deluse subito gli irredentisti rafforzando i legami tra Italia ed AustriaUngheria, nell’ambito della Triplice Alleanza. L’irredentismo cambiò
volto: colpito dalle misure repressive sempre più aspre di Crispi, il
movimento si spostò verso i circoli repubblicani e di estrema sinistra.
Reprimendo l’irredentismo, Crispi mirava ad ottenere dall’Austria
privilegi commerciali a favore dell’Italia, dimostrando così di avere
molto in comune con il PLN triestino. La repressione si fece così
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pesante che nel 1888 l’irredentista di sinistra e parlamentare socialista
Andrea Costa fu condannato a tre anni di prigione, solo per aver
partecipato a una commemorazione di Oberdan. Seguirono proteste,
anche a Trieste. La polizia arrestò Cesare Rossi, direttore de
l’Indipendente dal 1883, e vari altri redattori del giornale. L’Indipendente
rimase in vita grazie a Ettore Schmitz che, a soli 28 anni, era il più
anziano della redazione, ed a pochissimi altri. Tra di loro, dal 1890, il
giovanissimo Silvio Benco (1874-1949, giornalista e scrittore), che
ammirava molto Schmitz per la dedizione alla causa irredentista e
l’affetto che mostrava nei confronti dei membri della redazione più
giovani.
Nel 1889 a Trieste si formò la Confederazione Operaia di ispirazione
socialista, in opposizione alla già menzionata Società Operaia legata al
PLN. L’organizzazione socialista sostenne lo sciopero, in seguito fallito,
di 1500 navali contro giornate di undici ore di lavoro anziché dieci, a
parità di retribuzione. L’organizzazione liberale scelse invece di
avversare lo sciopero, come lo avversavano l’Indipendente e il Piccolo.2
Durante questo clamoroso episodio, i lavoratori si sentirono difesi solo
dai socialisti ed il socialismo prese rapidamente piede a Trieste. Nel
1890, i socialisti vinsero le elezioni a Muggia. Nel 1891, la
luogotenenza austriaca soppresse la Confederazione Operaia.
Seguirono anni di scontri e persecuzioni di innocenti per ragioni di
opinioni politiche. Nel 1894 venne fondata la Lega Socialdemocratica
che lanciò il Lavoratore. I liberali persero l’egemonia culturale su Trieste
a favore dei socialisti, 3 che si impegnavano in varie iniziative, dai circoli
culturali al teatro, conquistando giovani del calibro di Scipio Slataper
(1888-1915, scrittore) e Umberto Saba. L’internazionalismo socialista
prese piede a sinistra e l’irredentismo nazionalista venne nuovamente
sospinto a destra, specie dopo la fondazione della Società Dante
Alighieri.
Dopo l’abolizione del Porto Franco nel 1891, la stagnante economia
triestina ricominciò ad espandersi. Si sciolsero la Società del Progresso
e la Pro Patria e venne fondata la Lega Nazionale (che contava già alla
sua nascita diecimila membri), strettamente legata alla massoneria e
guidata dall’avvocato e massone Felice Venezian. Scipio Slataper coniò
per l’occasione l’espressione pesantemente dispregiativa “irredentismo
dei massoni” (Slataper 1954: 39). Il nome di Schmitz non compare
nelle liste dei massoni. Un noto aneddoto riferito da Bobi Bazlen
(Bazlen 1970: 136-137) basta a dimostrare la differenza di vedute, e
soprattutto di indole, tra Venezian, che Gatt-Rutter dipinge quale
fanatico fomentatore di odi e tensioni con la comunità slovena, e Svevo.
Uno dei tratti principali della personalità umana ed artistica di Svevo è
l’ironico ed arguto scetticismo che traspare soprattutto dalla Coscienza e
dall’Epistolario: non si trattava di persona incline al fanatismo ed alla
durezza. Una bimba parente di Svevo, probabilmente la figlia Letizia,
telefonò ad un’altra bambina sua amica, e dopo una conversazione
cantarono al telefono l’inno di Mameli, censurato in Austria; una
centralinista le sentì e le riprese: in dialetto triestino intimò loro di fare
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attenzione a quel che dicevano. Inorgoglita, la bambina lo disse a
Svevo. Divertito, e soprattutto intenerito, lo scrittore riferì l’episodio a
Venezian. Il fanatico Venezian si precipitò dal direttore delle Poste e
Telegrafi Austriaci, sostenendo che la centralinista si fosse macchiata
del reato di violazione della riservatezza delle conversazioni telefoniche.
Il direttore la licenziò in tronco. Svevo si sentì così in colpa nei
confronti della donna, che prima parlò al direttore delle poste, il quale
si rifiutò assolutamente di cambiare idea, e poi si premurò
personalmente di trovare un nuovo posto di lavoro alla ormai ex
centralinista. 4
In conclusione, tra gli anni ottanta dell’ottocento e i primi del
novecento, all’interno del PLN convivevano di fatto correnti molto
eterogenee, anche a causa della tumultuosa situazione politica in cui il
nazionalismo veniva abbracciato alternativamente da forze politiche
contrapposte a distanza di pochi anni. Da una parte, vi era il desiderio
di convivenza pacifica tra nazionalità e classi sociali degli insegnanti,
degli artigiani ad alta specializzazione e di chi come Schmitz o Benco
coltivava seriamente interessi di letteratura e di politica estera: pur
irredentista, Svevo si mostrò consapevole della propria identità
nazionale plurale già nella scelta del proprio pseudonimo. Dall’altra, vi
era la grande borghesia del commercio e della finanza sostenitrice del
liberalismo classico, ideologia politico-economica che perse
gradualmente terreno sul finire dell’ottocento. Infine, gruppi di giovani
militanti del Partito, organizzati in squadre e appoggiati dal già
menzionato Venezian, preannunciavano l’involuzione fascista con le
loro aggressioni fisiche ad esponenti socialisti e filoaustriaci; in
particolare, il 1902 fu un anno di continue e gravi violenze a Trieste. Il
PLN era tuttavia molto lungi dall’essere compattamente favorevole
all’uso di metodi violenti.
4. Lo Svevo politico per come emerge dall’opera sveviana.
Il pensiero politico sveviano è un tentativo di conciliazione originale tra
socialismo utopistico e letterario, in particolare tolstoiano, scevro però
della componente religiosa cristiana così viva in Tolstoy, ed
antropologia darwinista. L’influenza del socialismo utopistico su Svevo
emerge soprattutto dalle favole; quella dell’antropologia darwinista, dai
saggi; la conciliazione tra le due correnti è raggiunta nel racconto La
Tribù, su cui vorrei soffermarmi per darne un’interpretazione
parzialmente diversa rispetto a quelle date fino ad oggi dalla critica
sveviana.
4.1 Le favole (1897).
Svevo scrisse delle ‘favole’ i cui contenuti sono tuttavia più simili al
genere della satira greca o latina che non a quello della favola. Gli strali
di Svevo non risparmiano i riflessi psicologici delle differenze di classe
sociale ed il darwinismo sociale:
Il signor Iddio si fece socialista. Abolì l’inferno e il purgatorio e pose
tutti in posizione uguale in paradiso. Vi si stava bene in un’eterna
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beatitudine. Morì giusto allora un Creso e fu stupefatto di essere
accolto in paradiso. S’abituò però subito alla novella esistenza ed
anzi, presto, cominciò a lagnarsi. “Ah! Signore! Rimandami in terra!
Qui non è il paradiso vero; qui non si vede soffrire nessuno” (Svevo
1968: 752-753).
Senz’alcuna propria colpa un uomo perdette le proprie sostanze e
cadde nella più dura indigenza. Già avanzato in età non aveva
speranza di rialzare mai più la testa. Eppure visse. Spesso desiderò la
morte, mai, però, la disperazione fu bastante ad armargli la mano
contro sé stesso. Un giorno s’imbatté in Erberto Spencer5 che gli
spiegò come la sua sventura fosse evidentemente la conseguenza della
sua incapacità e come non meritasse né compassione né aiuto perché
l’aiuto dato a lui avrebbe corrotta la legge sociale che vuole la
soppressione del vinto. Allora appena, in via di conclusione, il povero
uomo si uccise (Svevo 1968: 753).
Il darwinismo sociale, noto anche come ‘spencerismo sociale’ dal nome
del teorizzatore, attribuisce al concetto di derivazione darwiniana di
‘selezione naturale’ la doppia valenza di norma morale e di strumento
di progresso sociale. La legge del più forte che vuole la soppressione del
vinto è allo stesso tempo moralmente giusta e socialmente opportuna.
Il darwinismo sociale non ha alcuna relazione con l’antropologia
darwiniana propugnata da Svevo.
L’allontanamento di Svevo dal modello tolstoiano è radicale, nella sua
critica della retorica cristiana che vede nella miseria del prossimo
un’occasione di carità:
Un malfattore che dalla propria malvagia natura era stato spinto fino
ad uccidere un inerme, ebbe coscienza dell’enormità di tanta colpa; si
pentì ed andò in una chiesa a pregare. Fu distratto dalla sua fervente
preghiera da un predicatore che dal pulpito gridava: “Siate lieti che vi
sono i deboli e i poveri perché beneficandoli potete conquistarvi il
regno dei cieli”. “Oh! Mentitore!” pensò il peccatore. “I poveri e i
deboli sono la nostra sventura. Se la mia vittima non fosse stata
debole, difendendosi avrebbe potuto impedirmi d’ucciderla, di
perdere la pace dell’anima mia” (Svevo 1968: 752).
4.2 Il racconto La Tribù (1897).
La più compiuta teorizzazione dell’adesione di Svevo al socialismo
utopistico, e la più chiara e convincente conciliazione tra socialismo
utopistico e antropologia darwiniana, non è espressa in forma
saggistica bensì letteraria, per metafore ed allegorie: è il racconto La
Tribù, pubblicato nel 1897 (ristampato in Svevo 1968: 525-530). La
Tribù apparve in Critica Sociale, organo del Partito Socialista Italiano,
diretto da Filippo Turati; Svevo era tra gli abbonati. Non si tratta di
una delle opere sveviane più conosciute, è quindi utile riportarne in
sintesi la trama.
Il racconto si apre con l’abbandono del nomadismo e della vita
guerriera da parte di una tribù, che si stabilisce in una terra fertilissima
7
ed isolata, circondata dal deserto. Con la nuova economia agricola, la
tribù conosce la proprietà privata, e con essa la necessità di un diritto
privato per regolare i rapporti tra proprietari confinanti. Al Consiglio
degli Anziani della tribù viene sottoposta una questione insorta tra
proprietari di terreni limitrofi, riguardante la divisione dei frutti;
mancando le leggi per dirimerla, l’Anziano Hussein divide i frutti a
metà tra le parti in causa. Decide poi di mandare un giovane all’estero
quale delegato della tribù, per studiare le leggi di altri popoli e portare
alla tribù “la giustizia”, attraverso il diritto: traspare da questo
passaggio la concezione giusnaturalistica che presuppone una
connessione tra legge e morale; il diritto è inteso quale strumento di
giustizia, non mero sistema di regole per ordinare una società. La scelta
ricade sul giovane Ahmed, indicato dai profeti.6 Dopo anni di studi in
Europa, Ahmed torna. Nel frattempo le differenze sociali all’interno
della tribù sono cresciute a dismisura: non più “linde casette”, ma
“sontuosi palazzi” e “luride catapecchie”; tuttavia, non è ancora
avvenuto il passaggio all’industrialismo: nelle terre della tribù, non
sono ancora sorte fabbriche. Già al primo incontro con il Consiglio
degli Anziani, Ahmed si rivela interessato e calcolatore: pretende di
essere risarcito per i beni che in sua assenza gli sono stati sottratti per
usucapione, e chiede un indennizzo per i mancati guadagni durante il
tempo speso all’estero, con tanto di interessi, e addirittura di interessi
sugli interessi; aspira anche segretamente ad aprire una fabbrica.
Ahmed dimostra così di conoscere bene, e di voler introdurre, le regole
del capitalismo finanziario più spregiudicato, dal completo divorzio tra
proprietà da una parte, ed uso e lavoro dall’altra, fino all’anatocismo.
L’anziano Hussein gli obietta però che negli anni la tribù, ormai
composta da “vili schiavi” e “prepotenti padroni”, ha sviluppato
autonomamente anche troppe regole simili a quelle proposte da
Ahmed, figlie dello sviluppo economico. L’opportunista Ahmed si
produce in un’apologia del darwinismo sociale, criticando Hussein,
eccessivamente empatico nei confronti dei “vinti” e perciò inadatto al
ruolo di guida che ricopre. Nelle parole di Ahmed, si intravede in nuce
l’ideologia organicista e nazionalista propugnata dal fascismo decenni
più tardi: attraverso il dominio dei forti sui deboli,
l’intera razza diverrà più forte e sosterrà facilmente il paragone con
gli altri popoli nel conflitto economico (Svevo 1968: 529).
Il seguito del discorso di Ahmed è una lezione di filosofia della storia
marxista ed un tentativo subdolo di convincere i membri della tribù ad
accettare il passaggio ad un’economia di tipo industriale, facendo loro
credere che si tratti solamente di una fase, dolorosa ma necessaria,
verso un’ideale futura società socialista. Ahmed profetizza un ulteriore,
graduale acuirsi delle differenze sociali, legato all’avvento
dell’industrialismo: la condizione operaia dei figli sarà addirittura
indegna di esseri umani, e di gran lunga peggiore di quella contadina
dei padri. La sofferenza e l’umiliazione porteranno i lavoratori a
coalizzarsi nelle fabbriche per tornare ad un’economia agricola, ma
libera dalla proprietà privata. Ecco l’originalissima conciliazione
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sveviana tra antropologia darwinista e socialismo utopistico, nel
discorso di Ahmed:
In quel lontano avvenire la terra sarà della tribù e tutti i validi
dovranno lavorarla. I frutti saranno di tutti. Non cesserà la
lotta, perché dove è vita è lotta, ma la lotta non avrà per iscopo la
conquista del pane quotidiano. [...] Il vittorioso nella lotta non avrà
altra soddisfazione che d’aver servita la tribù (Svevo 1968: 530).
La generosità disinteressata ed il senso dell’interesse comune che
Ahmed attribuisce agli uomini futuri sono ben distanti dal proprio
atteggiamento, dato che il fine segreto del suo discorso ipocrita e
manipolatorio è convincere i membri della tribù a permettergli di
impiantare la prima fabbrica. L’Anziano Hussein, però, non si fa
ingannare:
E dovremmo attendere sì a lungo per raggiungere tanta felicità? [...]
Sappi che la tribù vuole incominciare dalla fine (Svevo 1968: 530).
Hussein paga Ahmed, con grande soddisfazione di quest’ultimo che si
illude di aver ingannato la tribù. Tuttavia, dall’epilogo del racconto si
deduce che, appena pagato, Ahmed è stato cacciato e la tribù si è
riorganizzata secondo la dottrina socialista.
Colpisce il lettore la limpida, radicale critica alla dottrina marxista del
determinismo storico che emerge dal racconto. Perché non
“cominciare subito dalla fine”, costruendo immediatamente la nuova
società socialista? Indirettamente, Svevo argomenta che se chi
propugna l’abolizione della proprietà privata (e l’equa distribuzione
della ricchezza in una società fondata sul lavoro) è in buona fede, non
vi è alcun bisogno di passare attraverso i gravi conflitti sociali figli
dell’industrializzazione, procedendo poi per tappe o fasi verso una
società più equa. Il sospetto di Svevo sembra rivolto contro i falsi
profeti, che vendono agli oppressi l’illusione di una società più giusta
mirando in realtà a un tornaconto personale in termini di ricchezza e
potere (Camerino 1974: 164). Svevo dimostra di preferire all’ideologia
marxista un socialismo utopistico, filantropico ed umanitario (Maier
1972: 82). Secondo la figlia di Svevo, l’Anziano Hussein è il portavoce
delle idee politiche dello scrittore (Svevo Fonda Savio e Maier 1981:
46).
4.3 I saggi (1907-1909).
Alcuni dei saggi sveviani, in particolare L’uomo e la teoria darwiniana e La
corruzione dell’anima (Svevo 1968: 637-640 e 641-643) contribuiscono a
chiarire ulteriormente l’interpretazione sveviana dell’antropologia
darwiniana.
Secondo Svevo, l’impulso alla ‘lotta’ in senso latamente darwiniano,
alla competizione tra individui, tra gruppi e tra la specie umana e le
altre specie, è hard-wired nella fisiologia umana. L’uomo anela a liberarsi
dall’inquietudine e dall’iperconsapevolezza che lo affliggono e lo
rendono ‘inetto’ in senso sveviano, perché inibiscono la capacità di
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incidere sulla realtà attraverso l’azione: solo la vittoria nella ‘lotta’ cura
l’inettitudine. L’uomo è inquieto perché darwinianamente male
adattato: la legge del più forte lo vede naturalmente perdente rispetto
agli animali grandi e forti; riesce a prevalere su di essi solo grazie
all’intelligenza ed alla tecnica (gli ‘ordigni’, secondo la terminologia
sveviana), che altro non sono se non forme di astuzia che l’uomo ha
sviluppato per compensare il proprio mancato adattamento. Nel caso
della ‘lotta’, della competizione tra gruppi umani o popoli, i vincitori
sono coloro
che hanno gli ordigni migliori e in grande quantità. Alcuni di questi
ordigni erano idee (Svevo 1968: 643).
Svevo fornisce alcuni esempi: la giustizia, la scienza, la religione,
l’ordinamento sociale ed economico. La ‘lotta’ è, in conclusione,
competizione per emergere, ma per gli esseri umani si svolge ad un
livello molto più complesso e sofisticato che non il confronto fisico per
la mera sopravvivenza.
5. L’agiato uomo d’affari Schmitz, la Prima Guerra
Mondiale e la prima fase del Fascismo.
Dopo la pubblicazione di Senilità (1898), ignorato dalla critica e dal
pubblico come i lavori precedenti, Svevo si ripromise di investire meno
tempo ed energie in “quella ridicola e dannosa cosa che si chiama
letteratura”. L’anno successivo iniziò a lavorare come uomo d’affari
nella fiorente ditta del suocero, la Veneziani. La ditta triestina, che
produceva vernici nautiche, prosperò con la Prima guerra mondiale
grazie alle commesse delle marine militari di diversi Paesi. Le prime
elezioni triestine del dopoguerra per il Parlamento Italiano videro la
vittoria del Blocco Nazionale e la violenza fascista esplose a Trieste più
intensa che mai. Pochissimi liberali della vecchia guardia si opposero,
pagando prezzi personali altissimi: l’ormai agiato Ettore Schmitz non
fu tra questi. Secondo Gatt-Rutter, i costi di un’eventuale presa di
posizione pubblica in senso antifascista sarebbero stati relativamente
bassi per un ricco industriale come Svevo:
il peggio che aveva da temere era un litro di olio di ricino (GattRutter 1988: 322).
Non mi sento di condividere questa valutazione, che mi pare alquanto
ottimista. Svevo non risulta essere mai stato membro del Partito
Fascista; non vi è evidenza di alcuna sua posizione antislava 7; né la
corrispondenza, né le opere, né gli appunti autobiografici mostrano
alcuna vicinanza al fascismo; tuttavia, Svevo aveva la tessera della
Confederazione Fascista degli Industriali. Di famiglia ebrea, da sempre
non credente ma convertitosi pro forma al cattolicesimo per compiacere
la moglie, morì nel 1928, un decennio prima dell’approvazione delle
leggi razziali, il “reattivo sulla coscienza degli italiani, addormentati da
15 anni di fascismo” (Levi 2002: 21) che
10
valse a creare una ben netta linea di demarcazione fra chi credeva e
obbediva e chi rifiutava fede e obbedienza, e ad aprire gli occhi a tutti
(non solo agli ebrei) sulla vera natura del fascismo e del nazismo
(Levi 2002: 21).
Dalle opere della maturità, fortemente autobiografiche, traspare la
disillusione ed il disagio dello scrittore idealista prestato all’industria e
al commercio; tuttavia, lo Svevo maturo non perse l’ironia, il senso
critico e la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie debolezze.
5.1 La Coscienza di Zeno (1923).
Non si può certo dire che il capolavoro di Svevo, la Coscienza, sia un
romanzo denso di contenuti politici. Vi è, tuttavia, un passaggio in cui
Zeno pare un Anziano Hussein più distaccato ed ironico. Giocando in
borsa, Guido Speier, l’irresponsabile cognato di Zeno, perde una
somma colossale e puerilmente inscena un tentativo di suicidio per fare
pressione sulla moglie, spingendola così a coprire le ingenti perdite con
denaro proprio. Zeno è il primo in famiglia ad allarmarsi, non appena
apprende dal Nilini, “sensale di borsa” molto presuntuoso e poco
istruito, che Guido ha l’abitudine al gioco. Già da prima che Guido
cominciasse a perdere denaro, Zeno guardava con viva antipatia al
ciarlatano Nilini:
[Nilini] [e]ra socialista a modo suo e avrebbe voluto fosse proibito che
una singola persona possedesse più di centomila corone. Non risi un
giorno in cui [...] egli ammise di possedere proprio centomila corone
e non un centesimo in più. Non risi, e non gli domandai neppure se
guadagnando dell’altro denaro avrebbe modificata la sua teoria
(Svevo 2004: 1003).
5.2 Vino generoso (1926) e la Novella del buon vecchio e della
bella fanciulla (1930, postumo).
Il vecchio triestino malaticcio protagonista del racconto Vino generoso è
un ricco affarista che ha abbandonato gli ideali politici della gioventù.
È divenuto arido ed egoista a causa della ricchezza e delle numerose
restrizioni allo stile di vita a cui l’ha assoggettato il medico, e i suoi
pensieri sono spesso meschini:
Non più socialismo. Cosa poteva importarmi se la terra,
contrariamente ad ogni più illuminata conclusione scientifica,
continuava ad essere l’oggetto di proprietà privata? Se a tanti, perciò,
non era concesso il pane quotidiano e quella parte di libertà che
dovrebbe adornare ogni giornata dell’uomo? Avevo forse io l’uno o
l’altra? (Svevo 1968: 65).
Il protagonista della Novella del buon vecchio e della bella fanciulla è un
attempato commerciante triestino, arricchitosi soprattutto grazie alla
guerra. L’uomo si sente in colpa ed è consapevole del proprio egoismo:
Ogni manifestazione di guerra cui il vecchio assisteva, gli faceva
ricordare con uno stringimento di cuore ch’egli in seguito alla guerra
guadagnava tanto denaro. A lui dalla guerra risultava la ricchezza e
11
l’abiezione. Quel giorno pensò: Ed io tento di sedurre una fanciulla
del popolo che colà soffre e sanguina! (Svevo 1968: 27).
E ancora, osservando i molti poveri in fila per il pane:
Il vecchio compiangeva quella gente che aspettava con tanta ansietà
un pane mal cotto che a lui faceva schifo, ma qui la sua pietà era una
vera ipocrisia (Svevo 1968: 35).
In conclusione, mi sento di condividere il giudizio di Bruno Maier:
sebbene coinvolto nelle connivenze col fascismo della ditta Veneziani, dal
punto di vista ideologico, sia come uomo che come scrittore, Svevo è
antifascista e mitteleuropeo (Maier 1975: 33). I temi sviluppati nelle sue
opere, e l’atteggiamento dei suoi narratori, sono tutt’altro che
funzionali all’ideologia fascista: l’inettitudine, la malattia, l’ironia, lo
scetticismo, il dubbio e la consapevolezza delle proprie mancanze.
6. Conclusioni: l’interpretazione sociale dell’opera sveviana.
In conclusione, ritengo fondamentale un chiarimento terminologico.
Piuttosto che di ‘socialismo sveviano’, sarebbe più corretto parlare di
‘interpretazione sociale’ dell’opera sveviana. Le sporadiche intuizioni
circa un ideale ordine sociale più equo, che il lettore incontra in forma
frammentaria in parte della produzione letteraria sveviana, non si
risolvono in una dottrina politica coerente, unitaria e limpidamente ed
organicamente argomentata. È l’interprete a dover ricostruire il
pensiero politico sveviano dagli scritti e dalla biografia dell’autore. La
sporadicità, frammentarietà e non perfetta coerenza contenutistica
delle osservazioni su temi latamente politici nell’opera sveviana obbliga
l’interprete ad un lavoro di ricostruzione, non sempre agevole. Ritengo
questo il principale motivo delle accese controversie tra critici circa lo
Svevo politico.
Fino alla maturità, Svevo coltivava ideali di giustizia sociale
parzialmente mutuati dal socialismo utopistico di matrice russa, e
tolstoiana in particolare, ponendosi in aperta polemica con il
darwinismo sociale. Le posizioni tolstoiane erano decisamente più
radicali, ma ogni paragone diretto tra i due autori è azzardato: Lev
Tolstoy (1828-1910) era figlio di un’altra epoca e la Russia zarista e
rurale aveva poco in comune con la Trieste internazionale e
mercantile.
Dalla vita e dall’opera di Svevo traspare una concezione molto
moderna dell’etica: la bontà, la moralità non solo è compatibile con
l’imperfezione, ma addirittura la presuppone. Per essere buoni non
occorre essere perfetti, santi, asceti, o sacrificarsi completamente ad un
ideale. È anzi proprio lo sforzo di purificarsi, di redimersi, di negare e
reprimere i propri desideri più genuini ed autentici per conformarsi a
ideali di perfezione morale a generare gli esiti moralmente più dubbi.
Dice di sé lo Zeno sveviano:
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in me c’è e c’è sempre stato - forse la mia massima sventura - un
impetuoso conato al meglio. Tutti i miei sogni di equilibrio e di forza
non possono essere definiti altrimenti (Svevo 2004: 655).
Il costante sforzo di migliorarsi, la mancata accettazione della propria
imperfezione, sono la “massima sventura” del giovane Zeno: l’etica
volontaristica borghese viene irrisa attraverso il paradosso. Anche i
sentimenti di Zeno per la seria Ada sono figli della risoluzione di
trasformarsi in pater familias dopo la morte del padre, sposando una
donna di alta moralità e scarso senso dell’umorismo, che possa fare di
lui un uomo nuovo:
Quella prima volta io guardai Ada con un solo desiderio: quello di
innamorarmene perché bisognava passare di là per sposarla. Mi vi
accinsi con quell’energia ch’io sempre dedico alle mie pratiche
igieniche (Svevo 2004: 698).
Della psicanalisi che vuole “vedere nella vita stessa una manifestazione
di malattia” poiché tenta di indurre il paziente a modificare, attraverso
la volontà, tratti innati nella fisiologia del funzionamento cognitivo ed
emotivo dell’uomo sano, Zeno dice:
Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo
credendoli delle ferite. Moriremmo strangolati non appena curati
(Svevo 2004: 1084).
Sia il giovane impiegato Svevo che il rispettabile e benestante maturo
uomo d’affari Schmitz mostrano, insieme a una certa riluttanza a fare
politica in prima persona in epoche di violenze, scontri e forti
antagonismi, anche una profonda consapevolezza delle fragilità e
dell’imperfezione morale degli uomini. La concezione sveviana
dell’etica (ed in particolare la radicale sfiducia nel volontarismo) è
molto poco consone al clima fascista ed allo stesso tempo certamente
non coerente con gli assunti ideologici del liberalismo classico.
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14
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Ferrara: Taddei, 1924, ristampato in Metron: rivista internazionale di statistica
3(3-4).
15
Gatt-Rutter riferisce che nel 1880, Trieste e circondario contavano circa 145.000
abitanti. Più di due terzi si dichiaravano parlanti italiano, ma di questi solo 16.000
avevano la cittadinanza italiana. Vi erano inoltre 5.000 parlanti tedesco, 26.000 slavo
e 6.000 altre lingue.
1
Il Piccolo, quotidiano fondato nel 1882, era caratterizzato da posizioni irredentiste e
filoitaliane più blande rispetto a quelle de l’Indipendente, anche perché non era un
organo di Partito. Il Piccolo era anche più diffuso de l’Indipendente e non subiva
censure.
2
Anche tra gli intellettuali italiani aumentava il sostegno per il socialismo, nonostante
la prassi ormai invalsa di incarcerare i leader socialisti con accuse pretestuose.
3
Secondo la moglie Livia, l’atteggiamento di Svevo nei confronti delle autorità
austriache era di bonaria ironia.
4
Hebert Spencer (1820-1903), filosofo, biologo, sociologo e teorico politico liberale,
fu tra i teorici del darwinismo sociale.
5
In questo passaggio del racconto echeggiano l’ateismo e il razionalismo di Svevo,
molto distanti dalla mistica tolstoiana: “i profeti (nella tribù ve ne erano ancora)
dicevano che era destinato ad aumentare il benessere e la gloria della tribù; e gli
anziani, per rispetto ai profeti, agirono in modo che la profezia si avverasse.”
6
Secondo Camerino, Svevo, scrittore mitteleuropeo, rimase per tutta la vita
“sostanzialmente legato al messaggio umanitario ... della cultura del mondo austroungarico, mondo ‘sovranazionale’ per eccellenza, retto da un vivo sentimento della
tolleranza civile” (Camerino 1974: 174).
7