“LA NUIT” DI Elie Wiesel Riassunto ed elaborazioni degli alunni in

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“LA NUIT” DI Elie Wiesel Riassunto ed elaborazioni degli alunni in
“LA NUIT” DI Elie Wiesel
Riassunto ed elaborazioni degli alunni in italiano, recitazione in francese di alcuni brani
tratti dal 1°capitolo
(Prima parte: Francesco Mosca introduce in italiano, Francesca Bonato , Pierluigi Golin,
Davide Ostuni, Edoardo Palladin continuano in francese)
Moché – le – Bedeau era un ebreo molto povero, ma non dava fastidio a nessuno. Era come
se fosse un uomo invisibile. Aveva l’aspetto di un clown, cantava e sorrideva molto. Le poche
parole che esprimeva parlavano della sofferenza e della divinità.
Elie lo conobbe quando aveva dodici anni e a quel tempo era molto credente. Chiese un
giorno a suo padre di trovargli un maestro che potesse guidarlo nello studio della Kabala e
dei libri sacri. Ma il padre, un uomo colto e stimato dalla comunità, riteneva che fosse troppo
giovane per questo tipo di studio. Allora Elie si trovò da solo un maestro: Moché – le Bedeau.
Moché l’aveva osservato un giorno mentre pregava. Da quel giorno Elie lo vide spesso,
parlavano per lunghe ore e Moché gli spiegava che ogni domanda possedeva in sé una forza
che neanche la risposta poteva contenere; Elie acquisì la convinzione che Moché lo avrebbe
portato con lui nell’eternità.
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(seconda parte: Beatrice Maran introduce in italiano, Emma Mella continua in Francese)
Poi un giorno Moché, ebreo straniero, venne espulso da Sighet insieme ad altri abitanti; dei
poliziotti ungheresi li fecero salire su un treno e li rinchiusero in vagoni per il trasporto di
animali. I deportati furono presto dimenticati. Un giorno Elie vide Mochè, seduto su un
banco della sinagoga, gli raccontò la sua storia e quella dei suoi compagni: il treno dei
deportati aveva passato la frontiera ungherese e nel territorio polacco, nella foresta delle
Galizia, li avevano costretti a scendere e a scavare delle fosse profonde, un ufficiale
chiedeva loro di mostrare la nuca, sparava un colpo e li uccideva. Moché si era salvato per
miracolo, scappando, dopo essere stato ferito e creduto morto. Tuttavia la gente di Sighet
non credeva ad una cosa tanto terribile e così il poveretto finì per essere soprannominato
“pazzo” e Moché perse tutta la fiducia negli uomini, la voglia di vivere e la fede in Dio. Era il
1942. La vita in seguito era divenuta normale; Radio Londra annunciava notizie rassicuranti:
era l’anno 1943.
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(terza parte: Francesco Mosca introduce in italiano, Wiam Louhmadi continua in francese )
Primavera 1944. Notizie meravigliose del fronte russo, la gente diceva:”l’armata russa
avanza con passi da gigante …., Hitler non sarà capace di farci del male, anche se lo vuole …”.
Sì, non si dubitava perfino che volesse sterminarci! La radio di Budapest annunciò la presa
del potere da parte del partito fascista, fu chiesto di formare un nuovo governo. Il giorno
dopo, un’altra notizia importante: le truppe tedesche con l’accordo del governo erano
penetrate nel territorio ungherese. L’inquietudine incominciava a serpeggiare, la situazione
cambiò velocemente ed i tedeschi arrivarono anche a Sighet. Nonostante ciò, non si credeva
ancora nella crudeltà dei tedeschi: ma arrivò il settimo giorno di Pasqua: il capo della
comunità ebraica fu arrestato, la corsa verso la morte era cominciata! Moché-le Bedeau lo
aveva preannunciato. Ci fu il primo decreto: gli ebrei non dovevano lasciare la loro casa per
3 giorni, pena la morte! Dopo 3 giorni, nuovo decreto: ogni ebreo doveva portare la stella
gialla. Poi nuovi decreti: non si poteva entrare nei ristoranti, nei bar, prendere il treno,
andare alla sinagoga, uscire per strada dopo le 6! Poi fu il ghetto!
(quarta parte: Andrea Contri introduce in italiano, Pierluigi Golin, Davide Ostuni
continuano in francese)
Dopo qualche giorno il padre di Elie diede la notizia terribile: la deportazione! A partire dal
giorno dopo. La gente di Sighet voleva conoscere ogni dettaglio, ma solo il presidente del
consiglio ebraico sapeva tutto, ma non poteva parlare, pena la fucilazione! Ogni ebreo
poteva portare solo uno zaino, con dei vestiti e del cibo. Venne il momento di uscire dalle
case: i gendarmi ungheresi gridavano di andare tutti fuori, con il calcio dei fucili e i
manganelli picchiavano chiunque, senza ragione, vecchi, bambini, donne e malati. “Acqua,
acqua!” gridavano i bambini sulla strada, in fila sotto il sole, ma nessuno poteva uscire dai
ranghi. Finalmente all’una fu dato l’ordine di partire e fu la gioia. Sì, fu la gioia perché in quel
momento tutti pensavano che non esisteva una sofferenza più grande di quell’inferno. La
processione avanzò verso l’uscita del ghetto.
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(quinta parte: Introduce Valentina Zanotto in italiano, continuano Edoardo Palladin,
Mattia Miotto in francese)
Elie contemplò la sua casa, dove aveva passato il suo tempo cercando Dio, studiando i libri
sacri e intanto sentiva i gendarmi ungheresi che urlavano un’infinità di volte: “In piedi!
Seduti! Appello!” Finalmente arrivò l’ordine “In marcia!” Elie vide il padre piangere per la
prima volta, il viso della madre preoccupato, la sorellina di 7 anni, Tzipora, con il suo zaino
troppo pesante, sapeva già che non serviva a niente lamentarsi. I gendarmi gridavano “più
veloci! Più veloci! Elie in quel momento comincia ad odiarli. Erano per Elie i primi oppressori,
erano per gli ebrei di Sighet il primo volto dell’inferno e della morte!
Nell’ultimo tratto del viaggio, si avviarono verso la stazione, li attendeva un convoglio di carri
bestiame; i gendarmi ungheresi li fecero montare in 80 su ogni convoglio, diedero loro del
pane e un secchio d’acqua, controllarono che le sbarre delle finestre tenevano bene e
vennero chiusi. Per ciascun convoglio venne nominato un responsabile: se qualcuno
scappava, lui sarebbe stato fucilato. Un fischio perforò l’aria, cominciava il cammino per
Auschwitz, la fabbrica della morte.
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(sesta parte: presentano in francese e in italiano “Trois jours après la libération” Giovanni
Adami, Thomas Leorato, Daniele Zampieri)
(settima parte: presentano in francese e in italiano “Jamais” Giulia Bellei, Emma Mella)
“ Mai” – “Jamais”
Mai dimenticherò quella notte,
la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte
sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute
di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni
che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.
Elie Wiesel
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