Persone, avvenimenti, luoghi di questo romanzo
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Persone, avvenimenti, luoghi di questo romanzo
Persone, avvenimenti, luoghi di questo romanzo sono il frutto della fantasia dell’autrice. Ogni sovrapposizione con la realtà è da ritenersi del tutto casuale. FRANCHI Sembrava che fosse stato macellato qualcuno. Il capitano Franchi pensava che a pochi dei suoi colleghi fosse capitato un caso così sconvolgente. Quello che aveva davanti agli occhi era stato provocato dalla furia di un essere che aveva poco di umano. Il sangue era sul letto, sul pavimento, sulle pareti, sul soffitto. Non pareva possibile che da quel piccolo corpo ne fosse uscito tanto. Lui poteva solo augurarsi che la bambina non avesse sofferto, ma lo avrebbe saputo solo dopo l’autopsia. Mario Franchi doveva cercare di capire, di riordinare le idee. Lo avevano chiamato poco prima, anche se pareva che la bambina fosse morta già da qualche ora. Doveva accertare che cosa fosse successo nel frattempo. Aveva provato a sentire la madre, ma la donna alternava atteggiamenti ipercinetici a un comportamento catatonico, ripetendo sempre le stesse frasi che non avevano nulla di razionale. “A Federica è scoppiata una vena, l’ho lasciata solo per pochi minuti per accompagnare Luca a scuola, era nel letto e dormiva tranquilla. Quando sono tornata l’ho trovata che respirava a fatica; c’era sangue dovunque e non sapevo che cosa fare. Ho cercato di soccor7 Paola Robotti rerla, poi ho chiamato il dottore. Lui mi ha detto che non aveva reazioni. Non volevo crederci. L’ho chiamata a lungo, adesso è là e non c’è più niente da fare. La mia Federica, dovete dirmi che cosa è successo alla mia bambina”. Franchi aveva pregato il dottore di calmarla e di portarla via. Lui avrebbe dovuto affrontare anche il padre, ma prima era necessario allontanare tutti gli estranei per evitare ulteriori inquinamenti. Era stato combinato già abbastanza casino. Orme dovunque, impronte dovunque. Prima che il corpicino fosse portato via doveva far fare tutti i rilievi ed osservare lui stesso. Era un compito da cui avrebbe voluto sottrarsi con tutte le sue forze. Il suo bambino più piccolo aveva più o meno l’età di Federica e lui non poteva non pensarlo senza sentirsi lacerare le viscere. Nessun bambino doveva morire così, ma lui, per arrivare a capire, avrebbe dovuto contenere il senso di rabbia che gli impediva di essere razionale. Devo capire piccola Federica, te lo devo. Doveva mettere in atto la sua tecnica per soffocare i sentimenti. Già altre volte lo aveva fatto. Aveva imparato a distaccarsi dalla parte emotiva di sé, trattando il caso come se fosse una simulazione. Era un esercizio per mantenersi freddo e arrivare a delle soluzioni. Le altre volte era stato più facile. In quel caso avrebbe dovuto farsi una violenza estrema e diventare quasi disumano. 8 Cronaca di una morte mediatica Te lo devo piccola Federica. Non avrò pietà per nessuno, solo per te. “Mandate via tutti, rimangano solo quelli che devono lavorare”. Continuava a ripeterlo, senza che nessuno ascoltasse. Avrebbe dovuto usare maniere forti; fortunatamente almeno la madre era stata portata via, all’ospedale più vicino. Il padre era stato rintracciato ed era insieme alla moglie. Non aveva voluto vedere il corpo della bambina. Aveva detto di non riuscire a sopportarlo. La gente intorno alla casa aveva calpestato i fiori che erano appena spuntati. Anche il piccolo orto era stato quasi devastato e diverse orme si vedevano sulla terra che era stata lavorata da poco. Davanti all’ingresso sul retro i giocattoli dei bambini, che con l’inizio della primavera avevano incominciato a stare fuori, erano stati accatastati in un angolo. Franchi si rammaricava che fossero stati fatti tutti quegli spostamenti, che sicuramente avrebbero alterato le prove. La casa, una vecchia cascina ristrutturata in cima ad un’altura, era poco distante dal resto del paese e per la sua posizione leggermente isolata permetteva una visuale a trecentosessanta gradi tutt’intorno. Lo sguardo poteva spaziare sulle linee ondulate delle colline, dove le prime colture incominciavano a colorare la terra bruna di verdi sfumati. Piccoli paesi si adagiavano sui pendii aggrappati alle cime su cui svettavano i campanili delle chiese. 9 Paola Robotti In quella mattina limpida i suoni delle campane, provenienti da ogni dove, sembravano farsi l’eco quasi per una burla gioiosa. La serenità del paesaggio rendeva il delitto più irreale. Lontano si sentivano i rumori dei trattori nei campi che si stavano risvegliando. Nelle vicinanze della cascina, da un boschetto di acacie, provenivano i cinguetii dei passerotti che erano sopravvissuti all’inverno. Si sentivano cani abbaiare in lontananza. Quella era una realtà, dove anche le morti dovevano avere una ragione, una logica. Non come la morte di Federica. Inaccettabile. Perché probabilmente era un delitto. Ma i bambini non si uccidono. Il capitano era ancora all’interno della casa quando delle urla fuori lo avevano costretto ad uscire. “Che cosa succede ancora?”. La scena era quasi grottesca. Due poliziotti vicino al cancello invano cercavano con le parole di tenere lontani quelli che erano indubbiamente dei giornalisti. La scritta sul pulmino, parcheggiato poco distante su uno spiazzo di terra, era quella di un’emittente televisiva locale, che aveva sede nella città ad una trentina di chilometri. Ancora una volta Franchi era sorpreso dalla tempestività con cui erano arrivati e si chiedeva chi li avesse informati. Erano i soliti tre che trovava dovunque, Clari, Landolfi e Anselmi. 10 Cronaca di una morte mediatica Si appiccicavano come sanguisughe fino a che non riuscivano ad ottenere qualche informazione, che spesso, nel trasmettere come notizia, colorivano un po’ troppo. A volte fatti piuttosto banali, di piccola delinquenza comune, venivano ingigantiti in modo tale da essere irriconoscibili. “La vostra non è cronaca – aveva detto a loro più volte – è fantascienza, prima o poi avrete guai seri. La scorrettezza non paga mai”. Ma loro procedevano imperterriti e con successo, perché pare avessero una buona audience. Quella volta non avrebbero avuto la necessità di esagerare, il pericolo, però, stava nella interpretazione dei fatti che avrebbero dato. Sicuramente prima che gli inquirenti potessero fare il loro lavoro avrebbero creato sospetti, avrebbero suggerito, anche se non apertamente, delle soluzioni. Tuttavia loro, Franchi lo sapeva, erano solo l’inizio. Un fatto così sconvolgente avrebbe attirato la stampa e le reti televisive nazionali e chissà che altro. Doveva essere preparato. Finché non si fosse giunti a far luce sul caso ci sarebbero state polemiche, illazioni, critiche. Già fuori qualcuno si era lamentato che le forze dell’ordine fossero arrivate tardi. Peccato che nessuno li avesse avvertiti prima. Non era ancora chiaro a che ora la bambina fosse morta o, meglio, fosse stata ammazzata. Perché non poteva essere altro. Una vena non scoppia, il sangue non fuoriesce dal corpo spontaneamente come una fontana. 11 Paola Robotti Nella camera in cui si trovava la bambina, tuttavia, niente faceva pensare ad un’arma. Ma erano passate molte persone e qualcuno poteva avere spostato involontariamente l’oggetto con cui Federica era stata colpita o più probabilmente il responsabile, o chi per lui, poteva aver fatto scomparire l’arma. Nella stanza, a parte il sangue, non c’era niente di insolito, solo gli oggetti consueti di una comune camera da bambini. I lettini disposti paralleli, con le lenzuola uguali con orsetti allineati nelle bordure. Un armadio di legno chiaro, a doppie ante, su cui erano appiccicati con chiodini sottili disegni tracciati da una mano infantile. Sopra l’armadio un grosso coccodrillo di peluche verde pendeva da un lato per quasi tutta la lunghezza della coda. Il comò, che doveva essere stato recuperato in qualche mercatino di robe vecchie o dalla soffitta di una nonna, era stato interamente decorato con ritagli riproducenti strumenti musicali, disposti con la tecnica del decoupage; dovunque, sulle due sedie e sulla poltroncina in un angolo ed anche per terra c’erano cani, gatti, orsi e tartarughe di peluche. Le pareti, ricoperte da una tappezzeria azzurro chiaro con fiorellini bianchi qua e là, erano prive di quadri. Anche nel resto della casa non c’era niente di anomalo. Modesta e comune la camera da letto dei genitori, funzionale, ma piuttosto disordinato, il bagno; sotto, l’ambiente più accogliente era la grande cucina, dove i giochi dei bambini erano sparsi un po’ dovunque. Il soggiorno, nonostante l’ampio camino di tufo con un trave di legno, dava un’impressione di freddezza. Un tavolo con sei sedie, due armadi, un salotto ricoperto 12 Cronaca di una morte mediatica da un cretonne a fiori verde pallido sembravano essere stati disposti senza cura. Ovunque mancavano alle pareti quadri o fotografie. Meglio tenuto era l’esterno, dove nelle aiuole ben delineate facevano capolino i primi fiori primaverili e lo spazio dell’orto era definito da un confine di mattoni triangolari conficcati nel terreno. La casa aveva diversi ambienti di servizio: un altro bagno, una lavanderia, due ripostigli, due garage. Un’abitazione come tante, fatta per vite comuni, serene, dove era impossibile immaginare che potesse succedere qualcosa di terribile. Franchi, tuttavia, aveva già capito che la morte della bambina non avrebbe potuto essere considerata solo una disgrazia. C’era ben dell’altro. Ma che cosa? 13 CHIARA Era stata trascinata via. Non avevano nemmeno aspettato Claudio, che era arrivato dopo. “Che cosa è successo, che cosa è successo?”. Nessuno rispondeva alla sua domanda. ”Venga”. Continuavano a ripeterglielo, ma lei doveva andare dov’era la sua piccola Federica ferita, coperta di sangue. Aveva bisogno di lei, doveva pulirla, medicarla. Lo diceva a quella gente, ma nessuno sembrava ascoltarla. Prima aveva tentato di correre in casa, ma l’avevano trattenuta. I poliziotti avevano fatto come un muro davanti alla sua porta. Aveva già detto che era uscita solo per dieci minuti, forse quindici. La bambina era tranquilla, dormiva, non stava male. Il giorno prima aveva starnutito due o tre volte, ma poi aveva smesso. La sera, quando si era addormentata, il respiro era regolare, la fronte fresca. Era serena, allegra. Aveva cercato di giocare con il fratello che l’aveva mandata via perché doveva fare dei compiti. Lei allora era intervenuta per consolarla con qualche coccola. Si era addormentata e non si era più svegliata, neppure quando il fratello si era alzato. Aveva mugolato, aperto gli occhi, ma quando lei 15 Paola Robotti gli aveva fatto una carezza si era girata sull’altro fianco e aveva continuato a dormire. Aveva impiegato poco per andare e tornare alla fermata dello scuolabus. Non aveva incontrato nessuno e non aveva perso tempo. Poi, poco più di dieci minuti dopo, si era trovata di fronte tutto quel sangue. Aveva chiamato la bambina, ma non rispondeva, l’aveva scossa, ma continuava a tenere gli occhi chiusi. Aveva sbagliato tre volte numero prima di riuscire a parlare con il dottore al telefono. Mentre aspettava, e i minuti erano interminabili, cercava di fare coraggio a Federica accarezzandola. “La mamma è qui, non temere, vedrai che adesso passa tutto”. Ignorava il sangue intorno, concentrata nel dare forza alla sua bambina. “La mamma è qui, non avere paura, la mamma ti vuole tanto bene”. Poi era arrivato il dottore e subito dopo altra gente. C’erano persone che andavano e venivano. Non capiva che cosa facessero. “Dovete aiutare la mia bambina, è lei che ha bisogno”. Ma sembrava che non l’ascoltassero. Poi quel capitano, Franchi si chiamava, aveva incominciato a dare ordini e finalmente avevano portato via Federica. Ma i poliziotti dalla casa non erano usciti e nel cortile era arrivata altra gente. 16 Cronaca di una morte mediatica “Una bambina ferita non è uno spettacolo”. Non si ricordava se lo aveva detto o solo pensato. Gli uomini sono come tanti sciacalli, che accorrono se sentono odore di sangue. Si sentiva sconvolta, spaventata. Anche Claudio, quand’era arrivato, sembrava stravolto. “Perché almeno tu non sei con la piccola Federica?” Stava seduto vicino a lei e cercava di calmarla. “È la bambina ad avere bisogno, non io”. Continuava a ripeterglielo, ma anche suo marito era strano. Non le dava retta, la esortava a stare calma. Quand’era arrivato l’aveva quasi aggredita. “Che cosa hai fatto?”. Aveva urlato e sembrava volesse picchiarla. Lo aveva guardato spaventata e lui era cambiato. Aveva iniziato ad accarezzarle la testa. Stai calma, continuava a ripeterglielo. Ma lei era calma, solo era terribilmente preoccupata “Dov’è Federica? Perché non ci lasciano andare con lei?”. Si sentiva sull’orlo di una crisi isterica, ma doveva mantenersi tranquilla se voleva che le permettessero di andare dalla bambina. Non aveva capito subito dove l’avevano portata. Era come in stato di trance e le immagini, le persone si confondevano davanti agli occhi. Aveva impiegato parecchi minuti prima di capire che era negli uffici della polizia. Non aveva neppure visto la strada che avevano percorso. Solo allora si 17 Paola Robotti accorgeva di essere in una stanza squallida, davanti ad una scrivania squadrata, di nessun valore. Delle sedie con delle imbottiture di materiale sintetico verde marcio stavano disposte in fila contro i muri scrostati dove le spalliere erano appoggiate alle pareti. Due mobili a saracinesca di medie dimensioni interrompevano la loro ordinata disposizione. Sulle pareti erano appesi quadretti con gagliardetti e immagini di cerimonie. Dietro la scrivania la foto del presidente della Repubblica con a fianco le bandiere infilate in un piedistallo. Sopra fogli, matite, un tagliacarte, il telefono che già due volte aveva squillato. Non c’erano posacenere. Lei aveva smesso di fumare da molti anni, ma in quel momento sentiva il bisogno di una sigaretta. Ogni tanto qualcuno in divisa apriva la porta per chiedere se volevano dell’acqua o un caffè e per rassicurare che il capitano sarebbe arrivato presto. Ma perché il capitano? Lo aveva chiesto a Claudio che le aveva risposto solo con un stai tranquilla. Ma lei tranquilla non era, come non lo era Claudio. Inutile che fingesse. Voglio andare da Federica. Lo aveva quasi urlato, decisa. “Federica non c’è più”. Federica non c’è più. Che cosa voleva dire? ”Claudio che cosa vuoi dire?”. E poi quelle terribili parole. Pronunciate quasi con rabbia. “Federica è morta”. Non era possibile. L’aveva vista lei nel lettino. È vero c’era tutto quel sangue. Ma la bambina respirava, 18 Cronaca di una morte mediatica forse aveva anche sentito che la chiamava. Bisognava solo medicarla, curarla, sarebbe tornata come prima. Tutta quella gente non poteva sapere che cosa era bene per lei. Era lei che doveva starle vicino. “Claudio portami da Federica. Ha bisogno di me”. “Federica è morta”. Ancora quelle terribili parole. Erano impazziti tutti. Anche Claudio. Che continuava ad accarezzarla sulla testa incominciando a darle fastidio. “Di’ a me quello che hai visto o hai fatto. C’era qualcuno con te?”. Claudio aveva incominciato a farle domande e lei non capiva che cosa volesse. “Prima che ti interroghino degli estranei di’ tutto a me”. Ma chi doveva interrogarla e perché? “Guardami”. Claudio le stringeva la testa fra le mani per tenerla girata verso di lui. Aveva avvicinato il suo viso e sembrava quasi che volesse penetrarle nel cervello. “Federica è morta. Lo capisci?”. Pareva che sibilasse e le faceva paura. ”Dimmi che cosa è successo”. Lo sentiva urlare e aveva l’impressione di scivolare su un prato bagnato che non finiva mai. Lei tentava di aggrapparsi a qualcosa, ma non c’era niente che potesse servire da appiglio. Sembrava che il cielo, che diventava sempre più buio, si abbassasse per schiacciarla. 19 Paola Robotti Cercava di urlare, ma non riusciva a schiudere le labbra, che sembravano cucite. Sempre più giù, sempre più giù. In una vertigine senza fine. 20