Manuale d`istruzione - Helpdesk Liscianigroup

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Manuale d`istruzione - Helpdesk Liscianigroup
Alla scoperta
dell’Era
Glaciale
Il lungo inverno della terra
Se la storia climatica del nostro pianeta si potesse descrivere come un alternarsi di stagioni,
l’inverno, anzi gli inverni, sarebbero sicuramente le ere glaciali. Inverni tutt’altro che brevi, lunghi
migliaia, perfino milioni di anni, e
per niente miti, con temperature
costantemente sotto zero. Ma… un
momento! Ere glaciali? Non ce n’è
stata una sola?
In effetti, quando parliamo di Era Glaciale, facciamo
spesso riferimento alla grande glaciazione che iniziò circa
20.000 anni fa, l’epoca in cui vissero i mammut e la tigre
dai denti a sciabola, ma anche i nostri progenitori della
preistoria. Prima di questa, però, la Terra ha conosciuto
diverse ere glaciali, che si sono alternate a ere di disgelo
dall’antichità fino a oggi. Già, forse non lo sai, ma… l’ultima era glaciale è ancora in corso!
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Non ci credo!
Proprio così; ancora oggi, vaste
terre ricoperte di ghiaccio ci dicono che stiamo vivendo in un’era
glaciale. Pensiamo per esempio
alle bianche distese della Groenlandia o all'Antartide, con i loro
iceberg e i grandi ghiacciai. Panorami… da brivido!
Quello che stiamo attraversando, da ormai più di 10.000 anni, è in realtà un periodo interglaciale, cioè quella fase di un’era glaciale in cui le temperature si alzano, provocando un
parziale ritiro dei ghiacci.
I cicli climatici vissuti dal nostro pianeta ci dicono che un periodo interglaciale è l’intervallo che
separa due glaciazioni successive; questo significa che stiamo andando incontro a un nuovo
periodo in cui le temperature scenderanno e i ghiacci ricominceranno ad avanzare.
Quando accadrà?
Ancora non lo sappiamo; potrebbero
volerci ancora centinaia o migliaia di
anni, ma forse anche meno. Nel frattempo, per sicurezza, corriamo a ritirare i cappotti pesanti in tintoria, non
si sa mai!
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Era Precambriana
LEGENDA
era glaciale
disgelo
4500
2700
2300
800
600
Tempo in milioni di anni
La Piccola Era Glaciale
Fra la metà del XIV e quella del XIX secolo, le temperature sulla Terra, in particolare in Europa, subirono un
memorabile abbassamento, tanto che questo intervallo
di tempo è stato chiamato “Piccola Era Glaciale”. Fu
il periodo in cui si registrarono gli inverni più freddi e
rigidi degli ultimi 1000 anni, oltre a un generale avanzamento dei ghiacciai che proseguì fino al 1850 circa,
quando iniziò un progressivo riscaldamento che prosegue ancora oggi. Le cause di questo lungo raffreddamento non sono ancora chiare. Forse influirono le frequenti eruzioni vulcaniche
che, disperdendo nell’atmosfera ceneri e altri materiali, attenuarono la potenza dei raggi solari.
In Europa, durante la Piccola Era Glaciale, interi fiumi, laghi e lagune ghiacciarono comple-
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Era Paleozoica
Era Mesozoica
Era Cenozoica
Era Neozoica
460
430
350
250
1
OGGI
Periodi Glaciali - Periodi Interglaciali
Era neozoica
0,6
0,4
Tempo in milioni di anni
0,2
0
tamente, tanto che ci si poteva camminare sopra e perfino attraversarli con slitte e carri. A
Londra, lo strato di ghiaccio sul fiume Tamigi era talmente spesso che, per parecchi anni,
“sostenne” le annuali Fiere sul ghiaccio (vedi il dipinto nella pagina a lato), con tanto di
bancarelle e improvvisati “campi sportivi” in cui la gente poteva giocare a bocce e a football.
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Che c’è in frigo? L’uomo!
Per fortuna esistono i periodi interglaciali! La storia dell’uomo, infatti, si sviluppa per intero
all’interno dell’era glaciale che stiamo vivendo e non avrebbe potuto avere inizio senza questi
lunghi periodi di ritiro dei ghiacci.
Così, come una pietanza appena tirata fuori dalla ghiacciaia, circa due milioni e mezzo di
anni fa i primi antenati dell’uomo fecero la loro comparsa sulla Terra. Appartenevano a una
specie più evoluta degli australopitechi, i primi ominidi, poiché possedevano nuove abilità che
li rendevano capaci di fabbricare i propri strumenti.
Ancora non lo sapevano, ma stavano per iniziare un lungo cammino, che nel corso dei millenni, attraverso tanti passaggi evolutivi, avrebbe dato origine alla specie a cui apparteniamo
noi, l’Homo sapiens.
Australopithecus (scimmia del sud)
Visse in Africa fino a circa due milioni
di anni fa. Il suo cervello era molto più
piccolo del nostro, ma camminava su
due gambe come noi.
4 milioni di anni fa
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Homo habilis (uomo abile)
Africano come l’australopiteco,
ma più evoluto, sapeva costruire
strumenti e utensili.
2,5 milioni di anni fa
Mentre “L’uomo che sa” faceva la sua comparsa in Africa, circa 300.000 anni fa, in Europa
iniziavano a diffondersi dei cacciatori seminomadi, che si adattarono al clima rigido delle nevi
e dei ghiacci, sviluppando tecniche intelligenti per la caccia ai grandi mammiferi dell’epoca,
come i giganteschi mammut. Erano esemplari di una specie molto particolare: l’Homo neanderthalensis, meglio noto come uomo di Neanderthal.
L’uomo di Neanderthal visse per oltre 200.000 anni e si estinse all’improvviso circa 50.000
anni fa, per cause ancora avvolte nel mistero. Nell’ultimo periodo della sua esistenza si trovò
a coabitare con i “cugini” sapiens, migrati nel frattempo in Europa. Le recenti scoperte hanno
provato che questa convivenza durò almeno 5000 anni, comportando vari scambi culturali e
genetici tra le due specie. Il legame fra noi e loro non si estinse quindi con la loro scomparsa…
anzi, continua ancora oggi!
Homo erectus
(uomo eretto)
Era molto abile a lavorare
la pietra e scoprì l’uso
del fuoco. Fu il primo a
spingersi fuori dall’Africa.
1,5 milioni di anni fa
Homo neanderthalensis
(uomo di Neanderthal)
Primo uomo di cui non si
hanno tracce in Africa.
Lavorava la pietra con
abilità e seppelliva i
compagni morti.
300.000 anni fa
Homo sapiens
(uomo che sa)
Africano di nascita,
emigrò in Asia e poi in
Europa, dove venne a
contatto con l’uomo di
Neanderthal e probabilmente
si fuse con esso.
300.000 anni fa
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Mio cugino viveva a Neanderthal
Thal, in tedesco, significa valle; Neander, invece, è il cognome di un compositore del XVII secolo, un tale Joachim Neander, che doveva essere molto bravo, dato che in Germania c’è una
valle che porta il suo nome: Neanderthal, per l’appunto. Ma che cosa c’entra tutto questo
con la preistoria? Beh, ciò che è sicuro è che pochi ricordano questa valle per l’illustre musicista, perché la sua fama è dovuta ai preziosi resti che vi sono stati ritrovati.
Appartenevano a un uomo preistorico di cui abbiamo appena parlato. Chi ha detto “l’uomo
di Neanderthal”? Risposta esatta!
Sulle tracce dell’uomo
di Neanderthal…
I resti del primo Homo
neanderthalensis
riconosciuto come
tale. Furono ritrovati a
Neanderthal, nel 1856.
By Claire H. from New York City,
USA [CC BY-SA 2.0]
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Visti da vicino:
Paleoidentikit dell’uomo di Neanderthal
Gli uomini di Neanderthal erano piuttosto bassi (i più alti
non raggiungevano il metro e settanta), avevano una
corporatura robusta e la mandibola sporgente.
Il naso era grosso, forse per respirare meglio l’aria gelida
del Paleolitico.
La loro struttura fisica ci suggerisce che fossero
grandi cacciatori, pronti a mettersi sulle tracce anche degli
animali più grossi. Tuttavia, contrariamente all’immagine
di scuri scimmioni pelosi che se ne ha di solito, lo studio
del DNA ricavato dai fossili suggerisce che alcuni di loro
avessero capelli rossi e biondi e occhi azzurri!
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Sopravvivere nell’era glaciale
Come abbiamo accennato all’inizio, l’Homo neanderthalensis è una specie prevalentemente
europea; la maggior parte dei fossili è stata infatti ritrovata nella parte centro-meridionale del
nostro continente. L’ambiente e, soprattutto, il clima di allora erano molto diversi da quelli di
oggi. Gli inverni erano freddissimi, la neve e il ghiacci ricoprivano gran parte del paesaggio e
quindi, per il cibo, non si poteva contare molto sui frutti della terra e delle piante.
Non restava che affidarsi alla caccia, tendendo agguati fatali agli animali selvatici e seguendone
pazientemente gli spostamenti. Il progressivo raffreddamento delle temperature, infatti,
costrinse gran parte degli animali a spostarsi a sud, in cerca di climi più caldi, ma favorì
anche la diffusione di nuove specie adattate al gelo, come i mammut, gli alci, le renne, i buoi
muschiati e gli orsi.
Se prima l’uomo di Neanderthal cacciava
cavalli, bovini e uccelli, con l’arrivo del freddo preferì concentrarsi sulle grandi prede,
come l’orso e, negli insediamenti più a est, il
mammut. Questo grande mammifero “impellicciato” era uno dei bersagli preferiti,
perché, oltre alla carne, forniva anche pelli
per vestirsi, ossa per costruire strumenti e
zanne per fortificare le capanne.
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A quanto pare, l’abitudine era quella di cacciare in gruppo e concentrarsi su una sola specie
animale, allo scopo di unire gli sforzi per un risultato che avrebbe sfamato il maggior numero di
bocche, riducendo così anche il rischio di avere la peggio con la preda o di tornare a mani vuote.
I più temerari facevano “da esca”, attirando l’attenzione dell’animale e spingendolo a caricarli; intervenivano quindi
i compagni di caccia, colpendolo ripetutamente dai lati con lance acuminate e
grosse pietre. Una volta condotto il mammut sul ciglio di un dirupo, sferravano gli
attacchi decisivi che avrebbero “portato
a casa” il ricco bottino di caccia.
Gli attrezzi del
mestiere
I Neanderthal utilizzavano per lo più strumenti
in selce, come asce e lance durante la caccia e
raschiatoi, rudimentali seghe e coltelli per macellare le prede. Le schegge di selce venivano
ricavate preparando un nucleo di roccia da cui
veniva poi staccata con precisione la scheggia
vera e propria. Questo metodo, detto scheggiatura Levallois dal nome del sito in cui furono ritrovati i primi esemplari di schegge, è un
“marchio di fabbrica” tutto neanderthaliano!
By Cortés-Sánchez,
M. et al. [CC BY-SA 3.0]
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Un solido rifugio
Durante la loro vita seminomade sulle tracce delle prede, i neandertaliani si organizzavano
in gruppi formati da diverse famiglie; spesso allestivano accampamenti lungo le rive dei corsi
d’acqua, costruendo capanne di pelli e zanne di mammut. Quando però imperversavano le
bufere di neve, il miglior riparo era la caverna, con l’immancabile focolare sempre acceso,
che garantiva agli uomini riscaldamento e protezione dagli animali feroci.
Per un popolo viaggiante, la caverna
rappresentava la soluzione più semplice
per cambiare “indirizzo” rapidamente.
Questi provvidenziali rifugi del passato
rappresentano inoltre dei luoghi privilegiati per gli archeologi, poiché molte
grotte hanno custodito al riparo dalla
pioggia e dal vento le tracce dei loro
antichi abitanti. Al loro interno sono stati ritrovate armi, suppellettili e, con l’evolversi nel
tempo delle abilità dell’uomo, perfino rappresentazioni artistiche, come le pitture rupestri,
i cui migliori esempi sono custoditi nelle grotte di Lascaux, in Francia.
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PALEO-LAB
Pitture rupestri “speziate”
Realizza anche tu le tue opere d’arte preistoriche:
oltre ad avere l’aspetto di vere pitture rupestri,
saranno anche profumatissime.
Scopri come fare!
Cosa ti serve
• Carta da pacchi
• Spezie di colore rosso-giallastro
(paprica, curcuma, curry…)
• Acqua e pennelli
Cosa devi fare
Versa un po’ di spezie su un piattino e bagnale con il
pennello, come se fossero acquerelli. Saranno gli esclusivi
colori della tua pittura! Per i soggetti puoi ispirarti alle vere
pitture rupestri… oppure inventa!
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Arte simbolica
Se le maggiori espressioni artistiche della preistoria sono riconducibili all’Homo sapiens, non
dobbiamo però sottovalutare “l’estro” neanderthaliano, di cui abbiamo trovato alcune tracce
proprio nelle caverne.
Su una parete delle grotte di Gorham, presso la Rocca di Gibilterra, gli archeologi hanno scoperto un disegno inciso nella roccia e
lo hanno attribuito proprio al nostro uomo
preistorico preferito. È formato da tre righe
verticali intrecciate da due orizzontali; ancora
non ne sappiamo il significato, ma sarebbe
sufficiente a provare la capacità dell’uomo di
Neanderthal di sviluppare pensieri simbolici,
cioè slegati dalla realtà. Insomma… un po’
“sapiens” lo era anche lui!
Di AquilaGib (Stewart Finlayson, Gibraltar
Museum) (Opera propria) [CC BY-SA 4.0]
Per molto tempo gli uomini di Neanderthal
sono stati considerati i parenti poco intelligenti dei sapiens, eppure il loro cervello era
più grande!
Homo sapiens (a sinistra)
vs Homo neanderthalensis (a destra)
Di hairymuseummatt (original photo), DrMikeBaxter (derivative work) [CC BY-SA 2.0]
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Sensibili e… vanitosi!
In base alle scoperte più recenti, il “complesso di inferiorità” che la storia ha spesso attribuito ai nostri amici Neanderthal, non era proprio giustificato. Pare infatti che si trattasse
di uomini molto sensibili, che si prendevano cura degli anziani e seppellivano i loro morti,
dimostrando così un alto livello di civilizzazione.
I riti funerari degli uomini di Neanderthal, in particolare, rappresenterebbero i primi esempi
di cerimonia religiosa nella storia dell’umanità. In base alla disposizione e allo stato di conservazione dei resti umani ritrovati, il defunto veniva deposto in una buca poco dopo la
morte, rannicchiato e circondato di cibo e utensili; poi, il corpo veniva ricoperto di rocce per
proteggerlo dagli animali.
By 120 / V. Mourre
(Own work)
[CC BY-SA 3.0]
Una riproduzione di resti ritrovati presso il sito archeologico di La
Chapelle-aux-Saints, in Francia, attribuiti a tombe Neanderthal.
La vita dei nostri Neanderthal nell’era glaciale non doveva essere affatto facile; tuttavia, forse
per distrarsi un po’ dal rigore del gelo e dai pericoli sempre in agguato, qualcuno trovava
tempo per concedersi qualche frivolezza.
Nuovi studi condotti sui resti Neanderthal trovati nella grotta di Fumane, nei pressi di Verona,
dimostrerebbero che gli uomini a cui appartenevano utilizzassero penne di vari uccelli a scopo ornamentale, per impreziosire i loro abiti e, probabilmente, creare dei rudimentali monili.
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PALEO-LAB
La collana Neanderthal
Che ne dici di concederti anche tu un po’ di… vanità preistorica? Ti spieghiamo come
realizzare una variopinta collana alla moda di Neanderthal!
Cosa ti serve
•
•
•
•
Carta colorata
Forbici
Spago o cordoncino colorato
Una matita con la punta
Cosa devi fare
• Disegna delle piume nella carta
colorata e ritagliale
• Pratica dei taglietti lungo il bordo,
per creare un “effetto-piuma”
• Con la punta della matita,
fai dei forellini in cima a ogni piuma
• Fai passare lo spago attraverso i forellini.
Chiudi con un nodo e la tua collana preistorica sarà pronta da indossare!
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Estinzione o… cambiamento?
Circa 40.000 anni fa, i ghiacci rialzarono la testa e tornarono a stringere in una morsa i territori
abitati dagli uomini di Neanderthal, che trovarono quindi sempre più difficoltà a trovare cibo
e difendersi dal freddo. Fu questa, dunque, la causa della loro improvvisa scomparsa?
Per molto tempo si è pensato che la causa più probabile di questo fenomeno fosse la
competizione con l’uomo di Cro-Magnon, il nostro diretto progenitore sapiens.
Tuttavia, questa ipotesi si basa sul fatto che
quest’ultimo fosse mentalmente e
tecnicamente più evoluto del cugino,
quindi capace di elaborare tecniche di caccia
più raffinate e di organizzarsi socialmente in
modo più efficace.
Come abbiamo visto, però, le ultime
scoperte sembrano rivalutare le capacità e
l’intelligenza neanderthaliana, smentendo in
parte la conclusione fatta.
E allora?
Forse, la verità è molto più semplice e meno
violenta. Le tante tracce di uomo di Neanderthal presenti nel nostro DNA suggeriscono
infatti una pacifica mescolanza fra le specie
in cui, a poco a poco, le caratteristiche più
evidentemente neanderthaliane siano andate scomparendo.
Ricostruzione di una donna
Cro-Magnon
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L’ipotesi della Nonna
Due ricercatori americani hanno elaborato una teoria piuttosto interessante sulla scomparsa
degli uomini di Neanderthal. Studiando alcune popolazioni africane organizzate in società
non molto differenti da quelle sapiens è emerso il ruolo fondamentale delle donne più
anziane… insomma, delle nonne! Come
spesso accade anche nelle famiglie
moderne, le nonne accudivano i nipotini,
dando modo a figlie e nuore di avere altri
bambini e concentrarsi sui nuovi nati;
inoltre avevano il tempo di andare per
boschi in cerca di erbe, radici e tuberi,
garantendo ogni giorno qualcosa da
mangiare.
Si è quindi ipotizzato che proprio questo
tipo di organizzazione sociale abbia consentito all’Homo sapiens di soppiantare a
poco a poco il cugino di Neanderthal, nella
cui società tutti contribuivano alla caccia,
a discapito della procreazione.
Il piccolo
Neanderthal
che vive in te
A lungo si è pensato che l’Homo sapiens e
l’uomo di Neanderthal non avessero tratti in
comune, a parte l’appartenenza al genere
Homo.
Recuperando il DNA dell’uomo di Neanderthal dai resti fossili, si è però evidenziata la
presenza di incroci fra le due specie, dopo che
l’Homo sapiens migrò dall’Africa per trasferirsi nei territori europei. Dunque, un po’ di
uomo di Neanderthal si è trasferito dentro di
noi e sopravvive all’estinzione!
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Mettendo insieme il materiale
genetico di più individui, pare
addirittura che circa il 20% del
DNA dell’uomo di Neanderthal
possa essere rintracciato all’interno del nostro!
Ritorneranno?
Ma se abbiamo ricostruito gran parte del DNA dell’uomo
di Neanderthal, non sarebbe possibile… fabbricarne uno
vero? Pare che questa suggestiva ipotesi, che chiama in
causa le moderne tecniche di clonazione, sia in fase di
studio presso una prestigiosa università americana. Tuttavia, un progetto del genere dovrebbe fare i conti con
un problema non da poco... cioè trovare una donna disposta a portare in grembo il piccolo neanderthal! Come
si può immaginare, le voci di questa intenzione, non ufficialmente confermate, hanno suscitato molte polemiche
nella comunità scientifica.
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Mammut, il nonno
dell’elefante?
La natura fa davvero le cose per bene.
Siamo in un’era glaciale? Eccoti
la pelliccia! Questo è ciò che deve essere
accaduto a uno dei più famosi
protagonisti dell’era del gelo,
il mammut! Lo spettacolare elefante
impellicciato dalle lunghe zanne che
troviamo ritratto in tantissime immagini
artistiche è forse il più celebre fra gli
animali del passato, escludendo i
dinosauri, naturalmente.
Il mammut era grande più o meno quanto un
elefante asiatico. Tuttavia, ne esistevano anche
esemplari colossali, alti fino a 5 metri… e di minuscoli (si fa per dire), che superavano di poco il
metro. Viveva nelle grandi pianure dell’est asiatico, dove giunse dopo una lunga migrazione
dal continente africano.
A differenza degli elefanti, oltre al fitto strato
di pelo che li ricopriva, avevano orecchie molto
piccole, grandi circa 30 centimetri. Sotto la pelle, uno spesso strato di grasso formava un’altra
barriera contro il gelo. Le zanne erano estremamente allungate e a volte ricurve.
Si è ipotizzato che servissero per scavare nel ghiaccio e raggiungere la vegetazione sottostante.
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Solo una somiglianza
o vera parentela?
Il mammut era davvero il “nonno” dell’elefante? Ebbene sì, a
volte l’apparenza non inganna: il mammut era davvero strettamente imparentato con l’elefante, con cui condivide il 95% di
DNA. Questa stretta affinità ha suscitato l’attenzione di tanti
scienziati desiderosi di far rivivere la specie. Vista la straordinaria
vicinanza all’elefante, se venisse ritrovato del materiale genetico sano (DNA), forse si potrebbero ottenere nuovi esemplari
di mammut tramite la fecondazione di una femmina, probabilmente di elefante indiano (a fianco), il più vicino in assoluto ai
pelosi colossi preistorici.
L’estinzione
Dopo quasi 5 milioni di anni di presenza sulla Terra, i mammut si estinsero alla fine del Pleistocene,
circa 3.500 anni fa, forse per l’eccessiva caccia da parte dell’uomo. Ma le disgrazie, in casa elefante, non finiscono qui. Se si piange la scomparsa di nonno Mammut, altrettanto bisogna fare per
quella dello “zio”. In realtà, in questo caso la parentela è molto più alla lontana, tuttavia l’aspetto
fisico lascia ben pochi dubbi sull’esistenza di un progenitore comune fra elefanti, mammut e…
mastodonti.
Il mastodonte (nella foto) era diffuso soprattutto in America, ma molti esemplari sono stati
ritrovati anche in Europa. Si nutriva di foglie e frutti che raccoglieva dai rami (a differenza dei
moderni elefanti, che prediligono erba e fieno). Era grande più o meno come un mammut o
un elefante, tuttavia è comune utilizzare l’aggettivo “mastodontico” per descrivere qualcosa
di davvero grande e imponente. Forse perché suona meglio di “mammutesco” o “elefantico”? In ogni caso, mammut e mastodonte hanno probabilmente condiviso la stessa sorte,
estinguendosi a causa della caccia spietata degli uomini circa 10.000 anni fa.
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L’estinzione del Pleistocene
Mammut e mastodonti non furono le sole specie animali preistoriche a estinguersi nel periodo fra la fine del Pleistocene (circa 11.000 anni fa) e l’inizio dell’Olocene (l’epoca geologica in
cui viviamo attualmente). Nell’arco di alcune migliaia di anni, infatti, tutti gli animali di grandi
dimensioni e molti di quelli di medie dimensioni si estinsero. Sulle cause che determinarono
questa estinzione esistono varie ipotesi, nessuna delle quali del tutto verificata.
Ecco le principali.
Ipotesi 1 La caccia spietata dell’uomo nel corso della sua espansione al di fuori dell’Africa e dell’Asia meridionale. Un’altra possibile conseguenza della convivenza con l’uomo
potrebbe essere anche la propagazione di un virus letale per i grandi mammiferi, di cui gli
esseri umani sarebbero stati i portatori.
Ipotesi 2 I cambiamenti climatici che si susseguirono sul nostro Pianeta, con i repentini
sbalzi di temperatura tra una glaciazione e quella successiva.
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Ipotesi 3
Le modificazioni
dell’atmosfera dovute a
una serie di grandi incendi
che si verificarono in quel
periodo. Questa terza
ipotesi è strettamente
legata alla scomparsa del
mammut: questa avrebbe
causato una crescita
incontrollata di vegetazione
facilmente incendiabile
nelle distese erbose in cui
era solito nutrirsi.
L’estinzione delle altre
specie si sarebbe quindi
verificata di conseguenza.
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Tigre, tigre, che denti lunghi che hai…
“… Perché non sono una tigre!”, replicherebbe la diretta interessata se fosse ancora in vita
(e se sapesse parlare). La tigre dai denti a sciabola, infatti, ha ben poco a che fare con il
grande felino striato attuale.
Questo originale nome è attribuito in realtà a diverse specie preistoriche che non hanno molto
in comune fra loro eccetto, appunto, i lunghissimi canini sporgenti, visibili anche a bocca chiusa.
Le tigri dai denti a sciabola
vissero sia nelle zone
glaciali, sia nelle pianure
calde del sud. Fecero la loro
comparsa sulla Terra 2 milioni
e mezzo di anni fa e
sparirono circa 10.000 anni
fa, alla fine del Pleistocene, in
corrispondenza con
l’estinzione di gran parte
della fauna che caratterizzò
questo periodo.
Le tigri preistoriche avevano più o meno le dimensioni di
un leone, ma i loro corpi erano più robusti e muscolosi.
Nonostante le vistose zanne da cui prendono il nome, pare
che non avessero un morso particolarmente potente; quello di un leone dei nostri giorni sarebbe addirittura tre volte
più forte!
Per questo motivo, la tigre dai denti a sciabola non riusciva
ad azzannare le prede al collo per soffocarle; si pensa invece che utilizzasse le zanne per ferire le parti più morbide
delle prede, e aspettasse quindi che morissero dissanguate.
I denti della tigre dai denti a sciabola, per quanto lunghi e minacciosi, erano
piuttosto fragili, il che costringeva l’animale a utilizzarli con molta attenzione.
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Lo smilodonte, simbolo della California
Lo smilodonte (Smilodon), la più famosa fra
le tigri dai denti a sciabola, fu probabilmente il
più forte predatore della sua epoca.
Si ipotizza che, a differenza delle tigri moderne, cacciasse in branco, cosa che gli permetteva di affrontare anche animali molto più grandi, come il mammut.
Visse in America, sia del Nord, sia del Sud, e se
ne conoscono tre specie. La prima a comparire
fu lo Smilodon gracilis, che fu poi sostituito dallo Smilodon fatalis e in seguito dallo Smilodon
populator. Quest’ultimo è stato probabilmente
il felide più grande di sempre: alto quasi 1,5
metri e lungo fino a 3 metri!
Numerosi fossili di smilodonte sono stati ritrovati nei pozzi di bitume di Rancho La Brea,
presso Los Angeles. Lo Stato della California ha
voluto rendere omaggio al suo antico abitante
nominando lo Smilodon fatalis “Fossile di Stato” della California.
Rancho La Brea, serbatoio di fossili
Scheletro di smilodonte recuperato
dai pozzi di Rancho La Brea.
Di James St. John [CC BY 2.0 ]
Volendo tentare una traduzione dallo spagnolo, il nome Rancho La Brea suonerebbe più o
meno come “Campo del bitume”. Il motivo è
la presenza nel territorio di numerosi pozzi di
bitume naturale. Nel corso dei secoli, numerosi animali di tutte le dimensioni sono stati
“intrappolati” da questi pozzi, che ne hanno
conservato perfettamente le ossa, colorandole solamente di una tinta scura. Dai pozzi di
Rancho La Brea sono usciti resti di tigre dai
denti a sciabola, mammut e tanti altri animali,
spesso prede che andavano a morire nei pozzi
e predatori che restavano intrappolati per recuperarne i corpi.
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Scavare nel ghiaccio
Nelle regioni fredde della Terra, ogni anno si deposita uno strato di neve, che poi si trasforma
in ghiaccio; a causa del freddo, quel ghiaccio non si scioglie più e, con il tempo, viene ricoperto da un nuovo strato di ghiaccio, poi da un altro e così via.
Come i fossili scavati nella pietra, a distanza di moltissimi anni, questi strati di ghiaccio possono rivelarci preziose informazioni sul passato: come? Ci pensano gli scienziati, che ne vanno
in cerca utilizzando strumenti speciali capaci di perforare il ghiaccio ed estrarne lunghissimi
“tubi” cilindrici.
Un frammento di carota. Questi campioni di ghiaccio possono essere
prelevati anche a migliaia di metri di profondità.
Questa tecnica, che ricorda un po’ la raccolta delle carote in un orto si chiama proprio…
carotaggio! Ogni carota è formata da tanti strati di ghiaccio, in cui sono intrappolati pollini,
polvere e anche tantissimi esseri viventi, vecchi anche di milioni di anni. Studiando questi resti,
in particolare la profondità a cui si trovavano, si può capire l’epoca a cui risalgono e, con un
po’ di fortuna, ci si può imbattere anche in scoperte sorprendenti.
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La più clamorosa di queste scoperte risale a pochi
anni fa, quando in un’isola dell’arcipelago Ljachov,
nella Russia siberiana, fu trovato il corpo quasi intatto di un mammut femmina morto fra 10.000
e 15.000 anni fa. Il corpo, sepolto nel ghiaccio a
100 metri di profondità, era talmente ben conservato che il sangue, una volta tolto il ghiaccio,
tornò in forma liquida!
Altri tesori dello
scrigno gelato
Se il mondo animale spera di poter rivedere presto
un mammut in tutto il suo splendore, il mondo
vegetale è decisamente in vantaggio. Intrappolati
nelle grandi distese di ghiaccio della Russia, sono
stati ritrovati alcuni semi, nascosti probabilmente
da un previdente scoiattolo preistorico. Da quei
semi, gli scienziati sono riusciti a riportare in vita
una pianta preistorica estinta da migliaia di anni!
Nessuna speranza di “resurrezione” invece per Ötzi, la
mummia di Homo sapiens ritrovata nel 1991 sulle Alpi
fra Italia e Austria, ai piedi del ghiacciaio del Similaun.
Tuttavia, grazie al suo ottimo stato di conservazione
e agli abiti e utensili che aveva con sé, è in grado di
insegnarci parecchie cose sulla vita
dell’homo sapiens 3.000 anni prima
di Cristo. La mummia è oggi esposta
al Museo Archeologico dell’Alto Adige,
che ha sede a Bolzano.
La mummia di Ötzi al momento del
ritrovamento. A fianco, una ricostruzione dell’aspetto che doveva
avere in vita.
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REGOLE DEL GIOCO
IL REGNO DEI GHIACCI
preparazione:
Ogni giocatore sceglie un personaggio preistorico e lo posiziona sulla casella
“VIA” del tabellone.
Poi, ogni giocatore sceglie uno scheletro e separa tutti i pezzi che lo compongono.
Una volta ottenuti tutti i pezzi, li dispone a lato del tabellone, avendo cura che i pezzi non si
mescolino tra loro, rendendo difficile il loro riconoscimento.
Scopo del gioco:
Vince il giocatore che per primo riesce a recuperare tutti i pezzi dello scheletro scelto e
a montarlo correttamente. Ti ricordiamo che in questo gioco troverai lo scheletro di un
mammut e lo scheletro di una tigre dai denti a sciabola.
Come si gioca:
Inizia il gioco il giocatore più giovane.
Gira lo spinner e si muove di tante caselle quante indicate dalla freccia.
Se la freccia dello spinner indica il cervo (
) il giocatore potrà spostarsi di un numero
a scelta di caselle compreso fra 1 e 5. Una volta mossa la propria pedina, il turno passa al
giocatore successivo in senso orario.
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CASELLE SPECIALI:
Ogni volta che si passa su una casella osso, si
guadagna un pezzo dello scheletro scelto.
ATTENZIONE: non è necessario fermarsi sulla
casella, basta superarla.
Ogni volta che un giocatore si ferma su questa
casella, l’avversario guadagnerà un pezzo dello
scheletro da lui scelto.
Ogni volta che un giocatore si ferma
su questa casella deve riportare la sua
pedina sulla casella VIA, ignorando
l’effetto delle caselle OSSO.
Quando un giocatore si ferma
su questa casella ha diritto a
giocare un nuovo turno.
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Gioca con la caverna
Per giocare con la caverna preistorica assembla i pezzi come mostrato in figura.
Ora, inserisci le pedine e gli elementi nei cardstand e posizionali nella caverna. Avrai
ricreato un ambiente di vita preistorico.
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SCAVA NEL GHIACCIO
1. Riempi la vaschetta con 1 cm d’acqua.
2. Riponi la vaschetta in freezer e aspetta
3. Aggiungi delicatamente altra acqua fino
4. Riponi nuovamente la vaschetta nel
5. La vaschetta si presenterà come quelle
6. Prendi i tuoi attrezzi e inizia a scavare nel
Libera nell’acqua i pezzi di uno degli scheletri.
a colmare la vaschetta. Non temere se la
parte superficiale di ghiaccio si scioglie.
distese gelate dove scavano i paleontologi in
cerca di reperti dell’Era Glaciale.
finché l’acqua non sarà congelata. In questo
modo gli scheletri rimarranno in profondità.
freezer e attendi finquando l’acqua sarà
completamente ghiacciata.
ghiaccio delicatamente, facendo attenzione a
non rompere i tuoi fossili.
Fai attenzione ai piccoli frammenti che schizzeranno in aria e a non toccare il ghiaccio a mani nude: può bruciare.
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