«Io, Daniel Blake»: un uomo qualunque contro l`ingiustizia e la
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«Io, Daniel Blake»: un uomo qualunque contro l`ingiustizia e la
«Io, Daniel Blake»: un uomo qualunque contro l’ingiustizia e la burocrazia. Un film di Ken Loach. Con Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan, Briana Shann, Kate Runner… Palma d'oro e menzione speciale della giuria ecumenica al 69° Festival di Cannes (2016). Daniel (Dave Johns) è un uomo qualunque che vive a Newcastle. Sulla soglia dei sessant’anni si trova, dopo un serio problema cardiaco, a dover fare domanda di invalidità e abbandonare il lavoro di falegname, sua vera e unica passione. Nonostante i referenti medici siano a suo favore, la domanda viene rifiutata. Dopo aver lavorato una vita, curato la pazzia della moglie di cui è rimasto vedovo, senza figli, si ritrova a dover combattere contro la burocrazia statale che lo vuole «abile al lavoro» e pertanto, se vuole il sussidio, dovrà cercare un impiego per almeno trentacinque ore la settimana. Un’assurdità messa in atto da un Paese come l’Inghilterra che in un tempo di austerity si accanisce contro le classi sociali povere, rendendole ancora più miserabili. Come lo sono del resto Katie (Hayley Squires) e i suoi due figli che, pur di sopravvivere e non dormire in un ostello per i senzatetto, accettano di venire via da Londra verso una città anonima in cui non conoscono nessuno. L’incontro con Daniel presso gli uffici del Dipartimento del lavoro che sembrano non ascoltarli nelle loro «umane» richieste, farà scattare tra i due una reciproca ed esemplare solidarietà (ogni azione messa in atto è un pugno nello stomaco). Ken Loach, figlio di operai, torna alla regia con un nuovo film «militante» di tutto rispetto, con tanto di Palma d’oro vinta all’ultimo Festival di Cannes, dopo essere stato insieme a Paul Laverty, suo fido sceneggiatore, nella sua città natale di Nuneaton per documentarsi. Un’opera asciutta e cruda quanto basta (la scena al banco alimentare è a dir poco straziante), di denuncia, ma anche di spessore perché ciò che si vede (o che molte volte ci fanno vedere) non è mai lo specchio dell’intera realtà. Come quella che vivono i due protagonisti di questa storia alle prese con un governo che, dietro ad uno schermo o a pretese impossibili (persino nei confronti dei suoi impiegati), rischia di andare contro la dignità della persona, l’unico tesoro prezioso da salvaguardare. Un film utile, soprattutto contro l’indifferenza. (Gianluca Bernardini) "Altro che il solito Loach. Andate a vedere 'Io, Daniel Blake': ne resterete conquistati per la violenza sofferta della sua poesia. Nonostante tutto, c'è poesia. E ci sono la miseria di Newcastle, le insidie della burocrazia, il cinismo del potere, la disillusione di chi non vede happy end. Loach trova accenti di verità che non è solo adesione ideologica ma si trasforma in qualcosa di spirituale, tanto che nella scena centrale si pensa al tragicomico Charlot." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 20 ottobre 2016) "Scritto dal fedele Paul Laverty (...) è un film nobilmente indignato, impegnato e frontale: forse, fino all'eccesso. (...) Bisogna riconoscere che Loach usa un linguaggio quasi elementare; che, tuttavia, risponde in pieno al suo progetto. Lui dichiara di voler osservare i personaggi con empatia, come da un angolo dell'ambiente in cui questi si trovano: mantenendo la giusta distanza senza però perdere la capacità di emozionarsi. E così è. Certo, si possono preferire film come 'Due giorni, una notte' dei Dardenne o 'La legge del mercato' di Brizé, altrettanto politici, ma che coniugano l'impegno con un linguaggio più personale. Ed è anche vero, in qualche misura, che Loach si lascia prendere dallo scrupolo dimostrativo, viaggiando sul crinale scivoloso del didatticismo. Però il suo cinema resta dannatamente efficace; inoltre conserva una dimensione emotiva che gli altri non hanno (vedere, per tutte, la scena in cui Katie e Daniel vanno a cercare cibo presso un'associazione di carità). La cosa che qui soddisfa meno riguarda, piuttosto, la sceneggiatura di Laverty. Perché le storie del maturo Daniel e della giovane Katie vorrebbero rispecchiarsi l'una nell'altra: come a mostrare l'inferno del proletariato post-moderno attraverso due ottiche differenti, ma complementari. E invece prendono direzioni centrifughe, viaggiando in parallelo e rincorrendosi lungo un montaggio non sempre convincente." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 20 ottobre 2016) "Nella Newcastle contemporanea c'è gente che muore di fame. E non si tratta di migranti stranieri bensì di cittadini britannici bianchi, sudditi di Sua Maestà fino al midollo e membri di quella 'working class' oggi senza lavoro. (...) Potente, diretto, appassionato e solidissimo, il film di Loach è lo specchio della sua rabbia da guerriero indomito nonostante gli 80 anni compiuti." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 20 ottobre 2016) "Il messaggio del film è chiaro. La società ti ha tolto la dignità, ma tu puoi riprendertela proteggendo chi la dignità (cioè il lavoro, cioè l'autostima) l'ha smarrita prima dite. Piacerà. E molto. A patto che riusciate a rimontare (noi l'abbiamo fatto) le molte pregiudiziali politiche che Ken Loach, in una carriera più che cinquantennale ha sempre messo nelle sue opere. Oggi come mezzo secolo fa, la lotta di classe è sempre al centro delle sue opere. Da vecchio comunista (mai pentito) ha sempre sparato, ogni volta che poteva, persino sul Welfare britannico (che quando Ken era giovane era additato a modello in tutto il mondo). Figuriamoci se non spara oggi, che il Welfare è palesemente inadeguato e non tutela più, come si diceva una volta, il cittadino «dalla culla alla bara». Mettendo in scena un diseredato che alla bara non ci può nemmeno arrivare serenamente, Loach ha indubbiamente buon gioco (di Daniel Blake s'è riempita l'Europa). Ma a questo punto è il caso di dire che il gioco alla sua veneranda età (80 compiuti) Ken lo sa condurre in modo magistrale (meritata, eccome la Palma d'oro a Cannes). E' più bravo ora che da giovane. Guida gli attori da maestro, costringe lo spettatore a calarsi nei panni di Blake e della sua ragazza, anche se non ha ancora l'età di Daniel e fortunatamente i suoi problemi. E nei cento minuti riesce a darci sequenze indimenticabili." (Giorgio Carbone, 'Libero', 20 ottobre 2016) “Senza temere di venir bollati come «passatisti» hanno assegnato la Palma d'oro a 'I, Daniel Blake' di Ken Loach, su cui parecchi avevano storto il naso al motto «da mezzo secolo sempre lo stesso film». Sarà lo stesso, ma con quanta ispirata semplicità, con quanta inesausta passione e compassione il maestro britannico ci coinvolge nel dramma di un uomo comune in dignitosa lotta contro un sistema iniquo." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 23 maggio 2016)