east - numero33

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east - numero33
ARCHITETTURA
La nuova Skopje
è tutta da scoprire
Cantieri grigi ovunque, si susseguono, si sovrappongono.
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Colonne neoclassiche si me-
scolano con cupole barocche in costruzione, qua e là sculture e statuette curiose, a volte banali.
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È Skopje, la capitale dell'ex repubblica jugoslava di Macedonia, uno Stato dal nome
provvisorio, disperatamente in cerca di passato e identità.
turchi, rom, serbi, gli uni a fianco agli altri da
sempre, in un miscuglio di lingue e culture tale da sfuggire a tutti i possibili schemi dello
Stato-nazione moderno.
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Vi convivono slavi, albanesi,
stituiscono la maggioranza e la crisi di identità, come il
laboratorio nazionalistico, riguardano soprattutto loro.
Tutto è iniziato con un progetto di ridefinizione dell’architettura della città per far in modo che calzi meglio
alla nuova identità macedone. Più storia, più arte, più
identità palpabile, da vivere tutti i giorni in piazza. Ciò
che ora si vede in città è solo l’inizio di quella che sarà
nel 2014 la capitale del piccolo Paese balcanico. Sembra
che lo scopo sia battere ogni record di densità di monumenti per chilometro quadro. In programma vi è la costruzione di nuove sedi per il governo e la presidenza,
sontuosi edifici da innalzare sul lungofiume, uno barocco e l’altro neoclassico, ingombranti, fuori tempo e fuori luogo, dato che in questa parte dei Balcani ex ottomani certi stili non erano mai giunti. E il tutto per dare un
tocco di classicità a una città che oggi risulta un incerto
mix fra bazar e grigiore comunista.
L’identità nei Balcani è fatta di passato, di storia dimenticata e troppo confusa per rientrare negli schemi del
nazionalismo, e non rimane che forgiarla con fantasia e
dedizione. I macedoni, che parlano una lingua slava, anche se strettamente imparentata con l’albanese, e il greco, avevano da sempre saputo di essere slavi del Sud, fratelli di serbi, croati, sloveni, e bosniaci. Ora il premier
Sul lungofiume si stanno erigendo le nuove sedi per il governo
e la presidenza, sontuosi edifici: uno barocco, l’altro neoclassico.
nazionalista Nikola Gruevski e una parte dell’Accademia
nazionale delle Scienze hanno scoperto che i macedoni
sono in realtà discendenti diretti di Alessandro Magno,
e quindi macedoni antichi, proprio come i vicini greci
dicono di discendere dagli ellenici antichi, o i vicini albanesi dai gloriosi e misteriosi illiri. Ed esattamente come i vicini greci e albanesi, anche i nuovi ideologi nazionalisti macedoni hanno deciso di fare tabula rasa della
mescolanza di culture e popolazioni che hanno fatto la
storia dei Balcani fino al giorno d’oggi.
Il simbolo del nuovo Stato multietnico, ma interpretato in chiave monoetnica, è Alessandro Magno. Ed è a lui
che verrà dedicato un monumento equestre gigantesco
da porre al centro della città. L’opera è stata già commissionata a un artista di Firenze, che secondo i media di
Skopje dovrebbe consegnare quanto prima alle autorità
macedoni un Alessandro in bronzo, alto tra i 20 e i 30 metri, che dominerà maestoso il cuore della città, sovrastandone tutti gli edifici. Mentre decine di altre opere minori si aggiungono ogni giorno nei vicoli, nelle piazze, in
ogni angolo della capitale.
testo e foto di Mariola Rukaj
antieri grigi ovunque, si susseguono, si sovrappongono. Colonne neoclassiche si mescolano con cupole barocche in costruzione, qua e là sculture e
statuette curiose, a volte banali. È Skopje, la capitale dell’ex repubblica jugoslava di Macedonia, uno Stato dal nome provvisorio, disperatamente in cerca di passato e
identità. Vi convivono slavi, albanesi, turchi, rom, serbi,
gli uni a fianco agli altri da sempre, in un miscuglio di
lingue e culture tale da sfuggire a tutti i possibili schemi
dello Stato-nazione moderno.
Pare che nessuno voglia bene a Skopje. I greci accusano i macedoni di aver rubato il nome e la storia alla Grecia. I bulgari di averli traditi, dato che prima dell’invenzione della Macedonia gli slavi di questa regione, all’anagrafe, venivano chiamati bulgari. I serbi li considerano
sangue del proprio sangue e gregge della propria Chiesa.
Gli albanesi rivendicano l’autoctonia come leggenda nazionalista vuole e, costituendo la seconda etnia, stanno
sempre con un piede fuori minacciando disfacimenti, implosioni e il ritorno di disordini. Gli slavi macedoni co-
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irillo e Metodio, gli inventori dell’alfabeto cirillico, sono stati aggiunti in pompa magna alla civiltà macedone, insieme ad altri discepoli slavi.
Poi opere come L’amore – una coppia di innamorati seduti a un tavolo, una Donna con chitarra, L’infinito, La
gabbia dell’anima – una capanna dentro una gabbia di
bronzo, L’abbraccio di un’altra coppia di bronzo, La famiglia – una coppia con un bambino, Il toro – l’animale
muscoloso e minaccioso messo in mezzo a un vicolo, che
attira in particolar modo i bambini. Tutte opere di due o
tre autori – i media di Skopje informano – studenti dell’Accademia delle Arti della capitale. Osservando le loro realizzazioni si direbbero ancora legati alla tradizione
del social-realismo: forme sobrie e artisti che osano poco, per timore della censura.
Qua e là si sfiora il kitsch, con la rappresentazione, a
grandezza naturale, di ragazze che potrebbero essere
uscite da riviste di moda, sebbene paiano dei manichini
di bronzo: in mezzo al corso intitolato al Maresciallo Tito, una fanciulla in minigonna e tacchi alti parla al telefono, in atteggiamento compiaciuto; dall’altra parte della strada un ragazzo, anch’egli di bronzo, le fa un segno:
parrebbe volerla provocare. Qualche metro più in là due
ragazze si salutano: indossano abiti sexy e l’opera si chiama Le amiche. Due bronzi dopo lo shopping.
Quindi si incrociano personaggi della strada, musici-
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sti, un mendicante, un lustrascarpe, dei danzatori...
Non mancano leoni di bronzo dal sapore antico, installati ai piedi di ponti moderni, così come non poteva non
esserci Madre Teresa, anch’essa elevata al rango di icona
nazionale, contesa tra albanesi e macedoni, sorta di biglietto da visita con cui presentarsi a testa alta in giro per
il mondo. Alla piccola grande suora è dedicato anche un
mausoleo, connubio casuale di stili architettonici disarmonici, con tanto di simbolismo primitivo. Skopje, che
le ha dato i natali, nulla ha fatto invece per preservarne
la casa, trasformandola magari in museo, come spesso
avviene con i personaggi famosi.
Quanto sta avvenendo ora in Macedonia è solo la punta dell’iceberg di un processo, iniziato nei primi anni Novanta, di appropriazione e assimilazione alla storia patria di eroi antichi e medioevali, in una riconquista di
passati retaggi in cui si spesero anche molti intellettuali. A quel punto è stato tutto un glorificare l’antica Macedonia, Filippo il Macedone e, ovviamente, il padre delIn vari punti della città
sono collocate delle statue
di diversi soggetti e a grandezza naturale.
Sono opere di due, tre autori
studenti dell’Accademia delle Arti
della capitale.
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la nazione, Alessandro Magno. I testi di scuola sono stati modificati, accantonando la “slavità”, fino a intaccare
altre mitologie nazionaliste, quelle di Grecia e Albania.
L’ambizioso progetto di definizione identitaria di
Skopje coincide, non a caso, con la crisi tra la Grecia e la
Macedonia. Il conflitto con la Grecia rende anche complesso il processo di integrazione euro-atlantica del Paese poiché, per fare pace con il vicino meridionale, la Macedonia, ufficialmente Fyrom (Former Yugoslav Republic of Macedonia) dovrebbe smettere di chiamarsi Macedonia, nome che i greci attribuiscono esclusivamente
a una loro regione, e dovrebbe anche piantarla di tirare
in ballo Alessandro Magno, considerato altrettanto greco. Certi eroi sono troppo ingombranti in uno scontro che
si consuma in una terra tanto difficile come i Balcani.
La questione è ai limiti del ridicolo: qual era la nazionalità di Alessandro Magno? Era macedone, perché è così che è passato alla storia, e dunque gli slavi di Skopje
oggi se ne vorrebbero riappropriare. È greco – dicono i
greci – perché essere macedone voleva dire essere greco,
all’epoca, quando gli incivili antenati degli attuali abitanti della repubblica di Macedonia stavano probabilmente pascolando le loro greggi da qualche parte oltre i
Carpazi. Ai limiti del razzismo, il nazionalismo balcani-
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L’obiettivo delle nuove opere d’arte è di abbellire la città
e recuperare il patrimonio architettonico andato perduto
a causa dei numerosi terremoti. Gli abitanti di Skopje
sembrano essersi abituati al curioso paesaggio urbano.
co per l’ennesima volta tira in ballo lo schema: autoctono balcanico-barbaro colonizzatore.
a qui discende allora la necessità dei macedoni
di convincere ed altrettanto autoconvincersi della propria autoctonia e antichità che, secondo il
premier nazionalista Nikola Gruevski, «non ha nulla da
invidiare ai greci». Mentre il confronto-scontro con la
Grecia va avanti da due anni, e lontana appare la possibilità di un compromesso, la ridefinizione nazionale va
sfociando in quel progetto mastodontico, nato sorprendentemente in piena crisi economica, che porta il nome
di Rinascimento architettonico di Skopje, iniziato nel
2010 e che si prevede verrà ultimato nel 2014.
L’obiettivo è «abbellire la città e recuperare il patrimonio architettonico che i numerosi terremoti hanno spazzato via, mettendo i macedoni in condizioni d’inferiorità rispetto ai greci», secondo le parole del premier Gruev-
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ski. Il costo dell’impresa faraonica oscillerebbe, secondo
i media macedoni, tra gli 80 e i 200 milioni di euro.
Gli abitanti di Skopje sembrano ormai essersi abituati
al curioso paesaggio urbano. Alcuni hanno voglia di parlarne ed esprimono il loro entusiasmo con la schiettezza
tipica dei balcanici, altri si ritraggono, osservano impassibili, o alzano le spalle, in segno di disapprovazione.
«È bello, la città sta diventando decisamente più bella», afferma Milica, signora cinquantenne che possiede
una libreria in centro, sulle cui vetrine si riflette la statua
della ragazza sexy che parla al telefonino. «Non è kitsch.
Perché è kitsch? Sono delle opere d’arte che raffigurano
il nostro passato e il nostro presente. Tutte le capitali del
mondo vengono decorate con pezzi della propria storia.
Perché tanto stupore se anche a Skopje succede una cosa così normale?», si irrita Slobodan, quarantenne che
ammira in un caffè i personaggi di strada, un mendicante e un lustrascarpe di ottomana memoria. «È arte contemporanea, va capita, mentre gli edifici non sono che
una ricostruzione di ciò che è stato distrutto mano a mano dai terremoti», spiega una giovane studentessa di medicina. «Non è il massimo, ma è meglio di niente. Bisogna far vedere alla Grecia che anche noi abbiamo arte e
storia», commenta un’anziana signora che accudisce il
proprio nipotino mentre osserva stupito il gigantesco toro muscoloso in mezzo a uno dei vicoli del centro.
Da quando è stato lanciato il progetto di rinascimento
architettonico, il Paese si è spaccato tra macedoni ed altre etnie, che non si riconoscono assolutamente nell’iniziativa. Ma anche gli stessi slavi si sono più volte scontrati in manifestazioni e contromanifestazioni di piazza.
Nonostante tutto, il premier Gruevski è riuscito a vincere le elezioni per l’ennesima volta, e i sondaggi lo danno
saldamente in testa. Sembra che nessun altro sia in grado di reagire meglio alla crisi d’identità e al fallimento
dello Stato multietnico basato sul concetto di cittadinanza. Le minoranze etniche, numerose nel Paese, seguitano a non sentirsi rappresentate dal governo di Skopje. «Il
conflitto con la Grecia ci blocca, e non ci riguarda, possiamo andare a Bruxelles senza gli slavi», minacciano
puntualmente i partiti albanesi di Skopje. La politica nazional-populista del premier Gruevski, in una regione in
cui lo spazio e la storia sono sempre stati contesi, non
può certo giovare all’equilibrio interno. Difficile prevederne le conseguenze. Ciò che per ora preoccupa maggiormente è il fatto che il più giovane tra i nazionalismi
balcanici si vada profilando anche come più retrogrado
e radicale degli altri.
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