7 gennaio - Per non dimenticare
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7 gennaio - Per non dimenticare
7 GENNAIO: ORE 7 Ore 7: Santa Messa. Colazione. Alle 8 tutto è pronto per la partenza. Il signor Giovanni mi offre due portatori, uno per la cesta e l’altro per la borsa. L’autista ci accompagna con la “jeep” però può avanzare ancora per tre chilometri. Dal casello esce il custode: “Unataka kwenda wapi?” (Dove vuole andare?). “Nyiragongo”. “Unipe ticket yako” (Mi dia il suo biglietto).” La paga della guida, Padre, è di 150 F. al giorno”. Mi avevano detto che era di 100 franchi. Lui però mi spiega: “Quella era la tariffa dell’anno scorso. Ma lei sa bene, Padre, lo svilimento della moneta, e anche noi siamo costretti ad aumentarci da noi stessi la paga”. Abbozzai un sorriso, accennando col capo il mio accordo. “Senta ancora, Padre. Si ricordi che la guida ha il suo portatore personale”. “Ah, dico, questa è nuova”. “Si, Padre: la guida porta la lancia e il falcetto e deve essere sempre a sua disposizione per proteggerla e portarle aiuto. E dunque deve essere libera nei suoi movimenti e non portare pesi né sulla testa né fra le mani”. La risposta era sincera. E poi ero così felice e di buon umore di iniziare un’avventura delle più impressionanti e delle più dure della mia vita, che acconsentii anche per il portatore. La marcia sarebbe durata due giorni e mezzo. Una comitiva di cinque uomini: davanti la guida, dietro io, poi il portatore della guida, infine i miei due portatori personali. La prima tappa fu di quattro ore. Freschi come siamo, ci lanciamo ad una andatura di marcia forzata. A parte una piccola salita a due ore di cammino dalla partenza, là dove una collina ha scavato il suo cranio a mo’ di cratere, per formarvi un laghetto o diciamo meglio una pozzanghera che serve d’abbeveratoio agli elefanti, tutto il resto è pianura. E’ un’immensa piana di lava formatasi con l’eruzione d’un vulcano avventizio del Nyamulagira, detto “Vovo ya biti”; ai primi di marzo del 1948, a tre riprese, esso ha straripato per una lunghezza di parecchi chilometri. Si tratta quindi di lava recente. Nessuna abitazione, nessun segno di vita umana. La lava ha coperto anche la strada, che attraverso tutta la pianura arrivava ai piedi delle montagne. La si può scorgere ancora, a tratti, qua e là, ma la faccia del luogo è radicalmente cambiata, e sarebbe necessaria una nuova carta geografica. Si cammina sempre sulla lava, per un sentiero appena accennato. Dove la colata è stata più abbondante non rimane traccia di vita vegetativa: in altri tratti, la foresta ha ripreso. E’ qui che il regno degli comincia elefanti. Una razza tutta particolare, che non tollera assolutamente la presenza dell’uomo. Elefanti selvaggi. E’ loro riserva la foresta. Santuario inviolabile. Dopo due ore di marcia forzata, abbordiamo una piccola collina. Ma in questo primo cambiamento di ritmo muscolare, si manifestano i primi sintomi della stanchezza. Il respiro si fa faticoso. Si rallenta. Dopo pochi minuti chiedo alla guida: “Dov’è che i camminatori si fermano per uno spuntino?” “Hapa juu, padiri” (qui sopra, Padre). Di fatti ecco davanti a noi un praticello. Più in alto una rozza capannuccia, a riparo piuttosto dal sole che dalla pioggia. Fa bene sedersi. Dissetarsi. Caffè caldo, con una tartina imbottita. Veramente si sta meglio. Si riannodano i sacchi, ed eccoci di nuovo in colonna. Il sentiero si fa alquanto più accidentato. E’ quasi tutto nella foresta. Si sente il barrito degli elefanti. Ma non c’è tempo di alzare gli occhi e di guardare intorno. L’andatura della marcia e le asprezze del sentiero non permettono distrazioni. Un vivo elogio alla mia guida. Si chiama Remy. Un giovanotto tarchiato, muscoloso e indurito al mestiere. Sono tre anni che batte questo percorso, ma pare che lo voglia abbandonare. “E poi è difficile trovare uomini, tutti sanno le durezze della montagna e vi rinunciano in anticipo”. In realtà, i neri di qui non capiscono queste camminate e come si possa trovare gusto ad arrampicarsi sui monti. Remy conosce il sentiero palmo a palmo. Taglia con il falcetto i rami che lo hanno invaso tutto oppure gli alberelli che sono caduti traverso. Picchiando la lancia sulla lava, ti mostra i trabocchetti nei quali facilmente potresti mettere il piede. Sono buche lasciate dalla lava al momento del suo indurimento.