dispense del corso di economia e gestione delle imprese aa2006
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DISPENSE DEL CORSO DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE A.A.2006-2007 Prof. F.Calza – Prof. M. Ferretti- Dott.ssa G. Profumo LA DUCATI MOTOR HOLDING SPA1 1. La nascita dell’azienda Adriano Cavalieri Ducati, insieme ai fratelli Bruno e Marcello, sono i personaggi ai quali si deve la nascita dell’azienda Ducati. La famiglia era originaria di Comacchio, ma a metà ottocento sentirono il bisogno di trasferirsi a Bologna. All’epoca, la città felsinea era un ambiente dagli stimoli continui, teatro di grandi avvenimenti, era frequentata da gente di notevole caratura. Appare quindi comprensibile che un atmosfera di tale effervescenza facesse da incubatrice a giovani talentuosi, entusiasti del contagio della scoperta. Uno di questi fu proprio Adriano Ducati che, abile studente di fisica, si cimentò nello studio particolare della radiofonia. All’età di 19 anni costruì dei trasmettitori di bassa potenza che trasmettevano ad onde corte, una novità per quel tempo poiché si utilizzavano strumenti che richiedevano molta potenza e la trasmissione era ad onde di grandi dimensioni, ma il talento si confermò quando il 15 gennaio 1924 ,all’età di 21 anni , realizzò una trasmissione Bologna - U.S.A. ad onde corte. Tale fatto gli portò fama e considerazione da tutti gli addetti del settore. Cominciò ad indirizzare le scoperte in ambiti finalizzati come quello della comunicazione fra natanti, tanto da meritarsi l’interesse da parte della Marina Militare Italiana. Venne, così, allestita una nave che per la prima volta fu collegata contemporaneamente con i cinque continenti. Nel 1925 cominciò a concentrarsi sullo studio delle onde cortissime realizzando scambi della distanza di 6000 Km 1 Il caso è stato oggetto di un seminario a cura del Ing. Paradisi, Responsabile Qualità in Rete della Ducati Motor Holding Spa con onde lunghe 5 metri. Costruì ciò che oggi noi chiamiamo walkie – talkie, suscitando curiosità da parte del Re d’Italia Vittorio Emanuele III che ne chiese una dimostrazione pubblica. Tali meriti e scoperte spinsero Adriano assieme ai fratelli a concretizzare, in qualche modo , la sua ormai ampia e collaudata esperienza, nella produzione, dando vita alla “Società scientifica radio brevetti Ducati”. Il forte entusiasmo dei meriti e delle scoperte conseguite da Adriano portarono, il 4 Luglio 1926, alla fondazione della Società Radio Brevetti Ducati. Il primo stabilimento si trovava in pieno centro di Bologna ma poco dopo tempo fu necessario un trasferimento in una struttura più ampia. La Società nacque con l’obiettivo iniziale di colmare i vuoti d’offerta che il nuovo mercato della radiofonia aveva in sé. Si decise di iniziare la produzione di condensatori a mica puntando sulla qualità e in seguito integrando processi produttivi capaci di generare outputs per apparecchiature radio nella sua totalità. Lo stabilimento era lo scantinato della villa di famiglia e il primo prodotto in assoluto fu il condensatore “Manens”, caratterizzato da un livello qualitativo eccelso. Che l’azienda sarebbe divenuta presto un modello per tutte le industrie del mondo lo testimoniano anche le intraprendenti idee adottate per promuovere e far conoscere il prodotto, infatti, Bruno Ducati spedì campioni gratuiti del condensatore a radiotecnici e produttori del settore in tutto il mondo. Tale azione si dimostrò vincente, nell’Ottobre 1926 arrivò la prima ordinazione di ben 3000 pezzi La qualità del prodotto portò loro fama e rispetto da parte di tutti i tecnici del settore. L’azienda cominciò la propria espansione commerciale. I locali produttivi furono ampliati, il numero dei dipendenti aumentò, giunsero nuovi macchinari produttivi e venne formata anche una fonderia. Questa società era basata fondamentalmente sulla produzione di pezzi ad alta qualità e per accrescere lo sviluppo in nome di ciò si acquistarono macchinari di altissima tecnologia e precisione, una di queste fu la “genevoise”, di fabbricazione svizzera. Era posta in un locale a temperatura costante tramite l’utilizzo di un condizionatore ed effettuava fori nell’acciaio con la massima precisione tanto che non serviva l’ulteriore rettifica del foro. Da questi presupposti nacque la produzione dei condensatori variabili “201”. Nello stesso anno, il 1928, Bruno Ducati si recò ad Eindhoven in Olanda presso la poco più che neonata Philips che acquistò i condensatori variabili SSR 102, successivamente anche la Siemens scelse i condensatori Ducati per la propria produzione. Due anni più tardi fu la volta di un nuovo prodotto: il Radiostilo, un'antenna unificata antidisturbo. Appare ,dunque , evidente l’ascesa verticale che l’azienda dei fratelli Ducati stava compiendo. 2 La crescita esponenziale della produzione richiedeva un ampliamento strutturale della azienda, si decise così di costruire un nuovo stabilimento. La zona scelta fu Borgo Panigale alle porte di Bologna. I fratelli Ducati cercarono di inculcare fin dal primo momento, a tutti coloro che facevano parte dell’azienda, un fortissimo senso di appartenenza generatore, appunto, di ciò che viene definito come “Stile Ducati” e di sicuro tale tendenza fu fomentata dai dettami del fascismo. La Ducati arrivò alle soglie della seconda guerra mondiale ad essere una delle realtà aziendali più grandi del paese , era infatti la seconda azienda d’Italia solo dopo la Fiat di Torino. A Borgo Panigale il numero dei dipendenti era salito a 2.300 unità. Venne perseguita una politica di decentramento aprendo centri a Crespellano e Bazzano , inoltre ve ne era uno a Salsomaggiore dove prolificò la sezione Tungsteno-Molibdeno che utilizzava come fonte di energia il metano, ed un altro a Parona di Volpicella, Verona. Nella sua totalità il numero dei dipendenti arrivava a quota 11.000, ma c’è da specificare che la cifra non è del tutto certa. Fu creata una rete di filiali in tutto il mondo: Inoltre, per soddisfare la richiesta energetica sempre maggiore dei propri edifici, la società acquistò i diritti idraulici per la produzione di energia elettrica del fiume Panaro per costruirvi una centrale, progetto che non fu compiuto a causa dello scoppio del conflitto mondiale. La produzione dell’azienda non era basata solo sui condensatori, ma nel corso di questo periodo sviluppò diversi prodotti. Come tutte le grandi aziende del tempo e per i contributi diretti e indiretti come il radiostilo e il bimar utilizzati dalle Forze Armate, nel 1938 la Ducati fu avviata al “Commissariato per le produzioni di guerra”, dispensando i propri uomini dal servizio militare. Gli outputs vennero indirizzati verso la produzione bellica di precisione quasi nella sua totalità. Nel Dicembre del 1945 i fratelli Ducati e la vecchia dirigenza tornarono ai loro posti. Le commesse di guerra erano una produzione molto allettante per qualunque azienda poiché erano ben pagate dallo Stato e non era ricercato un contenimento dei costi produttivi poiché non soffrivano la competizione di prodotti esterni, ma i Ducati erano consci che a guerra finita la produzione non sarebbe stata più la stessa e, anzi, bisognava intuire ciò che sarebbe servito. Bisogna notare che la Ducati non si specializzò mai nella produzione esclusiva di materiale bellico, ma anche durante la guerra il 60 % della produzione era destinata per scopi non bellici, infatti Raselet, Duconta, Delux e i condensatori continuarono ad essere in produzione. Pertanto la maggior parte dei processi produttivi non doveva essere sostituito, al contrario di molte aziende in Italia che 3 trasformarono le linee produttive esclusivamente per la fabbricazione di armi. Nel ’44 i dirigenti Ducati si recarono a Firenze assicurandosi la collaborazione di tecnici della Galileo e della San Giorgio, a Bologna, invece, fu fatta la Reom che era specializzata in radioelettrica la cui dirigenza fu affidata a dei Frati. I fratelli Ducati avevano messo in atto una vero e proprio “turn-around” ricentrandosi sugli aspetti “core” dell’azienda, tali erano le tre sezioni: elettrotecnica, ottica, meccanica, quest’ultima prevedeva l’entrata nel mercato motociclistico. Era l’Italia del dopoguerra, un paese massicciamente bombardato, le costruzioni rimaste utili erano sparpagliate a macchia di leopardo e gli spostamenti, da un posto ad un altro, richiedevano tempo e fatica. Fu in questo scenario che la bicicletta ebbe il suo successo. Era un mezzo che rispondeva appieno le esigenze della popolazione, riusciva a coprire tratte di medio raggio, era semplice da usare ed aveva costi ridottissimi (per non dire nulli). Da questi presupposti, da uno dei “Post”, venne l’intuizione di creare un piccolo motore che potesse essere montato su una bicicletta. I vantaggi erano straordinari. Da mezzo a breve/medio raggio la bici si poteva trasformare in un mezzo a lungo raggio e capace di sopportare carichi molto maggiori, grazie l’ausilio di un motore. Tale motore era il Cucciolo. Si può dire che il Cucciolo è stato l’inizio della produzione motociclistica Ducati. Ebbe un successo enorme. Il progetto era di un avvocato e progettista torinese, Aldo Farinelli. Questo progetto aveva numerose caratteristiche che lo rendevano superiore alla concorrenza, in particolare: il ciclo a quattro tempi e il cambio a due rapporti. Caratteristiche che facevano sfruttare appieno la sua potenza sia in salita che a pieno carico e che lo rendevano un instancabile asinello da soma. Aveva una cilindrata di 48 centimetri cubici, raggiungeva una velocità di punta di 60 km/h e riusciva a percorrere quasi cento chilometri con un litro di benzina. Il suo successo fu alimentato anche da una concorrenza non all’altezza, il Garelli Mosquito era a due tempi, per cui consumava di più e andava a miscela il cui costo era superiore a quello della benzina. Il Cucciolo ebbe grande successo anche perché fu accompagnato da un ottima campagna pubblicitaria, alquanto innovativa. Per il lancio del motore, la dirigenza decise di far scrivere al Maestro Olivero una canzone intitolata: “Ti porterò sul Cucciolo”, che ebbe gran successo e che era fischiettata da tutti. Il motorino fu esportato anche oltreoceano con grandissimo successo. Ma sicuramente ciò che meglio di tutte promosse il Cucciolo e che rappresenta un comandamento per qualsiasi azienda produttrice di motori, per consacrare il proprio brand a culto divino, fu la partecipazione alle competizioni. Decisione che segnerà per sempre l’avvenire della Ducati. 4 All’epoca si disputavano gare di regolarità e durata ed il piccolo Cucciolo le dominava grazie alla sua economicità di consumi e buona potenza di rendimento ( che si attestava intorno i 2 cv ). Il boom del Cucciolo fece riprendere, momentaneamente, le sorti dell’azienda. Basti pensare che il numero dei dipendenti salì a 4.500 e la produzione, nell’anno ’47/’48, arrivò a 240 unità al giorno. Nel corso del tempo fu perfezionato sempre più, dal modello T1 e T2 costruiti solo parzialmente dalla Ducati, si passò al T3 perfezionato e assemblato completamente dalla casa di Borgo Panigale. Infine fu dotato di un proprio telaio. Rimase in produzione fino al 1958 e ne furono venduti 500 mila esemplari in tutto il mondo. Il ’47 fu un anno funesto per la Ducati. Nonostante le buone vendite, trainate dal Cucciolo, la situazione tendeva ad aggravarsi causa la mancanza di mezzi finanziari. Si decise così, per un aumento del capitale sociale. Il capitale passò da 12 milioni a 100 milioni di lire. Per coprire l’aumento, la società diede mandato alla Banca Nazionale del Lavoro di collocare le azioni sul mercato. Azioni aventi valore nominale di cento lire, riservate in opzione ai vecchi azionisti. Tale aumento di capitale non bastò, la situazione aziendale continuava ad aggravarsi. Fu così che si vide costretta a chiedere aiuti alla F.I.M. ( fondo per il finanziamento dell’industria meccanica ). Le premesse del prestito concesso erano: l’amministrazione controllata giudiziaria; l'allontanamento del consiglio d’amministrazione e la sua sostituzione con un amministratore unico di nomina del F.I.M., che avrebbe potuto decidere di cambiare o modificare le produzioni; infine, l'allontanamento dei fratelli Ducati dall'amministrazione della società. Da questo momento in poi i Ducati persero per sempre la guida della loro azienda. Era chiaro che l’intervento del F.I.M. aveva carattere transitorio. Infatti alla Ducati erano stati concessi sei mesi per risollevarsi dalla crisi, alla fine dei quali un attento rapporto avrebbe espresso una valutazione. Tale valutazione aveva il potere di decidere se l’azienda fosse stata capace di riprendersi da sola o se vi sarebbe dovuta essere la gestione controllata. Per ordine del Tribunale di Milano la Ducati andò in amministrazione controllata, nominando Commissario giudiziale il dott. Mantelli. Ovviamente la vecchia amministrazione non c’era più e ai fratelli Ducati toccarono cariche onorifiche. La gestione Mantelli è ricordata come uno dei periodi più bui della vita aziendale. Il nuovo amministratore non era aperto al dialogo e prendeva iniziative in modo unilaterale, forte della nomina del Tribunale che gli aveva dato carta bianca. La sua politica aziendale era incentrata su un rightsizing condiviso solo da sé stesso. Ciò che più è ricordato sono i grandi licenziamenti che lasciarono senza lavoro tantissimi impiegati. Finché, dopo 5 scioperi e ripetuti licenziamenti, il dott. Mantelli, paradossalmente, il 26 Febbraio presentò lettera al Prefetto di Bologna comunicando che il 28 del corrente mese la Ducati avrebbe cessato la propria attività. I dipendenti scioperarono, così Mantelli chiese aiuto alle forze dell’ordine, le quali si presentarono con i carri blindati. Nonostante ciò i dipendenti riuscirono ad occupare la fabbrica. La fabbrica rimase occupata quindici giorni. Giorni nei quali, il sentimento di solidarietà di tutti coloro che sposavano la giusta causa, di lasciare in vita lo stabilimento, si manifestò in modi vari e molteplici: dalla complicità di funzionari di istituzioni pubbliche e private, fino a quella dei bottegai del luogo. Tutti con l’unico scopo di allontanare Mantelli. Tale sforzo si rivelò vincente, poiché la fabbrica fu riaperta e Mantelli sostituito con l’avv. Stoppato. Anche l’avv. Stoppato si dimostrò incompetente. Dal titano che era, la Ducati si ritrovò smembrata in diverse parti. Per circa quindici anni, Amministratore Delegato della Ducati Meccanica fu l’avv. Giuseppe Montano, che ebbe la pesante responsabilità di rilanciare la motocicletta Ducati nel panorama nazionale ed estero. A dire il vero, il lavoro, seppur non semplice, fu affrontato con forza e determinazione, virtù supportate dalla passione che egli stesso nutriva per la moto. In particolare, in quegli anni divenne di gran moda correre in motocicletta. Grandissimo successo ebbe il Motogiro, che assiepava persone attorno alle strade per vedere sfrecciare i bolidi rombanti. Fu in questo clima che la Ducati pensò di prendere parte alle competizioni, come parte integrante della sua attività. In queste gare si ravvisano i primi cambiamenti, infatti è proprio in questo periodo che si ha il passaggio da gare di durata a gare di velocità, dove la ricerca della potenza motore diventa il primo comandamento. L’ideologia di Montano era tutta incentrata sulla competizione: Si partecipava alle gare per vincere, la vittoria sarebbe servita come pubblicità per alimentare il mito dell’azienda, così da aumentarne le vendite. Per arrivare a tale obiettivo c’era bisogno di un centro di ricerca e sviluppo che avrebbe evoluto le moto e le soluzioni tecniche e che a loro volta sarebbero state adottate dai modelli in commercio rendendoli innovativi e concorrenziali. Fu nel 1956 che, il genio di Taglioni, ebbe l’intuizione di progettare un sistema che avrebbe contraddistinto le Ducati per tutta la loro esistenza. Il sistema desmodromico. Letteralmente, deriva dal greco “desmos” e “dromos”, rispettivamente “legame” e “corsa”. Il che, già dalla parola, lascia intendere l’azione obbligata sia in apertura, che chiusura delle valvole. Nonostante il boom dell’azienda, dovuto al dominio incontrastato che in quel periodo ebbe nel mondo delle competizioni, nel 1960 fu sospeso ogni impegno derivante dalle corse. L’idea, avventata, fu quella di dedicarsi, al massimo delle 6 loro forze, nel reparto produttivo, forti dell’onda di successo accumulata negli anni precedenti. In questo modo, però, si perse quel punto di equilibrio che lo stesso Montano aveva concepito nel ragionamento: gara-vittoria-pubblicitàvendite e che vedeva l’azienda l’epicentro di tale sistema circolare. Si pensò di sviluppare un area per la costruzione di motori diesel, pensando fossero la carta vincente del futuro, affiancata anche dalla fabbricazione di motori marini e gruppi elettrogeni. Fu disposta un area di 10.000 metri quadrati: la Ducati Diesel Division. Fedele allo stile Ducati, i prodotti erano di buona qualità, ma i ricavi nettamente inferiori quelli derivanti dalle vendite delle moto, per cui i tagli necessari, investirono in pieno le attività agonistiche. Il boom degli anni ’60 non investì la Ducati anzi ne complicò la crescita. La Fiat aveva messo sul mercato la 500 e la neonata 600, la moto, ormai, non era più il mezzo di trasporto ideale, La produzione motociclistica fu affidata ad una azienda spagnola: la Mototrans, che sarà una lunga parentesi, durando dagli anni ’50 fino l’inizio degli anni ’80. Eusebio Andreu Virgili era a capo della Cliper e fu lui a dare un forte impulso alla Ducati, in Spagna. Cominciò ad importare le Ducati 98 nella versione sia sport che turismo. Virgili aveva una grande passione per le competizioni, così, importò due Ducati 100cc e una 125cc. Cominciò a partecipare alle corse che si svolgevano nella penisola iberica Ma senz’altro gli anni ’60 sono ricordati per la produzione destinata in America. Un uomo, in particolare, diede un grande contributo alle vendite dell’azienda, era Joe Berliner, importatore Ducati per gli Stati Uniti. La forza del mercato che rappresentava, era tale che influenzò la produzione della casa italiana. Propose la costruzione di una moto del tutto diversa quelle prodotte fino quel momento. In America esplose la tendenza per il dirt-track e per il cross, così Berliner consigliò la messa in opera di una moto che fosse adatta ai terreni sconnessi, ma che al tempo stesso fosse utilizzabile anche per un uso stradale. Nacque lo Scrambler. Il suo successo negli U.S.A. fu tale, che divenne la moto di Fonzie nella serie televisiva Happy Days. Nel 1963, Berliner commissionò alla Ducati un progetto veramente ambizioso: una moto degna rivale della Harley-Davidson. Il progetto non era affatto semplice, ma lasciava intravedere l’opportunità di equipaggiare la polizia statunitense e di conseguenza, della vendite da capogiro. Venne creata la Ducati Apollo La crescita altalenante degli anni sessanta si protrasse anche nel decennio successivo, ma le novità non furono poche. La Ducati fu inserita nel gruppo VMFinmeccanica, gruppo specializzato nella costruzione di motori diesel. D’altro canto, la produzione delle moto continuava a ritmi blandi ed era l’unica risorsa 7 che nel tempo ripagava gli investimenti. Purtroppo le gestioni miopi succedutesi in questi tempi, non avevano ancora appreso che era la moto il prodotto sul quale la Ducati doveva concentrare tutte le sue risorse. La fine degli anni sessanta coincise con il boom commerciale delle maximoto giapponesi che aggravarono la posizione dei produttori italiani ed europei. Erano moto dal grande potenziale ad un prezzo contenuto. E’ ancora una volta Taglioni a dare all’azienda l’arma vincente, progettando un motore bicilindrico intorno a tale motore fu progettata una moto da competizione, poiché il desiderio dell’ingegnere era quello di un ritorno alle corse. Così nel ’71, la Ducati tornò ufficialmente sulle griglie di partenza e nel ’72 Dunque il decennio 70/80 vide il delinearsi di un ritorno alle competizioni. Anche oltreoceano una Ducati era schierata su una griglia di partenza. Non tanto il numero dei successi, ma il modo in cui si ottennero, legittimarono la Ducati, nell’immaginario collettivo, alla mitizzazione, capace di ottenere risultati impossibili partendo da condizioni non all’altezza, richiedendo come unico mezzo, una virtù, di cui “la rossa” non era mai sazia: la passione. Dunque è proprio a partire da quell’anno, che fu chiaro nel pensiero di tutti, che l’ animo Ducati era quello delle competizioni, legittimando anche la regola di utilizzare moto derivate dalla produzione di serie, regola sulla quale oggi è basato il campionato Superbike. La Ducati veniva da un decennio veramente travagliato, soprattutto nelle vendite. Dalle linee produttive uscivano un numero esiguo di moto A porre rimedio a questa tragica situazione, ci pensarono i fratelli Claudio e Gianfranco Castiglioni, proprietari di aziende nel campo di fonderie e della rinomata Cagiva ( CAstiglioni GIanfranco VArese ) che produceva un gran numero di moto di piccola cilindrata. I fratelli erano alla ricerca di un azienda produttrice di motori di grande cubatura, puntarono, così, sulla Ducati. La Cagiva si era appena separata dalla Harley-Davidson ed era al centro di un gruppo formato da Husqvarna e Moto Morini. Contattarono, così, l’allora presidente dell’IRI Romano Prodi, mostrando un progetto, che prevedeva l’accoppiamento di motori Ducati su telai Cagiva. Così nel 1983 si formò una joint-venture fra le due società. Oggetto del contratto era la fornitura crescente di propulsori alla Cagiva per sette anni e la cessazione di moto marchiate Ducati a partire dall’84. Gli imprenditori Castiglioni erano prima di tutto motociclisti appassionati e non ebbero il coraggio di sopprimere un marchio che aveva dato tanto al mondo delle corse e delle moto. Così, nel 1983, acquisirono la proprietà dell’azienda di Borgo Panigale, promettendo una ripresa della produzione motociclistica. Finalmente In quello stesso anno, Fabio Taglioni andò via dalla Ducati, lasciando due eredi di notevole 8 caratura: Massimo Bordi e Gianluigi Mengoli , creatori del “Desmoquattro”, il sistema desmo a quattro valvole, che attualmente equipaggia la produzione Ducati più competitiva. Fu da questo momento che l’azienda venne indirizzata per la costruzione di moto racing altamente specializzate. Le fu impartita una posizione commerciale, in cui le moto di serie, erano prodotte allo stesso modo rispetto quelle da pura competizione. Anche i caratteri che componevano il brand Ducati furono cambiati, mutandoli negli stessi adottati già dal brand Cagiva. Ma, la cosa più accattivante, è che si diede alla Ducati l’impronta della moto da corsa rappresentativa dell’Italia. Si adottarono livree monocromatiche, tingendo di rosso serbatoio e carene. In senso patriottico, si voleva dare l’immagine della moto che trasmetteva l’artigianalità di un prodotto tipicamente “made in Italy”. Dal lato strettamente produttivo, gli anni ’80 hanno rappresentato un periodo epocale per lo sviluppo di soluzioni tecniche che, assieme alle precedenti idee concepite da Taglioni, finirono per caratterizzare l’insieme delle moto Ducati. Nonostante tutto, le vendite non erano entusiasmanti. Fino all’88, la sfortuna sembrava non abbandonare la casa bolognese, che ebbe ancora problemi di crescita , dovute ad una congiuntura economica mondiale negativa. Ma, in quello stesso anno, dal reparto corse, fu concepita una moto progenitrice di una stirpe invincibile, dal potere di schiaffeggiare un destino fino quel momento avverso, sbarcando e stravincendo in Superbike, tale fu la Ducati 851. Il nome stesso rappresentava la cilindrata, adottava soluzioni tecniche avanzatissime per l’epoca. Non c’è dubbio che rappresentò la rinascita dell’azienda. La 851 era un bolide e portò nuovi successi. L’ultimo decennio del ventesimo secolo, è stato il periodo in cui la Ducati si è dimostrata come azienda leader nel settore di moto da corsa. A partire dal 1990, la casa bolognese, si è legata in modo indissolubile al Campionato del Mondo Superbike, dominandolo letteralmente. Ha prodotto modelli che sono entrati nella storia del motociclismo, per design, prestazioni ed innovatività. Visto che le moto commercializzate erano strettamente derivate dalle competizioni, la Ducati più vinceva, maggiore era il numero di moto che vendeva. In effetti in quel periodo le vendite registrate erano in costante crescita, ma l’andamento positivo, era vincolato dai successi ottenuti in pista, il che relegava l’azienda in modo dispotico alla vittoria. D’altronde, anche il segmento al quale la produzione si riferiva, era di dimensioni ridotte, paragonabile ad una nicchia di mercato. Fu così che per uscire dalle insidie di un piccolo segmento, si sentì il bisogno di produrre moto di natura diversa, da affiancare alla produzione derivata dalla pista. Nacque la M900, subito ribattezzata Monster. Il progetto temerario, fu di creare ex novo un segmento: quello delle “naked”. Dall’inglese: nuda. 9 Mostruosamente bella. La caratteristica principale era la denudazione delle carene ed il telaio e motore considerati oggetti integranti e valorizzati del design. Nello stesso periodo, fu realizzata un’altra una moto, del tutto particolare. Non aveva le pretese commerciali del Monster, ma voleva essere un esempio di pura tecnica applicata. Era la Supermono 550. Il 1994 fu, per la Ducati, l’anno della svolta epocale. Fu concepita la moto che ruppe tutti gli schemi. Una moto diventata punto di riferimento per qualunque appassionato delle due ruote :La Ducati 916. 2.La Ducati Motor Holding S.p.A. La Ducati si trovava in una condizione del tutto particolare. Era composta da risorse umane dal valore inestimabile, da un reparto tecnico dal potenziale unico, da una situazione agonistica invidiabile e da una gamma di prodotti leader di settore. Nonostante ciò, si vide costretta a diminuire la produzione da 21.000 unità del ’95 a 12.500 unità del ’96 poiché la crisi finanziaria che viveva, non gli permise di pagare i fornitori. Era un bocconcino troppo succulento, che gli americani della Texas Pacific Group non si fecero scappare. La TPG era un gruppo privato di investitori statunitensi, specializzato nell’acquisto e nella ristrutturazione di aziende in crisi. Guidata da Abel Halpern, aprì una jointventure con i fratelli Castiglioni. L’ufficializzazione dell’accordo avvenne il 30 Settembre 1996, con un comunicato stampa si notificò che la nuova società: la Ducati Motor S.p.A. aveva acquistato il ramo d’azienda, comprensivi di tutti i marchi Ducati, staccandosi dalla Cagiva. Le quote furono divise nel 49 % ai Castiglioni, 49 % alla TPG e un 2 % depositato in un fondo fiduciario, presso una banca italiana. A presiedere l’azienda rimase Claudio Castiglioni. Da tale accordo, alla Ducati fu erogato un prestito di 280 miliardi di Lire (circa 145 milioni di euro). Da parte dei puristi, l’avvento degli americani fu mal digerito, vedendo in essi il solo motivo di produrre utili, sfruttando un azienda fino a quel momento solo italiana ed un conseguente snaturamento del marchio, visto da sempre, sinonimo di italianità. Ma già nel 1998 i debiti furono risanati e nonostante l’interesse degli statunitensi, bisognava ammettere che avevano tirato l’azienda fuori dai problemi. Così la fiducia nei loro confronti crebbe in modo esponenziale. Il numero dei lavoratori, salì fino a quota 714 rispetto i 550 del ’96. Sempre nel ’98 la TPG decise di rilevare il capitale, volendosi portare in posizione di maggioranza. Così la Texas Pacific Group e la Deutsche Morgan Grefell Development Capital Italy, acquistarono il pacchetto azionario ancora in mano ai Castiglioni, acquisendo il 10 pieno controllo e fondando la “Ducati Motor Holding S.p.A.”. Una tale azione fu intrapresa poiché, era chiaro che un azienda dal capitale umano e tecnico come la Ducati, se ben gestita, poteva dare magnifiche soddisfazioni. Infatti, già nel ’97 il fatturato fu raddoppiato. L’idea, azzeccata, fu quella di creare intorno al marchio un atmosfera fortemente caratterizzata dallo “Stile Ducati”, qualcosa che distinguesse per forza di carattere. Un vero e proprio lifestyle. L’opera di ristrutturazione partì dal logo (a significare una rivisitazione che comprendeva tutti gli aspetti) vennero aboliti i caratteri adottati in precedenza dai Castiglioni, per delle lettere che si ispiravano ai fasti del passato. Si può affermare, che l’arma fondamentale di questo turn-around, fu una rivisitazione di ogni cosa nel segno della tradizione. Innanzitutto bisognava riprendere ed alimentare il mito del brand partendo proprio dalla storia, istituendo un museo. Per la distribuzione, furono allestiti dei punti vendita denominati “Ducati Store” sotto forma di franchising. Dei veri e propri santuari dove il ducatista poteva trovare tutto ciò di cui aveva bisogno, dalla moto a qualsiasi accessorio, comprendente anche una linea di abbigliamento dedicata, nonché oggetti d’arredamento. Il primo franchising fu aperto a Manhattan nel 1998. Inoltre venne creata una linea di accessori e kit, per personalizzare e potenziare la moto, chiamata Ducati Performance, nata dalla collaborazione con Gio.Ca.Moto. Lo sforzo della TPG era anche quello di offrire attività di entertainment, in questo frangente la più grande realtà era, ed è ancora oggi, il WDW (world Ducati week-end). Luogo d’incontro di tutti i ducatisti del mondo, radunando oltre dieci mila partecipanti. Insomma, un impegno a tutto tondo, che aveva l’ambizione di creare il mondo del ducatista, partendo dalla moto e finendo al ritrovo annuale del WDW, passando per accessori, kit e quant’altro potesse personalizzare e distinguere il motociclista che viveva nel mondo Ducati. Con la Texas Pacific Group, la Ducati Motor Holding, fu quotata in borsa: “ Il 4 Marzo 1999 fu presentata una OPV (offerta pubblica di vendita) iniziale di 90.200.000 azioni, in forma di azione o di azioni di risparmio americane, ognuna delle quali comprendeva dieci azioni. Il prezzo iniziale di ogni azione di risparmio era di 29 Euro o 31,67 Dollari, con una aspettativa di azionariato diffuso del 66,1 %, di cui 900.000 azioni (circa l’1 %) riservate ai dipendenti Ducati”. (Tratto da Ian Faloon, Ducati Story: tutta la storia della grande marca italiana). Nel 2000 fu inaugurato il sito: www.ducati.com che avrà il compito di informare e di supportare una strategia di marketing Tribale che solo poche aziende, come Ducati, possono permettersi, grazie ad una tradizione ed un mito che ha dato adito alla creazione di una vera tribù. Concetto che verrà affrontato nel terzo capitolo di questo lavoro. 11 Dal 2000 ad oggi, la Ducati ha avuto anni di grande crescita, non senza periodi di flessione, che nel complesso hanno fatto registrare un trend positivo. Nella produzione, sono stati fabbricati nuovi modelli, ampliando la gamma. In campo agonistico, ha continuato ad affermare il proprio dominio in SBK (Campionato Superbike) ed ha inaugurato l’importantissimo debutto in Motogp. Nel settore commerciale, ha rafforzato la distribuzione ed ha sviluppato, in modo sempre crescente, una tendenza verso l’e-commerce, supportato da un sito web di una certa imponenza. Per quel che riguarda la gestione economica e finanziaria, si è avuto il passaggio della maggioranza azionaria, ad un gruppo finanziario italiano. Il nuovo secolo si apre all’insegna dell’e-commerce. Il 6 Marzo 2000 nasce il ufficialmente il sito internet: www.ducati.com . Viene creata una nuova divisione all’interno dell’azienda, composta da uno staff di esperti in internet e del commercio su web. Compito del sito era, ed è ancora oggi, informare i clienti, comunicare con la tribù e sviluppare ulteriormente il risvolto commerciale con aste ed una sezione dedicata al business-to-business, business-to-consumer, consumer-to-consumer. Il 16 Luglio 2002, la Ducati annuncia l’introduzione di una nuova moto. Dopo 9 anni di gloriosa carriera in pista e riconoscimenti ricevuti, era giunto il momento di creare una linea nuova, capostipite della SBK. Il difficile compito di erede fu dato alla Ducati 999 Testastretta. Moto completamente nuova. Il numero di componenti era stato ridotto del 30 % rispetto il 998, ottimizzando il ciclo di assemblaggio. In questo prodotto la linea guida era data dalla ricerca della funzionalità piuttosto che alla forma. Maggiori prestazioni, aerodinamica studiata, ergonomia per migliorare la guida. La sfida successiva era quella di trovare un design accattivante. Il risultato fu una moto radicalmente nuova, molto facile da usare e divertente da guidare. Questi periodi, sono stati di grandissima importanza per la Ducati, sopratutto per un evento in particolare: il debutto in Motogp. Campionato completamente diverso da quello SBK, basato sull’utilizzo di prototipi, il corrispettivo della Formula 1 su due ruote. In assoluto, il campionato più prestigioso che esista in campo motociclistico, che vede la partecipazione di tutte le case costruttrici di maggior calibro e dei piloti di maggior talento. Il 30 Maggio ’02 fu presentata la Desmosedici, moto con cui l’azienda avrebbe partecipato al Campionato. Negli anni successivi, il trend è stato di crescita, non senza flessioni, dovute all’evoluzione del regolamento che ha imposto nuove configurazioni tecniche. 12 Senz’altro il 2006 è stato l’anno che ha dato maggiori soddisfazioni, vedendo Capirossi lottare per il titolo mondiale con tre vittorie conquistate e una mitica doppietta, Bayliss-Capirossi. Sul fronte della produzione, i cambiamenti sono stati notevoli, con l’introduzione di nuovi modelli. Nel 2003 debutta una moto del tutto anticonvenzionale: il Multistrada. Vuole rappresentare una nuova generazione di moto sportive, dotata di prestazioni eccezionali e comfort straordinario. Il giusto equilibrio per una guida sportiva e l’uso quotidiano, incarna l’essenza della sport tourer. Cronologicamente, siamo arrivati quasi al 2007. In questo periodo, si hanno le ultime novità che consistono nella commercializzazione del Desmosedici RR, il 1098 e la Hypermotard. Il primo racchiude in sè la massima espressione della tecnnologia Ducati. Rappresenta la race replica del prototipo Motogp. 13 14