dispense del corso di economia e gestione delle imprese aa2006

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dispense del corso di economia e gestione delle imprese aa2006
DISPENSE DEL CORSO
DI
ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE
A.A.2006-2007
Prof. F.Calza – Prof. M. Ferretti- Dott.ssa G. Profumo
LA DUCATI MOTOR HOLDING SPA1
1. La nascita dell’azienda
Adriano Cavalieri Ducati, insieme ai fratelli Bruno e Marcello, sono i
personaggi ai quali si deve la nascita dell’azienda Ducati. La famiglia era
originaria di Comacchio, ma a metà ottocento sentirono il bisogno di trasferirsi a
Bologna. All’epoca, la città felsinea era un ambiente dagli stimoli continui, teatro
di grandi avvenimenti, era frequentata da gente di notevole caratura. Appare
quindi comprensibile che un atmosfera di tale effervescenza facesse da incubatrice
a giovani talentuosi, entusiasti del contagio della scoperta. Uno di questi fu
proprio Adriano Ducati che, abile studente di fisica, si cimentò nello studio
particolare della radiofonia. All’età di 19 anni costruì dei trasmettitori di bassa
potenza che trasmettevano ad onde corte, una novità per quel tempo poiché si
utilizzavano strumenti che richiedevano molta potenza e la trasmissione era ad
onde di grandi dimensioni, ma il talento si confermò quando il 15 gennaio 1924
,all’età di 21 anni , realizzò una trasmissione Bologna - U.S.A. ad onde corte.
Tale fatto gli portò fama e considerazione da tutti gli addetti del settore.
Cominciò ad indirizzare le scoperte in ambiti finalizzati come quello della
comunicazione fra natanti, tanto da meritarsi l’interesse da parte della Marina
Militare Italiana. Venne, così, allestita una nave che per la prima volta fu collegata
contemporaneamente con i cinque continenti. Nel 1925 cominciò a concentrarsi
sullo studio delle onde cortissime realizzando scambi della distanza di 6000 Km
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Il caso è stato oggetto di un seminario a cura del Ing. Paradisi, Responsabile Qualità in Rete della
Ducati Motor Holding Spa
con onde lunghe 5 metri. Costruì ciò che oggi noi chiamiamo walkie – talkie,
suscitando curiosità da parte del Re d’Italia Vittorio Emanuele III che ne chiese
una dimostrazione pubblica. Tali meriti e scoperte spinsero Adriano assieme ai
fratelli a concretizzare, in qualche modo , la sua ormai ampia e collaudata
esperienza, nella produzione, dando vita alla “Società scientifica radio brevetti
Ducati”.
Il forte entusiasmo dei meriti e delle scoperte conseguite da Adriano
portarono, il 4 Luglio 1926, alla fondazione della Società Radio Brevetti Ducati. Il
primo stabilimento si trovava in pieno centro di Bologna ma poco dopo tempo fu
necessario un trasferimento in una struttura più ampia. La Società nacque con
l’obiettivo iniziale di colmare i vuoti d’offerta che il nuovo mercato della
radiofonia aveva in sé. Si decise di iniziare la produzione di condensatori a mica
puntando sulla qualità e in seguito integrando processi produttivi capaci di
generare outputs per apparecchiature radio nella sua totalità. Lo stabilimento era
lo scantinato della villa di famiglia e il primo prodotto in assoluto fu il
condensatore “Manens”, caratterizzato da un livello qualitativo eccelso. Che
l’azienda sarebbe divenuta presto un modello per tutte le industrie del mondo lo
testimoniano anche le intraprendenti idee adottate per promuovere e far conoscere
il prodotto, infatti, Bruno Ducati spedì campioni gratuiti del condensatore a
radiotecnici e produttori del settore in tutto il mondo. Tale azione si dimostrò
vincente, nell’Ottobre 1926 arrivò la prima ordinazione di ben 3000 pezzi La
qualità del prodotto portò loro fama e rispetto da parte di tutti i tecnici del settore.
L’azienda cominciò la propria espansione commerciale. I locali produttivi furono
ampliati, il numero dei dipendenti aumentò, giunsero nuovi macchinari produttivi
e venne formata anche una fonderia. Questa società era basata fondamentalmente
sulla produzione di pezzi ad alta qualità e per accrescere lo sviluppo in nome di
ciò si acquistarono macchinari di altissima tecnologia e precisione, una di queste
fu la “genevoise”, di fabbricazione svizzera. Era posta in un locale a temperatura
costante tramite l’utilizzo di un condizionatore ed effettuava fori nell’acciaio con
la massima precisione tanto che non serviva l’ulteriore rettifica del foro. Da questi
presupposti nacque la produzione dei condensatori variabili “201”. Nello stesso
anno, il 1928, Bruno Ducati si recò ad Eindhoven in Olanda presso la poco più
che neonata Philips che acquistò i condensatori variabili SSR 102,
successivamente anche la Siemens scelse i condensatori Ducati per la propria
produzione. Due anni più tardi fu la volta di un nuovo prodotto: il Radiostilo,
un'antenna unificata antidisturbo. Appare ,dunque , evidente l’ascesa verticale che
l’azienda dei fratelli Ducati stava compiendo.
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La crescita esponenziale della produzione richiedeva un ampliamento
strutturale della azienda, si decise così di costruire un nuovo stabilimento. La zona
scelta fu Borgo Panigale alle porte di Bologna.
I fratelli Ducati cercarono di inculcare fin dal primo momento, a tutti coloro
che facevano parte dell’azienda, un fortissimo senso di appartenenza generatore,
appunto, di ciò che viene definito come “Stile Ducati” e di sicuro tale tendenza fu
fomentata dai dettami del fascismo.
La Ducati arrivò alle soglie della seconda guerra mondiale ad essere una delle
realtà aziendali più grandi del paese , era infatti la seconda azienda d’Italia solo
dopo la Fiat di Torino. A Borgo Panigale il numero dei dipendenti era salito a
2.300 unità. Venne perseguita una politica di decentramento aprendo centri a
Crespellano e Bazzano , inoltre ve ne era uno a Salsomaggiore dove prolificò la
sezione Tungsteno-Molibdeno che utilizzava come fonte di energia il metano, ed
un altro a Parona di Volpicella, Verona. Nella sua totalità il numero dei dipendenti
arrivava a quota 11.000, ma c’è da specificare che la cifra non è del tutto certa. Fu
creata una rete di filiali in tutto il mondo:
Inoltre, per soddisfare la richiesta energetica sempre maggiore dei propri
edifici, la società acquistò i diritti idraulici per la produzione di energia elettrica
del fiume Panaro per costruirvi una centrale, progetto che non fu compiuto a causa
dello scoppio del conflitto mondiale.
La produzione dell’azienda non era basata solo sui condensatori, ma nel corso
di questo periodo sviluppò diversi prodotti. Come tutte le grandi aziende del
tempo e per i contributi diretti e indiretti come il radiostilo e il bimar utilizzati
dalle Forze Armate, nel 1938 la Ducati fu avviata al “Commissariato per le
produzioni di guerra”, dispensando i propri uomini dal servizio militare. Gli
outputs vennero indirizzati verso la produzione bellica di precisione quasi nella
sua totalità.
Nel Dicembre del 1945 i fratelli Ducati e la vecchia dirigenza tornarono ai
loro posti. Le commesse di guerra erano una produzione molto allettante per
qualunque azienda poiché erano ben pagate dallo Stato e non era ricercato un
contenimento dei costi produttivi poiché non soffrivano la competizione di
prodotti esterni, ma i Ducati erano consci che a guerra finita la produzione non
sarebbe stata più la stessa e, anzi, bisognava intuire ciò che sarebbe servito.
Bisogna notare che la Ducati non si specializzò mai nella produzione esclusiva di
materiale bellico, ma anche durante la guerra il 60 % della produzione era
destinata per scopi non bellici, infatti Raselet, Duconta, Delux e i condensatori
continuarono ad essere in produzione. Pertanto la maggior parte dei processi
produttivi non doveva essere sostituito, al contrario di molte aziende in Italia che
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trasformarono le linee produttive esclusivamente per la fabbricazione di armi. Nel
’44 i dirigenti Ducati si recarono a Firenze assicurandosi la collaborazione di
tecnici della Galileo e della San Giorgio, a Bologna, invece, fu fatta la Reom che
era specializzata in radioelettrica la cui dirigenza fu affidata a dei Frati.
I fratelli Ducati avevano messo in atto una vero e proprio “turn-around”
ricentrandosi sugli aspetti “core” dell’azienda, tali erano le tre sezioni:
elettrotecnica, ottica, meccanica, quest’ultima prevedeva l’entrata nel mercato
motociclistico.
Era l’Italia del dopoguerra, un paese massicciamente bombardato, le
costruzioni rimaste utili erano sparpagliate a macchia di leopardo e gli
spostamenti, da un posto ad un altro, richiedevano tempo e fatica. Fu in questo
scenario che la bicicletta ebbe il suo successo. Era un mezzo che rispondeva
appieno le esigenze della popolazione, riusciva a coprire tratte di medio raggio,
era semplice da usare ed aveva costi ridottissimi (per non dire nulli).
Da questi presupposti, da uno dei “Post”, venne l’intuizione di creare un
piccolo motore che potesse essere montato su una bicicletta. I vantaggi erano
straordinari. Da mezzo a breve/medio raggio la bici si poteva trasformare in un
mezzo a lungo raggio e capace di sopportare carichi molto maggiori, grazie
l’ausilio di un motore. Tale motore era il Cucciolo.
Si può dire che il Cucciolo è stato l’inizio della produzione motociclistica
Ducati. Ebbe un successo enorme. Il progetto era di un avvocato e progettista
torinese, Aldo Farinelli. Questo progetto aveva numerose caratteristiche che lo
rendevano superiore alla concorrenza, in particolare: il ciclo a quattro tempi e il
cambio a due rapporti. Caratteristiche che facevano sfruttare appieno la sua
potenza sia in salita che a pieno carico e che lo rendevano un instancabile asinello
da soma. Aveva una cilindrata di 48 centimetri cubici, raggiungeva una velocità di
punta di 60 km/h e riusciva a percorrere quasi cento chilometri con un litro di
benzina. Il suo successo fu alimentato anche da una concorrenza non all’altezza, il
Garelli Mosquito era a due tempi, per cui consumava di più e andava a miscela il
cui costo era superiore a quello della benzina. Il Cucciolo ebbe grande successo
anche perché fu accompagnato da un ottima campagna pubblicitaria, alquanto
innovativa. Per il lancio del motore, la dirigenza decise di far scrivere al Maestro
Olivero una canzone intitolata: “Ti porterò sul Cucciolo”, che ebbe gran successo
e che era fischiettata da tutti. Il motorino fu esportato anche oltreoceano con
grandissimo successo. Ma sicuramente ciò che meglio di tutte promosse il
Cucciolo e che rappresenta un comandamento per qualsiasi azienda produttrice di
motori, per consacrare il proprio brand a culto divino, fu la partecipazione alle
competizioni. Decisione che segnerà per sempre l’avvenire della Ducati.
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All’epoca si disputavano gare di regolarità e durata ed il piccolo Cucciolo le
dominava grazie alla sua economicità di consumi e buona potenza di rendimento (
che si attestava intorno i 2 cv ).
Il boom del Cucciolo fece riprendere, momentaneamente, le sorti
dell’azienda. Basti pensare che il numero dei dipendenti salì a 4.500 e la
produzione, nell’anno ’47/’48, arrivò a 240 unità al giorno. Nel corso del tempo fu
perfezionato sempre più, dal modello T1 e T2 costruiti solo parzialmente dalla
Ducati, si passò al T3 perfezionato e assemblato completamente dalla casa di
Borgo Panigale. Infine fu dotato di un proprio telaio. Rimase in produzione fino al
1958 e ne furono venduti 500 mila esemplari in tutto il mondo.
Il ’47 fu un anno funesto per la Ducati. Nonostante le buone vendite, trainate
dal Cucciolo, la situazione tendeva ad aggravarsi causa la mancanza di mezzi
finanziari. Si decise così, per un aumento del capitale sociale. Il capitale passò da
12 milioni a 100 milioni di lire. Per coprire l’aumento, la società diede mandato
alla Banca Nazionale del Lavoro di collocare le azioni sul mercato. Azioni aventi
valore nominale di cento lire, riservate in opzione ai vecchi azionisti. Tale
aumento di capitale non bastò, la situazione aziendale continuava ad aggravarsi.
Fu così che si vide costretta a chiedere aiuti alla F.I.M. ( fondo per il
finanziamento dell’industria meccanica ). Le premesse del prestito concesso
erano: l’amministrazione controllata giudiziaria; l'allontanamento del consiglio
d’amministrazione e la sua sostituzione con un amministratore unico di nomina
del F.I.M., che avrebbe potuto decidere di cambiare o modificare le produzioni;
infine, l'allontanamento dei fratelli Ducati dall'amministrazione della società.
Da questo momento in poi i Ducati persero per sempre la guida della loro
azienda.
Era chiaro che l’intervento del F.I.M. aveva carattere transitorio. Infatti alla
Ducati erano stati concessi sei mesi per risollevarsi dalla crisi, alla fine dei quali
un attento rapporto avrebbe espresso una valutazione. Tale valutazione aveva il
potere di decidere se l’azienda fosse stata capace di riprendersi da sola o se vi
sarebbe dovuta essere la gestione controllata. Per ordine del Tribunale di Milano
la Ducati andò in amministrazione controllata, nominando Commissario
giudiziale il dott. Mantelli. Ovviamente la vecchia amministrazione non c’era più
e ai fratelli Ducati toccarono cariche onorifiche. La gestione Mantelli è ricordata
come uno dei periodi più bui della vita aziendale. Il nuovo amministratore non era
aperto al dialogo e prendeva iniziative in modo unilaterale, forte della nomina del
Tribunale che gli aveva dato carta bianca. La sua politica aziendale era incentrata
su un rightsizing condiviso solo da sé stesso. Ciò che più è ricordato sono i grandi
licenziamenti che lasciarono senza lavoro tantissimi impiegati. Finché, dopo
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scioperi e ripetuti licenziamenti, il dott. Mantelli, paradossalmente, il 26 Febbraio
presentò lettera al Prefetto di Bologna comunicando che il 28 del corrente mese la
Ducati avrebbe cessato la propria attività. I dipendenti scioperarono, così Mantelli
chiese aiuto alle forze dell’ordine, le quali si presentarono con i carri blindati.
Nonostante ciò i dipendenti riuscirono ad occupare la fabbrica. La fabbrica rimase
occupata quindici giorni. Giorni nei quali, il sentimento di solidarietà di tutti
coloro che sposavano la giusta causa, di lasciare in vita lo stabilimento, si
manifestò in modi vari e molteplici: dalla complicità di funzionari di istituzioni
pubbliche e private, fino a quella dei bottegai del luogo. Tutti con l’unico scopo di
allontanare Mantelli. Tale sforzo si rivelò vincente, poiché la fabbrica fu riaperta e
Mantelli sostituito con l’avv. Stoppato. Anche l’avv. Stoppato si dimostrò
incompetente.
Dal titano che era, la Ducati si ritrovò smembrata in diverse parti.
Per circa quindici anni, Amministratore Delegato della Ducati Meccanica fu
l’avv. Giuseppe Montano, che ebbe la pesante responsabilità di rilanciare la
motocicletta Ducati nel panorama nazionale ed estero. A dire il vero, il lavoro,
seppur non semplice, fu affrontato con forza e determinazione, virtù supportate
dalla passione che egli stesso nutriva per la moto. In particolare, in quegli anni
divenne di gran moda correre in motocicletta. Grandissimo successo ebbe il
Motogiro, che assiepava persone attorno alle strade per vedere sfrecciare i bolidi
rombanti. Fu in questo clima che la Ducati pensò di prendere parte alle
competizioni, come parte integrante della sua attività. In queste gare si ravvisano i
primi cambiamenti, infatti è proprio in questo periodo che si ha il passaggio da
gare di durata a gare di velocità, dove la ricerca della potenza motore diventa il
primo comandamento. L’ideologia di Montano era tutta incentrata sulla
competizione: Si partecipava alle gare per vincere, la vittoria sarebbe servita come
pubblicità per alimentare il mito dell’azienda, così da aumentarne le vendite. Per
arrivare a tale obiettivo c’era bisogno di un centro di ricerca e sviluppo che
avrebbe evoluto le moto e le soluzioni tecniche e che a loro volta sarebbero state
adottate dai modelli in commercio rendendoli innovativi e concorrenziali.
Fu nel 1956 che, il genio di Taglioni, ebbe l’intuizione di progettare un
sistema che avrebbe contraddistinto le Ducati per tutta la loro esistenza. Il sistema
desmodromico. Letteralmente, deriva dal greco “desmos” e
“dromos”,
rispettivamente “legame” e “corsa”. Il che, già dalla parola, lascia intendere
l’azione obbligata sia in apertura, che chiusura delle valvole.
Nonostante il boom dell’azienda, dovuto al dominio incontrastato che in quel
periodo ebbe nel mondo delle competizioni, nel 1960 fu sospeso ogni impegno
derivante dalle corse. L’idea, avventata, fu quella di dedicarsi, al massimo delle
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loro forze, nel reparto produttivo, forti dell’onda di successo accumulata negli
anni precedenti. In questo modo, però, si perse quel punto di equilibrio che lo
stesso Montano aveva concepito nel ragionamento: gara-vittoria-pubblicitàvendite e che vedeva l’azienda l’epicentro di tale sistema circolare. Si pensò di
sviluppare un area per la costruzione di motori diesel, pensando fossero la carta
vincente del futuro, affiancata anche dalla fabbricazione di motori marini e gruppi
elettrogeni. Fu disposta un area di 10.000 metri quadrati: la Ducati Diesel
Division. Fedele allo stile Ducati, i prodotti erano di buona qualità, ma i ricavi
nettamente inferiori quelli derivanti dalle vendite delle moto, per cui i tagli
necessari, investirono in pieno le attività agonistiche.
Il boom degli anni ’60 non investì la Ducati anzi ne complicò la crescita. La
Fiat aveva messo sul mercato la 500 e la neonata 600, la moto, ormai, non era più
il mezzo di trasporto ideale,
La produzione motociclistica fu affidata ad una azienda spagnola: la Mototrans,
che sarà una lunga parentesi, durando dagli anni ’50 fino l’inizio degli anni ’80.
Eusebio Andreu Virgili era a capo della Cliper e fu lui a dare un forte impulso alla
Ducati, in Spagna. Cominciò ad importare le Ducati 98 nella versione sia sport
che turismo. Virgili aveva una grande passione per le competizioni, così, importò
due Ducati 100cc e una 125cc. Cominciò a partecipare alle corse che si
svolgevano nella penisola iberica Ma senz’altro gli anni ’60 sono ricordati per la
produzione destinata in America. Un uomo, in particolare, diede un grande
contributo alle vendite dell’azienda, era Joe Berliner, importatore Ducati per gli
Stati Uniti. La forza del mercato che rappresentava, era tale che influenzò la
produzione della casa italiana. Propose la costruzione di una moto del tutto
diversa quelle prodotte fino quel momento. In America esplose la tendenza per il
dirt-track e per il cross, così Berliner consigliò la messa in opera di una moto che
fosse adatta ai terreni sconnessi, ma che al tempo stesso fosse utilizzabile anche
per un uso stradale.
Nacque lo Scrambler. Il suo successo negli U.S.A. fu tale, che divenne la
moto di Fonzie nella serie televisiva Happy Days. Nel 1963, Berliner
commissionò alla Ducati un progetto veramente ambizioso: una moto degna rivale
della Harley-Davidson. Il progetto non era affatto semplice, ma lasciava
intravedere l’opportunità di equipaggiare la polizia statunitense e di conseguenza,
della vendite da capogiro. Venne creata la Ducati Apollo
La crescita altalenante degli anni sessanta si protrasse anche nel decennio
successivo, ma le novità non furono poche. La Ducati fu inserita nel gruppo VMFinmeccanica, gruppo specializzato nella costruzione di motori diesel. D’altro
canto, la produzione delle moto continuava a ritmi blandi ed era l’unica risorsa
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che nel tempo ripagava gli investimenti. Purtroppo le gestioni miopi succedutesi
in questi tempi, non avevano ancora appreso che era la moto il prodotto sul quale
la Ducati doveva concentrare tutte le sue risorse.
La fine degli anni sessanta coincise con il boom commerciale delle maximoto
giapponesi che aggravarono la posizione dei produttori italiani ed europei. Erano
moto dal grande potenziale ad un prezzo contenuto. E’ ancora una volta Taglioni a
dare all’azienda l’arma vincente, progettando un motore bicilindrico intorno a tale
motore fu progettata una moto da competizione, poiché il desiderio dell’ingegnere
era quello di un ritorno alle corse. Così nel ’71, la Ducati tornò ufficialmente sulle
griglie di partenza e nel ’72
Dunque il decennio 70/80 vide il delinearsi di un ritorno alle competizioni.
Anche oltreoceano una Ducati era schierata su una griglia di partenza.
Non tanto il numero dei successi, ma il modo in cui si ottennero,
legittimarono la Ducati, nell’immaginario collettivo, alla mitizzazione, capace di
ottenere risultati impossibili partendo da condizioni non all’altezza, richiedendo
come unico mezzo, una virtù, di cui “la rossa” non era mai sazia: la passione.
Dunque è proprio a partire da quell’anno, che fu chiaro nel pensiero di tutti,
che l’ animo Ducati era quello delle competizioni, legittimando anche la regola di
utilizzare moto derivate dalla produzione di serie, regola sulla quale oggi è basato
il campionato Superbike.
La Ducati veniva da un decennio veramente travagliato, soprattutto nelle
vendite. Dalle linee produttive uscivano un numero esiguo di moto A porre
rimedio a questa tragica situazione, ci pensarono i fratelli Claudio e Gianfranco
Castiglioni, proprietari di aziende nel campo di fonderie e della rinomata Cagiva (
CAstiglioni GIanfranco VArese ) che produceva un gran numero di moto di
piccola cilindrata. I fratelli erano alla ricerca di un azienda produttrice di motori di
grande cubatura, puntarono, così, sulla Ducati. La Cagiva si era appena separata
dalla Harley-Davidson ed era al centro di un gruppo formato da Husqvarna e
Moto Morini. Contattarono, così, l’allora presidente dell’IRI Romano Prodi,
mostrando un progetto, che prevedeva l’accoppiamento di motori Ducati su telai
Cagiva. Così nel 1983 si formò una joint-venture fra le due società. Oggetto del
contratto era la fornitura crescente di propulsori alla Cagiva per sette anni e la
cessazione di moto marchiate Ducati a partire dall’84. Gli imprenditori Castiglioni
erano prima di tutto motociclisti appassionati e non ebbero il coraggio di
sopprimere un marchio che aveva dato tanto al mondo delle corse e delle moto.
Così, nel 1983, acquisirono la proprietà dell’azienda di Borgo Panigale,
promettendo una ripresa della produzione motociclistica. Finalmente In quello
stesso anno, Fabio Taglioni andò via dalla Ducati, lasciando due eredi di notevole
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caratura: Massimo Bordi e Gianluigi Mengoli , creatori del “Desmoquattro”, il
sistema desmo a quattro valvole, che attualmente equipaggia la produzione Ducati
più competitiva. Fu da questo momento che l’azienda venne indirizzata per la
costruzione di moto racing altamente specializzate. Le fu impartita una posizione
commerciale, in cui le moto di serie, erano prodotte allo stesso modo rispetto
quelle da pura competizione. Anche i caratteri che componevano il brand Ducati
furono cambiati, mutandoli negli stessi adottati già dal brand Cagiva. Ma, la cosa
più accattivante, è che si diede alla Ducati l’impronta della moto da corsa
rappresentativa dell’Italia. Si adottarono livree monocromatiche, tingendo di rosso
serbatoio e carene. In senso patriottico, si voleva dare l’immagine della moto che
trasmetteva l’artigianalità di un prodotto tipicamente “made in Italy”. Dal lato
strettamente produttivo, gli anni ’80 hanno rappresentato un periodo epocale per
lo sviluppo di soluzioni tecniche che, assieme alle precedenti idee concepite da
Taglioni, finirono per caratterizzare l’insieme delle moto Ducati. Nonostante tutto,
le vendite non erano entusiasmanti. Fino all’88, la sfortuna sembrava non
abbandonare la casa bolognese, che ebbe ancora problemi di crescita , dovute ad
una congiuntura economica mondiale negativa. Ma, in quello stesso anno, dal
reparto corse, fu concepita una moto progenitrice di una stirpe invincibile, dal
potere di schiaffeggiare un destino fino quel momento avverso, sbarcando e
stravincendo in Superbike, tale fu la Ducati 851. Il nome stesso rappresentava la
cilindrata, adottava soluzioni tecniche avanzatissime per l’epoca.
Non c’è dubbio che rappresentò la rinascita dell’azienda. La 851 era un bolide
e portò nuovi successi.
L’ultimo decennio del ventesimo secolo, è stato il periodo in cui la Ducati si è
dimostrata come azienda leader nel settore di moto da corsa. A partire dal 1990, la
casa bolognese, si è legata in modo indissolubile al Campionato del Mondo
Superbike, dominandolo letteralmente. Ha prodotto modelli che sono entrati nella
storia del motociclismo, per design, prestazioni ed innovatività.
Visto che le moto commercializzate erano strettamente derivate dalle
competizioni, la Ducati più vinceva, maggiore era il numero di moto che vendeva.
In effetti in quel periodo le vendite registrate erano in costante crescita, ma
l’andamento positivo, era vincolato dai successi ottenuti in pista, il che relegava
l’azienda in modo dispotico alla vittoria. D’altronde, anche il segmento al quale la
produzione si riferiva, era di dimensioni ridotte, paragonabile ad una nicchia di
mercato. Fu così che per uscire dalle insidie di un piccolo segmento, si sentì il
bisogno di produrre moto di natura diversa, da affiancare alla produzione derivata
dalla pista. Nacque la M900, subito ribattezzata Monster. Il progetto temerario, fu
di creare ex novo un segmento: quello delle “naked”. Dall’inglese: nuda.
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Mostruosamente bella. La caratteristica principale era la denudazione delle carene
ed il telaio e motore considerati oggetti integranti e valorizzati del design.
Nello stesso periodo, fu realizzata un’altra una moto, del tutto particolare.
Non aveva le pretese commerciali del Monster, ma voleva essere un esempio di
pura tecnica applicata. Era la Supermono 550.
Il 1994 fu, per la Ducati, l’anno della svolta epocale. Fu concepita la moto
che ruppe tutti gli schemi. Una moto diventata punto di riferimento per qualunque
appassionato delle due ruote :La Ducati 916.
2.La Ducati Motor Holding S.p.A.
La Ducati si trovava in una condizione del tutto particolare. Era composta da
risorse umane dal valore inestimabile, da un reparto tecnico dal potenziale unico,
da una situazione agonistica invidiabile e da una gamma di prodotti leader di
settore. Nonostante ciò, si vide costretta a diminuire la produzione da 21.000 unità
del ’95 a 12.500 unità del ’96 poiché la crisi finanziaria che viveva, non gli
permise di pagare i fornitori. Era un bocconcino troppo succulento, che gli
americani della Texas Pacific Group non si fecero scappare. La TPG era un
gruppo privato di investitori statunitensi, specializzato nell’acquisto e nella
ristrutturazione di aziende in crisi. Guidata da Abel Halpern, aprì una jointventure con i fratelli Castiglioni. L’ufficializzazione dell’accordo avvenne il 30
Settembre 1996, con un comunicato stampa si notificò che la nuova società: la
Ducati Motor S.p.A. aveva acquistato il ramo d’azienda, comprensivi di tutti i
marchi Ducati, staccandosi dalla Cagiva. Le quote furono divise nel 49 % ai
Castiglioni, 49 % alla TPG e un 2 % depositato in un fondo fiduciario, presso una
banca italiana. A presiedere l’azienda rimase Claudio Castiglioni. Da tale accordo,
alla Ducati fu erogato un prestito di 280 miliardi di Lire (circa 145 milioni di
euro).
Da parte dei puristi, l’avvento degli americani fu mal digerito, vedendo in essi
il solo motivo di produrre utili, sfruttando un azienda fino a quel momento solo
italiana ed un conseguente snaturamento del marchio, visto da sempre, sinonimo
di italianità. Ma già nel 1998 i debiti furono risanati e nonostante l’interesse degli
statunitensi, bisognava ammettere che avevano tirato l’azienda fuori dai problemi.
Così la fiducia nei loro confronti crebbe in modo esponenziale. Il numero dei
lavoratori, salì fino a quota 714 rispetto i 550 del ’96. Sempre nel ’98 la TPG
decise di rilevare il capitale, volendosi portare in posizione di maggioranza. Così
la Texas Pacific Group e la Deutsche Morgan Grefell Development Capital Italy,
acquistarono il pacchetto azionario ancora in mano ai Castiglioni, acquisendo il
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pieno controllo e fondando la “Ducati Motor Holding S.p.A.”. Una tale azione fu
intrapresa poiché, era chiaro che un azienda dal capitale umano e tecnico come la
Ducati, se ben gestita, poteva dare magnifiche soddisfazioni. Infatti, già nel ’97 il
fatturato fu raddoppiato. L’idea, azzeccata, fu quella di creare intorno al marchio
un atmosfera fortemente caratterizzata dallo “Stile Ducati”, qualcosa che
distinguesse per forza di carattere. Un vero e proprio lifestyle. L’opera di
ristrutturazione partì dal logo (a significare una rivisitazione che comprendeva
tutti gli aspetti) vennero aboliti i caratteri adottati in precedenza dai Castiglioni,
per delle lettere che si ispiravano ai fasti del passato. Si può affermare, che l’arma
fondamentale di questo turn-around, fu una rivisitazione di ogni cosa nel segno
della tradizione. Innanzitutto bisognava riprendere ed alimentare il mito del brand
partendo proprio dalla storia, istituendo un museo. Per la distribuzione, furono
allestiti dei punti vendita denominati “Ducati Store” sotto forma di franchising.
Dei veri e propri santuari dove il ducatista poteva trovare tutto ciò di cui aveva
bisogno, dalla moto a qualsiasi accessorio, comprendente anche una linea di
abbigliamento dedicata, nonché oggetti d’arredamento. Il primo franchising fu
aperto a Manhattan nel 1998. Inoltre venne creata una linea di accessori e kit, per
personalizzare e potenziare la moto, chiamata Ducati Performance, nata dalla
collaborazione con Gio.Ca.Moto. Lo sforzo della TPG era anche quello di offrire
attività di entertainment, in questo frangente la più grande realtà era, ed è ancora
oggi, il WDW (world Ducati week-end). Luogo d’incontro di tutti i ducatisti del
mondo, radunando oltre dieci mila partecipanti. Insomma, un impegno a tutto
tondo, che aveva l’ambizione di creare il mondo del ducatista, partendo dalla
moto e finendo al ritrovo annuale del WDW, passando per accessori, kit e
quant’altro potesse personalizzare e distinguere il motociclista che viveva nel
mondo Ducati.
Con la Texas Pacific Group, la Ducati Motor Holding, fu quotata in borsa: “
Il 4 Marzo 1999 fu presentata una OPV (offerta pubblica di vendita) iniziale di
90.200.000 azioni, in forma di azione o di azioni di risparmio americane, ognuna
delle quali comprendeva dieci azioni. Il prezzo iniziale di ogni azione di risparmio
era di 29 Euro o 31,67 Dollari, con una aspettativa di azionariato diffuso del 66,1
%, di cui 900.000 azioni (circa l’1 %) riservate ai dipendenti Ducati”. (Tratto da
Ian Faloon, Ducati Story: tutta la storia della grande marca italiana). Nel 2000 fu
inaugurato il sito: www.ducati.com che avrà il compito di informare e di
supportare una strategia di marketing Tribale che solo poche aziende, come
Ducati, possono permettersi, grazie ad una tradizione ed un mito che ha dato adito
alla creazione di una vera tribù. Concetto che verrà affrontato nel terzo capitolo di
questo lavoro.
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Dal 2000 ad oggi, la Ducati ha avuto anni di grande crescita, non senza
periodi di flessione, che nel complesso hanno fatto registrare un trend positivo.
Nella produzione, sono stati fabbricati nuovi modelli, ampliando la gamma. In
campo agonistico, ha continuato ad affermare il proprio dominio in SBK
(Campionato Superbike) ed ha inaugurato l’importantissimo debutto in Motogp.
Nel settore commerciale, ha rafforzato la distribuzione ed ha sviluppato, in modo
sempre crescente, una tendenza verso l’e-commerce, supportato da un sito web di
una certa imponenza. Per quel che riguarda la gestione economica e finanziaria, si
è avuto il passaggio della maggioranza azionaria, ad un gruppo finanziario
italiano.
Il nuovo secolo si apre all’insegna dell’e-commerce. Il 6 Marzo 2000 nasce il
ufficialmente il sito internet: www.ducati.com . Viene creata una nuova divisione
all’interno dell’azienda, composta da uno staff di esperti in internet e del
commercio su web. Compito del sito era, ed è ancora oggi, informare i clienti,
comunicare con la tribù e sviluppare ulteriormente il risvolto commerciale con
aste ed una sezione dedicata al business-to-business, business-to-consumer,
consumer-to-consumer.
Il 16 Luglio 2002, la Ducati annuncia l’introduzione di una nuova moto.
Dopo 9 anni di gloriosa carriera in pista e riconoscimenti ricevuti, era giunto il
momento di creare una linea nuova, capostipite della SBK. Il difficile compito di
erede fu dato alla Ducati 999 Testastretta. Moto completamente nuova. Il numero
di componenti era stato ridotto del 30 % rispetto il 998, ottimizzando il ciclo di
assemblaggio. In questo prodotto la linea guida era data dalla ricerca della
funzionalità piuttosto che alla forma. Maggiori prestazioni, aerodinamica studiata,
ergonomia per migliorare la guida. La sfida successiva era quella di trovare un
design accattivante. Il risultato fu una moto radicalmente nuova, molto facile da
usare e divertente da guidare.
Questi periodi, sono stati di grandissima importanza per la Ducati, sopratutto
per un evento in particolare: il debutto in Motogp. Campionato completamente
diverso da quello SBK, basato sull’utilizzo di prototipi, il corrispettivo della
Formula 1 su due ruote. In assoluto, il campionato più prestigioso che esista in
campo motociclistico, che vede la partecipazione di tutte le case costruttrici di
maggior calibro e dei piloti di maggior talento. Il 30 Maggio ’02 fu presentata la
Desmosedici, moto con cui l’azienda avrebbe partecipato al Campionato.
Negli anni successivi, il trend è stato di crescita, non senza flessioni, dovute
all’evoluzione del regolamento che ha imposto nuove configurazioni tecniche.
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Senz’altro il 2006 è stato l’anno che ha dato maggiori soddisfazioni, vedendo
Capirossi lottare per il titolo mondiale con tre vittorie conquistate e una mitica
doppietta, Bayliss-Capirossi.
Sul fronte della produzione, i cambiamenti sono stati notevoli, con
l’introduzione di nuovi modelli. Nel 2003 debutta una moto del tutto
anticonvenzionale: il Multistrada.
Vuole rappresentare una nuova generazione di moto sportive, dotata di
prestazioni eccezionali e comfort straordinario. Il giusto equilibrio per una guida
sportiva e l’uso quotidiano, incarna l’essenza della sport tourer.
Cronologicamente, siamo arrivati quasi al 2007. In questo periodo, si hanno
le ultime novità che consistono nella commercializzazione del Desmosedici RR, il
1098 e la Hypermotard. Il primo racchiude in sè la massima espressione della
tecnnologia Ducati. Rappresenta la race replica del prototipo Motogp.
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