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Tributi locali Poteri dei Sindaci di accettare lavori socialmente utili in pagamento dei tributi locali di Cateno de Luca, Emiliano Covino, Giuseppe Ingrao, RL La recente proposta di abolizione della TASI e di alcune altre imposte patrimoniali sugli immobili ha riportato l’attenzione mediatica sui tributi locali; questi ultimi colpiscono spesso beni immobili non liquidi, posseduti da chi è privo di altre entrate idonee ad effettuare il pagamento, e sui Comuni incombe una massa di microcrediti di importo individualmente irrilevante, di cui la magistratura contabile chiede anche conto. La prima abitazione non è liquida e non è espropriabile, mentre spesso - nei piccoli Comuni - l’unica disponibilità dei debitori è quella di effettuare Lavori di Utilità Collettiva (LUC). Ci chiediamo in quale misura sia possibile introdurre nella gestione degli enti locali un pragmatico e solidale principio di partecipazione materiale del cittadino alle pubbliche attività, come pagamento dei tributi «in natura». A questa sensata soluzione contribuisce fiscalmente anche la disposizione sulla sostanziale irrilevanza reddituale dei c.d. «lavori socialmente utili», che neutralizza l’imposizione fiscale sul reddito rappresentato dal lavoro a beneficio della comunità. Pagamento di tributi locali con lavori socialmente utili: una soluzione politicamente opportuna e di reciproco vantaggio Cateno de Luca Il formalistico federalismo fiscale dei Comuni e le sostanziali rigidità giuridico-amministrative che ne vanificano i risultati pratici Recentemente il Governo è tornato sul tema dell’abolizione della TASI, prendendo atto del paradosso in cui vivevano molti Comuni, che si sono trovati di fronte ad un aumento di entrate tributarie puramente teorico, in quanto dovuto essenzialmente al gettito gravante su case di abitazione, con una base proprietaria ampia e frammentata di difficile controllo e riscossione. Cresce insomma, per la crisi economica, una evasione di tributi comunali, per contingenze finanziare del contribuente; vengono al pettine i nodi già denunciati su Dialoghi sull’illiquidità di simili tributi (1), facili da gestire solo quando sussistono, a latere degli immobili, congrui importi di «altri redditi». Altrimenti, un nucleo familiare che si ritrova momentaneamente a reddito zero, ma è comunque titolare dell’abitazione nella quale vive, non può pagare IMU – TARI – TASI cedendo al Comune un balcone o un pezzo di muro di pari valore dei tributi che, obtorto collo, è obbligato a versare. La mia esperienza pratica di amministratore comunale di piccoli Comuni siciliani, consente di stimare che un nucleo familiare medio, composto da tre persone e titolare soltanto della propria unità abitativa di circa 90 mq, deve pagare al Comune le seguenti imposte, collegate e determinate dal suo patrimonio immobiliare: Cateno de Luca - Presidente Fenapi e Sindaco di S. Teresa di Riva (ME) Nota: (1) E. Covino, R. Lupi, «Ambivalenza dell’“immobile” tra “utilizzazione diretta” e “bene di investimento”: proposte per la riforma dell’IMU», in Dialoghi Tributari n. 2/2013, pag. 125. Dialoghi Tributari 2/2015 187 Tributi locali - anno 2012 € 279,00 così articolato: € zero IMU; € 279,00 TARSU; - anno 2013 € 442,00 così articolato: € 46,00 IMU; € 394,00 TARES; - anno 2014 € 499,00 così articolato: € Zero IMU; € 110,00 TASI; € 389,00 TARI. Oltre alle imposte, questo nucleo familiare medio deve pagare al Comune le tariffe collegate e determinate dal consumo medio di acqua potabile - 180 mc - (si tralascia dall’analisi l’energia elettrica che rientra comunque nei consumi primari) con un canone invariato nel triennio 20122014: € 129,00 annuo (2). Quindi, la famiglia media di questo piccolo Comune composta da tre persone con una abitazione di 90 mq dovrà versare al Comune, nel 2014, circa € 628,00 per i tributi comunali e il servizio di acqua potabile: trattasi di tributi e consumi collegati alla proprietà del modesto patrimonio immobiliare che prescinde dalla reale capacità contributiva derivante da un reddito monetizzabile. Le entrate tributarie principali dei Comuni – titolo I: IMU – TASI – TARI - che sono collegate alla situazione immobiliare dei contribuenti, senza considerarne il resto della stuazione patrimoniale e reddituale, rappresentano ormai la parte più consistente e crescente del complessivo paniere delle entrate correnti: - anno 2012 46,73% così articolate: 25,77% IMU;% zero TASI; 20,96% TARSU; - anno 2013 44,53% così articolate: 23,87% IMU;% zero TASI; 20,66% TARES; - anno 2014 52,30% così articolate: 26,60% IMU; 5,26% TASI; 20,44% TARI. Le entrate dei Comuni rappresentate dai trasferimenti dello Stato e delle Regioni – titolo II rappresentano ormai la parte residuale e decrescente del complessivo paniere delle entrate correnti: - anno 2012 22,86% così articolate: 8,54% Stato; 14,32% Regione; - anno 2013 19,93% così articolate: 6,11% Stato; 13,82% Regione; - anno 2014 17,48% così articolate: 6,16% Stato; 11,32% Regione. Se ciò non bastasse, occorre rilevare che i trasferimenti ai Comuni si sono anche ridotti sensibilmente: per quanto riguarda la Regione Sici- 188 Dialoghi Tributari 2/2015 liana, a decorrere dal 2014, è stato abrogato il fondo delle autonomie locali ed è stata istituita, in favore dei Comuni, una compartecipazione al gettito regionale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). Le risorse assegnate ai Comuni sono calcolate applicando un’aliquota di compartecipazione al gettito IRPEF, effettivamente riscossa in Sicilia. L’introito così determinato verrà ripartito tra i singoli Comuni in proporzione alla base imponibile IRPEF valida ai fini del calcolo dell’addizionale dell’IRPEF: la quantificazione avviene, quindi, in relazione al reddito dichiarato dai residenti dei singoli Comuni con il consolidamento del consequenziale principio della solidarietà, applicato però in forma inversa, ossia «più poveri hai nel tuo comune e meno soldi lo Stato ti eroga per i servizi comunali» (3). Una chiosa va fatta sul cosiddetto Fondo di solidarietà che è basato su principi illogici e disincentivanti, in quanto alimentato attraverso il gettito teorico derivante da IMU/TASI, ovverosia calcolato sulle presunte entrate provenienti da tali imposte, che – teoricamente appunto - i Comuni dovrebbero annualmente riscuotere, senza considerare minimamente il «riscosso effettivo». L’obbligo dei Comuni di attivare azioni esecutive è destinato ad essere infruttuoso a seguito della impignorabilità ex lege della prima casa adibita ad abitazione del nucleo familiare. È stato, infatti, ampiamente evidenziato che oltre il Note: (2) Nel Comune di cui chi scrive è Sindaco, il canone è così articolato: € 79,50 consumo acqua potabile; € 49,50 Canone depurazione e fognatura. (3) Di seguito viene rappresentato il trend negativo dei trasferimenti ai Comuni da parte della Regione Siciliana: - anno 2012: 14,32% del totale entrate correnti comunali – titolo I- II – III = 13,20% dei trasferimenti avuti nel 2011; - anno 2013: 13,82% del totale entrate correnti – titolo I- II - III = 0,10% dei trasferimenti avuti nel 2012; - anno 2014: 11,32% del totale entrate correnti – titolo I- II – III = 6% dei trasferimenti avuti nel 2013. Per quanto riguarda i trasferimenti ai Comuni da parte dello Stato: si precisa che, con l’attuazione del federalismo fiscale D.Lgs. n. 23/2011, si è proceduto alla riduzione dei trasferimenti erariali in misura corrispondente al gettito che confluisce nel Fondo di solidarietà (c.d. fiscalizzazione dei trasferimenti). Pertanto la voce contributi dello Stato (titolo II) riporta esclusivamente i trasferimenti non fiscalizzati iscritti in bilancio sulla base degli importi desunti dalla comunicazione del Ministero dell’Interno rilevabile sul sito Internet. Tributi locali 70% dell’evasione dei tributi comunali è ormai rappresentato da «evasori coartati», a reddito zero e con un solo immobile, la propria casa di abitazione, ormai inattaccabile con azioni esecutive. Il paradosso che ne deriva è che, a consuntivo, a causa dell’evasione media dell’IMU pari a circa 25% (dato in costante crescita), lo Stato percepisce effettivamente dai Comuni una quota di IMU molto maggiore del teorico 50%, calcolato sulla «ripartizione presunta» del gettito. In altre parole, lo Stato recupera di fatto dai Comuni il 50% del gettito IMU stabilito «sulla carta», perché la quota teorica del 38,22% è stabilita indipendentemente dall’evasione da riscossione, la quale di conseguenza ricade solo sul Comune esattore. Il risultato è che lo Stato ottiene effettivamente oltre il 50% dell’IMU complessivamente incassata dai Comuni, a fronte di una quota teorica inferiore al 39% (4). La quota crescente di «proprietari senza redditi» (evasione per necessità) Quanto sopra esposto permette di capire che l’evasione (volontaria e non volontaria) dei tributi comunali è un fenomeno crescente, senza alcuna reale soluzione fornita attualmente dal sistema tributario. In questo modo finisce per stabilizzarsi la consuetudine dei cosiddetti «bilanci comunali cartolari», ossia disancorati alla realtà finanziaria dell’Amministrazione locale. Infatti, le principali entrate, su cui si basano i formali equilibri di bilancio dei Comuni, rimangono - in gran parte - meramente scolpite sulla carta (come voce «residui attivi») e non diventeranno mai entrate effettive. Le risultanze delle analisi effettuate dal Comune di Santa Teresa di Riva sulla platea degli evasori dei tributi comunali del triennio 2012-2014 sono alquanto allarmanti. Nel 2012 sul numero complessivo di evasori, un buon 50% era rappresentato da «abituali evasori volontari», cioè da contribuenti che, pur avendo per altri versi capacità contributiva reddituale, non pagavano per scelta i tributi comunali; la rimanente parte era invece rappresentata da «evasori per necessità», cioè da nuclei familiari a reddito zero. Quest’ultima categoria è aumentata al 60% e al 70% nel 2013 e nel 2014, per il parallelo impoverimento dei nuclei familiari. I residui attivi dei bilanci comunali aumentano sempre di più per la crescente impossibilità di riscuotere i tributi comunali rendendo sempre più aleatori e virtuali i bilanci dei Comuni. La disponibilità allo svolgimento di prestazioni e la difficoltà di un tradizionale intervento assistenziale All’oggettiva impossibilità di pagare i tributi comunali non è facile fare fronte, anche da parte delle pubbliche autorità. Qualunque generalizzato provvedimento di esenzione dai tributi comunali in favore dei nuclei familiari a reddito zero suscita, a torto o ragione, le reazioni degli altri contribuenti, che si ritrovano a dover sopportare il peso fiscale anche per conto dei nuclei familiari beneficiari dell’esenzione. Mettendo da parte l’ipocrisia, non abbiamo riscontrato, in definitiva, nessun nucleo familiare volontariamente disponibile a pagare i tributi comunali di un’altra famiglia impossibilitata a farlo. Agire di autorità con una regolamentata esenzione innesca un meccanismo diseducativo nei confronti della generalità dei contribuenti (5) ed un approccio mortificante nei confronti di quei nuclei familiari che eviterebbero ben volentieri la carità o i provvedimenti compassionevoli che li farebbero sentire un peso per la comunità. A maggior ragione le elargizioni di somme in favore di nuclei familiari a reddito zero, che non riescono a pagare la loro quota di tributi comunali, suscitano una doppia reazione negativa: a quella caritatevole/assistenzialista appena descritta, si aggiunge quella dei sostenitori dell’inopportunità Note: (4) Si tratta di un Fondo dei Comuni e non dello Stato anche sotto il profilo della modalità di riscossione nei confronti del contribuente: è il Comune che effettuata l’azione accertatoria ed il contribuente non si rende conto che, oltre un terzo dell’imposta, viene incassata direttamente dallo Stato mediante un separato codice tributo rispetto a quello comunale. In definitiva: il Comune ci mette la faccia nei confronti dei propri contribuenti e lo Stato «indebitamente ed occultamente incassa». E come se lo Stato fosse contagiato dalla «logica del nobile in decadenza» (pur non avendo i soldi per le esigenze primarie sempre nobile di sangue è!) nel continuare a svolgere una pseudo funzione ridistributiva del reddito con le risorse dei Comuni. (5) Dove chi paga si sente discriminato, anche perché spesso le condizioni economiche percepite, in capo agli esentati, non sono così diverse, per via della massa di lavoro grigio o nero, con cui va avanti la precaria economia di queste aree. Dialoghi Tributari 2/2015 189 Tributi locali della «carità istituzionale», perché foriera della categoria dei cosiddetti «poveri di professione». Aldilà delle scuole di pensiero, un dato comunque è incontestabile: chi non è nelle condizioni di pagare i tributi comunali sicuramente non utilizza l’eventuale contributo comunale per mettersi in regola con la comunità ma, giusto o sbagliato che sia, li utilizzerà per far fronte ad esigenze primarie di consumo. Questo vale anche per i lavori socialmente utili retribuiti in denaro; essi non consentono al Comune, tranne rare eccezioni, di ottenere da questi nuclei familiari a reddito zero il pagamento dei tributi comunali evasi (6). Il lavoro di utilità collettiva a compensazione dei debiti Le criticità descritte al paragrafo precedente possono essere superate collegando direttamente il lavoro del «debitore-contribuente» con l’estinzione del debito verso il Comune. Viene insomma saltato il passaggio intermedio rappresentato dalla messa a disposizione delle risorse finanziarie, che il contribuente tenderebbe a utilizzare per propri fini personali, senza pagare i tributi, come precisato sopra. L’idea di istituire i Lavori di Utilità Collettiva – LUC – remunerati direttamente fino a concorrenza del debito tributario trova riscontro anche nell’art. 8 della legge n. 212/2000 «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente», che esordisce stabilendo che «l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione» (comma 1). La compensazione parziale o totale dei tributi e delle tariffe comunali (IMU – TARI – TASI - tariffe per servizi comunali a domanda individuale quale mensa scolastica – acquedotto – asilo nido – case popolari - assistenza domiciliare – ricoveri per disabilità) viene effettuata con Lavori di Utilità Collettiva LUC per soggetti o per famiglie in condizioni di disagio socio-ambientale, economico, sanitario o patologico, che non sono in condizione di potere ottemperare all’obbligo del loro versamento diretto. Alla base della compensazione vengono presi come parametro di riferimento le modalità di erogazione dei compensi-indennità erogati in occasione di lavori socialmente utili, delle borse lavoro e dei cantieri di servizi attraverso i quali si realizzano forme 190 Dialoghi Tributari 2/2015 di reinserimento sociale mediante l’attività lavorativa che siano di contrasto alla povertà ed all’emarginazione, in attuazione degli obiettivi della legge n. 328/2000, che fonda la propria azione sul principio di sussidiarietà e di valorizzazione delle capacità individuali e la realizzazione di inclusione sociale. A titolo di semplificazione, per i parametri di compensazione, si fa riferimento a quello attualmente adottato dalla misura di retribuzione delle Borse Lavoro, che prevede un costo unitario di € 5,00 l’ora salvo successivi aggiornamenti. Per cui, ad esempio, per un importo da versare di € 100,00, regolarmente autorizzato dall’Amministrazione Comunale, saranno prestate 20 ore di lavoro, e così via in proporzione all’importo complessivo del tributo o tariffe commutate, sempre nei tempi e nei modi definiti dal provvedimento amministrativo su proposta del responsabile del servizio. Si raggiungono anche, in questi casi, apprezzabili riflessi di professionalizzazione collettiva mediante la preventiva partecipazione ai corsi professionalizzanti organizzati a cura e spese del Comune in base alle figure professionali di cui necessita nei vari settori dei servizi comunali. Il nucleo familiare beneficiario, se non trattasi di soggetto singolo, individua nel proprio ambito il componente che, in nome e per conto della famiglia di appartenenza, dovrà svolgere i LUC nel settore dei servizi municipali individuati dal Comune; anche un terzo soggetto rispetto al nucleo familiare che ha diritto alla compensazione può svolgere volontariamente i LUC, in nome e per conto della famiglia in questione, se viene accertata l’oggettiva impossibilità di svolgere i LUC da tutti componenti del nucleo familiare rientrante nell’esenzione. Il volontario deve comunque essere residente nel Comune. La compensazione potrà riguardare i tributi e le tariffe con effetto retroattivo fino a 5 (cinque) anni anteriori alla data di applicazione dei LUC con la consequenziale sospensione delle evenNota: (6) Anche in questo caso le statistiche evidenziano che oltre il 90% dei nuclei familiari che hanno usufruito di un reddito transitorio correlato al loro status di famiglia indigente non regolarizza con il Comune le proprie pendenze tributarie. Tributi locali tuali procedure esecutive già in essere. Sono in questo modo potenziati i servizi comunali nel rispetto dei vincoli di spesa per le risorse umane: numerosi servizi comunali potranno essere po- tenziati ed erogati a costo zero utilizzando i rappresentanti dei nuclei familiari che hanno aderito ai LUC. Il pagamento in natura delle imposte locali con lavori socialmente utili: un’ottima idea, ma con quali implicazioni giuslavoristiche? Emiliano Covino Una forma di compensazione con redditi esenti da lavori socialmente utili Prendiamo spunto da alcune notizie apparse sulla stampa in merito ad una idea del Comune di Santa Teresa di Riva (7), ripresa qualche tempo dopo anche nella provincia di Novara (nel Comune di Invorio) (8), dove i rispettivi sindaci hanno proposto il pagamento dei debiti IMU arretrati attraverso dei lavori socialmente utili (LSU), per tornare sul tema della tassazione patrimoniale gravante sugli immobili e, più in generale, del federalismo fiscale. È stato già detto che tutti i tributi, anche quelli di natura patrimoniale, vengono comunque pagati con il reddito, non potendo il contribuente – in base al più volte citato assioma – pagare l’IMU con «pezzi dell’appartamento». Quando però le capacità reddituali in media si assottigliano e gli immobili si deprezzano, le imposte locali - calcolate su un valore patrimoniale di abitazioni e terreni stabile indietro nel tempo finiscono per incidere più profondamente sulla disponibilità economica delle famiglie; infatti, la stagnazione economica, da una parte, ha visto assottigliare i redditi percepiti, mentre dall’altra ha comportato la svalutazione degli immobili, laddove è rimasto invece inalterato il valore catastale preso a riferimento per le imposte patrimoniali. Il risultato di questa combinazione di fattori è stato che, dove la bolla immobiliare si è maggiormente sgonfiata, le imposte locali hanno rappresentato una buona fetta del valore commerciale (nettamente diminuito – rispetto all’immutato valore catastale) di seconde case di campagna, magari di grande metratura (con giardini e porticato), ma di fatto invendibili se non a prezzi irrisori. Frequentemente, al di fuori delle grandi città (in cui il deprezzamento immobiliare è stato meno marcato), i proprietari si sono trovati in una situazione di morosità nei confronti dell’Amministrazione locale, per immobili ormai privi di un valore commerciale attendibile. Del resto, soprattutto nei piccoli centri, molti dei proprietari sono in possesso - spesso per via ereditaria - di immobili di dimensioni più ampie rispetto a quelli di città, cui spesso si accompagnano pertinenze altrettanto grandi (orti di fronte alla casa, vecchie stalle, capannoni inutilizzati, terreni agricoli (9), ecc.), che complessivamente provocano un debito IMU/TASI piuttosto gravoso. A ciò si accompagna lo storico fenomeno dell’inurbamento, che ha portato molti contribuenti a trasferire nelle città più grandi «l’abitazione principale» esente IMU, conservando comunque la proprietà vecchia abitazione di famiglia, cui ormai è più facile riconoscere un valore più affettivo che economico. Il risultato è quello verificatosi nel piccolo Comune di Santa Teresa, ma che si ripete in forme simili anche in altre realtà del Paese, dove molte famiglie si sono ritrovate in stato di morosità nei confronti del Comune. È proprio questo il problema della tassazione locale, ove sono maggiori le complicazioni della riscossione dei tributi, a causa di difficoltà ambientali impensabili nelle grandi città spersonaEmiliano Covino - Dottore di ricerca in Diritto tributario presso l’Università di Roma «Tor Vergata», Avvocato in Roma. Fondazione Studi Tributari Note: (7) Si veda la Gazzetta del Sud del 27 gennaio 2015. (8) Cfr. La Stampa del 15 luglio 2015, Cronaca locale, «Non puoi pagare Imu e Tasi? Poti alberi e aiuti i netturbini». (9) La cui tassazione IMU è stata in parte mitigata dal D.L. n. 4/2015, che comunque lascia in vita questo tributo per i «terreni non montani». Dialoghi Tributari 2/2015 191 Tributi locali lizzate, ove il Sindaco è una entità lontana e l’agente di riscossione comunale è terzo rispetto alle pratiche che deve gestire; a questi problemi si aggiunge l’ordinario rischio di inefficacia dell’esecuzione forzata, che finisce per aggredire immobili non di pregio, spesso poco utilizzati e mal conservati, ma soprattutto privi di qualsiasi appetibilità commerciale nei confronti dei possibili acquirenti, in caso di vendita forzata. Nei piccoli paesi, al di fuori delle zone turistiche o culturali, si vedono spesso seconde case disabitate, cui potrebbe corrispondere un grosso debito IMU inevaso, che non verrà mai saldato attraverso aste giudiziarie, che sovente in questi casi vanno deserte. È un dato di fatto che il mercato delle seconde case per le vacanze è pressoché fermo, mentre i prezzi di questa tipologia di abitazioni è in netto calo. Per risolvere questa impasse, dovuta ai debiti verso l’Amministrazione in crescita ed alle esecuzioni forzate lucrose in calo, l’idea del Comune Santa Teresa sembra essere una buona soluzione per evitare che il problema si cronicizzi. Infatti, chiedere ai cittadini in difficoltà economica di appianare il proprio debito IMU attraverso prestazioni lavorative a favore della collettività potrebbe risolvere varie problematiche: prima di tutto servirebbe a responsabilizzare i contribuenti morosi, che non possono più invocare la mancanza di liquidità come giustificazione morale ai propri inadempimenti fiscali. Inoltre, questo pagamento in natura delle imposte locali impedisce al Comune di adottare una soluzione politicamente più «comoda», ossia non iniziare neanche un’azione esecutiva nei confronti di quei debitori titolari di case dal valore esiguo. Ma la scelta di non intraprendere alcuna azione nei loro confronti finirebbe per legittimare l’omesso versamento dei tributi, con conseguente rischio di danno erariale a carico dell’Amministrazione locale, per non essersi attivata proficuamente. In secondo luogo, lasciare semplicemente «a bagno Maria» il debito IMU, evitando magari solo la prescrizione con raccomandate di stile, genera nella cittadinanza un senso di impunità fiscale, che facilmente si riverbera su tutti gli altri debiti verso il Comune. Il proprietario moroso delle imposte locali finirebbe per chiedersi perché pagare l’acqua o la 192 Dialoghi Tributari 2/2015 luce alle società municipalizzate, se tanto c’è già un debito IMU che cresce inarrestabile, senza neanche menzionare il rischio di insolvenza sulle multe stradali e simili. Pertanto, questo particolare «piano di rientro» messo in pratica dai Comuni di Santa Teresa e di Invorio, in fondo, si basa su di una compensazione dei debiti fiscali a fronte di prestazioni lavorative da rendere a favore del Comune stesso. In un periodo di disoccupazione giovanile elevata, offrire a persone inoccupate la possibilità di ridurre i propri debiti fiscali rendendo prestazioni socialmente utili, magari dopo aver predisposto per costoro corsi di formazione comunali (riutilizzabili anche in altri contesti lavorativi), sembrerebbe un buon metodo per risolvere il problema. Da quanto ci sembra di capire dalle notizie di stampa, si tratterebbe di impieghi in «lavori socialmente utili», i cui ricavi – calcolati su base oraria in conformità all’attività prestata - servirebbero a ripianare il debito che il contribuente (o un appartenente al suo nucleo familiare) ha contratto nei confronti dell’Amministrazione. Proprio la scelta di limitare questa opportunità ai soggetti economicamente deboli, con redditi bassi e privi di altre forme di sostentamento (in base alle regole ISEE), conferma che qualsiasi tassazione patrimoniale finisce per incidere sui redditi disponibili in capo al contribuente, che entra in difficoltà quando il patrimonio è infruttifero. Del resto, l’impiego dei contribuenti morosi in attività socialmente utili alla collettività risponde proprio alle finalità di queste imposte locali, che servono a finanziare proprio quei «servizi indivisibili» (luce pubblica, decoro urbano, sicurezza, ecc.), che l’Amministrazione locale eroga per i propri cittadini. In altre parole, questo scambio di prestazioni tra contribuenti e Comune risponde, più che ad una specifica legge fiscale, al «principio di solidarietà tributaria»: se un cittadino non partecipa economicamente alle spese pubbliche locali, finalizzate a garantire i servizi per la collettività, è conforme al principio solidaristico che egli stesso renda volontariamente quei servizi indivisibili, lavorando come ausiliare del traffico, come archivista o come sorvegliante museale. A ben vedere, questa soluzione è tutt’altro che nuova (seppur Tributi locali da anni dimenticata), perché per secoli le imposte si sono pagate, oltre che con il denaro, con quelle «prestazioni personali» che ancora la Costituzione cita (art. 23), al momento di imporre il principio della riserva di legge in materia (tributaria) di prestazioni imposte, tra le quali spiccano quelle tributarie. Inoltre, appare interessante chiedersi se questa forma di pagamento in natura, offerto da disoccupati in debito con il Comune, possa servire anche a responsabilizzare la stessa macchina amministrativa; sarà la stessa collettività a valutare la produttività di un dipendente pubblico, pagato a tal fine, rispetto ad un Comune cittadino che presta lo stesso servizio per saldare i propri debiti tributari. Il pagamento dei tributi attraverso lavori socialmente utili: una forma di lavoro dipendente esente da obblighi contributivi e previdenziali in base allo «Sblocca Italia» Quanto al regime fiscale di questa particolare tipologia di lavoro, l’art. 50 del T.U.I.R. assimila i lavori socialmente utili ai redditi di lavoro dipendente, a prescindere dalla tipologia di reddito prodotto dal soggetto. Infatti, la normativa fiscale ha stabilito che, ai fini dell’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente, non è più essenziale che i compensi siano percepiti dai soggetti già qualificabili come «dipendenti», ma è sufficiente che siano percepiti da «soggetti» che esercitano tale tipologia di lavoro (perciò lavoratori, ma anche pensionati o disoccupati), in conformità alle specifiche disposizioni che autorizzano l’espletamento di tale attività (in base a norme secondarie prodotte a livello di Amministrazioni locali). Benché i compensi percepiti per lavori socialmente utili siano qualificati come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, tuttavia essi beneficiano di un trattamento fiscale agevolato. In base all’art. 52, comma 1, lett. d-bis), del T.U.I.R., è previsto che, se i compensi per lo svolgimento di tale tipologia di lavori siano percepiti da soggetti che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia e che hanno un reddito complessivo (al netto della deduzione per abitazione principale e relative pertinenze) non superiore a 9.296,22 euro, sono imponibili solo per la quota eccedente i 3.098,74 euro. In ogni caso, per i soggetti che non possono beneficiare di tale regime di detassazione, ovvero per la parte dei compensi eccedente tale limite per i beneficiari, gli emolumenti ricevuti dall’Amministrazione non devono essere considerati come reddito da lavoro subordinato, applicandosi tuttavia una tassazione forfetaria, mediante ritenuta a titolo d’imposta, con applicazione dell’aliquota prevista per il primo scaglione di reddito, maggiorata delle addizionali vigenti (10). Nello stesso solco si è inserita anche la norma specifica contenuta nel cd. decreto «sblocca Italia», che ha previsto alcune «misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio» (11), che permetterebbero di utilizzare i lavoratori socialmente utili anche in questa sorta di compensazione o datio in solutum nei confronti dell’Amministrazione locale. Si tratterà di vedere il successo e le modalità di applicazione di questa iniziativa, soprattutto le implicazioni giuslavoristiche che talvolta rendono impraticabili - per eccesso di burocrazia - ottime idee pratiche; a prescindere dai risvolti pratici, rimane comunque il fatto che si tratta di un metodo interessante per risolvere il problema dell’insolvenza dei crediti comunali, spesso dovuta a momenti di difficoltà economica transitori, che in questo modo viene risolta con beneficio di tutta la collettività invece di essere procrastinata all’infinito. Note: (10) In base all’art. 14, comma 1, lett. b) n. 1, del D.Lgs. n. 505/1998. (11) Cfr. art. 24 del D.L. n. 133/2014: i Comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purchè individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i Comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L’esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai Comuni, in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute. Dialoghi Tributari 2/2015 193 Tributi locali Un soluzione contingente, difficilmente destinata ad essere istituzionalizzata Giuseppe Ingrao La vicenda descritta nell’articolo che precede mette in luce un problema che si sta proponendo con crescente insistenza nei piccoli Comuni siciliani, privi di una spiccata vocazione turistica, come quello di Santa Teresa di Riva, e cioè la necessità di «far cassa» a fronte di una crescente evasione dell’IMU sugli immobili diversi dalle abitazioni destinate a residenza principale del contribuente. La soluzione prospettata (per quel che mi risulta non ancora in concreto attuata) è quella di «compensare» il debito tributario con una prestazione lavorativa socialmente utile, quantificata in base al numero delle ore lavorate ed alla retribuzione oraria prevista per tali attività. La prima impressione che ho avuto, leggendo la notizia sui quotidiani locali, è che tale modalità di assolvimento del debito tributario, essendo ipotizzata per i contribuenti economicamente deboli, cioè con redditi bassi e privi di altre forme di sostentamento (in base alle regole ISEE), sembra ispirarsi all’idea secondo cui è «meglio incassare qualcosa che niente». Ed infatti, l’eventuale avvio di una procedura di espropriazione forzata, nonostante la presenza di un bene immobile da aggredire, determinerebbe solo spese per il Comune: l’immobile in questione non può essere espropriato se l’esposizione non supera l’importo di € 120.000,00 (circostanza altamente improbabile per i debiti IMU); il pignoramento del quinto dello stipendio è probabilmente precluso dalla presenza di altri creditori a cui tale quinto è stato in precedenza ceduto; i beni mobili posseduti hanno solo un valore simbolico, ecc. In questo quadro, già di primo acchito non può dubitarsi della ragionevolezza della soluzione prospettata, al di là degli eventuali ostacoli derivanti dalla legislazione fiscale o da quella giuslavoristica. Non va però sottaciuto che, ad un esame più approfondito, la proposta di cui ci occupiamo può lasciare perplessi, in relazione alla effettiva necessità per il Comune di acquisire la prestazione 194 Dialoghi Tributari 2/2015 lavorativa da parte del contribuente moroso. Perplessità che si fondano anche sulle note rigidità che da sempre caratterizzano le modalità di estinzione del debito tributario. Ed infatti, per l’assolvimento dei debiti tributari, se ci si allontana dalla ordinaria dazione di una somma di denaro, gli istituti previsti sono quello della cessione di beni culturali, disciplinata dall’art. 28bis del D.P.R. n. 602/1973, applicabile alle sole entrate dello Stato, nonché quello della compensazione tributaria. La rigidità delle norme che disciplinano queste modalità alternative di pagamento sono comprensibili: con riferimento alla prima modalità, si vuole evitare di trasferire all’Erario beni che di culturale hanno ben poco, e comunque di subire una penalizzazione in relazione ad una loro sopravvalutazione; quanto alla seconda, si vuole evitare che la compensazione riguardi situazioni creditorie esistenti solo in apparenza. In ogni caso, la proposta di aprire nuovi «spazi» per l’assolvimento dei debiti fiscali connessi a tributi locali è degna di una giusta considerazione, anche perché non sembra sul punto vi siano ostacoli di ordine costituzionale. Addentrandoci sulle questioni teoriche che implica il pagamento dei debiti tributari mediante prestazioni lavorative, evidenziamo che la nozione di tributo non può essere circoscritta alle prestazioni patrimoniali, escludendo in modo tranchant le prestazioni personali. Se il pagamento del tributo poggia sul dovere di solidarietà economica, non si vede perché la prestazione personale di tipo lavorativo non possa ritenersi espressiva di una forma di solidarietà economica, soprattutto se questa è finalizzata espressamente allo svolgimento di un compito che arreca in linea teorica un beneficio alla collettività. La preferenza che da sempre si è data alle prestazioni di tipo patrimoniale per perseguire gli obGiuseppe Ingrao - Professore associato di Diritto tributario presso l’Università di Messina - Dottore commercialista in Messina Tributi locali biettivi di solidarietà economica risponde a molteplici ragioni. Tra queste vi è il fatto che per organizzare l’erogazione dei servizi pubblici da parte dell’ente statale o locale risulterebbe estremamente improbabile affidarsi in prevalenza alle attività lavorative svolte dai consociati: anche ammesso che vi fossero le competenze professionali, e mettendo da parte gli aspetti giuslavoristici, potrebbe improvvisamente venir meno la continuità nell’erogazione della prestazione per il mero fatto di aver assolto il debito fiscale. L’acquisizione di somme di danaro consente, invece, all’ente pubblico di organizzare in modo ben più sistematico ed efficiente il servizio pubblico. Va ancora considerato che il prelievo tributario va ancorato ad una capacità economica, che in linea di massima presuppone la disponibilità monetaria per far fronte al tributo. Con riferimento alle imposte sui redditi c’è poco da dire. Con riguardo alle imposte patrimoniali, come evidenziato da Covino, si può, invece, dubitare dell’esistenza di una disponibilità finanziaria per onerare il debito fiscale. E’ pur vero, però, che un soggetto non titolare di redditi e che possiede solo un immobile potrebbe comunque procurarsi le disponibilità finanziarie per far fronte al pagamento del tributo mediante l’accesso ad un finanziamento di terzi, la vendita dell’immobile, la cessione della sola nuda proprietà, ecc. In particolari contesti economici, come quello attuale, caratterizzati dalla estrema difficoltà di ottenere a vario titolo liquidità dagli immobili, allora potrebbe considerarsi la possibilità di consentire di onorare il debito tributario mediante lo svolgimento di una attività lavorativa socialmente utile. Questa possibilità potrebbe essere data, non solo a chi ha una esposizione debitoria per anni pregressi, ma anche per corrispondere il tributo relativo alle annualità correnti, evitando di farlo divenire di moroso, e così subire le conseguenze sanzionatorie. In buona sostanza, non vi sono limiti di ordine costituzionale alla acquisizione «forzata» di prestazioni lavorative socialmente utili da parte di contribuenti in difficoltà economica, in relazione a tributi di tipo patrimoniale. Tuttavia, deve essere ben chiaro che si tratta di una soluzione temporanea e di estrema ratio, in attesa che si superi la congiuntura economica negativa. La marginalità della prestazione personale rispetto all’obiettivo di «concorrere allo svolgimento dei servizi pubblici» risulta ancora più evidente nel caso in cui il debito tributario riguardi un tributo destinato a finanziare indistintamente le spese pubbliche dell’ente. Se si ipotizzasse di far pulire le strade per compensare il mancato assolvimento della TARI, si darebbe un contributo al mantenimento della pulizia degli spazi comuni, con contestuale contenimento dei relativi costi (immagino la riduzione delle ore di straordinario dei dipendenti). Nel caso dell’IMU, invece, il collegamento tra prestazione e servizio pubblico è più lontano e quindi tale soluzione desta maggiori perplessità: la prestazione socialmente utile del contribuente in difficoltà economiche difficilmente può determinare un miglioramento dei servizi amministrativi espletati dal Comune ed una riduzione dei costi necessari. Va detto ancora che la scarsa considerazione da parte dello Stato dell’idea che si può contribuire all’espletamento dei servizi pubblici con prestazioni personali è, tra l’altro, dimostrata dal fatto che parecchi «contribuenti», senza che a monte vi siano esposizioni fiscali da sanare, prestano attività di volontariato nell’ambito di organizzazioni che intervengono nel settore della solidarietà sociale; non mi risulta che si sia mai ipotizzato di assegnare loro un bonus fiscale, sulla base delle ore di attività svolta. E’ noto, invece, che, se il medesimo contribuente eroga alla stessa organizzazione una somma di denaro, allora ha diritto ad una detrazione di imposta. In conclusione, per praticare in modo più generalizzato soluzioni come quella proposta dal Comune di Santa Teresa, bisognerà muovere da una valorizzazione delle capacità lavorative dei consociati nella prospettiva di garantire una equilibrata convivenza sociale. Altrimenti le prestazioni lavorative per l’estinzione dei debiti fiscali potranno giustificarsi solo per tamponare situazioni contingenti, cioè per prendere qualcosa da chi, altrimenti, non pagherebbe nulla. Dialoghi Tributari 2/2015 195 Tributi locali Tutto molto sensato, ma bisogna battere l’immobilismo RL Le iniziative descritte dagli articoli che precedono sono senza dubbio rispondenti alla massimizzazione dell’utilità per tutti i soggetti coinvolti (secondo i modelli di Bentham, Pareto, l’equilibrio di Nash e via enumerando). L’interesse generale e gli interessi particolari verrebbero ottimizzati, in quanto i debitori dei tributi riuscirebbero a pagare le imposte dovute, il Comune otterrebbe servizi, i giardini sarebbero più puliti, i bambini sarebbero accompagnati all’asilo, i rifiuti sarebbero smaltiti e si creerebbe spesa pubblica a fronte di «redditi», cioè di creazione di utilità. Peccato che tra il dire e il fare ci sia di mezzo una cortina fumogena di regole, ciascuna dettata per un qualche interesse meritevole di tutela, ma che oggi viene di vita propria e può essere utilizzata da chi si sente vivo creando ostacoli in nome di una imprecisata «legalità» accampando una serie di problemi in sé legittimi, a cominciare dal famoso «se qualcuno si fa male chi paga?». Questo rapporto di lavoro «ibrido», a pagamento di un debito tributario, richiede in- 196 Dialoghi Tributari 2/2015 somma molta flessibilità, molto senso del bene comune, e molto spirito di adattamento. E’ infatti facilissimo trovare qualche regola lavoristica, previdenziale, sanitaria, sindacale, e chi più ne ha più ne metta, che potrebbe essere violata da una soluzione logica come quella in esame; purtroppo la genialità italica di un tempo si declina oggi sempre più spesso, in versione causidicoleguleia, come «creazione di ostacoli». La preoccupazione di «essere a posto con le regole» piano piano rimpiazza le funzioni istituzionali di curare l’ambiente, la sicurezza, la sanità, la determinazione dei tributi, ecc. Alla fine spesso prevale, davanti all’accavallarsi dei problemi attorno cui si gira senza soluzione, la tendenza a non fare nulla, lasciando cadere iniziative pur meritevoli. Abbiamo visto che fiscalmente l’operazione di «lavoro in cambio di pagamento tributi» sarebbe gestibile, ma i trabocchetti su questa strada, in un Paese in cui si amministra per legge, sono ancora tanti. Speriamo si possano evitare.