pmi ed impresa diffusa: una risorsa per l`occupazione giovanile
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pmi ed impresa diffusa: una risorsa per l`occupazione giovanile
F O N D A Z I ON E PMI ED IMPRESA DIFFUSA: UNA RISORSA PER L’OCCUPAZIONE GIOVANILE “P PAPER DELLA FONDAZIONE”, N. 1 - OTTOBRE 2010 Indice L’editoriale I fenomeni Il commento pag. 1 pag. 2 pag. 4 Pagina 1 L’editoriale Il dibattito sul lavoro, sui suoi confini e sul suo futuro, rappresenta uno dei temi caldi dell’agenda paese, a testimoniare un interesse che, sebbene spesso veicolato a volume troppo alto, è andato riaccendendosi. Se infatti l’orizzonte della ripresa sembra in qualche modo aver bucato le nubi del pessimismo, riscaldato il clima e rinvigorito il mood dei mercati, gli indicatori occupazionali registrano ancora temperature invernali e non sembrano aver ancora completamente disinserito la retromarcia. Il mercato del lavoro italiano, pur avendo attraversato una fase particolarmente complicata, sembra peraltro aver tenuto in misura maggiore rispetto a quanto accaduto in altri contesti europei. Gli ultimi dati di agosto – pubblicati da Eurostat nei primi giorni di ottobre – segnalano che il tasso di disoccupazione italiano è inferiore al valore medio dell’Unione (8,2% contro il 10,1% medio dei 16 Paesi e il 9,6 dell’UE-27) e meno preoccupante rispetto ai tassi registrati in nazioni come ad esempio la Spagna e la Francia. Tuttavia, nonostante la disoccupazione non abbia dilagato, il livello di preoccupazione rimane alto, a significare di un sentimento diffuso di incertezza sul quale hanno naturalmente inciso le forti tensioni che negli ultimi mesi hanno investito i rapporti industriali ed i tentativi di riorganizzazione in atto. I dati preliminari della rilevazione Eurobarometro evidenziano infatti che è particolarmente condivisa dagli italiani la preoccupazione rispetto alla propria situazione lavorativa: il 42% dei nostri connazionali valuta, infatti, negativamente la propria “job situation”, mentre al confronto la media europea dei critici si assesta al 30%. La scontentezza italiana è peraltro più diffusa di quanto avvenga in Paesi nei quali l’impatto della crisi sul mercato del lavoro è stato di maggiore portata, un’intensità che risulta disallineata rispetto al dato congiunturale e che deriva da un malessere le cui cause sono ampie e sedimentate. Esse vanno da un diffuso senso di precarietà (interfacciato come fenomeno anche al di là del solo mercato del lavoro) alla consapevolezza che il mancato riconoscimento del merito provoca una limitata mobilità sociale e un appiattimento che scoraggia l’effort lavorativo. Il “mezzo gaudio italiano” comunque non nasconde i segni lasciati dal recente down turn economico, in grado di portare in superficie tutte le contraddizioni che ancora connotano un mercato del lavoro ingessato – in termini di scarsa mobilità e di appiattimento retributivo - e al tempo stesso segmentato (donne, giovani, immigrati, precari); una combinazione che finisce per pesare su un sistema di welfare già sotto sforzo. In tale contesto, ad opinione di R.ETE. Imprese Italia gli investimenti sul capitale umano devono riprendere a essere uno dei driver principali su cui investire concretamente, impostando azioni di sistema di ampia portata e al tempo stesso in grado di adattarsi a tutti i contesti territoriali e settoriali. Appare importante definire tali scelte rapidamente, ed operare conseguentemente, al fine di strutturare un’offerta formativa adatta ad accompagnare le innovazioni di prodotto o di processo e ripensare un sistema di tutele che scavalchi gli attuali steccati che escludono ampie quote di forza lavoro, specialmente le fasce deboli. Questa deve essere la cornice all’interno della quale riformare il sistema di contratti di lavoro, la gestione dei rapporti, la bilateralità ed il welfare integrativo; tali riforme necessitano di una nuova politica del lavoro, in grado di mobilitare le migliori energie disponibili nel Paese per migliorare il contesto nel quale viviamo, lavoriamo e produciamo. F O N D A Z I ON E Pagina2 I fenomeni Nel complicato quadro del mercato del lavoro italiano, i giovani rappresentano oramai una sorta di “risorsa di complemento”. Il minor apporto fornito dalle nuove generazioni è confermato dagli ultimi dati a disposizione. L’Eurostat indica che il tasso di disoccupazione giovanile italiano ha raggiunto ad agosto il 25,9%, contro una media UE-27 pari al 20,2% e UE-16 pari al 19,8%. Contestualmente alla crescita della disoccupazione, aumenta in volume il numero dei giovani italiani inattivi: nel secondo trimestre 2010 l’Istat stimava in quasi 6 milioni 300mila gli inattivi tra i 15 e i 34 anni (di cui 2 milioni e 700mila di sesso maschile), a fronte dei circa 6 milioni registrati a fine 2008. Un’inattività a binario morto, insensibile, e spesso, irraggiungibile dagli interventi di politica attiva per il lavoro, dalla quale è sempre più difficile potersi emancipare. Secondo l’Istat, nel 2009 i Neet (Not in education, employment or training) 15-29enni italiani raggiungono i 2 milioni (complessivamente ammontano al 21,2% di questa fascia di età); essi, sebbene prevalentemente di genere maschile e territorialmente collocati in maggioranza nelle regioni meridionali, costituiscono un universo eterogeneo e trasversale sotto il profilo del percorso degli studi (i Neet rappresentano il 21% del totale laureati 15-29enni, percentuale che si attesta al 20,2% per i diplomati). Se dunque il rapporto tra lavoro e giovani gira a scartamento ridotto, la retorica che ha prevalso negli anni recenti ha posto l’accento sulla disaffezione di questi ultimi, imputandogli scarsa capacità e poca intraprendenza. Un approccio che elude un problema, quello delle possibilità di accesso lavorativo dei giovani, che viceversa costituisce una priorità troppo spesso bypassata (in tal senso le dinamiche avvolgenti del welfare familiare agiscono da potente sordina) e che è stato troppo frettolosamente rimosso, addossando in toto le responsabilità alla poca ambizione dei giovani. Una recentissima indagine Format/Confcommercio testimonia, al contrario, come i giovani mantengano un atteggiamento positivo/grintoso, poco remissivo, rispetto al proprio futuro. Tra i giovani under 30 intervistati prevale, infatti, la convinzione di poter migliorare a breve il proprio status sociale e le proprie possibilità di guadagno (il 39,6% entro i 30anni ed il 15,7% entro i 30-35anni), mentre appena un quarto procrastina questa possibilità più avanti nel tempo. L’accentuazione della crisi occupazionale sembra dunque aver stimolato una reazione nei giovani che manifestano la volontà di impegnarsi di più nel lavoro e di accettare anche sacrifici e rinunce: il 38,5% è disposto a compromettere per il lavoro il proprio tempo libero, il 29,8% a posticipare il matrimonio, il 35% ad accettare un trasferimento, anche definitivo. LE ASPETTATIVE DEI GIOVANI SUL LAVORO Fig. 1 - Con riferimento alla carriera, ovvero alla possibilità di vedere aumentato nel tempo il proprio status sociale e le proprie possibilità di guadagno, ritiene che avrà modo di svolgere il lavoro desiderato? (Solo giovani sotto i trenta anni). 39,6 26,5 18,2 già svolgo il lavoro che desidero 15,7 entro i trent'anni entro i 30 / 35 anni più avanti del tempo Fonte:” Indagine sui Giovani” – Confcommercio Una voglia che riecheggia anche dai dati del 4° Osservatorio Confartigianato sull’imprenditoria giovanile, pubblicati nel marzo 2010: l’anno passato, in piena crisi produttiva, il numero di piccoli imprenditori under 40 si è comunque accresciuto di oltre 4.600 unità. Le Pmi, in particolare, sembrano aver beneficiato di questo nuovo protagonismo della componente giovanile. Silenziosamente nei lunghi mesi della crisi, l’impresa diffusa ha, infatti, rappresentato una risorsa per migliaia di giovani che vi hanno trovato lavoro e sicurezza. Tra il 2007 ed il 2009, al netto di una perdita complessiva di oltre 80.000 posti di lavoro (gli under 29 dipendenti nell’industria e nel terziario sono passati da 2milioni 208mila a 2 milioni 120 mila, con una variazione negativa del 4%), si è assistito ad un arroccamento dei giovani nelle Pmi, che risultano sempre più permeabili al loro arrivo. Se si considera l’universo dei dipendenti dei settori secondario e terziario, gli under 29 costituiscono sì un segmento minoritario (il 16,8% del totale dei dipendenti), tuttavia, peculiarmente collocato proprio nelle imprese di piccole dimensioni (dove la percentuale aumenta al 20,5% del totale dei dipendenti). Una tendenza che nell’ultimo triennio è andata rafforzandosi: nel 2009 il milione di dipendenti con età inferiore ai 29 anni che lavora presso imprese industriali è concentrato in maggioranza (71,5%, per un valore assoluto pari a circa 715mila addetti) in realtà di ridotte dimensioni (imprese con un numero di addetti inferiore alle 50 unità). Ancora più folta la presenza di giovani nelle piccole realtà del terziario: a fronte di un totale dei dipendenti impiegati nelle Pmi (tra 1 e 50 addetti) pari al 61,9% del totale, la concentrazione dei giovani raggiunge il 76,7%. Una dinamica che interessa in maniera particolare le microimprese (1-9 addetti) all’interno delle quali il tasso di presenza dei giovani è assolutamente rilevante: esse assorbono il 35,8% del totale dei giovani dipendenti dell’industria, e addirittura il 47% nei servizi. F O N D A Z I ON E CONCENTRAZIONE DEI GIOVANI NELLE PMI Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE Imprese Italia su dati Istat, RCFL 20072009 Pagina3 Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE Imprese Italia su dati Istat, RCFL 2009 Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE Imprese Italia su dati Istat, RCFL 2009 La prossimità rappresenta la chiave del reclutamento del personale per il sistema delle PMI e dell’impresa diffusa, giacché la maggioranza delle nuove assunzioni avviene per questa tipologia di aziende in base ai canali informali: a conferma di ciò i dati Excelsior segnalano che nel 2009 il 53,3% delle assunzioni nelle imprese da 1 a 9 addetti e il 38,4% di quelle nelle aziende da 10 a 49 addetti sono avvenute attraverso conoscenza diretta o segnalazioni di fornitori. Un aspetto che si presta ad una duplice lettura: se da un lato esso costituisce un metodo a basso livello di competizione (con una selezione che avviene non tanto all’entrata, bensì on the job), dall’altro rappresenta una “scorciatoia” in grado di dimezzare i tempi, di evitare di ricorrere a servizi (pubblici e privati) perlopiù inefficienti e di costituire, nei momenti di crisi, un formidabile facilitatore per l’inserimento ed il reinserimento lavorativo. Le vie informali peraltro sembrano non precludere l’investimento nella qualità delle risorse umane. Negli ultimi cinque anni è, infatti, costantemente cresciuto il numero di assunzioni non stagionali effettuate dalle piccole e medie aziende di personale con specifica esperienza nel settore o nella professione, che ammontano per le imprese con 1-9 dipendenti al 64,2% del totale delle assunzioni e per quelle 10-49 al 65,6%. Inoltre tra le assunzioni previste dalle piccole e medie imprese è in aumento la quota di personale high skill (+17,4% rispetto al 2009 per le imprese con un numero di addetti tra 1 e 9, + 22,3% per quelle tra 10-49 addetti). La stessa base dati Unioncamere – Ministero del Lavoro evidenzia poi come nelle imprese artigiane i dipendenti sono complessivamente più stabili rispetto a quelle non artigiane: la fattispecie contrattuale del tempo indeterminato è più diffusa (49,3% contro il 45,7% per quanto concerne le imprese non artigiane) e conseguentemente l’utilizzo di contratti a tempo determinato risulta meno frequente (36,4% contro il 43,5%). Una cultura di stabilizzazione che nell’artigianato è condivisa in particolare dagli imprenditori più giovani, che vedono nella valorizzazione delle risorse umane in azienda uno dei volani fondamentali dello sviluppo della propria impresa: i dati del 3° Osservatorio Confartigianato “Giovani Imprenditori Artigiani” sottolineano infatti che nelle imprese con meno di 20 addetti condotte da giovani under 40, nove dipendenti su dieci beneficiano di un contratto a tempo indeterminato. La piccola e media impresa e l’impresa diffusa sono riuscite, in un contesto particolarmente complicato, ad investire sui giovani, incoraggiandone l’inserimento lavorativo e di conseguenza l’emancipazione familiare, l’integrazione (tra i giovani è alta la percentuale di immigrati) e dunque più in generale innescando/facilitando quei processi di mobilità che sono alla base di una società che guarda al futuro. F O N D A Z I ON E Il commento Se da una parte il sistema produttivo italiano sembra aver resistito all’urto della recessione economica, la crisi ha però accelerato i problemi di quelle fasce più fragili che, più esposte e meno protette, hanno finito per pagare un prezzo esorbitante. Tra le categorie maggiormente colpite figurano naturalmente i giovani, sui quali storicamente si scaricano le inefficienze di un mercato del lavoro poco dinamico e di un sistema formativo spesso disallineato rispetto ai fabbisogni reali. Per i giovani lavoratori italiani la crisi sembra peraltro aver impattato in una duplice direzione: allargando le fila di coloro che hanno perso il lavoro e dunque risultano in cerca di nuova occupazione e “ingrossando e rendendo finalmente visibile” il fenomeno della inattività giovanile. La crisi ha dunque consentito di scoperchiare un problema, quello dell’ingresso al lavoro dei giovani, che in Italia costituisce uno dei nodi critici in grado di depotenziare quei fenomeni di mobilità sociale che sono alla base di una società dinamica ed in salute. Il prodotto del deterioramento del rapporto tra giovani e lavoro ha d’altronde conseguenze potenzialmente devastanti per il futuro del Paese, rappresenta, infatti, un tappo alla vitalità complessiva della sistema produttivo nazionale, il completo svilimento di risorse e competenze, il waste degli investimenti (anche familiari) nella formazione, il rallentamento delle dinamiche di competitività, nonché l’annullamento complessivo di quel sentimento di vitalità che dovrebbe appartenere a chi intraprende l’avventura lavorativa. I problemi congiunturali hanno messo a nudo peraltro le difficoltà di un sistema nel quale la sequenza scuola lavoro funziona a scartamento ridotto, con un disallineamento tra domanda ed offerta che rallenta l’inserimento lavorativo. Al tempo stesso, con l’utilizzo degli ammortizzatori in deroga molte aziende, anche piccole, hanno comunque preferito non disperdere il patrimonio professionale di R.ETE. Imprese Italia Pagina4 R.ETE. Imprese Italia è l’Associazione che nasce nel maggio del 2010 come evoluzione del “Patto del Capranica”, stretto tra Casartigiani, CNA Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti. R.ETE. Imprese Italia ha quali obiettivi la promozione e il consolidamento delle imprese come componenti fondamentali del sistema economico e della società civile, e il riconoscimento del loro ruolo a tutti i livelli di interlocuzione istituzionale e privata. La Fondazione R.ETE. Imprese Italia intende promuovere i valori dell’impresa, del lavoro e dell’etica imprenditoriale nella società civile, per favorire una nuova e più forte integrazione sociale, culturale e politica degli imprenditori nel Paese e nei loro territori di riferimento. cui disponevano, anche per non farsi trovare impreparate (e meglio organizzate, nel frattempo) alla ripresa di vivacità della domanda. Il rinnovamento e l’ampliamento degli organici in molti contesti aziendali sono stati ovviamente rimandati, privilegiando piuttosto la ricerca di ulteriore qualificazione e upgrading dei gruppi professionali già presenti nelle aziende (giovani inclusi); si sta in altre parole cercando di ovviare al ritardo nello sviluppo della specializzazione del capitale umano attraverso una sorta di scambio reciproco tra dipendenti e aziende: ai primi si chiede una disponibilità ad accrescere le proprie competenze sviluppando la propensione a investire su sé stessi, in cambio di investimenti da parte delle aziende per modificare le impostazioni di lavoro nella direzione di una maggiore integrazione delle figure professionali più qualificate e del riconoscimento del loro valore. Il mondo della piccola e media impresa costituisce quindi un bacino naturale di sbocco per i giovani, che trovano in questa dimensione un luogo all’interno del quale iniziare il proprio percorso lavorativo, acquisire competenze e valorizzare il proprio talento. Il radicamento, la visibilità sul territorio e la prossimità delle piccole e medie imprese e dell’impresa diffusa facilitano l’assorbimento dei giovani, consentendo loro di poter avviare/riavviare la loro carriera lavorativa. In questi contesti, infatti, essi sembrano dimostrare segnali di vitalità e di voglia di iniziativa, lontani da quella logica di risorse “in (auto)parcheggio” con la quale vengono troppo spesso frettolosamente liquidati. La stabilità rappresenta dunque un asset fondamentale per favorire processi di accumulazione e di tutela di un patrimonio di conoscenza e di competenze difficilmente/facilmente replicabili. Si tratta di una necessità che naturalmente riguarda nello specifico in maniera più significativa i settori dell’artigianato e del terziario avanzato che poggiano su competenze ad alta specializzazione e di difficile replicabilità. Contatti Fondazione R.ETE. Imprese Italia Presidente Giuseppe De Rita Corso Vittorio Emanuele II 282-284 00186 Roma Telefono: 06-98378014 Fax: 06-68806761 E-mail: [email protected]