quaderno n. 01 - Provincia di Cuneo

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quaderno n. 01 - Provincia di Cuneo
PREFAZIONE
Abbiamo - dopo anni di dibattiti e di attesa - una nuova legge ”per il diritto al lavoro dei
disabili”. È segnata da inevitabili compromessi e limiti, ma la finalità è chiara: “la promozione
dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso
servizi di sostegno e di collocamento mirato”. Questa riforma si intreccia con quella del collocamento,
passato alla Provincia con lo scopo di diventare un vero servizio all’incontro tra domanda e offerta di
lavoro, di lettura dei bisogni occupazionali e formativi delle imprese, di orientamento e sostegno delle
persone. Inoltre grandi trasformazioni sono in corso nella scuola e nella formazione professionale.
Si stanno creando le condizioni per poter gestire e regolare in modo coordinato servizi
all’impiego, politiche attive del lavoro, formazione professionale e per raccordarsi sul territorio con i
servizi sociali, sanitari, educativi e formativi e con la cooperazione sociale. Le associazioni
imprenditoriali e le organizzazioni sindacali dei lavoratori sono chiamate ad un più forte
coinvolgimento. Certamente le leggi sono uno strumento importante per favorire ed allargare il
cambiamento, specialmente quando almeno in parte rispecchiano delle esperienze di risposta ai bisogni
espressi dalla società. Sappiamo bene però che le norme legislative, ma anche le disposizioni scritte nei
contratti, restano largamente inapplicate se non vi è lo sforzo quotidiano delle amministrazioni, dei
servizi, dell’associazionismo, degli operatori di incidere sulla cultura, di sviluppare buone pratiche, di
farle conoscerle e confrontarle. I corsi di formazione, i seminari, la presentazione dei progetti e dei loro
risultati, i coordinamenti locali o provinciali sono tutti strumenti utili che vanno utilizzati e tarati
sapendo che i processi di apprendimento e di miglioramento si basano sia su momenti formalizzati
d’aula sia sul continuo monitoraggio del proprio modo di operare, sul confronto delle esperienze e la
condivisione delle conoscenze.
La pubblicazione di alcuni quaderni rivolti a chi opera nei settori del lavoro e della formazione
professionale si propone di essere semplicemente uno dei mezzi per accompagnare le trasformazioni
legislative ed organizzative. Intende valorizzare in primo luogo l’impegno di studio, di analisi, di
descrizione di esperienze e di strumenti che è presente tra gli operatori stessi - pubblici e del privato
sociale - nell’associazionismo e nelle organizzazioni di rappresentanza.
Apre la serie di quaderni il lavoro di Flavio Zanini.
È un’ottima sintesi delle trasformazioni del lavoro, dalla produzione artigianale a quella fordista
di massa alla produzione snella.
Altrettanto agile e riuscita è la ricostruzione dell’esperienza di inserimento nel mondo scolastico e dei
cambiamenti normativi rispetto all’inserimento lavorativo. Di particolare utilità ci pare la rassegna dei
modelli di inserimento sperimentati a livello internazionale e l’analisi dei Servizi di inserimento
lavorativo in provincia di Cuneo, le modalità di intervento ed il ruolo educativo degli operatori quali
“operatori di mediazione.
Ogni capitolo si chiude con la descrizione di alcuni casi significativi di nuova organizzazione
aziendale, di inserimento di persone con handicap in azienda o in cooperativa.
È un approccio che ci pare particolarmente fecondo perché intende mettere insieme lo studio dei
modelli teorici ed il riscontro nelle esperienze.
Ma ci sono altri due atteggiamenti nella ricerca che riteniamo preziosi. L’uno è quello che evita
di contrapporre sterilmente un tipo di esperienza ad un altro, come troppo spesso succede, ad esempio
alla domanda se sia meglio l’inserimento in fabbrica o in cooperativa si risponde: meglio tutti e due.
L’altro è quel rovesciamento di prospettiva del quale abbiamo tanto bisogno per trovare
l’energia e la creatività necessaria ad affrontare e risolvere i problemi, ne è un esempio l’interrogativo
con il quale si apre il lavoro di Flavio: quanto può beneficiare un ambiente di lavoro dell’inserimento di
una persona con handicap intellettivo? Non significa saltare illusoriamente a pie’ pari le difficoltà, non
fare i conti con i vincoli economici, con le resistenze culturali, ma è provare a esaminare la realtà da
un’altra angolazione, lanciare una provocazione per far pensare, per aprire spazio alle intuizioni, alle
sensibilità. “Le menti migliori molto spesso - ci ammonisce Edward De Bono - rimangono intrappolate
nel pensiero negativo” “La provocazione - sostiene - ci costringe ad uscire dagli schermi percettivi
abituali”.
Di promuovere nuovi punti di vista e di percorre strade nuove ne abbiamo un gran bisogno per
uscire dall’obbligo, dall’imposizione, dall’assistenza.
Si tratta di far funzionare la commissione con le parti sociali e le associazioni dei disabili, le
commissioni di accertamento ed il comitato tecnico, di realizzare i profili socio-lavorativi e le diagnosi
funzionali, di sviluppare le convenzioni, di favorire la mobilità, di eliminare le barriere architettoniche,
di coinvolgere le cooperative sociali, di finalizzare meglio la formazione.
Ma va anche sviluppato il marketing della solidarietà: quel “porta a porta” che già in parte
compiono gli operatori degli inserimenti, il “premio di qualità solidale” avviato dal CIS su Alba-Bra,
un’informazione più continua e più incisiva sui giornali e sulle radio locali, ecc.
La tecnologia ha fatto tanti progressi e consentito ai disabili attività un tempo impensabili, deve
essere ancora sviluppata e devono essere conosciute le possibilità di adattamento dei posti di lavoro.
Coordinamenti locali e corsi di formazione per gli operatori dell’inserimento di diversa
appartenenza e utenza possono potenziare la rete locale, ma anche figure aziendali e sindacali possono
essere formate e risultare preziose per l’analisi dei posti di lavoro in vista degli inserimenti mirati.
Siamo chiamati tutti - ciascuno nel proprio ruolo, ma in dialogo e collaborazione con gli altri - ad
una nuova intensa fase di innovazione sociale e di impegno personale.
Dr Giovanni QUAGLIA
Antonio DEGIACOMI
Presidente della Provincia
Assessore al Lavoro e alla
Formazione Professionale
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Stranieri
della mente
Il mondo del lavoro
E le persone con handicap intellettivo
FLAVIO ZANINI
Tesi di diploma sostenuto presso
l’Azienda Sanitaria Locale N. 15 di Cuneo,
Scuola per Educatori Professionali,
nell’Anno Accademico 1998-99,
Relatore Mario Vercellotti
Si Ringraziano Mario VercellottiSociologo,
Presidente della Coop.Sociale Proposta 80
La ditta Gammastamp di Vercelli
La Coop C.I.L.S. di Cesena
La ditta Mareco Luce di Cesena
L’Associazione Nazionale Persone Down
La McDonald’s Fooditalia di Roma
e tutti coloro che in vari modi
hanno collaborato alla ricerca
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PRESENTAZIONE
Quanto può beneficiare un ambiente di lavoro dell'inserimento di una persona con handicap
intellettivo?
Questa è la prima domanda che mi sono posto in questa ricerca. Per tentare di dare una risposta, ho
dapprima analizzato il modello emergente in quella che è la più grossa industria del nostro secolo,
l'industria automobilistica. Mi sono poi addentrato nella specificità dell'inserimento lavorativo di
soggetti con particolari bisogni, la normativa che si è rinnovata dopo oltre trent'anni e il punto di vista
degli imprenditori. Ho descritto infine l'esperienza di alcuni SIL (Servizi di Inserimento Lavorativo),
fulcro di quella specifica attenzione di cui alcune persone necessitano.
Ho avuto occasione di contattare Enrico Montobbio, uno dei massimi esperti in Italia e nel mondo
di Inserimenti Lavorativi. Gli ho chiesto se c'erano elementi di scientificità nella sua affermazione di
recente pubblicata:
Sono da segnalare, in molte realtà italiane, esperienze di integrazione lavorativa che
attestano, in correlazione all'inserimento, una migliore attenzione all'integrità fisica,
cognitiva, emotiva e professionale (in altre parole del Sé), di tutti i componenti la
"squadra" e non solo del lavoratore disabile.
(E. Montobbio, Lavori in Corso, 1999).
Mi ha risposto che questa è una sensazione comune a molti operatori, ma che non esistono ricerche
specifiche.
Mi auguro, con un po’ di orgoglio nazionalista, che i giapponesi, avendoci insegnato un modo
nuovo di produrre automobili, avendo già condotto una ricerca sui benefici portati all'azienda in seguito
all'inserimento lavorativo di ex-tossicodipendenti, non ci precedano anche con una ricerca rivolta
all'inserimento di portatori di handicap intellettivo.
Ho collaborato, per un breve periodo, ad un progetto di inserimenti lavorativi; anche sulla base di
quest’esperienza prenderei in prestito una metafora usata per descrivere la nuova filosofia produttiva
denominata “pensiero snello".
Mi sembra che accompagnare una persona con problematiche intellettive, in un percorso
lavorativo, sia come intraprendere la navigazione nelle acque di un fiume nella stagione di secca.
Bisogna rimuovere gli scogli che qua e là affiorano per poter procedere. Ma, quando nel letto del fiume
ripulito dai grandi massi il livello dell'acqua sarà salito, forse anche le grandi imbarcazioni che mai
avevano percorso quel fiume potranno navigarlo sicure.
Preparando questa tesi, ho particolarmente presente le persone a cui rivolgo, nel Centro Diurno
della Comunità Papa Giovanni XXIII di Fossano, la mia attività di educatore. Persone che un tempo
lavoravano e che per l'insorgere di gravi problematiche psichiche hanno interrotto la loro attività, o
persone che non hanno mai lavorato in azienda perchè portatrici fin dalla nascita di insufficienza
intellettiva. Sono loro che mi insegnano, e credo insegnino anche ai miei colleghi, a conoscerci ed
apprezzarci, perchè usando le parole di Romano Madera :
Non sappiamo chi siamo. Qui la paura genera i suoi fantasmi protettivi: i lati indifesi,
infantili, emotivi, che nella incertezza si cominciano a muovere in noi, vengono
prontamente proiettati fuori di noi. Non possiamo voler vedere quello che ci è troppo
vicino, così vicino da essere noi stessi... L'inserimento degli stranieri della mente nel
mondo del calcolo del profitto è una tessera di un mosaico possibile. Ma il mosaico
possibile non parla solo o tanto di loro, suggerisce piuttosto l'immagine nostra, una
immagine salvata, perché integra e non mutilata, di noi stessi.
(R.Madera, Lavori in corso, 1999)
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CAPITOLO 1
IL LAVORO NELL’ERA INDUSTRIALE
Modelli di organizzazione aziendale e ruolo dei lavoratori
1. DAL LAVORO A DOMICILIO ALLA FABBRICA ACCENTRATA
La provincia di Cuneo costituisce un campo di osservazione privilegiato per analizzare il
mutamento dei criteri e delle tecniche di lavorazione durante l'Antico Regime . Un mutamento che, a
partire dalla fine del Seicento, colloca questa vasta area geografica al centro della produzione serica
piemontese, come hanno chiarito gli studi più recenti. In tale periodo, il repentino sviluppo in senso
industriale di questo settore segna il passaggio dalla lavorazione a domicilio, alla fabbrica accentrata.
Le ragioni di questo sviluppo sono molteplici. Esse sono riconducibili non solamente alle caratteristiche
del territorio agricolo, ricco di gelsi e percorso da una fitta rete di canali che potevano fornire l'energia
idraulica ai mulini da seta, ma anche alla possibilità di impiegare manodopera a basso costo
proveniente soprattutto dalle montagne.
Nel 1677 fu ultimata la costruzione del filatoio di Caraglio (Cuneo), dotato di mulini a ruota
idraulica, commissionato dal Conte Girolamo Galleani. L'edificio, rivolto in direzione della sontuosa
villa del Conte, ne richiamava le linee architettoniche con le sue torri angolari.
In questo edificio signorile, il più antico setificio conservatosi oggigiorno in Europa, venivano
concentrate quelle attività che portavano alla produzione del filo. Il lavoro con la seta era stato, fin dal
secolo xv, la naturale estensione del lavoro agricolo: a casa le donne dipanavano i bozzoli utilizzando
telai a mano. I nuovi torcitoi, mossi dalla spinta dell'acqua, si sostituiscono al lavoro di molte donne e
producono un risultato migliore rispetto a quello ottenuto dal lavoro manuale.
Quello riportato è un esempio di come l'utilizzo di macchinari più efficienti e specializzati porti ad
una concentrazione di manodopera in luoghi definiti, ad un progressivo passaggio dall'economia
agricola a quella industriale, modificando in sostanza il tessuto produttivo e sociale.
La tecnologia piemontese viene esportata anche all'estero. Lo sviluppo dell'industria serica in
Inghilterra s’intreccia con esperienze maturate in ambito cuneese. I fratelli Lombe, in seguito ad
un'azione di spionaggio industriale condotta in Piemonte, mettono in funzione a Darby, verso il 1720, il
primo setificio che utilizzava i torcitoi mossi ad acqua; una fabbrica gigantesca che occupava 300
operai.
(C. Bermond, Profilo di storia dell'industria Cuneese,1995)
Siamo nell'epoca che ufficialmente segna la nascita, in Inghilterra, della rivoluzione industriale.
L'introduzione dei nuovi macchinari che, utilizzando la forza idraulica o quella del vapore,
sostituiscono il lavoro di centinaia di persone non ha vita facile. I filatori del Lancashire cacciano
Hargreaves e le sue macchine per la filatura del cotone vengono fatte a pezzi dalla folla che teme di
restare senza lavoro; Earnshaw distrugge spontaneamente i suoi apparecchi per non nuocere alla povera
gente che vive lavorando sui vecchi fusi. Arkwright sviluppa il suo primo brevetto in segreto, destinato
ad avere grande successo, per non insospettire i filatori artigianali (A. Zischka, La guerra segreta per il
cotone,1935).
Il modo di lavorare tuttavia cambia radicalmente insieme al modificarsi della società. All'interno
delle fabbriche la separazione e la specializzazione delle occupazioni procedono incessantemente, si va
verso grandi raggruppamenti di forze e di capitali (E.Durkheim, La divisione del lavoro sociale,1902).
Tocqueville con severità annota: "a mano a mano che il principio della divisione del lavoro riceve
un'applicazione più completa...l'arte fa dei progressi, ma l'artigiano retrocede" (Tocqueville, La
Démocratie en Amerique,1835).
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La storia dell'industria è ultracentenaria ormai. Ma a quali modelli fa riferimento l'industria nella
società moderna? Come possiamo addentrarci tentando di capire i meccanismi che regolano le
dinamiche aziendali?
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2. L’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA,
CAPOSCUOLA DELL'INDUSTRIA MODERNA
L'invenzione del motore a scoppio trasformò radicalmente le caratteristiche dei mezzi di trasporto
dando impulso, alla fine del 1800, alla produzione di un nuovo prodotto: l'automobile.
Oggi la produzione automobilistica mondiale ha superato i 50 milioni di veicoli prodotti
annualmente, diventando la principale attività industriale del mondo, quella che Peter Drucker
soprannominò cinquant'anni fa "l'industria delle industrie"(P.Drucker , The concept of the Corporation,
1946).
Anche la Provincia di Cuneo nel secondo dopoguerra ha registrato un notevole sviluppo industriale
dell'indotto dell'auto, spinto dal vicino polo industriale torinese e dall'insediamento di una
multinazionale dei pneumatici.
L'industria automobilistica ha modificato per ben due volte, nel secolo, le teorie fondamentali sulla
fabbricazione ed è cambiato il modo di lavorare, influenzando in qualche misura il modo di pensare e di
vivere nella società.
Dopo la prima guerra mondiale, Henry Ford fondatore dell’omonima azienda e Alfred Sloan, della
General Motor, furono artefici del passaggio dell'industria dai secoli di produzione artigianale, di cui le
aziende europee erano state caposcuola, all'era della produzione di massa. A ciò si deve in gran parte il
successivo predominio degli Stati Uniti sulla scena economica mondiale.
Dopo la seconda guerra mondiale, Eiji Toyoda e Taiichi Ohno, della Toyota Motor Company, in
Giappone introdussero il concetto di “produzione snella”. L'ascesa economica del Giappone fino alla
sua attuale supremazia fu rapida.
(Womack, Jones, Roos. La macchina che ha cambiato il mondo,1991)
Inizialmente si ritenne che questo modo di lavorare non fosse esportabile, in quanto
indissolubilmente legato alla cultura giapponese, in realtà questo sistema si va diffondendo nel mondo,
in tutti i settori industriali e sensibilmente anche nel settore dei servizi. L'esperienza giapponese è
fondata sulla diversità di metodi e strumenti, e non su insormontabili differenza di mentalità, può
essere un utile stimolo a ricercare...vie di successo competitivo conformi alla nostra cultura e alla
nostra tradizione industriale (Giovanni Agnelli, prefazione op.cit.,1991).
Descrivere, nelle pagine che seguono, come si è sviluppato il modo di produrre le auto, è un utile
riferimento per capire quali sono i modelli di organizzazione aziendale predominanti e qual è,
all'interno di essi, il ruolo dei lavoratori.
2.1. La produzione artigianale
All'inizio del ventesimo secolo, centinaia di piccole aziende in Europa e nell'America del Nord
producevano automobili in piccole quantità con tecniche artigianali. Ogni automobile era un esemplare
unico, prodotto secondo i precisi desideri dei singoli acquirenti. I pezzi erano costruiti dai vari
appaltatori che utilizzavano calibri leggermente diversi uno dall'altro. Quindi venivano passati in forno
per temprarne la superficie in modo che potesse sopportare un uso intenso. Purtroppo, nel forno i pezzi
spesso si deformavano. Il compito dei montatori specializzati era di limare i pezzi fino a farli coincidere
partendo dal primo pezzo fino all'ultimo. Questo montaggio sequenziale faceva sì che veicoli costruiti
secondo il medesimo disegno potessero differire tra loro in modo significativo.
La forza lavoro era altamente specializzata in progettazione, lavorazioni meccaniche e montaggio.
La maggior parte dei lavoratori disponeva, dopo l'apprendistato, di un bagaglio completo di abilità
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tecniche manuali. Molti di loro potevano sperare di gestire un'officina meccanica in proprio, diventando
appaltatori delle aziende finali.
2.2. La produzione di massa
Henry Ford trovò il modo per superare i problemi della produzione artigianale. Le nuove tecniche
avrebbero ridotto i costi in modo sensibile e aumentato al tempo stesso la qualità del prodotto. Ford
chiamò questo suo sistema innovativo “produzione di massa”.
Il concetto chiave della produzione di massa non era la linea di montaggio in movimento, ma
l'intercambiabilità dei pezzi. Per ottenere questo risultato, Ford insistette con grande zelo sull'uso del
medesimo sistema di calibratura per ogni pezzo nel corso dell'intero processo produttivo; si avvalse
inoltre dei progressi segnati nel settore delle macchine utensili, capaci di lavorare metalli pretemprati.
La deformazione che avveniva durante la tempra dei pezzi lavorati era stata la rovina dei precedenti
tentativi di standardizzazione. I macchinari venivano progettati perchè eseguissero una sola operazione
e spesso venivano rottamati ad ogni rinnovo del modello .
L'intercambiabilità, la semplicità e la facilità di montaggio fornirono un enorme vantaggio sulla
concorrenza. Ford produsse per vent'anni un solo tipo di auto, il “modello T”. I crescenti quantitativi
prodotti favorivano un'economia di scala ed un conseguente abbattimento dei costi. Agli inizi degli anni
venti, quando la produzione annuale raggiunse il tetto di due milioni di automobili identiche, il prezzo
al consumo si era ridotto di due terzi. Ford balzò in testa all'industria automobilistica mondiale
eliminando la concorrenza delle aziende artigiane.
L'introduzione del “modello T” di Ford nel 1908 segnò il passaggio dalla produzione artigianale a
questa nuova filosofia produttiva. Il ciclo di lavoro del montatore, ossia il tempo necessario per portare
a termine tutte le operazioni prima di ricominciare da capo, era fino ad allora di quasi nove ore. Ford
decise di assegnare al montatore un'unica mansione e di farlo muovere da vettura a vettura nel reparto
di assemblaggio; il ciclo di lavoro scese a circa due minuti. Nel 1913, nel nuovo stabilimento di Detroit,
Ford introdusse la linea di montaggio in movimento, che faceva passare l'automobile davanti agli operai
fermi. Il ciclo di lavoro scese ulteriormente a poco più di un minuto.
Ford perfezionò il sistema in modo che si arrivasse all'intercambiabilità non solo del pezzo, ma
anche dell'operaio. Un'indagine del 1915 rivelava che i 7000 operai (unicamente maschi) dello
stabilimento di Detroit parlavano più di cinquanta idiomi e che molti sapevano a malapena l'inglese,
eppure riuscivano a fabbricare in collaborazione un prodotto complesso, portando agli estremi l'idea
della divisione del lavoro. L'operaio della linea di montaggio dello stabilimento Ford aveva un unico
compito molto semplice: non doveva capire ciò che l'operaio al suo fianco stava facendo; teneva la testa
china e pensava ad altro. Non doveva ordinare pezzi, procurarsi attrezzi, controllare la qualità del
lavoro, ciò spettava a nuove figure professionali che stavano sorgendo. Le imperfezioni venivano
individuate soltanto alla fine della linea di montaggio, dove interveniva un altro gruppo di operai: gli
addetti al ritocco, le cui capacità manuali erano paragonabili a quelle dei vecchi montatori.
Con questa parcellizzazione del lavoro, all'operaio bastavano pochi minuti di addestramento.
Oltretutto era tenuto continuamente sotto tensione dalla velocità della linea, che incalzava i lavoratori
lenti e rallentava quelli veloci. Il caporeparto era in grado d’individuare immediatamente ogni eventuale
rallentamento o mancata esecuzione del compito assegnato. In pratica gli operai alla linea di montaggio
finirono per essere intercambiabili esattamente come pezzi d'auto. La graduale introduzione
dell'automazione ridusse nel corso degli anni la richiesta dei montatori ed il ruolo del lavoro indiretto
divenne sempre più importante.
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Quando aprì lo stabilimento di Detroit, Henry Ford acquistava ancora una certa quantità di articoli
da altre aziende. Due anni dopo era sulla strada dell'integrazione verticale completa (possedeva
piantagioni di gomma, miniere di ferro e fabbricava autonomamente tutto ciò che è inerente
all'automobile, partendo dalle materie prime.); in tal modo realizzava pezzi con tolleranze più ridotte e
termini di consegna più ravvicinati di quanto non fosse pensabile sino ad allora. (Womack, Jones,
Roos. Op.cit.,1991)
La produzione di massa di Henry Ford fu il motore dell'industria automobilistica per oltre mezzo
secolo e venne adottata, alla fine, in quasi tutti i settori industriali nell'America del nord e in Europa.
Essa viene identificata spesso con il termine taylorismo perchè quanto realizzato da Ford è in sintonia
con i principi teorizzati da Taylor.
Al mutare del mercato, però, i suoi principi gestionali cominciarono a mostrare dei limiti; si andava
affermando dal Sol Levante una nuova filosofia industriale.
2.3. La produzione snella
Taiichi Ohno è considerato all'unanimità il padre del cosiddetto Sistema di produzione Toyota, cioè
di quella rivoluzionaria filosofia produttiva che prende il nome di “produzione snella”.
Ohno riceve il suo primo incarico di responsabilità nel 1945 quando la Toyota Motor Company era
un'entità assolutamente marginale nell'affollato mercato dell'auto, dominato dai giganti americani: il
numero di vetture prodotte complessivamente in trent’anni di attività non raggiungeva neppure la metà
di quelle sfornate in un solo giorno nello stabilimento Ford di Rouge. Ma, all'inizio degli anni Ottanta,
con i suoi 3 milioni e mezzo di veicoli gettati sul mercato, la Toyota collabora in modo consistente allo
storico sorpasso dell'industria giapponese su quella americana.
I grossi cambiamenti in atto nelle strategie dell'industria mondiale hanno un'origine ben definita: il
successo ottenuto dall'industria giapponese. Il mondo occidentale si è accorto che uno dei punti di forza
dell'industria nipponica non era più il basso costo della mano d’opera, ma una diversa visione della
strategia d'impresa.
2.3.1. Il mercato
La filosofia produttiva fordista era stata concepita secondo un modello aziendale che ragiona in
termini di illimitatezza del mercato, di infinita espandibilità della domanda. E che affida la diminuzione
dei costi alla crescita esponenziale della quantità di prodotti, così da poter ripartire le spese fisse su un
numero crescente di unità di prodotto. In un simile contesto, in cui si presuppone che l'unico limite si
collochi sul lato della produzione, è la fabbrica a fare il mercato decidendo estensione della domanda e
preferenze sul prodotto, e con esso proietta la sua egemonia sull'intera rete delle relazioni sociali. Il
"sistema Toyota", invece, si costituisce in condizioni di "mercato finito". Ohno è particolarmente
esplicito su questo punto: "il sistema Toyota", ci dice, è un sistema produttivo concepito per condizioni
di crescita lenta, o nulla.
E' una filosofia produttiva che ha riscoperto la concezione del limite. Erano queste, d'altra parte, le
condizioni nazionali del Giappone quando le basi della nuova filosofia produttiva furono poste: un
paese esattamente agli antipodi rispetto agli Stati Uniti, dal punto di vista geo-politico, privo del grande
respiro della "frontiera", e all'inverso costretto in spazi limitati, chiusi.
(M.Revelli, Lo spirito Toyota,1993)
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Il potere non sta più saldamente al vertice della catena produttiva. E' il cliente, posto esattamente al
capo opposto del processo lavorativo, con le sue volubili preferenze a sfidare tempi e scelte della
produzione, richiedendo un prodotto sempre più differenziato. C'è stato un tempo, all'inizio del
processo di motorizzazione degli Stati Uniti, in cui Ford, con un solo modello riusciva ad acquisire
oltre la metà del mercato. Oggi l'automobile più venduta sul mercato americano non arriva al 5 % della
domanda globale.
(Womack, Jones, Lean Thinking, 1997)
2.3.2. Le comunicazioni interne
L'anima del "sistema Toyota" è il sistema delle comunicazioni interne che rivela il ribaltamento di
prospettiva rispetto al modello fordista. In quest'ultimo, infatti, il flusso delle comunicazioni procedeva
linearmente dal vertice dell'impresa verso la periferia, secondo la catena gerarchico-burocratica,
attivando il processo lavorativo. Nel sistema Toyota, invece, la comunicazione procede esattamente al
contrario, da valle a monte, prendendo origine dai terminali a stretto contatto con il cliente, e
trasmettendosi sotto forma di domanda di pezzi o semilavorati, all'indietro lungo il ciclo lavorativo,
attraverso la tecnica semplice del Karban: il cartellino di richiesta che ogni stazione fa alla precedente
circa i materiali di cui necessita. (M. Revelli, prefazione op.cit.,1993)
2.3.3. Il just in time
Ciò che colpì particolarmente gli studiosi americani che visitarono negli anni '70 le fabbriche
giapponesi fu il grande ordine nelle cose e la pulizia degli ambienti. I reparti di queste fabbriche
sembravano privi di quelle quantità di materiali cui erano abituati nelle loro aziende, e cioè materie
prime, semilavorati e prodotti finiti.
In effetti nell'azienda occidentale tipica, la continuità del flusso lavorativo era ottenuta dislocando
nei principali punti di snodo tra le varie operazioni un numero consistente di pezzi di scorta, una sorta
di polmone che facesse respirare ad un ritmo unico il flusso di prodotto che attraversava la fabbrica da
un capo all'altro. I sistemi tayloristici basati sulla gestione dell'efficienza dei singoli operai erano giunti
al punto di incentivare la produzione indiscriminatamente lungo il processo anche a monte degli
inevitabili colli di bottiglia che si generavano. Ne derivava, che in una catena produttiva un operaio che
si trovasse con il suo collega a valle temporaneamente impossibilitato a smaltire i volumi da lui
prodotti, veniva comunque incentivato a produrre il più possibile.
E' il mercato che deve tirare la produzione, per questo i giapponesi dicono che "la Toyota fabbrica
prodotti che sono già venduti" mentre le industrie ferme al modello della produzione di massa
"fabbricano prodotti che eventualmente è possibile vendere" (T. Ohno, Spirito Toyota, 1993), ciò è vero
anche all'interno dell'azienda stessa, se si rappresentano i reparti stessi in una catena, nella quale i
reparti a valle sono i clienti. Ogni attività lavorativa deve essere alimentata in modo tale che ogni
particolare giunga alla stazione di lavorazione sulla catena di montaggio "al tempo giusto", senza
bisogno di essere immagazzinata in polmoni intermedi. Questo principio organizzativo è stato
battezzato dagli americani "just in time".
In termini di efficienza diventa importante non tanto ridurre il costo della singola operazione alla
macchina, ma diventa estremamente più importante ridurre il tempo che intercorre tra il momento in cui
il cliente dichiara una disponibilità ad avere un prodotto, fino al momento in cui il prodotto si consegna
nelle mani del cliente. Fondamentale è quindi il tempo di attraversamento (lean-time) del prodotto.
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Spesso, infatti, a fronte di poche ore di lavoro, il materiale permane in stabilimento per giorni,
settimane o addirittura mesi.
D'importanza strategica per la diversificazione del prodotto è la riduzione dei tempi di
riattrezzaggio dei macchinari (tempo di set-up). Ohno in questo fu un maestro, adottando soluzioni
tecniche, ad esempio, in grado di ridurre, da un'intera giornata a pochi minuti, i tempi di sostituzione
degli stampi delle presse.
Il just in time in sostanza punta a ridurre gli elevati costi di stoccaggio tipici della produzione di
serie, ed ottiene un ulteriore effetto di notevole importanza, il feed-back del cliente ritorna alla
produzione in tempi più rapidi, consentendo la correzione più tempestiva di eventuali anomalie del
prodotto e migliorandone di conseguenza la qualità.
Si può addirittura dire che il just in time riguarda, più che la singola azienda, l'intero processo
necessario per espletare un business, quel processo che parte dalle materie prime e arriva fino al cliente
finale, includendo anche i fornitori.
2.3.4. L'autoattivazione
La stessa responsabilità della gestione della qualità dei processi viene demandata agli operai,
affidando a loro il diritto-dovere di fermare tutto il processo a monte quando rilevano un difetto. Questo
principio organizzativo prende il nome di autoattivazione. Non sorprende che all'inizio della
sperimentazione la linea di assemblaggio continuasse a fermarsi e gli operai si scoraggiassero. Tuttavia
con la pratica dell'individuazione dei problemi e dell'identificazione della causa ultima, il numero degli
errori cominciò a diminuire sensibilmente. Oggi, negli stabilimenti della Toyota, dove qualsiasi operaio
può fermare la linea di montaggio, il rendimento si avvicina al 100 per cento. In altre parole, la linea
non si ferma praticamente mai. Nel modello organizzativo occidentale è diffusa invece la pratica di non
arrestare mai la catena di montaggio, neppure in presenza di errori evidenti, rinviando l'intervento su di
loro ad un momento successivo, al termine del ciclo lavorativo.
(Womack, Jones, Roos.,op.cit.,1991)
2.3.5. I cinque perchè
Il sistema Toyota è stato realizzato grazie all'applicazione e all'evoluzione di un principio
scientifico: chiedendosi cinque volte il perchè di una disfunzione e rispondendo a tali domande, si
possono individuare le cause reali di un problema, che spesso sono nascoste dietro i sintomi più
evidenti e ovvi di un cattivo funzionamento del processo produttivo.
Supponiamo ad esempio che una macchina si arresti:
1) Perchè la macchina si è fermata?
Perchè si è prodotto un sovraccarico ed è saltato il fusibile.
2) Perchè questo sovraccarico?
Perchè la lubrificazione dei cuscinetti è risultata insufficiente.
3) Perchè la lubrificazione è risultata insufficiente?
Perchè la pompa d'ingrassaggio non ha funzionato a sufficienza.
4) Perchè la pompa d'ingrassaggio non ha funzionato a sufficienza?
Perchè l'albero della pompa è stato danneggiato dalle vibrazioni.
5) Perchè questo danno?
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Perchè non c'è stato un filtraggio adeguato, e questo ha prodotto l'intrusione di un pezzetto di
metallo.
Ripetere a più riprese "perchè", come in questo esempio, può servire a individuare un problema e a
risolverlo. Al contrario senza seguire questa prassi, si sarebbe semplicemente provveduto alla
sostituzione del fusibile o alla riparazione dell'albero della pompa d'ingrassaggio. Così il problema reale
non sarebbe emerso e la disfunzione avrebbe continuato a verificarsi per diversi mesi.
(T. Ohno, op.cit.,1993)
2.3.6. L'organizzazione del personale
Mentre nel modello della produzione di massa si punta all'intercambiabilità dell'operaio come
garanzia di continuità del processo lavorativo, nel modello giapponese si assegna maggior autonomia
alle persone favorendone lo sviluppo professionale e le potenzialità, si creano le condizioni per una
maggior integrazione trasversale a tutti i livelli favorendo le relazioni non gerarchiche. Pensare che
"l'ingegnere" possa studiare soluzioni migliorative del processo lavorativo nel silenzio rarefatto del suo
ufficio, prescindendo dalla conoscenza diretta maturata da "l'operaio" sul luogo di lavoro è un peccato
di presunzione tanto grave quanto diffuso all'interno delle imprese occidentali.(Womack, Jones, op.cit.,
1997)
Una delle idee-forza del sistema Toyota è riassumibile nello slogan: "Non creare isole isolate".
Quando i lavoratori sono dispersi nell'officina, divisi tra loro da macchine e macchine, hanno
l'impressione di essere dei semplici numeri. Anche se una mansione può essere svolta da una persona
sola, è opportuno che intorno ad essa ruotino cinque o sei operai, in modo da permettere il lavoro di
squadra. Di conseguenza ad ogni operatore non verrà affidata una macchina sola ma più di una
macchina anche di tipo diverso. Creare un ambiente sensibile ai bisogni umani favorisce
l'ottimizzazione del personale e permette di "usare meno lavoratori". (T. Ohno, op.cit.,1993)
La carriera all'interno dell'azienda è vista innanzitutto come crescita del sapere, si riducono i livelli
gerarchici in seguito allo snellimento dei sistemi di controllo, mantenendo solo le posizioni gerarchiche
strettamente necessarie per contenuto decisionale e di responsabilità. Si snelliscono i processi di
comunicazione eliminando barriere e riducendo il numero dei passaggi, si permette ai singoli una
migliore comprensione degli obiettivi aziendali e di conseguenza una migliore identificazione con i
propri. (E.Auteri, Management delle risorse,1998)
Nel rapporto con i fornitori si punta all'individuazione di partner scelti non di volta in volta in base
al miglior prezzo d'offerta della fornitura quanto in base alla capacità di collaborare nel lungo periodo al
miglioramento della qualità rendendo i propri processi produttivi trasparenti ai compratori.
Il dipendente si arricchisce di professionalità acquisendo competenze utili all'azienda e riceve
incentivi alla fedeltà. Gli incentivi sull'efficienza invece non sono individuali ma di gruppo, generando
quindi una sensibilità dei singoli operai ai colli di bottiglia del reparto.
2.3.7. La ricerca della qualita'
Il taylorismo aveva generato il mito dell'One best way , decretando dall'alto l'unico modo ottimale
per svolgere ogni singola operazione, nella filosofia produttiva di Ohno, vale come principio il concetto
orientale di Kaizen, del miglioramento continuo. (M. Revelli, op.cit.,1993)
Componente essenziale per il funzionamento di questa strategia produttiva è il coinvolgimento
delle risorse umane dell'azienda. I risultati dimostrano che è più redditizio riuscire a generare molte
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piccole idee di miglioramento con l'apporto di tutti, che sviluppare alcuni grandi progetti da parte di
pochi. Uno studio effettuato dall'Università di Kyoto nel 1981 ha in effetti dimostrato che nell'industria
occidentale la conoscenza delle problematiche dei processi aziendali, rispetto alle aziende giapponesi, è
molto limitata già al di sotto dei primi livelli gerarchici. In occidente la progettazione di questi
cambiamenti e la decisione sul da farsi sono molto rapide, perchè demandate a pochi. I tempi di
realizzazione sono invece molto lunghi e la realizzazione incontra spesso molte resistenze.
Nell'azienda giapponese la progettazione e la decisione richiedono tempi più lunghi, in quanto sono
demandate a più persone. La realizzazione è invece più veloce in quanto trova più consenzienti coloro
che subiscono l'onere del cambiamento. (G. Merli, L'organizzazione industriale degli anni '90, 1987)
2.3.8. I circoli di qualità
I circoli di qualità sono l'aspetto più visibile di questa nuova filosofia produttiva che punta al
miglioramento continuo attraverso un maggior coinvolgimento dei lavoratori. Il circolo della qualità è
un gruppo di operai o impiegati, che si riunisce regolarmente e volontariamente in genere durante
l'orario di lavoro, normalmente retribuiti, per identificare, analizzare e risolvere problemi riguardanti la
propria area di lavoro.
I circoli sono nati storicamente nel secondo dopoguerra in Giappone, con il contributo di alcuni
esperti americani fu fatto uno sforzo per migliorare la qualità. Inizialmente erano diretti soprattutto
all'alta direzione, successivamente si rivolsero a livelli più bassi della gerarchia aziendale. Negli anni
80 i circoli hanno raggiunto il milione nel solo Giappone, si sono diffusi in tutto il mondo a partire
dagli Stati Uniti e sono presenti anche in Italia.
(B. Nicoletti, I circoli di qualità, 1992)
Gli obiettivi perseguibili dai circoli sono individuabili in un miglioramento delle comunicazioni,
particolarmente tra la base ed i capi, della professionalità e valorizzazione delle capacità degli
individui, ed un miglioramento della motivazione dei dipendenti attraverso il loro coinvolgimento nella
presa di decisioni operative.
Per molto tempo la divisione del lavoro in fabbrica si è basata, con successo, sul concetto di
separazione tra la programmazione e l'esecuzione. Per l’operaio, la spinta ad agire proveniva
essenzialmente dal salario. Del suo lavoro, all'azienda interessava solo l'aspetto pratico e manuale. Con
i circoli si sperimenta che anche l'esperienza e la creatività del lavoratore possono contribuire al
miglioramento aziendale.
2.3.9. La strategia complessiva: LA RIMOZIONE DELLE CAUSE
Il just in time e l'autoattivazione sono definiti da Ohno stesso come i "due pilastri" del sistema
Toyota. Si può rappresentare la rivoluzione strategica messa in atto dai giapponesi paragonando la
gestione della produzione alla navigazione nelle acque di un fiume. Gli scogli presenti sul fondo di
questo fiume rappresentano i problemi di produzione. Nell'approccio occidentale, tutti i rimedi praticati
per ovviare a questi problemi comportano di fatto la generazione di tante scorte (acqua) quante ne
servono per coprire completamente e abbondantemente le conseguenze di questi problemi (gli scogli).
La produzione di massa persegue l'efficienza innanzitutto ed, affinchè non si corra il rischio di
fermare la produzione, ad ogni nuovo problema emergente fa riscontro una richiesta di aumento delle
scorte, questa è la filosofia del rimedio.
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L'approccio opposto, si riassume nella filosofia della rimozione delle cause. Per migliorare
occorre infatti risolvere i problemi, quegli scogli che nella gestione tradizionale vengono accuratamente
coperti, devono essere ben visibili per poterli rimuovere. Riducendo progressivamente il livello
dell'acqua, come nella bassa marea, si evidenzia lo scoglio più alto del momento, il problema che
richiede di essere risolto.
Le scorte sono la droga della produzione, non ci fanno vedere i problemi e ci spingono a continui
aumenti di dose perchè non bastano mai.
In realtà, si afferma, è meglio un'ora di inattività che un'ora di produzione a magazzino. Un giorno
passato senza aver evidenziato un problema è infatti un giorno perso sulla strada del miglioramento
continuo. (G. Merli, op.cit., 1987)
Il just in time e l'autoattivazione, che implica la partecipazione dei dipendenti, si fondono in
un'unica strategia complessiva. Il just in time, quale collegamento diretto tra la produzione ed il
mercato, non sarebbe un fattore di business, ma il "suicidio" dell'impresa senza il coinvolgimento
diretto dei lavoratori. D'altra parte la partecipazione del lavoratore viene stimolata facendo emergere
progres-sivamente le disfunzioni con la riduzione sistematica delle scorte.
La pratica della riduzione delle scorte diventa quindi uno strumento di controllo gestionale diretto a
rendere "trasparente" il sistema della fabbrica.
2.3.10. Verso quale societa' ?
Quale trasformazione culturale prevede il passaggio dalla partecipazione economica la quale offre
vantaggi economici ai lavoratori senza che entrino nel merito dei criteri e delle scelte che presiedono al
suo funzionamento alla partecipazione culturale-organizzativa che non prevede vantaggi economici
dichiarati ai lavoratori ai quali si chiede di identificarsi con l'organizzazione dell'impresa ?
Il circolo di qualità nella sua forma più pura, sia pur minoritaria, cioè quell'ambito lavorativo nel
quale il lavoratore partecipa:
1 - volontariamente,
2 - indicando di sua iniziativa obiettivi da perseguire,
3 - non traendo alcun beneficio economico aggiuntivo,
è la risposta che viene dal Sol Levante all'egocentrismo che caratterizza la società occidentale,
indica forse il rifiuto a considerare l'interesse individuale come la molla universale di ogni attività della
persona, il rifiuto a considerare il profitto come l’unico scopo della vita ?
I circoli di qualità si diffondono nelle aziende che si pongono in analogo atteggiamento nei
confronti della collettività, ricercando cioè il bene comune, convinte che nel bene di tutti c'è anche il
bene individuale ?
Giorgio Merli, consulente della Alberto Galgano e Associati, la società che per prima ha
organizzato in Italia nel 1972 i primi corsi sui circoli di qualità, ritiene che questa filosofia produttiva si
orienti verso una visione etica dell'azienda più rispettosa dell'uomo. La logica imprenditoriale, afferma,
non è quella del "massimo profitto" che porta inevitabilmente allo sfruttamento dell'uomo nei tre ruoli
di cliente, fornitore, dipendente ma quella della sopravvivenza, cioè il raggiungimento di livelli
occupazionali consolidati.
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(G. Merli, op.cit., 1987)
L'economista Schumpeter sostenne che nell'economia moderna caratterizzata dal cambiamento e
dell'innovazione, il profitto, diversamente da quello che riteneva la teoria marxiana, non è un plusvalore
sottratto ai lavoratori, in quanto l'innovazione è anche una "distruzione creativa" che rende obsoleti gli
impianti e gli investimenti del passato. Quanto più un sistema economico progredisce, tanto più avrà
bisogno di capitali per salvaguardare l'occupazione attuale e creare quella del futuro. (P.Drucker,
Frontiere del Management,1987)
Il capitalismo con Schumpeter , nella misura in cui il profitto viene reinvestito per creare
occupazione, riacquista una sua moralità.
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3. RIFERIMENTI ALLA REALTA' LOCALE ED ITALIANA
In Italia la discussione sul modello produttivo giapponese è giunta tardi, all'inizio degli anni
Novanta, sull'onda dell'attenzione sollevata dall'intervento di Cesare Romiti alla Convention di
Marentino del 1989. In quell'occasione , in un discorso drammatico, l'amministratore della Fiat
riconobbe esplicitamente la superiorità indiscutibile del sistema di produzione giapponese ed il rischio
imminente di finire fuori mercato. In quel contesto fu presentata in via riservata, ad un ristretto numero
di dirigenti del gruppo, una serie di dati decisamente inquietanti, relativi alla qualità del prodotto Fiat:
un grado di difettosità più che doppio rispetto alle auto giapponesi. Questa conclusione era tanto più
significativa in quanto giungeva al termine di una lunga fase di innovazione tecnologica. Nello
stabilimento Fiat di Cassino, ad esempio, a livelli di automazione e robotizzazione più elevati del
mondo, la difettosità di processo raggiunge livelli record. Era la fine dell'illusione che il fordismo fosse
riformabile dall'interno, per via tecnologica.(M. Revelli, op.cit., 1993)
La fabbrica integrata è la risposta data dalla Fiat Auto alle esigenze competitive di questi anni. Per
queste ragioni nel nuovo stabilimento di Melfi è stato riprogettato il sistema tecnologico, intenzionati
ad andare nella direzione di quella che si potrebbe chiamare lean technology, una tecnologia capace di
integrarsi con l'attività umana, a cui unicamente può essere demandata la responsabilità del
miglioramento continuo. Occorreva cioè agire sviluppando coinvolgimento, motivazione e
responsabilizzazione a tutti i livelli. (Fiat Auto, Fabbrica Integrata, 1999)
Nella Provincia di Cuneo lo stabilimento Michelin sorto a Cuneo nel 1963 e successivamente a
Fossano è l'azienda con il maggior numero di dipendenti. Già alla fine degli anni '80, primo
stabilimento pilota della multinazionale francese, cercò di introdurre i principi della produzione snella,
istituendo corsi di formazione del personale.
Luigi, da oltre vent'anni impiegato all'ufficio tecnico, mi dice che dopo il tentativo iniziale alcune
cose sono tornate come prima. Sono stati aboliti i cartellini Karban ed i cartelloni Cedac: strumenti
volti a migliorare la visibilità del processo in tempo reale. Altri cambiamenti si sono invece consolidati.
E' stato abolito un livello gerarchico, sono rimasti i gruppi di lavoro che operano su obiettivi dati dalla
direzione senza premi aggiuntivi. Fa parte della tradizione dell'azienda che il singolo operaio possa
anche proporre dei suggerimenti e venir premiato economicamente, se si dimostrano efficaci. In
complesso si può dire che è aumentata la partecipazione e la comunicazione.
Cristiano ha avuto recentemente un'esperienza nel controllo del processo lavorativo per la
certificazione della qualità secondo i criteri ISO9000. Il mio mandato, sostiene , si scontrava con gli
obiettivi dei capisquadra e non era chiaro quale linea dovesse prevalere. I capisquadra consideravano
prioritario che la merce venisse spedita in serata, io invece sollecitando l'operaio ad autoattivarsi,
sospendendo la produzione quando fosse necessario ai fini del miglioramento della qualità.
Cristiano dopo alcuni mesi ha preferito cambiare lavoro. La sua testimonianza ci conferma che le
due filosofie produttive sono tra loro controintuitive, partono da principi diversi e si negano
reciprocamente. Il passaggio da un modello all'altro nasce di solito da uno stato di necessità e comporta
inizialmente un salto nel buio. Può risultare pericoloso soffermarsi a metà del guado senza fare delle
scelte precise.
Il Dr.Bertolino responsabile dell'Ufficio Sindacale dell'Unione Industriale di Cuneo, al quale ho
chiesto alcune impressioni, ritiene che il sistema di relazioni industriali in Provincia di Cuneo non
abbia fatto un grosso salto di qualità nella direzione della partecipazione. La radice contadina, non
crede agevoli l'identificazione del dipendente con l'organizzazione aziendale, il capo poi, fa fatica a
partecipare le sue conoscenze, forse per paura di perdere il potere. In questo contesto non stupisce che i
circoli di qualità siano una realtà poco diffusa in Provincia.
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FESTA DELLA QUALITA' - Gammastamp di Vercelli
Bianzè, un paesino di 2000 anime immerso nella campagna Vercellese: alle quattro del pomeriggio la
gente vestita a festa comincia ad accalcarsi presso il campo sportivo dove è stato montato un capiente
padiglione. Sopraggiunge un pullman polacco e scendono i passeggeri, di lì a poco verrà consentito
l'ingresso alle persone, circa 800 in possesso di invito. Musica di sottofondo, gli invitati prendono
spontaneamente posto ai tavoli. Qui si celebra la tredicesima festa della qualità della ditta
Gammastamp, ideata da Tiziana, moglie del titolare Vittorio Audisio.
L'azienda, che produce prevalentemente componentistica per automobili, ha 1250 dipendenti, metà
dei quali sono nella sede principale di Bianzè. Sono il quadruplo di dieci anni fa, grazie anche
all'apertura di nuovi stabilimenti in Brasile, Polonia e Stati Uniti; in occasione della festa annuale
vengono partecipati a tutti loro i risultati raggiunti nell'anno trascorso ed i nuovi obiettivi per il futuro.
La strada del miglioramento continuo quest'anno passa per il rispetto dell'ambiente come bene
prezioso da consegnare integro ai nostri figli. La filosofia di fondo è semplice, per avere un ambiente
pulito basta non sporcarlo. Ci si può accorgere, dopo 17.000 ore di formazione del personale su questo
tema e dopo aver investito capitali in attrezzature specifiche, di aver realizzato anche consistenti
risparmi per l'azienda. Il risultato più eclatante viene dal miglior utilizzo delle risorse idriche nel
processo produttivo. Il trattamento di tutte le acque reflue utilizzate nella lavorazione dei metalli ha
permesso il recupero delle soluzioni chimiche reimpiegabili nel processo produttivo ed il riutilizzo
dell'acqua a circuito chiuso. Scarichi ridotti a zero, prelievi dai pozzi diminuiti conseguentemente
rispetto all'anno precedente, hanno prodotto un risparmio di 39.000 metri cubi d'acqua, equivalenti al
fabbisogno di 6.400 persone (che consumino giornalmente 100 litri ciascuno). Con lo sviluppo dei
supporti informatici poi si sono risparmiati quest'anno 2000 Km. di fogli di carta. Altri risultati relativi
alla tutela dell'aria, del suolo (riduzione dei rifiuti), del rumore hanno permesso all'azienda di essere il
primo stabilimento in Europa con trattamenti galvanici (cromatura, zincatura) ad essere certificata
ISO14001. L'azienda è poi inserita a livello europeo in grossi progetti di ricerca per la riduzione degli
agenti inquinanti (refrigeranti, olii....), il progetto principale partirà a gennaio e si propone di
raggiungere l'obiettivo dello stampaggio a secco.
Alcuni dirigenti e consulenti si alternano sul palco, intervallati da proiezioni video di grande effetto
scenico, semplici concetti si dipanano sul video, una parola alla volta, mentre scorrono immagini e
musica. Un cliente della ditta Kiekert fornitrice di BMW, Mercedes, Audi, riconosce alla Gammastamp
di essere un partner molto competente, capace di seguire le esigenze della sua ditta e di soddisfarle.
L'ultimo a prendere la parola è Audisio che chiede di accendere le luci per vederci in faccia. Non
conosco più tutti. Chi fa la fabbrica sono gli uomini, il core-business dell'azienda non è il prodotto
leader, come solitamente si ritiene, ma il nostro mestiere. Se sto già firmando gli investimenti del 2001
è perchè investo in ciò che impariamo a fare e che nessuno ci potrà portare via, non nel prodotto.
Rimaniamo così effervescenti e saremo sempre vincenti.
Terminato il discorso i camerieri ci portano un buffet freddo. Seduto accanto a me un dipendente
che si occupa insieme a due colleghi delle pulizie nell'azienda. Tanti lo criticano, mi dice riferendosi ad
Audisio, ma io penso che sia una brava persona. Se non ci fosse lui tutto questo non ci sarebbe. Sono
stato a casa sua a cena e mi ha suonato il saxofono, a me piace la musica e lui suona molto bene. Vedi
quel signore là (lo vedo e mi ricorda lo scomparso Aldo Fabrizi) non è un dipendente ma il batterista
della sua band.
Una signora, già di una certa età, passa tra i tavoli soffermandosi a parlare. Lavora nell'infermeria
dell'azienda, ci ha visti nascere tutti. Ha tanto lavoro? Parecchio, ogni sei mesi ci facciamo tutti una
visita completa. Un giovane con il bicchiere colmo di vino percorre barcollando il corridoio centrale
seguito discretamente dalle guardie private addette alla sicurezza. Quello domani lo licenziano esclama
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un mio vicino ridendo. Un uomo si sofferma a parlare con i miei compagni di tavola che fan parte del
reparto di magazzino. E' un autotrasportatore, comprò il primo camion da Audisio, adesso ne ha
quaranta e continua a lavorare per lui.
Nella vostra azienda ci sono i circoli di qualità? Nel reparto magazzino no, ma negli altri reparti
ci sono. Nel reparto magazzino dove sono impiegati 26 dipendenti, la merce spesso non si ferma più di
un giorno. Anche la Fiat che una volta ci chiedeva di tenere scorte di prodotti e di rinnovarle ogni due
mesi per evitarne l'invecchiamento, ora non ne richiede più.
La festa si conclude con l'estrazione per i dipendenti di televisori, biciclette ed un'automobile.
Viene consegnato il trofeo qualità, che per la prima volta esce dai confini nazionali diretto verso la
Polonia. I dirigenti salgono sul palco insieme a Vittorio Audisio per un saluto. Un'ovazione, che
giurerei essere sincera, si leva all'indirizzo del direttore dello stabilimento italiano, Bruno Lazzaron,
braccio destro di Audisio. E' del nostro paese! Sembra giustificarsi un mio compagno di tavola.
Fuochi d'artificio virtuali si accendono sul maxischermo, anticipo dei festeggiamenti di nuovo
millenio. Mi scopro meravigliato di questa esperienza ed un po' frastornato. Forse, mi suggerisce una
colonna sonora della serata, questo è l'ombelico del mondo.
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CAPITOLO 2
LA PERSONA CON HANDICAP NEL MONDO DEL LAVORO
1. IL SIGNIFICATO DI UNA PRESENZA
1.1. L'esperienza scolastica
E' il compleanno di mio figlio affidatario, portatore di handicap psico-fisico, che da pochi giorni ha
cominciato la prima elementare. Decido di andarlo a prendere in macchina all'uscita della scuola.
Quando arrivo si sta già dirigendo verso lo scuola-bus, non vuole venire con me - lo immaginavo! Chiede di andare con i suoi compagni di scuola sul pulmino. Mi intrattengo allora con l'insegnante di
sostegno, ci scambiamo le prime impressioni e visitiamo i locali della scuola. Mi soffermo nell'aula
della psicomotricità e vengo a conoscenza che quest'aula è stata richiesta dall'insegnante di sostegno sei
anni fa avendo presente le esigenze del bimbo da lei seguito, ma oggi viene utilizzata dagli alunni di
tutti le classi. E' un luogo importante che permette di svolgere attività ludico-espressive e teatrali.
Mi trovo a pensare come quest'aula, che dà l'occasione di esercitare capacità altrimenti inespresse,
sia il segno concreto di un cambiamento di cui tutti beneficiano, ma che nasce dall'attenzione a chi ha
particolari bisogni.
Indubbiamente in Italia l'integrazione scolastica delle persone in situazione di handicap è
all'avanguardia rispetto all'integrazione lavorativa e sociale. Il nostro Paese ha avviato e consolidato
un'esperienza unica nel suo genere a livello internazionale: l'integrazione scolastica degli alunni e delle
alunne in situazione di handicap. Dalle poche decine di bambini e di bambine inserite nei primi anni '70
nelle classi normali, siamo passati, nella scuola dell'obbligo, ad una realtà diffusa in modo capillare in
tutta Italia. I dati ministeriali relativi all'anno scolastico 1998-99, indicano la cifra di oltre 117 mila
allievi e allieve in situazione di handicap frequentanti le classi comuni delle scuole di ogni ordine e
grado (Ministero della Pubblica Istruzione, Osservatorio permanente per l'integrazione scolastica delle
persone in situazione di Handicap,1999).
Una serie di ricerche e di esperienze mettono in rilievo i benefici dell'integrazione scolastica per gli
stessi compagni di classe, e in genere anche sul sistema della scuola. L'integrazione, ben condotta, fa
bene all'alunno con handicap, ai compagni, a tutta la scuola. Quando sono educati dagli adulti, i
compagni di classe possono imparare a capire, rispettare gli altri, essere sensibili ed abituarsi alle
differenze; possono imparare ad interagire, comunicare, instaurare amicizie, lavorare insieme ed
aiutarsi a vicenda sulla base delle loro potenzialità e dei loro bisogni individuali.
Ma vi è un "effetto circolare" positivo anche a livello di organizzazione della scuola e dei metodi
degli insegnanti: come afferma un importante documento del 1975 (Documento "Falcucci"), "un nuovo
modo di essere della scuola è la condizione della piena integrazione scolastica", ma l'esperienza
migliore ha dimostrato che l'integrazione può essere l'occasione per l'innovazione della scuola stessa a
vantaggio di tutti. La scuola può diventare un'opportunità di formazione e di evoluzione della qualità
degli apprendimenti stessi, e l'handicap una risorsa per fare scuola. (P. Rollero, Prospettive
assistenziali, 1998)
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1.2. L'agente del cambiamento
Vi sono molteplici fini che legittimano le politiche di sostegno all'inserimento lavorativo dei
soggetti svantaggiati così sintetizzabili:
- I diritti generali della collettività di cui ogni cittadino fa parte, che includono anche il diritto al lavoro
sancito dalla Costituzione.
- La "terapeuticità" del lavoro come via di promozione del benessere individuale.
- L'efficienza allocativa delle risorse sociali ovvero i minori costi di queste politiche rispetto ai costi
dell'assistenza.
Non intendo approfondire questi aspetti, ma riflettere piuttosto su come le persone in situazione di
handicap possano modificare l'ambiente di lavoro, sviluppando una preziosa rete di rapporti umani tra
tutte le persone occupate nell'azienda. Ritengo importante affrontare questo aspetto rileggendo anche le
linee di sviluppo dell'industria descritte nel capitolo precedente. Porsi in quest’ottica richiede un salto
culturale rilevante e non so quanto ne sarò capace. Consideriamo infatti che lo stato attuale
dell'integrazione lavorativa dei portatori di handicap non può vantare, al pari dell'ambito scolastico, una
diffusione capillare e consolidata. Sono però convinto che una piena integrazione dei soggetti con
handicap nel mondo del lavoro non può prescindere dal percorrere questa strada. Quale può essere
l'accettabilità di un simile approccio nell'attuale scenario che impone alle organizzazioni di esser
"snella", "downsized", "piatta", "veloce", altamente efficiente e altamente efficace? E' legittimo che
professionisti del soggettivo e operatori dei processi di inserimento sociale si interroghino sulle regole, i
comportamenti, gli adattamenti, il clima, le richieste del sistema produttivo.
Facendo riferimento alle tendenze emergenti dell'industria moderna, possiamo fare una prima
considerazione. Paradossalmente, in un modello di produzione perseguito per eliminare i lavoratori dal
processo produttivo, emerge prepotentemente la centralità della persona nell'organizzazione. Emerge la
centralità del patrimonio cognitivo, affettivo, sociale e motivazionale delle persone, come fattore chiave
che può perdere o salvare un processo produttivo, realizzato operativamente da titaniche macchine
automatiche e da computer. Sembra veramente la fine di una forma di cooperazione estrinseca in cui
gli uomini devono inserirsi in uno schema razionale come parti di ricambio. Se il lavoro si sposta da
"fuori" la persona a "dentro", allora diventa essenziale preoccuparsi della varietà delle persone, dei loro
bisogni, delle loro capacità mutevoli e della qualità della loro vita lavorativa.
Negli ultimi anni abbiamo visto travolti (dal cambiamento del sistema produttivo, dall'evoluzione
tecnologica, dalla crisi istituzionale) prima metalmeccanici abilissimi, fonditori esperti, progettisti
meccanici ingegnosi, e poi anche manager rampantissimi, pubblici amministratori inossidabili, politici
potentissimi, intellettuali indiscutibili. E' così profonda la crisi che stiamo vivendo che i problemi dei
disabili sono simili a quelli di una quantità di persone. E' legittimo pensare che "nessuno è al sicuro".
(F. Butera, Lavoro e fasce deboli, 1993)
Nell'impresa si afferma sempre più il paradigma concettuale della learning organisation, di
un'azienda, cioè, che fa dell'apprendimento un suo punto di forza, che sopravvive e si sviluppa
investendo una buona dose di creatività e cambiando abitudini consolidate. Uno dei moti preferiti da
Taiichi Ohno era : "Il buonsenso è sempre sbagliato". Egli vedeva la sua vita come un ribaltamento
dell'opinione comune e una ricerca della strada migliore. Le sue idee erano spesso controintuitive e
difficili da accettare, finché non venivano sperimentate in prima persona. Egli rappresentò l'instancabile
"agente del cambiamento", il suo temperamento e la profonda convinzione che "l'opinione comune"
fosse sbagliata, lo portarono a frequenti scontri con la maggior parte dei suoi colleghi e dei suoi operai.
(Womack, Jones., op.cit., 1996)
Talvolta anche il disabile è vissuto come perturbante dal sistema produttivo non tanto perché
incapace di adeguarsi alle richieste produttive, ma come possibile minaccia all'integrità dei
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compromessi che regolano l'organizzazione. Un poetico esempio di quanto l'organizzazione produttiva
tenda a difendersi dalla diversità ce l’ha offerto Maurizio Nichetti nella parte iniziale del suo film
"Ratataplan". Il film inizia con una selezione aziendale alla quale partecipano numerosi giovani
elegantemente vestiti. A loro viene proposto un famoso test proiettivo che consiste nel disegnare un
albero. Alla fine del lavoro tutti gli alberi disegnati risultano estremamente poveri, rinsecchiti, senza
foglie e radici. Tutti rigorosamente disegnati in bianco e nero ed uguali tra di loro. Solo il protagonista
presenta il disegno di un albero molto colorato con foglie e frutti e forti radici. Un disegno ottimista e
creativo. Naturalmente alla fine verranno tutti assunti escluso il nostro povero protagonista
evidentemente troppo creativo e quindi "pericoloso" per le regole di quell'azienda
(Lepri e Montobbio, Lavoro e fasce deboli,1993)
Alcuni filosofi sostengono che la società attuale si caratterizza per una sorta di pubblica
indifferenza, dove le emozioni e gli affetti sono sempre meno reperibili ed esprimibili e, quando
esistono, sono rinchiusi fra le mura di casa. L'handicappato intellettivo inevitabilmente rappresenta un
instancabile "agente del cambiamento", dotato spesso di un'affettività talmente intensa da costringere
gli altri a giocarsi la propria, talvolta con ferite interiori che riconducono all'essenziale. A questo
proposito la titolare di una grossa azienda artigiana mi raccontò che al termine di una giornata una
dipendente venne nel suo ufficio. Si lamentò di essere stata abbinata quel giorno, nel lavoro, ad una
donna con problemi psichici. Riteneva si trattasse di un atto di svalutazione nei suoi confronti,
nonostante questa donna non le avesse dato nessun tipo di problema. La titolare resse il confronto,
facendo emergere una complessa problematica personale che affliggeva questa dipendente, finora
sempre taciuta.
La filosofia produttiva fondata sulla "rimozione delle cause" è controintuitiva per sua natura e
chiede di essere sperimentata per dimostrare la sua efficacia. Essa contrariamente alla filosofia del
"rimedio" che è congenita alla produzione di massa, considera la partecipazione dell'operaio una risorsa
per l'azienda e non un elemento generatore di caos, anche quando la partecipazione effettiva implica il
diritto-dovere dell'operaio di fermare il processo produttivo.
La filosofia della "rimozione delle cause" chiede di considerare ogni problema che sorge nel
processo produttivo al fine di individuarne le cause reali e risolverlo, senza accontentarsi di una prima
risposta superficiale ma domandandosi, come insegnava Ohno, cinque volte il perchè. Obbliga in certi
casi a rimandare obiettivi prefissati (il camion che deve partire la sera carico di merce), obiettivi magari
consolidati nel tempo e ritenuti garanzia di buon funzionamento.
L'insufficiente mentale è inevitabilmente "agente di cambiamento" perché, incagliandosi sugli
interventi più complessi nel processo produttivo, sui passaggi comunicativi meno espliciti, richiede
linearità e chiarezza.
Oliver Sacks, il celebre neuropsichiatra, si domandava che cos'è quella qualità mentale, quella
disposizione che caratterizza i semplici e dà loro quella commovente innocenza, quella trasparenza,
completezza e dignità...? Se dovessimo racchiudere tutto ciò in una sola parola, questa sarebbe
concretezza: il loro mondo è vivido, inteso, ricco di particolari, eppure semplice, proprio perché
concreto e non complicato...Essi non conoscono l'astratto, non ne sono mai stati sedotti, ma vivono la
realtà in modo diretto e immediato, con un'intensità elementare e, a volte, soverchiante.
(O. Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello,1986).
La semplicità è una qualità degli individui che spesso viene sottovalutata, salvo poi accorgersi che
tutte le idee più innovative hanno la caratteristica della semplicità.
Alla giornalista che domandava a Vittorio Audisio, titolare della Gammastamp, il segreto del suo
successo in piena crisi economica e, soprattutto in piena crisi dell'auto, Audisio rispondeva che il
segreto è sempre nella semplicità (L.Saibene, Famiglia Cristiana, n.4 1994).
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Importanti multinazionali americane ed europee stanno promuovendo l'utilizzo in larga scala, nelle
proprie unità produttive, della gestione a vista (Visual Control System), che svolge un ruolo molto
importante negli aspetti operativi del “just in time”: il ricorso a questi sistemi sta diventando sempre più
generalizzato, benchè si avverta un certo "pudore" legato al fatto che la gestione a vista, non
prevedendo sofisticati supporti informatici, risulta molto semplice e poco "tecnologica". (G. Merli,
op.cit., 1987).
Il malato mentale, è inevitabilmente "agente di cambiamento", anche nella sua imprevedibilità,
quando costringe i colleghi a far gioco di squadra esercitandosi in quello che Ohno chiamava il
“passaggio del testimone”.
Il padre del sistema Toyota, Ohno Taiichi, insegnava che bisogna procedere prima
all'ottimizzazione del lavoro umano, che al miglioramento nell'attrezzatura, e che, se s’interviene prima
sull'attrezzatura, pur migliorandola, i costi non possono che salire, e certamente non scenderanno.
L'ottimizzazione del lavoro passa attraverso la condivisione delle mansioni all'interno della "squadra"
di lavoro, per cui se in un reparto si trovano ad esempio cinque macchine ed altrettanti operai, non
bisogna assegnare ad ogni operaio una macchina, ma far ruotare gli operai su tutte le macchine. L'area
di lavoro, per analogia con il mondo dello sport, diventa la zona di passaggio del testimone, testimone
che ci si scambia ogniqualvolta un lavoratore collocato a "valle" per qualsiasi motivo è in ritardo.
L'applicazione di questo principio porta ad una riduzione consistente degli sprechi in termini di risorse
umane.(T. Ohno, op.cit.,1993).
Le piccole aziende che con la legge 68 ricadono nella quota d’obbligo, ricordava il Dott. Bertolino
in rappresentanza dell’Unione Industriale di Cuneo (Convegno “Nuove opportunità per l'inserimento
lavorativo dei disabili”, 1999), nel momento in cui un dipendente dà le dimissioni, possono essere
costrette a sostituirlo con due persone, il lavoratore handicappato ed un altro lavoratore che supplisca
alla minore produttività dell’handicappato rispetto al lavoratore fuoriuscito, portandosi in tal modo
fuori mercato. Ma un’azienda si pone già fuori mercato, nel contesto attuale, se applica il principio
dell’intercambiabilità dell’operaio. Un’azienda che non dispone la rotazione delle mansioni all’interno
di “squadre”, non ottimizza il lavoro dei propri dipendenti e non fa fronte alla richiesta di flessibilità
esterna data dal mercato e a quella interna data dal turn over dei dipendenti.
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2. LA NORMATIVA
2.1. Il contesto normativo
Fin. dal secondo dopoguerra, in Italia, la Costituzione Italiana ha riconosciuto il diritto al
lavoro, promuovendone le condizioni che lo rendano effettivo e ha sancito il dovere per ogni cittadino a
concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 3, 4, 38). Ad essa si deve l’affermazione
esplicita di principi generali di diritto al lavoro, all’istruzione e all’avviamento professionale e alla
parità di dignità sociale di tutti i cittadini. “...Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e
all’avviamento professionale...” (art. 38, Costituzione italiana).
Nonostante però la Costituzione non operasse distinzioni tra i cittadini, né suddividesse gli
invalidi in sottogruppi, per lunghi anni la legislazione sociale ha continuato a svilupparsi secondo un
criterio di rigida categorizzazione. Basti ricordare le leggi sull’avviamento al lavoro per alcune
categorie:
· mutilati ed invalidi del lavoro ( decreto del capo dello stato 1222 del 1947 e legge 851 del
1966;
· privi della vista (legge 595 del 1957; legge 778 del 1960; legge 155 del 1965; legge 231 del
1967);
· sordomuti (legge 308 del 1958);
· ex tubercolotici (legge 35 del 1953);
· mutilati ed invalidi civili ( legge 1539 del 1962)
Soltanto con la legge del 2 aprile 1968 n° 482 sul collocamento obbligatorio è stato realizzato il
proposito di coordinare in un unico testo la materia disarticolata e lacunosa dei provvedimenti in
vigore. Questa legge individua sette categorie di lavoratori per le quali istituisce una corsia
preferenziale di accesso all’occupazione mediante l’obbligo ingiunto alle aziende pubbliche e private
con più di 35 dipendenti di assumere il 15 % del personale attingendo fra i lavoratori appartenenti a
queste categorie protette (L.N. 482 02.04.68, art. 11).
La prima pietra miliare nel percorso di integrazione, per quanto riguarda i principi generali, è stata
posta nel 1971 dall’O.N.U. con la “Dichiarazione dei Diritti degli Insufficienti Mentali” che all’Art. 1
recita: “l’handicappato mentale deve, nella maggior misura possibile, beneficiare dei diritti
fondamentali dell’uomo, alla stregua degli altri esseri umani.” e all’art. 3:
“ l’handicappato mentale ha diritto alla sicurezza economica e a un tenore di vita dignitoso. Egli
ha diritto a svolgere, nella maggiore misura delle sue possibilità, un lavoro produttivo e a esercitare
una qualche occupazione utile. “ (L. Carucci, Handicap e riabilitazione, 1987 ).
Questo documento ha rappresentato un punto significativo d’arrivo del pensiero sociale,
scientifico e morale del nostro tempo, fugando ogni possibile confusione o equivoco sulla natura
dell’uomo e i suoi valori.
In Europa i piani C.E.E. negli anni ‘70 hanno poi attuato con leggi particolari le indicazioni
O.N.U., esprimendo una comune volontà di adoperarsi per l’inserimento dei portatori d’handicap nella
vita sociale e per la conversione degli interventi di tipo assistenzialistico in azioni promozionali a
favore degli svantaggiati
In Italia la 482 è stata oggetto di controversie giuridiche dalle conseguenze molto gravi per i
soggetti con handicap intellettivo (includendo in questa definizione sia gli insufficienti intellettivi che i
malati mentali) a causa di un’interpretazione fortemente restrittiva dell’articolo 5 relativo alla
definizione della categoria di invalidi civili che escludeva, appunto, gli handicappati intellettivi dai
benefici della legge. A tale conclusione pervennero la sentenza della Corte Costituzionale del 19
febbraio 1985, la circolare dell’allora Ministro del Lavoro De Michelis del 13 agosto 1985 e la sentenza
della Corte di Cassazione del 21 febbraio 1986. Soltanto con la sentenza n° 50 del 31 gennaio 1990
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della Corte Costituzionale si ebbe finalmente il riconoscimento per gli handicappati intellettivi di poter
usufruire delle norme sancite con la 482/68, al pari degli handicappati fisici e sensoriali, quando esiste
la certificazione di non pregiudizio a sè ad agli altri.
2.2. La legge 68/99
La legge 482 nei primi anni della sua applicazione ha avuto una sua efficacia che è andata
gradualmente riducendosi nel tempo. Questa legge si muoveva in conformità con un principio cardine
della produzione di massa, l'intercambiabilità dell'operaio nel processo di produzione. Gli uffici di
collocamento potevano di norma inviare un disabile in azienda senza una preventiva conoscenza del
posto di lavoro nè delle capacità professionali del disabile stesso. Crebbe ben presto il malcontento da
più parti sollevato circa l'inadeguatezza di tale strumento legislativo, i primi tentativi di riforma di
collocamento obbligatorio risalgono al 1972: in venticinque anni sono state presentate decine di
proposte di legge e sono stati formulati cinque testi unificati che sono sempre decaduti con le varie
legislature.
La nuova normativa che è stata finalmente approvata dal Parlamento, legge 68/99, entrerà in vigore
all'inizio dell’anno 2000 e sostituirà la ormai inadeguata e inapplicata 482.
Ricordiamo alcuni dati: gli invalidi disoccupati iscritti nelle liste sono 270 mila (ma quanti saranno
"falsi"?). Dal 1982 ad oggi gli handicappati hanno perso oltre 100 mila posti di lavoro, le aziende
private respingono l'80 per cento degli avviati dagli uffici collocamento.
Ecco perché l'approvazione del testo, che non è il migliore possibile, solleva molte aspettative.
In sintesi la nuova legge stabilisce che:
Sono soggetti ad obbligo le aziende con almeno 15 dipendenti (attualmente si parte da 35) nelle
seguenti percentuali:
da 15 a 35, 1 disabile (solo in caso di nuove assunzioni)
da 36 a 50, 2 disabili
oltre 50, 7%
Il collocamento è mirato. Un apposito Comitato tecnico, in accordo con i servizi del territorio,
valuta le reali capacità del lavoratore disabile e le caratteristiche dei posti disponibili, individuando
percorsi personalizzati di inserimento con agevolazioni per i datori di lavoro.
Le assunzioni si effettuano nelle aziende private per chiamata nominativa nel 60 per cento dei
casi. Per il restante 40 per cento la chiamata è numerica o, in alternativa, i datori di lavoro possono
stipulare convenzioni per il collocamento mirato dei soggetti che presentino difficoltà di
inserimento.
Per i datori di lavoro che stipulano convenzioni per l'integrazione sono previste le seguenti
agevolazioni:
1. esonero del pagamento degli oneri sociali per otto anni per i disabili con riduzione della capacità
lavorativa superiore al 79 per cento;
2. esonero parziale dal pagamento degli oneri sociali per cinque anni per i disabili con riduzione
della capacità lavorativa tra il 67 ed 79 per cento;
3. rimborso della spesa nella misura del 50 per cento per l'adattamento del posto di lavoro.
La fiscalizzazione totale degli oneri sociali per otto anni si applica sempre nei confronti di chi
assume lavoratori con handicap intellettivo e psichico indipendentemente dal grado di invalidità.
Per le agevolazioni sono stabiliti i seguenti finanziamenti: 40 miliardi per l'anno 1999 e 60
miliardi a decorrere dall'anno 2000. Le Regioni inoltre istituiscono il Fondo Regionale per
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l'occupazione dei disabili (che viene alimentato dalle sanzioni) con lo scopo di potenziare
l'inserimento lavorativo ed i servizi relativi.
La legge chiede meno ai datori di lavoro (l'aliquota passa infatti dal 15 al 7 per cento) ma è più
rigorosa: per chi non la rispetta è prevista una sanzione di lire 100.000 al giorno per ogni posto non
coperto e le esclusione da gare di appalto o da convenzioni con le pubbliche amministrazioni.
Sanzioni sono previste anche per i responsabili delle pubbliche amministrazioni.
Le aziende che ottengono l'esonero debbono comunque versare al Fondo Regionale lire 25.000 al
giorno per ogni posto non coperto.
Nel pubblico impiego i disabili sono assunti sempre per chiamata numerica o per concorso o
attraverso le convenzioni per il collocamento mirato.
Tra i percorsi per il collocamento mirato è stato previsto il coinvolgimento delle cooperative
sociali. La procedura prevede l'assunzione del disabile da parte dell'azienda con comando a termine
(due anni massimo) a fini formativi presso la cooperativa sociale fino al definitivo inserimento
nell'azienda stessa. L'azienda conferisce alla Coop. una commessa di lavoro di entità almeno pari
al costo del lavoratore compreso dove necessario il tutoraggio. (Allegato 1) Prevede altresì la
facoltà per le Regioni di attuare specifiche iniziative per promuovere l'inserimento anche nelle
cooperative sociali.
Il collocamento dei disabili (che verrà effettuato, in base al D.Lgs. 469/97, non più dagli uffici
periferici del Ministero del Lavoro ma dalle Province) deve avvenire in raccordo con i servizi
sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio per favorire l'incontro fra la domanda e l'offerta
di lavoro.
Si stima che con questa legge si renderanno disponibili nel giro di due anni almeno 70 mila nuovi posti
di lavoro (soprattutto per l'estensione alle piccole e medie imprese).
2.3. L'accertamento della capacita' lavorativa
Non tutti i problemi però sono stati risolti, ci ha ricordato l'On Carlo Stelluti, relatore della legge in
Parlamento, (Convegno cit., 1999) questa è una legge di tipo lavoristico, cioè crea le condizioni perchè
il disabile possa entrare nell'attività lavorativa. Non risolve tutti i problemi che stanno attorno alla
questione dei disabili. E' in cantiere la legge quadro sull'assistenza, dentro questa legge vi saranno degli
aspetti che potranno contribuire a realizzare meglio le aspettative che questi cittadini manifestano
all'interno della nostra società.
Uno dei problemi che non è stato risolto riguarda il sistema dell'accertamento di disabilità, è un
sistema per la verità un po’ caotico, frutto di una legislazione alluvionale che si è stratificata nel corso
degli anni e vi sono delle discrasie contenute nel sistema di accertamento della disabilità. Oggi per
esempio gli invalidi di lavoro vengono accertati dall'INAIL e hanno diritto a essere iscritti al
collocamento obbligatorio se superano il 33 % di invalidità. Gli invalidi civili vengono accertati dalle
ASL, dal sistema sanitario e hanno diritto al collocamento obbligatorio se superano il 45% di invalidità.
Perchè due soggetti devono accertare l'invalidità e perchè devono adottare criteri disomogenei? La
risposta andrebbe trovata nella storia. Vi è comunque la necessità di razionalizzare il sistema di
accertamenti. Il Parlamento aveva già conferito al Governo una delega nel 1995 in occasione
dell'approvazione della riforma previdenziale. La cosiddetta riforma Dini si proponeva di smascherare i
falsi invalidi nel nostro Paese e per queste ragioni era stata conferita una delega al Governo che doveva
rivedere il sistema di accertamento delle condizioni di disabilità, cercando di razionalizzare, di
individuare un unico soggetto che facesse questa operazione. Il Parlamento ha firmato un ordine del
giorno che impegna il Governo ad affrontarlo in tempi ragionevolmente brevi. Questo problema potrà
essere affrontato in modo serio nell'ambito del progetto di riforma del sistema di protezione sociale,
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perchè quando si accerta le condizioni di disabilità di un soggetto non esce solo l'input che va verso il
collocamento obbligatorio ma esce anche un altro input che va verso il sistema di protezione, ad
esempio vengono conferite delle indennità di assistenza. Per creare le condizioni perchè il lavoratore
possa essere inserito opportunamente nell'attività lavorativa vi è la necessità di costruire un profilo
professionale, di individuare quali sono esattamente le potenzialità lavorative del soggetto e
contemporaneamente individuare quali possono essere gli strumenti che fanno si che le capacità
lavorative non siano potenziali ma diventino un fatto concreto.
Per fare questa operazione non possiamo utilizzare la percentuale di invalidità, dobbiamo
ovviamente trovare un'altra modalità. La legge indica che la Regione e le Provincie devono costituire
un comitato tecnico il quale contenga professionalità di tipo medico-sanitarie, ma anche di tipo
lavoristico se vogliamo effettivamente sapere cosa sa svolgere questa persona nell'attività lavorativa e
professionalità di tipo psico-sociale. Un mix che potrebbe produrre una modalità che mette a
disposizione di coloro che dovranno fare l'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro, i profili
professionali e le strumentazioni adeguate perchè le professioni vengano effettivamente svolte.
Questo è un passaggio determinante, perchè si lascia sostanzialmente dietro alle spalle il sistema di
collocamento di tipo numerico e si sostituisce il collocamento mirato.
3. LA POSIZIONE DEGLI IMPRENDITORI
La posizione di Confindustria riguardo all'integrazione del disabile nel mondo del lavoro può
riassumersi nelle parole di Davide Cervellin, imprenditore e coordinatore del gruppo di lavoro
"Sostegno all'handicap" di Confindustria: "Sono sbagliati gli obblighi, il disabile non deve essere visto
come una tassa da pagare, ma come un'opportunità per l'azienda".
L'esperienza umana e imprenditoriale di Davide Cervellin che dal '74 è cieco, è emblematica della
volontà di esprimere appieno le proprie capacità e di essere considerato una risorsa a tutti gli effetti
anche quando portatore di handicap fisico. Racconta Cervellin (N.Pasqualini, Sempre,1998): Sorpresi
una volta mia madre dire ad un'amica - Anch'io ho la mia croce da portare, mio figlio Davide è
diventato cieco. Balzai sulla sedia dov'ero seduto ed in un attimo fui in cucina dove le due donne
conversavano: Mamma, perchè una croce ? -.....forse quella frase di mia madre è stata la molla per
reagire e riscattarmi dalla condizione di peso, ed entrare a pieno titolo nella società di coloro che
operano.
Dal 1987 Cervellin è a capo di un Società che di occupa di progetti, produzione e
commercializzazione di sistemi per l'autonomia delle persone disabili, Società che a 10 anni dalla sua
fondazione conta tra i nuovi soci nomi come Giorgio Fossa, Luigi Abete, Cesare Romiti. (Punto di
vista,1997)
Il gruppo di lavoro di Confindustria di cui Cervellin è coordinatore ha individuato un programma
costituito da tre linee fondamentali:
La prima prevede un controllo della situazione imprenditoriale nel settore dell'erogazione dei
servizi per disabili in Italia. Dai dati che abbiamo finora acquisito dice Cervellin questo è un
comparto piccolo che subisce la produzione commerciale proveniente dagli altri paesi. Tuttavia in
alcuni settori, come quello della produzione delle carrozzine, il nostro paese ha acquisito una sua fetta
di mercato internazionale.
La seconda linea è quella che vede nel progetto Lucy, approdato anche a Cuneo nell'ottobre 1998,.
la manifestazione più visibile. Cervellin a proposito sostiene: abbiamo pensato che fosse necessario
fare informazione mirata al mondo imprenditoriale e alle forze sociali in modo più concreto e
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pragmatico ed è stata così costituita un'unità mobile denominata Lucy sulla quale è possibile
dimostrare come un disabile grave può lavorare in maniera produttiva attraverso il telelavoro.
Con la terza linea ci si propone di rivedere completamente l'istituzione della scuola e le sue
metodologie, nella convinzione che il processo di integrazione lavorativa inizia dall'educazione
scolastica, passa attraverso la formazione insieme agli altri per confluire nell'ufficio o nella fabbrica.(M.
Fea, Provincia Oggi, 1998)
E' evidentemente che l'attenzione del gruppo di lavoro promosso da Confindustria è
prevalentemente rivolto alle persone in situazione di handicap fisico, questa parzialità non inficia il
grande valore delle iniziative promosse, ma è comunque un elemento da tener presente.
Ma la questione centrale resta quella riassunta da Cervellin: "Il disabile è una tassa o una risorsa?".
A questo proposito il Presidente di Confindustria Sergio Pininfarina affermava:
L'inserimento lavorativo è parte del più ampio problema dell'integrazione sociale degli invalidi
nella vita collettiva, rispetto al quale il nostro paese è in netto ritardo. Benchè la Costituzione
attribuisca, in via primaria, allo Stato l'assolvimento di un dovere di solidarietà che incombe
sull'intera comunità nazionale, mancano in Italia le condizioni normative ed organizzative necessarie
per poter avviare gli invalidi nelle occupazioni disponibili confacenti ad una adeguata valorizzazione
delle residue capacità lavorative. Al tempo stesso, le imprese sono chiamate a sottostare a vincoli
notevolmente più gravosi di quelli esistenti negli altri paesi industrializzati.
(DeRienzo; Saccoccio; Breda, Il Lavoro conquistato, 1991)
Questo stesso concetto è stato ribadito pur in presenza della nuova legge 68/99 sia da Giuseppe
Bertolino dell'Unione Industriale che da Luca Crosetto Vice Presidente Unione Nazionale Giovani
Imprenditori nel citato Convegno dell'ottobre scorso svoltosi a Cuneo: Anche questa volta a nostro
avviso il legislatore ha inteso ricercare la soluzione a problematiche di natura squisitamente sociale e
quindi coinvolgenti l'intera collettività addossandola sul mondo imprenditoriale coinvolgendo nella
fattispecie le nostre piccole e medie realtà .
L'On.Stelluti relatore della legge ha ammesso la legittimità di questa posizione, riconoscendo però
alla legge 68/99 la soluzione del problema: Nel passato si chiedeva all'impresa di svolgere una
funzione assistenziale che per la verità non compete alle imprese, la funzione assistenziale compete
all'intervento pubblico. Nell'ambito di questa legge si è cercato di dare ad ognuno il suo...... Per
supplire a ciò che manca per essere considerato un lavoratore normodotato, inteviene lo Stato con una
serie di strumenti.
Nonostante l'affermazione dell'On Stelluti bisogna dar atto perlomeno, come rilevava il
Dott.Bertolino, che il disabile diventa una tassa nel momento in cui l'azienda per giustificato motivo
ottiene l'esonero della quota d'obbligo. (6.000.000 annui a persona). Occorre rilevare inoltre che la
legge prevede solo incentivi a termine. Questa formula è adeguata per persone che dopo un certo
periodo di tempo raggiungono livelli produttivi standard. E per i lavoratori che non raggiungeranno mai
questi livelli?
La contrapposizione tra gli imprenditori, che rivendicano incentivi reali proporzionati al grado di
redditività del lavoratore, e le persone in situazione di handicap che intendono portare il proprio
contributo nel mondo del lavoro, si potrà ricomporre solo stabilendo procedure efficaci per determinare
le effettive capacità dei lavoratori.
Concedere maggiori incentivi senza queste garanzie, ci introdurrebbe nel campo della discrezionalità e
dell'abuso.
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IN FABBRICA O IN COOPERATIVA? MEGLIO TUTTE E DUE
Coop. C.I.L.S. e Mareco Luce di Cesena
Venticinque anni fa, fondando la Cooperativa C.I.L.S., l'ANFFAS, l'ENAIP, e l'ANMIC decisero
d’impegnarsi in un'avventura imprenditoriale ed in una sfida sociale, al limite dell'utopia, per tentare
d’inserire, in un lavoro stabile e remunerato, persone con disabilità prevalentemente psichiche,
precorrendo conquiste sociali concretizzatesi solo parzialmente in questi ultimi anni.
Oggi la CILS è una solida realtà, che ha assunto rilevanza nazionale per i risultati occupazionali,
economici e sociali conseguiti ed è un patrimonio prezioso per la città di Cesena: 290 soci, 220
dipendenti (51 lavoratori handicappati assunti e 169 lavoratori di sostegno dei quali 68 invalidi.), 13
tirocinanti in borsa lavoro. I settori lavorativi sono i più disparati: tipo-litografia, parcheggi, pulizie,
agricoltura, verde pubblico, comunità residenziale.....
In questi venticinque anni ha avuto un ruolo fondamentale il volontariato, come mi conferma il
Presidente della Cooperativa, Giuliano Galassi, ingegnere di professione presso uno studio tecnico
cittadino. I quindici membri del Consiglio di Amministrazione, come da scelta lungimirante dei
fondatori, esercitano le loro funzioni senza alcuna indennità di carica o rimborso spese.
Come è nato il suo impegno nella Cooperativa e quanto tempo ci dedica?
Nel '76 ero presidente del comitato di quartiere e invitai ad un'assemblea, il presidente della CILS
Fabio Abbondanza a parlarci degli inserimenti lavorativi. Fabio, che era malato di cuore, morì al mio
fianco mentre stava illustrando gli scopi sociali della Cooperativa. Sentii che dovevo impegnarmi in
questa iniziativa. Fui anche incoraggiato in tal senso dai proprietari dell'alloggio che allora affittavo.
Erano i genitori di una ragazza handicappata che ancora oggi lavora con noi. Ora dedico alla
Cooperativa almeno un'ora al giorno, quando non ci sono maggiori impegni.
La nostra conversazione si svolge nella sede della Cooperativa situata a pochi passi dalla stazione
di Cesena, mentre ci incamminiamo verso un locale dove alcuni ragazzi fanno lavori di piccolo
assemblaggio. Questo è un centro di preinserimento lavorativo, mi spiega Galassi, i ragazzi sono
inseriti qui in borsa lavoro, con l'impegno da parte della Cooperativa di assumerli nell'arco di due
anni. Oltre a fare lavori di assemblaggio possono sostituire le persone assenti per malattia nei vari
settori di attività, individuando in tal modo l'ambito più adatto per ciascuno.
E' meglio per una persona con handicap intellettivo lavorare in una normale azienda, dove si
realizza almeno potenzialmente la massima integrazione, o in una cooperativa sociale dove si
garantisce maggiore disponibilità e aiuto nei momenti di difficoltà ?
Per rispondere a questa domanda ci rechiamo presso la Mareco Luce, un'azienda che produce
lampadari, con una cinquantina di dipendenti, situata nella zona industriale della città.
Da circa un anno è stata attivata con l'assistenza del Gruppo Paritetico delle cooperative sociali di
Forlì-Cesena, una convenzione avente come finalità l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate
(allegato 2). L'accordo prevede che dipendenti della Coop.CILS siano impiegati direttamente nello
stabilimento della Mareco in mansioni congeniali alle autonomie lavorative dei disabili. Attualmente
sono tre ragazzi handicappati e due lavoratori di sostegno. La convenzione è da ritenersi
un'applicazione estensiva della Legge 381, che prevede per gli Enti Pubblici di stipulare convenzioni
dirette con le cooperative sociali per l'affidamento di servizi, superando la logica degli appalti.
Concretamente alla C.I.L.S. è stata affidata l'ultima fase del ciclo produttivo consistente nel
confezionamento dei prodotti finiti con l'ausilio di una macchina semiautomatica, pattuendo un
compenso per ogni pezzo lavorato.
Gabriele, un ragazzo con sindrome down, prende le sfere di vetro dei lampadari da esterno e le
fissa su dei supporti di plastica. Mi racconta che prima lavorava al Cimitero ed “andava così, così”.
Adesso invece è molto contento del lavoro che fa. Questo lavoro è semplice e ripetitivo e Gabriele lo fa
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con molta passione perchè si rende conto di saperlo fare bene mi spiega Galassi, qualche volta va
anche richiamato perchè magari gioca, si nasconde.
Mentre mi intrattengo con Jessica, un'altra lavoratrice della Coop., sopraggiunge il direttore della
Mareco, Ing.Mondardini, preavvisato del nostro arrivo.
Siamo soddisfatti di questa esperienza, all'inizio abbiamo faticato un po'. Ai vertici dell'azienda
c'era chi si aspettava di avere dei problemi, che ci fosse un calo di rendimento, mi spiega
l'Ing.Mondardini. Vede, gli operai passano, si scambiano qualche battuta, c’è un buon clima. Lui
(riferito a Vittorio, lavoratore di sostegno) ha una disponibilità che uno dei miei operai non può avere.
Con Jessica si può valutare un'assunzione diretta, Gabry invece ha certi comportamenti che uno dei
miei non è in grado di gestire. Potessi assumere il 'pacchetto' del ragazzo con l'operatore..., così
funziona.
E' la collaborazione che aiuta....
Sì, è vero, questa esperienza nasce da una collaborazione, dalla possibilità di lavorare insieme.
Sono convinto che in molte altre aziende, esistono realtà dove è possibile inserire delle persone...
Dove il lavoratore svantaggiato può rendere anche più degli altri.
Gli operai su certe mansioni si 'rompono' . Sa che anche i sindacati non mi hanno mai sollevato
proteste, anzi sono venuti a chiedermi di raccontare la nostra esperienza perchè sono interessati a
portarla in altre aziende.
Il nostro scopo è quello di riuscire a inserire i nostri ragazzi fuori, aggiunge Galassi, ma non è
facile anche con la nuova legge, perchè gli incentivi per le ditte sono transitori, non definitivi come per
noi Coop. Sociali. Mondardini è venuto anche al nostro Consiglio di Amministrazione, dice che i
ragazzi noi li proteggiamo troppo e poi non riescono a tenere i ritmi dell'azienda...
E' un confronto che certamente arricchisce, ma in entrambe le direzioni? Anche se questa
esperienza è piuttosto breve, non crede, Mondardini, che l'insufficiente mentale possa costringere
magari a ripensare certi passaggi del processo produttivo, per semplificarli a beneficio di tutti.
Il nostro modo di lavorare non è cambiato. Dal punto di vista umano invece, questo è certamente
un segno che fa crescere tutti. C'è un operaio un po' depresso che dice di volersi suicidare, in tre gli
sono stati vicino, sono anche andati a casa a trovarlo. In altri momenti credo che sarebbe passato tutto
nell'indifferenza. Dal punto di vista del lavoro, trovarsi Gabry che è nel mezzo e perde le cose per
strada e tu sei dietro col muletto che invece hai fretta, è più facile che crei un dissapore. Poi dipende
dai giorni, da come ci si alza la mattina. Questo è l'equilibrio instabile dell'azienda.
L’esperienza descritta mi riporta a quanto Enrico Montobbio ha di recente affermato. Oggi,
riconosciuta la sacralità del profitto, si può chiedere alle imprese di diventare “socialmente capaci”,
cioè capaci di progettare la propria organizzazione correlando obiettivi di integrità delle persone con
obiettivi tecnici ed economici. Alle Cooperative di tipo B, che nascono “socialmente capaci”, può
essere fatta la richiesta opposta, di diventare “aziendalmente capaci”, perché la pregnanza del ruolo
lavorativo assegnato alla persona disabile è il fattore che produce in lui, attraverso le aspettative di
ruolo, il cambiamento maturativo e il processo di crescita verso il mondo degli adulti. (E.Montobbio,
op.cit.,1999)
In considerazione della nuova Legge 68, che prevede la possibilità di fare formazione in
Cooperativa prima dell'assunzione in azienda (allegato 1), perchè non pensare a questa esperienza come
se avesse qualcosa da insegnarci?
(allegato 2)
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CAPITOLO 3
I SERVIZI DI INSERIMENTO LAVORATIVO
1. SGUARDO D’INSIEME -
Una ricerca dell’università di Dublino
I Servizi di Inserimento Lavorativo si sono sviluppati in Italia ed all'estero spesso anticipando e
suggerendo con la propria esperienza specifici interventi normativi su scala nazionale. L'innovazione
introdotta da queste organizzazioni consiste nella strategia della `formazione in situazione'. Secondo
questo modello le persone con disabilità vengono inserite in azienda dove ricevono la formazione
necessaria per essere poi assunti stabilmente. Il metodo tradizionale, invece, si basava su di un
procedimento inverso. In base ad esso le persone con disabilità venivano prima formate (in scuole
speciali o laboratori protetti) e, quando ritenute `pronte', veniva tentato l'inserimento in azienda.
Una ricerca condotta presso l'Università di Dublino nel periodo 1997/99 da Alberto Migliore,
ricercatore di origini cuneesi, mirava ad analizzare modelli di buona pratica nel gestire l'inserimento
lavorativo di persone con insufficienza intellettiva. L'indagine avvenne tramite l'analisi di quattro
agenzie considerate dei punti di riferimento nel settore. La selezione delle agenzie da studiare venne
effettuata sulla base della personale esperienza dell'autore, del supervisore della ricerca Donald
McAnaney già Presidente della CEEH (Confédération Européenn pour l’Emploi des Handicapés) e
contattando un totale di 114 esperti. Le due agenzie da scegliere fra quelle raccomandate dagli esperti
dovevano soddisfare le seguenti condizioni:
includere fra i propri clienti una percentuale minima del 60% di persone con insufficienza
intellettiva
un'esperienza minima di cinque anni nel settore dell'inserimento lavorativo col metodo della
‘formazione in situazione’
un minimo di tre operatori dedicati a tempo pieno all'inserimento lavorativo col metodo della
‘formazione in situazione’
l’esistenza di una procedura scritta circa la strategia e le metodologie adottate
Le quattro agenzie furono individuate rispettivamente in Germania, Italia, Spagna e Regno Unito.
Lo studio isolò alcuni elementi chiave relativi al processo di formazione dei clienti permettendo
l'individuazione di tre principali modelli strategici di formazione. La distinzione fra i modelli si basa
sulla diversa sequenza fra formazione ed assunzione, la durata della formazione, l'intensità del supporto
fornito ai clienti e il profilo dell'operatore che insegna il lavoro. I tre modelli hanno in comune una
prima fase in cui il cliente viene valutato sulla base di informazioni raccolte attraverso interviste ed
incontri con il cliente stesso e con persone che hanno ricoperto un ruolo importante nella sua vita. In
aggiunta, i tre modelli hanno in comune anche una fase finale, dopo che il cliente è stato assunto, detta
di monitoraggio. Questa fase, in tutti e tre i modelli, dura per un periodo indeterminato di tempo ed ha
l'obiettivo di individuare in anticipo eventuali problemi che potrebbero compromettere nel tempo la
posizione lavorativa. Dei tre modelli strategici identificati, due sono ben distinti fra loro, mentre il terzo
possiede elementi in comune con gli altri due. La figura 1 illustra i tre modelli identificati e in questo
studio denominati: `Insegnare un lavoro' (a sinistra), `Insegnare a lavorare' (a destra) e `Modello
intermedio' (in centro).
30
Figura 1: Modelli strategici per la gestione dell’inserimento lavorativo di persone con
insufficienza intellettiva.
Modello Americano
Agenzia Spagnola
Modello Genovese
Agenzia Tedesca
Agenzia Regno Unito
Agenzia Italiana
‘INSEGNARE UN LAVORO’
MODELLO INTERMEDIO
‘INSEGNARE A LAVORARE
Valutazione del cliente
Valutazione del cliente
Valutazione del cliente
Assunzione del
cliente
Formazione a mezzo di
intensivo supporto a
cliente da parte
dell’operatore
dell’agenzia per un
Monitoraggio
Osservazione e formazione
(breve termine) in un
numero di aziende diverse
senza l’obiettivo
dell’assunzione.
(L’operatore dell’agenzia
Osservazione e
formazione (lungo
termine) in un numero di
aziende diverse (da
familiari a burocratiche)
senza l’obiettivo
Formazione (breve termine)
con l’obiettivo
dell’assunzione
nell’azienda ospitante.
(L’operatore dell’agenzia
Formazione (lungo
periodo) del cliente con
l’obiettivo dell’assunzione
nell’azienda ospitante. (I
colleghi di lavoro
Assunzione del
Ulteriore periodo di
formazione,
a mezzo di intensivo
supporto al cliente da parte
dell’operatore dell’agenzia
Monitoraggio
31
Assunzione del
Monitoraggio
Come mostra la figura 1, dopo una iniziale fase di valutazione del cliente, il modello denominato
`Insegnare un lavoro' prevede immediatamente l'assunzione del soggetto. L'insegnamento del lavoro
verrà effettuato dopo l'assunzione e mediante un intensivo, ma limitato nel tempo (alcuni mesi),
supporto al soggetto da parte dell'operatore dell'agenzia di inserimento lavorativo. Siccome il principale
obiettivo in questo modello è l'insegnamento del lavoro da svolgere nella azienda ospitante, esso è stato
denominato `Insegnare un lavoro'. Questo modello adottato dall'agenzia Spagnola in realtà deriva dal
modello Americano di `Supported employment'.
Nel modello `Insegnare a lavorare', la valutazione del cliente tramite interviste ed incontri è seguita
da un periodo relativamente lungo (da uno a cinque anni) di osservazione e formazione in un numero di
aziende (da due a 10) caratterizzate da modelli organizzativi progressivamente più complessi (da
familiare a burocratico). L'obiettivo dell'inserimento in ciascuna di queste aziende non è l'assunzione,
bensì l'opportunità per il cliente di imparare diverse realtà di lavoro, comportamenti appropriati, valori
in ambiente lavorativo e gestione delle relazioni sociali sul lavoro. Per l'agenzia questo periodo
rappresenta anche un'opportunità di osservazione del cliente a fini valutativi. Dopo questa fase il
soggetto viene inserito in una azienda, questa volta scelta per l'assunzione che verrà formalizzata però
solo al termine di un periodo (da tre a 12 mesi) di insegnamento del lavoro e familiarizzazione con
l'azienda. In tutte le sue fasi il modello `Insegnare a lavorare' prevede che sia responsabilità
dell'azienda, tramite i supervisori ed i colleghi di reparto, l'insegnamento dei compiti e mansioni al
nuovo lavoratore con disabilità. L'obiettivo principale di questo modello è la crescita delle capacità
generali quali stima di sé, autonomia emotiva e capacità relazionali del cliente, oltre che una sua
generale capacità lavorativa. Per questa ragione esso è stato qui chiamato `Insegnare a lavorare'.
L'agenzia Italiana elaborò e adottò questo modello. Benchè nella ricerca siano volutamente omesse le
denominazioni delle quattro agenzie, non occorre essere molto esperti per riconoscere, nell’ultimo
citato, i tratti del modello Genovese (Centro Studi per l’integrazione dei disabili, ASL 3 Genovese,
E.Montobbio).
Il modello intermedio, al centro della figura 1, comprende elementi di entrambi i due modelli ad
iniziare da una preliminare fase di valutazione del cliente. Come per il modello `Insegnare a lavorare', i
clienti possono effettuare più tirocini di lavoro, per un limitato periodo di tempo, in più aziende, senza
l'obiettivo dell'assunzione. Queste esperienze sono seguite da un periodo limitato di formazione
nell'azienda scelta per la assunzione del soggetto e quindi dall'assunzione stessa. La fase finale, come
per il modello `Insegnare un lavoro', consiste in un ulteriore limitato periodo (alcuni mesi) di
insegnamento del lavoro al soggetto. In questo modello, come per `Insegnare un lavoro', la
responsabilità per la formazione del cliente ricade sull'operatore dell'agenzia. L'approccio dell'agenzia
Tedesca e di quella nel Regno Unito riflettono, sebbene non in modo completo, questo modello.
2. IL MODELLO AMERICANO
Il modello americano, praticato dall’agenzia spagnola presa in esame, per consistenza quantitativa
e per caratteristiche che si differenziano dai modelli a noi abituali, merita un maggior approfondimento.
2.1.
Origini
Negli U.S.A. il modello 'inserire e poi fare formazione' [place, then train] iniziò a diffondersi agli
inizi degli anni 70 e si manifestò principalmente col programma denominato 'supported employment'
[impiego con supporto]. Uno dei padri fondatori del 'supported employment' è riconosciuto in Marc
32
Gold il quale sviluppò il principio secondo cui lo scarso apprendimento da parte di una persona con
insufficienza intellettiva dovrebbe essere interpretato come il risultato di un inappropriato metodo di
insegnamento piuttosto che solo come conseguenza della disabilità di tale persona. Sulla base di tale
filosofia, Gold sviluppò il principio 'prova in un altro modo' [Try another way] che condusse al metodo
‘dell'istruzione sistematica' [systematic instruction]. Tale procedura consiste nello scomporre un lavoro
o una mansione nelle sue più elementari componenti e partire dunque dall'insegnamento sistematico di
queste piuttosto che dall'insegnamento di mansioni 'complesse'.
Nei primi anni '70 andava inoltre diffondendosi negli U.S.A. il principio di 'normalizzazione', che a
sua volta contribuì allo sviluppo del modello di 'supported employment'. In accordo con tale principio,
i servizi alle persone con disabilità non dovrebbero essere separati ed esclusivi per tale gruppo di
persone come per esempio lo sono le scuole speciali, i laboratori protetti, i centri diurni o le istituzioni
segreganti. Al contrario, le persone con disabilità dovrebbero poter accedere agli stessi spazi sociali
normalmente destinati alla popolazione in generale e quindi anche alla vita lavorativa.
Un’ulteriore ragione a sostegno dei programmi di 'supported employment' fu il risultato di ricerche
effettuate verso la fine degli anni '70. Queste dimostrarono che persone prima collocate in laboratori
protetti o centri diurni trovavano impiego in aziende nel mercato del lavoro competitivo.
Nel 1975 l'Università di Washington avviò un progetto sperimentale di inserimenti lavorativi di
persone con insufficienza intellettiva nel settore della ristorazione. Nel 1978 l'Università di Virginia, su
mandato dell'Amministrazione Federale dei Servizi di Riabilitazione [Federal Rehabilitation Services
Administration], avviò un programma triennale di conversione di centri diurni per persone con
disabilità in agenzie gestori di servizi di 'supported employment'. Successivamente i programmi di
'supported employment' si diffusero in altri stati federali.
2.2.
Caratteristiche fondamentali
‘Supported employment' nacque e si sviluppò ponendosi come obiettivo prioritario il servizio a
persone con grave disabilità. In quest'ottica assunse un'importanza fondamentale la figura dell'operatore
denominato 'specialista del lavoro' [Employment specialist] o 'istruttore' [job coach]. Il suo compito
consiste nel raccogliere il maggior numero possibile di informazioni sul candidato in cerca di lavoro.
Oggetto d'indagine sono le abilità del soggetto, le sue preferenze ed i suoi desideri. Le modalità di
raccolta delle informazioni includono l'esame di rapporti scritti sul candidato quali per esempio la
documentazione reperibile presso servizi di cui il soggetto ha già beneficiato, l'osservazione del
candidato in attività informali quali pranzi o incontri ed, infine, interviste a persone chiave che per
ragioni varie conoscono bene il candidato (familiari, amici, educatori, eventuali precedenti datori di
lavoro).
Lo 'specialista del lavoro' individua poi un'azienda le cui caratteristiche siano compatibili col
profilo del candidato. Il passo successivo consiste nel preparare ed assistere la persona con disabilità in
vista del colloquio di lavoro. Una peculiarità del programma di 'supported employment' consiste nel
fatto che il candidato con disabilità non necessariamente deve essere già capace a coprire un ruolo
lavorativo in un'azienda. Infatti lo 'specialista del lavoro' fornisce la necessaria formazione al soggetto
con disabilità assistendolo durante il turno fin dal primo giorno di lavoro e per tutti i giorni seguenti fin
tanto che l'intervento è ritenuto necessario. Se occorre, inoltre, lo 'specialista del lavoro' completa il
lavoro non svolto dal cliente al fine di soddisfare lo standard di produttività richiesto dal datore
di lavoro.
Lo 'specialista del lavoro' si assume inoltre l'onere di individuare o sviluppare nell'ambiente di
lavoro, fra i colleghi, eventuali figure di sostegno in grado di facilitare l'integrazione sociale del proprio
33
cliente nella vita di azienda. Nella fase iniziale, tuttavia, lo 'specialista del lavoro' è generalmente il
principale punto di riferimento per il lavoratore con disabilità, per i colleghi e per il datore di lavoro.
Egli si comporta come se fosse un dipendente dell’azienda adottando lo stesso orario di lavoro,
vestendo l'uniforme aziendale e seguendo le stesse regole dei colleghi. Il supporto diretto al soggetto
con disabilità viene poi gradualmente ridotto nel tempo nella misura in cui egli/ella raggiunge livelli di
autonomia soddisfacenti. Vi può essere però anche la possibilità che il datore di lavoro preferisca che
sia l'azienda stessa a svolgere il compito di istruzione del nuovo lavoratore con disabilità per tramite dei
colleghi di reparto. In questo caso lo 'specialista del lavoro' si limita a seguire 'da lontano' il proprio
cliente ed ad intervenire solo su richiesta. La disponibilità ad intervenire in caso di necessità è una
caratteristica che contraddistingue 'supported employment' da altre strategie di inserimento lavorativo
negli U.S.A.. Al fine di identificare in tempo eventuali problemi e adottare le necessarie precauzioni, lo
'specialista del lavoro' mantiene un costante contatto con i familiari del cliente, col datore di lavoro e
con persone chiave. Mediante telefonate, brevi visite o raccolta di dati, l'agenzia che gestisce il
'supported employment' monitora per un periodo di tempo indeterminato il procedere dell'esperienza
lavorativa dei propri clienti.
Il modello di 'Supported employment' si divide in almeno tre modelli in base al grado di
integrazione raggiungibile dai lavoratori con disabilità nell'azienda.
I tre modelli sono denominati come di seguito:
- ‘gruppi nell'industria' [enclaves in industry]
- ' squadra mobile di lavoro' [mobile work crew]
- 'inserimenti individuali' [individual placement model].
Il primo modello, 'gruppi nell'industria', si riferisce all'inserimento di un gruppo di lavoratori con
disabilità piuttosto che di singoli individui. Il gruppo di solito non eccede il numero di otto persone ed
è' sotto la supervisione a tempo indeterminato di uno 'specialista del lavoro'. Il salario dei lavoratori con
disabilità viene pagato di norma dall'azienda, ma può essere integrato anche dall'agenzia che gestisce il
'supported employment'. Il salario è proporzionale all'ammontare di lavoro effettivamente svolto dai
soggetti. Tale modello è stato adottato per soggetti con elevato grado di disabilità, scarsa autonomia e
con bisogno di costante supporto e supervisione da parte di uno 'specialista del lavoro'. Questi, infatti,
assiste i lavoratori con disabilità per tutto il tempo in cui essi sono in azienda.
Il modello della 'squadra mobile di lavoro' è molto simile al precedente, ma differisce da esso per il
fatto che il gruppo di lavoratori con disabilità si sposta di azienda in azienda in funzione delle
opportunità di lavoro offerte dal mercato.
Il terzo modello, 'inserimenti individuali', implica che ciascuna persona con disabilità venga
assistita individualmente nella ricerca ed apprendimento di un lavoro. Tale modello favorisce
generalmente un più elevato grado di integrazione dei lavoratori con disabilità con i colleghi in azienda.
Inoltre, come sottolineato da Wehman e Parent (1996), esso offre anche maggiori possibilità di più
elevati livelli di salario. Mentre nella seconda metà degli anni '80 gli inserimenti lavorativi per gruppi
('gruppi nell'industria' e 'squadra mobile di lavoro') rappresentavano il 40% del totale degli inserimenti,
nel 1993 tali modalità rappresentavano solo più il 21%.
2.3.
Aspetti quantitativi ed elementi critici
Di Leo (1999) riferisce che nel 1993 il numero di agenzie impegnate in programmi di 'supported
employment' negli U.S.A. era pari a 3.739. Lo sviluppo del programma di 'supported employment' è
stato molto intenso se si considera che nel 1986 il numero di persone con disabilità inserite in aziende
34
era di circa 10.000 e dieci anni dopo, nel 1996, tale numero era cresciuto di quindici volte fino a
150.000.
Wehman e Revell (1997) riferiscono che in una ricerca condotta nel 1993 in 50 stati degli U.S.A. le
persone con disabilità inserite in aziende nel mercato aperto del lavoro erano pari a 105.000. Dalla
ricerca emerse che il 78% dei partecipanti a programmi di 'supported employment' era costituito da
persone con insufficienza intellettiva come primaria condizione di disabilità ed il 19% dei partecipanti
era costituito da persone con disturbi psichiatrici. Nell'ambito del gruppo di persone con insufficienza
intellettiva, il 41.7% era caratterizzato da un moderato grado di insufficienza intellettiva ed il 12.9% da
un severo o profondo grado di insufficienza intellettiva. Dalla medesima ricerca emergeva che il salario
medio dei lavoratori con disabilità ammontava a $107.10 alla settimana.
A distanza di 20 anni dall'inizio delle prime esperienze di 'supported employment', nuove idee e
sviluppi continuano a caratterizzare il panorama Americano nel settore dell'integrazione economica di
persone con disabilità.
Recentemente esperti hanno introdotto il concetto di 'autodeterminazione' [self-determination]. In
base a questa idea le persone con disabilità dovrebbero essere aiutate a sviluppare una propria idea sul
proprio futuro professionale, piuttosto che essere 'meccanicamente' abbinate ad un lavoro. Il loro primo
lavoro, per esempio, non dovrebbe essere considerato un traguardo. Al contrario, esso dovrebbe essere
considerato un punto di partenza a cui dovrebbe seguire la possibilità per il soggetto di esplorare
ulteriori opportunità lavorative e di compiere quindi delle scelte sulla base delle proprie capacità,
interessi ed esperienze maturate. Izzo et al. (1998) sottolineano che il raggiungimento di una posizione
lavorativa può avere un significato positivo per il neo lavoratore solo nella misura in cui l'obiettivo
occupazione è stato raggiunto con la partecipazione attiva del soggetto e non per l'intervento puramente
esterno di uno specialista.
Sin dall'origine 'supported employment' si caratterizzò per il ruolo giocato dagli 'specialisti del
lavoro'. Le persone con disabilità imparavano infatti il lavoro da questi 'istruttori del lavoro' [job
coach], piuttosto che dai colleghi di lavoro in azienda. A partire dalla fine degli anni '80, tuttavia, è in
corso un dibattito sulla opportunità di mantenere o meno tale metodologia. Alcuni esperti infatti
sottolineano controindicazioni per la presenza costante e prolungata nel tempo di uno 'specialista del
lavoro' a fianco del neo lavoratore con disabilità. Per esempio tale presenza potrebbe ritardare ed
ostacolare una reale integrazione del lavoratore con disabilità con i colleghi in azienda. Unger et al.
(1998) e Di Leo (1999) ritengono che il supporto al lavoratore con disabilità da parte dei colleghi di
lavoro, anziché da parte dello 'specialista del lavoro', sarà un elemento chiave nello sviluppo dei
programmi di 'supported employment' nell'immediato futuro.
35
3. I SERVIZI DI INSERIMENTO LAVORATIVO
IN PROVINCIA DI CUNEO:
I servizi per l'inserimento lavorativo in Provincia di Cuneo sono generalmente organizzati da
servizi sanitari e da strutture socio assistenziali, comunali o consortili o di altri enti locali.
La Provincia di Cuneo, dal 1996, ha attivato un coordinamento provinciale tra operatori che si
occupano della formazione e dell'inserimento lavorativo dei disabili su tutto il territorio.
Dal marzo 1999 questa attività si è maggiormente strutturata, anche attraverso una convenzione
con la Cooperativa ORSO, con un operatore incaricato per questo specifico progetto. L'obiettivo di
questo coordinamento fa riferimento all'occasione di confronto e discussione tra chi, da anni, opera
nello stesso settore in territori diversi; alla possibilità di promuovere iniziative comuni di
sensibilizzazione sulle tematiche specifiche; alla diffusione, allo scambio e alla condivisione delle
informazioni e delle esperienze.
La Provincia ha inoltre, l'opportunità in tale ambito, di raccogliere suggerimenti e proposte su
progetti di incentivazione e promozione rivolti alle aziende del territorio provinciale rispetto ad una
disponibilità ad aderire a percorsi di accompagnamento al lavoro per disabili realizzati dai vari Servizi
territoriali e di perseguire il compito di indirizzo e di coordinamento istituzionalmente assegnatole.
Il coordinamento provinciale degli operatori SIL ha promosso nel giugno 1999 un'indagine
conoscitiva rispetto ai Servizi di formazione e inserimento lavorativo rivolti alle persone disabili
presenti sul territorio provinciale i cui risultati sono stati resi noti nel Convegno dell'ottobre 1999. Da
questa indagine emerge che:
L'attività dei servizi per la formazione e l'inserimento lavorativo dei disabili nella provincia di
Cuneo si è avviata dagli anni '80, soprattutto nell'ambito delle Agenzie formative, con la
sperimentazione dello stage, mentre i servizi preposti all'inserimento lavorativo dei disabili,
attualmente nel contesto di Consorzi e Comunità Montane, CILO e ASL, sono stati attivati
all'inizio degli anni 90.
La professionalità degli operatori incaricati in questi Servizi fa riferimento, soprattutto alla figura
dell'educatore professionale e, talvolta allo psicologo, con un impegno orario di part-time o fulltime, a seconda delle risorse: in totale risultano impegnati 30 operatori, di cui alcuni inseriti in Enti
pubblici e, la minoranza, nel settore del privato sociale.
Gli strumenti a disposizione del SIL sono i tirocini con borsa lavoro presso le aziende pubbliche e
private, che danno la disponibilità per un inserimento di alcuni mesi, con copertura assicurativa ed
indennizzo da parte del SIL e sostegno da parte dell'operatore specializzato.
La tipologia prevalente delle persone conosciute fa riferimento: per 6 dei Servizi alla sfera
psichica,. per 4 alla disabilità sia fisica che sensoriale e psichica, 2 all'ambito dei Servizi
psichiatrici.
I soggetti destinatari, dall'inizio degli anni '90, risultano 609 persone seguite in più percorsi,
progetti formativi o progetti di mediazione, di questi, 192 sono confluiti in effettivo ambito
lavorativo con assunzione in aziende, Enti pubblici e privato sociale.
4. LA FIGURA DEL TUTOR IN UN SIL DELLA PROVINCIA DI CUNEO
Le modalità d’intervento dell’operatore della mediazione in ambito lavorativo, come si desume
dallo sguardo d’insieme dato in apertura di capitolo, possono essere estremamente differenti. Le pagine
che seguono riportano la metodologia adottata da un SIL della Provincia di Cuneo, il SIL del Consorzio
Monviso Solidale, illustrata (cit.Convegno,1999) dal suo referente Pierluigi Bollati.
36
4.1. Profilo dell’operatore SIL
Il profilo dell'operatore SIL è di alto livello: la qualità ed il grado di penetrazione del servizio sono
fortemente legati alla credibilità del servizio nel suo complesso e del contesto istituzionale in cui è
inserito, ma, specialmente, alla figura professionale cui è affidato il compito di condurre l'attività.
L'operatore dei nostri servizi, fino ad ora, non avendo alcun ruolo istituzionale, non può accedere a
nessun tipo di informazione. Deve indagare per conto proprio, con tutte le difficoltà che si può
immaginare, sull'esistenza di aziende con l'obbligo e/o la disponibilità dell'assunzione o l'inserimento
per un tirocinio di persone con difficoltà. Le aziende stesse inizialmente diffidano, ed è comprensibile,
e sul fronte occupazionale tendono a limitarsi ad eseguire ciò che la legge impone loro temendo
ulteriori gravami che possono incidere sul costo del lavoro. E' giunto il momento, ci auguriamo, con
l'applicazione della legge 68, che i servizi come i nostri, che operano anche sull'orientamento e
sull'inserimento mirato, escano da una condizione di intervento accessorio per assumere un ruolo
centrale ai fini dell'inserimento lavorativo dei soggetti deboli.
Essendo, poi, un lavoratore d'un servizio pubblico, l'educatore professionale SIL è tenuto,
logicamente, al rispetto di alcuni principi fondamentali, quali la gratuità del servizio, la volontarietà
della partecipazione e della collaborazione delle aziende e lavoratori, la trasparenza del proprio operato
(ciò che fa l'operatore è visibile e controllabile) e la riservatezza delle informazioni acquisite.
4.2. Modalità d'intervento dell'operatore di mediazione:
4.2.1. Conoscenza
L’operatore di mediazione deve sviluppare una conoscenza:
della persona in collaborazione con l'assistente sociale.
E' essenziale una buona conoscenza della persona, del contesto familiare, dell'iter formativo, delle
eventuali esperienze lavorative o di stage in ambito formativo, delle aspettative della persona e della
famiglia, delle eventuali risorse a disposizione della famiglia stessa. Per una migliore conoscenza della
persona e del quadro complessivo nel quale vive, in genere si fa precedere alla presa incarica vera e
propria, un periodo di consulenza e di orientamento al lavoro per saggiare le reali intenzioni della
persona, le aspettative sue e della famiglia, le risorse proprie nella ricerca autonoma del lavoro.
In questo periodo l'educatore professionale chiede colloqui ed offre consulenza sulle modalità di
approccio al mondo del lavoro: utilizzo degli strumenti disponibili, ufficio di collocamento,
informalavoro, periodici locali, messaggi informali...; modalità di presentazione delle domande di
lavoro e corretta interpretazione delle offerte. Siccome si lavora per l'autonomia della persona, si
interviene con un progetto di tirocinio solo se la consulenza risulta insufficiente.
della famiglia.
Questo è uno dei nodi più critici perchè spesso noi operatori abbiamo la tendenza a saltare le tappe. Ci
pare di aver individuato il percorso formativo d'una persona e vogliamo partire senza preoccuparci che
la famiglia condivida il progetto. Bisogna attivare l'arte della pazienza e mai cadere nella tentazione
dell'infallibilità, altrimenti i rischi di fallimento sono troppo elevati. E' bello, anche se a volte niente
affatto facile, condividere con i famigliari della persona in difficoltà progetti, esperienze positive e
negative, ansie, delusioni e soddisfazioni.
37
dell'azienda (ed abbinamento).
La conoscenza dell'azienda dev'essere preceduta da una indagine a largo raggio della realtà produttiva
locale, delle tendenze occupazionali in atto, delle prospettive a breve e medio termine per giungere alla
conoscenza specifica della singola azienda con le sue peculiarità produttive, con la sua organizzazione
interna, con la sua collocazione ambientale. Il tam tam tra gli imprenditori è particolarmente efficace ed
è importante che l'immagine del servizio sia positiva.
4.2.2. Definizione del progetto
Esso deve essere chiaro nelle finalità, nelle modalità di attuazione, nei tempi, nella scadenza, negli orari
, nelle mansioni, nel ruolo del referente aziendale, in modo che tutti abbiano ben chiaro da dove si parte
e quale obiettivo si vuole raggiungere:
contrattazione con l'azienda e convenzione
progetto per periodi brevi
coinvolgimento del referente aziendale
accompagnare le persona a conoscere l'ambiente di lavoro: qui il referente aziendale può svolgere
un ruolo importante. Può assumere un ruolo importante anche il rappresentante sindacale perchè
può preparare bene i colleghi di lavoro
4.2.3. Inizio del lavoro
Sostegno iniziale: accompagnamento sul luogo di lavoro, anche per tranquillizzare il referente
aziendale. Se quest'ultimo lo ritiene utile, fermarsi alcune ore nell'ambiente di lavoro per facilitare
l'ambientamento.
Monitoraggio periodico: con attenzione al grado di inserimento alle difformità anche minime
rispetto al progetto definito ed interpretazione dell'importanza della difformità. Consulenza al
referente aziendale e sostegno al lavoratore.
Verifiche: attenersi alla periodicità stabilità
Fase del distacco: se l'inserimento funziona si deve prevedere una diluizione degli interventi.
Intervento in caso di problemi:
> disponibilità del servizio
> colloqui nel o fuori dell'ambiente di lavoro
> rinforzare gli aspetti positivi
> rinforzare il ruolo del datore di lavoro e del referente aziendale
> sostegno da parte dell'educatore alla persona inserita nell'esercizio delle sue
mansioni per verificare le sue competenze, per sostenere il lavoratore ed il referente aziendale
> sospensione dell'inserimento in caso di incompatibilità.
4.2.4. Conclusione con opzioni:
> Cambio sede
> Proroga con cambio obiettivo
38
> Assunzione
> Sospensione del caso
In caso di assunzione:
> Diamo assistenza all'azienda
> Continuiamo a dare disponibilità, sia alla persona assunta, sia alla famiglia, sia in caso di crisi,
all'azienda.
In caso di sospensione della presa in carico da parte del S.I.L.:
> relazione all'assistente sociale.
4.3. Ruolo dell'educatore professionale quale operatore di mediazione.
Competenza educativa.
Al di là dell'evoluzione che avrà la nuova legge sull'inserimento lavorativo degli invadi civili, su un
aspetto, in particolare, i servizi di inserimento lavorativo devono difendere la propria autonomia di
ruolo. Per propria specificità il nostro servizio deve avere un impostazione chiaramente educativa e gli
educatori professionali non possono derogare da questa loro specificità.
Competenza assistenziale.
Il fatto per cui il servizio inserimenti lavorativi è inserito in una struttura socio assistenziale ci impone
un altro ruolo fondamentale che è il dovere di occuparci soprattutto delle fasce più deboli della società
e, quindi, per quel che riguarda gli invalidi civili, quelli, in particolare gli psichici, che hanno meno
chances da giocare, talvolta, purtroppo, per paure indebite e preconcetti.
Competenze che esorbitano dal vero indirizzo educativo assistenziale dell'educatore.
> Di ricerca risorse.
Questa è un'attività sicuramente interessante perchè ci consente di mantenere costanti rapporti con
il mondo produttivo, ma comporta una mole di lavoro considerevole, sia che si utilizzino forme di
censimento collettivo, quale la ricerca che abbiamo svolto nel S.I.L. del consorzio Monviso
Solidale, sia che si svolgano ricerche mirate avendo come obiettivo una persona precisa da inserire
con le sue specificità. Dove ricercare le risorse? Innanzitutto presso le aziende tenute ad assumere
invalidi civili, ma non solo, perchè il nostro servizio non lavora esclusivamente in funzione
dell'assunzione, anzi, essendo un servizio educativo, si ricercano anche aziende disponibili ad un
periodo di verifica delle capacità lavorative. Al termine di questo periodo, si è in grado di valutare
con conoscenza di causa il successivo percorso adatto alla persona, vale a dire se è opportuno
cambiare l'ambito lavorativo e le modalità di attuazione del tirocinio, se è ancora necessario un
percorso formativo o se, addirittura, è preferibile un intervento diverso, non ancora proiettato nella
ricerca d'uno sbocco lavorativo.
> Di rassicurazione e mediazione all'interno dell'azienda.
All'interno dell'azienda è importantissimo trovare un referente, responsabile dell'azienda, del
reparto e dell'unità produttiva o un collega di lavoro che assuma il ruolo da un lato di facilitatore
dell'inserimento e dall'altro punto di riferimento del nostro servizio all'interno dell'azienda. Un
bravo referente aziendale impedisce che la persona inserita venga vissuta come il capro espiatorio
delle magagne presenti in azienda, aiuta il tirocinante ad assumersi lo status di lavoratore ed a
crearsi uno spazio autonomo, a formarsi delle amicizie, a saper correttamente utilizzare le strutture
nei modi e nei tempi corretti, si immedesima, in definitiva nella persona che arriva nuova in
un'azienda ed deve inserirsi, magari non conoscendo nessuno o fors'anche aver mai lavorato. Per i
nostri operatori il referente aziendale può interpretare il ruolo di figura di riferimento alla quale
chiedere tutte le informazioni sull'andamento dell'inserimento, fornire i suggerimenti utili per il
39
superamento di eventuali ostacoli, dare chiavi di lettura di eventuali comportamenti difficili da
interpretare e specialmente valutare assieme le reali capacità lavorative della persona.
> Di mediazione tra l'azienda e la persona inserita.
Compito dell'educatore è di far emergere, utilizzando il periodo di inserimento lavorativo con
tirocinio del candidato lavoratore, gli spazi operativi e professionali, alcune volte considerati
marginali all'interno dell'azienda, ma che, in ogni caso occupano spazio-tempo a professionalità più
specifiche od elaborate. Quest'insieme di scampoli di attività possono trasformarsi in ipotesi di
posto lavoro: se poi questo potrà essere anche trasformato in assunzione dipende da tanti e
complessi fattori. La disponibilità dell'azienda ad un inserimento lavorativo in situazione di
tirocinio può dipendere, oltre che dall'abilità di convinzione dei nostri operatori, dalla presa d'atto
da parte del datore di lavoro o del responsabile del personale dell'impossibilità a svolgere una serie
di attività con l'organico in servizio. Compito dell'educatore è elaborare con il responsabile
dell'azienda o del reparto i tipi ed i volumi delle attività da svolgere per valutare assieme, in ruolo
di rispettosa negoziazione, le capacità ed abilità specifiche necessarie al candidato per inserirsi
opportunamente nel ciclo produttivo e, quindi, essere una risorsa per l'azienda. Esiste nella nostra
zona, da parte delle aziende, che sono in prevalenza di piccola o media dimensione, una difficoltà,
rilevata anche nell'indagine effettuata dal nostro servizio, ad individuare i compiti da affidare ad un
candidato lavoratore specie se invalido, e le competenze richieste al candidato.
> Di mediazione tra l'azienda e l'apparato burocratico.
Questo è un ruolo ostico a tutti, ma i nostri operatori non disdegnano questa incombenza, purché ci
sia disponibilità di collaborazione. Ci si augura che il ruolo dei nostri servizi sia preso nella giusta
considerazione perchè, in questo momento ci si deve affidare alla buona volontà e disponibilità, da
parte degli operatori dell'Ufficio Provinciale del Lavoro, mancando del tutto il riconoscimento
formale dei nostri servizi.
> Di mediazione tra l'invalido e la famiglia.
Tra le mansioni dell'educatore professionale dev'essere data comunque, ancora la precedenza al
rapporto con la persona con difficoltà ed alla sua famiglia. Anche la comunicazione con questi
ultimi presenta seri problemi, in particolare per ciò che riguarda le aspettative in merito alle
mansioni attese e la presa d'atto delle competenze previste per tale mansione, tenendo conto delle
reali difficoltà.
Tutto questo comporta una serie di competenze multiprofessionali e la conoscenza di tecniche
specifiche. L'educatore professionale deve avere conoscenze in merito all'organizzazione del lavoro, dei
profili professionali ricorrenti, deve saper individuare le fonti per conoscerne altri. Sono necessarie
tecniche per saper verificare la corrispondenza dei requisiti funzionali all'azienda e quelli posseduti, o
che può acquisire, il candidato lavoratore.
Deve conoscere le tecniche di selezione del personale, deve padroneggiare le modalità volte
all'incoraggiamento e/o scoraggiamento, avere competenze informatiche, gestionali, di politica attiva
del lavoro e capacità di verificare l'efficacia e l'efficienza della propria azione.
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CUCINA ITALO-AMERICANA
Associazione Nazionale Persone Down e McDonald's Fooditalia - ROMA
Come può reagire un'azienda che incontra serie difficoltà con i lavoratori inviatigli dall'ufficio di
collocamento obbligatorio? C'è un sistema, applicato da un'azienda privata di ristorazione veloce, la
McDonald's FoodItalia di Roma, che consiste nell'individuare al proprio interno un dipendente che
svolga, con i soggetti svantaggiati, le funzioni del tutor. Ne parlo con Giovanni Lodico, che riveste
appunto questo incarico di allenatore al lavoro o JOB COACH nell'azienda.
Nella città di Roma ci sono 35 locali della McDonald's, dati in licenza ad aziende private. La
FoodItalia, mi spiega Lodico, è il maggior locatario della McDonald's e gestisce 5 locali ubicati nei
punti strategici della città, l'azienda ha raggiunto nel momento di maggior espansione i 500
dipendenti. Il locale di Piazza di Spagna, il primo McDonald's aperto in Italia nel 1986, conta da solo
oltre 100 dipendenti. Era circa l'Ottobre del '94 quando l'Associazione persone Down ci proponeva
l'assunzione di un lavoratore Down. Dal '94 ad oggi il nostro sistema di inserimento si è perfezionato e
personalizzato al punto che all'interno delle nostre strutture lavorano 6 ragazzi Down e 6 ragazzi con
ritardo mentale medio. Abbiamo mantenuto un rapporto privilegiato con l'Associazione persone Down,
che ci invia personale già selezionato, e ci fornisce supporto in alcune nostre difficoltà. Gli altri
lavoratori con ritardo mentale ci sono stati inviati dall'Ufficio di Collocamento.
Come è organizzato il percorso di inserimento del lavoratore con handicap?
Il lavoratore è assunto da subito con contratto di formazione part-time. Solitamente al lavoratore
svantaggiato viene assegnata la fascia oraria compresa tra le 10,30 e le 14,30. La nostra formazione
avviene dal primo giorno nel luogo di lavoro. Me ne occupo direttamente sia dando dimostrazione
pratica di come si svolgono le varie mansioni, sia avviando i ragazzi alla conoscenza del luogo di
lavoro in senso relazionale e gerarchico-funzionale con i colleghi e i superiori. Nei nostri locali i
lavoratori ruotano sulle varie mansioni per evitare di annoiarsi con lavori ripetitivi, questo avviene
anche con i ragazzi con handicap. E' importante dopo il raggiungimento dell'autonomia, mantenere
viva la motivazione del lavoratore, provvedendo ad una formazione permanente ed insegnando
periodicamente qualcosa di nuovo. Dopo l'avviamento del lavoratore, visito ogni settimana il locale e
sono sempre presente in caso di bisogno.
L'espressione job coach fa pensare all'esperienza americana di "supported employement". Avete
fatto riferimento ad un modello specifico di inserimenti lavorativi?
Non abbiamo trovato molto materiale sull'argomento e ci siamo fatti esperienza da soli, per cui
non so quanto l'analogia con il modello americano vada oltre l'aspetto terminologico.
Come si sono inseriti i lavoratori svantaggiati rispetto ai colleghi e alla clientela.
I nostri lavoratori sono prevalentemente giovani compresi tra i 20 e i 30 anni che hanno avuto
esperienza di integrazione scolastica, questo certamente ha agevolato il crearsi di un buon clima tra
colleghi. Noto nelle persone down una spiccata capacità ad individuare i soggetti affettivamente ed
emotivamente deboli del gruppo. Persone che avrei detto granitiche sono crollate entrando a contatto
con un Down, bisogna anche imparare a gestire certi aspetti relazionali. Devo dire complessivamente
che la presenza di queste persone ha aiutato nell'ambiente lavorativo a smussare molti angoli e a
creare un'armonia di fondo. Molti dei colleghi sono diventati amici, spesso escono insieme per
mangiare una pizza o per chiaccherare. Anche la nostra clientela è prevalentemente giovane,
contrariamente ai luoghi comuni, i giovani sono meno intolleranti se capita di essere serviti con un po'
di ritardo, mentre gli adulti hanno più fretta.
Come valuta la possibilità di inserimento di una persona con malattia mentale?
Abbiamo cominciato l'esperienza dell'inserimento cercando di non "bruciarci" subito con soggetti
troppo difficili, la partenza con persone down, specialmente quelli seguiti dall'Associazione, ci ha
avvantaggiato perchè sono persone già abituate a vivere in un contesto di relazioni. Nelle persone con
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ritardo mentale da noi inserite, si associano maggiormente problemi psicologici ed aggressività che è
quella che spaventa. Le persone con problemi psicologici richiedono tempi più lunghi di affiancamento
e quindi maggiori costi per l'azienda. Ora che la nostra esperienza si è consolidata si potrebbe
sperimentare l'inserimento di un malato di mente, ma i costi sono troppi elevati perchè se ne possa fare
carico l'azienda.
Estraggo dalla mia cartella un articolo del '94 riguardante un'esperienza di stage di cinque ragazzi
con sindrome Down in Finsiel, un'azienda romana leader in sistemi informatici (L.Saibene, Famiglia
Cristiana, n.44 1994), esperienza realizzatasi in collaborazione con l'Associazione persone Down.
Lodico riconosce Francesco in una delle foto. E' con lui che abbiamo iniziato il primo inserimento
lavorativo, quando nessun genitore pensava che il proprio figlio fosse in grado di riuscire in
un'esperienza così, sua madre ha avuto il coraggio di crederci. Oggi invece avremmo tantissime
richieste che non riusciamo a soddisfare.
Ringrazio Giovanni Lodico per la sua disponibilità e mi appresto a consumare un pasto itinerante
nei McDonald's della città.
Due hamburger a Piazza di Spagna. I clienti si accalcano contro i banconi che separano il locale
dalla zona cucina. Ad un tavolo dietro il bancone, un ragazzo Down prepara dei panini insieme ad un
collega. Si parlano, sembrano scherzare, ma le mani che confezionano i cibi non si fermano mai. Non
mi permetto di distogliere nessuno dalle proprie mansioni in quest'ora di punta, nè di fare delle foto per
le quali è richiesta una specifica autorizzazione della direzione centrale dell'azienda.
Una torta calda vicino a stazione Termini. Un ragazzo Down si alterna con altri due colleghi ai
quattro forni, dotati di una grande piastra incandescente che si cala su porzioni di carne tritata
congelata. Scene di vita quotidiana, nessun avventore sembra cogliere ciò che io sto osservando.
Un thè freddo in un'altra Piazza della Roma storica. Sono quasi le 14,30 e Francesco sta
terminando il suo turno, finisce di asciugare dei vassoi poi si mette al rubinetto delle bibite e riempie i
bicchieri. Mi sembra di umore un po' cupo e ad un certo punto borbotta qualcosa tra sé. Si illumina
quando mi presento chiedendo se è lui il soggetto raffigurato nella foto. Lo accompagno fino a casa
cambiando due autobus della linea cittadina. Dà l'impressione di conoscere molta gente sul percorso di
ritorno, non fa fatica a mettersi in relazione, si propone con slancio per tenere la borsa alla signora
seduta davanti a sé, quando vede che vuole riporvi l'impermeabile. Salgo a portare un saluto alla
mamma la quale mi parla dell'importanza di questo lavoro per suo figlio e di alcune difficoltà che
attraversa. Mi racconta anche della scelta di Francesco di andare a vivere in una comunità alloggio al
fine di sperimentare una maggiore autonomia, scelta vissuta con entusiasmo da Francesco e da lei con
un po' più d'apprensione.
Mi appresto ad effettuare l'ultima tappa del mio tour romano, l'Associazione Nazionale persone
Down (fondata nel '79, 4.000 soci ordinari, innumerevoli soci collaboratori e 25 sedi in tutta Italia), che
ha avuto un ruolo fondamentale nella riuscita degli inserimenti lavorativi.
L'inserimento alla McDonald's presenta alcuni elementi facilitanti mi spiega la Coordinatrice
Nazionale dell'Associazione, Anna Contardi, cioè la presenza: 1) di ruoli gerarchici molto chiari,
rinforzati dalla presenza della divisa differenziata in base al ruolo. 2) Facilità ad identificarsi nel
concetto dell'azienda. 3) Schematicità del percorso di formazione, contenuto in un manuale che
insegna nei dettagli le operazioni proprie di ogni postazione. Volli leggerlo per semplificarlo
eventualmente, ma era già molto chiaro. 4) Ambiente giovane e scherzoso.
All'inizio proponemmo alla McDonald's di fare dei tirocini, ma loro vollero assumere con
contratto di formazione 20 ore. Nei primi mesi mi chiamarono per Francesco, guardava spesso
l'orologio, temevano di essere stati troppo esigenti nei suoi confronti. In realtà questo segnale era
frainteso, era solo il suo modo di reagire quando non ricevendo indicazione faceva pause troppo
lunghe. Dopo circa un anno insieme al capo del personale abbiamo pensato di individuare una
persona dell'azienda che si occupasse di seguire gli inserimenti. Una persona che avesse le attitudini,
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che fosse al livello di manager (livello intermedio), e non dipendesse gerarchicamente dai direttori dei
locali ma direttamente dal capo del personale.
Che dire di Francesco, il precursore, che oggi ho accompagnato a casa.
Francesco è cresciuto moltissimo, ha buone capacità ma per certi aspetti caratteriali non è molto
indicato per questo tipo di lavoro, soprattutto nei rapporti gerarchici . Diciamo che riconosce
l'autorevolezza ma non l'autorità. Una cosa ad esempio non ha mai capito e lo ha fatto arrabbiare
moltissimo, cioè la regola di buttare via i cibi non consumati entro un certo numero di minuti, perchè
non gli permette di portarli a casa sua per darli ai cani randagi.
Certo, immaginare un posto per tutti richiede una buone dose di esperienza, criticità adulta, ma
anche un'infantile capacità di visione come ci insegna l'incontenibile menestrello, Roberto Benigni, in
una lettera inviata nel '92 all'Associazione persone Down: ...Vorrei ricordarvi per iscritto quanto siete
stati importanti per me e l'emozione che ho provato quando mi avete presentato Alessandro, che poi è
diventato il coprotagonista del mio film "Jonny Stecchino". Il successo popolare che il film ha avuto in
Italia e poi nel resto del mondo vi fa capire quanto io debba in primo luogo ad Alessandro e quindi
alla vostra Associazione tutta........Quando mi avete presentato Alessandro ho subito capito che la
personalità del protagonista del film Dante (che poi sono io), doveva essere simile alla sua:
completamente libero, puro e scaltro, innocente e furbissimo, con lo sguardo pieno di meraviglia e
d'abbandono sul mondo ma che ti lascia sempre addosso il dubbio che la sappia più lunga di chiunque
altro......Mi è capitato spessissimo di imitarlo, di seguire i suoi tempi comici (e drammatici) di
scegliere un ciak invece di un altro secondo il suo consiglio.....Anche quando ti chiamavo sul set
(Alessandro) tu mi rispondevi: "ora no, devo finire il mio cappuccino!" Anche questo ho imparato da
te, l'ho fatto anch'io nel mio ultimo film che ho appena finito di girare con gli americani e funzionava.
Invece di correre nervoso mi finivo il mio cappuccino e poi lavoravo meglio....Se avete bisogno di me,
cara Associazione, telefonatemi (non alle nove perchè sto prendendo il cappuccino).
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CONCLUSIONI
La realizzazione di macchine in grado di utilizzare l'energia disponibile in natura per produrre beni
di consumo, ha radicalmente mutato il tessuto economico-produttivo della società, dando il via alla
cosiddetta rivoluzione industriale. La progressiva frammentazione e specializzazione del lavoro umano
nell'industria trova nel modello fordista la forma vincente, consentendo economie di scala in un
contesto di mercato che sembrava essere illimitato. Negli anni Settanta , la crisi petrolifera condiziona il
grande mercato mondiale dell'auto determinando l'affermarsi dal Sol Levante di una nuova filosofia
produttiva che ha riscoperto la concezione del limite. Questa filosofia, denominata "pensiero snello" si
presenta in controtendenza rispetto al precedente modello della produzione di massa.
La proposta globale che emerge fa riferimento al principio della "rimozione delle cause" secondo
cui, per produrre un miglioramento continuo, occorre evidenziare i problemi e rimuoverli. Le scorte
sono la droga della produzione, servono per nascondere i problemi e ci spingono a continui aumenti di
dose perchè non bastano mai. L'operaio ha il diritto-dovere di fermare la catena produttiva quando
riscontra un'imperfezione senza rimandare l'intervento ad un momento successivo, è tenuto inoltre ad
individuare le cause reali di un problema chiedendosi cinque volte perchè. Anche se una mansione può
essere svolta da una sola persona, è opportuno che attorno ad essa ruotino cinque o sei operai, in modo
da permettere il lavoro di squadra, creare un ambiente sensibile ai bisogni umani favorisce infatti
l'ottimizzazione del personale permettendo di ricorrere a meno lavoratori.
In Italia la discussione sul modello produttivo giapponese è giunta tardi, sull'onda dell'intervento
dell'amministratore Fiat, Cesare Romiti, alla Convention di Marentino nel 1989 da cui deriveranno
scelte operative di ampia portata.
La centralità della persona e dei suoi aspetti motivazionali, nel porsi coerentemente obiettivi di
miglioramento continuo, è tale da indurci a riconsiderare il ruolo positivo svolto dall'handicappato
intellettivo nell'ambiente di lavoro. L'inserimento del soggetto svantaggiato, sia esso insufficiente
intellettivo o malato mentale, è in controtendenza rispetto a quelli che sembrano essere i legittimi
interessi aziendali, e chiede di essere sperimentato per dimostrare la sua efficacia. La capacità di
mettersi affettivamente in gioco, la richiesta di chiarezza e semplicità, la creatività e l'imprevedibilità
che talvolta contraddistinguono le persone con handicap intellettivo, inducono i componenti la
"squadra" a porre maggiore attenzione alla propria integrità fisica, cognitiva, emotiva e professionale.
La vicinanza dei disabili della mente ha un rilievo particolare, perchè la nostra mente ospita stranieri,
entro i suoi così incerti confini. La distanza tra “noi” e “loro” a cui sembra alludere il titolo, “Stranieri
della mente”, ci riconduce piuttosto ad intraprendere una miglior conoscenza di noi stessi.
L’evolversi della normativa sull’inserimento lavorativo, riflette la maturazione del contesto di
relazioni industriali. La legge 482, che applicava il principio fordista dell’intercambiabilità dell’operaio
in riferimento all’inserimento lavorativo del disabile, ha lasciato il posto ad una legge, (legge 68/99),
che tiene conto della specificità di ciascun individuo e lo indirizza attraverso un percorso mirato.
L’inserimento di persone con ridotte capacità lavorative potrà ricevere adeguato supporto in
termini di incentivi economici, razionalizzando il sistema di accertamento della disabilità in modo da
permettere la definizione di profili professionali dei soggetti svantaggiati. Da segnalare l’esperienza
della Coop.CILS di Cesena, in convenzione con la ditta Mareco, in relazione al periodo di formazione
del disabile previsto dalla legge 68/99.
Questi due mondi, il mondo del lavoro e quello della disabilità richiedono un’opera di mediazione
condotta con professionalità. L’educatore professionale, inserito nei Servizi di Inserimento Lavorativo,
arricchito di specifiche competenze richieste dalle mansioni svolte, può essere efficace agente di
cambiamento nella misura in cui , soprattutto, riconosce e valorizza l’agente primario di cambiamento
che è il disabile stesso.
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BIBLIOGRAFIA
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ed.Paoline
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- Womack e Jones, (1997) Lean thinking, Milano, Guerrini e Associati
-Zischka Anton (1935) la guerra segreta per il cotone,Milano, Bompiani
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INDICE
Prefazione di Antonio Degiacomi
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Presentazione
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Capitolo 1
IL LAVORO NELL’ERA INDUSTRIALE
Modelli di organizzazione industriale e ruolo dei lavoratori
1. Dal lavoro a domicilio alla fabbrica accentrata
2. L'industria automobilistica, caposcuola dell'industria moderna
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2.1. La produzione artigianale
2.2. La produzione di massa
2.3. La produzione snella
2.3. 1. Il mercato
2.3. 2. Le comunicazioni interne
2.3. 3. Il just in time
2.3. 4. L'autoattivazione
2.3. 5. I cinque perchè
2.3. 6. L'organizzazione del personale
2.3. 7. La ricerca della qualità
2.3. 8. I circoli della qualità
2.3. 9. La strategia complessiva:
la rimozione delle cause
2.3.10. Verso quale società?
3. Riferimenti alla realtà locale ed Italiana
4. La festa della qualità - Gammastamp di Vercelli
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Capitolo 2
LA PERSONA CON HANDICAP NEL MONDO DEL LAVORO
1. Il significato di una presenza
1.1. L'esperienza scolastica
1.2. L'agente del cambiamento
2. La normativa
2.1. Il contesto normativo
2.2. La legge 68/99
2.3. L'accertamento della capacità lavorativa
3. La posizione degli Imprenditori
4. In fabbrica o in cooperativa ? Meglio tutte e due
Coop.C.I.L.S. e Mareco Luce di Cesena
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Capitolo 3
I SERVIZI DI INSERIMENTO LAVORATIVO
1. Sguardo d'insieme - Una ricerca dell'Università di Dublino
2. Il modello Americano
2.1. Origini
2.2. Caratteristiche fondamentali
2.3. Aspetti quantitativi e elementi critici
3. I Servizi di inserimento lavorativo in Provincia di Cuneo
4. La figura del tutor in un SIL della Provincia di Cuneo
4.1. Profilo dell’operatore SIL
4.2. Modalità d'intervento dell'operatore di mediazione
4.2.1. Conoscenza
4.2.2. Definizione del progetto
4.2.3. Inizio del lavoro
4.2.4. Conclusioni con opzioni
4.3. Ruolo dell'educatore professionale quale operatore di
mediazione
5. Cucina italo-americana
Assoc. Nazionale Persone Down e McDonald's FoodItalia - Roma.
Conclusioni
Bibliografia
Allegato n.1
Art.12 della Legge 68/99
Allegato n.2
Convenzione per i servizi svolti presso lo stabilimento Mareco
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