il calcio specchio dell`epoca che viviamo
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il calcio specchio dell`epoca che viviamo
IL CALCIO SPECCHIO DELL'EPOCA CHE VIVIAMO Comunicato numero 1: “S’informa la popolazione che da oggi, 24 marzo 1976, il paese è sotto il controllo operativo della giunta di comandanti generali delle forze armate». Quarant’anni fa gli argentini si svegliarono con questo comunicato ripetuto a catena su scala nazionale dal primo mattino. Era la fine del breve ritorno alla democrazia del 1973 e l’inizio della dittatura militare. Da qualche giorno si registravano movimenti anomali nelle caserme e sui principali quotidiani uscivano inserzioni anonime che incoraggiavano i militari a prendere in mano i destini della repubblica. Il governo di Isabelita (Isabel Martínez de Perón) - la vedova del generale morto nel 1974, divenuta presidentessa dopo la morte del marito Juan Domingo Perón tornato trionfalmente dall’esilio tre anni prima - fu rovesciato dai militari. Una volta assunto il potere i generali affermarono di aver salvato la nazione dalla «dissoluzione e dall’anarchia» e di aver assunto la conduzione dello stato in ottemperanza delle loro «obbligazioni permanenti». Ciò di cui l’Argentina aveva bisogno – secondo i militari - era una riorganizzazione fondamentale della vita economica, sociale e politica. Essi battezzarono questo compito come Proceso de Reorganización Nacional. Non a caso si proposero il raggiungimento di tre obiettivi fondamentali: eliminare la minaccia sovversiva, sopprimere la corruzione e superare il caos economico. L’ambizione di lungo periodo era invece quella di trasformare le basi stesse della società argentina attraverso una “rivoluzione rigeneratrice”. Il programma di “riorganizzazione” prevedeva innanzitutto una dura politica di repressione, denominata “guerra sporca”. All’alba del 24 marzo 1976 furono occupate radio e televisioni, i carri armati presero possesso delle strade, la presidentessa venne arrestata insieme a ministri e dirigenti politici mentre cominciavano a circolare macchine senza targa della polizia politica alla caccia di potenziali “sovversivi”: sindacalisti, operatori sociali, professori universitari, intellettuali, semplici cittadini impegnati in politica. Non è superfluo ricordare che Il "Corriere della Sera", principale organo d’informazione della stampa italiana dell’epoca, mantenne dal 1977 al 1981 una posizione di sostanziale indifferenza nei confronti degli anni più bui della storia argentina recente. L’atteggiamento del quotidiano può essere spiegato considerando il fatto che la tela delle manovre occulte della Loggia P2 si estendeva oltre che al Corriere anche alla stessa Argentina. Autorevoli membri del regime militare argentino, come l’ammiraglio Massera e il generale Suárez Mason, erano iscritti alla loggia di Licio Gelli. Nonostante i suoi precedenti legami con la destra peronista Licio Gelli, che era stato in precedenza accreditato da Isabelita Perón come consigliere economico dell’Ambasciata d’Argentina in Roma, poté rimanere al suo posto dopo il golpe ed incrementare i suoi loschi affari grazie alla protezione dei due gerarchi militari. Con fatica e in ritardo nel 1978 - anno dei mondiali di calcio - si cominciò a capire che, a pochi metri dallo stadio Monumental di Buenos Aires, si stava consumando un dramma che avrebbe inghiottito trentamila persone e spinto altre decine di migliaia all’esilio. Ad alcuni passi da lì infatti era in pieno funzionamento il centro di tortura della Escuela de mecánica de la armada conosciuta internazionalmente come ESMA - che era la scuola per la formazione degli ufficiali della marina argentina di Buenos Aires - ed alcuni chilometri più in la gli aerei gettavano i prigionieri vivi in fondo al mare. La vicenda dei desaparecidos venne alla luce in tutta la sua complessità solo a partire del 1982 e Sandro Pertini, presidente della repubblica italiana, ebbe il merito di essere uno tra i primi leader politici a prenderne atto. S’interessò in WWW.GERICOTV.IT - APPROFONDIMENTI prima persona alla sorte dei desaparecidos e mostrò, in più di un’occasione, sincera commozione nei confronti del dramma vissuto dalle "Madres de Plaza de Mayo". Già prima della sua celebre e ferma protesta del 30 aprile 1983, quando la giunta militare argentina attraverso il "Documento Final" aveva dichiarato tutti morti i desaparecidos per risolvere una volta per tutte la questione, Pertini aveva condannato l’operato della giunta di Videla rifiutandosi di incontrarlo nel corso della sua visita a Roma nel settembre del 1978 in occasione della cerimonia d’investitura di Papa Giovanni Paolo I. Invece, in più di un’occasione, ricevette al Quirinale le " Madres", mostrando nei loro confronti grande rispetto. La finale dei mondiali di calcio del 1978 fu tra Argentina – che vinse la coppa del mondo - ed Olanda. In mezzo al campo i due capitani erano l’olandese Rudolf Jozef "Ruud" Krol e l’argentino Daniel Alberto Passarella. E’ importante innanzitutto ricordare chi in quel momento non c’era. La F.I.F.A. aveva designato come arbitro per quella finale quello che allora era considerato il miglior arbitro in assoluto: Abraham Klein. Un arbitro israeliano che arbitrò importanti incontri di coppa del mondo tra il 1970 e il 1982. Ai campionati del mondo del Messico nel 1970 fu arbitro nella partita tra Inghilterra e Brasile allo stadio di Guadalajara. In Argentina nel 1978 ebbe il non facile compito di arbitrare a Buenos Aires l’incontro tra Italia-Argentina, dove negò un rigore all'Argentina nel corso del primo tempo tra i fischi della tifoseria ospitante, che gli italiani vinsero per uno a zero. A Cordoba arbitrò la partita tra Austria e Germania Ovest e quindi la partita Italia-Brasile per la finale del terzo posto. Per la finale del primo posto gli argentini ricusarono l’arbitro israeliano ed ottennero la designazione dell’italiano Sergio Gonella il cui arbitraggio venne ritenuto dalla critica sportiva insufficiente oltre che essere fortemente contestato dalla squadra olandese. Klein fu ricusato fondamentalmente perché era un arbitro assolutamente imparziale ed integerrimo. Nei suoi confronti venne usato un argomento estremamente insidioso. Si sostenne infatti che essendo Klein un israeliano egli sarebbe stato troppo sensibile agli olandesi che notoriamente avevano protetto gli ebrei durante l’occupazione nazista anche se ciò non corrispondeva alla realtà. Infatti la società olandese, come tutte le società europee durante la dittatura nazista, si divise opponendosi oppure appoggiando il regime hitleriano. Quest’assenza di Klein fa il paio con la storia dei due capitani delle nazionali argentina ed olandese. Ruud Krol era il figlio di Kuki Krol che era stato mezz’ala dell’Ajax negli anni quaranta ed uno dei capi più tenaci della resistenza olandese. Una buona parte di questa squadra ha in Kuki Krol e Leo Horn i punti di riferimento. Nel dopoguerra Horn sarebbe diventato un famoso arbitro internazionale dirigendo, tra l'altro, il 25 novembre 1953 Inghilterra - Ungheria che vide la storica vittoria a Wembley per 6 a 3 della squadra ungherese. Il salvataggio e la protezione della popolazione ebraica costituivano uno dei nuclei principali dell'azione svolta da quel gruppo e da Krol in particolare. Nel 1941 infatti ad Amsterdam risiedeva più della metà dei circa 140.000 cittadini definiti ebrei dall'estensione delle leggi di Norimberga al territorio olandese. Si trattava di circa il 13% della popolazione cittadina. La maggior parte di essi viveva nello Jodenbuurt, il quartiere ebraico, dove avevano vissuto Rembrandt e Spinoza. Tre chilometri più ad est sorgeva lo stadio dell'Ajax, una delle squadre più prestigiose del paese fin dalla fondazione nel 1900. Krol e Horn erano soci del club biancorosso e una parte significativa della resistenza di Amsterdam si aggregò intorno a una rete che poteva essere ricondotta alla società dell'Ajax. Dalla parte argentina invece Passarella era capitano soltanto perché Jorge Carrascosa - che era il capitano effettivo della nazionale – si ritirò dal calcio agonistico agli inizi del 1978 scegliendo così di non farsi complice ritenendo immorale vestire la maglia di una nazione che era oppressa da una dittatura militare i cui comandanti, attraverso il campionato di calcio, volevano solamente far dimenticare al resto del mondo le violenze con le quali avevano preso il potere. Molti anni dopo Leo Horn, che fu grande amico di Klein, andandolo a trovare qualche anno pima della sua morte scoprì che anche nel passato dell’arbitro israeliano vi era stata sofferenza, che aveva subito la deportazione razziale e che si era salvato proprio grazie all’accoglienza di quella rete di solidarietà che proprio il padre di Krol aveva creato e messo insieme per proteggere gli ebrei. Il calcio, nel bene e nel male, è lo specchio dell’epoca che viviamo. Sarebbe importante non dimenticare che questo sport bello ed affascinante è stato usato ed è usato dal potere per creare consenso. Nella storia del calcio s’incrociano fatti, avvenimenti e vicende personali che s’innestano nella storia delle nazioni e di cui varrebbe la pena fare memoria. Paolo Veronese WWW.GERICOTV.IT - APPROFONDIMENTI