Brano n°2 - SysForm Editore

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Brano n°2 - SysForm Editore
Il laboratorio di scienze naturali
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Brano n°2 – Lulu (di Karen Blixen)
Ecco come Lulu divenne un membro della
mia famiglia.
Una mattina mi toccò di recarmi a Nairobi
in macchina. Poco tempo prima c'era stato
un incendio al mulino e dovevo andare
spesso in città per cercare di riscuotere
l'assicurazione; quella volta - era mattina presto - avevo la testa piena
di calcoli e di cifre. Mentre passavo in macchina per il Ngong, un
gruppetto di bambini mi chiamò gridando dal ciglio della strada:
avevano in collo una piccola antilope e me la mostravano di lontano.
Dovevano averla trovata dentro la macchia e speravano di
vendermela; ma io ero già in ritardo per l’appuntamento a Nairobi,
non avevo tempo per pensare alle antilopi. Non mi fermai nemmeno.
Tornando indietro, il pomeriggio, arrivata allo stesso posto fui
accolta di nuovo dal solito urlio: i bambini erano ancora là, sul ciglio
de la strada, un po' stanchi e delusi. Dovevano aver cercato di
vendere l'antilope a tutti quelli che passavano, durante il giorno, ma
adesso si avvicinava il tramonto ed erano ansiosi di conchiudere
l'affare. Tendevano la bestia verso di me, per tentarmi. Senonché io
avevo, avuto una giornata faticosa, a Nairobi, per l'assicurazione non
avevo ancora concluso nulla, così continuai per la mia strada senza
curami di rispondere. Tornata a casa, pranzai e me ne andai a letto
senza pensarci più.
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Mi ero appena addormentata che mi risvegliai con un gran senso di
terrore. L'immagine dei bambini e dell'antilope si era ricomposta e mi
stava davanti, nitida come un quadro. Mi alzai a sedere sul letto, non
meno atterrita che se qualcuno avesse cercato di soffocarmi. Che
sarebbe successo dell'antilope in mano ai suoi catturatori che
l'avevano tenuta tutto quel caldo giorno sospesa per le gambe riunite?
Così piccola certo non sapeva mangiare da sé. Io le ero passata due
volte davanti senza badarle; e ora, in quel momento, dov'era? Mi
alzai, in preda a un vero panico, e svegliai i servi. Dissi che dovevano
trovare l'antilope e portarmela la mattina, altrimenti li avrei licenziati
tutti quanti. Si misero subito in moto. Due di loro erano in
automobile con me, quel giorno, e pareva non avessero degnato di
uno sguardo né i bambini né l'antilope; adesso, invece, si fecero
avanti e descrissero agli altri con tutti i particolari il posto e l'ora in
cui li avevamo incontrati, nonché la famiglia a cui appartenevano i
bambini. Era una notte di luna. La mia gente si sparse per i campi
discutendo animatamente la situazione; li sentii ripetere più volte che
sarebbero stati licenziati tutti, se non trovavano l'antilope.
La
mattina dopo, molto presto, Farah mi aveva appena portato il tè
quando entrò Juma, con l'antilope fra le braccia. Era una femmina: le
mettemmo nome Lulu, che in suaheli significa «perla».
Lulu era piccola come una gatta e aveva grandi occhi viola, sereni, le
zampe così fragili che nel piegarsi e nel distendersi, quando si
accucciava o si rialzava, pareva si dovessero spezzare. Le orecchie,
lisce come seta, erano straordinariamente espressive; il naso nero
come un tartufo. Gli zoccoli minuscoli le davano l'aria di una
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damigella cinese vecchio stile, con i piedi stretti nei lacci. Tenere in
mano una cosa così perfetta era un'esperienza rara.
Fece presto a trovarsi a suo agio, ad adattarsi alla casa e ai suoi
ospiti.
Kamante la tirò su con il poppatoio. Di sera la teneva rinchiusa,
perché dovevamo stare attenti ai leopardi che dopo il tramonto
s'aggiravano spesso intorno alla fattoria.
Quando crebbe, nel fiore della sua grazia e della sua' giovinezza,
Lulu divenne un'antilope dalle forme snelle e delicatamente tornite,
di una bellezza incredibile dalla testa alla punta dei piedi.
Lulu era il vanto della casa, ma noi non bastavamo a renderla felice.
Spesso se ne andava di casa per ore, o addirittura per un intero
pomeriggio.
Una sera Lulu non tornò a casa. La cercammo inutilmente per una
settimana. Fu un brutto colpo, per noi. La casa aveva perso una sua
nota luminosa: sembrava diventata una casa come tutte le altre. Non
potevo fare a meno di pensare ai leopardi, laggiù lungo il fiume, e un
giorno lo dissi a Kamante.
Come al solito, lasciò passare un po' di tempo prima di rispondere,
per digerire la mia mancanza di intuito. Fu solo dopo qualche giorno
che tornò sul discorso:
- Tu credi che Lulu sia morta, Msabu - disse.
Non mi andava di dirlo in modo così brutale, e risposi che mi
domandavo soltanto perché non fosse tornata.
- Lulu - dichiarò - non è morta. Si è sposata.
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Era una notizia inaspettata, e mi faceva piacere. Gli chiesi come lo
sapesse.
- Oh, sì - disse - si è proprio sposata. Vive nella foresta col suo
bwana - il suo marito, o padrone. - Ma si ricorda ancora di noi; tante
mattine torna qui a casa. Io le lascio dietro la cucina il mais macinato
e lei, poco prima dell'alba, arriva dai boschi e se lo mangia. Viene
anche il marito, ma lui ha paura degli uomini, perché non ne ha mai
conosciuti. Resta sotto il grande albero bianco, dall’altra parte del
prato. Ma gli manca il coraggio di avvicinarsi alla casa.
Pregai Kamante di venirmi a svegliare, quando tornava Lulu. Dopo
qualche giorno, prima dell'alba, mi chiamò.
Che gioia era proprio Lulu che tornava alla sua vecchia casa!
Veniva avanti, si fermava, veniva avanti di nuovo. Ed ecco, vedere
un’antilope cosi vicino a casa pareva ad un tratto una cosa insolita e
divertente. Stava immobile, evidentemente si aspettava di incontrare
Kamante, non me. Non cercò di scappare, però; mi guardava senza
paura, pareva avesse completamente dimenticato le nostre vecchie
schermaglie, l’ingratitudine che mi aveva dimostrato scomparendo
tanto all'improvviso.
La Lulu dei boschi era una creatura superiore, indipendente. Il suo
spirito era mutato, essa aveva preso possesso dei suoi beni.
Nel passarmi accanto dette un piccolo morso a un filo d'erba, fece un
salto aggraziato e proseguì verso il dietro della cucina, dove
l'aspettava il suo mais.
Kamante, toccandomi il braccio con la punta delle dita, indicò il
bosco Seguendo il suo sguardo vidi, sotto un alto castagno del Capo,
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un’antilope maschio, una piccola figura fulva al margine della
foresta, con un bel paio di coma, immobile come un tronco. Dopo
averlo Osservato un attimo, Kamante si mise a ridere.
- Ecco - disse, Lulu gli ha spiegato che qua intorno non c'è nulla di
cui aver paura, eppure lui non ha il coraggio di avvicinarsi.
Per molto tempo Lulu continuò a venire a casa la mattina presto.
A volte scompariva per qualche settimana, e sentivamo la sua
mancanza; cominciavamo a parlare dei cacciatori in giro per le
colline. Ma poi i ragazzi annunciavano: «C'è Lulu», come fosse stata
una figlia maritata che veniva a farci visita. Rividi ancora qualche
volta la figuretta del maschio profilarsi fra gli alberi, ma Kamante
aveva ragione, non ebbe mai il coraggio di arrivare fino alla casa.
Un giorno, tornando da Nairobi, trovai Kamante ad aspettarmi sulla
porta di cucina. Mi venne incontro, tutto eccitato, per dirmi che Lulu,
quella mattina, era venuta insieme al suo toto, il figlio. Dopo qualche
giorno io stessa ebbi l'onore di incontrarla fra le capanne dei servi;
nient'affatto disposta a lasciarsi vezzeggiare, aveva alle calcagna un
cerbiatto piccolo piccolo, goffo e deliziosamente tardo nei
movimenti, proprio come era lei la prima volta che l'avevamo vista.
Le due antilopi, madre e figlio, rimasero tutta l'estate vicino alla
fattoria. A volte non si facevano vedere per intere settimane, altre
invece comparivano ogni giorno. Al principio della nuova stagione
delle piogge seppi che Lulu era tornata con un nuovo cerbiatto. Io
non lo vidi, perché non si avvicinarono più tanto alla casa, ma da
allora scorsi spesso, nella foresta, tre antilopi in gruppetto.
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L'alleanza fra la famiglia di Lulu e la mia casa durò molti anni.
da “La mia Africa”, Feltrinelli