Informazioni in Rete - Consumatori Diritti Mercato

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Informazioni in Rete - Consumatori Diritti Mercato
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Informazioni in Rete
Marco Gambaro
Negli ultimi anni Internet è diventato parte della nostra vita quotidiana e ha trasformato profondamente il ruolo e i confini dei mezzi di comunicazione tradizionali attraverso complessi processi di sostituzione e complementarietà. Alcune
informazioni prima erogate da specifici mezzi di comunicazione si trasferiscono
sulla Rete. L’innovazione tecnologica ha provocato una netta riduzione dei costi
per la produzione e la distribuzione di informazioni e ha abilitato nuove forme
per l’acquisizione di informazione da parte dei consumatori.
Introduzione
Durante l’evoluzione della crisi economica è apparso evidente il ruolo centrale
giocato dall’informazione, di come sia difficile e allo stesso tempo importante
che i cittadini abbiano gli elementi adeguati per valutare le diverse ricette. È
altrettanto evidente come il gioco delle aspettative possa accelerare la velocità
della crisi e come la selezione, quando non il trattamento delle notizie, contribuisca a determinare gli orientamenti e le modalità di lettura della situazione.
Allo stesso tempo vi sono segnali di come stia cambiando vistosamente il sistema di produzione e distribuzione delle notizie: molte dichiarazioni vengono
diffuse o rimbalzano via Twitter, Internet è diventato una fonte informativa di
riferimento per molti consumatori, le stesse modalità produttive dell’informazione stanno cambiando.
Negli ultimi anni Internet è diventato parte della nostra vita quotidiana e
ha trasformato profondamente il ruolo e i confini dei mezzi di comunicazione
tradizionali attraverso complessi processi di sostituzione e complementarietà.
Alcune informazioni prima erogate da specifici mezzi di comunicazione si trasferiscono sulla Rete, come l’esplosione della ricerca di parole chiave (il cui
leader mondiale è Google) sembra mostrare con decisione.
L’innovazione tecnologica ha provocato una netta riduzione dei costi per la
produzione e la distribuzione di informazioni e ha abilitato nuove forme per
l’acquisizione di informazione da parte dei consumatori. Ma nonostante lo sviluppo impetuoso della Rete, la produzione di informazioni specifiche nell’ambito delle notizie è ancora relativamente scarsa a causa delle economie di scala
insite in questa produzione e nella ridotta possibilità di differenziare le notizie
stesse. Il problema è particolarmente rilevante per le informazioni giornalistiche. In passato con i mezzi di comunicazione tradizionali si sono sviluppate
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Dipartimento di Economia, Management e Metodi
Quantitativi, Università degli Studi di Milano
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grandi organizzazioni professionali che raccoglievano e interpretavano le notizie rilevanti, rivolgendosi potenzialmente all’intera società, riducendo le asimmetrie informative dei cittadini e fornendo sia direttamente sia indirettamente
una forma di controllo agli abusi dei governanti.
L’articolo illustra l’emergere di Internet come fonte informativa per le notizie
giornalistiche e le trasformazioni collegate nel mercato e nel consumo dell’informazione giornalistica.
La Rete è diventata rapidamente una fonte informativa rilevante. Secondo
una ricerca del Pew Research Center, circa metà dei cittadini americani dichiarano di ottenere la maggior parte delle notizie nazionali e internazionali da
Internet, un livello non lontano da quello consolidato di giornali e televisione
e tra i punti di forza dell’informazione online segnalano la grande varietà e la
pluralità di fonti.
La situazione
La situazione in Europa non è molto diversa. Secondo l’International Communication market Report di Ofcom pubblicato nel 2012, oltre il 60% degli utenti Internet
dichiarano di guardare notizie in Rete e la percentuale sale per l’Italia al 78%, il
livello più alto tra i grandi Paesi europei, mentre il 31% degli italiani guarda in
Rete la televisione contro il 44% nel Regno Unito e il 33% in Francia.
Questa differenza può essere dovuta anche alla diffusione della banda larga,
che in Italia rimane nettamente più limitata che nella maggior parte degli altri
Paesi europei con una penetrazione del 51% nel 2010 contro livelli superiori al
65% nei Paesi europei avanzati.
Nel marzo 2012 secondo Audiweb gli utenti unici mensili dei siti di giornali
e televisioni, che rappresentano il grosso dei siti di news in rete, sono stati 17,4
milioni, ossia poco più di un quarto degli italiani e circa il 67% degli utenti attivi Internet nel mese. Gli utenti che vanno sui siti di notizie tutti i giorni sono
naturalmente meno, una cifra attorno ai 12 milioni di italiani.
Il tempo dedicato a questi siti è ben scarso, complessivamente poco più di un
quarto d’ora al giorno, di cui circa metà per rivedere i programmi televisivi di
catchup tv.
I due siti leader per le news, Corriere.it e Repubblica.it, nei primi mesi del
2012 attirano ognuno circa 2 milioni di navigatori ogni giorno, ma con una
media di consumo inferiore a un minuto giornaliero pari a 3-4 pagine viste per
utente. I consumi medi dei siti degli altri giornali sono meno della metà, ossia
circa una ventina di secondi ogni giorno, sufficienti cioè per dare un’occhiata
all’home page e magari cliccare su un unico articolo. Il consumo di notizie costituisce una parte relativamente piccola del consumo complessivo di Internet.
Considerando circa 30 milioni di utenti Internet che passano in Rete mediamen-
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te un’ora al giorno, il consumo di notizie in Rete può essere stimato in circa il
15% del consumo complessivo di Internet.
Giusto per mettere le cose in prospettiva, i soli quotidiani tradizionali vengono letti mediamente per quasi 30 minuti al giorno. E anche se i 25 milioni
di lettori medi giornalieri valutati da Audipress appaiono francamente sovrastimati, perché considerano una media di cinque lettori per copia, che appare
molto larga, complessivamente il consumo di notizie sui soli quotidiani è di
circa tre volte il consumo delle notizie in Rete.
I consumi televisivi sono, invece, molto più alti perché riguardano la quasi
totalità della popolazione e arrivano a quasi quattro ore al giorno. Per cui nel
2012 i consumi televisivi complessivi sono circa otto volte quelli di Internet. Se
si considerano solo i programmi di informazione questi valgono circa il 20%
dell’ascolto complessivo. Per cui, sul terreno delle notizie, l’ascolto televisivo
nella primavera 2012 raggiunge una dimensione (calcolata in tempo per persona) di circa sei volte superiore a quello del consumo di news sul web.
La posizione dei quotidiani e delle reti Tv
Il fatto che il consumo dei mezzi tradizionali abbia molta inerzia e che il parametro del tempo dedicato alla fruizione di notizie su web sia ancora una componente
minoritaria non deve ingannare né sulle direzioni dell’evoluzione né sul ruolo
dirompente che queste innovazioni hanno nel panorama informativo
Innanzitutto il consumo di Internet, non solo di notizie, mostra tassi di
crescita molto elevati, mentre il consumo dei mezzi informativi tradizionali è
stabile, come nel caso della televisione o della radio, oppure declinante, come
nel caso della stampa.
In secondo luogo, il consumo di Internet è concentrato in modo particolare
nelle fasce giovanili, più alfabetizzate all’uso dei mezzi digitali e spesso anticipatrici delle tendenze di consumo futuro. Inoltre i giovani adulti scolarizzati,
che costituiscono uno dei gruppi a maggior consumo di informazioni in rete
costituiscono un gruppo sociale importante sia per le tendenze di consumo sia,
almeno in parte, per quelle sociopolitiche.
Inoltre Internet abbassa i costi di accesso delle informazioni e amplia a dismisura le fonti di ricerca favorendo una polverizzazione dei consumi.
Nel mercato italiano i siti informativi leader appartengono a due quotidiani,
mentre i siti delle televisioni operano come follower. Si tratta di una relativa
anomalia, perché in molti Paesi i siti delle televisioni sono i più frequentati
tra quelli dei media. In gran Bretagna il sito della Bbc ha più utenti che quelli
di Guardia a Mail. In Francia il sito di TF! Supera quelli della stampa. Negli
Stai Uniti i siti dei network televisivi e di Cnn superano quelli dei quotidiani
generalmente perché la platea di partenza è più elevata e, soprattutto, perché il
consumo dei siti televisivi è stato alimentato rapidamente dalla disponibilità di
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video. Le ragioni dell’anomalia italiana stanno in parte nella capacità di anticipare gli investimenti da parte di Corriere e Repubblica, che sono stati tra i first
mover sulla nuova piattaforma e, in parte, nel ritardo e nelle esitazioni con cui
le principali televisioni hanno avvicinato il mondo della Rete.
Per Rai il rallentamento è stato dovuto in parte alla balcanizzazione dell’azienda e alla difficoltà nel mettere in comune le risorse, per cui all’inizio sono
proliferati i siti dei singoli programmi dei singoli canali e dei diversi telegiornali,
in un guazzabuglio di offerta parcellizzata e di scarsa qualità. La scelta di entrare con forza nella catchup tv ha alimentato la domanda di video, ma la presenza
Internet Rai è indebolita dalla mancanza di una prima pagina con le notizie, come
avviene in tutti i siti informativi. Il problema è che in Rai i telegiornali sono strutture verticalmente integrate molto separate, che ai tempi della prima Repubblica
dovevano garantire un’indipendenza anche strutturale. Oggi, però, sono restii a
mettere in comune risorse e notizie, per cui una presenza Internet richiederebbe
un’ulteriore testata, uno sforzo inutile per un’azienda che ha già 1.500 giornalisti.
Nel caso di Mediaset, a lungo la Rete è stata vissuta come un potenziale concorrente e i contenuti dei canali tradizionali sono stati resi disponibili con molta
parsimonia. Il timore per molti anni è stato quello di ottenere navigatori al prezzi
di perdere telespettatori, con la consapevolezza che questo avrebbe ridotto i ricavi
pubblicitari. Recentemente una coraggiosa ristrutturazione delle news ha di fatto
unificato le strutture produttive dei tre telegiornali e creato un’agenzia che, allo
stesso tempo, produce un canale televisivo 24 hours e alimenta un sito Internet
con notizie aggiornate. I risultati in Rete si sono visti abbastanza rapidamente e
il sito di tgcom24 ha rapidamente aumentato sia i consumi sia gli utenti unici.
Il successo dei video
Una secondo elemento che ha caratterizzato il 2011 e il 2012 è stata la crescita dei video (informativi e no). Complessivamente, nel giro di due anni, gli
utenti che vedono almeno un video al mese in rete sono passati da 14 milioni a
19 milioni e il consumo di video online è rimasto stabile attorno a circa un’ora
al mese per utente. Questo consumo presenta forti complementarietà con quello
televisivo ed è caratterizzato dalla stessa stagionalità con un calo pronunciato
nei mesi estivi. Le sezioni video delle media company generano in media dal
25% al 40% degli utenti unici. In media i contenuti testuali e le photogallery
realizzano circa tre quarti delle page views per quanto riguarda i siti dei quotidiani e circa metà per quelli delle televisioni. Il maggiore successo delle sezioni
video dei broadcaster rispetto a quelle dei siti degli editori emerge anche nel
confronto dei consumi per utente unico: quello di rai.tv e di videomediaset genera in media 14 page views con un consumo medio attorno agli 8 minuti e 30
secondi contro i 4 minuti mensili di corriereTv e RepubblicaTv.
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L’aumento dei consumi di video online ha determinato una crescita dei ricavi pubblicitari dei siti delle imprese media per effetto dell’aumento del prezzo medio. Infatti i contatti generati attraverso i video si vendono a un prezzo
da due a quattro volte superiore rispetto alle page views testuali. Inoltre attraggono investitori televisivi che possono sfruttare la campagna televisiva
già prodotta e utilizzare Internet come mezzo complementare per allargare
il pubblico da raggiungere rispetto a quello più anziano e meno scolarizzato
della televisione.
Un effetto di questo trend è che si registra una certa convergenza tra i siti
dei broadcaster e quelli degli editori. Ambedue hanno una front page di ingresso
con le notizie testuali aggiornate e ambedue devono avere un’offerta ricca di
video. In altre parole, i siti di giornali e televisioni tendono a essere molto simili
sia nel formato sia nei contenuti offerti e molto più omogenei tra loro rispetto
a quanto non siano i mezzi tradizionali di provenienza. Questa similitudine di
prodotto accentua le dinamiche concorrenziali. I siti di giornali e televisioni,
così come quelli degli operatori informativi su Internet, si scontrano sullo stesso mercato e competono direttamente per l’attenzione degli stessi navigatori e
per le risorse economiche dei medesimi investitori pubblicitari.
Questo implica che entrambe e categorie di operatori devono acquisire competenze complementari rispetto a quelle sviluppate nei loro mercati di origine.
I social network
Se i siti dei mezzi tradizionali costituiscono, in termini di page views, il grosso
della fruizione informativa su Internet, vi sono altre componenti innovative
rispetto ai modi tradizionali di produrre e distribuire informazione che vanno
considerate e che contribuiscono a modificare il ruolo e l’ecosistema dell’informazione giornalistica. Considerò i social network, Twitter e gli user generated
content.
I social network si sono sviluppati come una piattaforma di interazione, un
modo per recuperare e mantenere i contatti con cerchie di conoscenti più o
meno allargate. Il più famoso tra loro - Facebook - è nato all’interno delle università americane, ma si è sviluppato in tutto il mondo. I navigatori italiani si
collegano a Facebook per quasi mezz’ora al giorno, un tempo non solo superiore
all’insieme dei siti informativi, ma superiore di circa dieci volte sia a Google
che a Youtube. Negli intensi scambi informativi, le notizie vengono rilanciate
con dei link ai siti dei mezzi di informazione e commentate, validate, messe in
prospettiva. Sempre più spesso i navigatori arrivano ai siti dei mass media (che
continuano a fornire il grosso delle informazioni di base) non solo attraverso i
motori di ricerca come Google, ma proprio attraverso i social network. Le notizie
vengono quindi consumate, ma le diverse reti di relazioni modificano e stravolgono il meccanismo di agenda setting operato dai media e collegano alle notizie
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dei canali più tradizionali informazioni da fonti di nicchia e, talvolta, prodotte
dagli stessi utenti.
Twitter è un social network che si fonda sull’invio di messaggi non superiori
a 140 caratteri, detti “tweets” (cinguettii). La differenza cruciale rispetto al più
noto e più diffuso Facebook consiste nell’asimmetria dei collegamenti tra chi
partecipa al network stesso. Se sono iscritto a Twitter posso decidere quali utenti seguire, cioè di quali utenti vedere i messaggi. Dall’altro lato solo chi decide
di seguirmi (nel gergo: chi decide di diventare un mio “follower”, un seguace)
vedrà i miei messaggi. Una funzione importante di Twitter consiste nel “ritwittare” un messaggio, ovvero di riceverlo da qualcuno e rimandarlo ai propri
seguaci. In questa maniera un certo pezzo di informazione può espandersi in
maniera velocissima, virale.
Twitter, come noto, è nato negli Usa poco più di cinque anni or sono (2006)
e ha avuto una prima impennata di usi in Italia nel 2009, ma soltanto alla fine
del 2011 la sua diffusione qui da noi è cresciuta esponenzialmente. Il fatto che
la fruizione avvenga quasi in tempo reale collegato al meccanismo dei follower
consente meccanismi di diffusione velocissimi e virali. Gran parte dei tweet
sono osservazioni irrilevanti o messaggi personali. Meno del 5% possono essere considerate notizie. Ma quando un messaggio contiene qualche elemento
considerato rilevante, la viralità consente una diffusione immediata con un
cortocircuito che dà luogo a feedback immediati.
Come ho argomentato in un articolo scritto insieme a Riccardo Puglisi su La
Voce, poiché le notizie si diffondono molto prima e più rapidamente su Twitter
che altrove, è evidente come i giornalisti - in quanto produttori di notizie - utilizzeranno sempre di più la rete dei cinguettii per raccogliere informazioni utili.
Coloro che si fanno seguaci di fonti credibili e tempestive su Twitter potranno
fare un sempre minore affidamento sulle agenzie di stampa e sui loro lanci di
agenzia, che sono credibili sì, ma sempre più spesso in ritardo.
Anche gli utenti finali vedono, contemporaneamente ai professionisti, tutte
le fasi di diffusione e questo favorisce la disintermediazione. Inoltre i tweet
sono veloci, ma meno verificati delle fonti tradizionali, quindi è più facile prendere bufale. Inoltre l’uso di tweet non professionali da parte dei media potrebbe
porre problemi di remunerazione e di diritti.
Non a caso molti editori hanno costruito linee guida sull’uso di Twitter e dei
social media da parte dei giornalisti. Quella di Sky News in Uk ha sucitato molte polemiche, perché vieta ai giornalisti di usare come notizie i tweet che non
siano stati emessi da impiegati dell’azienda. Altri come Bbc puntano a limitare
il retweet fino a che la notizia non è formalmente passata attraverso il processo
di revisione della newroom. Ma se, come è successo in Wikipedia, il processo
di verifica informale fatto dagli utenti mostrasse di funzionare bene, le media
organization potrebbero perdere ulteriore terreno.
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Gli user generated content
Sempre più spesso i siti di informazione includono contenuti prodotti direttamente dagli utenti e molti blog o siti personali riversano regolarmente in Rete
contenuti che, talvolta, si collegano al commento o alla contestualizzazione
delle notizie. Si tratta di informazioni prodotte spesso all’esterno di un rapporto
professionale, di taglio personale, talvolta ripetitive e semplici copia e incolla di
comunicati stampa o di pochi interventi originali. Ma nell’insieme forniscono
spesso per gruppi specifici di interesse specializzati orientamenti, chiavi di lettura, informazioni aggiuntive, il cui peso è crescente e non trascurabile.
Nonostante i blog siano molti milioni solo pochissimi sono alimentati con
regolarità e pochissimi raggiungono livelli di consumo che superano le nano
share e che li rendono appetibili per gli investitori pubblicitari.
Gli user generated content sono relativi alla produzione di un input produttivo fornito da persone senza che ci sia un pagamento diretto e possono essere
descritti come fornitura privata di bene pubblico. I principali problemi economici che li riguardano sono simili a quelli che hanno caratterizzato il software
open source che hanno generato un rilevante flusso di letteratura scientifica. La
prima questione è: perché gli utenti offrono gratuitamente la loro conoscenza
e il loro lavoro? Una spiegazione possibile è quella di segnalazione, perché in
questo modo mostrano il loro valore per un possibile futuro impego di lavoro.
E, infatti, molti blog sono prodotti da giovani aspiranti giornalisti che sperano
in futuri impieghi più stabili e remunerati. Una seconda spiegazione è collegata
alle esternalità e agli spillover che possono emergere dalla fornitura di Usg. Se
contribuendo a un blog o postando un video ho qualche vantaggio futuro (monetario o non monetario) è razionale decidere di impegnarsi in questa attività.
Guardando le cose dal lato produttivo, se dispongo di un’informazione importante o esclusiva, ma non posso sfruttarla per ricavarne dei profitti, magari per
i costi di transazione, oppure se i miei costi marginali per produrre un’informazione rilevante sono bassi posso scegliere a parità di condizioni playoff molto
bassi per giustificare l’investimento.
La seconda questione economica è come sia possibile mantenere un livello di qualità elevato in un ambiente non professionale. I meccanismi di peer
review insiti in piattaforme come Wikipedia o in certi blog o forum, oppure i
meccanismi di autoselezione secondo i criteri indicati sopra possono essere una
possibile risposta. Twitter è già oggi uno strumento importante per la raccolta
di informazioni, ma fino a oggi una notizia segnalata da Twitter richiede un costoso processo di validazione (conferma da due fonti indipendenti) per entrare
nel circuito professionale dell’informazione. Ma non è impossibile che in futuro
il processo di disintermediazione giornalistica si spinga oltre e la validazione
possa essere realizzata in un ambiente wiki e che a quel punto l’organizzazione
e la dimensione delle newsroom possa essere messa in discussione.
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Un primo effetto di questi sviluppi sui mezzi di informazione tradizionale è
quello di sostituzione. È possibile che un certo numero di consumatori spostino
i loro consumi informativi dai mezzi offline a quelli online.
Il calo di copie dei quotidiani sperimentato negli ultimi anni in quasi tutti i
Paesi sviluppati risponde in parte a questa dinamica. Molte ricerche mostrano
come vi sia una certa sostituibilità tra Internet e i quotidiani.
Per la televisione il discorso è diverso. Nonostante i molti articoli che i
giornali pubblicano sul crollo degli ascolti televisivi, la realtà appare molto più
sfumata. Esaminando l’andamento dei minuti giornalieri di consumo televisivo
in tutti i Paesi europei negli ultimi dieci anni e costruendo un modello econometrico sulle determinanti di consumo ho potuto verificare che nella maggior
parte dei Paesi il consumo è in leggero aumento anche in corrispondenza di uno
sviluppo vivace di Internet. Se si considera una fascia di età particolarmente
sensibile alla sostituzione, cioè quella tra i 15 e i 30 anni, si registra un leggero
calo, ma i consumi medi giornalieri restano superiori alle due ore. L’effetto di
sostituzione potrebbe anche agire in modo indiretto.
I mezzi di comunicazione, in particolare i giornali, sono degli insiemi di
informazioni diverse che vengono vendute congiuntamente. A qualche lettore
interessa più lo sport, ad altri le quotazioni di borsa ad altri ancora gli orari dei
cinema o la cronaca locale.
Con Internet alcune di queste informazioni sono rese disponibili gratuitamente talvolta con un livello qualitativo (tempestività e flessibilità) molto superiore a quello disponibile nella carta stampata. È possibile, dunque, che alcuni
gruppi di lettori non trovino più conveniente il quotidiano non tanto perché
trovino un sostituto complessivo ed equivalente, quanto perché cambiando le
condizioni di fornitura di alcuni elementi del bundle l’equilibrio concorrenziale
complessivo ne viene alterato. I nuovi mezzi digitali svolgono un’innovazione
di prodotto offrendo elementi informativi singoli che modificano le condizioni
di convenienza dei bundle consolidati.
Si tratta di una concorrenza insidiosa perché richiede una risposta dinamica
che, ripartendo dagli elementi informativi elementari, ridefinisca bundle interessanti per la domanda e sostenbili sul piano dei costi.
Nodi da sciogliere
In generale queste evoluzioni digitali pongono alcuni problemi nuovi che riguardano il ruolo delicato giocato dall’informazione.
Un primo fenomeno è quello della disintermediazione. Le innovazioni tecnologiche e la diffusione di competenze comunicative aumenteranno la quota
di notizie prodotta e diffusa da non professionisti per quanto riguarda sia i testi
sia i video. Da un lato, questo fenomeno consente un significativo aumento
della copertura, come si è visto in molti recenti avvenimenti, ma d’altra par-
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te i sistemi di deontologia, indipendenza e regolamentazione che si applicano
ai giornalisti (sia pure con difficoltà), non potrebbero essere trasferiti sulla
moltitudine di consumatori dilettanti e questo aumenta lo spazio per forme di
azzardo morale. Per esempio, la separazione tra informazione giornalistica e
comunicazione pubblicitaria, già difficile da mantenere tra i professionisti, si
presta a molti abusi nella Rete senza che i soli meccanismi reputazionali bastino
a risolverla.
In secondo luogo le prime indicazioni sul consumo di notizie in Rete mostrano una certa polverizzazione della fruizione e una sua polarizzazione. Infatti di
alcuni singoli siti si frequentano poche pagine e vi sono forti fenomeni di star
economics per cui l’attenzione si concentra su pochi avvenimenti molto visibili
dove la componente dell’immediatezza è molto importante. D’altra parte l’enorme moltiplicazione delle fonti rende disponibili informazioni su una miriade di
argomenti di nicchia prima semplicemente assenti dal panorama informativo.
Quello che sta in mezzo, cioè la costruzione di un panorama informativo condiviso che ha costituito la base di una cittadinanza civile nelle democrazie occidentali potrebbe essere sacrificato. Mancano abstract delle ricerche specifiche,
ma potrebbe esserci un collegamento tra il concentrarsi su poche notizie seguite
in modo un po’ ossessivo e forme di populismo crescente che si registrano in
molti Paesi occidentali.
Lo stesso ruolo dei giornalisti e dei mezzi di informazione tradizionale potrebbe essere di fronte a profonde mutazioni. I giornalisti dovranno lavorare
molto meno per trovare le notizie e saranno prevalentemente esperti esterni a
metterle in prospettiva. Potrebbe prevalere una figura in grado di governare
i flussi provenienti dalla Rete e a fare delle verifiche velocemente per evitare
bufale eccessive. Gli stessi mezzi di informazione, in particolare i quotidiani, si
troveranno a dovere ridefinire la composizione dei bundle che offrono, perdendo molti dei vantaggi consolidati che caratterizzano la loro posizione. Si tratta
di un percorso non facile che richiederà fantasia, intelligenza e la capacità di
ripartire da zero.
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