A San Gavino nasce “Insieme 8” gruppo di mutuo aiuto di tipo

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A San Gavino nasce “Insieme 8” gruppo di mutuo aiuto di tipo
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1 agosto 2014
INCONTRO
CON LA PSICOLOGA
ALICE BANDINO
A San Gavino nasce “Insieme 8”
gruppo di mutuo aiuto di tipo oncologico
Abbiamo posto alcune domnde alla psicologa Alice
Bandino, fondatrice e referente del gruppo A.M.A.
Che cos’è un Gruppo A.M.A.
Sono strutture autonome (collaborano con le Istituzioni
ma non ne dipendono), di piccolo gruppo, a base
volontaristica costituita da persone affette da una patologia o da una problematica comune. Lo scopo dei Gruppi
A.M.A. è quello dell’aiutarsi vicendevolmente, soprattutto attraverso il sostegno emozionale e socio-emotivo, riunendosi una volta alla settimana o una volta ogni due. Il
nostro gruppo A.M.A. è di tipo Oncologico, formato da
pazienti e parenti oncologici; si chiamerà “Insieme n°8” sezione di San Gavino Monreale e inizieremo le attività a
settembre. Il numero 8 sta ad indicare che saremo l’ottavo
comune in Sardegna ad avere aperto un A.M.A. grazie
alla Onlus sarda “InVITA La Vita”, la cui mission è proprio quella di dare sostegno e armi alle persone che sono
state colpite dal cancro e che si trovano in una situazione
di smarrimento e disorientamento, sostegno attuato sia attraverso la formazione di Gruppi di Auto Mutuo Aiuto
oncologici in tutta la Sardegna, che attraverso l’A.D.A.D,
ovvero l’Assistenza Domiciliare a Distanza (tutte informazioni reperibili nel loro sito www.invitalavita.it). Il gruppo si presenterà ufficialmente alla popolazione i primi di
settembre, con l’organizzazione di un’intera giornata
dell’oncologia, che ci piace immaginare avrà tra i protagonisti non solo il Gruppo, ma tutti i servizi territoriali e
le Associazioni che si occupano di cancro. Ci siamo mossi
in anticipo proprio per realizzare al meglio tutta la giornata.
Com’è nata l’idea e da chi è composto il gruppo ”Insieme 8"?
Personalmente l’idea è nata come spesso accade, dopo la
morte di mio padre, otto anni fa, a soli 53 anni appena
compiuti. A quei tempi non esisteva il D.H.di Oncologia
nel nostro ospedale, quindi è stato seguito dall’inizio alla
fine a Cagliari, sia per le visite che per la chemio e la
radioterapia.
In quegli anni ancora non si sentiva parlare di
psiconcologia, non so neanche se ci fosse uno psicologo
in reparto, e se c’era e io non lo sapevo, è la conferma che
noi parenti non eravamo considerati parte integrante nel
percorso di cura di mio padre. Io sono la referente e una
facilitatrice del Gruppo; vi sono poi il presidente, la segreteria, il tesoriere, altri facilitatori, i responsabili della
sede e delle manifestazioni collaterali al gruppo. Per motivi di privacy non cito i nomi, ma son tutte persone che
hanno sposato l’idea e che già si sostenevano l’un l’altro
ancora prima che costituissimo l’A.M.A. Sono tutti parenti e/o pazienti oncologici, è un gruppo giovane e la lista cresce giorno dopo giorno, tanto da aver già valutato
che a settembre potrebbero partire due gruppi e non uno
solo!
Com’è articolata oggi la comunicazione medico- paziente oncologico?
Oggi è diverso, con la comunicazione della diagnosi ti viene comunicata dagli oncologi anche la possibilità di avere
colloqui con uno psiconcologo, con gli infermieri che ti
seguiranno, con l’assistente sociale, in alcuni P.O. anche
con la nutrizionista, il chirurgo ecc.ecc., si agisce sul paziente ma si coinvolge tutto il nucleo familiare. Oggi si sa
che un corretto sostegno emotivo unito alle terapie biologiche è significativamente incisivo a livello qualitativo
della vita dopo la diagnosi di cancro, e le ultime ricerche
lo pongono tra i fattori correlati positivamente col buon
esito delle cure. Il sostegno nel gruppo A.M.A. non vuole
certo sostituirsi al sostegno professionistico psicologico,
semmai integrarsi con esso, accogliendo il paziente o parente oncologico in un gruppo dove ognuno ha il suo ruolo, che all’occorrenza può variare, soprattutto nei periodi
in cui a causa delle terapie i pazienti o i loro parenti necessitano di meno compiti. Le attività sono numerose e
molteplici, volte non solo al sostegno tra pari, ma anche
alla prevenzione oncologica. Saranno promossi convegni
e aggiornamenti, chiederemo la partecipazione dei medici
e degli operatori del nostro Day Hospital cittadino, che
spesso vengono invitati nei paesi limitrofi. Si sentiva la
necessità di attivare nella nostra cittadina un Gruppo
A.M.A., visto il grande interesse che riguarda l’argomento nel nostro territorio, nel quale l’incidenza tumorale è
abbastanza alta.
Una piccola anticipazione è stata data venerdì 12 giugno nell’incontro di Psiconcologia organizzato dal Percorso Prevenzione Salute Educazione e Sport di
Gianluca Vaccargiu. Come è andata?
È andata bene, ma avendo mandato la locandina a diverse
associazioni, ci aspettavamo ancora più partecipazione.
Non tanto per l’A.M.A. quanto per l’argomento del convegno oncologico. La mission per chi si occupa di
psiconcologia è di sostenere il benessere psicofisico e sociale dei pazienti, dei loro parenti e non farli mai sentire
soli. Ben vengano i memorial, le catene tristi su facebook,
i nastrini rosa, ma la verità è che il più grande aiuto che
possiamo dare loro è il nostro tempo, il nostro aiuto, la
nostra creatività, la nostra empatia e le nostre forze nel
momento del bisogno quando sono in vita. Dopo restano
solo i ricordi e le preghiere.
Gian Luigi Pittau
SAN GAVINO
SARDARA
Un piano regolatore per dare una mano
a “Gli invisibili MiciAmici Sardegna”
Concorso nazionale di inglese,
Chiara Mazzotta prima
tra le studentesse sarde
Nella scorsa edizione del quindicinale abbiamo parlato delle
volontarie dell’associazione MiciAmici Sardegna, operative
a San Gavino Monreale, in merito ai tre cuccioli abbandonati
per strada e ritrovati a Lunamatrona dal maresciallo Carlo
Mascia, e adottati circa dieci giorni fa. L’associazione regionale di volontariato e solidarietà, impegnata nella tutela e cura
di gatti e cani randagi e legata all’associazione nazionale
“MiciAmici Onlus” di Mortara (PV), è unica nel Medio
Campidano e seconda nell’isola dopo quella di Oristano.
Abbiamo chiesto alle volontarie della struttura sangavinese
“Gli invisibili MiciAmici Sardegna” come viene svolto l’oneroso compito in un paese dove ancora non esiste un piano
regolatore per il randagismo. «Abbiamo presentato più volte
al Comune proposte di progetti - fa sapere l’Associazione L’amministrazione comunale ha ascoltato le nostre richieste
e le ha prese in carico, avviando una graduale collaborazione
con noi. Ma non è facile far muovere la macchina burocratica e di fatto a San Gavino non esiste ancora un regolamento
comunale di randagismo. Questo comporta alcuni problemi
burocratici ed economici».
In che senso problemi burocratici ed economici?
«Secondo la normativa nazionale la struttura è totalmente in
regola. Dal punto di vista locale invece, per fare un esempio,
i randagi trovati nel territorio sono di proprietà comunitaria e
quindi anche l’ospitalità in un rifugio per cani deve essere
autorizzata ufficialmente dai comuni o da istituzioni pubbliche. Per quanto riguarda l’aspetto economico, le uniche risorse che abbiamo sono le nostre e quelle donate dai cittadini
solidali. E nei nostri progetti proponiamo 300 euro una tantum.
Non sono tanti, considerato che per altri canili si spendono
circa mille euro annui a randagio. Una collaborazione di questo genere tra associazione e istituzioni sarebbe proficua per
la comunità, di notevole risparmio anche per le spese comunali».
E vi basterebbe questa somma?
«Non sarebbe sufficiente, ma costituirebbe un ausilio per tutto
ciò che comporta la cura di un animale. Di tipo veterinario,
di convivenza nella struttura, di ripristino psicologico e fisico dell’animale e per la selezione di chi li adotta, che vengono da noi monitorati, non solo quando c’è da definire adeguati l’ambiente e la compatibilità tra cane e padrone, ma
anche dopo le adozioni».
Così, per non farle sentire “invisibili” nel territorio, come i
teneri amici a quattro zampe da loro accuditi, ci siamo rivolti
al comune di Sardara dove è già attivo un regolamento del
settore. «È fattibile un’eventuale convenzione tra un comune
limitrofo e l’associazione territoriale, in attesa che venga approvato il regolamento a San Gavino?» «Se presentano una
proposta e ci sono i presupposti per essere accolta, perché
no?», è stata la risposta del vicesindaco Ercole Melis.
Marisa Putzolu
Ha una grande passione per
l’inglese ed è arrivata prima
tra le studentesse sarde al concorso nazionale dell’Università di Pisa che ha visto la
partecipazione da tutta Italia
di 750 ragazzi delle quarte
delle superiori. È la storia di
Chiara Mazzotta, studentessa
di Sardara della quarta F del
liceo linguistico di San
Gavino che è arrivata nona a
livello nazionale. La studentessa 18enne potrà partecipare gratuitamente per una settimana ad un corso di inglese
nella facoltà di lingue di Pisa:
<Ho presentato un componimento in inglese – racconta Chiara Mazzotta – in cui ho sottolineato che proprio questa lingua è un elemento in comune
di tutti gli abitanti del mondo. In passato sono stata in Inghilterra ed anche in Irlanda. I viaggi sono la mia passione>.
Felicissima la docente di inglese Maria Luisa Dessì: «Chiara
ha scritto una presentazione in inglese nella quale spiegava i
motivi della sua passione per la lingua. Ci tengo a dire che io
non ho potuto leggere quanto ha scritto perché non c’è stato
tempo. Chiara è mossa da una forte determinazione e da una
passione per l’inglese fuori dal comune che l’ha portata a
raggiungere risultati eccellenti tenuto conto della sua giovane età e dei mezzi di cui dispone. Il suo livello linguistico è
molto alto». Felicissimi i compagni di classe di Chiara che
studiano anche spagnolo ed hanno battuto in una sfida recente il linguistico di Villacidro. (g. l. p.)
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COLLINAS
Calo di nascite, a rischio
la scuola dell’infanzia
A
l centro dell’abitato, vicino alla chiesa, sorge un edifi
cio di grandi dimensioni, circondato da un ampio giardino in cui, nel torrido caldo estivo, le altalene non cigolano
più: la scuola è finita. L’edificio è stato in passato una casa,
quella della signora Virginia Diana, che è stata poi adattata
all’uso di scuola dell’infanzia, gestita dalle suore francescane.
Molte generazioni di collinesi hanno passato i primi momenti della propria giovinezza in quella casa e nel suo giardino.
La scuola è di ovvia utilità, come suor Stefanina, l’attuale
responsabile della struttura, ci informa, essa fornisce ai bambini un insieme di conoscenze utili alla prima socializzazione
e a una predisposizione base necessaria affinché possano rapportarsi all’istruzione futura.
Suor Stefanina è a Collinas dal 1995, e ancora oggi si occupa
della scuola. In un primo periodo, oltre a preoccuparsi dell’amministrazione, stava direttamente a contatto con i bambini e li accompagnava con l’insegnamento nei primi anni
della loro vita. «La scuola dell’infanzia», afferma, «è fondamentale per qualunque bambino. I primi anni sono quelli in
cui i piccoli devono apprendere i fondamenti del vivere comune e devono capirne l’utilità. La comprensione è l’elemento più importante, i bambini, se non indirizzati nei giusti
modi, potrebbero percepire gli insegnamenti come imposizioni dall’alto e non assimilarli come patrimonio personale.
È, quindi, imprescindibile, in primo
luogo, la comunicazione con i piccoli». La suora racconta di aver visto,
di anno in anno, crescere e decrescere il numero di iscritti alla scuola: «Ci
sono stati degli anni difficili, con pochissimi iscritti, soprattutto perché il
tasso di natalità era bassissimo, ma
durante la mia permanenza abbiamo
avuto, per alcuni periodi, un numero
consistente di bambini».
La sua permanenza a Collinas è di suo
gradimento? «Non avrei potuto chiedere di meglio. La gente del paese è sempre stata disponibile
e ha sempre dato il suo contributo per il bene della scuola. Se
posso, rimarrò qui», afferma con entusiasmo. Tuttavia, un’ombra incombe sulla scuola dell’infanzia a Collinas, il numero
di nascite è sempre più basso e gli addetti ai lavori scarseggiano. Suor Stefanina spiega che non è possibile portare avanti
una scuola con un gruppo ridotto (6/7 elementi) di bambini,
perché la stessa socializzazione alla base dell’insegnamento
sarebbe messa a repentaglio.
Cosa sarà dunque della casa che per generazioni ha ospitato i
piccoli collinesi fra qualche anno? Probabilmente sarà adibi-
GUSPINI
Successo dello spettacolo
“Zapping Show”
«Tre mesi di lavoro intenso, un centinaio di
persone coinvolte, infinite emozioni per tutti
noi: non potremmo essere più orgogliosi della buona riuscita dello spettacolo, della sala
gremita che ci ha accolti e soprattutto dell’impegno dei nostri ragazzi». C’è soddisfazione nelle parole di Walter Piras, giovane
operatore della cooperativa La Clessidra, che
nella tarda serata di mercoledì 19 giugno,
insieme ad altri sette colleghi, ha coordinato
lo spettacolo “Zapping Show”, organizzato
dal Centro di Aggregazione Sociale Pertini
di Is Boinargius e tenutosi al Cineteatro Murgia. «Volevamo sensibilizzare il pubblico racconta il giovane operatore - a un uso più
consapevole e intelligente dello strumento
televisivo. Di questi tempi si assiste sempre
più spesso a un preoccupante fenomeno:
quello dei bambini abbandonati dinnanzi alla
tv, davanti alla quale trascorrono ore e ore
assorbendo tutto quanto essa propini loro.
La bellezza del contatto umano, i rapporti
famigliari, le amicizie, tendono a essere relegati in secondo piano, con grave pregiudizio
del bambino e della sua formazione. Il compito di ognuno di noi è stato trovare le giuste
strategie per trasmettere questo messaggio,
specie ai più giovani».
Traendo spunto dai programmi più amati del
palinsesto, gli iscritti al centro di aggregazione sociale hanno trasformato il palcoscenico del Cineteatro Murgia in un grande
schermo televisivo: dai perentori giudizi dei
giudici di “Masterchef” alla lacrimosa storia
di Doloretta e Gregoria in “C’è posta per te”,
nessun lato oscuro del tubo catodico è stato
risparmiato. «Lo show? Una bella esperienza
che non dimenticherò» afferma Ivonne Pilloni, 20 anni, che impersonando una talentuosa
concorrente di “X Factor” ha cantato alcune
canzoni tratte dal repertorio pop italiano. «Non
era la prima volta che salivo su un palco, ma
ogni volta è come se lo fosse, forse a causa
della mia timidezza. Ho cercato di dare il
meglio di me e nonostante qualche piccolo
intoppo nell’ultima canzone sono davvero felice».
L’evento ha visto coinvolti anche i piccoli della Ludoteca, impegnati a riproporre alcuni brani
storici dello Zecchino d’oro, e un coro tutto al
femminile che si è esibito in un medley di brani d’altri tempi. «Si è partiti dall’idea di realizzare un musical - prosegue Walter Piras - ma
poi ci siamo resi conto che il tempo a disposizione non avrebbe permesso una preparazione
adeguata di ballerini e scenografie. E, in accordo con i ragazzi che frequentano il centro,
si è optato per uno spettacolo originale e divertente che potesse coinvolgere tutte le fasce
d’età. Speriamo di poter continuare a perseguire
al meglio gli scopi aggregativi, educativi e sociali del Centro. Vista l’importanza del servizio - conclude - sono certo che la nuova amministrazione comunale ed i Servizi sociali saranno ben disposti in questa direzione».
Francesca Virdis
ta a ricovero per anziani o avrà comunque una funzione assistenziale, in un paese che è sempre più dei “vecchi”. Come si
potrebbe risolvere altrimenti il grosso calo di nascite e di
abitanti nei centri come Collinas? È forse il caso di valorizzare i nostri comuni da capo, con altre strategie, visto che
quelle passate non hanno evitato la loro, ormai sempre più
imminente, estinzione? Per adesso non lo stiamo facendo, e
la chiusura prossima della scuola dell’infanzia non è che una
delle avvisaglie della desolazione a cui rischiamo di andare
incontro.
Paolo Onnis
PABILLONIS
Saggio di fine anno per la
scuola di ballo Azzurro Latino
La scuola di ballo Asd Azzurro Latino, dopo
aver partecipato a numerose competizioni,
con ottimi risultati, in tutte le categorie, il
27 giugno, nella piazza Madonna di Fatima, ha presentato il saggio di fine anno. I
maestri Sara Cuccu e Marco Fanari hanno
voluto regalare una serata indimenticabile
alla comunità di Pabillonis. Tutti gli allievi,
dai più piccoli ai più grandi, hanno dimostrato tanta bravura e abilità. Insieme a loro
si sono esibiti anche i ballerini di San Nicolò d’Arcidano.
La serata è stata arricchita, inoltre, da altre
scuole di ballo molto apprezzate dal numeroso pubblico presente: Like to Dance del
maestro Michele Piras, mentre Ilaria
Corda ha incantato i presenti con la sua
danza orientale e la scuola di danza Domaris ha presentato la spettacolare danza acrobatica con il bravissimo Alessio
Cruccu. Una serata ottimale e indimenticabile dunque, grazie soprattutto agli
allievi dell’Azzurro Latino che hanno
dimostrato la loro bravura e abilità per
il ballo, frutto delle fatiche di un anno
della maestra Sara e dell’instancabile
lavoro profuso dal maestro Marco, che
hanno saputo trasmettere ai giovani allievi tanta passione per la danza.
Dario Frau
Classe 1975: festa quarantenni
La classe 1975 sta organizzando la festa per i 40 anni. Per
poter predisporre in modo ottimale tutti i preparativi e organizzare la grandiosa festa che si terrà presumibilmente il 22
agosto è indispensabile avere le adesioni, dare suggerimenti
e tutte le indicazioni utili per la cena e il dopocena che si
terrà in un locale del territorio. Per tutti i dettagli chiamate:
Barbara cell. 340 4171849; Tamara cell. 380 3288374;
Lorena cell. 347 5053400; Arianna cell. 342 5684837; Gabriella cell. 347 7589456
Il comitato organizzatore
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SERRAMANNA
Sant’Isidoro: due giorni di festa in onore
del protettore degli agricoltori e dei raccolti
S
i è conclusa con successo la tradizionale festa in onore a
Sant’Isidoro, protettore degli agricoltori a cui ci si invoca
allo scopo di ingraziarsi un buon raccolto ed allontanare le
carestie. Due giorni di festeggiamenti. Il meteo incerto e l’aria
fresca non hanno agevolato il lavoro del comitato e del suo
giovane presidente Giovanni Pintus, 29 anni. «Abbiamo voluto dedicare l’evento religioso de “Is traccas de Sant’Isidoru”
in ricordo di Marco Limoncino, giovane agricoltore scomparso prematuramente, e Salvatore Saiu, componente del comitato recentemente scomparso», afferma il presidente. Quest’anno i festeggiamenti sono stati organizzati in concomitanza
dell’evento regionale “Monumenti Aperti” al fine di attirare
maggiore attenzione turistica.
LE TRACCAS Erano 25 le “traccas” che rappresentano scorci di vita contadina e quotidiana. Rimorchi addobbati a festa
e trainati da trattori che hanno accompagnato il Santo nella
tradizionale processione religiosa. Sopra i carri scene legate
alla mietitura del grano, la vinificazione o di vita quotidiana
come le lavandaie al fiume o la panificazione. Una processione ricca che ha visto in apertura la presenza di una cinquantina di cavalieri provenienti anche da Mamoiada e di-
versi gruppi folk tra cui Serramanna, Monserrato, Assemini
e Samassi. Presenti anche le scuole materne e l’oratorio della chiesa di Sant’Ignazio. In chiusura la processione religiosa e il santo, trainato da due imponenti buoi, lungo le strade
del paese.
IL VINCITORE Nel percorso una serie di giurati chiamati
a valutare il carro più bello. Ad aggiudicarsi il primo posto il
gruppo numero 19 di Giacomo Loi con “Boghendi funtana”.
Uno scorcio di vita domestica e la riproduzione di una antica
casa, di colore celeste, e della sua “lolla” con all’esterno una
fontana creata con tre tronchi di legno. Ad adornare la struttura intonacata con il fango diverse fascine e una fioriera
realizzata con canne. Sul lato principale una finestra che si
affaccia verso il trattore: un imponente FIAT RS60. «Lo schizzo della casa è stato realizzato da Giuseppe Todde», sottolinea Giacomo Loi, poi pian piano in cinque settimane tutto il
resto ha preso vita. «Abbiamo lavorato alla tracca durante il
nostro tempo libero», racconta con soddisfazione. Una festa
storica che pone le sue radici nel passato.
IL SANTO L’agiografia racconta la vita di Sant’Isidoro,
agricoltore laico, nato e vissuto a Madrid intorno al XII se-
Il ritorno dell’emigrato, lo Schùtzen Paolo Melis
Il guspinese Paolo Melis ha dimorato per 40 anni in Germania, facendo parte degli Schùtzen, un corpo speciale di polizia locale, presente nei piccoli paesi e borghi della Germania.
Nel 1999, alcuni rappresentanti della citta tedesca di Wesel
(Renania Settentrionale - Vestfalia), esponenti del gruppo,
anche società militare, arrivarono in divisa a Guspini per un
insolito gemellaggio.
Paolo Melis, ora in pensione, non ha mai dimenticato i suoi
amici Shutzen, anzi l’attaccamento e l’amore verso quella
associazione si sono sempre più rafforzati, perchè anche in
Sardegna, fra i militari tedeschi di Decimomannu, ci sono
alcuni riservisti che fanno parte di quella compagnia. A
Guspini, tra quei riservisti, oltre a Paolo Melis, vive anche
Hans Peter Muncher: gli unici del gruppoche vivono nel
Medio Campidano. Da sei anni, anche loro hanno rinnovato
e celebrato la festa di questa caratteristica associazione militare, che unisce assai strettamente gli aderenti in amicizia,
spirito di corpo, orgoglio. E poi, per quella voglia di festeggiare, ogni anno, con musica popolare, canti e naturalmente
con tanta birra “naturlich “, a fiumi. Quest’anno gli Schùtzen
“sardi” hanno fatto festa a Ussaramanna, in una località suggestiva. Ci raccontano che “il sergente” della Compagnia ha
avuto un immenso piacere nell’incontrare vecchi amici e nel
conoscerne dei nuovi. Dalla Germania, inoltre, è arrivata una
banda musicale e sono giunti altri aderenti di quella “società
militare” a rallegrare per quattro ore gli Schutzen tedeschi e
italiani.
Gli Schùtzen, apolitici,conosciuti anche come bersaglieri
tirolesi, cacciatori, scizzeri o sizzeri, erano nati come milizia
volontaria asburgica, per la difesa territoriale. La parola tedesca Schtze, significa “ tiratore”. In tempo di pace praticavano il “tiro al bersaglio” con un’arma corta a canna rigata,
molto precisa. Oggi, in Italia sono presenti nel Tirolo austriaco, Trentino - Alto Adige, Ampezzano, Livinallese come associazioni folcloristiche.
In riferimento alla festa del 1998, la giornalista Anne Gerlach
racconta che Paolo Melis, membro della terza Compagnia
aveva avuto un’idea grandiosa. Per il suo 60° compleanno
colo. La ricorrenza per il suo festeggiamento è il 15 maggio. Il suo nome Isidoro proviene dal greco e significa “dono
di Iside”, dea della maternità, prosperità e fertilità. Le vite
di Isidoro e sua moglie Maria Toribia, spesso non menzionata, sono legate unicamente a due attività quotidiane: la
preghiera e il lavoro. Nonostante lavorasse duramente la terra
Isidoro partecipava quotidianamente all’eucarestia tanto da
ricevere dai suoi compagni l’accusa di togliere ore di lavoro
per la preghiera. Non sa né leggere, né scrivere, ma riesce a
parlare con Dio. Accusato dai colleghi di “assenteismo” e
di aiutare i poveri e gli animali con generosità attingendo
alle risorse del suo padrone senza però che queste diminuissero. È solo alla sua morte che compì miracoli in favore di
chi lo invocava tanto che solo cinque secoli più tardi fu canonizzato.
Carlo Pahler
[Foto Enea H Medas]
SAN GAVINO. ORGANIZZATA DALLA PRO LOCO
Sesta festa dell’emigrato
aveva invitato i capi della
società degli
Schùtzen in
Sardegna.
Così, aveva
organizzato
tutto: il viaggio aereo,
scelto un hotel sul mare,
fornendo la
macchina con le uniformi, una fisarmonica. I tedeschi conservano ancora forti ricordi: della bellezza del mare, della
processione di S. Antonio coi trattori, dei carri trainati da
buoi infiorati, e dei giovani che cantavano nelle “traccas”.
Giornate intense, con i fantastici cibi sardi, di arrosti allo
spiedo, pesci e tante altre gustose specialità della Sardegna.
Una grande festa, con canti alla fisarmonica, un grande ricordo. «Per noi tedeschi - conclude la Gerlach - una settimana fantastica e indimenticabile. E tutti furono ricevuti nell’aula consiliare del Comune dal sindaco Tarcisio Agus.
Evaristo Puxeddu
Un’intera giornata dedicata agli emigrati sangavinesi e sardi
nel mondo. È questa la manifestazione organizzata per il sesto anno dalla Pro Loco per giovedì 13 agosto in concomitanza
con i festeggiamenti di Santa Chiara. Un momento per incontrare non solo gli emigrati sangavinesi ma anche tutti quei
sardi che per lavoro hanno dovuto lasciare l’Isola e che in
estate riescono a rientrare per incontrare amici e parenti e
trascorrere le meritate ferie.
RICONOSCIMENTO PER GLI EMIGRATI «Sarà una
grande occasione - spiega il presidente della Pro Loco Antonio Garau - per salutare e ringraziare, assieme all’amministrazione comunale, i nostri fratelli che pur lontani non hanno dimenticato la terra natale e il loro paese, dimostrando il
loro affetto. In particolare daremo un riconoscimento speciale a due sangavinesi che hanno fatto conoscere il nome
del paese nel mondo».
IL PROGRAMMA In omaggio agli emigrati ci saranno alcuni eventi collaterali e giovedì 13 alle 19 nella chiesa di
Santa Chiara la Santa Messa dell’emigrato. Al termine in piazza Marconi il saluto agli emigrati e la consegna di ricordoomaggio da parte della Pro Loco. Alle 20 la cena in piazza
con i piatti tipici allo zafferano come i classici malloreddus
ed ancora prodotti locali accompagnati da un buon bicchiere
di vino. Dalle 21 alle 24 Ballus in Pratz’e Crèsia, una serata
popolare di balli sardi (a richiesta intermezzi di liscio ).
L’EDIZIONE DEL 2014 E proprio lo scorso anno la Pro
Loco aveva ringraziato pubblicamente i tanti circoli degli
emigrati che avevano dato un aiuto concreto al paese sconvolto dall’alluvione del 2013. In particolare si erano distinti
per il generoso aiuto portato a San Gavino e ad altri paesi
colpiti il circolo “Il Nuraghe di Alessandria” e il suo presidente Vittorio Farci e Gianni Porceddu, un caro amico che
manca da San Gavino da cinquant’anni. Prima muratore, poi
poliziotto e ora manager di una ditta leader a livello mondiale nella fabbricazione e commercio delle pipe.
Gian Luigi Pittau
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Anche Guspini era presente
all’infiorata di piazza San Pietro
C
’erano anche gli “Infioratori S. Maria” di Guspini alla
IV edizione dell’infiorata storica di Roma, tenutasi
nella notte tra il 28 e il 29 Giugno in via della Conciliazione e Piazza Pio XII. A ricoprire l’incarico di ambasciatori della bellezza in terra vaticana, tredici coraggiosi quanto
esperti infioratori: Maria Cristina Pintus, Raffaele Sanna,
Valeria Olla, Mara Caria, Marco Puddu, la piccola Emma, e
poi Fernanda Pinna, Rossella Olla, Iride Manca, Gabriella
Seruis, Mariella Pala, Adelaide Fois.e Rodica Hantoiu. Oltre
dodici ore di lavoro (dalle 17 del pomeriggio di domenica
alle 10 del mattino di lunedì) per realizzare una raffinata “Sacra Famiglia” di ceci, sale e fondi di caffè. «Abbiamo sperimentato una nuova tecnica, rifacendoci alle lavorazioni col
telaio tipicamente sarde- specifica Cristina Pintus, coordinatrice del gruppo - e questo ha permesso di ottenere un effetto
simil tessuto davvero innovativo, che manco a dirlo è stato
molto apprezzato. Abbiamo sudato, riso, pianto, faticato, perso sonno, ma senza dubbio ne è valsa la pena. Grazie di cuore
a chi, con sacrificio fisico ed economico, ci ha aiutato in questa splendida avventura che difficilmente scorderemo».
Nel corso delle due giornate di festeggiamenti, chini sul selciato di piazza San Pietro c’erano oltre mille mastri fiorai di
ogni lingua ed etnia; tutti ugualmente assorti nella realizzazione dei preziosi quadri su selciato. «Dopo 400 anni dall’ultima
infiorata - ricorda il presidente della Pro Loco di Roma, Lucia
Rosi - abbiamo riportato nella capitale, più precisamente proprio di fronte alla Basilica di San Pietro, una delle più antiche
forme di celebrazione dei santi della cristianità. Infatti l’obiettivo della manifestazione è quello di restituire a Roma l’antica
tradizione delle decorazioni floreali, nata nel 1625 e reiterata
sino alla fine del XVII secolo».
«È stato bello lavorare fianco a fianco con gli altri infioratori prosegue Cristina Pintus - e abbiamo imparato qualcosa di
nuovo, oltre ad approfondire tecniche che già ci erano note. La
parte più emozionante è stata senza dubbio quando papa Francesco, durante l’Angelus, ci ha ringraziati tutti». Quest’anno,
in concomitanza con l’infiorata storica, Roma ha ospitato an-
SERRAMANNA. TREDICESIMA
I
l sito internet accoglie i
visitatori citando “FRADES, acronimo di Fratellanza, Ricordo, Amicizia,
Divulgazione, Educazione,
Solidarietà: questi sono i
principi su cui si basa l’associazione”. Essa è stata costituita nel 2004 con l’intento di commemorare, attraverso una manifestazione con cadenza annuale, i
ragazzi di Serramanna
scomparsi prematuramente
attraverso attività culturali,
di spettacolo e di aggregazione sociale in genere.
A pochi giorni dalla conclusione della tredicesima edizione di Frades, si può sicuramente dire che i ragaz-
zi dell’associazione hanno
tenuto fede anche quest’anno ai loro impegni e che la
manifestazione è stata un
successo, sia per il programma proposto, che coinvolgeva grandi e piccoli, sia
per la numerosa partecipazione degli abitanti di Serramanna e delle tantissime
persone arrivate da svariate parti della Sardegna per
assistere all’evento.
La serata del 9 luglio, dedicata interamente ai bambini, ha aperto i festeggiamenti con il laboratorio di
teatro, seguito dallo spettacolo teatrale, curati da Rosa
Trudu e dall’Associazione
Frades. Nel corso delle al-
che il V Congresso Internazionale delle Arti Effimere. Alla
manifestazione, di portata internazionale, sono intervenute circa
50 delegazioni, con 500 delegati al congresso e 1.500 maestri
infioratori provenienti da ogni angolo del globo. «A lavorare
sotto la basilica illuminata -commenta Mara Caria- sollevando di tanto in tanto lo sguasrdo, ti si bloccava il respiro. E poi
i complimenti del santo padre e di chiunque si fermasse a guardarci lavorare: mi sono sentita così orgogliosa di noi, compresi quelli del gruppo rimasti in Sardegna: Luciano e Valentino
Sanna, Daniela Usai e Bruna Dessì». «Eravamo tutti lì durante
la notte - prosegue la giovane - legati dalla stessa passione e
dal desiderio di fare qualcosa di bello. Abbiamo anche stretto
amicizia con dei ragazzi di colore, collaboratori del gruppo di
Torricella Sicula Teramo. Ci hanno raccontato di essersi uniti
a quel gruppo per ripagare in qualche modo il paese dell’accoglienza ricevuta anni fa, quando sono arrivati in Italia. Una
bella storia di integrazione che ha impreziosito questa indimenticabile esperienza rendendocela ancora più cara».
Francesca Virdis
EDIZIONE DELLA MANIFESTAZIONE
Frades: per ricordare fratelli, amici
e compagni che non ci sono più
tre serate, la musica si è impadronita della scena con
cantanti e musicisti locali e
arrivati da oltre oceano. Artisti di strada, fumettisti,
scrittori, le associazioni di
Serramanna e “Radio Biddamanna” online con gli
speaker Bujumannu e Kayaman, hanno colorato e
animato la manifestazione.
Tra novità di quest’anno,
l’ingresso di Frades all’interno del circuito Sardex
che ha permesso a chi ne fa
parte di acquistare le consumazioni in crediti Sardex.
Ha inoltre riscosso moltissimo successo contest foto-
grafico su Instagram, dedicato a tutti coloro che hanno voluto raccontare le
quattro indimenticabili serate di Frades 2015 attraverso le foto scattate per ricordare gli attimi più belli.
E attimi ce ne sono stati tanti. Il pubblico di Serramanna, che solitamente si mostra freddo e difficile agli
applausi, al termine del
concerto dei Linea 77, ha
cominciato a gridare a gran
voce “Frades, Frades, Frades”.
Alla fine dell’ultima serata,
ancora grande calore e affetto per l’intero staff che
è salito sul palco ricevendo
un lungo e meritatissimo
applauso per l’ottimo lavoro svolto. Il più toccante e
commovente dei momenti,
domenica sera, quando con
la canzone “Per te”, Bujumannu ha ricordato a tutti,
con un brivido ed un po’ di
malinconia, aldilà dell’età e
dei gusti musicali, il significato di questa manifestazione: ricordare i fratelli,
amici e compagni di Serramanna che sono andati via
troppo presto da questa vita,
ma che resteranno per sempre nel cuore, qualunque sia
la strada che il tempo ed il
destino faranno percorrere:
“È per te questa voce, è per
te il mio ricordo... Meg’a
nai ca non mi seu scaresciu
mai, s’arregodu de tui è
sempri cun mei...” (Sto dicendo che non mi sono mai
dimenticato, il tuo ricordo,
lo sai, è sempre con me).
Francesca Murgia
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1 agosto 2014
Montevecchio
Nel Cantiere di Levante
è di scena Birras: ed è subito festa
Immersa nella pace irreale della sua macchia mediterranea sabato 11 luglio Montevecchio ha ospitato la nona edizione di
Birras e in tanti hanno potuto raggiungere il Cantiere di Levante e godere della suggestiva cornice fornita dalle Officine, dalla
Laveria e dal Pozzo Sartori sovrastante. Sabato pomeriggio
c’erano venti tipi di birre disponibili prodotte da quindici birrifici, di cui dieci sardi e cinque d’oltremare, tra i quali il “Vale la
Pena” di Roma, inserito all’interno di un progetto di inclusione
di detenuti del carcere di Rebibbia. «Ormai per noi Birras è
diventato un appuntamento fisso: lo vedo come un modo diverso di trascorrere una serata di puro divertimento in compagnia.
L’affluenza presso gli stand è stata più o meno la stessa degli
anni scorsi», commenta Francesca Loddo, operatrice negli stand
della “Beermania Brew” di Selargius e di “Green’s”, azienda
birraria specializzata esclusivamente nella produzione di birre
senza glutine.
Il chiacchiericcio dalla rosticceria, la musica dei gruppi emergenti dalle Officine, la Fonderia e la Falegnameria: è attraverso questi luoghi che si è snodato il percorso di Birras. Ad allietare la manifestazione, organizzata dal Comune di Guspini
in collaborazione con la Regione, la Pro Loco, gli artigiani
sardi della birra e il gruppo E20-ProLoco Giovani, c’erano
anche lo ska-reggae dei Ratapignata, le ballate rock dei Golaseca e le sonorità raggae di Randagiu Sardu. «Più il pubblico
urla e si diverte, più mi sale l’adrenalina. E così è stato», racconta il beatboxer Francesco Porcedda, alias Mr Fox, 21 anni,
guspinese d’origine ma inglese
d’adozione. «In
Inghilterra, munito di amplificatore e microfono,
mi sono spesso
improvvisato artista di strada prosegue - giusto
per arrotondare
un po’. Tornare in Sardegna è stato bellissimo. Penso che non
capiamo il valore della nostra terra fino a quando la lasciamo
per un po’ di tempo» conclude. Impressioni positive anche da
parte del duo “Marco e Cristina”: «Ci siamo trovati davvero
benissimo, e il pubblico è stato molto caloroso. Poter suonare
a Birras è sempre molto bello, gratifica trovare una platea partecipe e vedere le persone davanti al palco che ballano, cantano, si divertono e si emozionano con noi».
Tutto esaurito per i laboratori di degustazione tenutisi alle
19 e alle 21,30. A guidare gli aspiranti degustatori nel loro
viaggio sensoriale la giornalista e degustatrice professionista
Manila Benedetto, già coordinatrice nazionale dei corsi di
Unionbirrai, docente nei corsi degustazione e giudice di Birra dell’Anno. Alla festa non è mancato neppure l’intrattenimento dell’associazione Chine Vaganti, con la presentazione
del fumetto “Bestias” di Alessandro Aroffu e il Body Comics, da parte degli artisti sulla pelle dei più coraggiosi. Molti
visi ammirati tra la folla al momento dell’esibizione dei Cambas de Linna, che grazie al sapiente utilizzo di musica e atmosfere hanno saputo imbastire uno spettacolo di grande
impatto emotivo, nonché dinanzi alle conturbanti movenze
della danzatrice del ventre Julia Sanna. Dai banchi della rosticceria i commenti non potrebbero essere più positivi. «Una
manifestazione fantastica, il divertimento è garantito e torneremo sicuramente il prossimo anno. Grazie a tutti».
Francesca Virdis
Foto Rinaldo Ruggeri
Guspini. Dal 28 al 30 agosto
Bimbi a bordo: in viaggio nel mondo incantato della lettura
I begli albi illustrati, le mostre, gli autori, l’amore per la
lettura assoluta protagonista del tutto: sono questi e molti
altri gli elementi che fanno del festival letterario “Bimbi a
bordo”, in programma a Guspini dal 28 al 30 Agosto, una
delle manifestazioni culturali più apprezzate del circondario. “Saremo orgogliosi di presentare ciascuno degli artisti
che interverranno: parliamo di vere e proprie personalità del
mondo della letteratura - puntualizzano dall’associazione
Incoro - come la scrittrice spagnola Raquel Diaz Reguera,
autrice di testi per artisti del calibro di Zucchero, Noa, Victor
Manuel, Nek, o la coppia Francaviglia- Sgarlata, le cui storie sono state tradotte in inglese, tedesco, portoghese e
coreano, ricevendo riconoscimenti da tutto il mondo”.
Non mancherà all’appello neppure l’incantevole talento pittorico del trentaduenne Marco Somà, già docente d’illustrazione e tecniche pittoriche all’Accademia di Belle Arti
di Cuneo, né le eccezionali tavole della milanese Silvia
Bonanni, illustratrice di articoli per periodici come Gioia,
Io Donna, Elle, Marie Claire e pluripremiata esponente del
mondo dell’editoria dell’infanzia. «Tre giornate intense,
vocate ad un’immersione lieve tra segni e sogni - scrive
Mara Durante, docente di scienze della formazione primaria all’università di Cagliari - che possono entrare nella cerchia familiare dei nostri vissuti contrastando l’immaginario
attuale, sempre più appiattito dall’ estetica da McDonald
che omogenizza i linguaggi, i comportamenti, gli stili di
vita»
“Bimbi a bordo”, che quest’anno sarà inoltre partner del
prestigioso Premio Dessì, ormai alla sua XXX edizione, si
terrà tra le Case a Corte, le piazze e le vie del centro storico di Guspini: oggetto del festival, la promozione della
lettura attraverso decine di appuntamenti con coloro che
si fanno promotori della fantasia e del potere dell’immaginazione. Stella polare di questa edizione, il tema “Sogno e segno”.
«Nel Regno unito del 1906 James Matthew Barry sogna
Peter Pan, suggerendo ai bambini lettori che crescere significa lasciarsi alle spalle lo spazio immaginario chiamato l’Isola che non c’è», spiega Mara Durante. «Ma Peter
Pan rimane nell’Isola che non c’è…non vuole crescere e
in questo gli assomigliamo un po’ tutti…anche noi “grandi”. Certo, usciamo dalla stanza dei giochi, ci lasciamo
alle spalle le automobiline e le bambole, ma non abbandoniamo mai il gioco dell’immaginazione, il sognare ad occhi aperti; cambiamo solo il modo di frequentarlo e praticarlo. I libri, i film, il teatro, i sogni, le feste del libro,
come la nostra, sono tutte province dell’Isola che non c’è.
Ed è per questo che vi attendiamo». (f. v.)
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1 agosto 2014
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SPECIALE SA FESTA MANNA
GUSPINI
FERRAGOSTO: ED È SANTA MARIA ASSUNTA
C
’è un senso d’eternità nel canto delle anziane raccolte in capannelli, un mese prima de sa festa
manna, nel piacere con cui accolgono quel leggero levante che di tanto in tanto scompiglia loro i capelli e
fa ondeggiare l’orlo delle gonnelle. “Coggius” è parola
di origine spagnola che deriverebbe da “gozar”, ossia “godimento”, e un tempo il rione tutto si riuniva a cantare la
vita della Santa ne is coggius, intonando la propria devozione a Maria con piccole strofe da sei versi l’una, due
ritornelli e qualche stecca che poco toglievano alla magia del momento.
Una magia lunga otto giorni, quella della festa di Santa
Maria, così cara ai guspinesi da spingere tanti immigrati a
tornare in paese per poter respirare, ancora una volta, l’indefinibile profumo di continuità che da oltre 400 anni, tra
l’11 e il 22 agosto, riaccende Guspini. C’è da chiedersi se
anche i nostri antenati sentissero lo stesso senso d’eterno
quando il 13, tra gli ori e i silenzi della bella parrocchia di
San Nicolò, la statua della Vergine Dormiente veniva vestita con tunica, calzari e corona d’argento, ornata di preziosi donati ex voto e adagiata sul letto a baldacchino riccamente decorato. Un divieto vecchio di secoli, oggi non
più in vigore, impediva l’apertura della teca di vetro in cui
la Madonna riposava prima delle 15.
Ma ancora oggi il simulacro viene portato in processione
per le vie del paese soltanto al mattino di Ferragosto, dopo
il termine della messa: riuniti in corteo, oggi come ieri, i
guspinesi accompagnano la Santa fino alla chiesetta di
Santa Maria di Malta, dove resta per gli otto giorni di
festeggiamenti. In testa alla processione, suonatori di
launeddas, cavalieri e trattori bardati a festa. E il ricordo
corre ai tempi in cui alla sera si teneva la corsa dei cavalli in
località “Su Legau” e l’esposizione dei prodotti locali nelle prime, rudimentali bancarelle lungo la via Santa Maria.
Brocche, tegami e pentole in terracotta, e poi cestini,
corbule, crivelli e setacci realizzati dagli artigiani di paese facevano bella mostra di sé accanto alle creazioni dei
maestri del rame e del legno giunti dall’interno. E poi le
lucide lame delle arresojas, i manti di calda orbace, is
bettuasa degli artigiani di Gonnosfanadiga, le botti di
vernaccia degli oristanesi vicine ai venditori del buon torrone. Oggi i guspinesi possono dire che i tempi sono cambiati, ma il cuore della festa più cara a Guspini sembra
essere rimasto piacevolmente immutato.
Francesca Virdis
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1 agosto 2014
SPECIALE SA FESTA MANNA
C
osì a Guspini si combatte la crisi: programma
alla mano, “Santa Maria”
non deluderà neanche quest’anno le aspettative dei più
affezionati, con un calendario fitto di eventi che spazieranno dall’intrattenimento
per i più piccoli agli spettacoli di danza, musica e cabaret cui si legheranno, a doppio filo, i festeggiamenti religiosi tributati alla Vergine.
Come ogni anno, si parte col
triduo: dall’11 al 14 agosto,
dalle 9 alle 11, ci saranno le
confessioni, per poi proseguire alle 19 con la santa
messa, la cui omelia sarà presieduta martedì da don Antonio Massa, mercoledì da
don Claudio Marras, giovedì da don Gianni Biancu, e
venerdì da mons. Angelo Pittau. L’accompagnamento del
simulacro dell’Assunta alla
chiesa di Santa Maria si terrà invece dopo la messa: a
seguire, alle 20,30, si canteranno i vespri solenni.
Nella notte di venerdì il comitato darà inoltre via ai festeggiamenti civili: come
d’abitudine, saranno i fuochi
d’artificio della ditta Oliva di
Pabillonis a decretare l’inizio
della festa, accendendo la vigilia di Ferragosto con gli
spettacolari giochi pirotecnici in località Su Legau, cui
seguirà il “Live Rap” in piaz-
Nove giorni di appuntamenti
za XX Settembre. Una festa
mattiniera quella di sabato 15,
con le sante Messe prima alla
chiesa di San Nicolò, alle
7,30, quindi alle 9 a Santa
Maria, e con la solenne processione della vergine dormiente accompagnata dalla
banda musicale “Città di Guspini”. Alle 11, si terrà la
solenne concelebrazione dei
parroci e dei sacerdoti di Guspini, con l’omelia tenuta da
monsignor Antonio Massa,
parroco di San Nicolò.
La voce e la bellezza della
giovane cantante salernitana
Luna Palumbo, salita alla ribalta nella seconda edizione
di The Voice of Italy, delizieranno invece il pubblico
di piazza XX Settembre nella notte di ferragosto.
Domenica la chiesa di San
Nicolò ospiterà le messe delle ore 7,30, 10,30, 19. Nick
Casciaro e la sua band faranno invece ballare piazza XX
Settembre nella seconda serata. Dal 17 al 21 agosto sarà
possibile prendere parte alle
messe delle 7,30 e delle 19 a
San Nicolò, delle 8,30 nella
chiesetta di Santa Maria.
Per la serata di lunedì è previsto, in piazza XX Settembre, il gustoso cabaret “Cossu e Zara”, cui farà seguito,
alle 22 di martedì, l’esibizione di ballo liscio ed etnico
“Bailando Sardinia”. Mercoledì 19 agosto, alle 17, in occasione de “sa die de is pipieddus” la via Santa Maria
sarà allestita per “sa cabada
de is carrucceddus e i giochi
tradizionali”, per la partecipazione di ANTEAS M.C.
onlus. Alle 22 piazza XX
Settembre ospiterà invece
“Giochi per bambini e Mister
Quiz”.
Nel pomeriggio di giovedì 20
nel tratto di strada che conduce alla chiesetta si terrà
l’attesissima “Infiorata a Maria”, a cura dei Gruppi. Alle
22 piazza XX Settembre
ospiterà “Il Risveglio”, tribute band del gruppo rock
statunitense “Creedence Clearwater Revival”. Sempre
giovedì, si concluderà la serie di proiezioni sul patrimonio archeologico guspinese
(fissate nelle serate dei giorni 15, 16 e 20 agosto) organizzato dal gruppo Neapolis
presso la sede del comitato in
via Santa Maria.
La danza sarà regina incontrastata della scena venerdì
21 agosto, con lo spettacolo
“Danzando sotto le stelle”,
organizzato dalla New Happy Dance di Guspini, con la
partecipazione dei campioni
regionali 2015 di Syncro
Show.
Sabato 22 si concluderanno
sia i festeggiamenti religiosi
che quelli civili: i primi, con
le messe al mattino e la solenne processione di rientro
del simulacro a San Nicolò,
i secondi con l’estrazione
della sottoscrizione a premi,
l’esibizione di tennis tavolo
alle 22 in piazza XX Settembre e la pesca di beneficienza all’oratorio San Domenico Savio.
Francesca Virdis
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GUSPINI
Sa Festa Manna
(raccontata a una nipote,
vista con gli occhi di una ragazza degli anni ’30)
P
aola annuisce, si perde nel racconto. Guarda con simpatia le rughe della vecchia zia che riportano i tratti
somatici della famiglia. Ne ascolta la voce armoniosa
nella sua tipica cadenza e nella sua precisione lessicale, ogni
parola in sardo esprime un concetto. Chiede quali siano le
preghiere che si recitano quando si veste la Santa. Zia Maria
sembra non dare molto peso alla domanda.
«Le solite preghiere, qualche Ave Maria, e il rosario. Finita
la vestizione, la Santa è pronta per intraprendere il cammino.
La sera della vigilia, dopo la messa, is oberaius e alcuni uomini la prendono in spalla e, tra un tripudio di folla, percorrono il breve tratto di strada che separa la chiesa parrocchiale
di San Nicolò dalla sua casa, la chiesetta al centro del paese.
Raccontavano i vecchi che sa cresiedda de Santa Maria, la
chiesetta di Santa Maria, per distinguerla da sa cresia manna,
la chiesa grande dedicata a San Nicolò, alla fine dell’800, era
utilizzata come stabile comunale. Volevano trasformarla, poi,
in edifico scolastico. Forse perché non era stato costruito
ancora il palazzo comunale. Per fortuna non l’hanno fatto. A
noi figli, l’aveva riferita babbo e mamma. La storia la conoscevano tutti a Guspini ed era tramandata nelle famiglie. A
babbo e mamma l’avevano raccontata, forse in una sera d’estate dopo il rosario, nonno Pietrino o nonna Antonicca, o forse
qualche altro anziano... Stavamo parlando della festa, però.
All’ottava, il giorno dopo la processione del rientro, si sveste
la Santa, si toglie l’abito della festa e si rimette quello giornaliero. Si toglie anche l’oro. Quando andava tua nonna, le
donne addette alla vestizione la ricoprivano tutta d’oro. Adesso un po’ meno. Quest’oro la Madonna l’ha ricevuto dalle
famiglie: un anello, un paio di orecchini, una catenina. A volte erano promesse fatte in momenti di difficoltà. Anche quest’anno hanno regalato oro. E noi glielo abbiamo messo addosso. Un anello a ogni dito, gli orecchini, la collana. Un
anno, alla Madonna dormiente, nei giorni della festa, erano
riusciti a rubare molto dell’oro che aveva addosso. Anche
per svestirla dell’abito della festa le donne sono sempre le
stesse».
Paola starebbe ore e ad ascoltare zia Maria. Improvvisamente, ricorda che le statue sono due e vuole sapere se quella
della quale parla era quella che vestivano per portarla in processione. Zia Maria coglie al volo l’osservazione come se la
aspettasse. «La statua che è nella chiesa della Santa non la
poteva e non la può toccare nessuno. Quando ero ragazzina
due sorelle nubili che abitavano vicino alla chiesa, dicevano
che quella statua usciva solo per la sua festa. In antico l’Assunta era sistemata in una cassa. Una cassa di Aritzo, una di
quelle cassapanche intagliate, riposava dentro una cassa chiusa, era tutta coperta. Io l’ho conosciuta. La spostavano dalla
cassa solo per la sua festa. La cassa era sistemata per terra,
appoggiata alla parete di fronte, sulla destra, dove adesso c’è
il tabernacolo. Io ero ragazzina. Poi l’avevano sistemata sull’altare. Dopo l’ultimo restaurato della chiesetta, l’hanno
messa nella cappella di Santa Maria sotto il quadro… Il vestito che indossa lo avevano fatto le suore di zia Orlanda, la
mamma di Tullio. Un vestito bianco l’aveva confezionato
anche Riccardo».
Paola vorrebbe sapere, secondo quanto dice la tradizione,
come la Santa è arrivata sin qui, a Guspini. Sa che le notizie
possono essere discordanti e che le storie possono essere più
d’una, anche diverse.
«Paola, le storie sono tramandate di madre in figlia in modo
particolare in questo vicinato di Santa Maria, e anche in paese. I guspinesi hanno sempre considerato Santa Maria Bella
una compaesana, la più nobile, importante e con molto potere. Maria è un dono del cielo. Tua nonna Alina diceva che la
Santa è arrivata sopra un carro trainato da un giogo di buoi
che s’è fermato lì, dov’è stata costruita la chiesa. Si diceva
anche che volessero portarla via gli abitanti di Arbus, ma i
buoi si sono rifiutati di riprendere il cammino. Era chiaro che
(parte seconda)
bisognava costruirle la chiesa dove si erano fermati i buoi. Si
dice anche che una notte siano riusciti a prenderla e che la
notte successiva sia tornata alla sua chiesetta. Paola, gli antichi erano così, ci credevano. Mamma diceva che quei buoi
erano venuti e ci avevano portato la Santa come un dono.
Avevano fatto la volontà della Madonna. Per questo in processione andava sempre sopra un carro trainato da un giogo
di buoi. Come il giorno che è arrivata».
Paola ha avuto modo di conoscere la rivalità che da sempre
pare ci sia tra guspinesi e arburesi e non può che sorridere.
Le è sempre parso un gioco, considerando che tra gli abitanti
dei due paesi matrimoni e comparati sono molto comuni.
Zia Maria continua il racconto: «Nonna Alina, mamma, e le
donne anziane del vicinato raccontavano che dove c’è la chiesa c’era un camposanto. Infatti, quando hanno scavato per
costruire la chiesa hanno trovato anche ossa. Lì seppellivano
i morti. Si raccontava anche di un monastero. Lì attorno alla
piazzetta… C’erano i monaci. Sotto la chiesa, si crede ci sia
un tunnel, che va verso il monte Santa Margherita. Chissà.
Una cosa è sicura: quella Santa dalla sua chiesa non si è mai
mossa, se non per il restauro della chiesetta. In quell’occasione non è stata portata neanche in parrocchia. L’ha accolta
una casa privata. Non l’abbiamo toccata neanche noi. Mai,
Mai. Non voleva essere toccata. Anche nel periodo della guerra è stata sempre lì. La chiesa era chiusa, però la Santa era
sempre lì. Quando è finita la guerra, abbiamo ricominciato
con la festa. La chiesa, per Santa Maria, la pulivano le nostre
mamme, le stesse che preparavano la Santa. A noi che eravamo bambine, davano, a ciascuna, un piccolo secchio per portare l’acqua. Il rubinetto pubblico era addossato al muro di
una casa, in chiesa non ce n’era».
Paola non sa se insistere o fermarsi. Vede la zia stanca. Decide di continuare affrontando un altro argomento, chiede come
i guspinesi si comportavano con questa Donna. «I guspinesi
lo sapevano che il 15 agosto era la festa di Santa Maria ed
erano tutti pronti. Erano belli, si facevano belli, era una festa
nodìda, speciale. Tutti, tutti, avevano fede in Santa Maria,
andavano a messa e alla processione. A proposito di processioni, Paola, sai come facevano nei tempi passati? Quando la
Santa era qui, durante la settimana dell’ottava, se tu volevi
fare una processione con la Santa, dovevi chiedere. Ti autorizzavano a portare fuori la statua e fare la processione attorno alla chiesa, qui vicino. La piazza era in terra battuta e qui
si faceva anche la festa. La settimana di Santa Maria era festa, otto giorni di festa. I mietitori tornavano dai campi, si
sedevano nei gradini della chiesa e aspettavano che passasse
la festa di Santa Maria. Dopo la Festa tornavano al loro lavoro».
Paola è sorpresa e chiede a zia Maria conferma di quanto le
ha appena riferito. Le sembra un fatto eccezionale: «È tutto
come ti ho detto, ero molto piccola, ma ricordo». Se è così,
riflette Paola, ci devono essere anche altri aspetti che rendono speciale la festa. Zia Maria attende di essere ancora interpellata. Un altro elemento che può dirci qualcosa sulla comunità è il cibo e la sua preparazione. La festa è speciale
anche il cibo, deve esserlo.
«Quando ero ragazzina, il pranzo della vigilia era a base di
pesce. Il pesce a Guspini lo vendeva mia nonna, la moglie di
Pietrino, nonna Antonicca, tua bisnonna. Non tutte le mie
sorelle hanno conosciuto la mamma di babbo. Si metteva a
vendere il pesce di fronte alla piazza, vicino alla casa di signora Bruna, su dei tavoli. La vigilia dell’Assunta, molti
guspinesi prima andavano in chiesa ad ascoltare la messa delle
5.30, poi acquistavano il pesce da nonna e tornavano a casa.
Il muggine arrivava dalla peschiera di Cabras e lo portava
nonno Pietrino, che viaggiava tutta la notte con la carretta
trainata dal suo cavallo baio. Ancora una cosa sui nonni: nonna
Antonicca era invidiata da molte donne, infatti dicevano che
il marito fosse un bell’uomo, Pietrino era bello. Ma torniamo
alla festa. La vigilia di Santa Maria si mangiava il pesce e
basta. La testa era cucinata in brodo l’altra parte era tagliata a
pezzi regolari e fatta arrosto. Si mangiava pesce a pranzo e a
cena. Il giorno di Santa Maria, invece, si mangiava brodo di
carne di gallina. In genere si ammazzava un gallo. A casa
nostra, babbo faceva il prosciutto e per antipasto si mangiava
quello. Poi mamma, per il giorno della festa, faceva is
malloreddus in casa, non poteva mancare il maialetto arrosto. Era una festa dove il cibo era abbondante. Brodo o
malloreddus per primo, per secondo, a scelta, carne lessa o
maialetto arrosto, o entrambi. Il giorno dopo la festa, a volte
anatra, noi avevamo questi animali, e un piatto di minestrone
con ceci, fave, lenticchie o piselli. Minestrina a cena, e quanto avanzava dal pranzo. Queste sono le storie, Paola».
Era tutto così regolare, senza eccessi.
«Tua nonna ricordava che il suocero, Pietrino, prima di tagliare il pane, quando si sedeva a tavola, faceva il segno della croce».
Chiede del pane e dei dolci; dovevano essere speciali.
«Per la Festa, in quasi tutte le famiglie di Guspini si faceva il
cocò, la pasta dura. A casa nostra venivano due maestre, zia
Peppina e zia Iolanda, bravissime nella lavorazione di quel
tipo di pane. La pasta del cocò, a forma di corona, era intagliata e, una volta messa al forno, fioriva. Uno spettacolo. Il
pane era fatto l’antivigilia, e anche i dolci. I dolci erano le
gallettine, il pane sapa e is pirichittus. Per la festa indossavamo sempre qualcosa di nuovo: un vestitino e le scarpette.
Chi le aveva. C’era anche chi non poteva. Attorno alla chiesa
c’era una piazzetta in terra battuta, c’era un rubinetto pubblico attaccato al muro di Velio, lì si mettevano i venditori di
brocche, di conche, di boccali e di altri oggetti in terracotta
utili in casa. Era una festa grande. Io ricordo che babbo ci
portava al circo, a su Legau. Era di Ida Pani. Tu non l’hai
conosciuta. Tutta la settimana era festa, venivano i cantanti
sardi e gli uomini uscivano per sentirli. I tuoi nonni andavano in piazza a sentire le canzoni sarde. Portavano con loro
uno scanno per sedersi».
Zia Maria sembra un po’ stanca, Paola anche lo è. Più per
cortesia che per avere una risposta compiuta, chiede se ha
ancora qualcosa da raccontare. Si rianima.
«Paola, potrei dirti delle pulizie che mamma ci costringeva a
fare per la Festa. Però voglio raccontarti una storiella che mi
raccontava la buon’anima di Gilla, una vicina di casa, su santa Maria. Io non lo so se crederci o meno, ma è simpatica:
“Santa Maria bessidi a mundai e si torrada a croccai». (Santa
Maria esce dalla chiesetta per spazzare il sagrato! Poi si
ricorica.) mi diceva. Le pulizie che si facevano nelle case
erano approfondite. Si strofinavano i tegami e gli spiedi. Le
donne uscivano a spazzare e a innaffiare le strade. Ci diceva
zia Iolanda, una vicina che doveva avere già 100 anni, era
una delle più anziane del vicinato … che per Santa Maria:
“Quando un qualsiasi nonno rientrava dalla vigna nella quale aveva colto il moscatello, con fare compiaciuto diceva a
voce alta che era bello quello stradone spazzato e innaffiato
per la Festa”. La gente era così, tutti innaffiavano e spazzavano le strade. Raccoglievano tutto. Il luogo doveva essere
decoroso, passasse la processione o meno. Paola, mamma ci
ha sempre detto che: “Quando sei pulito fuori, sei pulito anche dentro”. Amavano la pulizia».
Qui si conclude la caccia di Paola. La giovane donna e la
vecchia zia sono molto stanche. Zia Maria guarda con affetto
la nipote per comunicarle con gli occhi che, per ora, è tutto
ciò che ricorda. Paola la ringrazia promettendo di farsi ancora viva, qualche volta. Buona Festa Manna, zia Maria. Estendi gli auguri anche ai guspinesi che vivono a Guspini e a
quelli che, lontani, tornano per la Festa.
Sandro Renato Garau
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1 agosto 2014
Su sadru chi seus pedrendu
Scracàlius
Nostra Sennora de Bonaria
di Gigi Tatti
Efis fut nasciu in su bixiãu de Sa Marina in Casteddu, cad’e su mill’e trexentuscoranta
in dom’e piscadoris, genti chi depìat traballai totu sa noti e parti de sa dìi po ndi scabulli,
de is tassas, u mossi’e pãi po sa famiglia. Bessius sãus de ua pestilenzia maba, po
s’agiudu de cussu Santu Martiri chi, morrendu, iat pedìu a Deus, de ddu fai Amparadori
de sa zitadi, dd’iant ofiu arregodai ponendu su nomini suu a su pipiu, chi de custu ndi
fut orgoliosu. Efixeddu ancora in fascas, sa mama, ddu imbussàt béi ddu ponìat aintru
de ua crobi, e dd’arregollìat a su mercau a bendi su pisci piscau de su pobiddu, sa genti
comporàt pisci e pedìat: «Cussu civraxeddu bonu puru bendis?» «Cussu pãixeddu arrespondìat - est còtu in su forr’e domu e no ddu bendeus, est de papai a basidus!» Su
domigu fut s’aiaia a dd’arregolli a cresia. Crescendu si setzìat in terra a su costau de sa
femia e abarràt a buca apeta castiendu, spantau, s’artari cuncodrau de froris e candebas
allutas. No donàt mai nisciuna acausiõi. S’aiaia ddi naràt fatu fatu: «Serradda cussa
‘uca no ti nc’intrit cuncua musca.»
De edadi de set’annus iat inghitzau a bandai cun su babu in sa barca a piscai. In is
primus tempus ddi praxìat ma pois, stancu, custumàt a ddi cabài su sonnu. Su sozu de
su babu naràt: «Nosu piscaus su pisci de mari ma arriscaus de ddi torrai a fillu tuu,
cussu nu est fàtu po fai su piscadòri.» Gei si ndi fut sapìu su babu puru, poita ca Efixeddu
candu podìat, andàt a cresia. Biendu ca Efixeddu tiràt a sa cresia, su babu, ua dìi, fut
pesàu a su guventu de is Paras Mercedarius in su cucuru de Bonaria, e iat pedìu chi
pigànt su fillu. Dd’iant pigàu, iat istudiàu e fut diventau Para Efis. Pàssant is annu e u
chitzi, cad’e su milletrexentus setànta, ua navi, chi fut navighendu in su mari de
Sardinnia, dd’iat cassada ua temporàda maba chi potat sa navi cument’e u fustigu de ua
pàti a s’atra. Su cumandanti, timendu po sa vida de is ominis, iat odrinàu de nci scavuài
a mari totu is cosas grais chi potànt. Ddoi fut in su carrigu ua cascia manna, grai grai,
e nemus scìat ita ddoi fut aintru. Cun grandu trumentu e traballu nce dd’iant scavuàda
a mari. Cumenti sa cascia iat tocàu s’acua sa temporàda fiat acabada. Is marineris iant
provau a nde dda torrai a piscai ma sa cascia, spinta de sa current’e su mari, sighìat a
bandai. Dd’iant sighida, sen’e arrennesci a nde dda piscai, finas a Casteddu anant’e su
cucuru de Bonaria.
Iat cutu genti e iant cicau de ndi tirài sa cascia
foras de s’acua, nudda de fai, po cantu frotza
essant postu, sa cascia no si movìat. Iant atacau
cuaddus e nudda, iant atacau u jù e nudda.
Finas a candu duus parixeddus de su guventu,
tzerriaus de u piciocheddu, no si fiant acostaus
a sa cascia po nde dda bogài foras de mari, sa
genti arrìat: «No nci dd’eus fata nosu cun
cuaddus e bois e imou custus parixeddus
marrius creint de dda movi.» Invecias is duus
parixeddus, Para Efis cun su cumpangiu iant
aferrau sa cascia, chi miraculosamenti si fut
fàta lebia e, unu ainnantis e s’aturu acou, nde
dd’iant pesàda. No si scìt cumenti, ma ua
frotza chi no connoscìant, nce ddus tiràt a su
guventu insòru. Arribaus a innias, presentis
totus is autoridadis de sa zitadi, iant apetu sa
cascia: Spantu mannu! Aintru ddoi fiat ua statua de Nosta Sennora chi potàt in bratzus su
Pipiu e a mãu ‘esta ua candeba alluta. Custu
fut u gradu meraculu: ua statua de linna aintr’e
ua cascia de linna, in mari cun ua candeba
alluta! Su Munzenniòri, ingenughendusì, iat
nau «Issa at sceberau custu logu, custa cresia,
e innoi depit abarrai po sempiri!»
Fiat sutzediu ca in cresia, in s’artari majori
ddoi fut sa statua de Nosta Sennora
Miraculosa, ma a mãu manca ua capella buida
e ingúi iant postu cussa arribada de mari. Sa
dìi infàtu iant agatau sa statua noba in s’artari
e s’atra in sa capella. Is paras, credendu chi
fessat faía de omini, dd’as iant torradas a põi
cument’e sa dìi innantis. Ma ancora a s’incrasi
dd’as iant torradas agatai scambilladas. Insaras dd’as iant torradas a ponni cument’e sa
prima dìi e Para Efis cun atrus paras iant dezidiu de abarrai sa nòti innias po bì ita iat a
sutzedi. A mesunoti is duas statuas si fiant pesadas in àtu e iant cumentzau a s’acostai
s’una a s’atra, candu si fiant atobiadas s’iant fatu s’incrubàda e iant sighìu a s’acostai
sa statua noba a s’artari majori e s’atra a sa capella de mãu manca. Is paras fiant abarraus
spantaus po custu meraculu e iant tzerriàu totus is atrus paras, e de insaras sa statua
arribada de mari, ch’iant tzerriau Nosta Sennora de Bonaria, est abarrada sempiri in
s’artari de cussa cresia chi, de insaras, fut nomenàda Cresia de Nosta Sennora de Bonaria.
Apustis de prus de duxentus annus, ua pesti màba fut arribada a Casteddu, is mòtus no
si contànt prusu, su guventu fut diventau u spidabi, e is paras fiant andaus a sa cresia
de Santa Caterina, su populu casteddaiu pigàu de divoziõi po Nosta Sennora chi tantis
gratzia dd’is iat fàtu, dd’iant potada in brufessõi in totu sa tzitadi, po chi issa essat fatu
acabai sa pesta. Arribaus a sa Cresia Catedrali iant apariciàu sa Santa Missa, cun sa
genti preghendu e prangendu. A s’incrasi, is Paras Mercedarius nd’iant torrau a pigai
sa statua torrenduncedda a sa Cresia insòru, po timorìa chi no si dd’essant torrada.
Ingúi est ancora oi, venerada e adorada de totus is sadrus, Issa chi est amparadora de sa
Sardinnia e de is marineris. E aici custu fillu de piscadori diventau Para Mercedariu iat
tentu sa grazia, cun su cumpangiu, de nci potai sa statua a sa cresiedda in su cucuru de
Bonaria.
A si ’ntendi mellus. Tziu Arremundicu.
Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus
“scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus
passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu
pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca
cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni
scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia.
Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a
ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus.
Valeria est arrenneghendi cun su pobiddu Vitu.
Valeria: Arratza de vida chi seu fadendi cun tui.
Vitu: Poita. No ses prexada? Seus corant’annus impari.
Valeria: Non est po cussu. Ma est ca ses tropu susuncu. In corant’annus no m’as mai portau
foras, a mi castiai unu film.
Vitu: Tenis arrexoni Valeria. Ma oi bollu arrimediai. Andu a ndi portai sa prolunga de sa
televisioni, ca si bieus unu bellu film, in foras in su terratzu!
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Samueli est fueddendi de sa morti cun sa pobidda Ursula.
Samueli: M’arracumandu, si m’intendu mali e seu in sunfrendu, no mi lessis màturu alletau,
collegau a una màchina. No mi lassis atacau a is aparaus elètricus po mi poderai biu.
Ursula: Apu cumprèndiu. Ndi cumentzu a stacai sa televisioni, su computer, su stereo e su
telèfunu!
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Bissenti incontrat su gopai Vittoriu in dd’unu Ristoranti.
Vittoriu: Ti biu papendi petza de vitellu. Ma nanca fiasta bessiu vegetarianu?
Bissenti: E infati seu vegetarianu.
Vittoriu: Ma chi iat essi su vegetarianu?
Bissenti: Su vitellu!
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Alfonsu est sètziu in dd’una panchina de pratz’e Crèsia fueddendi cun amigu Antiogu.
Antiogu: O Alfonsu, non arrennèsciu a cumprendi ita arratza de vìtziu chi tenis.
Alfonsu: Ma de ita ses fueddendi, de cali vìtziu?
Antiogu: De su vìtziu de ti scrafi sa conca chene ti ndi tirai sa cicia.
Alfonsu: Ma nara o Antiogu, tui po ti scrafi su cù, ita ti ndi tirasi is mudandas?
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TziaMafalda est andada a si fai visitai de s’oculista.
S’oculista: Ita tipu de problemas de vista tenit?
Tzia Mafalda: Candu mi bufu su cafei, m’increxit meda s’ogu destru.
S’oculista: Ma signora, at provau candu bufat su cafei, de ndi tirat su cocerinu de sa cicaredda?
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Tzia Ausilia est sètzia in su trenu andendi a Casteddu, candu arribat unu piciocu cun dd’una
pistola in manus.
Su piciocu: Totus firmus e calmus! Seu unu rapinadori. Donaimì in pressi totu su dinai chi teneis.
Tzia Ausilia: Gesu Cristu miu. Mi nd’at fatu atzicai. Pensà, ca fostei fiat su controllori de is
billetus!
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Marieddu in scola est interrogau in geografia de sa maista.
Sa maista: Naramì Marieddu, cali flùmini est prus crutzu, su Po o su Flumendosa?
Marieddu: Su Flumendosa.
Sa maista: Bravu Marieddu. Imoi naramì de cantu?
Marieddu: De otu lìteras!
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Angiulu est fueddendi cun s’amigu Sandrinu de traballus in domu.
Sandrinu: Ma tui dd’agiudas a pobidda tua a fai is pulitzias in domu?
Angiulu: Certu ca dd’agiudu. C’iat a mancai atru.
Sandrinu: E comenti dd’agiudas?
Angiulu: Candu est sciaquendi in terra, e deu se sètziu in sa poltrona, ligendu su giornali,
àrtziu is peis!
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Giustinu in tribunali est interrogau de su giùdici.
Su giùdici: Comenti mai, fostei ca at biu ca su gopai fiat scudendi a sa pobidda, non est
intervèniu?
Giustinu: Signor giudice. Poita apu biu ca gopai ge no teniàt abisòngiu de agiudu!
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Eugenia est fueddendui cun Claretta.
Claretta: Ma poita a fillu tuu de nòmini ddas postu Mozart?
Eugenia: Poita pobiddu miu m’at nau ca nanca sonàt beni!
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Tori est impari cun Paulu.
Paulu: Scira passada seu andau a unu campu de nudistas.
Tori: Ma ti ses spollau tui puru?
Paulu: Certu, miga podia abarrai bistiu.
Tori: Ma non as tentu bregùngia? O ti ses ambientau luegus?
Paulu: No bregùngia no.Ge mi seu ambientau. Ma sa prima dì est stètiu diaveras duru!
Tori: E atrus problemas, ca bollu andai deu puru .Consillamì.
Paulu: S’ùnicu consillu chi ti potzu donai est a no t’incruai po nisciunu motivu!
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Armandu est unu pastori e incontrat s’amigu Gerlandu.
Armandu: Ti nau ca est una cosa de no crei.
Gerlandu: Ma de ita ses fueddendi?
Armandu: A una brebei de su tallu miu, ddi praxit tropu sa birra.
Gerlandu: Ma dai, no nci creu. Ma no mi neris puru ca bufat Ichnusa.
Armandu: No, preferit de prus sa Beeks!
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1 agosto 2014
LA SARDEGNA NEL CUORE
21
di Sergio Portas
I Giganti di Mont’e Prama a Milano
È
da molti venerdì che, sul settimanale che “Repubblica” ti vende alla modica cifra di 1,90 euro, sul retro
di copertina uno dei “pugilatori” di Mont’e Prama mi
fissa con quegli spropositati occhi concentrici. Dicono che
sia un altro dei misteri che di loro si debba ancora svelare:
sono dei cerchi perfetti e al tempo della loro nascita di compassi non c’era neppure l’ombra. Anche ne avesse inventato
uno dei magici scalpellini che operarono per metterli in piedi, bianchi d’arenaria, non c’è traccia di foro centrale a supporto di una tale supposizione. Come abbiano fatto a tirare
su i giganti di pietra di oltre due metri senza un terzo piano di
appoggio che non siano i piedoni che li tengono ancorati al
suolo lapideo è ancora motivo di stupite discussioni tra gli
esperti. Per tacere di quelle braccia che sporgono dai torsi
poderosi a reggere scudi sul capo o archi istoriati. Non sono
stati scolpiti a parte e poi attaccati, come si potrebbe legittimamente pensare a prima vista, no, fanno parte dello stesso
blocco d’arenaria e se è vero che Michelangelo era capace di
scorgere i vuoti che avrebbe dovuto lasciare nel marmo per
farne emergere la scultura che già aveva nella mente, questi
nuragici del’VIII, IX secolo prima di Cristo dovevano essere
fatti della stessa pasta. Il gigante che vi dicevo è finito sulle
patinate pagine del “Venerdì” di “Repubblica” (una tiratura
di più di 500.000 copie) in grazia della nova strategia che
l’assessore al turismo della Regione Sardegna Francesco
Morandi ha elaborato, perché finalmente una storia diversa
dalla solita venga raccontata quando essa concerne l’isola di
Sardegna: “Sardegna, naturalmente. I giganti di Mont’e Prama
sono i misteriosi ambasciatori dell’Isola, testimoni di una terra
antica dove mito e natura offrono un’esperienza di vita unica
al mondo. Una vacanza in Sardegna è un tuffo nella storia
del Mediterraneo”. Lo ribadisce qui a Milano, nel cortile di
villa Litta, uno dei tanti palazzoni barocchi che la capitale
lombarda usa a quinta delle occasioni speciali, anche nella
sua facciata due “omanoni” in marmo sorreggono gli stipiti
dell’ingresso, ma è roba del 1700 d. C. Circondato dai massimi nomi che reggono le sorti della musealità milanese, viene
presentata oggi la mostra: “L’Isola delle torri e le torri dell’Isola”, abbinata alla quale una serie di fotografie che Gianni
Berengo Gardin (dirlo celeberrimo fotografo non è davvero
esagerare) scattò nell’Isola (anche io da adesso la scrivo in
maiuscolo) giusto una trentina d’anni fa. In occasione di un’altra mostra che Regione Sardegna e Comune di Milano allestirono nei giardini pubblici di via Palestro: “Sardegna preistorica, Nuraghi a Milano”.
Questa di oggi, praticamente di fronte a palazzo Litta, è allestita presso il civico Museo Archeologico e andrà avanti da
maggio a tutto novembre (schiacciando l’occhietto all’Expo
qui imperante). L’anno scorso ha girato anche da Cagliari a
Roma, che nel 2014 erano cento anni da che nacque il più
famoso archeologo sardo del nostro tempo, quel Giovanni
Lilliu che ha legato il suo nome allo scavo della reggianuraghe di Barumini e ha lasciato scritti e testimonianze fon-
damentali sulla civiltà dei Sardi. Tyrrenòi ci dicevano i Greci, costruttori di torri. Di queste torri è ancora costellato il
territorio sardo e Francesco Morandi ha buon gioco nel ricordare ai presenti accorsi in numero ben più elevato di quanti
ne attendessero gli organizzatori (sedie insufficienti prese
d’assalto), che il paesaggio archeologico sardo può essere
stimato in venticinquemila chilometri quadrati. “Paesaggio”
sta diventando la parola magica per il nuovo turismo culturale che impazza per il globo.
Le colline senesi, per dirne una, sono più tutelate degli ultimi
rinoceronti bianchi dell’Uganda, per la semplice ragione che
attirano turisti danarosi e vogliosi di spendervi soldi in cambio di emozioni, mischiandole, perché no, col lardo di
Colonnata e Brunello di Montalcino, tutta roba che è meglio
pagare con carta di credito, per non doversi portare appresso
valigie di contanti. La Sardegna è da meno? Ha meno assi
nel suo mazzo, frecce nel suo arco, visto che tra i giganti ci
sono arcieri e guerrieri? Vicino a Mont’e Prama, siamo a
Cabras e questo “monte delle palme” sarà alto cinquanta metri
non di più, ci sono eccellenze della cucina sarda che spaziano
dalla vernaccia di Milis alle bistecche del bue rosso del
Montiferru, dal “Casizolu” (formaggio) alla bottarga dello
stagno. E ancora dolci di mandorle e Malvasia, prosciutto di
cinghiale e grappa di Cannonau. Per quanto riguarda il paesaggio, i nuraghi di quei posti sono numerosi quasi che i
fenicotteri negli stagni, sullo sfondo del mare le colonne di
Tarros a ricordarci che capo san Marco è penisola in una più
grande che il Sinis. Quella piccola divide, con un istmo stretto, mare morto dal vivo, come dire che in questo porto naturale ci si può attraccare (e fare il bagno) anche quando il
Maestrale gonfia le onde a metri di altezza. E se lo scoprirono Punici e Cartaginesi, figurarsi se se l’erano lasciato sfuggire i sardi che erano lì da qualche migliaio di anni. Civiltà
nuragica, diceva Lilliu, che era presente nel 1974 quando le
prime teste dei “giganti” spuntarono nel solco di un aratro.
Come oramai è noto, i più di 5.000 pezzi che ne vennero in
seguito tirati fuori, se ne rimasero a dormire nelle casse sigillate nel Museo Archeologico di Cagliari. Per il restauro che
ne è stato fatto negli ultimi anni un prestigioso premio dell’Unione Europea ne ha sancito l’eccellenza (i concorrenti al
premio erano più di duecento).
E ora eccoli qua i “Giganti”, Cabras ha per loro allestito un
museo, appena fuori paese, nella strada che porta a San Giovanni e Tarros. Qui a Milano si possono ammirare in 3 D
come oggi si usa. Li si può vedere in ogni piccolissimo particolare, ingrandirli a dismisura, girarli per 360 gradi, tutta tecnologia di quelli del CRS4 (Center for advanced studies,
research and development in Sardinia) di Pula. Un altro bel
biglietto da visita per sottolineare che la Sardegna non ha
intenzione di vivere solo sugli allori dei nuragici, ma è anche
capace di innovazioni che non direste mai. Basta che ai loro
giovani (se laureati è meglio) venga data un’occasione. Nel
2016 è previsto un dibattito a livello UNESCO su musei e
paesaggi culturali. E vi assicuro che sono queste
problematiche che fanno muovere, dapprima le persone più
acculturate, ma subito dopo le masse dei turisti che portano
benessere. Di lombardi che ogni anno vanno in Sardegna se
ne contano 200.000. Gli svizzeri sono solo, si fa per dire,
100.000 e considerando che la Confederazione conta poco
più di otto milioni d’abitanti essi sono per la Sardegna di
gran lunga il primo mercato estero in percentuale. Da coccolare quindi. Non a caso questa mostra milanese farà la sua
prossima tappa a Zurigo. E anche oggi è qui un esponente
del museo che la ospiterà e che ha parole di miele per quasi
tutto quello che concerne l’Isola Ichnusa che conoscete.
La mostra è articolata in forma fortemente didattica, vuole
sottolineare gli aspetti fondamentali della civiltà nuragica attraverso tre tematismi: il metallo, l’acqua e la pietra. Da qui
l’aspetto architettonico, tanto legato al mondo del sacro e a
quello funerario, le tecnologie costruttive e quelle idrauliche, la società, l’economia, il territorio, la metallotecnica, l’arte. I materiali esposti provengono da tutto il territorio regionale ma, grazie alle Soprintendenze di Calabria, Toscana e
Campania, anche da contesti della penisola. La mostra, curata dal Soprintendente Marco Minoja e dalle funzionarie
archeologiche Gianfranca Salis e Luisanna Usai, ripercorre
la complessa e articolata protostoria della Sardegna, segnata
da processi di trasformazione e impegnata in un costante dialogo col mondo esterno, segnatamente coi paesi affacciati
nel Mediterraneo mare. Sono andato a vederla e me ne sono
ubriacato, ricavandone spunti per scrivere cento e cento storie nuove, a partire magari dai “Giganti” di Mont’e Prama.
Da chi saranno stati fatti a pezzi? Quando furono sistemati a
guardia delle tombe “a pozzetto” anche esse ritrovate e scavate sul monte delle palme, di nuraghi in Sardegna non se ne
costruivano più da un pezzo. I modellini di nuraghe, numerosi, ritrovati assieme ai “giganti” a simboleggiare una cultura che non era più attuale. Pure nel sito archeologico a tutt’oggi non sono state rinvenute tracce di coloro che dominarono la Sardegna nei secoli successivi, da qui l’idea che sia
stato un cambiamento traumatico della società politica sarda
a determinare lo sconquasso. In quel periodo sette villaggi
posti su dei colli latini si fusero insieme e crearono un re (tale
Romolo), che sia successo qualche cosa d’analogo in Sardegna? Abbandonata la cultura dei saggi anziani riuniti in cerchio a deliberare per il bene comune per la ricerca di un re
che decidesse per tutti? Questa davvero sarebbe stata la fine
della civiltà dei Nuraghe, incapace poi di opporsi ai nuovi
padroni: cartaginesi e romani.