Una vita in pista - Ouverture Edizioni

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Una vita in pista - Ouverture Edizioni
AndreA CordovAni
Una vita
in pista
RAUL MICHELI
L’uomo, La Passione, Lo Sport
© 2012 Ouverture Service
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Momenti di vita, racconti ed esperienze che, arrivando a toccare
nel profondo l’animo umano, riescono a non farci dimenticare
che “l’essenziale è invisibile agli occhi” e che “non si vede bene
che col cuore”. Passaggi di vita, spesso radicali e difficili, ma che
portano ad apprezzare “il colore del grano”.
Con il patrocinio di:
Una Vita in pista. Raul Micheli: L’uomo, la passione, lo sport
Testi: Andrea Cordovani
Progetto grafico e impaginazione: Ouverture Service
Foto di prima e quarta di copertine e appendici: Sante Roberto Tisato
Ouverture Edizioni
Via Fermi 3, Loc. La Botte
58020 Scarlino (GR)
Tel: 0566 2301 - Fax: 0566 230200
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può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza
autorizzazione scritta da parte dell’Editore. In ogni caso di riproduzione abusiva si procederà
d’ufficio a norma di legge.
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Introduzione
Giri di pista
Raul Micheli è stato un simbolo per i tifosi del Follonica ma,
più in generale, per molti giovani della generazione degli anni
Settanta e Ottanta: almeno per quelli di loro che amavano la
poesia dell’hockey su pista e delle sfide a cielo aperto. È una
storia avvincente che non può essere scritta come un romanzo,
essendone ancora vivi molti dei protagonisti che si sentirebbero
privati del diritto del vero di fronte a qualsiasi licenza narrativa.
Raul Micheli è stato un allenatore campione del Mondo. Forse il
commissario tecnico della Nazionale più discusso, nonostante
un titolo iridato artigliato. È un racconto di vita che riporta
indietro con il tempo e si sviluppa in un contesto generale ogni
volta sempre più pieno di storie e personaggi.
A dieci anni dalla sua morte il suo ricordo è ancora vivo. Gli è
stato intitolato un palazzetto dello Sport, il suo nome è legato
al Torneo delle Regioni, è rimasto l’ultimo allenatore dell’Italia
a conquistare un campionato del Mondo. Ma non sono solo
questi i motivi che hanno portato a scrivere un libro su di
lui. Delle sue imprese in pista se n’è sempre parlato e forse
straparlato. L’unica cosa certa è che il passaggio di Raul Micheli
nel pianeta hockey pista ha lasciato la sua impronta evidente
consegnando al Mondo la figura di un personaggio amato e
discusso come pochi.
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Ripercorrere la sua storia è stato avvincente e ha riportato
a galla racconti belli, tristi e maledetti. Leggende di paese,
testimonianze dirette, ritagli di giornale. Non ci sono solo
questi ricordi a riscrivere la vita del giocatore che con la maglia
numero 7 ha fatto innamorare torme di tifosi e impazzire schiere
di rivali. Le sfide contro Antonio Livramento, il più grande di
tutti. I tunnel irriverenti alla stella argentina Daniel Martinazzo.
Le sue esperienze con la maglia della Nazionale. La sua vita
da pascià a Roma con l’Aeronautica Militare che se ne andava
in trasferta con gli Ercules C130. Le partite vinte da solo. Le
prime esperienze da allenatore. La telefonata del presidente
della Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio Sabatino Aracu
che sembrava uno scherzo e invece era tutto vero. Il suo arrivo
alla guida dell’Italia dopo i trionfi di Gianni Massari. I veleni
di quei giorni. Le storie tese degli inizi. L’arrivo di Luca. La
strepitosa avventura di Wuppertal. La sua Nazionale campione
del Mondo. La vita da leader. E lo schiaffo più brutto che
potesse regalargli il destino. Sono solo alcuni degli appunti nel
viaggio del lettore ripercorsi con dovizia di particolari da chi ha
vissuto al suo fianco e condiviso innumerevoli avventure.
Raul Micheli è stato un amico leale e l’ideale per innamorarsi di
uno sport che con lui diventava spesso imprevedibile. È stato
l’eroe dietro al quale nascondersi, un moschettiere che lottava
contro i mulini a vento, il piccolo mito di un paese che diventava
sempre più grande al pari della crescita demografica. Raul
Micheli è stato Follonica, l’Italia e il Mondo. Raccontare la sua
storia è come riscoprirsi un po’ bambini, fermare l’inesorabile
macchina del tempo, riscoprire le cose belle e brutte di una
volta. Si parte dal punto più alto. Siamo a Wuppertal, in
Germania. Raul Micheli è il terzo allenatore italiano a regalare il
quarto titolo iridato all’Italia dell’hockey su pista. Chi l’avrebbe
mai detto?
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Una vita
in pista
Raul Micheli
L’uomo, La Passione, Lo Sport
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1° capitolo
UN MONDIALE
VINTO IN GARAGE
Occhi assonnati imprecano alla levataccia mattutina. Fette
biscottate colme di marmellata e un caffèlatte non agitano il
risveglio di giocatori abituati a tirarsi su dal letto all’ora dei
signori. A rendere elettrica l’atmosfera in un anonimo albergo
di Wuppertal, cittadona del bacino della Ruhr, ci ha appena
pensato Raul Micheli. Ha il viso più tirato del solito, il mister.
“Ragazzi sono stato sveglio tutta la notte. Adesso finite di fare
colazione: tra dieci minuti ci vediamo giù nel garage dell’hotel.
Vi voglio in tuta e scarpette. Stamattina ci dobbiamo per forza
arrangiare!”
21 settembre 1997. Siamo in Germania. Tra poche ore si gioca
Italia - Argentina. Ed è la finalissima del campionato del Mondo.
Il commissario tecnico più discusso nella storia della Nazionale
di hockey su pista non ha chiuso occhio. Ha trascorso la notte a
pensare a Velasquez e Montserrat, a Gaby Cairo e David Paez,
Facundo Salinas e Carlitos Lopez. A un certo punto passata in
rassegna tutta la formazione albiceleste aveva anche sorriso. Se
qualcuno gli avesse detto anni prima che si sarebbe ritrovato
a soffrire per una partita di hockey l’avrebbe sonoramente
invitato ad andare a quel paese.
La tivù aveva mandato in onda ossessivamente una compilation
di puntate dell’Ispettore Derrik: Wuppertal era proprio la città
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di nascita di Horst Tappert, l’attore con impermeabile, capelli
impomati, occhiali e sguardo buono che risolveva anche i casi
impossibili. Anche quello di Micheli, per molti, era un caso
impossibile.
Già battuta nel girone di qualificazione dall’Argentina, l’Italia
aveva reagito alla grande raggiungendo la finale. E adesso che
gli azzurri avrebbero riaffrontato i sudamericani cresciuti nel
nostro campionato come sarebbe andata a finire?
“So per certo che gli argentini hanno analizzato i nostri schemi
e il nostro gioco. Velasquez e Montserrat hanno giocato nel mio
Follonica. Sanno come la penso e come mi muovo. Dobbiamo
fare qualcosa per sorprenderli. Io questa finale la voglio vincere
e credo anche voi!”
Non ci sarebbe stato niente di strano nelle parole di Raul se
queste non fossero state pronunciate in un garage, dove era
stata sistemata una porta, con i giocatori stecca in mano e senza
pattini. Una scena comica per una squadra a un passo da un
titolo iridato. Era diventata la sua ossessione l’Argentina.
“Questi pensano di fregarmi ma stavolta lo scherzetto glielo
farò io! - Fu la sua considerazione - È impossibile cambiare
gli schemi: ormai quelli sono collaudati da anni di allenamenti.
Dobbiamo però mutare la loro posizione di partenza.”
E chi l’avrebbe mai detto?
“Ho 44 anni, un figlio piccolo e ho speso la mia vita in giro
per le piste. L’hockey è sempre stato al primo posto della mia
esistenza. Ho debuttato in Serie A a 15 anni. Da giocatore
non ho mai vinto un cazzo e adesso sono qui a giocarmi il
campionato del Mondo. So che un’occasione così non ricapita!”
Le confessioni le aveva riservate a un amico giornalista della sua città,
Follonica, dove non era mai stato un uomo ma un mito. Aggiungeva:
“Devi vedere come mi prendono per i fondelli “Pancho” e Raul
dopo che ci hanno battuto. Stasera ce li faccio rimanere male!”
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Al clic, fine della comunicazione, Micheli aveva definitivamente
dato il rompete le righe ai suoi. La seduta di allenamento in
garage era conclusa. Per battere l’ansia da prestazione era
sufficiente un po’ di relax. Non è soltanto un luogo comune: i
grandi giocatori in momenti come questi sanno solo esaltarsi.
Da mesi gli azzurri ci avevano dato dentro. Scottata dal
secondo posto nell’Europeo di Salsomaggiore, la truppa di
Micheli guardava al Mondiale tedesco quasi con sospetto. Di
sicuro non partiva favorita. Dario Rigo, trissinese, classe 1970,
difensore con licenza di segnare, era il capitano coraggioso di
quella Nazionale: “La nostra preparazione in vista dei Mondiali
1997 era stata eccezionale sia dal punto di vista tecnico-tattico
che fisico. Eravamo più potenti rispetto al passato. Consapevoli
delle nostre forze. Ci conoscevamo a memoria.”
Il parto dei dieci da portare a Wuppertal era stato travagliato.
Il grande escluso era stato Enrico Mariotti: tutti gli altri, infatti,
erano stati riconfermati. Dai portieri Cunegatti e Ventra,
ai fratelli Alessandro e Alberto Michielon, da Alessandro
Bertolucci a Rigo, da Orlandi a Polverini e Amato. L’unica faccia
diversa era stata quella di Gianluigi Bresciani, per tutti “Gigio”,
fortemarmino figlio e nipote d’arte tornava in Nazionale dopo
le esperienze di Madeira e Recife.
Come undicesimo col solo fine di fargli fare esperienza, Raul
aveva poi aggregato Valerio Antezza, materano tutto genio e
fosforo, ragazzino con un potenziale enorme. “Avevo appena
18 anni e il CT mi convocò a Fanano nell’Appennino modenese
per il raduno in preparazione di quel campionato del Mondo. Io
all’epoca giocavo nella Juniores. Nessuno da anni considerava
più i ragazzi da inserire nella squadra maggiore. Lui lo stava
facendo. E questa cosa me lo fece vedere con occhi diversi.”
Era stato tristissimo per Micheli il ritiro di Fanano. Giorni
disperati dopo la morte di sua madre Liana, la mamma tifosa
e appassionata. L’aveva persa alla vigilia del suo secondo
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mondiale da allenatore dell’Italia. Lei, che con occhi estasiati
l’aveva seguito e ammirato da giocatore, se n’era andata
vedendolo comunque pieno del solito inguaribile entusiasmo.
Faticava a farsene una ragione e cercava negli occhi vispi del
figlio Luca, in quelli dolci della moglie Franca e in quelli feriti di
babbo Edo le immagini per andare oltre e trovare quella forza
inevitabile per andare avanti.
Da quattro anni era alla guida della Nazionale maggiore: la
sua vita come commissario tecnico non era stata semplice.
Era arrivato in un periodo balengo. Dopo l’epopea di Gianni
Massari, il professore pugliese maniaco della tecnica, vincitore di
due campionati del Mondo, un Europeo e con una compilation
infinita di titoli con le Nazionali Juniores e Giovanili. Dopo un
Olimpiade solo illusoria e chiusa con una medaglia di bronzo.
Dopo la cacciata del Professore e quella successiva di Giovanni
Innocenti che aveva visto sfuggire quello che avrebbe potuto
essere il quarto Mondiale nella storia dell’hockey su pista
italiano solo ai rigori in finale contro il Portogallo.
Comunque la vedesse, Raul era sempre arrivato dopo. La
storia fino a quel momento l’avevano scritta altri. Lui dalla sua
Follonica aveva sempre guardato tutto con molto distacco. Ma
poi c’era stata una telefonata.
“Ma che cazzo dici?”
Era stata questa la risposta di Micheli alla domanda “Vuoi fare il
CT della Nazionale?” postagli dal suo ex commilitone Sabatino
Aracu divenuto, nel frattempo, presidente della Federazione
Italiana Hockey e Pattinaggio. Ma poi era partito un progetto
di rilancio che non aveva guardato in faccia nessuno. Giocatori
di 28 anni e con una bacheca infolgata di ogni tipo di cimelio
erano stati messi ai margini. Altri avevano puntato i piedi. Molti
s’erano pure stupiti per la sua nomina.
“Ma che cazzo ha mai vinto Raul Micheli?”
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Era stato un giocatore di grandissimo talento. Un “fuoriclasse”,
per molti. Il simbolo, la bandiera, l’eroe del Follonica. Quello
che nelle serate da star non ce n’era per nessuno. Anche se si
chiamavano Antonio Livramento, Daniel Martinazzo, Antonio
Zabalia ed erano le stelle più splendenti del firmamento.
Talento irriverente e discontinuo, aveva collezionato pochi
scalpi. Due Coppa Italia (anche se sarebbe più giusto dire una
e mezzo visto che sentendosi già sconfitto non partecipò alla
finale di Giovinazzo), una Coppa di Lega. Aveva giocato con
la Nazionale Juniores tre campionati d’Europa e disputato
con la Nazionale Seniores al Torneo Montreaux prima della
trasformazione dell’Italia in una sorta di esclusiva Lega Veneta.
Era stato un grande giocatore. Ma senza mai vincere come gli
altri. Bronzo agli Europei di Madeira, quinto posto al Mondiale
di Recife, argento all’Europeo di Salsomaggiore. Non c’erano
ancora i fucili puntati ma le munizioni erano già state caricate e
neanche messe in sicura.
Wuppertal, insomma, era divenuto lo snodo cruciale per misurare
le capacità del tecnico maremmano consapevole di avere a
disposizione una squadra forte che aveva tutto per diventare
esplosiva. Certo le altre continuavano a far paura. I campioni
del Mondo dell’Argentina erano sicuramente i più temuti.
Soprattutto da Raul, affascinato dai gesti tecnici di certi giocatori
sudamericani. Ma anche le altre non scherzavano. Il Portogallo
che aveva battuto l’Italia l’anno prima a Salsomaggiore non
poteva non incutere timore. E agitava anche la Spagna che dopo
la cacciata di Andres Carames lanciava in panca Miquel Umbert.
“Con gli iberici, però, abbiamo una tradizione davvero positiva.
- Spiegava Micheli nei lunghi giorni di vigilia - È vero che loro
ci hanno battuti nelle semifinali a Madeira anche se ai rigori. Ma
tutte le altre volte abbiamo sempre vinto. Sono quelli che fanno
maggiore fatica contro il nostro gioco.”
Mentre in Italia ci si accapiglia per mettere le mani sull’in-line
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che sta togliendo interesse e ossigeno al pattino tradizionale
servirebbe proprio un trionfo iridato per una specialità che
sembra quasi in caduta libera. I palazzetti sono sempre più
vuoti. E i nostri giocatori più bravi stanno tessendo accordi per
un futuro all’estero.
Era composta da 19 elementi la spedizione che dal 13 al 21
settembre 1997 avrebbe preso parte del campionato del
Mondo che tornava in Germania dopo la bellezza di 61 anni.
La prima edizione dei Mondiali di hockey pista era andata in
scena a Stoccarda nel 1936, la preistoria di uno sport che aveva
regalato tre titoli iridati all’Italia. Del primo, quello del 1953 a
Ginevra, Raul ne aveva sentito parlare da Ferruccio Panagini,
uno dei leoni di quell’avventura quando aveva scelto di andare
a prendere la pensione nelle fila del Follonica e lui era solo un
ragazzino secco e vivace. E altri particolari glieli aveva forniti
anche Luigi Dagnino, un altro eroe di quella spedizione, che
da CT della Nazionale nel 1973 convocò Micheli a Montreaux.
Degli altri due titoli sapeva abbastanza. L’era Massari era stata
la più sconvolgente e trionfale nella storia della Nazionale.
Ora toccava a lui. Ne discuteva spesso in ritiro coi suoi ragazzi e
anche con uno staff tecnico composto da nove personaggi. Oltre
al capodelegazione Claudio Bicicchi, c’erano il preparatore atletico
Pietro Damonte, il preparatore dei portieri Eros Merlo, il meccanico
Luigi Vigotti, il fisioterapista Giuseppe Mecchelli, il medico Angelo
Pizzi, il componente organizzativo Alessandro Pardini.
Erano dodici le squadre al via del Mondiale di Wuppertal
divise in due gironi. Del Gruppo A facevano parte con l’Italia
anche l’Argentina, la Spagna, l’Angola, la Francia e l’Olanda.
Un girone di ferro. Molto più tosto del Gruppo B dove il
Portogallo non avrebbe avuto alcun tipo di problema contro
Germania, Brasile, Svizzera, Stati Uniti e Colombia.
Con i suoi 3000 spettatori il Palasport dell’Università diventava
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così la maggiore attrazione degli azzurri. Superava di gran
lunga anche la Schwebebahn, la ferrovia monorotaia sospesa e
imponente, la caratteristica attrazione di Wuppertal, situata nel
Land della Renania Settentrionale - Vestfalia.
L’impatto col Mondiale era stato dolcissimo. 15 a 1 all’Angola,
6 a 1 alla Francia. Al terzo turno era già tempo di grossi esami
per l’Italia che trovava sulla sua strada la Spagna reduce da uno
stupendo pareggio contro l’Argentina. Micheli aveva disegnato il
suo quintetto iniziale con Cunegatti, Rigo, Alessandro Michielon,
Polverini e Alessandro Bertolucci asfaltando (5 a 2) le furie rosse.
“Il primo tempo è stata la croce della Spagna. - Scriveva El
Mundo Deportivo di martedì 15 settembre - Senza gioco, con
numerose palle perse e praticamente nulla in attacco. L’Italia
ha sfruttato alla grande tutte le sue occasioni e ha fatto anche
un’ottima pressione sugli arbitri.”
Messa sotto con un 11 a zero indiscutibile anche l’Olanda,
l’Italia a punteggio pieno andava così ad affrontare l’Argentina.
Non c’era stata assolutamente partita. I sudamericani senza
neanche troppo faticare avevano mandato in tilt il dispositivo
tattico di Micheli. Gli argentini avevano visionato tutte le
videocassette degli azzurri. Ogni schema di Raul era stato
vivisezionato e ribaltato con le appropriate contromosse. Era
finita 7 a 2. Un massacro.
“Purtroppo, - spiegava il commissario tecnico - in ogni torneo
c’è sempre una partita in cui ci dimentichiamo come si gioca ad
hockey e con l’Argentina è successo proprio questo.”
Ai quarti l’ostacolo Brasile fu aggirato con una vittoria per 3 a 1.
Era semifinale. Il Portogallo rappresentava un vero e proprio
enigma per Micheli. Non aveva mai digerito troppo il gioco
lusitano. I vari Tò Neves, Pedro Alves, Almeida Fortunato
erano i figli di un’ennesima generazione di fenomeni divenuta
altrettanto vincente. Da Livramento, Adriao, Chana, Cristiano a
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“Noi, però, dobbiamo colpire in contropiede a ogni minimo errore!”
storico. E l’Argentina, poi, era forse il cliente peggiore. I
sudamericani catechizzati da Miguel Gomez, l’allenatore che
aveva regalato alla sua nazione l’Oro olimpico a Barcellona
e il Mondiale di Recife sembravano spavaldi. Sicuri. Il 7 a 2
arpionato nel girone di qualificazione contro gli azzurri era
stato netto. E indiscutibile. Pensavano ormai di aver scardinato
il dispositivo di Micheli.
Chiese concentrazione e grande sacrificio. Arrivò un altro
trionfo. L’Italia sconfisse il Portogallo per 4 a 2. Senza storia. Si
aprivano finalmente le porte della finale. L’Argentina dopo aver
sconfitto la Svizzera per 5 a 2, aveva battuto la Spagna per 4 a 3
dopo una strepitosa rimonta iberica con tripletta di Borregan.
A un minuto dalla fine il gol-partita per la selecion albiceleste
portava la firma di Panchito Velasquez.
Sarebbe bastato un gol, magari il primo, per farlo saltare
definitivamente. Gaby Cairo e soci erano partiti subito a spron
battuto. Il gioiello del Barcellona era una spina nel fianco sulla
sinistra del rombo di Micheli. S’era già preso una steccata sulle
mani da Michielon e subito dopo quando era stato colpito al
fianco da Polverini in area gli arbitri non ebbero alcun dubbio
e decretarono il rigore.
Non era rimasto neanche un minuto per pensare, l’Italia saliva
sul pullmann e raggiungeva il palazzetto. Micheli e i suoi
lasciavano l’albergo: era arrivata l’ora della verità.
Massimo Cunegatti sembrava un totem nella gabbia azzurra. La
botta di Salinas fu centrale. Il “Gatto” addomesticò la sfera e
poi la scagliò lontano. Non si era messa bene per la Nazionale.
Ma poi però era arrivata la prima fantastica rete. Dario Rigo
prendeva palla nell’angolo della sua metà-pista. Si allungava in
avanti e serviva ad Ale Michielon. L’attaccante bassanese aveva
fatto una sponda micidiale con la sfera indirizzata alla sinistra
della porta difesa da Oviedo, il capitano in giravolta e al volo
aveva messo dentro con un autentico gioco di prestigio.
Virgilio, Leste, Sobrinho; da Realista, Vitor Hugo, Vitor Bruno,
quella lusitana era una scuola che continuava a sfornare campioni.
Giocatori tecnici, pressanti, macchine di gioco impressionanti.
Contro un nemico come questo Micheli s’era rifatto ai vecchi
insegnamenti. Difesa energetica e contropiede chirurgico. Il
pallino del gioco potevano averlo in mano anche gli altri.
Il trionfo
con l’Argentina
E poi venne la sera. L’indimenticabile notte del 21 settembre
1997. Il palasport di Wuppertal era un catino di tremila spettatori
arrivati per assistere a un massacro. Quello dell’Argentina
sull’Italia. Giocavano contro il pronostico gli italiani nel match
diretto dal portoghese Rei e dallo spagnolo Mestres che con
questa finalissima chiudeva la sua carriera. Avevano facce
concentrate e capelli lunghi quasi tutti i ragazzi della Nazionale.
La tensione si tagliava con l’affettatrice.
Non era facile sentirsi tutto addosso il peso di un appuntamento
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Vista in tivù, con una soggettiva dall’alto regalavano tutta la
bellezza dello schema e del gesto tecnico azzurro. Era il 19’54”.
Il primo tempo si concludeva con l’Italia in vantaggio per 1 a 0.
L’inizio della ripresa fu un fulmine azzurro. Neanche le
telecamere ce la fecero ad immortalare il gol di Franco Polverini
avvenuto dopo 7”.
La realizzazione avvenne con uno schema collaudato: doppio
passaggio laterale e partenza lanciata del portatore di palla che
poi scaricava verso un compagno accentrandosi.
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“Ricevetti palla da Alessandro Bertolucci, - racconta il grossetano - e
al volo siglai il gol del 2 a 0. Gli argentini tentavano il tutto per tutto.”
Lanciato in contropiede David Paez veniva vanamente
rincorso da Polverini e Bertolucci. La corsa dell’ex giocatore
del Roller Monza era però interrotta da un fallo di Michielon.
L’Argentina usufruiva di un nuovo tiro di rigore. Sulla sfera si
portava Panchito Velasquez. Si poteva ancora tirare il penalty
in movimento: la magia dell’ex idolo di Follonica si spegneva
però contro il palo e i cosciali di un monumentale Cunegatti. Si
accese subito una mischia nell’area italiana.
Appena gli animi si placarono, l’Italia ripartì di slancio. Ricevuta
palla sulla sinistra, Polverini s’incuneò nella retroguardia
albiceleste, poi all’improvviso tagliò verso l’area di rigore
argentina. I sudamericani furono colti di sorpresa. Il Rosso veniva
clamorosamente agganciato in area dai cosciali del portiere
Oviedo in uscita a valanga. Stavolta il rigore era per l’Italia.
Sul dischetto posizionava la pallina Rigo che però sparava
addosso all’estremo difensore argentino sia il penalty che la
successiva ribattuta al volo. Sugli sviluppi di questa azione
s’era poi beccato il cartellino blu Alberto Michielon che aveva
concluso a rete ma a gioco fermo. Per somma di ammonizioni
si accomodava in panca e al suo posto entrava Gigio Bresciani.
Molto peggio, però, andava a Panchito Velasquez: si beccava
il rosso dopo un contatto troppo ravvicinato con Rigo. Era
la terza volta che Francisco commetteva un fallo evidente di
chiara frustrazione.
Sullo sfondo Raul Micheli si sgolava con l’arbitro a più non
posso: “È cartellino rosso! È cartellino rosso!”
Ma il vorticoso giro di cartellini proseguiva. E stavolta il blu se
lo beccava anche Ale Michielon che si disinteressava del gioco e
falciava da dietro Sergio Unac. Il clima s’era fatto incandescente.
La terza marcatura italiana era stata meravigliosa.
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Dario Rigo aveva preso la sfera nella propria area. Era stato
vanamente inseguito da Lopez e pressato da altri due avversari.
Il capitano, facendo uno slalom, era così entrato nella difesa
argentina aperta come un panetto di burro. Oviedo gli si era
fatto incontro: lui l’aveva dribblato sulla sinistra e poi trafitto
con una conclusione favolosa mentre stava ormai cadendo a
terra. Il portiere argentino era rimasto a gambe all’aria come un
orsacchiottone di peluche.
L’abbraccio di Orlandi e Michielon era stato travolgente. La
panchina con Ale Michielon sanzionato e a petto nudo era
esplosa. In tribuna proprio il papà dei gemelloni, Angelo
Michielon era scattato in piedi nella torcida degli italiani.
Sul tabellone luminoso c’era ora scritto: Italia 3, Argentina 0.
Sempre più confusa la selecion era andata nel caos. Il colpo del
ko lo dette ancora una volta Rigo che rubata palla a centropista
s’era involato in un’azione solitaria sulla sinistra e aveva messo
per la quarta volta la pallina alle spalle di Oviedo.
Si mise la mano all’orecchio per sentire il boato il giocatore
veneto mentre con sguardo incredulo i tremila del Palazzetto
dell’Università di Wuppertal assistevano al miracolo. Raul
Micheli in panchina non si reggeva più. Agitava le braccia
al cielo come un tifoso qualunque stretto nella tuta e con la
maglietta azzurra della divisa da “combattimento”.
Mancavano ancora 9’20” e l’Argentina era quasi matata.
Nel successivo time-out mentre tutti gli azzurri bevevano e
rifiatavano, Raul aveva catechizzato Rigo raccomandogli la
massima attenzione. Nonostante tutto non c’era ancora da fidarsi
dei sudamericani. Lo stesso aveva fatto con Alberto Michielon
richiamandolo alla calma. A cinque minuti dalla fine l’Argentina
aveva usufruito di un altro rigore. Ma anche in questo caso,
contro Gaby Cairo, Cunegatti se l’era cavata alla grande. Era
l’ultimo pericolo. Su un’ azione nata da schema, l’Italia, ancora
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una volta sfruttando la corsia sinistra con Rigo, s’era poi portata
sul 5 a 0: la deviazione vincente era stata di Orlandi.
Mancavano 2’53” prima che il sogno si avverasse. Micheli
scaricava la tensione urlando ai suoi di fare attenzione. Di non
prendere gol. Di gestire il gioco. Di non buttare via le palline.
Il quarto rigore parato da Cunegatti ancora a Gaby Cairo aveva
poi dato il via alle danze. A 20 secondi dalla fine la Nazionale
aveva smesso di giocare. I tifosi già premevano alle balaustre.
L’Argentina aveva provato disperate soluzioni dalla distanza
senza ferire. L’ultimo ad avere avuto la pallina sulla stecca a tre
secondi dalla fine era stato Franco Polverini. Aveva accarezzato
la sfera con qualche tocchetto il grossetano ma poi l’aveva
scagliata in avanti nella metà campo Argentina.
del Mondiale - Vincere un titolo iridato è una soddisfazione
incredibile, qualcosa che ti resta dentro per sempre. È stato
un Mondiale vero: per vincere abbiamo dovuto affrontare e
sconfiggere le Nazionali più forti: dalla Spagna, al Portogallo per
finire contro l’Argentina. Ma adesso non siamo assolutamente
appagati: questo è un vocabolo che nello sport non può
esistere.”
Era finita.
L’Italia di Raul Micheli diventava campione del Mondo. Dopo
Marono Vici e Gianni Massari, anche Raul Micheli aveva
regalato il titolo iridato all’Italia. Si lasciò andare.
“Dopo quattro anni di duro lavoro siamo arrivati all’obbiettivo
massimo. Non ci speravo fino in fondo ma ci ho sempre creduto.
Non è stato facile operare delle scelte coraggiose, come il
chiudere alla vecchia generazione per aprire alle nuove leve, ma
alla fine i fatti mi hanno dato ragione. C’è qualcuno che ha detto
che questa era una Nazionale di comprimari ma senza nessun
campione: alla fine invece è risultato tutto il contrario. Alla fine è
venuto fuori il gruppo. Composto da ottimi giocatori: dovevano
solo dimostrarlo a se stessi. I ragazzi si portavano dietro troppe
paure, specialmente dalle coppe europee. È stato un grosso
lavoro soprattutto psicologico ma il risultato finale ci ha ripagato
di tutti gli sforzi. La nostra difesa è stata strepitosa e Cunegatti s’è
dimostrato il più forte portiere del Mondo.”
“Siamo un gruppo veramente affiatato. - Sottolineava
Alessandro Michielon, che con 17 gol era stato il capocannoniere
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INDICE
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Indice
Introduzione
Giri di pista 7
1° capitolo
UN MONDIALE VINTO IN GARAGE
Il trionfo con l’Argentina
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2° capitolo
IL COLPO DI FULMINE
Stagione di derby tra gli allievi
Campione juniores toscano
Serie C a 14 anni 27
3° capitolo
1968 - SERIE A E TRICOLORE JUNIORES
“Non metto la tuta di domenica!” 33
4° capitolo 1969 - IL PRIMO GOL IN SERIE A Follonica, regno dell’hockey
Stracittadina al di sopra di ogni sospetto
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5° capitolo
1970 - LO SBARCO IN NAZIONALE JUNIORES È il bomber dello Skating Club
Gli ultimi derby in Serie A di Follonica
Micheli contro Livramento 43
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6° capitolo
1971 - FERRAGOSTO A ISERLHON I figli della fusione sono da Serie A
Marinare la scuola col futuro sindaco 51
7° capitolo
1972 - REUS COI CAPELLI AL VENTO Giri di pista?
Allora torniamo più tardi!
Il miglior schema? L’estro di Raul 61
8° capitolo
1973 - ILLUSIONE NAZIONALE Follonica mai così in alto 71
9° capitolo
1974 - “NON SONO UNA PUNTA!” Fontana: “Micheli? Un pericolo pubblico”
E Marzella rubò i pattini alla Pista dei Pini
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10° capitolo
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1975 - I PADRONI DELL’AERONAUTICA MILITARE
L’ultima beffa in Nazionale 88
11° capitolo
1976 - L’AVIERE DA VOLARE FOLLONICA Livramento come Cristo in croce Barsi: “Micheli era un idolo!” 12° capitolo
1977 - LE MANI SULLA COPPA ITALIA Raul-Emilio, coppia di campioni
Marzella: “Mi sono ispirato anche a Raul”
La dura legge della Pista dei Pini
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Raul e Franca, oggi sposi
Caricato: “Raul, un amico!”
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19° capitolo
1983 -1984 - SEMPRE PIÙ UOMO - SQUADRA Aurelia tragica, muore Paolino
L’ombra della magia nera
Micheli mata il Vercelli di Martinazzo Il primo derby al Casamora
Coppa Cers, botte da orbi!
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20° capitolo
1984 -1985 SFIORATI I PLAY-OFF Trionfo in Coppa di Lega
Serra e l’impresa col Novara
Storia di un derby immortale
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13° capitolo
1978 - AD UN PASSO DALLO SCUDETTO E il Trissino non vide più la pallina
Tutta colpa del ko nel derby?
L’avventura in Coppa delle Coppe
La folle notte di Lisbona Il rito portafortuna
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14° capitolo
1979 - LA GRANDE ILLUSIONE L’impossibile alchimia
Caccia all’uomo in pineta
Un rivalissimo di nome Fantozzi Scudetto per i fans di Raul
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15° capitolo
1979 -1980 - UN ANNO TRA LE MACERIE 139
21° capitolo
1985 -1986 - L’ULTIMA VOLTA IN SERIE A1 Esaltante Mazzetti Illusione Coria-Maggi
16° capitolo
1980 -1981 - RAUL SCIVOLA IN SERIE B 145
22° capitolo
1986 -1987 - LA VITA TRA PISTA E PANCHINA 201
23° capitolo
1987 -1988 - SALVEZZA A GARDALAND! 205
24° capitolo
1988 -1989 - IL MAGICO RIMONTONE 211
25° capitolo
1989 -1990 L’ULTIMO SHOW DEL SETTE
217
26° capitolo
1990 -1991 AUTOSTRADA PER L’A1 223
17° capitolo
151
1981-1982 - “A GIOVINAZZO NON CI VENGO!” L’immediato ritorno in Serie A 154
18° capitolo
1982 -1983 ALLENATORE-GIOCATORE
Raul si racconta da coach L’era dei play off: la beffa di Lodi
Naufragio in Coppa delle Coppe
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27° capitolo
1991 -1992 ZONA DI CACCIA L’addio a Gabriele Mazzetti 229
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28° capitolo
1992 -1993 LA PASSIONE DI MODENA L’oro di Montserrat Panchito, l’immarcabile Scudetto formato Primavera 239
29° capitolo
1993 -1994 RAUL, CT DELL’ITALIA
La telefonata di Aracu Wintec Speedy Gonzales
Primavera rigogliosa
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30° capitolo
1994 -1995 IL BRONZO DI MADEIRA L’A1 persa e ripescata
259
31° capitolo
1995 -1996 - BABBO RAUL, 5° AI MONDIALI Gli effetti di una nuova fusione 269
32° capitolo
1996 -1997 - CAGARELLA A SALSOMAGGIORE 277
33° capitolo
1997 -1998 SE TI VA VIA, POTALO! L’ultima sigaretta fumata coi gemelli Michielon
Rigo: “Te l’avevo detto!” Le lacrime del pupillo Panchito
Marzella: “Raul un grandissimo!”
Ale Bertolucci: “Mi è mancato mio fratello!” 283
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La dedica a mamma Liana Dal Quirinale all’argento di Vic
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34° capitolo
1998 -1999 - IL TABÙ DEL DISCHETTO L’incazzatura di Viareggio
293
35° capitolo
1999 - 2000 REUS, MALEDETTI RIGORI! Vasto senza gioie per la Giovanile
Juniores terza a Ginevra 301
36° capitolo
2000 - 2001 LA GIOVANE ITALIA DI WIMMIS Azzurrini Juniores sul podio
Azzurrini sul podio a Walsum
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37° capitolo
2001- 2002 ITALIA TERZA IN ARGENTINA Mini Mondiale a Montreaux La fatica di Bronzo a Dinan La passione di Luca
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38° capitolo
2002 - L’ULTIMA PARTITA DI MICHELI I tormenti di Firenze Juniores d’argento al PalaGolfo
Saint Omer, il capolinea
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appendice fotografica
Ringraziamenti e Bibliografia
RINGRAZIAMENTI
BIBLIOGRAFIA INDICE
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Finito di stampare nel mese di Dicembre 2012
per conto di Ouverture Edizioni
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AndreA CordovAni
Raul Micheli
È stato un amico leale e l’ideale
per innamorarsi di uno sport
che con lui diventava spesso
imprevedibile.
È stato l’eroe dietro al quale
nascondersi, un moschettiere
che lottava contro i mulini
a vento, il piccolo mito di un
paese che diventava sempre
più grande al pari della crescita
demografica.
Raul Micheli è stato Follonica,
l’Italia e il Mondo.
Raccontare la sua storia è come
riscoprirsi un po’ bambini,
fermare l’inesorabile macchina
del tempo, riscoprire le cose
belle e brutte di una volta.
€. 16,50
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