La decorazione architettonica in ceramica: i pannelli di mattonelle

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La decorazione architettonica in ceramica: i pannelli di mattonelle
Città di Torino
Fondazione Torino Musei
Compagnia di San Paolo
In collaborazione con
Regione Piemonte
Paesi Islamici
La decorazione architettonica in ceramica: i pannelli di mattonelle
invetriate del MAO
di Angela Benotto
L’utilizzo di mattonelle in ceramica nella decorazione degli edifici, è consuetudine
diffusa nel Vicino Oriente sin dalle epoche più antiche, basti pensare ai celebri
mattoni invetriati della porta di Ishtar (Babilonia, VII-VI a.C.).
In epoca islamica assistiamo ad un forte incremento dell’impiego della ceramica
invetriata nella decorazione edilizia grazie anche al rifiorire, in epoca abbaside
(VIII-XI secolo), dell’industria della ceramica. In questo periodo i ceramisti,
influenzati dalla porcellana cinese, rinvenuta in numerosi frammenti in
Mesopotamia, svilupparono una particolare vetrina bianca, spessa e opaca,
aggiungendo all’ossido di piombo ossidi di stagno e di antimonio o ricorrendo a
particolari accorgimenti diretti ad ottenere una vetrificazione soltanto parziale. Su
tale vetrina opaca venivano dipinti i motivi decorativi, per lo più vari elementi
calligrafici e floreali, realizzati con l’utilizzo di ossidi minerali.
In un primo periodo, lavorando con materiale argilloso, veniva usata essenzialmente
vetrina al piombo, con ossido di piombo come fluidificante.
All’impiego dell’argilla nella produzione delle mattonelle si affiancò, a partire dal XII
secolo, la cosiddetta pasta “fritta”, ottenuta miscelando silice, materiale vetroso
polverizzato e una piccola parte di una speciale finissima argilla bianca che spesso
doveva venire importata da luoghi diversi da quelli della produzione. Il materiale
vetroso che veniva polverizzato per tale miscela era prodotto da sabbia e da soda
ottenuta per calcinazione di piante, portate a temperature sufficientemente alte per
farle fondere in vetro trasparente. L’introduzione della pasta “fritta” costituisce
un’innovazione importante che consente ai ceramisti islamici di realizzare vasellame
e oggetti molto sottili e tuttavia di notevole resistenza. Con l’adozione della “fritta”
vennero usate vetrine alcaline con soda e potassa come fluidificanti. Queste vetrine
potevano essere stese sulla mattonella come invetriatura trasparente oppure colorate
con l’aggiunta di pigmenti in modo da ottenere una copertura monocroma,
generalmente di colore verde o turchese.
Analogamente a quanto accadeva per la produzione del vasellame, anche per la
decorazione della superficie delle mattonelle assistiamo, in epoca islamica, ad una
vera e propria sperimentazione di tecniche differenti, quali la pittura sotto vetrina, il
lustro, il mosaico di frammenti ceramici, la cuerda seca alle quali si abbinano
differenti motivi decorativi.
Il MAO conserva alcuni interessanti esempi di questa produzione in ceramica a
testimonianza delle decorazioni che impreziosivano le pareti degli edifici del mondo
islamico, con particolare attenzione agli esiti raggiunti nell’epoca timuride e safavide.
Un frammento di pannello a mosaico (epoca timuride, XV secolo) testimonia la
grande diffusione della tecnica a mosaico che raggiunse il suo apogeo sotto la
Museo d’Arte Orientale
via San Domenico 9 /11
10122 Torino
www.maotorino.it
dominazione della dinastia timuride (1369-1500) che stabilì la sua capitale a
Samarcanda. Il pannello è composto di elementi di colore blu cobalto, turchese,
verde smeraldo, bianco, nero, aubergine e ambra dorata. La scritta in bianco, posta al
centro del pannello e inquadrata da una doppia cornice bianco e ambra, è animata
da riempitivi a forma di viticci di colore turchese con piccole foglie in ambra.
L’iscrizione è tratta dalla sura al-fath (La Vittoria), parte 18 del capitolo XLVIII del
Corano, e ne contiene le ultime parole “….(athaba) hum fathan qariban” – “li
premiò con una rapida vittoria”.
L’ampia fascia che circonda la scritta presenta, negli angoli, quattro fiori bianchi a sei
petali, mentre le parti mediane, in alto e in basso, sono occupate da coppie di
palmette ogivali di colore ambra recanti all’interno una foglia verde smeraldo.
Una copia di piastrella, frammento di un più ampio pannello, databile all’epoca
safavide (1501-1732), testimonia l’ampio impiego, durante questa epoca, delle
decorazioni ceramiche per abbellimento delle sontuose residenze dei principi. Nei
palazzi di Isfahan (capitale del regno safavide dal 1559) le piastrelle in cuerda seca
(tecnica che prevede l’impiego di una sostanza oleosa contenente ossido di
manganese e utilizzata per separare le aree dipinte per evitare la mescolanza tra i
colori) formavano in generale dei quadri i cui disegni venivano probabilmente forniti
da pittori di corte. Spesso queste immagini rappresentavano scene di giardini,
talvolta con personaggi sdraiati tra i fiori e servitori che porgevano cibi e bevande. La
nuova produzione rifletteva uno sguardo compiaciuto sulle bellezze della natura e
sulle gioie che si possono trarre da un costume di vita colto e raffinato.
La coppia di piastrelle del MAO sembra ritagliare un angolo di questi giardini, con
piante che spuntano da rocce dipinte in uno scurissimo viola manganese e con
piccoli nidi di foglie che emergono dal fondo azzurro screziato. Sul lato destro appare
un drappo, forse porzione di un abito, decorato con motivi vegetali compositi le cui
foglie dorate si stagliano su un intenso blu-cobalto. Nella parte superiore della scena
il particolare di una veste fiorita evoca la presenza di una figura umana immersa in
quell’ambiente di riposo e quiete.
La varietà dei colori impartisce all’idillico paesaggio un effetto smagliante, esaltato
dai contorni netti della cuerda seca. Stupisce la maestria tecnica manifestata nella
difficile cottura di queste ceramiche che arrivano a contenere fino a sette colori.
Tra i più interessanti oggetti della collezione di arte islamica ritroviamo un Pannello
di nove piastrelle di epoca ottomana (Damasco, XVII sec.) realizzato con una
brillante policromia in bianco, blu cobalto, turchese, verde mela e viola manganese
sotto invetriatura trasparente.
Il pannello riproduce la sezione trasversale di una versione semplificata della
moschea del Profeta a Medina. Il cartiglio centrale reca la scritta “Gloria ad Allah”.
Allah e Muhammad sono le scritte sopra l’arco centrale. Le altre iscrizioni
corrispondono ai nomi dei primi quattro califfi: Abu Bakr, Umar, Uthman e Ali.
L’arco cuspidato centrale e i due archi laterali sono sorretti da quattro eleganti
colonne a spirale e sormontati dalla mezzaluna; dai punti di intersezione degli archi
si elevano due minareti. Tre lampade da moschea sono soppese in corrispondenza
del centro della volta degli archi. Al disotto del cartiglio centrale si trova un grande
vaso dal collo svasato, dotato di due anse sottili e di un piede largo e piatto. Dal vaso
spuntano garofani e giacinti stilizzati. Da ciascuno dei cartigli posti alla base dei due
archi laterali emergono due cipressi con una palma al centro.
Un pannello con identiche iscrizioni e quasi identico disegno è ancora presente in
situ nel cenotafio dell’eminente pensatore, scrittore e mistico Muhly al-Din Ibn
al-Arabi, eretto in Damasco dal Sultano Selim I nel 1518 e successivamente
restaurato nel XVII e XVIII secolo. Un analogo pannello è esposto nella John Addis
Gallery del British Museum di Londra, nel quale però sembra essere stata sostituita la
piastrella centrale della riga in basso e manca comunque il colore verde mela che qui
caratterizza le cornici degli archi e dei cartigli, il tronco delle palme e i gambi dei
garofani e dei giacinti. Un altro esemplare collegato a questo e datato 1691 è esposto
al Victoria and Albert Museum di Londra.