I bianca - Chiarelettere

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I bianca - Chiarelettere
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Imperdibile per chi ama la satira,
toccante per chi ama il cinema.
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© Chiarelettere editore srl
Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A.
Lorenzo Fazio (direttore editoriale)
Sandro Parenzo
Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)
Sede:Via Melzi d’Eril 44, 20154 Milano
ISBN 978-88-6190-303-6
Prima edizione: giugno 2012
www.chiarelettere.it
BLOG/ INTERVISTE/ LIBRI IN USCITA
Graphic design: Cristina Trovò
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LA MEMORIA - intervista ad Alvaro Zerboni
1
PERCHÉ I FOTOROMANZI - di Stefano Disegni
5
INDOVINA GHI VIENE A GENA
7
GRAN BURINO
15
IL SILENZIO DEGLI INDECENTI
23
VIALE DEL TRAMONTO
33
IL SESTO SENSO
43
CAST AWAY
55
SHINING
65
L’UOMO INVISIBILE
75
MINISTER’S LIST
85
FRANKENSTEIN
95
L’ESORCISTA
107
INTO THE WILD
117
THE OTHERS
127
LA MUMMIA
137
MATRIX
147
BLADE RUNNER
157
TERMINATOR
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LA VENDETTA DELLA MADONNA
177
IL SETTIMO SIGILLO
185
LADRI DI BICICLETTE
191
RAMBO
197
LA STRANA COPPIA
203
RIUSCIRANNO I NOSTRI EROI...
209
THE TRUMAN SHOW
215
ESSERE JOHN VANARDI
223
KING KONG
229
IL PD È MIO E ME LO FACCIO IO!
235
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La satira dovrebbe, come un rasoio
ben affilato, ferire con un tocco
che appena si veda o si senta.
Mary Wortley Montagu
Ingiuriare i mascalzoni con la satira
è cosa nobile: a ben vedere, significa
onorare gli onesti.
Aristofane
Il cinema è la vita
con le parti noiose tagliate.
Alfred Hitchcock
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La memoria
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Guardo Alvaro Zerboni e fatico a credere
che abbia 87 anni. Il bell'uomo in formissima
e molto spiritoso (i fotoromanzi contro
l'invecchiamento?), che ha gentilmente
acconsentito all'intervista che segue,
è la memoria storica del fotoromanzo italiano
fin dai suoi albori. Anzi, è colui che
se li è inventati insieme ad altri pionieri
di cui parleremo.
Alvaro Zerboni, tu c'eri. Quando e dove sono nati
i fotoromanzi in Italia?
Nacquero nel 1947, a Roma in via Livorno,
a casa di Ezio D'Errico, uno scrittore noto
per i suoi libri gialli, uno che Camilleri
ha definito “un genio rinascimentale”.
D'Errico era un ufficiale dei Carabinieri
che improvvisamente se ne andò a Parigi a fare
il pittore. Fu poi sceneggiatore per la radio
(la TV non c'era) e vinse addirittura il premio
Pirandello. I genitori del fotoromanzo furono
lui e un altro grande scrittore/sceneggiatore
chiamato Stefano Reda. Il primo settimanale
fu “Il mio sogno”, che poi diventò soltanto
“Sogno” raggiungendo quasi subito
una grande popolarità.
E tu come ci sei entrato?
D'Errico mi conosceva come disegnatore
di fumetti, il mio primo lavoro. Nel 1946
disegnavo su un giornalino che si chiamava
“Giramondo”. Io dal canto mio avevo letto
i suoi libri, lo stimavo, in più sapevo che era
un antifascista, quando c'era Badoglio
aveva preso posizioni pubbliche, insomma
mi era simpatico. Fu quasi naturale finire
a lavorare con lui.
Subito i fotoromanzi?
No. Però quello era un periodo in cui
l'immagine trionfava. La gente non leggeva
molto, diciamo che preferiva “guardare
le figure”. Né c'era la figura del fotoreporter
con descrizioni fotografiche accurate dei fatti
di cronaca nera soprattutto, che andava
moltissimo. In quel momento spopolava
“Grand Hotel” con i bei disegni di copertina
di Walter Molino. Un'informazione popolare,
appunto illustrata. Così D'Errico volle fare
un quotidiano, “Lungotevere”, e io avrei dovuto
disegnare fattacci di cronaca nera usando
le mezze tinte, cercando di somigliare
il più possibile alle fotografie. Però non
arrivarono certi permessi e “Lungotevere”
non uscì mai. Allora a ruota del successo
di “Grand Hotel”, che con le sue illustrazioni
già vendeva un milione di copie, fece “Sogno”
e presero forma le storie raccontate
per immagini, prima disegnate, poi fotografate.
Altri che avviarono l'impresa?
Sicuramente i fratelli Del Duca: Alceo, Cino
e Mimmo. Vendevano porta a porta dispense
di romanzi strappalacrime, la prima era gratis,
poi la gente si abbonava.
Degli spacciatori di pianto!
Proprio. Nel corso di questo spaccio i tre
fratelli si accorsero che si vendevano di più
le dispense con le figure ed ebbero quindi
l'intuizione vincente, che in realtà era molto
facile da avere; era un'Italia ignorantella,
in massima parte ancora rurale, la gente non
leggeva, ma apprezzava le storie raccontate,
specie il pubblico femminile, tra cui i principi
azzurri col cavallo bianco facevano ancora
la loro figura. Così, mi riallaccio a quanto
detto prima, nacque “Grand Hotel”, nel 1946.
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Ti dico solo che Cino Del Duca dopo qualche
anno editava una trentina di pubblicazioni
più due quotidiani, uno dei quali pubblicava
16 pagine di fotoromanzi ogni giorno!
imparando parole
nuove e…
congiuntivi giusti!
Ma i primissimi fotoromanzi come erano fatti?
Poi te ne sei andato in Argentina.
Il fotoromanzo è nato da una mescolanza
di foto e disegni. Se si voleva, che so,
un terremoto o una prateria selvaggia,
si ricorreva agli illustratori, c'era un bravissimo
pittore, si chiamava Bongini, disegnava
scenografie e a volte, nei racconti più esotici,
anche i costumi, che venivano poi montati
sul corpo dell'attore fotografato.
Sì, imparato il mestiere, trascorsi cinque anni
in Argentina realizzando e vendendo
fotoromanzi interpretati da attori argentini
che lì divennero famosi. E alla fine la Lancio,
altro grande editore di fotoromanzi, per cinque
anni, dal 1959 al 1963, pubblicò solo
fotoromanzi fatti da me a Buenos Aires.
M'ero professionalizzato: lavoravamo in un set
vero, con fotografi professionisti e piazzato luci.
Insomma andavamo bene. Però in Argentina
la tecnologia di stampa non era molto avanzata,
il colore nei fotoromanzi fu introdotto in Italia,
finì che fu la Lancio a vendere i suoi
fotoromanzi a me che li distribuivo in Argentina.
Ma è quello che facciamo anche noi
nei fotoromanzi del “Misfatto”!
Sì, ma voi avete Photoshop, magari ce l'avessimo
avuto noi. Allora si faceva tutto a mano
lavorando di notte. Però dopo un po' ci furono
più mezzi economici perché il genere tirava
e si iniziarono a mettere su dei veri set
e a scritturare attori professionisti. Recitarono
nei fotoromanzi Vittorio Gassman, le sorelle
Irma ed Emma Gramatica, Gina Lollobrigida
e la Loren che allora si chiamava Sofia Lazzaro.
Gli “studios” però erano ancora arrangiati:
case di amici, case affittate, in campagna all'aria
aperta improvvisando qualche ricostruzione.
Se non sbaglio i fotoromanzi non erano visti
di buon occhio.
Non sbagli. Fotoromanzi e fumetti agli inizi,
ma anche dopo, erano visti come il fumo
agli occhi dalla cultura ufficiale.
Erano considerati viatico di corruzione
e ottundimento delle menti, specie quelle
giovanili che per colpa loro si allontanavano
dalla cultura “alta”. In realtà fotoromanzi
e fumetti, che costavano poco in un mondo
senza TV, ebbero una funzione importantissima:
contribuirono all'alfabetizzazione degli italiani.
In un Paese dove nessuno leggeva, almeno
i dialoghi delle storie furono costretti a leggerli,
2
Già, la Lancio. Non ne abbiamo ancora parlato…
La Lancio, forse la più famosa editrice
di fotoromanzi in Italia e all'estero, nacque
a Roma, in piazza Barberini, in un piccolissimo
ufficio sopra ad un'agenzia di viaggi, si saliva
tramite una scala interna. Chi avrebbe detto
che avrebbe raggiunto tutta la popolarità
che ha avuto… avevo venduto dei fotoromanzi
portati dall'Argentina, ero a Roma e vidi
in edicola questi, diciamo, cineromanzi, erano
nient'altro che fotogrammi presi da film
famosi montati insieme per raccontare
la storia del film stesso, oggi li chiameremmo
trailer, solo che erano su carta stampata.
Mi piacquero e andai a trovare l'editore,
ne nacque un'amicizia e una collaborazione,
con la Lancio, appunto. Io, come detto, fornivo
fotoromanzi con attori argentini, tra cui pure
George Hilton che poi divenne un attore
famoso. La stampa fece grandi progressi
in Italia, migliorò la distribuzione,
le pubblicazioni furono sempre più diffuse
e dilagò il divismo. Certo dovevi pure
incoraggiarlo un po'…
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Il finto James Dean
Cioè?
Era da poco morto James Dean. Un amico
in Argentina mi dice che c'è in Brasile
un ragazzo identico, un sosia. Lo faccio venire
in Argentina e comincio a pubblicare articoli
dal titolo È veramente morto James Dean?.
Racconto di un misterioso ragazzo scovato
in Brasile che non vuole farsi avvicinare, non
vuole dire dove è nato e altri “indizi” del genere.
Annuncio che il probabile James Dean arriverà
il giorno tale. Prima del suo arrivo faccio fare
dei volantinaggi, soprattutto nelle scuole
femminili. All’arrivo, in aeroporto c'è una folla
di ragazzine in delirio. Facemmo molti
fotoromanzi con “James Dean”, gli comprammo
una Porsche, divenne un divo. Poi impazzì, si
convinse di essere davvero James Dean. Io fui
roso dal rimorso finché non mi dissero che era
guarito. Ne succedevano tante… anni ’70, c’era
questo bravo ma poco gestibile cantautore
livornese, Piero Ciampi. Cercavano di
promuoverlo, mi chiesero di infilarlo
in un fotoromanzo. Gli trovo una parte da
protagonista, pure se era un po’ selvaggio, non
mi pareva molto adatto. La notte prima degli
scatti Ciampi riesce a farsi scazzottare
in un locale da un tizio geloso e l’indomani
si presenta con un occhio nero.
Dovemmo fotografarlo sempre da un lato solo,
la narratività ne risentì parecchio…
Facevamo anche concorsi per
“passare un giorno col divo preferito”…
Come nello Sceicco Bianco di Fellini!
Esatto. Federico era mio grande amico,
ho lì una sua lettera autografa, mi piace pensare
di avergli dato un po' di ispirazione… mi ricordo
di questo attore, Nino Persello, un bel ragazzo.
La vincitrice del concorso aveva mandato
una foto… mendace. Quando arrivò alla
stazione Termini la andammo a prendere,
era veramente brutta, Persello voleva scappare,
dovemmo trattenerlo…
Censure?
Il controllo era stretto, non come oggi.
Niente politica, niente religione, non potevi
mostrare convivenze, gay manco a pensarci.
Era un'Italia molto cattolica, lo sapevamo
e alla fine ci autocensuravamo preventivamente.
Soprattutto era obbligatorio o quasi il lieto fine,
le lettrici lo pretendevano, erano i loro sogni,
non volevano delusioni. Mi permisi di variare
un po' con Killing, un fotoromanzo sul genere
Diabolik col protagonista in calzamaglia su cui
era disegnato uno scheletro, che andava in giro
ad ammazzare gente. Lì ci potemmo permettere
qualche donnina discinta, ma non troppo.
Me lo ricordo, Killing! Si notava che aveva un po'
di panza…
Quello italiano. Quello che ho fatto
in Argentina era più magro.
A proposito, chi è stato il divo più amato
dei fotoromanzi italiani?
Franco Gasparri su tutti. Credo fece pure
tre film, ma quelli non se li ricorda nessuno.
Se dovessi dire cosa ti è piaciuto di più di tutta
l'esperienza?
Sarà banale, ma il fatto di lavorare con persone
in carne e ossa invece che con personaggi
immaginari disegnati su carta. Quando
iniziavamo e realizzavamo un fotoromanzo
tra gli attori, i tecnici e chiunque ci lavorasse
si creavano amicizie, rapporti, qualche amore
che poi continuavano anche a fotoromanzo
finito. Erano… scampagnate con atmosfere a
volte molto caserecce, ci si divertiva parecchio.
Alvaro, facciamo la foto insieme?
Sì, ma senza battute, sennò è lavoro!
Senza battute. Grazie.
S.D.
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Quando è iniziata la mia avventura
da Direttore del “Misfatto”, inserto di satira
de “il Fatto Quotidiano”, ho pensato
che sarebbe stato bello offrire ai lettori
qualcosa di diverso dalla satira disegnata
e scritta che pure sono l'ossatura di qualsiasi
foglio che voglia degnamente svolgere
la funzione di “castigare ridendo mores”,
come diceva quello.
Il fotoromanzo è stata la risposta immediata.
Io i fotoromanzi li ho sempre amati.
Li trovo surreali, con quella fissità nei volti
degli attori tesi a ottenere in una sola posa
la massima espressività. Il cinema, però
con un solo fotogramma alla volta, meditato
e scelto, eletto momento-simbolo di un'intera
azione drammatica. E poi l'innegabile fascino
vintage che emanano, almeno per me:
un linguaggio giunto fino a noi da anni remoti,
dal dopoguerra addirittura, o dagli anni '70,
con quei racconti e quelle immagini,
un po' burini per la verità, ma tenerelli
come la foto della Giulia Super di mio zio
con la coda del Tigre attaccata all'antenna.
Un mondo di giornali da leggere dal barbiere
in attesa di essere scotennati come skinheads
ante litteram (i caschetti alla Beatles erano
roba marziana) e di cugine più grandicelle
che sognavano Franco Gasparri in attesa
di scodellare figli per qualcuno che a Gasparri
non avrebbe somigliato nemmeno un po'.
Paolo Cucci
Ho voluto poi mescolare i fotoromanzi
del “Misfatto” con un'altra mia vecchia passione,
il cinema. Parlare di politica e costume
facendo il verso a film famosi, di cui il popolo
ricordasse scene e dialoghi, era troppo
allettante e divertente, oltre che
parassitariamente confortevole: essendo
le storie già strutturate, si trattava solo
di ripercorrerle piegandole all'esigenza
narrativa del momento. Ho scritto
le sceneggiature e i dialoghi dei fotoromanzi
qui raccolti, ma la loro realizzazione
non sarebbe stata possibile senza
il contributo della redazione del “Misfatto”,
nelle persone di Paolo Aleandri, Francesca
Piccoletti, Riccardo Cascino e Cristina Trovò
che quasi ogni settimana mutavano le loro
funzioni redazionali in quelle di attori,
scenografi e costumisti.
Un grazie anche a Francesco Spinucci,
fotografo per molti dei fotoromanzi
qui raccolti e a Paolo Cucci, il Mago
del Photoshop, l'uomo dalle manine d'oro
che si è fatto il mazzo più di tutti elaborando
e trasformando una per una centinaia di foto.
E ora, prego, accomodatevi,
in questa cronistoria fotosatirica di un’Italia
recentissima e in molti casi, purtroppo,
ancora attuale.
STEFANO DISEGNI
Riccardo Cascino
Francesca Piccoletti
Paolo Aleandri
Cristina Trovò
Francesco Spinucci
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L’uomo nero...
… imperversava. O l’uomo brutto, se preferite.
O l’uomo che parla come un comico
d’avanspettacolo degli anni ’50.
Ma sì, La Russa, chi altri? Eccolo lanciarsi
in una bella dichiarazione in difesa
dei bombardamenti sull’Afghanistan (ma non
si faccia confusione, erano bombe di pace,
quelli che saltavano in aria invece di lamentarsi
dovevano essere contenti e andarsi
a raccattare le gambe cantando invece
di fare i piagnoni, ’ste femminucce,
ai tempi del Duge non sarebbe successo).
Eccolo prendere a calci un giornalista
che gli fa domande scomode: mica calcetti,
belle pedatone negli stinchi finché non se ne
va, quel finocchio. Eccolo sbraitare come
uno scalmanato contro uno studentello
ingiungendogli romanamente di tacere (“Muto!
Devi stare muto!”) altrimenti, ragazzino,
mi tocca chiamare le squadracce e menarti
venti contro uno, come ai bei tempi littori.
La Russa, un uomo, digiamo, diverso dagli altri,
dai normali. Uno cui forse non dareste in
moglie vostra figlia, razzisti che non siete altro.
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INDOVINA GHI VIENE A GENA INDOVIN
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Papà, ora ti prego, stai
calmo e sii gentile con lui!
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NON HO MAI MANGIATO NESSUNO, IO!
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p plon!
Eccolo! Papà, sii buono, ti prego,
ti prego, ti prego! Io lo amo!
Lui no,
lui è buono,
anche se...
MA CERTO. È CHE NOSTRA FiGLiA
È PREOCCUPATA,
iL SUO NUOVO FiDANZATO È... È...
CiOÈ È DiVERSO DA...
Certo, come no... amavi pure il tossico
che ci vomitava nell'acquario
e il travesta in borghese!
anche se?
Anche se... insomma, non è
come noi e sai, i pregiudizi...
la gente è ignorante...
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INDOVINA
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Buonaseera a duddi! mi sono bermesso EPRIMA
guesdo omaggio floreale. Li ho bresi
il 25 abrile sulla domba di Bredabbio,
ne avevo gombradi drobbi, digiamogelo!
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È negro?
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GHI VIENE A GENA INDOVINA GHI VIEN
cinese?
no...
Arabo?
no...
Rumeno? Barese? Guardate che mica
sono razzista... chi è 'sto tizio?
Ma dove cazzo l'hai trovato
questo! È il peggiore di tutti!
Papà!
Meno male che
non eri razzista!
Non si può guardare né sentire!
Ma è mai stato nella civiltà?
Tu-capire-mia-lingua?
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A GHI VIENe a gena indovina ghi vie
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