programma di sala

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programma di sala
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Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2009
A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione
Coincidenze e citazioni a cura di Giulia Bassi
Fonti delle citazioni: Jorge Luis Borges, Altre inquisizioni, Adelphi, 2000; Milan Kundera, Sipario, Adelphi,
2005; Milan Kundera, L’arte del romanzo, 1986; Claudio Magris “Gli auguri di Don Chisciotte: continuate
a sognare l’elmo di Mambrino”, ‘Corriere della sera’, 31 dicembre 1995; Vladimir Nabokov, Lezioni sul Don
Chisciotte, Garzanti, 1989; Mario Vargas Llosa, “È possibile il mondo moderno senza romanzo”, in La cultura
del romanzo, Torino, Einaudi, 2001.
L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le
immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
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Teatro Municipale Valli
12 marzo 2009, ore 20.30
Miguel de Cervantes e le musiche del Chisciotte
Idea originale e selezione di testi e musiche
Jordi Savall
Drammaturgia e adattamento dei testi
Manuel Forcano
Montserrat Figueras soprano
Arianna Savall soprano
Lluís Vilamajó tenore
Francisco Rojas recitante
HESPÈRION XXI
Sébastien Marq flauti
Jordi Savall, Sergi Casademunt, Fahmi Alqhai vihuelas ad arco
Xavier Díaz-Latorre vihuela a mano e chitarra
Begoña Olavide salterio
Arianna Savall arpa doppia
Pedro Estevan percussioni
Direzione Jordi Savall
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Cervantes
Cervantes
Un sipario magico, intessuto di leggende, era sospeso davanti al mondo. Cervantes
mandò don Chisciotte in viaggio e strappò quel sipario. Il mondo si aprì davanti al
cavaliere errante in tutta la comica nudità della sua prosa. Simile a una donna che
si trucca per poi affrettarsi verso il suo primo appuntamento, il mondo, allorché al
momento della nostra nascita ci corre incontro, è già truccato, camuffato, preinterpretato... È infatti strappando il sipario della pre-interpretazione che Cervantes ha
inaugurato questa nuova arte; il suo gesto distruttore si riflette e si prolunga in ogni
romanzo degno di questo nome; è il segno di riconoscimento dell’arte del romanzo.
Milan Kundera
Don Chisciotte è stato definito il più grande romanzo mai scritto. Naturalmente,
questo è un controsenso. Probabilmente, non è nemmeno tra i più grandi, ma il suo
eroe, la cui personalità è un vero colpo di genio di Cervantes, torreggia così meravigliosamente sull’orizzonte della letteratura, un magro gigante su un cavallo sbilenco,
che libro vive e vivrà della pura energia che Cervantes ha iniettato al protagonista di
una favola rabberciata e casuale che cadrebbe a pezzi se la meravigliosa intuizione
artistica del suo autore non mettesse in azione il suo don Chisciotte ogni volta al
momento giusto.
Vladimir Nabokov
Mentre Dio lentamente abbandonava il posto da cui aveva diretto l’universo, don
Chisciotte uscì di casa e non fu più in grado di riconoscere il mondo.
Milan Kundera
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“Il viver m’uccide / e la morte mi torna a dar la vita”
di Guido Barbieri
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Frontespizio del Don Chisciotte (1605)
Joseph Conrad potè scrivere che escludeva dalla sua opera il soprannaturale, perché
ammetterlo equivaleva a negare che il quotidiano fosse meraviglioso: ignoro se Miguel
de Cervantes condividesse tale intuizione, ma so che nel don Chisciotte egli contrappose un mondo immaginario poetico a un mondo reale prosaico. Il piano della sua
opera gli vietava il meraviglioso; questo, tuttavia, doveva apparire, sia pure indirettamente, come i delitti e il mistero in una parodia del romanzo poliziesco.
Jorge Luis Borges
L’utopia dà senso alla vita, perché esige, contro ogni verosimiglianza, che la vita abbia
un senso; don Chisciotte è grande, e lo è la sua esistenza, perché egli si ostina a credere,
contro ogni evidenza, che la bacinella da barbiere sia il favoloso elmo di Mambrino e
che la rozza Aldonza sia l’incantevole Dulcinea. Ma don Chisciotte, da solo, sarebbe
penoso e pericoloso, come lo è l’utopia quando anziché trascendere la realtà la svisa e
la violenta, credendo che la meta lontana sia già raggiunta, scambiando il sogno per la
verità ed imponendolo con brutalità agli altri, come fanno le utopie politiche totalitarie. Don Chisciotte ha bisogno di Sancho Panza, il quale vede che l’elmo di Mambrino
è una bacinella e sente l’odore di stalla di Aldonza, ma segue il folle cavaliere ed anzi,
quand’egli alla fine rinsavisce, protesta, si sente impoverito e reclama l’esigenza delle
avventure incantate. Don Chisciotte e Sancho hanno bisogno l’uno dell’altro e da solo
il primo sarebbe forse più povero dell’altro, perché alle sue gesta verrebbero a mancare
i colori, i sapori, i cibi, il sangue, il sudore ed il piacere sensuale dell’esistenza, senza i
quali l’idea, che infonde ad essi significato, sarebbe un’asfittica prigione.
Claudio Magris
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Don Quijote de la Mancha non è un romanzo. È l’arte del romanzo.
Lungo il fiume delle sue mille pagine non scorrono infatti soltanto le
avventure del “Ingenioso Hidalgo Don Quijote”, ma prendono corpo
e coscienza, capitolo dopo capitolo, i canoni occidentali del racconto,
delle sue tecniche e delle sue forme. E il Narratore, nella figura di Miguel
de Cervantes Saavedra, non si limita a disporre nel tempo e nello spazio
avventure, accadimenti e “affetti”, ma compie un gesto del tutto nuovo e
“rivoluzionario”, attribuisce cioè all’arte del raccontare un principio ancora sconosciuto: l’etica e la responsabilità della Narrazione. In altre parole
ne sancisce l’incontrovertibile “modernità”.
Quale è l’arma, e al tempo stesso la ratio, di questa rivoluzione, di questa cesura netta che fa del “Gran Libro” dedicato nel 1605 al “Duque de
Beiar, Marques de Gibraleon, Conde de Benalcasar y Banares, Vizconde
de la Puebla Alcozer, Senor de las villas de Capilla, Curiel y Burguillos”,
il primo titolo, non araldico, della letteratura moderna? Lo strumento di
lavoro è soltanto, a ben guardare, un orologio. Un orologio meccanico,
simile a quelli che rintoccano senza pace nella bottega barocca di Torquemada, l’orologiaio gabbato de L’Heure Espagnole di Ravel, ma che grazie
alle alchimie di maese Miguel è capace di attribuire un’unica misura, un
unico “ritmo” al tempo dei vivi e al tempo dei morti: il Quixote è infatti il
primo “romanzo” europeo in cui l’Autore separa con un colpo di spada il
tempo del Passato e il tempo del Presente (nel caso specifico il tempo mitico della Cavalleria, confinato nell’aura della leggenda, e il tempo attuale
di Chisciotte, piegato invece alle fatali leggi della caducità), ma dichiara al
tempo stesso di non appartenere né all’uno, né altro. Nel romanzo della
Mancha, infatti, Cervantes non prende mai né le parti della Storia, né
quelle della Cronaca, non sposa le ragioni dei Vivi, né quelle dei Morti,
ma colloca l’epica del racconto in un tempo “terzo”, in un tempo nuovo,
il tempo “testimoniale” della Letteratura.
In questo senso il suo capolavoro è non soltanto un’“opera-mondo”,
un’opera che secondo la definizione di Franco Moretti riproduce nel proprio microcosmo narrativo il macrocosmo dell’universo, ma è anche il
primo romanzo il cui Autore possiede il carattere che Walter Benjamin
assegna al Narratore moderno: l’essere cioè “pellegrino eternamente
oscillante tra il mondo della luce e il regno delle ombre”. Raccontare una
storia – sostiene Benjamin nell’Angelus Novus – significa parlare la lingua
di un tempo che non c’è più, la lingua dei morti, e chiedere un atto di
giustizia: che i morti, cioè, per ciò che hanno da dire, per ciò che hanno
da insegnare, vengano riconosciuti come parte del mondo dei vivi. Rac7
contare significa dunque accogliere il passato nel presente, la tradizione
nella contemporaneità: in questo senso la “fatica del racconto” è dunque il
più puro, il più essenziale atto di giustizia. Cervantes è davvero, dunque,
come scrive Benjamin a proposito di Nikolaj Leskov, “la figura in cui il
giusto si incontra”, il primo scrittore che riesce a cogliere il legame profondo e necessario tra l’arte del raccontare e la virtù della giustizia.
L’etica moderna del narrare è presente in ogni pagina del romanzo:
ogni gesto, ogni avventura, ogni pensiero del Cavaliere dalla Trista Figura
è cocciutamente, testardamente conficcato nel nobile e defunto passato
degli ideali della Cavalleria e in particolare in quel passato perpetuo e
sempre risorgente (“fino alla follia”) che è chiuso nelle pagine dei Libri.
Eppure per Don Chisciotte gesti, avventure e pensieri possiedono il
tempo incandescente e furente del qui e dell’ora. Come se la ferita tra
il Libro e la Vita fosse continuamente rimarginata, e il sangue rappreso,
dall’assurda pretesa che le leggi dell’Oggi siano esattamente quelle dello
Ieri. Una feritoia di tempo dalla quale, fatalmente, può passare soltanto
la luce fioca della follia. C’è però una anomalia, un dato “eccessivo”, una
presenza sotterranea in questa santa alleanza tra il mondo dei morti e il
mondo dei vivi: ciò che davvero li unisce, la colla di pesce che tiene uniti
due lembi di tempo così lontani, non sono le parole. Perché le parole si
portano addosso senza pietà il passaggio del tempo: la lingua dei Cavalieri
non è la lingua dei vili abitatori del presente. E infatti la lingua di Quixote
è una lingua aliena, la lingua dei folli, le sue parole producono solo il loro
contrario: fatica, botte, umiliazioni, indicibili sofferenze. La vera autentica porta di passaggio tra i due mondi, la lingua comune tra chi non c’è più
e chi c’è ancora, è in realtà l’unica lingua fatta soltanto di tempo, quella
della musica.
È questa la funzione autentica e reale delle infinite pagine sonore che
Cervantes infila, con sublime ars tipografica, tra le pagine scritte del romanzo: i testi dei madrigali, dei villancicos, delle ciaccone, delle romanze
che seguono fedelmente, come Sancho e il Ronzinante, le avventure del
Cavaliere, hanno sempre il compito di far coincidere il tempo dei vivi e
quello dei morti, di mettere l’orologio della storia, costantemente, alla
hora presente. Non sono soltanto esempi decorativi e accademici, per
quanto delicatamente disegnati, di “poesia per musica” e nemmeno “ritratti d’ambiente” più o meno fedeli. Sono al contrario “suoni di poesia”,
parole che cantano, ritmi che danzano, strumenti che suonano. Possiedono insomma uno statuto sonoro preciso e determinato che si affida tutto
intero alla immaginazione sonora del Lettore. Perché la musica, grazie alla
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relativa stabilità dei modelli e delle forme in uso all’alba del Siglo de oro,
era davvero al tempo di Cervantes l’unico patrimonio comune tra l’era
leggendaria della Cavalleria e il presente storico del romanzo. Il modello
più “efficiente”, sotto questo profilo, vero e proprio “metro del tempo”
che consente di misurare con estrema precisione la distanza tra un’epoca
e l’altra, è la forma, non a caso prevalente nelle pagine del racconto, della
romanza.
Basata su uno schema metrico-prosodico stabile e ripetitivo (sequenze
variabili di ottonari in cui la rima cade invariabilmente nei versi pari) la
romanza rappresenta, nella cultura musicale spagnola dell’alto medioevo,
la forma più diffusa della poesia epico-narrativa di tradizione orale, in cui
canto e poesia sono assolutamente inscindibili. Come la ballad inglese,
la villanella italiana e il lied tedesco, la romanza spagnola affonda le sue
radici nella civiltà rurale contadina, si svezza fino a diventare una forma
“colta” praticata negli ambienti borghesi e poi, alla fine del Cinquecento,
si affranca definitivamente dalle proprie origini popolari, assume forma
scritta e diventa il modello tipico della cultura musicale aristocratica. Senza mai smarrire, però, nel corso di queste metamorfosi la propria identità:
il fatto di essere cioè, una forma di poesia di carattere squisitamente narrativo. Nel particolare humus culturale spagnolo la romance si manifesta nei
suoi caratteri originari sin dal secolo XIV e viene considerata, almeno fino
alla fine del secolo successivo, una forma “minore” di ars musicale, legata
indissolubilmente alle proprie volgari origini contadine. Il corpus delle
romances medievali costituisce tuttavia un repertorio orale estremamente
diffuso e conosciuto in tutti i diversi strati della società: è quello che la
storia “ufficiale” della musica definisce, tutt’oggi, come romancero viejo.
Soltanto verso al metà del Cinquecento, grazie alla diffusione della stampa
e all’affermazione di un nuovo modello di poesia per musica, la romance
diviene un genere letterario nobile e ricercato al quale si accostano, spinti
dal desiderio di avere un pubblico ampio e consapevole, anche i padri
nobili del Secolo d’Oro: Gòngora, Lope de Vega, Quevedo e lo stesso
Cervantes. È la nascita di quello che verrà chiamato il romancero nuevo.
Nelle pagine del Quixote i testi appartenenti alla tradizione arcaica del
romancero viejo e quelli nati dalla fioritura del romancero nuevo si alternano come i quadrati di sole e di ombra nei porticati delle chiese arabo
normanne. Ed è proprio grazie alla dialettica temporale tra poesia vieja
e poesia nueva (per noi, oggi, fatalmente sfumata nella indeterminatezza
di un tempo unico) che l’opposizione storica tra l’epoca nobile della Cavalleria e l’epoca vile del Presente assume, nel romanzo, una dimensione
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concreta, visibile, immediata. Le funzioni narrative svolte dai testi delle
singole romanze sono mobili, variabili e non facilmente classificabili, ma
possono essere ricondotte, dal punto di vista strettamente narratologico, a
due categorie fondamentali: nei quadrati d’ombra vi sono le romanze che
possiedono una natura esplicitamente extra diegetica, che non appartengono cioè alla trama degli eventi narrativi e che vengono dunque interpretate, generalmente, da personaggi “esterni” al romanzo. Nei quadrati di luce
vi sono invece le romanze di carattere intra diegetico, ossia quelle intonate
dai protagonisti del racconto all’interno di una situazione narrativa definita. Una regola sotterranea, che scorre nelle pagine del Quijote senza
essere scritta, vuole che mentre le romanze appartenenti al canconero viejo
possiedano prevalentemente uno statuto extra-diegetico, quelle viceversa
appartenenti al canconero nuevo (in buona parte opera dello stesso Cervantes) possiedano al contrario uno statuto esclusivamente intra-diegetico. Gli esempi sono innumerevoli: nella antica tradizione della “canzone”
carolingia rientra ad esempio la romanza “Con paura ricordò il moro”,
una ballata che racconta il sacrificio della cristiana Moriana decapitata
dai soldati del Moro Galavane, suo amatissimo sposo. Il testo contiene
il celebre verso che il Moro attribuisce a se stesso “Mio ornamento son
l’armi e mio riposo il pugnare” e Cervantes, con sottile ed esplicito intento parodistico, lo inserisce subito dopo l’episodio in cui Don Chisciotte
risponde allo sprezzante rifiuto del locandiere di dargli un letto per la
notte dichiarando di avere appunto le proprie armi come ornamento e il
combattimento come riposo (al che il locandiere ha buon gioco nel controbattere: “Allora i letti di vostra grazia saranno dure rocce e vostro sonno
sempre vegliare…”). E il caso vale per quasi tutte le altre romanze “antiche”: “Scoccava la mezzanotte”, che narra dell’amore del conte Claros per
l’infanta Claranina, viene inserita, anche in questo caso con il gusto sottile
per l’antifrasi, al termine dell’episodio in cui il Cavaliere, appena giunto
a notte fonda nel Toboso, ordina a Sancho di recarsi subito al palazzo di
Dulcinea nella speranza di trovare la sua porta “aperta”. La “Romanza del
Pianto che fece Belerma per la morte di Durandarte” compare invece,
questa volta con intento perfettamente mimetico, al termine del racconto
della “istessa, tristissima historia” fatto dal Cavaliere, autonominatosi sul
campo “testimone oculare”, ad un gruppo di occasionali ascoltatori. Le
romanze del canconero nuevo si inseriscono invece, secondo una precisa
strategia narrativa, nel cuore e nel fuoco del racconto: basta pensare ad
esempio alla Canzone “Marinaio d’amore” che Don Chisciotte ascolta,
all’interno di una locanda, dalla voce “incantatrice” di uno sconosciuto
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“garzone di stalla”, oppure alla romanza “Soglion le forze d’amore” che il
Cavaliere canta con la sua stessa voce “un po’ roca ma intonata”, dopo aver
accordato senza gran perizia le corde di una vihuela.
La ragione di questa distinzione è chiara: le romanze che raccontano
il tempo glorioso della Cavalleria, le sue origini e i suoi codici d’onore,
non possono far parte della vile dimensione del presente: restano sospese,
come stendardi preziosi del tempo antico, all’entrata del racconto. E proprio la lontananza dal presente attribuisce loro lo statuto rivoluzionario,
scandaloso e antagonista del “monito”, dell’exemplum morale attraverso il
quale i morti, ottenendo finalmente giustizia, pretendono di essere accolti
nel mondo dei vivi. Le romanze del tempo nuovo, invece, non hanno
bisogno di svolgere alcun intento pedagogico: appartengono, nella loro
immediatezza, al corso del racconto e possiedono solo il compito di sovrapporre, nell’orologio della storia, le lancette del passato con quelle del
presente. In questo modo l’Ingegnoso signore, grazie allo strabismo della
sua follia, può guardare le misere vicende attuali della sua persona con gli
occhi sghembi e deformati di un Hidalgo del tempo andato, ma rivendicare anche il profondo senso morale, il sentimento pietoso di giustizia,
che accompagna il suo sragionatissimo errare.
La qualità più profonda del progetto cervantesco di Jordi Savall consiste in apparenza nell’aver inserito tra le pagine scritte del Don Quijote le
pagine musicali che il Libro non può contenere, di aver dato compiuta
vita sonora, cioè, ai testi che, all’interno del romanzo, chiedono con prepotenza di essere cantati e suonati. E in effetti i musicisti di Hespèrion
XXI e della Capella Reial de Catalunya riescono nel miracolo di dar voce e
suono all’antica utopia del “Libro di parole e suoni” già coltivata tre secoli
prima da Guillaume de Machaut con i suoi due grandi poemi amorosi:
Remède de fortune e Voir dit. L’ideale di ricostruire la lettera originaria
del poema cavalleresco, intreccio indissolubile di poesia e musica, rinasce
grazie ad un semplice artifizio “scenico”, ancor più evidente nella performance dal vivo piuttosto che nella dimensione astratta del disco: lungo il
corso maestro del racconto, affidato alla sapienza epica di un’unica voce
recitante, si aprono infatti, col ritmo naturale scandito dalla respirazione
dell’historicus, tante finestre quanti sono i testi musicali del romanzo: non
soltanto le romanze, ma anche le canzoni, i sonetti, i lamenti, i requiem.
Senza rinunciare all’inserimento di impropri, ma teatralissimi, frammenti
di melologo in cui il racconto viene sostenuto da alcune delle forme-cardine della letteratura strumentale spagnola del Rinascimento: le pavane, le
diferencias, le gallardas, le ciaccone e le fanfarre. In questo modo la parola
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parlata e la parola cantata smarriscono le loro reciproche differenze e diventano il prodotto di un’unica matrice, ossia il suono epico del racconto:
il ritmo della recitazione imprime il proprio ductus al canto e, viceversa,
il melos vocale impone alla narrazione orale il passo di una suadentissima
melodia. Il merito, va detto, spetta soprattutto alle accuratissime scelte
musicali operate da Savall che lasciandosi condurre dai suggerimenti
impliciti ed espliciti del romanzo, compone, completando il percorso
iniziato più di trent’anni fa con un disco fortunato (“Canciones y danzas
de Espana en la Epoca de Miguel de Cervantes”), una vivissima antologia
della musica del Siglo de Oro. Il musicista catalano si muove come sempre,
con gran disinvoltura, lungo i versanti paralleli della filologia e dell’invenzione. Laddove è stato possibile rinvenire nei trattati e nei canzonieri
dell’epoca le musiche originali delle romanze il rapporto tra testo e musica
è ovviamente rigoroso: la romanza di Don Bertrando, ad esempio, che
narra della sconfitta di Roncisvalle, intonata dall’accorato e piangente
“canto a cinque” composto su queste stesse parole da Juan Vasquez (c.
1500-c.1560), esponente di spicco, insieme a Guerrerro, de Morales e
Navarro della “Escuela de Andalusia”. E la già citata romanza del Conte
Claros, caso raro di historia a lieto fine, accoglie la relativa melodia, a sua
volta danzante e lieve, annotata sommariamente da Francisco Solinas, cattedratico dell’Università di Salamanca, nel suo trattato Musica Libri VII.
In tutti i casi (e sono i più numerosi) in cui al testo della romanza non
corrisponde invece alcuna melodia d’epoca conosciuta il procedimento
adottato da Savall è quello, del resto antichissimo, del contrafactum, ossia
dell’adattamento al testo di melodie appartenenti ad altri contesti poetici:
la romanza del Pianto di Belerme si adatta perfettamente, ad esempio, ad
una melodia vocale, elegantemente malinconica e meditativa, composta
da Luis Milan (c. 1500-c.1561), l’autore del leggendario Libro de música
de vihuela de mano intitulado El maestro, mentre il celeberrimo epitaffio
di Don Chisciotte che chiude il secondo libro del romanzo (“Qui giace
il gentiluomo forte/che a tale punto valore/ giunse, che si può dire/che
quando morì, la morte/non trionfò della sua vita”) è sigillato dal folgorante,
densissimo Pie Jesu Domine a 5 voci di Cristòbal de Morales (1500-1553).
Ma nella meticolosa ricostruzione delle “musiche di Don Chisciotte”
compiuta da Savall non si possono rintracciare soltanto il lavoro documentario del filologo o quello creativo del musicista. In questa impresa,
condotta come di consueto con la mano sicura del pittore di suoni, è nascosto un filo più sotterraneo che lega insieme, in un ordine concettuale
superiore, i singoli anelli di questa catena. Ed è il filo che attraversa la
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ricchissima “poetica degli affetti” disegnata da Cervantes. Se c’è un affetto, tra tutti quelli che affollano la mente sconvolta di Don Chisciotte,
che la musica è in grado, grazie alla retorica delle sue figure sonore, di
amplificare, questo affetto è quello del dolore. Perché di dolori, come sa
bene il Lettore pietoso, è fitta la tela del Cavaliere: il dolore del bastone
che infierisce sulle sue povere costole, il dolore del cuore che lo separa
per sempre dalla sua Dulcinea, il dolore della mente che rovescia la sua
visione del mondo, il dolore della morte che spegne il suo povero corpo
martoriato. Ed è la musica, non la parola, ad imprimere a questa rosa di
dolori l’evidenza fisica delle lacrime, del pianto, del lamento. Ebbene è
proprio il racconto del dolore che conduce, secondo il Benjamin dell’Angelus Novus, alla virtù della giustizia. È attraverso la rappresentazione del
dolore e della morte che il Narratore si sente in diritto di chiedere ai vivi
di ridare agli scomparsi il loro posto nel mondo. Ed è attraverso i dolori
patiti oltre misura, oltre il limite della umana sopportazione, dal fantasioso
gentiluomo che Cervantes implora pietà, giustizia e riscatto per il mondo
dei vinti. In questo senso il Gran Libro di Quijote è anche il Libro Giusto,
il Libro che assegna ai morti, ai folli, ai diseredati, ai senza speranza un
luogo dove vivere. E la musica, dunque, è semplicemente la mappa che
consente al lettore di non smarrirsi nel campo aperto della scrittura, un
orologio e al tempo stesso una bussola grazie alla quale il tempo e la spazio
della letteratura si trasformano in un rifugio riconoscibile e condiviso.
Estraendo dalle pagine del romanzo la “musica nascosta” che esse custodiscono Savall ha compiuto dunque un gesto che non è fatto solo di suono,
ma anche di pietà, di giustizia e di profondissima humanitas: ha creato,
in altre parole, una sottile striscia di terra sonora lungo la quale i vivi si
possono incontrare con i morti, gli uomini del presente con quelli del
passato. È solo lungo questo confine incerto, del resto, lungo questa riga
di sabbia fragile, dove vita e morte si confondono, che anche il Cavaliere
insano può trovare un’oasi di pace: “Così il viver mi uccide – confessa
Don Quijote in una delle ultime strofe composte per lui da Cervantes – e
la morte mi torna a dar la vita. / Condizione inaudita / quella che in me
morte e vita riguarda!”.
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Gustavo Doré, Don Chisciotte
Il Don Chisciotte è, al tempo stesso, un canto alla libertà. Conviene fermarsi un
momento a riflettere sulla famosissima frase di don Chisciotte a Sancho Panza: «La
libertà, Sancho, è uno dei doni più preziosi che agli uomini abbiano dato i cieli; non
possono paragonarsi ad essa i tesori che racchiude la terra o ricopre il mare; per la
libertà, come anche per l’onore, si può e si deve mettere in gioco la vita; al contrario,
non c’è male più grande che possa venire agli uomini della schiavitù». Che idea della
libertà si fa Don Chisciotte? La stessa che, a partire dal secolo XVIII, si faranno in
Europa i cosiddetti liberali: la libertà è la sovranità di un individuo di decidere la sua
vita senza pressione né condizionamenti, esclusivamente in funzione della sua intelligenza e della sua volontà. Vale a dire, quella che, diversi secoli dopo, un certo Isaia
Berlin avrebbe definito come “libertà negativa”, quella di essere liberi da interferenze
e coazioni per pensare, esprimersi ed agire. Ciò che si annida nel cuore di questa idea
della libertà è una sfiducia profonda nell’autorità, negli abusi che può commettere il
potere, qualsiasi potere.
Mario Vargas Llosa
Così magro è quel volto, così vuote le guance, così radi i molari superstiti, che quelle
guance (dice l’autore) sembrano “baciarsi l’un l’altra dentro la bocca”. Le sue maniere
sono una forma di transizione tra l’aspetto fisico ed il mistero di una natura duale. La
compostezza, la gravità il contegno mirabilmente calmo e l’autocontrollo contrastano
curiosamente con gli accessi folli di rabbia bellicosa.
Vladimir Nabokov
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Miguel de Cervantes e le musiche del Chisciotte
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PRIMA PARTE
I. IO SONO LA PAZZIA Capitolo I
Luys de Milán, Pavana (strumentale)
RECITATO: “In un paese della Mancia …”
Henry du Bailly, La Folia: Yo soy la locura
Diego Ortiz, Passamezzo moderno (strumentale)
II. PRIME PERIPEZIE Capitolo II
RECITATO: “Senza far parte ad alcuno delle sue intenzioni …”
Anonimo / Luys de Milán, Romanza di Moriana: Con pavor recordó el
moro
RECITATO: “Stavano sulla porta due giovani donne...”
Anonimo (sefardi), Romanza antica di Lancillotto: Nunca fuera
caballero de damas bien servido
III. PRIME DISAVVENTURE Capitoli IV-V
Pedro Guerrero, La perra mora
RECITATO: “Alla vista di alcuni mercanti...”
Luys de Milán, Romanza di Baldovino: Sospirates Valdovinos
RECITATO: “Quel contadino cercò di sollevarlo da terra...”
Anonimo / Diego Pisador, Romanza di Abindarráez: Al campo sale
Narváez
IV. A FUOCO LA BIBLIOTECA Capitoli V-VI
RECITATO: “Entrarono la governante, la nipote, il curato ed il barbiere...”
Anonimo / Juan Vasquez, Romanza di don Bertrando: I Dodici Pari e
Roncisvalle
V. ARRIVO AL TOBOSO Capitolo IX
RECITATO: “Scoccava la mezzanotte, poco più o poco meno…”
Francisco Salinas, Romanza del conte Claros di Montalbano: Media
noche era por filo
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SECONDA PARTE
RECITATO:
“Mentre i due erano impegnati in queste conversazioni...”
Anonimo, Romance di Guarinos: Mala la hubisteis franceses, en esa de
Roncesvalles (CMP 106)
VI. ROMANZE VIVENTI Capitoli XXIII-XXVI
RECITATO: “Saranno state le quattro del pomeriggio...”
Anonimo, Romanza del Pianto che fece Belerma per la morte di
Durandarte: Sobre el coraçón difunto (CMP 109)
Luys de Milán, Fantasia VIII (strumentale)
RECITATO: “Don Chisciotte e Sancho Panza assistettero ad un teatrino...”
Anonimo, Romanza di Don Gaiferos: Si d’amor pena sentís (CMP
113)
VII. LE PENE DELLA SIGNORA ADDOLORATA Capitolo XXXVIII
RECITATO: “Dietro i tristi musicisti, la contessa Trifaldi...”
Gabriel / Cervantes, Villancico: De la dulce mi enemiga (CMP)
RECITATO: “E di questo genere...”
Anonimo, Seguidillas in eco: De tu vista celoso (Danza cantata)
(CMS 8)
VIII. ENTRATA A BARCELLONA Capitoli LXI-LXII
RECITATO: “Infine, per itinerari insoliti, per scorciatoie...”
Antonio Martín y Coll, El Villano (strumentale)
RECITATO: “Venne la sera e, mentre erano in casa, ci fu una veglia
danzante...”
Juan Arañés, Ciaccona: Un sarao de la chacona (Danza cantata)
CMP: Cancionero Musical de Palacio
CMS: Cancionero Musical de la Sablonara
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PRIMA PARTE
1. Io sono la pazzia
Capitolo I
Della condizione e delle abitudini del famoso gentiluomo don Chisciotte della Mancia
MUSICA
Pavana (strumentale) – Luys de Milán
RECITATO
In un paese della Mancia di cui non voglio ricordare il nome, viveva, or non è molto
tempo, un gentiluomo di quelli con la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un
magro ronzino e un levriero da caccia. Nei momenti d’ozio si dedicava alla lettura di
libri di cavalleria, con tanta passione e gusto che, a furia di ragionarci sopra, il povero
cavaliere perdeva il giudizio, e rinunciava al sonno per comprenderli e sviscerarne il
senso. Tanto s’immerse nelle sue letture, che passava le notti leggendo dalle ultime luci
della sera alle prime del mattino, ed i giorni dall’albeggiare al tramonto; e così, per
il poco dormire ed il molto leggere, gli si prosciugò il cervello in modo che giunse a
perdere il senno.
MUSICA
La follia: Io sono la pazzia – Henry du Bailly
Io sono la pazzia,
che sola infondo
piacere e dolcezza
e letizia al mondo.
Al mio servizio sono
tutti, chi più chi meno
eppure non c’è uomo
che pensi di esser pazzo.
MUSICA
Passamezzo moderno (strumentale) – Diego Ortiz
2. Prime peripezie
Capitolo II
Che tratta della prima uscita che fece dalla sua terra il fantasioso don Chisciotte
RECITATO
Senza far parte ad alcuno delle sue intenzioni e senza che nessuno lo vedesse, una
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PRIMERA PARTE
1. Yo soy la locura
Capítulo I
De la condición y ejercicio del famoso hidalgo Don Quijote de la Mancha
MÚSICA
Pavana (instrumental) – Luys de Milán
RECITADO
En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho tiempo
que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco y galgo
corredor. Los ratos que estaba ocioso se daba a leer libros de caballerías, con tanta afición y
gusto, que con estas razones perdía el pobre caballero el juicio y desvelábase por entenderlas
y desentrañarles el sentido. Se enfrascó tanto en su lectura, que se le pasaban las noches
leyendo de claro en claro, y los días de turbio en turbio; y así, del poco dormir y del mucho
leer, se le secó el cerebro de manera que vino a perder el juicio.
MÚSICA
La folia: Yo soy la locura – Henry du Bailly
Yo soy la locura
la que sola infundo
plazer y dulçura
y contento al mundo.
Sirven a mi nombre
todos mucho o poco
y pero no ay hombre
que piense ser loco.
MÚSICA
Passamezzo moderno (instrumental) – Diego Ortiz
2. Primeras andanzas
Capítulo II
Que trata de la primera salida que de su tierra hizo el ingenioso don Quijote
RECITADO
Sin dar parte a persona alguna de su intención y sin que nadie le viese, una mañana,
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mattina, prima che facesse giorno, si armò di tutte le sue armi, montò su Ronzinante,
si sistemò l’elmo rabberciato, imbracciò lo scudo, prese la lancia e per la porta segreta
del cortile uscì alla campagna come novello cavaliere, potendo la sua pazzia più che
alcun’altra ragione. Si avviò per la sua strada, e dopo essere andati per tutto il giorno,
sia il suo ronzino che lui erano stanchi e morti di fame. Affrettò quindi il passo ed
arrivò ad una locanda proprio mentre imbruniva. Uscì a riceverlo il locandiere, che
decise di parlargli e gli disse: – Se vostra grazia, signor cavaliere, cerca alloggio, a
meno del letto, poiché in questa locanda non ce n’è nessuno, tutto il resto lo troverà
in abbondanza.
Gli rispose don Chisciotte: – Per me, signor castellano, qualunque cosa basta, perché
“mio ornamento son l’armi, mio riposo il pugnare”.
– Allora – replicò il locandiere – i letti di vostra grazia “saranno dure rocce, e vostro
sonno, sempre vegliare”.
MUSICA
Romanza di Moriana: Con paura ricordò il moro – Anonimo / Luys de Milán
Narratore: Moriana in un castello gioca col moro Galvane,
giocano i due a tric-trac per maggiore piacere;
ogni volta che il moro perde, perdeva una città,
quando perde Moriana, la mano gli fa baciare.
La presero i mori la mattina di san Giovanni,
mentre coglieva rose e fiori nell’orto di suo padre.
Alzò gli occhi Moriana, e lo riconobbe;
scoppiò in lacrime dinnanzi al moro.
Con paura ricordò il moro e prese a gridare:
Moro: “Mio ornamento son l’armi, mio riposo il pugnare,
mio letto le dure rocce, e mio sonno sempre vegliare,
i miei abiti sono dolori che non si posson stracciare.”
Moriana: “Non mi molestarono i mori, non comandate di ucciderli,
ma su questo sentimento voglio esser sincera,
ché per quei monti vedo affacciarsi un cavaliere,
che penso sia il mio sposo, il mio diletto, il mio grande amore.”
Narratore: Alzò la mano il moro, e le diede un ceffone,
i denti bianchi facendole riempire di sangue,
e comandò che i suoi servi l’andassero a decapitare
dove vedeva il suo sposo, in quel luogo stesso.
Al momento della morte, pronunziò queste parole:
Moriana: “Io muoio da cristiana, e anche per testimoniare
il mio amore sincero per il mio legittimo sposo.”
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antes del día, se armó de todas sus armas, subió sobre Rocinante, puesta su mal compuesta
celada, embrazó su adarga, tomó su lanza y por la puerta falsa de un corral salió al campo
como novel caballero pudiendo más su locura que otra razón alguna. Prosiguió su camino,
y después de andar todo aquel día, su rocín y él se hallaron cansados y muertos de hambre.
Diose priesa a caminar y llegó a una venta a tiempo que anochecía. Salió a recibirle el
ventero, el cual determinó de hablarle y así le dijo:
– Si vuestra merced, señor caballero, busca posada, amén de lecho, porque en esta venta no
hay ninguno, todo lo demás se hallará en mucha abundancia.
Y respondiole don Quijote:
– Para mí, señor castellano, cualquiera cosa basta, porque “mis arreos son las armas, mi
descanso el pelear”.
– Según eso –díjole el ventero– las camas de vuestra merced “serán duras peñas, y su dormir,
siempre velar.”
MÚSICA
Romance de Moriana: Con pavor recordó el moro – Anónimo / Luys de Milán
Narrador: Moriana en un castillo juega con moro Galvane,
juegan los dos a tablas por mayor plazer tomar;
cada vez qu’el moro pierde él perdía una ciudad,
quando Moriana pierde la mano le da a besar.
Captiváronla los moros la mañana de san Juane,
cogiendo rosas y flores en la huerta de su padre.
Alçó los ojos Moriana, conosciéranle en mirarle;
lágrimas de los sus ojos en la faz del moro dane.
Con pavor recordo el moro y empeçara de gritos dar:
Moro: “Mis arreos son las armas, mi descanso es pelear,
mi cama las duras peñas, mi dormir siempre es velar,
mis vestidos son pesares que no se pueden rasgar.”
Moriana: “No me enojaron los moros, ni los mandeis vos matar,
pero d’este sentimiento quiero dezir la verdad,
que por los montes aquellos cavallero vo assomar,
el qual pienso qu’es mi esposo, mi querido, mi amor grande.”
Narrador: Alçó la su mano el moro, un bofetón le fue a dar,
los dientes teniendo blancos, de sangre buelto los hae,
y mando que sus porteros la lleven a degollar
allí do viera su esposo, en aquel mismo lugar.
Al tiempo de su muerte estas palabras fue a hablar:
Moriana: “Yo muero como christiana y también por confesar
mis amores verdaderos de mi esposo natural.”
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RECITATO
Stavano sulla porta due giovani donne, di quelle dette di facili costumi, che a lui
sembrarono due belle donzelle o due graziose dame, che si stavano trastullando
davanti alla porta del castello, e don Chisciotte disse loro con molto garbo:
Mai vi fu cavaliere
da dame sì ben servito
come fu don Chisciotte
quando venne dal suo villaggio:
donzelle si curavano di lui,
principesse del suo ronzino.
MUSICA
Romanza antica di Lancillotto: Mai vi fu cavaliere da dame sì ben servito
Anonimo (sefardi)
Mai vi fu cavaliere
da dame sì ben servito
come fu Lancillotto
quando venne dalla Bretagna:
donzelle si curavano di lui,
e signore del suo ronzino.
La signora Chintagnona,
gli mesceva il vino,
la graziosa regina Ginevra
lo ospitava nel suo letto.
Nel miglior stato d’animo,
senza aver preso sonno,
la regina commossa
gli propose una sfida:
– Lancillotto, Lancillotto,
se fossi venuto prima
non avrebbe il Fellone
detto quelle parole:
che avrebbe ucciso Artù
e tutti i suoi nipoti
e a dispetto di voi,
sarebbe giaciuto con me. –
Lancillotto, al sentir questo,
provò intenso dolore,
pieno d’immenso sdegno
domandò le sue armi;
armatosi di tutto punto,
salutò la regina.
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RECITADO
Estaban en la puerta dos mujeres mozas, destas que llaman del partido, que a él le
parecieron dos hermosas doncellas o dos graciosas damas que delante de la puerta del castillo
se estaban solazando y don Quijote les dijo con mucho donaire:
Nunca fuera caballero
de damas tan bien servido
como fuera don Quijote
cuando de su aldea vino:
doncellas curaban dél;
princesas de su rocino.
MÚSICA
Romance Viejo de Lanzarote: Nunca fuera caballero de damas tan bien servido
– Anónimo (sefardí)
Nunca fuera caballero
de damas tan bien servido
como fuera Lanzarote
cuando de Bretaña vino:
doncellas curaban d’él;
y dueñas de su rocino,
esa dueña Quintañona,
esa le escanciaba el vino,
la linda reina Ginebra
se lo acostaba consigo.
Estando al mejor sabor,
que sueño no había dormido,
la reina toda turbada
movido le ha un partido:
– Lanzarote, Lanzarote,
si antes fuérades venido
no dijera el Orgulloso
las palabras que había dicho:
que mataría al rey Artús
y aun a todos sus sobrinos
y a pesar de vos, señor,
él dormiría conmigo. –
Lanzarote que lo oyó
gran pesar ha recebido,
lleno de muy grande enojo
sus armas había pedido;
armóse de todas ellas,
de la reina se ha partido,
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Va in cerca del Fellone,
lo trova ai piedi di un pino.
Scontratisi con le lance,
alle asce sono giunti;
del loro sangue che scorre
tutto il campo è inzuppato.
Ecco cede il Fellone,
cade a terra disteso,
gli ha tagliata la testa
senza alcuna indulgenza.
Tornò dalla regina
da cui fu bene accolto.
3. Prime disavventure
Capitoli IV-V
Dove si continua il resoconto delle disavventure del nostro cavaliere
MUSICA
La perra mora (strumentale) – Pedro Guerrero
RECITATO
Alla vista di alcuni mercanti che gli parvero villani, don Chisciotte si scagliò a lancia
bassa con tanta furia e collera che, se la buona sorte non avesse fatto inciampare e
cadere Ronzinante a metà strada, quei mercanti se la sarebbero vista brutta. Cadde
Ronzinante, e il suo padrone andò a ruzzoloni per un buon tratto del campo; e quando
provò a rialzarsi, non ci riusciva. Mentre lottava per alzarsi senza successo, andava
dicendo:
– Non fuggite, vigliacchi; razza di schiavi, aspettate, perché non per colpa mia, ma del
mio cavallo, sono qui a terra.
Un garzone di stalla, fra quelli che si avvicinavano, sentendo il povero caduto dire tante
insolenze, non lo tollerò e prese a dare al nostro don Chisciotte tante bastonate, che lo
macinò come granaglia. Il ragazzo si stancò, e i mercanti ripresero la loro strada.
Don Chisciotte, vedendo che gli non era possibile alzarsi, poiché aveva tutto il corpo
pesto e non poteva muoversi, decise di ricorrere al suo abituale rimedio, che era di
pensare a qualche passo dei suoi libri, e la sua pazzia gli riportò alla memoria quello
di Baldovino e del Marchese di Mantova, quando Carlotto lo lasciò ferito sulla
montagna. Fortuna volle che un contadino del suo stesso paese, e suo vicino, vedendo
quell’uomo lì steso a terra, gli si avvicinasse e gli domandasse chi era e che male avesse
per lamentarsi tanto amaramente. Don Chisciotte credette senza dubbio che fosse lo
zio di Baldovino, e così, per tutta risposta, non fece che continuare la sua romanza.
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va a buscar al Orgulloso,
hállalo bajo de un pino.
Combátense de las lanzas,
a las hachas han venido;
de la sangre que les corre
todo el campo está teñido.
Ya desmaya el Orgulloso,
ya cae en tierra tendido,
cortado le ha la cabeza
sin hacer ningún partido.
Tornóse para la reina
de quien fue bien recebido.”
3. Primeros entuertos
Capítulos IV-V
Donde se prosigue la narración de la desgracia de nuestro caballero
MÚSICA
La perra mora (instrumental) – Pedro Guerrero
RECITADO
A la vista de unos mercaderes que pareciéronle villanos, Don Quijote arremetió con la
lanza baja con tanta furia y enojo, que si la buena suerte no hiciera que en la mitad del
camino tropezara y cayera Rocinante, lo pasaran mal esos mercaderes. Cayó Rocinante, y
fue rodando su amo una buena pieza por el campo; y queriéndose levantar, jamás pudo. Y,
entre tanto que pugnaba por levantarse y no podía, estaba diciendo:
–Non fuyáis, gente cobarde; gente cautiva, atended que no por culpa mía, sino de mi
caballo, estoy aquí tendido.
Un mozo de mulas de los que allí venían, oyendo decir al pobre caído tantas arrogancias,
no lo pudo sufrir y comenzó a dar a nuestro don Quijote tantos palos que le molió como
cibera. Cansóse el mozo y los mercaderes siguieron su camino.
Viendo don Quijote que no era posible levantarse, según tenía brumado todo el cuerpo y no
podía menearse, acordó de acogerse a su ordinario remedio, que era pensar en algún paso de
sus libros, y trújole su locura a la memoria aquel de Valdovinos y del Marqués de Mantua,
cuando Carloto le dejó herido en la montiña. Quiso la suerte que un labrador de su mesmo
lugar y vecino suyo, viendo aquel hombre allí tendido, se llegó a él y le preguntó que quién
era y qué mal sentía que tan tristemente se quejaba. Don Quijote creyó sin duda que aquel
era el tío de Valdovinos, y así no le respondió otra cosa sino fue proseguir en su romance.
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MUSICA
Romanza di Baldovino: Sospirate Baldovino – Luys de Milán
Sospirate Baldovino
per le cose ch’io più vorrei
o avete paura dei mori
o in Francia avete un’amica.
Io non ho paura dei mori
né in Francia ho un’amica
ma tu mora ed io cristiano
conduciamo gran brutta vita.
Se vieni con me in Francia
tutto per noi sarà gioia
ci saranno giostre e tornei
ogni giorno a tuo servizio.
E vedrai il fior fiore
della miglior cavalleria
io sarò il tuo cavaliere
tu la mia cara amica.
RECITATO
Quel contadino cercò di sollevarlo da terra; con non poca fatica riuscì a farlo salire sul
suo giumento e si incamminò verso il suo paese, meditabondo al sentire gli spropositi
che don Chisciotte diceva. Pesto e sfinito com’era, don Chisciotte non riusciva a
tenersi sull’asino e di tanto in tanto emetteva sospiri che salivano al cielo. Il contadino
allora gli domandava che male sentiva; e sembra proprio che il diavolo provasse gusto
a fargli venire in mente i racconti che si adattavano ai suoi eventi, perché in quel
momento, dimenticandosi di Baldovino, si ricordò del moro Abindarráez, quando il
governatore di Antequera, Rodrigo di Narváez, lo prese e lo condusse prigioniero al
suo castello. Con questi discorsi ed altri simili arrivarono al paese, sull’imbrunire, e il
contadino prese a dire a gran voce:
– Aprite al signore moro Abindarráez, che è condotto prigioniero dal valoroso Rodrigo
di Narváez, governatore di Antequera!
MUSICA
Romanza di Abindarráez: In campo esce Narváez – Anonimo / Diego Pisador (1552)
In campo esce Narváez
vassallo del re della Spagna
e governatore d’Antequera
con illustre cavalcata,
di gran lustro e fama.
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MÚSICA
Romance de Valdovinos: Sopirastes Valdovinos – Luys de Milán
Sospirates Valdovinos
las cosas que yo más quería
o teneys miedo a los moros
o en Francia teneys amiga.
No tengo miedo a los moros
ni en Francia tengo amiga
mas tu mora y yo cristiano
hazemos muy mala vida.
Si te vas conmigo a Francia
todo nos será alegría
have justas y torneos
por servirte cadaldía.
Y veras la flor del mundo
de mejor cavallería
yo seré tu cavallero
tu seras mi linda amiga.
RECITADO
Ese labrador procuró levantarle del suelo, y no con poco trabajo le subió sobre su jumento y
se encaminó hacia su pueblo, bien pensativo de oir los disparates que don Quijote decía. De
puro molido y quebrantado, don Quijote no se podia tener sobre el borrico y daba suspiros
que los ponía en el cielo. El labrador entonces preguntábale qué mal sentía; y no parece sino
que el diablo le traía a la memoria los cuentos acomodados a sus sucesos, porque en aquel
punto, olvidándose de Valdovinos, se acordó del moro Abindarráez, cuando el alcaide de
Antequera, Rodrigo de Narváez, le prendió y llevó cautivo a su alcaidía. En estas pláticas
y en otras semejantes llegaron al lugar, a la hora que anochecía, y el labrador comenzó a
decir a voces:
– Abran vuestras mercedes al señor moro Abindarráez, que trae cautivo el valeroso Rodrigo
de Narváez, alcaide de Antequera!
MÚSICA
Romance de Abindarráez: Al campo sale Narváez – Anónimo / Diego Pisador (1552)
Al campo sale Narvaez
vasallo del rey de España
y alcayde de Antequera
con ilustre cabalgada,
todos a punto de guerra
de gran nombradía y fama,
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Tutti in assetto di guerra,
escono ad affrontare i mori
tendendo loro agguati.
Sarà stata mezzanotte
e la terra era in silenzio.
Narváez sale sul poggio
di lì mirava la luna;
tanto era chiara e serena
che la sua bellezza destava ammirazione,
la notte sembrava giorno
per il chiarore del cielo.
E in mezzo a un albereto
che il vento fa stormire,
sentono la voce di un moro
emettere dal cuore sospiri:
“Son cresciuto a Cartama,
ma son nato a Granada,
e per mia ventura
a Jaén ho la mia anima.”
Ciò che sentì, Rodrigo
prese per brutta nuova,
e ne scoppiò uno scontro.
Oh che bella battaglia!
ché se Rodrigo è prode,
al moro che cosa mancava?
Ma Rodrigo riuscì a colpire
con la lancia la coscia del moro
che essendo già molto stanco
si trova in gran mal parata,
si affrontano corpo a corpo,
e il moro si trova a terra.
“Non mi arrenderò, dice,
che a colei cui ho dato l’anima.”
Narváez vedendolo così forte
lo aiutava ad alzarsi.
Rodrigo domanda al moro
chi è, o che cosa vuole.
“Dimmi prima il tuo nome
e farò ciò che mi comandi.”
“Sono Rodrigo di Narváez
vassallo del re di Spagna.”
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salen por topar los moros
haziendo alguna emboscada.
La media noche seria
y la tierra en silencio estaba.
Narvaez se sube al otero
de alli la luna mirava
tan clara estava y serena
que de vella se admirava,
la noche parece dia
segun el cielo mostrava.
Y por medio una arboleda
que el ayre la meneaba
una voz oyen de un moro
que echa sospiros del alma:
“En Cartama fuy criado
pero nacido en Granada,
y por la ventura mia
en Coyn tengo mi alma.”
Oydo lo avie Rodrigo
tomolo por nueva mala,
do esta la lid començada,
o que hermosa batalla,
que si Rodrigo es valiente,
al moro qué le faltaba?
Mas Rodrigo acerto al moro
en el muslo una lançada
y por ser sobre cansado
el moro muy mal lo passa,
llegan a asirse los braços
el moro en tierra se halla.
“No me rendire le dize
sino a la que rendi el alma.”
Narvaez viendole tan fuerte
a levantar le ayudaba.
Rodrigo pregunta al moro
quién es, o lo que demanda.
“Dime primero tu nombre
que yo haré lo que me mandas.”
“Soy Rodrigo de Narvaez
vasallo del rey de España.”
“Yo me llamo Avindarraez,
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“Io mi chiamo Abindarráez,
così mio padre mi chiama,
sono degli Abencerrajes
che erano il fior di Granada.”
Gli raccontò la sua storia
e quella del suo amore.
Don Rodrigo, da nobile qual’è
ne prova gran dispiacere
e gli dice “Cavaliere,
se mi dai la parola d’onore
di tornare alla mia prigione
al termine di questa giornata,
io ti lascio in libertà
a proseguire la tua ricerca.”
Il moro, a tale magnanimità
mani e piedi lo baciava,
e per Allah gli promette
di tornar prigioniero da lui.
Presa licenza,
il moro ritornò solo
ad inseguire il suo amore
come desiderava,
per poi tornare in prigione
come promise e giurò.
Rodrigo lo stima molto
al punto da liberarlo,
sicché rimase tra i due
salda grande amicizia.
4. A fuoco la biblioteca
Capitoli V-VI
Del pregevole e grande esame che il curato ed il barbiere fecero nella libreria dal nostro
fantasioso gentiluomo
RECITATO
Entrarono la governante, la nipote, il curato ed il barbiere nella stanza di don
Chisciotte in cui si trovavano i libri origine della sua pazzia, e trovarono più di cento
volumi grandi, molto ben rilegati, ed altri più piccoli. Il curato ordinò al barbiere che
gli passasse quei libri uno ad uno per vedere di che cosa trattavano, perché poteva
essere che se ne trovasse qualcuno che non meritasse il castigo del rogo.
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y mi padre asi me llama,
soy de los Abencerrajes
que eran la flor de Granada.”
Luego le contó su historia
y los amores que trata.
Don Rodrigo como es noble
tenido le ha grande lastima
y dizele, cavallero
si me das tu fe y palabra
de bolverte a mi prisión
fenecida esta jornada,
yo te porne en libertad
y sigue en paz tu demanda.
Viendo el moro tal grandeza
manos y pies le besaba,
y por Alá le promete
de bolver preso a su casa
y tomada la licencia
solo el moro se tornaba
do prosiguió sus amores
todo como el lo deseaba,
hasta bolver en prisión
como prometió y jurara.
Rodrigo lo estima en mucho
al punto lo libertaba,
con que quedó entre los dos
grande amistad confirmada.
4. Arde la biblioteca
Capítulos V-VI
Del donoso y grande escrutinio que el cura y el barbero hicieron en la librería de nuestro
ingenioso hidalgo
RECITADO
Entraron el ama, la sobrina, el cura y el barbero en el aposento de don Quijote donde
estaban los libros autores de su locura, y hallaron más de cien cuerpos de libros grandes, muy
bien encuadernados, y otros pequeños. Mandó el barbero que le fuesen dando de aquellos
libros uno a uno para ver de qué trataban, pues podía ser hallar algunos que no mereciesen
castigo de hoguera.
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– No – disse la nipote – non c’è motivo di risparmiarne nessuno, perché tutti sono
stati responsabili del disastro: sarà meglio gettarli dalle finestre nel patio, farne una
catasta e dare loro fuoco.
Prendendo un libro, il barbiere disse: – Questo è lo Specchio di imprese cavalleresche. –
Conosco quel bel tomo – disse il curato –. Ci si trova il signor Rinaldo di Montalbano
coi suoi amici e compagni, più ladroni di Caco, e i dodici Pari, che mi limiterei a
condannare ad esilio perpetuo. Questo libro, e tutti quelli che troviamo, che trattano
di queste storie di Francia, siano gettati, e li si butti in fondo a un pozzo secco, o li si
dia al fuoco senza alcuna remissione.
MUSICA
Romanza di don Bertrando: I Dodici Pari e Roncisvalle – Anonimo / Juan Vasquez
Nei campi d’Alventosa uccisero don Bertrando,
ma se ne accorsero solo dopo il passo [di Roncisvalle].
Sette volte tirano la sorte su chi dovrà andarlo a cercare,
tutte e sette cade su quel buon vecchio di suo padre.
Tre furono per malizia, quattro per cattiveria.
Gira le briglie del cavallo e tornalo a cercare.
Di notte per la strada, di giorno per le sterpaglie.
In mezzo alla carneficina va il vecchio, avanza tra i morti,
le braccia sono esauste dal rivoltare cadaveri;
ha visto tutti i francesi, ma non don Bertrando.
– Per Dio ti prego, o moro, dimmi la verità:
un cavaliere dalle armi bianche, lo vedesti passare di qua?
– Questo cavaliere, amico, giace morto in quel prato,
ha le gambe nell’acqua ed il corpo sull’arenile.
Malediceva il vino, malediceva il pane,
malediceva l’albero, che solo in campagna nasce,
dove tutti gli uccelli del cielo si vengono a posare
che né rami né foglie gli lasciavano godere.
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– No –dijo la sobrina –, no hay para qué perdonar a ninguno, porque todos han sido
dañadores: mejor será arrojallos por las ventanas al patio y hacer un rimero dellos y pegarles
fuego.
Tomando el barbero un libro, dijo:
– Este es Espejo de Caballerías.
– Ya conozco a su merced – dijo el cura –. Ahí anda el señor Reinaldo de Montalbán con
sus amigos y compañeros, más ladrones que Caco, y los Doce Pares que estoy por condenarlos
no más que a destierro perpetuo. Que este libro y todos los que se hallaren que tratan destas
cosas de Francia se echen y depositen en un pozo seco o al fuego sin remisión alguna.
MÚSICA
Romance de Don Beltrán: Los Doce Pares y Roncesvalles – Anónimo / Juan Vasquez
En los campos de Alventosa mataron a don Beltrán;
nunca lo echaron menos hasta los puertos pasar.
Siete vezes echan suertes quién lo bolverá a buscar,
todas siete le cupieron al buen viejo de su padre.
Las tres fueron por malicia y las cuatro con maldad.
Buelve riendas al cavallo y buélveselo a buscar.
De noche por el camino, de día por el xaral.
Por la matança va el viejo, por la matança adelante,
los braços lleva cansados de los muertos rodear;
vido todos los franceses y no vido a don Beltrán.
– Por Dios te ruego, el moro, me digas una verdad:
cavallero de armas blancas ¿ i lo viste acá pasar?
– Este cavallero, amigo, muerto está en aquel pradal,
las piernas tiene en el agua y el cuerpo en el arenal.
Maldiziendo yva el vino maldiziendo yva el pan,
maldiziendo yva el arbol, que solo en el campo nasce,
que todas las aves del cielo allí se vienen a asentar
que de rama ni de hoja no la dexavan gozar.
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5. Arrivo al Toboso
Capitolo IX
Dove si racconta quello che in esso si vedrà
RECITATO
Scoccava la mezzanotte, poco più o poco meno, quando don Chisciotte e Sancho
lasciarono il monte ed entrarono nel Toboso. Nel paese regnava un tranquillo silenzio,
perché tutti i suoi abitanti riposavano, addormentati, come si suol dire, come sassi.
Ciò nonostante, don Chisciotte disse a Sancho:
– Sancho, figlio mio, guidami al palazzo di Dulcinea: chissà che non la troviamo
sveglia.
– Signore – disse Sancho – è forse un’ora in cui si possa trovare la porta aperta? E
starebbe bene che battessimo colpi al portone perché ci sentano e ci aprano, mettendo
in subbuglio e a rumore tutta la gente?
MUSICA
Romanza del conte Claros di Montalbano: Scoccava la mezzanotte – Francisco
Salinas
Narratore: Scoccava la mezzanotte
i galli volevan cantare
il conte Claros per amore
non poteva riposare.
Dava profondi sospiri
a causa dell’amore,
per amore di Claraniña,
non può trovare pace.
Quando venne la mattina
e stava per albeggiare,
diede un salto dal letto
che sembra un sparviero.
Gli portano un bel cavallo,
che a corte non ve n’è uguale,
la cui sella e il cui morso
valevano una città,
e si avvia al palazzo
al palazzo reale,
lì l’infanta Claraniña
egli andava a trovare.
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5. Llegada al Toboso
Capítulo IX
Donde se cuenta lo que en él se verá
RECITADO
Media noche era por filo, poco más o menos, cuando don Quijote y Sancho dejaron el monte
y entraron en el Toboso. Estaba el pueblo en un sosegado silencio, porque todos sus vecinos
dormían y reposaban a pierna tendida, como suele decirse. Con esto, dijo don Quijote a
Sancho:
–Sancho hijo, guía al palacio de Dulcinea: quizá podrá ser que la hallemos despierta.
–Señor –dijo Sancho– ¿es hora esta por ventura de hallar la puerta abierta? ¿Y será bien
que demos aldabazos para que nos oyan y nos abran, metiendo en alboroto y rumor toda
la gente?
MÚSICA
Romance del Conde Claros de Montalbán: Media noche era por filo – Francisco
Salinas
Narrador: Media noche era por filo
los gallos querían cantar
conde Claros con amores
no podía reposar.
Dando muy grandes sospiros
que el amor le hazia dar
por amor de clara niña
no le dexa sosegar.
Quando vino la mañana
que quería alborear
salto diera de la cama
que parece un gavilan.
Traele un rico cavallo
qu’en la corte no ay su par
que la silla con el freno
bien valia una ciudad
y vase para el palacio
para el palacio real
a la infanta Claraniña
alli la fuera hallar.
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Claraniña: “Conte Claros, conte Claros,
signore di Montalbano
che bel corpo avete
per combattere contro i mori.”
Conte Claros: “Il mio corpo, signora, è fatto
per riposare con le dame;
potessi avervi questa notte,
signora, a comandarmi.”
Claraniña: “Tacete, conte, tacete,
e non vogliate vantarvi;
chi vuole servire dame,
così suole parlare.”
Conte Claros: “Sette anni sono passati
da che cominciai ad amarvi,
e di notte io non dormo
né posso il dì riposare.”
Narratore: La prese per la mano
per un giardino s’en vanno
all’ombra di un cipresso,
sotto ad un roseto.
Al di sopra della vita,
dolcissimi baci si danno,
al di sotto della vita,
come uomo e donna si hanno.
Di lì passò un cacciatore
che non doveva passare,
vide il conte Claros che stava
giacendo con l’infanta Abel.
Il cacciatore della mala sorte
se ne va a palazzo
a riportare al buon re:
Cacciatore: “Una notizia ti reco.”
Narratore: Il re, con tremenda collera,
fa armare cinquecento uomini
perché arrestino il conte
e glielo conducano.
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Claraniña: “Conde Claros conde Claros
el señor de Montalvan
como aveys hermoso cuerpo
para con Moros lidiar.”
Conde Claros: “Mi cuerpo tengo señora
para con damas holgar
si y’os tuviesse esta noche
señora a mi mandar.”
Claraniña: “Calledes conde calledes
y no os querais alabar
el que quiere servir damas
assi lo suele hablar.”
Conde Claros: “Siete años son pasados
que os empece de amar
que de noche yo no duermo
ni de dia puedo holgar.”
Narrador: Tomara la por la mano
para un vergel se van
a la sombra de un acipres
debaxo de un rosal
de la cintura arriba
tan dulces besos se dan
de la cintura abaxo
como hombre y muger se han.
Por ay passo un caçador
que no deviua de passar,
vido estar al conde Claros
con la infanta Abel holgar.
El caçador sin ventura
vase para los palacios
a do el buen rey esta:
Caçador: “Una nueva yo te trayo.”
Narrador: El rey con muy gran enojo
mando armar quinientos hombres
para que prendan al conde
y le hayan de tomar.
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Lo misero in una torre
terribilmente oscura,
le mani ammanettate
che era pena vedere.
Re: “Amici e figli miei,
conoscete quel conte Claros;
guardate che arrivò a fare,
osando violare l’infanta.”
Narratore: Tutti a una voce dicono
che gli si tagli la testa;
e così emessa la sentenza,
il buon re s’apprestò a firmarla.
L’infanta, al sentir questo,
a terra cade morta,
dame, signore e donzelle
non riescono a rianimarla.
Claraniña: “Supplico vostra altezza
che voglia consigliarsi,
poiché i re in preda all’ira
mai devono condannare.”
Narratore: Il buon re, udito questo,
cominciò a consultarsi.
Il consiglio che diedero,
fu che lo perdonasse.
Tutti firmano il perdono,
vanno a sciogliergli i ferri,
le collere e i dolori
si tramutarono in gioia.
SECONDA PARTE
RECITATO
Mentre i due erano impegnati in queste conversazioni, videro che stava per passare,
presso di loro, un uomo con due mule che, dal rumore che faceva l’aratro strisciando
per terra, giudicarono dovesse essere un contadino che s’era alzato prima dell’alba per
andare al lavoro. Il contadino si avvicinava cantando quella romanza che dice:
Mal v’incolse, francesi,
in quel di Roncisvalle.
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Metieron le en una torre
de muy gran oscuridad
las esposas a las manos
qu’era dolor de mirar.
Rey: “Amigos y hijos mios,
ya sabeys quel conde Claros
mirad en que fue a tocar
que quiso forçar la infanta.”
Narrador: Todos dizen a una boz
que lo hayan de degollar
y assi la sentencia dada
el buen rey la fue a firmar.
La infanta qu’esto oyera
en tierra muerta se cae,
damas dueñas y donzellas
no la pueden retornar.
Claraniña: “Mas suplico a vuestra alteza
que se quiera consejar
que los reyes con furor
no deven de sentenciar.”
Narrador: El buen rey que esto oyera
començara a demandar.
El consejo que le dieron
que le aya de perdonar.
Todos firman el perdon,
ya lo mandan desferrar,
los enojos y pesares
en plazer ovieron de tornar.
SEGUNDA PARTE
RECITADO
Estando los dos en estas pláticas, vieron que venía a pasar por donde estaban uno con dos
mulas, que por el ruido que hacía el arado que arrastraba por el suelo, juzgaron que debía
de ser labrador, que habría madrugado antes del día a ir a su labranza. Venía el labrador
cantando aquel romance que dicen:
Mala la hubisteis, franceses,
en esa de Roncesvalles.
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– Possa morire ammazzato, Sancho – disse, sentendolo, don Chisciotte – se ci deve
succedere qualcosa di buono, questa notte. Non senti che cosa sta cantando quel
villano?
MUSICA
Romance di Guarinos: Mal v’incolse francesi, in quel di Roncisvalle – Anonimo
(CMP 106)
Fu amara per voi, francesi, la caccia di Roncisvalle:
Carlo perse l’onore, morirono i dodici Pari,
fecero prigioniero Guarinos, ammiraglio dei mari.
I sette re dei mori parteciparono alla sua cattura;
sette volte gettarono la sorte su chi se lo doveva prendere,
tutte e sette cadde su Marlotes l’infante.
Marlotes lo stimava più che l’Arabia con la sua città;
perciò gli disse, prendendo a parlare:
– Per Allah ti prego, Guarinos, di voler diventare un moro;
dei beni di questo mondo io voglio darti assai:
le due figlie che ho, entrambe te le voglio dare,
una per vestirti, per vestirti e calzarti,
l’altra per moglie, tua moglie legittima;
posso darti in dote l’Arabia e la sua città,
e se più volessi, Guarinos, molto più ti darei.
6. Romanze viventi
Capitoli XXIII e XXVI
Dei mirabili fatti delle Romanze che l’egregio don Chisciotte vide viventi
RECITATO
Saranno state le quattro del pomeriggio, quando don Chisciotte ebbe la possibilità
di raccontare ai suoi ascoltatori quello che aveva visto nella caverna di Montesinos;
e cominciò così: “Mentre mi trovavo in quella caverna, all’improvviso e senza che lo
volessi, mi assalì un profondissimo sonno, e, quando meno me l’aspettavo, mi svegliai
e mi trovai in mezzo al più bello, ameno e ridente prato che possa creare la natura,
né immaginare la più brillante fantasia umana. Vidi venire verso di me un venerabile
anziano. Mi si avvicinò, e la prima cosa che fece fu abbracciarmi strettamente; e poi
mi disse:
– Sono quel Montesinos da cui prende il nome la caverna.
Appena mi ebbe detto questo, gli domandai se corrispondesse a verità ciò che si
raccontava nel mondo di quassù, che egli, a Roncisvalle, aveva estratto dal petto, con
una piccola daga, il cuore del suo grande amico, il cavalier Durandarte, portandolo
alla signora Belerma, come egli gli aveva chiesto in punto di morte. Mi rispose:
– È tutto vero. Durandarte spirò tra mie braccia, e dopo la sua morte ne estrassi il
cuore con le mie proprie mani, lo pulii con un fazzolettino a smerli, lo spruzzai con un
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– Que me maten, Sancho – dijo en oyéndole don Quijote –, si nos ha de suceder cosa buena
esta noche. ¿No oyes lo que viene cantando ese villano?
MÚSICA
Romance de Guarinos: Mala la hubisteis franceses, en esa de Roncesvalles – Anónimo
(CMP 106)
“Mala la vistes, franceses, la caza de Roncesvalles:
don Carlos perdió la honra, murieron los doce pares,
cautivaron a Guarinos, almirante de las mares.
Los siete reyes de moros fueron en su cautivare;
siete veces echan suertes cuál d’ellos lo ha de llevare,
todas siete le cupieron a Marlotes el infante.
Más lo preciaba Marlotes que Arabia con su ciudade;
dícele d’esta manera y empezóle de hablar:
– Por Alá te ruego, Guarinos, moro te quieras tornar;
de los bienes d’este mundo yo te quiero dar asaz:
las dos hijas que yo tengo ambas te las quiero dar,
la una para el vestir, para vestir y calzare,
la otra para tu mujer, tu mujer la naturale;
darte he en arras y dote Arabia y su ciudade,
si más quisieses, Guarinos, mucho más te quiero dare. –”
6. Romances vivos
Capítulos XXIII-XXVI
De las admirables cosas que el estremado don Quijote vió vivas de los Romances
RECITADO
Las cuatro de la tarde serían, cuando dio lugar a don Quijote para que contase a sus oyentes
lo que en la cueva de Montesinos había visto; y comenzó en el modo siguiente: “Estando en
esta cueva, de repente y sin procurarlo, me salteó un sueño profundísimo, y cuando menos
lo pensaba, desperté dél y me hallé en la mitad del más bello, ameno y deleitoso prado que
puede criar la naturaleza, ni imaginar la más discreta imaginación humana. Con todo
esto, vi que salía hacia mí un venerable anciano. Llegóse a mí, y lo primero que hizo fue
abrazarme estrechamente, y luego decirme:
– Soy el mismo Montesinos de quien la cueva toma el nombre.
Apenas me lo dijo cuando le pregunté si fue verdad lo que en el mundo de acá arriba se
contaba, que él, en Roncesvalles, había sacado de la mitad del pecho, con una pequeña
daga, el corazón de su grande amigo, el caballero Durandarte, y llevádole a la señora
Belerma, como él se lo mandó al punto de su muerte. Respondióme:
– En todo dicen verdad. Durandarte acabó su vida en mis brazos y después de muerto le
saqué el corazón con mis propias manos, lo limpié con un pañizuelo de puntas, echéle un
poco de sal porque no oliese mal y fuese, si no fresco, a lo menos amojamado, y partí con él
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po’ di sale perché non prendesse cattivo odore e arrivasse, se non fresco, almeno secco,
e corsi con esso in Francia a presentarmi alla signora Belerma, perché lo ricevesse dal
suo cavaliere come prova d’amore.
MUSICA
Romanza del Pianto che fece Belerma per la morte di Durandarte: Sul cuore
defunto – Anonimo (CMP 109)
Sul cuore defunto
Belerma stava piangendo
lacrime di rosso sangue,
esaurite ormai quelle d’acqua,
strappandosi la chioma,
i capelli aggrovigliati,
le mani strette in un nodo
il corpo tutto tremante.
Fissa davanti al cuore
Belerma lo stava guardando;
di nuove gocce di sangue
era tutto ricoperto.
Come chi sta davanti
all’immagine della propria morte,
col volto desolato
la triste gli sta dicendo:
“Cuore del mio signore,
Durandarte, il più stimato,
chi ti portò davanti ai miei occhi
usando tanta crudeltà?
Ve ne ringrazio, signore
e accolgo questo pegno,
perché il cuore che fu mio
è giusto che finisca nelle mie mani.”
E dicendo queste parole
il colore le è venuto meno,
e così cadde Belerma
vinta da un profondo deliquio.
MUSICA
Fantasia VIII (strumentale) – Luys de Milán
RECITATO
Don Chisciotte e Sancho Panza assistettero ad un teatrino dove un marionettista
42
de carrera para Francia a la presencia de la señora Belerma, y se lo llevara de su caballero
como muestra de amor.
MÚSICA
Romance del Llanto que hizo Belerma por la muerte de Durandarte: Sobre el coraçon
difunto – Anónimo (CMP 109)
Sobre el coraçon difunto
Belerma estava llorando
lagrimas de roxa sangre
que las de agua hizieron cabo,
de messarse la melena
el cabello encruzijado,
las manos hechas un nudo
el cuerpo todo temblando.
Quando vido el coraçon
Belerma le estava mirando
de nuevas gotas de sangre
estava todo bañado,
como aquel que esta delante
de su propia muerte mirando,
con el rostro entristecido
la triste le esta hablando:
“Coraçon de mi señor
Durandarte el mas preciado
quien te truxo ante mis ojos
tanta crueldad usando?
Yo os lo agradezco señor
y recibo este recaudo,
que coraçon que fue mio
justo es que venga a mi mano.”
Y diziendo estas palabras
la color se le ha quitado,
y assi se quedo Belerma
vencida de un gran desmayo.
MÚSICA
Fantasía VIII (instrumental) – Luys de Milán
RECITADO
Asistieron don Quijote y Sancho Panza a un retablo donde un titerero comenzó a decir el
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cominciò a declamare la romanza che tratta della libertà che il signor don Gaiferos
diede alla sua sposa Melisenda, prigioniera in Spagna, nelle mani dei mori. Egli
raccontava la prigionia della bella Melisenda nel palazzo dell’Alfajería e di come
Gaiferos, mascherato, la trasse in gran segreto dalla torre, ed insieme cavalcarono via,
sfuggendo alle milizie del re moro Marsilio. Diceva il ragazzo:
– Vedano quanta cavalleria esce dalla città all’inseguimento dei due amanti cristiani,
quante trombe squillano, quante dulciane suonano, quanti timpani e tamburi rullano.
Temo che li raggiungeranno e li riporteranno indietro legati alla coda del loro stesso
cavallo, il che sarebbe uno spettacolo orrendo.
Vedendo e sentendo, dunque, di tanti mori e di tanto strepito, don Chisciotte ritenne
che fosse bene dare aiuto a quelli che fuggivano, ed alzandosi in piedi, a gran voce
disse: – Io non consentirò che in vita mia e al mio cospetto sia fatta soverchieria a un
così famoso cavaliere e così audace amante come don Gaiferos. Fermatevi, malnata
canaglia, non inseguiteli né perseguitateli; altrimenti, dovete battervi con me!
E, detto fatto, sguainò la spada e d’un balzo si portò vicino al teatrino, e con
crescente e mai vista furia cominciò a far piovere fendenti sulle marionette moresche,
abbattendone alcune, decapitandone altre, rovinando questa, facendo a pezzi quella. In
men che non si dica, buttò a terra l’intero teatrino, con tutte le figure e le attrezzature
fatte a pezzi e frantumi.
MUSICA
Romanza di Don Gaiferos: Se d’amor pena sentite – Anonimo (CMP 113)
Se d’amor pena sentite,
per cortesia e per bontà,
cavalieri, se andate in Francia,
domandate di Gaiferos,
e ditegli che la sua amata
vi invia per raccomandarla;
le sue giostre e i suoi tornei,
ben ci sono noti qua,
egli ne uscì più illustre
per la lode delle dame.
Ditegli, come notizia certa,
che mi vogliono sposare:
domani celebro le nozze
con uno che vien da oltremare.
7. Le pene della signora Addolorata
Capitolo XXXVIII
Dove si racconta quello che riferì della sua malasorte la signora Addolorata
RECITATO
Dietro i tristi musicisti, la contessa Trifaldi, detta Addolorata, si fece avanti e cominciò a
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romance que trata de la libertad que dio el señor don Gaiferos a su esposa Melisendra, que
estaba cautiva en España, en poder de moros. Contaba el titereo el cautiverio de la bella
Melisendra en el palacio de la Alfajería y de cómo Gaiferos, disfrazado, sacóla en secreto
de la torre y ya juntos cabalgaron escapando de las huestes del rei moro Marsilio. Decía el
muchacho:
– Miren cuánta caballería sale de la ciudad en seguimiento de los dos católicos amantes,
cuántas trompetas que suenan, cuántas dulzainas que tocan y cuántos atabales y atambores
que retumban. Témome que les han de alcanzar y los han de volver atados a la cola de su
mismo caballo, que sería un horrendo espectáculo.
Viendo y oyendo, pues, tanta morisma y tanto estruendo don Quijote, parecióle ser bien dar
ayuda a los que huían, y levantándose en pie, en voz alta dijo:
– No consentiré yo que en mis días y en mi presencia se le haga superchería a tan famoso
caballero y a tan atrevido enamorado como don Gaiferos. ¡Deteneos, mal nacida canalla,
no le sigáis ni persigáis; si no, conmigo sois en la batalla!
Y, diciendo y haciendo, desenvainó la espada y de un brinco se puso junto al retablo, y
con acelerada y nunca vista furia comenzó a llover cuchilladas sobre la titerera morisca,
derribando a unos, descabezando a otros, estropeando a este, destrozando a aquel. En
menos de dos credos, dio con todo el retablo en el suelo, hechas pedazos y desmenuzadas
todas sus jarcias y figuras.
MÚSICA
Romance de Don Gayferos: Si d’amor pena sentís – Anónimo (CMP 113)
Si d’amor pena sentís,
por mesura i por bondat,
cavalleros, si a Françia ides,
por Gayferos preguntad,
y dezilde que su amiga
se l’envían encomendar;
que sus justas i torneos,
bien lo supimos acá,
qu’él salió más gentilonbre
para a las damas loar.
Dezilde por nueva çierta
cómo me quieren casar:
mañana hago mis bodas
con uno d’allende la mar.
7. Las cuitas de dueña Dolorida
Capítulo XXXVIII
Donde se cuenta la que dio de su mala andanza la dueña Dolorida
RECITADO
Detrás de los tristes músicos, la condesa Trifaldi, llamada Dolorida, se adelantó y comenzó
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sfogarsi delle sue sventure e delle ragioni della sua pena: “Io ero governante dell’infanta
Antonomasia. Ella fu allevata e crebbe sotto la mia tutela e il mio insegnamento,
essendo io la principale damigella di sua madre. Successe, dunque, che la giovane
Antonomasia arrivò all’età di quattordici anni con tale perfezione di bellezza che si
innamorarono di lei un numero infinito di principi sia de nostro paese che stranieri.
Uno di essi, confidando nella sua giovinezza e nella sua gagliardia, e più ancora
nell’essere poeta e gran ballerino, decise di impegnare tutta la sua gentilezza e il suo
buon garbo a conquistare me, innanzi tutto, per poter poi più facilmente espugnare la
fortezza della fanciulla. Egli mi plagiò la mente e mi assoggettò la volontà con non so
che ninnoli e gioielli che mi diede; ma quello che più mi fece crollare e cadere a terra
furono alcune strofe che gli sentii cantare e che, se non ricordo male, dicevano:
MUSICA
Villancico: Dalla dolce mia nemica – Gabriel / Cervantes (CMP)
Dalla dolce mia nemica
nasce un male che l’alma ferisce,
e per maggior tormento vuole
che si senta e non si dica.
Dolore insopportabile,
è impossibile celarlo.
Dirselo si dovrà,
o lo rivelerà la morte.
Perché ferisce la mia nemica
di un dolore che mai non muore,
e per maggior tormento vuole
che si senta e non si dica.
Vieni, morte, così di nascosto
che non ti senta venire,
perché il piacer del morire
non mi torni a dare la vita.
RECITATO
E di questo genere – continuava la signora Addolorata – altre strofette e strambotti,
che cantati incantano e scritti seducono. E poi che dire di quando si abbassano a
comporre un genere di versi che allora usava, e tutti chiamavano seguidillas? Lì c’era il
sobbalzare delle anime, lo scatenarsi delle risa, la frenesia dei corpi e infine l’argento
vivo in tutti i sensi. Perciò io dico, signori miei, che questi trovatori a giusto titolo
dovrebbero confinarli in isole lontane. Ma non è loro la colpa, bensì degli ingenui che
li lodano e delle sciocche che danno loro retta; e se io fossi stata la buona governante
che avrei dovuto essere, non avrebbero dovuto turbarmi i loro antiquati concetti, né
avrei dovuto credere verità quei modi di dire “vivo morendo, ardo nel ghiaccio, tremo
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a desembaular sus cuitas y las razones de su pena: “Yo era guardiana de la infanta
Antonomasia. Ella se crió y creció debajo de mi tutela y doctrina, por ser yo la más
principal dueña de su madre. Sucedió, pues, que la niña Antonomasia llegó a edad de
catorze años con tan gran perfección de hermosura que se enamoraron de ella un número
infinito de príncipes así naturales como estranjeros. Uno de ellos, confiado en su mocedad y
en su bizarría, y más que era poeta y gran bailarín, decidió poner toda su gentileza y buen
donaire al servicio de rendirme a mí primero para rendir luego la fortaleza de la niña. Él
me aduló el entendimiento y me rindió la voluntad con no sé que dijes y brincos que me
dio; pero lo que más me hizo postrar y dar conmigo por el suelo fueron unas coplas que le oí
cantar y que si mal no recuerdo decían:
MÚSICA
Villancico: De la dulce mi enemiga – Gabriel / Cervantes (CMP)
De la dulce mi enemiga
nace un mal que al alma hiere
y por más tormento quiere
que se sienta y no se diga.
Mal que no puede sufrirse,
imposible es que s’encubra
Forçado será dezirse,
o de muerte lo descubra.
Porque yere mi enemiga
de un dolor que nunca muere
y por más tormento quiere
que se sienta y no se diga.
Ven muerte tan escondida,
que no te sienta venir,
porque el placer del morir
no me torne a dar la vida.
RECITADO
Y de este mismo jaez – continuaba la dueña Dolorida – otras coplitas y estrambotes, que
cantados encantan y escritos suspenden. Pues ¿qué cuando se humillan a componer un género
de verso que se usaba entonces, a quien todos llamaban “seguidillas”? Allí era el brincar
de las almas, el retozar de la risa, el desasodiego de los cuerpos y finalmente el azogue de
todos los sentidos. Y así digo, señores míos, que los tales trovadores con justo título los debían
desterrar a islas lejanas. Pero no tienen ellos la culpa, sino los simples que los alaban y las
bobas que los creen; y si yo fuera la buena dueña que debía, no me habían de mover sus
trasnochados conceptos, ni había de creer ser verdad aquel decir “vivo muriendo, ardo en
el yelo, tiemblo en el fuego, espero sin esperanza, pártome y quédome”, con otros imposibles
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nel fuoco, spero senza speranza, parto e rimango”, e altre assurdità di questa fatta, di
cui sono pieni i loro scritti. Ahimé, sventurata! perché non i versi mi vinsero, ma la mia
semplicità, non le musiche m’intenerirono, ma la mia leggerezza: la mia tanta ignoranza
e la mia poca prudenza aprirono la strada e sgomberarono il cammino ai passi di don
Bischero, poiché è questo il nome del suddetto cavaliere, che s’impadronì dell’infanta
Antonomasia, e che, con intrighi prima del matrimonio, la convertì in peccatrice.
MUSICA
Seguidillas in eco: Della tua vista geloso (Danza cantata) – Anonimo (CMS 8)
Della tua vista geloso
passo la vita mia,
che mi dà d’ira sbocchi – occhi
che guardano tanti.
Guardi poco e rubi
mille cuori,
e se pur più ti ritiri – tiri
frecce d’amore.
Affinché non ci manchino
argento e vestiti,
noi donne gettiamo – l’amo
ai nostri mariti.
Perché mai vuoi regali
se onore pretendi?
Guarda che i regali – ali
sono per perderti.
Coricandosi un prete
morto di freddo,
che a letto lo seguisse – disse
la sua perpetua.
Le donzelle di oggi
sono come folletti,
a chi trovar le volesse – esse
non appaiono mai.
Come vuoi, mora,
amor costante,
se delle donzelle – belle
sei la più volubile?
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desta ralea, de que están sus escritos llenos. ¡Ay de mi, sin ventura!, que no me rindieron
los versos, sino mi simplicidad, no me ablandaron las músicas, sino mi livianidad: mi
mucha ignorancia y mi poco advertimiento abrieron el camino y desembarazaron la senda
a los pasos de don Clavijo, que este es el nombre del referido caballero que se adueñó de la
infanta Antonomasia, y que, con marañas antes de matrimonio, convirtióla en pecadora.
MÚSICA
Seguidillas en eco: De tu vista celoso (Danza cantada) – Anónimo (CMS 8)
De tu vista celoso
passo mi vida,
que me da mil enojos – ojos
que a tantos miran.
Miras poco y robas
mil coraçones,
y aunque más te retiras – tiras
flechas de amores.
Para que no nos falte
plata y vestidos,
las mugeres hagamos – gamos
nuestros maridos.
Para qué quieras galas
si honor pretendes?
Mira que son las galas – alas
para perderte.
Acostándose un Cura
muerto de frío,
dixo entrando en la cama – Ama
veníos conmigo.
Las doncellas de ogaño
son como duendes,
que buscando doncellas, – ellas
nunca parecen.
¿Cómo quieres, morena,
amor constante,
si tu de las mugeres – eres
la más mudable?
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Non datemi più pene
con la vostra gelosia,
che non sarete il paradiso – viso
ma per me un inferno!
8. Entrata a Barcellona
Capitoli LXI–LXII
Di quello che successe a don Chisciotte entrando a Barcellona
RECITATO
Infine, per itinerari insoliti, per scorciatoie e sentieri nascosti, don Chisciotte e Sancho
arrivarono a Barcellona la vigilia di San Giovanni, a notte. Don Chisciotte restò ad
aspettare il giorno, a cavallo com’era, e non tardò molto prima che il suo udito fosse
rallegrato dal suono di molti clarinetti e tamburi, e dal rumore di sonagli e “Forza,
forza! Largo, largo!” che, apparentemente, uscivano della città. Don Chisciotte e
Sancho tesero lo sguardo da tutte le parti: videro il mare, che fino a quel momento non
avevano visto; videro le galere presso la spiaggia. Dentro di esse risuonavano chiarine,
trombe e clarinetti che vicino e lontano riempivano l’aria di piacevoli e marziali
accenti. Un cavaliere tra la gente si avvicinò a don Chisciotte e gli disse ad alta voce:
– Sia benvenuto nella nostra città lo specchio, il faro, la stella e la bussola di tutta la
cavalleria errante; sia benvenuto, dico, il valoroso don Chisciotte della Mancia.
Al suono dei clarinetti e dei tamburi, s’incamminarono con lui verso la città, e tra
applausi e musica arrivarono alla casa della loro guida.
MUSICA
Il Villano (strumentale) – Antonio Martín y Coll
RECITATO
Venne la sera e, mentre erano in casa, ci fu una veglia danzante; perché la moglie di
don Antonio, che era una signora nobile ed allegra, bella e arguta, invitò altre sue
amiche perché venissero ad onorare il loro ospite, e a divertirsi delle sue mai viste
follie. Ne vennero alcune, si cenò splendidamente e, verso le dieci di sera, si aprirono
le danze. Tra le dame ce n’erano due che si diedero tanto da fare nell’indurre don
Chisciotte a ballare, che gli fiaccarono non solo il corpo, ma anche l’anima. Era da
vedere, la figura di don Chisciotte, lungo, teso, magro, smorto, col vestito stretto,
sgraziato, e soprattutto del tutto privo di leggerezza. Lo adulavano sottovoce le
damigelle, ed egli pure sottovoce le respingeva. Ma vedendosi opprimere di galanterie,
alzò la voce e disse:
– Lasciatemi in pace, malcapitati pensieri! Andatevene, signore, coi vostri desideri,
perché colei che è regina dei miei, l’impareggiabile Dulcinea del Toboso, non permette
che altri desideri all’infuori dei suoi mi conquistino e mi assoggettino.
Così dicendo, si sedette a terra in mezzo alla sala, spossato e affranto da quella faticata
danzante.
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¡Ay, no me deis más penas
con vuestros celos,
que seréis mis enojos – ojos
y no mis cielos!
8. En la entrada de Barcelona
Capítulos LXI-LXII
De lo que sucedió a don Quijote en la entrada de Barcelona
RECITADO
En fin, por caminos desusados, por atajos y sendas encubiertas, don Quijote y Sancho
llegaron a Barcelona la víspera de San Juan, en la noche. Quedóse don Quijote esperando
el día, así a caballo como estaba, y no tardó mucho cuando le alegraron el oído el son de
muchas chirimías y atabales, ruido de cascabeles, “¡trapa, trapa, aparta, aparta!” que, al
parecer, de la ciudad salían. Tendieron don Quijote y Sancho la vista por todas partes:
vieron el mar, hasta entonces dellos no visto; vieron las galeras que estaban en la playa:
dentro dellas sonaban clarines, trompetas y chirimías, que cerca y lejos llenaban el aire de
suaves y belicosos acentos. Un caballero entre la gente se acercó a don Quijote y díjole en
alta voz:
– Bien sea venido a nuestra ciudad el espejo, el farol, la estrella y el norte de toda la
caballería andante; bien sea venido, digo, el valeroso don Quijote de la Mancha.
Al son de las chirimías y de los atabales, se encaminaron con él a la ciudad, y con aplauso
y música llegaron a la casa de su guía.
MÚSICA
El Villano (instrumental) – Antonio Martín y Coll
RECITADO
Llegó la noche, y ya en casa, hubo sarao de damas; porque la mujer de don Antonio, que
era una señora principal y alegre, hermosa y discreta, convidó a otras sus amigas a que
viniesen a honrar a su huésped, y a gustar de sus nunca vistas locuras. Vinieron algunas,
cenóse espléndidamente, y comenzóse el sarao casi a las diez de la noche. Entre las damas
había dos que dieron tanta priesa en sacar a danzar a don Quijote, que le molieron no sólo
el cuerpo, pero el ánima. Era cosa de ver la figura de don Quijote, largo, tendido, flaco,
amarillo, estrecho en el vestido, desairado, y sobre todo no nada ligero. Requebrábanle como
a hurto las damiselas, y él también como a hurto las desdeñaba. Pero viéndose apretar de
requiebros alzó la voz y dijo:
– ¡Dejadme en mi sosiego, pensamientos malvenidos! Allá os avenid, señoras, con vuestros
deseos, que la que es reina de los míos, la sin par Dulcinea del Toboso, no consiente que
ningunos otros que los suyos me avasallen y rindan.
Diciendo esto se sentó en mitad de la sala en el suelo, molido y quebrantado de tan bailador
ejercicio.
51
MUSICA
Ciaccona: Una serata di ballo della ciaccona (Danza cantata) – Juan Arañés
Una serata di ballo della ciaccona
si tenne nel mese delle rose;
fu piena di migliaia di cose,
e ancora se ne celebra la fama.
Alla vita, alla bella vita,
balliamo la ciaccona.
Per le nozze di Almadán,
si tenne una gran veglia danzante;
ballarono la figlie di Anao
e i nipoti di Milán.
Un suocero di don Bertrando
e una cognata di Orfeo,
cominciarono un Guineo
ed una Amazzone lo terminò;
e ancora se ne celebra la fama.
Alla vita, alla bella vita,
balliamo la ciaccona.
Uscì la grassotella
con la donna del censore
e dal recinto di Zamora
con la pastora Lisarda.
La povera Donna Albarda
riuscì ad uscire con Gonzalo,
ma un cieco con un palo
colpì il fondo dei suoi pantaloni,
e ancora se ne celebra la fama.
Alla vita, alla bella vita,
balliamo la ciaccona.
Uscirono Ganasa e Cisneros
con le loro barbe bruciacchiate,
e dandosi ceffoni
Anasarte e Oliveros.
Con una filza di vasi
uscì Esculapio il dottore
e la madre dell’Amore
secondo la legge di Bayona
e ancora se ne celebra la fama.
Alla vita, alla bella vita,
balliamo la ciaccona.
52
MÚSICA
Chacona: Un sarao de la chacona (Danza cantada) – Juan Arañés
Un sarao de la chacona
se hizo el mes de las rosas,
huvo millares de cosas
y la fama lo pregona.
A la vida, vidita bona,
vida vámonos a Chacona.
Porque se casó Almadán
se hizo un bravo sarao,
dançaron hijas de Anao
con los nietos de Milán.
Un suegro de Don Beltrán
y una cuñada de Orfeo
començaron un guineo
y acabólo un amaçona
y la fama lo pregona.
A la vida, vidita bona,
vida vámonos a Chacona.
Salió la zagalagarda
con la muger del encenque
y de Zamora el palenque
con la pastora Lisarda.
La mezquina doña Albarda
trepocon pasa Gonzalo
y un ciego dió con un palo
tras de la braga lindona,
y la fama lo pregona.
A la vida, vidita bona,
vida vámonos a Chacona.
Salio Ganasa y Cisneros
con sus barbas chamuscadas
y dándose bofetadas
Anasarte y Oliveros.
Con un sartal de tórteros
salió Esculapio el doctor
y la madre del Amor
puesta a la ley de Bayona
y la fama lo pregona.
A la vida, vidita bona,
vida vámonos a Chacona.
53
Entrarono i gitani col loro seguito,
tutti coperti di ruggine,
e il nano con la matta
ballando allegramente.
Tra i gitani e il loro seguito
scoppiò una tale rissa,
che fu necessario che il Cid
ballasse una ciaccona
e ancora se ne celebra la fama.
Alla vita, alla bella vita,
balliamo la ciaccona.
Entrarono trenta Domeniche
con venti Lunedì sulle spalle
e carico di questi cesti
un asino recalcitrante.
Juana ben truccata
uscì con le braghe inamidate
e più di quaranta puttane
che fuggivano da Barcellona,
e ancora se ne celebra la fama.
Alla vita, alla bella vita,
balliamo la ciaccona.
FINE
Traduzione: Luca Chiantore / musikeon.net
54
Salio la Raza y la traza
todas tomadas de orín
y danzando un matachín
el ñate y la viaraza.
Entre la Raza y la traza
se levantó tan gran lid,
que fué menester que el Cid
que baylase una chacona
y la fama lo pregona.
A la vida, vidita bona,
vida vámonos a Chacona.
Entraron treynta Domingos
con veinte Lunes a cuestas
y cargo con esas cestas,
un asno dando respingos.
Juana con tingolomingos,
salió las bragas enjutas
y más de cuarenta putas
huyendo de Barcelona
y la fama lo pregona.
A la vida, vidita bona,
vida vámonos a Chacona.
FIN
55
Coincidenze
1605
Miguel de Cervantes Saavedra pubblica la prima parte della novella
El ingenioso hidalgo Don Quijote de La Mancha.
Nasce Giacomo Carissimi.
Andrea Gabrieli, Canzoni alla francese et Ricercari Ariosi.
Byrd, Gradualia, Libro I, 63 Mottetti.
Monteverdi, Madrigali a 5 voci.
Pieter Paul Rubens, La famiglia Gonzaga in adorazione della Santa Trinità
(Mantova).
Guido Reni, Crocifissione di S.Pietro.
William Shakespeare, Re Lear e Macbeth.
Gianbattista Marino, La strage degli innocenti.
Muore il papa Clemente VIII, gli succede Leone XI (Alessandro De’ Medici)
e dopo poco Paolo V (Camillo Borghese).
In Inghilterra cospirano (complotto delle polveri) per far saltare in aria
il Parlamento. Il capo della rivolta è Guy Fawkes che viene arrestato e
giustiziato.
Muore Boris Godunov.
A Parigi inizia la sistemazione di Piazza Reale (poi Place des Vosges).
1615
Miguel de Cervantes Saavedra pubblica la seconda parte della novella
El ingenioso hidalgo Don Quijote de La Mancha.
Giovanni Gabrieli, Canzoni e sonate e Sacrae Symphoniae, Libro II.
Monteverdi, Tirsi e Clori.
Frescobaldi, Toccate d’involatura, Ricercari et Canzoni francesi.
Michele Praetorius inizia la pubblicazione di Syngtagma musicum
(terminato nel 1619).
Nasce Salvator Rosa.
56
Felipe Guaman Poma de Ayala, Nueva Corónica y Buen Gobierno.
Galileo Galilei indirizza a Cristina di Lorena la più famosa delle sue quattro
Lettere copernicane.
Vengono pubblicate anonime le Filippiche contra gli Spagnoli, orazioni
politiche, attribuite ad Alessandro Tassoni scritte in occasione della guerra
tra Carlo Emanuele I di Savoia e Filippo II di Spagna per la successione al
ducato del Monferrato.
Gian Battista Marino pubblica l’edizione definitiva delle sue liriche con il
titolo La Lira.
Giulio Cesare Cortese pubblica La Vaiasseide, un poemetto scritto in dialetto
napoletano, dove racconta le avventure galanti delle “vaiasse”, le serve
napoletane.
Francia: il Re Luigi XIII sposa Anna d’Austria. Scoppia una guerra civile tra
il re e l’opposizione guidata dal principe di Condè.
In Germania si diffonde la setta teosofica dei Rosacroce.
Il medico Santorio Santorio costruisce il primo termometro per rilevare la
temperatura corporea.
Fonti: Cronologia universale, Roma, Newton Compton, 1996. Dizionario della musica e dei musicisti, Utet, 1994.
www.musicweb.uk.net/Classpedia/index.htm
57
Foto Philippe Roca
Interpreti
Jordi Savall
Figura eccezionale nel panorama musicale attuale, per oltre 30 anni si è dedicato
alla scoperta di tesori musicali abbandonati: trent’anni anni di ricerca e studio,
sia come violista che come direttore. A
partire dal 1970 incide come solista o
direttore i capolavori del repertorio per
viola da gamba, divenendo rapidamente
uno dei più grandi interpreti di questo
strumento.
Con i tre gruppi musicali Hesperion
XXI, La Capella Reial de Catalunya e
Le Concert des Nations, fondati insieme
a Montserrat Figueras, Savall esplora e
crea un universo di emozioni e bellezza,
restituendolo a milioni di amanti della
musica, facendo conoscere al mondo la
viola da gamba e le musiche dimenticate
di diversi paesi e accreditandosi così
come uno dei principali difensori della
musica antica.
Jordi Savall è senza dubbio una delle per-
sonalità musicali più eclettiche della sua
generazione. Le sue attività di concertista, insegnante, ricercatore e creatore
di progetti nuovi sia dal punto di vista
musicale che culturale ne fanno uno dei
principali protagonisti dell’attuale rivalutazione della musica storica. Con la
sua partecipazione al film di Alain Corneau Tutte le mattine del mondo (César
per la migliore colonna sonora), la sua
intensa attività concertistica (140 concerti l’anno) e discografica (sei incisioni
ogni anno) e, più recentemente, con la
creazione della sua etichetta Alia Vox,
ha dimostrato che la musica antica non
è necessariamente elitaria o minoritaria
e che può interessare anche un pubblico
sempre più giovane e vasto.
Come molti altri musicisti, inizia gli
studi all’età di 6 anni facendo pratica
in un coro di bambini della sua città
natale, Igualada (Barcellona) e studiando
violoncello al Conservatorio di Barcello-
58
na dove si diploma nel 1964. Nel 1965
intraprende come autodidatta lo studio
della viola da gamba e della musica
antica, completando la sua formazione
presso la Schola Cantorum Basiliensis,
dove nel 1973 succede al suo maestro
August Wenzinger e dove continua a
tenere corsi e master class.
Jordi Savall ha inciso più di 170 CD e
ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra
cui: Officier de l’Ordre des Arts et Lettres
(1988), Croce di Sant Jordi (1990),
“Musicista dell’anno” da Le Monde de
la Musique (1992) e “Solista dell’anno” di Victoires de la Musique (1993),
Medaglia d’Oro delle Belle Arti (1998),
Membro Onorario della Konzerthaus di
Vienna (1999), Dottore Honoris Causa
all’Università Cattolica di Louvain,
Belgio (2000) e all’Università di Barcellona (2006), Victoires de la Musique
alla carriera (2002), Medaglia d’oro dal
Parlamento di Catalogna e Preise der
Deutschen Schallplattenkritik (2003) oltre a vari Midem Classical (1999, 2000,
2003, 2004 e 2005).
Nel 2006 l’incisione Don Quijote de la
Mancha: Romances y Músicas non solo è
stato premiato nella categoria “musica
antica” ma è anche stato eletto “Disco
dell’anno”. Lo stesso album è stato nominato ai Grammy Awards 2006 a Los
Angeles (USA). Nel libro-disco Cristoforo Colombo: i paradisi perduti (2006)
Jordi Savall presenta una combinazione
di fonti storiche e musicali del XV secolo
spagnolo, è un ulteriore esempio di recupero totale del patrimonio musicale
e testuale della penisola iberica e del
Nuovo Mondo.
Nell’album Lachrimae Caravaggio, si
uniscono in forma nuova letteratura,
musica e pittura in un CD dedicato a
questo geniale e sfortunato pittore. La
musica d’epoca di Savall fa da “colonna
sonora immaginaria” alla sua vita, mentre sette ultimi dipinti di Caravaggio
sono commentati dallo scrittore Dominique Fernandez.
Nel 2008 Savall è stato nominato
“Ambasciatore dell’Unione Europea
per il dialogo interculturale” e “Artista
per la pace” all’interno del programma
Ambasciatori di buona volontà dell’UNESCO. Per il 2009 è stato nuovamente
nominato “Ambasciatore del 2009 della
creatività e dell’innovazione” dall’Unione Europea.
Montserrat Figueras
Viene considerata un punto di riferimento nell’interpretazione del vasto
repertorio vocale medievale, rinascimentale e barocco. Nata a Barcellona
in una famiglia di musicofili, ha iniziato
molto giovane a studiare canto con
Jordi Albareda, a collaborare con Enric
Gispert e Ars Musicae e a partecipare a
corsi teatrali.
Dal 1966 studia le tecniche antiche del
canto, dai trovatori al Barocco, sviluppando un concetto molto personale che
attinge direttamente alle fonti originali
sia storiche che tradizionali, libere dalle
influenze post romantiche. Nel 1967
stabilisce con Jordi Savall un’unione
artistica e personale che la porta a sviluppare diverse attività pedagogiche, di
ricerca e di creazione. Tale collaborazione lascia un’impronta mutua e reciproca,
specialmente nello sviluppo di un rinnovato stile interpretativo che si distingue
per un’armonizzazione fedele alle fonti
storiche e una straordinaria capacità
creativa ed espressiva che ha caratterizzato l’evoluzione di tutto il movimento
della musica storica.
Tra il 1974 e il 1989 è membro fondatore di Hesperion XXI, La Capella Reial
de Catalunya e Le Concert des Nations.
59
Montserrat Figueras partecipa regolarmente ai principali festival in Europa,
America e Oriente. Ha inciso più di
70 CD. Nel 2003 il governo francese le
assegna il titolo di Officier de l’ordre des
Arts et des Lettres. Nel 2008 è stata nominata “Artista per la pace” all’interno
del programma Ambasciatori di buona
volontà dell’UNESCO.
l’Orchestre de Bretagne. A dicembre
2008 ha collaborato con A. Pärt cantando “L’abbé Agathon”.
Le prossime uscite discografiche previste
per il 2009 sono un album dedicato
all’arte dell’autoaccompagnamento all’arpa e una incisione con La Fenice sui
pellegrini del periodo barocco.
Lluís Vilamajó
Nasce a Barcellona e inizia gli studi
musicali alla scuola corale del monastero di Montserrat, per proseguire poi al
Conservatori Superior de Barcelona con
M. Sabartés e C. Martínez.
Attualmente fa parte della Capella Reial
de Catalunya, Hespèrion XXI (direz. Jordi
Savall) e collabora con ensemble quali
Al Ayre Español, Les Saqueboutiers de
Toulouse, Ensemble La Fenice, Ensemble
Barroque de Limoges, Il Fondamento,
Orchestra barocca di Venezia, Orquesta
Barroca de Sevilla coi quali incide e
si esibisce in concerto in Europa, Stati
Uniti, Messico e Israele.
Insieme a Carlos Mena e Lambert Climent fa parte della direzione artistica del
Coro Barroco de Andalucia (Siviglia).
Come solista ha interpretato opere quali
I Vespri di Monteverdi, il Magnificat
di Bach, il Requiem di Mozart, Messa
di Gloria di Puccini, La Creazione di
Haydn, L’Enfant Prodigue di Debussy,
La Passione secondo Giovanni e La Passione secondo Matteo di Bach, il Messiah
di Händel, la Messa in si minore di Bach.
Ha collaborato con direttori del calibro di Salvador Brotons, Pierre Cao,
Jordi Casas, Juan José Mena, Antoni
Ros Marbà, Manel Valdivieso, Andrew
Parrot, Jordi Savall, Laszlo Heltay, E.
Ericson, Salvador Mas, Ernest Martínez
Izquierdo, Rinaldo Alessandrini, Attilio
Cremonesi, Wieland Kuijken, Jordi
Mora, Nicolas McGegan, Paul Dombre-
Arianna Savall
Nata a Basilea (Svizzera) nel 1972, studia
alla Schola Cantorum Basiliensis, dove si
specializza in arpa storica con H. Rosenzweig, H. Smith e A. Lawrence-King e
in canto con K. Widmer, approfondendo in particolare il repertorio di lieder e
oratori.
Nel 2002 debutta al Gran Teatre del
Liceu di Barcellona con l’Orfeo di Claudio Monteverdi, nel ruolo di Euridice,
sotto la direzione del padre. L’opera è
registrata in DVD da BBC Opus Arte.
Da allora inizia un’intensa attività
concertistica che la porta in tournée in
tutto il mondo, parallelamente a diverse
partecipazioni discografiche per Alia
Vox. Il suo repertorio spazia dalla musica medievale a quella contemporanea
riportando in auge l’antica tradizione
di cantare accompagnandosi all’arpa
ma in una nuova, personalissima veste.
Da questo processo di ricerca e fusione
nascono il primo album di Arianna cantautrice “Bella Terra” (Alia Vox, 2003)
e il video clip corrispondente, intitolato
“L’amor”, che ha vinto il premio Mezzo
“Coup de coeur”.
Nel campo della musica contemporanea
ha cantato diretta da C. Steinmann, M.
Valdivieso, Vox Clamantis e O. Elts, con
cui ha inciso la musica del compositore
estone H. Tulve nell’album “Lijnen”
(ECM, 2008). Ha inoltre interpretato
“Quatre Instants” di K. Saariaho con
60
cht, Reinhard Goegel, Christophe Coin,
Cristopher Hogwood e Andre Marcon.
Ha preso parte a numerose incisioni per
Astrée-Audivis, Alia-Vox, Fonti musicali, Sony-classical, Deutsche Harmonia
Mundi, Accord, Discant, Cantus.
Fuentes, Juan Pastor, Adolfo Marsillach,
Luis Blat, Hermann Bonnin, Gustavo
Tambascio, Alexander Herold, Eduardo Vasco, Charo Amador, Luis d’Ors,
Tomás Muñoz, Manuel de Blas, JeanPierre Miquel e José Luis Alonso de
Santos.
Francisco Rojas
Diplomato alla Real Escuela Superior
de Arte Dramático di Madrid, si è poi
specializzato seguendo corsi al Teatro de
la Abadía.
Ha preso parte a numerose opere
teatrali, quali El Amor enamorado di
Lope de Vega, El castillo de Lindabridis di Calderón de la Barca con Joven
Escena, La Gran Sultana, di Miguel de
Cervantes con la CNTC, Fuenteovejuna
di Lope de Vega con la CNTC, Los mal
casados de Valencia di Guillem Castro
(coproduzione con CNTC e i teatri della
Generalitat Valenciana), La Celestina
di Fernando Rojas con FOCUS, La
dodicesima notte di William Shakespeare
con Jove Escena, Cádiz zarzuela in due
atti di Chueca y Valverde, Noises off di
Michael Frayn, Los motivos de Anselmo
Fuentes di Yolanda Pallín con Noviembre Cía de Teatro, Terapia di gruppo di
Christopher Durang, Androclo e il leone
di Bernard Shaw, Gli amori di Anatol di
Arthur Schnitzler, No son todos ruiseñores
di Lope de Vega con Noviembre Cía
de Teatro, Madrugada di Buero Vallejo
con la Cía de Comedias Manuel de Blas,
Don Giovanni o Il convitato di pietra di
Moliere con la CNTC, Peribáñez y el
comendador de Ocaña di Lope de Vega
con la Compañía Nacional de Teatro
Clásico, La bella Aurora di Lope de Vega
con Noviembre Cía de Teatro, Animales
nocturnos di Juan Mayorga con Escena
Abierta e Hamlet di William Shakespeare con Noviembre Cía de Teatro.
Ha collaborato con registi quali Vicente
Hespèrion XXI
Nell’antichità venivano chiamate Hesperia le due penisole più occidentali
dell’Europa: l’Iberica e l’Italica (in greco,
Hesperio significa originario di una di
queste penisole). Espero era anche il
nome dato al pianeta Venere quando la
sera appariva ad Occidente.
Riuniti da un intento comune, lo studio
e l’esecuzione della musica antica basandosi su premesse nuove e moderne,
ed affascinati dall’immensa ricchezza
del repertorio musicale ispanico ed
europeo prima del 1800, Jordi Savall
(archi), Montserrat Figueras (voce),
Lorenzo Alpert (fiati e percussioni) e
Hopkinson Smith (strumenti a corde
pizzicate) fondarono nel 1974 l’ensemble HESPÈRION XX, dedicato all’esecuzione e rivalutazione di alcuni aspetti
essenziali di questo repertorio. Per oltre
30 anni, HESPÈRION è rimasto fedele
al suo intento iniziale, interpretando
numerose opere inedite in un’intensa attività concertistica in Europa e America.
Con il nuovo millennio, HESPÈRION
continua ad essere un valido strumento
di ricerca e, come tale, ha aggiunto
al proprio nome il numero romano
corrispondente al nuovo secolo appena
iniziato. Il Gruppo pertanto si chiama
ora HESPÈRION XXI. Lo spirito che
ha caratterizzato HESPÈRION fino ad
oggi è stato il modo eclettico in cui ha
operato le sue scelte artistiche. Questo ha
permesso al gruppo di eseguire un importante numero di brani medievali spa61
gnoli, rinascimentali e barocchi inglesi di
Dowland, Tye, Coprario, ecc. Il gruppo
esegue anche altri repertori europei,
in maggior parte sconosciuti al grande
pubblico, che però hanno contribuito
a rendere popolari i loro compositori
(J. Jenkins, J. Rosenmuller, S. Scheidt,
ecc.) I programmi come La musica ai
tempi di Cervantes, Musica napoletana
del Rinascimento, el Llibre Vermell de
Montserrat, Romances Sefardíes, Cansós
de Trobairitz, Il Barocco Spagnolo, così
come produzioni monografiche di opere
di compositori così diversi come A. de
Cabezón, G. Gabrieli, G. Frescobaldi,
E. du Caurroy, S. Scheidt, T. Hume,
W. Brade, O. Gibbons, F. Couperin e
J.S. Bach, testimoniano la ricchezza di
possibilità che offre un gruppo come
Hespèrion XXI.
Tra le sue produzioni meritano di essere
sottolineate l’Arte della Fuga di J.S. Bach,
le Lachrimae or Seaven Tears di Dowland, le Laudes Deo di C. Tye, Recercadas del Trattado de Glosas di D. Ortiz,
Romances y Villancicos di J. del Enzina,
le opere di J. Jenkins, Symphonien und
Sonaten di J. Rosenmüller così come una
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collezione di 7 CD di musica del Secolo
d’Oro spagnolo (Cancionero de Palacio,
Cancionero de Medinaceli, Cancionero
de la Colombina e opere sacre di C. de
Morales, F. Guerrero e T.L. de Victoria),
Fantasie per Viola di H. Purcell che ha
ricevuto diversi premi della critica, il disco Fantasies, Pavanes & Gallardes di L.
Milà, Ludi Musici di S. Scheidt e Portrait
Moyen Âge & Renaissance.
Le ultime incisioni del gruppo con la
sua casa discografica ALIA VOX sono
state Batalles, Tientos & Passacalles di J.
Cabanilles, Elizabethan Consort Music,
The teares of the Muses 1599 (Elizabethan
Consort Music vol. II) di Anthony Holborne, L’Arte della Fuga di J.S. Bach,
Consort Sets in Five & Six Parts di William Lawes, Pièces de Viole du Seconde
Livre di Marin Marais, Diàspora Sefardí,
doppio disco di composizioni vocali e
musica strumentale, Battaglie & Lamenti
e Ninna, Nanna, disco di ninnananne,
questi ultimi tre CD interpretati dal
soprano Montserrat Figueras. Il gruppo
ha inoltre partecipato alla produzione
dei recenti e plauditi libri-disco Miguel de Cervantes & Don Quijote de la
Mancha: Romances y Músicas (2005),
e Christophorus Columbus: Los paraísos
perdidos (2006).
Hespèrion XXI è sostenuto da INAEM
La Capella Reial de Catalunya è
sostenuta dall’Institut Ramón Llull
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Paola Benedetti Spaggiari, Enea Bergianti, Franco Boni, Gemma Siria Bottazzi, Gabriella Catellani Lusetti,
Achille Corradini, Donata Davoli Barbieri, Anna Fontana Boni, Grande Ufficiale Comm. llario Amhos Pagani,
Comm. Donatella Tringale Moscato Grazia Maria di Mascalucia Pagani, Paola Scaltriti, Mauro Severi,
Corrado Spaggiari, Deanna Ferretti Veroni, Vando Veroni, Gigliola Zecchi Balsamo
Gianni Borghi, Vanna Lisa Coli, Andrea Corradini, Ennio Ferrarini, Milva Fornaciari,
Giovanni Fracasso, Silvia Grandi, Claudio Iemmi, Franca Manenti Valli, Ramona Perrone,
Viviana Sassi, Alberto Vaccari
Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono realizzate
con il contributo e la collaborazione della Fondazione Manodori
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