WASP - Babylon - Stereoinvaders

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WASP - Babylon - Stereoinvaders
W.A.S.P. - Babylon
Lunedì 12 Ottobre 2009 07:40 - Ultimo aggiornamento Giovedì 04 Aprile 2013 08:32
Stereogeddon - Giudizio Finale (vol. 4)
"Con quella faccia un pò così, quell'espressione un po' così, che abbiamo noi prima di andare a
....." Los Angeles, magari a vedere un concerto degli W.A.S.P.!
Blackie Lawless non si arrende mai e la sua band è sempre in pista, intramontabile dagli anni
'80 ad oggi. Con "Helldorado" siamo rientrati sui binari del tipico sound anglosassone e
sessualmente pervertito, e da allora Blackie sforna album in quantità impressionante. "Babylon"
è la sua nuova fatica, e noi abbiamo fatto lavorare le nostre fresatrici per dar forma a recensioni
degne del rocker animale più famoso della California.
“Four horsemen sit high up in the saddle/and waiting and ride the bloody trail of no return”: così
recitava vent’anni fa un verso di “The Headless Children”, uno dei brani più celebri dei
W.A.S.P., incluso nell’album omonimo. Il punto di partenza di “Babylon” è proprio questo, come
testimonia già la copertina di questo disco che raffigura i quattro membri della band camuffati a
guisa dei quattro cavalieri dell’Apocalisse. Il riferimento a temi apocalittici o altrimenti
d’ispirazione biblica è molto forte sia nella title track che in altri brani presenti nel disco.
Tuttavia, non ci troviamo di fronte ad un concept-album: le ispirazioni sia a livello di testi che
musicali sono diverse, anche se in generale si assiste ad una certa auto-referenzialità da parte
della band. In fondo, difficile dire che ogni album dei W.A.S.P. costituisca una storia a sé, dato
che spesso può riscontrarsi un gioco di rimandi, richiami e citazioni che per essere compresi
appieno richiedono una certa conoscenza della discografia della band americana. “Babylon”
non è per nulla immune a tale aspetto, anzi, sono presenti diversi riferimenti ad altri brani di
precedenti dischi sia a livello prettamente musicale che nel fatto di ricreare determinate
atmosfere. Ovviamente in questa sede risulterebbe alquanto superfluo fare una ricerca
pedissequa in questo senso oltre che poco utile. Abbiamo sottolineato quest’aspetto però per
evidenziare come “Babylon” possa essere considerato semplicemente l’ennesimo album dei
W.A.S.P., oppure piuttosto come un nuovo capitolo di una storia che dura ormai da oltre 25
anni. Dando un’occhiata alla tracklist, i brani più interessanti sono “Crazy”, “Babylon’s Burning”
e “Seas Of Fire”. Molto belli ed emozionanti anche due brani più soft e carichi di atmosfera
come “Into The Fire” e “Godless Run” (da brividi l’assolo presente in quest’ultima”).
Leggermente più scialbe o scontate “Live To Die Another Day” e la rock ‘n’ roll “Thunder Red”.
Sono presenti inoltre due cover, “Burn” dei Deep Purple (scelta coraggiosa ma obiettivamente
Blackie Lawless non sembra reggere il confronto con David Coverdale) e “Promised Land”, una
vecchia canzone di Chuck Berry, resa celebre da Elvis Priesley (ed in effetti questa versione è
molto più vicina a quella di Elvis che non all’originale). Disco ben fatto e di grande esperienza,
dove magari non abbondano grandi hits ma che aggiunge un ulteriore tassello nella discografia
dei W.A.S.P. e che non dovrebbe risultare sgradevole ai fan della band americana.
(Elio F)
Voto: 7
1/3
W.A.S.P. - Babylon
Lunedì 12 Ottobre 2009 07:40 - Ultimo aggiornamento Giovedì 04 Aprile 2013 08:32
We Are Sexual Perverts from Los Angeles City, sono loro, sono tornati irriverenti e spocchiosi
come al solito, scabrosi, osceni e volgari, capitanati dall'indiscusso leader Blackie Lawless,
altissimo e nero crinito come da secoli, arrivano al quattordicesimo album dall'esordio del 1982,
ladies and gentlemen: W.A.S.P.. Gli eroi storici della band sono tutti assenti a parte il
mastermind; Chris Holmes e il pazzo bassista Johnny Rod, Randy Piper, il tecnicissimo Frankie
Banali, Stet Howland, Bob Kulick, Tony Richards, mi ricordano una musica fatta di tanto rock
n'roll e festa. La stessa band che registrò il buon “Dominator“ nel 2007 riscrive attimi di musica
intensa e genuina nei solchi del nuovo “Babylon“, del quale ancora non conosco ahimé le
tematiche delle liriche. Normalmente i W.A.S.P. sono sempre molto pungenti nei testi con
occhio attento alla politica, al sociale e alle tematiche religiose, riuscendo come nessuno a
creare tracce apocalittiche e catastrofiche grazie anche alla splendida e alta voce di Blackie,
alle volte suadente e sofferta, inimitabile, vero trademarck da sempre. Questa volta a differenza
del concept “The Neon God Part I & II“, cupo, molto metal ed oscuro, o dei concept degli anni
'80 e '90, gli W.A.S.P. si indirizzano su un cammino in puro stile rock 'n'roll oriented, la
registrazione si ricollega a sonorità old school, le canzoni sono casiniste e melodicamente
accattivanti in puro stile waspiano, preferendo marciare a manetta che rallentare in arpeggi
nostalgici e oscuri, anche se d'obbligo sono i due lentoni dell'album che spiazzando come al
solito ed emozionando nel profondo l'ascoltatore, accompagnandolo in territori nascosti del
proprio subconscio. Molto in forma Doug Blair (roadie e già chitarra in studio nel capolavoro
“Crimson Idol“) che con i suoi solos ingigantisce ogni song con quel gusto texano e puramente
hard rock sprizzando energia e disegnando trame da urlo. L'album scorre via proprio come un
classic work del combo americano, non troverete l'industrial di “Kill Fuck Die“ o troppe slow
songs, in “Babylon“ la band si rituffa dritta negli anni '80 e riprende anche la cover dei Deep
Purple “Burn“ che a dirla tutta era destinata al precedente “Dominator“, e ci delizia con un
tributo nientepopòdimeno che del basettone Elvis con una “Promised Land“ più metallizzata e
sconcertantemente efficace. Rullatoni da quattro o otto battute, cavalcate intrise di melodia e
una voce che se non ci fosse bisognerebbe inventarla, gli W.A.S.P. oltre che a shockare e
terrorizzare in sede live questa volta decidono di suonare e basta, ricordandoci a suon di
plettrate che una delle bands più violente e sincere band degli ultimi 30 anni è ancora sulla
breccia e non è certo pronta a gettare la spugna. Grazie ancora Blackie, back to the roots.
(Il Francese 899)
Voto: 7,5
L'ho sempre pensato, se fossi nato donna o gay avrei amato follemente Blackie Lawless,
carisma fatto uomo. Dagli eccessi degli anni '80 (però che dischi!) al tentativo di rinnovamento e
sperimentazione dei '90 (brutta bestia quel decennio fatto di grunge, industrial e alternative), per
poi rientrare su binari più canonici e tradizionali, sebbene con un'esperienza sulle spalle fatta di
tante release pubblicate e miliardi di concerti tenuti nel mondo. Come per i Megadeth o gli
Annihilator, i W.A.S.P. sono unicamente Blackie Lawless indipendentemente dai comprimari di
turno. Ed il sound dei pervertiti sessuali di Los Angeles è quello che si ascolta a partire dalla
opener "Crazy", marchiata così tipicamente W.A.S.P. da poter essere indistintamente inserita
nella tracklist dell'omonimo debutto, come di "The Last Command" o "The Headless Children"
senza colpo ferire. Il vantaggio di essere tornati (a partire da "Helldorado") alle vecchie sonorità
è che con Blackie non ci si sbaglia, si casca sul sicuro; lo svantaggio è che sai fin troppo bene
cosa aspettarti (leggasi: prevedibilità) e potresti preferire il materiale "classico" anziché il nuovo
2/3
W.A.S.P. - Babylon
Lunedì 12 Ottobre 2009 07:40 - Ultimo aggiornamento Giovedì 04 Aprile 2013 08:32
(tanto vale...). "Live To Die Another Day" non mi impressiona più di tanto, stiracchiata fin nel
chorus. E pure "Thunder Red" mi pare scialbetta e inconcludente. La porporata "Burn" viene
praticamente trasformata in una nuova "Hellion". "Babylon's Burning" è un bel pezzo, carina
l'idea di chiudere con "Promised Land", cover di Chuck Berry (e siamo a due però!), e in
generale i guitar solos in tutto l'album lasciano il segno, però si fa davvero fatica a credere che
questo sia un nuovo album della band e non un vecchio titolo del loro catalogo a cui è stata
cambiata la copertina. Clamorosa la capacità di Lawless di ricreare perfettamente, come il più
morboso tecnico di laboratorio, il sound dei primi anni. Direte ... ovvio, è la sua band! Fatto sta
che a 25 anni dall'esordio anche l'artista è un uomo con 25 anni in più sulle spalle, fatti di
esperienze di vita, accadimenti, mutamenti, maturazioni e novità, difficile davvero essere
esattamente gli stessi di prima, a meno che l'operazione non la si studi e pianifichi a tavolino
come un amanuense certosino. Pregi e difetti di "Babylon" stanno tutti qui, un album dignitoso
(non straripante), vecchio stile, divertente, familiare come una riunione col parentado la notte di
Natale, foderato di carta copiativa dal primo all'ultimo solco. Complicato anche parlare di
"ritorno", in realtà qui non si è mosso nessuno.
(Psychotron)
Voto: 6,5 3/3