A tutti i popoli ha rivelato la salvezza

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A tutti i popoli ha rivelato la salvezza
PARROCCHIA SAN MICHELE ARCANGELO
LECTIO DIVINA – 5a Domenica di Pasqua – Anno C A tutti i popoli ha rivelato la salvezza La vita dei discepoli è spesso testimonianza resa alla parola di Dio tra molte tribolazioni. La missione chiede fedeltà e perseveranza nell’amore, la vera forza divina che può salvare l’umanità. PRIMA LETTURA: At 14,21b-­‐27 – Riferirono alla comunità tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro. Il primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba volge al termine. Percorrendo a ritroso il cammino nelle città evangelizzate essi «confermano» i discepoli (v. 22): è, questo, un termine tipico del linguaggio missionario del I secolo. Indica infatti il consolidamento nella fede e nella prassi cristiana di quanti hanno accolto da poco il kḗrygma (l’annuncio) e possono facilmente essere disorientati dall’esperienza della persecuzione che accompagna quasi ovunque la predicazione, colpendo gli apostoli. I nuovi discepoli sono dunque esortati a perseverare nella fede, abbracciando le tribolazioni come partecipazione alla passione di Cristo. Poiché le comunità recentemente evangelizzate devono poter continuare da sole il loro cammino, gli apostoli istituiscono in ciascuna di esse una prima forma di organizzazione ecclesiale, nominandovi dei presbiteri. È un momento di fondamentale importanza per la vita della comunità e va quindi accompagnato dalla preghiera, dal digiuno, dall’affidamento alle mani del Signore (v. 23): allo stesso modo il viaggio di Paolo e Barnaba era stato preparato dalla Chiesa di Antiochia di Siria (v. 26), alla quale i due fanno ritorno. La missione apostolica, così come la responsabilità ecclesiale, sono infatti compiti che il Signore stesso affida ad alcuni (13,2-­‐3), ma di cui tutta la comunità deve farsi carico, sostenendoli con la preghiera e l’offerta del sacrificio. Perciò gli apostoli, appena arrivati a destinazione, radunano tutti i fratelli per renderli partecipi di ciò che «il Signore» ha operato servendosi di loro e aprendo egli stesso «la porta della fede» ai pagani. Sua è la missione, sua è la grazia, suo il frutto. Alui gli apostoli rendono tutta la gloria (v. 27). SALMO RESPONSORIALE: Sal 144,8-­‐9.10-­‐11.12-­‐13 – Benedirò il tuo nome per sempre, Signore. I versetti tratti dal salmo 144 riassumono in poche frasi il senso della lode data a Dio: riconoscere la sua misericordia, annunciare la sua bontà, testimoniare la sua fedeltà, suscitare l’adorazione da parte di tutte le genti, perché tutto diventi benedizione per coloro che scoprono l’agire di Dio nella storia degli uomini. La lode a Dio è dunque la vocazione dell’uomo, perché chi loda con cuore sincero riconosce il bene che Dio ha seminato in ogni cosa e indica tale bene a tutte le genti. L’agire di Dio è chiamato «tenerezza che si espande su tutte le creature». La tenerezza è l’amore rispettoso che sa godere delle cose per quello che sono. SECONDA LETTURA: Ap 21,1-­‐5a – Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Dopo aver contemplato la sconfitta definitiva delle forze del male e il giudizio di Dio (19,11-­‐201,15), il Veggente è reso degno di conoscere il risvolto luminoso di tale accanita lotta: la realtà che appare ai suoi occhi è caratterizzata da una novità radicale, sostanziale e universale: tutto il cosmo è coinvolto in tale trasformazione. L’universo segnato dal male – di cui il mare nella Bibbia è spesso simbolo – è sostituito da una realtà qualitativamente diversa (v. 1). Se già i profeti avevano vaticinato cieli nuovi e terra nuova (cfr. Is 65,17) e avevano presentato Gerusalemme come sposa di Dio (Is 62), il loro orizzonte restava però temporale e il riferimento immediato era la restaurazione materiale della città per l’intervento ricreatore di Dio. Ora Giovanni vede discendere dal nuovo cielo sulla nuova terra questa città-­‐sposa, simbolo della dimora di Dio con gli uomini. È questo un tema che velatamente percorre tutta la storia sacra e, in un certo senso, ne indica anche il significato ultimo. Dall’intimità tra Dio e l’uomo nell’Eden, alla tenda della presenza (shekhînah) che ha accompagnato il popolo di Israele nell’esodo, al tempio di Gerusalemme, fino all’incarnazione, Dio si è rivelato sempre più profondamente come l’Emmanuele, il “Dio-­‐con”. Dopo la morte-­‐risurrezione di Cristo, un nuovo, ultimo passo si sta compiendo nella rivelazione: l’uomo-­‐è-­‐con-­‐Dio. Distrutto interamente il male (capitolo 20), un nuovo popolo appartiene pienamente al Signore, ed egli è eternamente «con-­‐loro» (v. 3). Le citazioni dei profeti si susseguono per descrivere questa splendida realtà (Ez 37,27; Is 25,8; 35,10; 65,19) di comunione, di consolazione, di vita, di festa: qualcosa che l’uomo ancora non ha conosciuto – perché Dio è colui che fa nuove tutte le cose – e che tuttavia può fin d’ora in qualche modo pregustare, perché «se uno è in Cristo è nuova creatura: le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,17; Is 43,19). CANTO AL VANGELO: Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore: come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. VANGELO: Gv 13,31-­‐33a.34-­‐35 – Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Inizia con questo brano il “discorso d’addio” di Gesù ai suoi. La porta del cenacolo si apre, Giuda esce per consumare il tradimento del Maestro. Il vangelo annota brevemente: «È notte». La notte del peccato, la notte del principe di questo mondo. E Gesù sa che, nel volgere di poche ore, egli sarà là, solo, nel giardino del Getsemani avvolto da quelle stesse tenebre che cercheranno di inghiottirlo e contro di cui dovrà lottare fino al sangue. Sa tutto questo, tuttavia ai discepoli parla di ‘glorificazione’ del Figlio dell’uomo. La ‘gloria’ di Dio, infatti, non è facile successo mondano, quando piuttosto trionfo del bene, che per nascere deve passare attraverso la grande tribolazione. La croce è così il grembo materno della vita vera. Gesù non può ora ‘spiegare’ ai suoi il significato della sua morte. Da solo la affronta e la offre. Nelle sue parole si sente vibrare la sollecitudine per i discepoli che, pure, tra poco rimarranno soli, in balìa del dubbio e dello scandalo. Essi non possono seguirlo, per ora. Per questo hanno bisogno più che mai di essere custoditi nel suo nome. Ecco allora che lascia loro in testamento il «comandamento nuovo» dell’amore vicendevole. Nel viverlo, essi saranno per sempre in comunione con lui e nulla li potrà strappare dalla sua mano. Anzi, lo potranno vivere perché egli per primo lo ha vissuto. «Nessun discepolo è superiore al suo maestro», ma ogni discepolo è chiamato a conformarsi al Maestro e a glorificarlo con la vita. Il «comandamento nuovo» non è giogo pesante, ma comunione personale con Dio stesso, che vuole rimanere presente tra i suoi come amore, come carità. S. AGOSTINO, LA CITTÀ DI DIO, 14,28
«L’amore all’origine delle due città»
“Due amori sono all’origine delle due città. Nella città terrena, l’amore di sé fino al
disprezzo di Dio; nella città celeste, l’amore di Dio fino al disprezzo di sé. Quella si gloria
in se stessa, questa in Dio. Quella cerca la gloria degli uomini, in questa è gloria massima
Iddio…. In quella, nei suoi prìncipi e nelle nazioni che sottomette, domina la libidine del
potere; in questa, i capi consigliando e i sudditi obbedendo, ci si serve scambievolmente
nella carità.”
ZENONE, DISCORSO I, 36,9
«Sulla carità» “O carità, quanto sei pia, quanto sei ricca, quanto sei potente! Nulla possiede chi non
possiede te. Tu sei stata capace di mutare Dio in uomo…. Tu hai l’anima del popolo
celeste, in quanto assicuri la pace, custodisci la fede, abbracci l’innocenza, coltivi la
verità, ami la pazienza, additi la speranza. Tu, per la comune natura, rendi uomini diversi
per costumi, potere, un solo spirito e un solo corpo. Tu permetti che nessun tormento,
nessun nuovo genere di morte, nessuna ricompensa, nessuna amicizia, nessun vincolo
d’affetto – senza dubbio più temibile d’ogni carnefice per lo strazio provocato dalla
tenerezza – distolgano i gloriosi martiri dal confessare il nome cristiano.
Tu sei lieta di esser nuda per vestire chi è nudo. Se un povero affamato mangia il tuo
pane, la fame diventa per te sazietà. La tua ricchezza consiste nel possedere tutto ciò
che possiedi per soccorrere i bisognosi. Tu sola non sai essere pregata: tu prontamente
trai in salvo gli oppressi, in qualunque angustia si trovino, anche a prezzo della vita. Tu
sei l’occhio dei ciechi. Tu sei il piede degli zoppi. Tu sei per le vedove validissimo scudo.
Tu per i pupilli sei padre migliore di entrambi i genitori. Compassione o gioia non
consentono che i tuoi occhi rimangano mai senza lacrime. Tu ami talmente i tuoi nemici,
che nessuno riesce a distinguere quale differenza sia per te tra loro e i tuoi cari.
Tu, lo affermo, unisci ciò che è celeste all’umano, l’umano al celeste. Tu custodisci i divini
misteri. Tu nel Padre comandi, tu nel Figlio obbedisci a te stessa, tu esulti nello Spirito
Santo. Tu, pur essendo una in tre, non sei in alcun modo divisa, non ti lasci turbare dalle
interpretazioni maligne della curiosità umana. Dalla fonte del Padre ti riversi interamente
nel Figlio, e tuttavia, pur riversandoti tutta, non vieni meno. Giustamente ti chiamano Dio,
perché sola governi la potenza della Trinità.
Per la “Collatio”
1) Cosa intende la gente per amore? E Gesù?
2) Conosco l’amore di Gesù e l’amore di Dio? Mi commisuro ad essi?
3) Lavoriamo, secondo i mezzi di cui disponiamo, alla costruzione di una
società più giusta, più umana, più fraterna realizzando così il
comandamento nuovo di Gesù?
4) Interroghiamoci sulla nostra vita quotidiana: si può vivere accanto ai fratelli
dalla mattina alla sera senza accettarli e senza amarli?
5) Cosa posso fare io per mostrare la mia riconoscenza al Signore che per
me è venuto a farsi servo e ha consacrato per il mio bene tutta la sua vita?
Gesù risponde: Servimi nei miei fratelli: è questo il modo più autentico per
dimostrare il realismo del tuo amore per me.
Per l’ “Actio”
Ripeti spesso e vivi la Parola:
«La sua tenerezza si espande su tutte le creature»
(Sal 144,9)